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Storia del Giappone di Caroli & Gatti, Appunti di Storia dell'Asia

Dal capitolo 1 al capitolo 10 Corso di Storia dell'Asia Orientale e Sud-Orientale

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 11/07/2020

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Scarica Storia del Giappone di Caroli & Gatti e più Appunti in PDF di Storia dell'Asia solo su Docsity! STORIA DEL GIAPPONE R. Caroli & F. Gatti Capitolo Primo DALLE ORIGINI ALLA FONDAZIONE DELLO STATO SU MODELLO CINESE I. Le origini della cultura giapponese nel periodo preagricolo Molti dubbi sulla cultura preistorica del Giappone riguardano il come e il quando i primi popoli primitivi si stanziarono nell’arcipelago. L’ipotesi più avvalorata indica epoche remotissime, quando le isole giapponesi erano ancora unite al continente (infatti il giapponese, come il turco, il coreano ed il mongolo, appartiene alla famiglia delle lingue altaiche). Proviamo a fare una suddivisione delle prime epoche giapponesi: 1. PLEISTOCENE, si usavano utensili litici rozzamente realizzati ed utensili di osso 2. NEOLITICO (10000 a.C.), coincide con l’avvia della manifattura ceramica. Viene chiamata epoca JŌMON, da “disegno a corda” per via dei segni di corda e di stuoia di paglia che decoravano la superficie di buona parte della ceramica cotta (dogū). I soggetti rappresentati erano figure a cavallo a metà tra il mondo umano e quello animale. Spesso erano raffigurati in atteggiamenti superstiziosi o magici. C’erano poi diverse rappresentazioni di donne incinte, a simboleggiare la fertilità. Questi segni, disegnati sulle conchiglie, rappresentavano invece amuleti 3. IX - VIII millennio a.C. (fine dell’epoca glaciale), si fecero disponibili nuove risorse naturali che favorirono lo sfruttamento di prodotti marini 4. 500 - 3500 a.C., il miglioramento delle condizioni climatiche e l’innalzamento del livello del mare permisero di trasformare regioni, come quella del Kantō, in paludi, consentendo un maggior impiego dei prodotti raccolti lungo le coste 5. IV millennio a.C., a causa dell’abbassamento del livello del mare, ci fu uno spostamento verso le regioni interne e si iniziarono a sfruttare le risorse della terra 6. IV - III secolo - YAYOJ, lo studio di alcuni ritrovamenti di ceramica indica la presenza del contatto tre le regioni del Kyūshū e dello Honshū con la penisola coreana. Da questa, il Giappone importò la tecnica di coltivazione del RISO mediante l’irrigazione Con il periodo Yayoj abbiamo un progressivo superamento di una cultura di cacciatori e raccoglitori a favore di una cultura agricola che vedrà gruppi di persone stanziarsi in modo più sedentario. II. I padroni dell’economia e della società agricola L’introduzione della risicoltura dal continente segna l’inizio del periodo Yayoj (circa 300 a.C. - 250/300 d.C), il quale prende nome da una zona di Tokyo che restituì i primi esemplari di una 1 ceramica lavorata al tornio, meno elaborata ma di una qualità superiore rispetto a quella precedente. Oltre alla tecnica della risicoltura e dell’irrigazione, il Giappone prese dalla Corea e dalla Cina prodotti nuovi come armi e specchi di bronzo, intensificando i rapporti con il continente. Nonostante la coltura del riso, le attività di caccia e raccolta continuarono mentre gruppi di famiglie iniziarono a stanziarsi nelle zone più facilmente irrigabili, come i fondi valle ricchi di corsi d’acqua. Essi vivevano in capanne dal pavimento di terra, pilastri e travi di legno e tetti di paglia, costruite l’una accanto all’altra e raggruppate in villaggi. Iniziarono poi a costruire attrezzi agricoli con l’utilizzo del ferro e, nella prima parte del periodo Yayoj dalla produzione di ceramica diversificata e dai variegati culti possiamo percepire che iniziò ad instaurarsi un’autonomia politica ed economica che caratterizzava la vita locale. È questo il periodo dello SHINTOISMO primitivo (shintō “via degli dèi”), un culto della natura che si esprimeva nell’identificare come KAMI (divinità locali) monti, fiumi, cascate, alberi, rocce o vulcani dei quali si cercava di ottenere la protezione; e che ritmava le fasi vitali dell’attività produttiva, come la semina e il raccolto. Un altro termine qui importante è quello dello TSUMI, il male, che non era visto come una trasgressione interna all’individuo ma come il risultato di un’azione esterna. Lo shintoismo contribuì non solo a rafforzare il legame spirituale tra i gruppi di famiglie che si erano stanziati attorno alle risaie, ma pure a rendere sacro il vincolo tra comunità e territorio. Le opere redatte in Cina nel periodo precedente alla diffusione del sistema di scrittura cinese nelle isole giapponesi costituiscono le prime testimonianze relative alla seconda metà della cultura Yayoj. Da esse si può affermare che a partire da circa il 100 d.C. l’organizzazione socio-politica delle comunità avesse raggiunto un certo grado di evoluzione, e le singole collettività avessero stabilito tra loro forme di scambio commerciale. Inoltre, la STRATIFICAZIONE SOCIALE iniziava ad essere sempre più marcata, con i primi individui che godevano di condizioni più favorevoli, terre più fertili e maggiore vicinanza alle innovazioni del continente. Ciò avrebbe determinato una differenziazione della forza economica e militare tra le singole comunità che sarebbe stata alla base del processo di competizione per il potere culminato nell’istituzione di un governo centralizzato. A partire dal III secolo d.C., le isole giapponesi furono teatro di scontri tra paesi guidati dai capi locali, che le cronache cinesi definiscono come re e regine. III. Lo sviluppo dell’organizzazione socio-economica e i contatti con il continente nel periodo Kofun Il periodo che vide la diffusione di grandi monumenti funerari, costruiti in tumuli di terra con una forma simile a quella di una collinetta e detti appunto KOFUN, prende avvio verso il 200/300 d.C. e si protrae fino a ciarla la metà del VI secolo, quando l’introduzione del Buddhismo portò al superamento di tale pratica. In genere, i kofun erano correttati di grandi scuter di terracotta, dette HAIWA, scavate sopra le tombe oppure nel terrapieno circostante. Avevano forma di case - dimora per l’anima -, oppure di figure animali o umane. Gli haiwa di forma umana raffiguravano guerrieri, 2 Il confronto giunse ad una soluzione solo dopo uno scontro avvenuto nel 587 in cui i Soga ebbero la meglio. L’introduzione del Buddhismo sancì la fine del periodo Kofun, trasformando molti aspetti della vita giapponese, tra cui l’architettura ed i riti funebri nei quali la cremazione fu preferita alla sepoltura. le tombe a tumulo furono superate e sostituite da ricchi templi. Il problema di questo periodo rimangono le fonti storiche sulle quali basarsi. L’introduzione della scrittura cinese - sotto forma di testi religiosi - venne introdotta verso la fine del III secolo, m non diede un immediato avvio alla stesura di opere e di cronologie ufficiali. Abbiamo tuttavia fonti cinesi che, sebbene parlino del periodo Kofun in maniera alquanto mitica, riportano delle notizie attendibili in relazione anche successivo al VI secolo. Quindi dal VI secolo in poi è possibile fare riferimento a fonti storiche scritte anche senza l’ausilio dell’archeologia. V. Il processo di creazione dello Stato Imperiale nel Giappone storico In questo periodo il Giappone cominciò a perdere il controllo militare esercitato in Corea, corrodendo anche il potere sulla colonia Mimana. Ciò dimostra come il capo Yamato esercitasse un potere solo formale, che non gli consentiva di disporre delle risorse necessarie per gestire invasioni o difese. Questo rappresentava un grande pericolo, anche perché la Cina, alleata con Silla, iniziava a rappresentare non più solo un modello da prendere in considerazione (il Giappone si ispirò molto all’Impero Cinese sotto i Sui ed i Tang), ma soprattutto una potenza da temere. In materia di politica interna, SOGA NO UMAKO, capo del clan Soga, dopo la vittoria, aprì le porte a monaci, reliquie, artigiani e costruttori di templi, che in gran parte provenivano dalla penisola coreana. Nella zona si ASUKA (a sud di Nara) venne posta la Corte della famiglia Yamato, qui fu ultimato nel 596 il primo vero tempio buddhista costruito in Giappone. Questi edifici erano i nuovi simboli della potenza dei grandi uji, che mostravano di avere un grado di indipendenza dal clan Yamato. Furono proprio i Soga a rappresentare una minaccia per l’egemonia dell’uji Yamato, dato che il successo militare garantì loro una posizione predominante, rafforzata anche dall’uso politico della nuova religione. Dopo aver sconfitto i propri avversari, Soga no Umako, si impiegò per consolidare il proprio potere a Corte, facendo uccidere l’Imperatore in carica che, pur essendo suo nipote, contrastava le ambizioni del capo Soga. Salì così al potere, nel 592, l’Imperatrice SUIKO, legata ai Soga da parte materna. Ad essere nominato reggente (sesshō) fu invece un principe sposato ad una donna del clan Soga, che assunse le redini del governo. Questo principe è noto con il nome di SHŌTOKU TAISHI (574-622), un fervente buddhista che svolse un ruolo essenziale nella diffusione della nova religione, così come nell’adozione delle idee, la cultura e le istituzioni cinesi - anche se è probabile che tutto ciò fosse ispirato da sentimenti poco nobili, mirando al consolidamento dell’autorità dei Soga. Egli comunque, sotto la guida di un tutore coreano, Shōtoku, aveva studiato le sacre scritture buddhiste. Convinto della validità delle istituzioni dell’Impero cinese, avviò contatti diretti con la Corte dei Sui (missione ufficiale nel 600), e nel 603 adottò il sistema cinese dei dodici ranghi 5 di Corte, la cui assegnazione spettava all’Imperatore. Infine, a Shōtoku è attribuita la stesura della COSTITUZIONE DEI DICIASSETTE ARTICOLI, scritta in cinese ed emanata nel 604. Si tratta di un elenco di precetti e regole morali redatte per affermare il diritto del sovrano di eliminare il potere autonomo degli uji sostituendolo con una sorta di burocrazia, composta di ministri e funzionari. L’Imperatore rappresenta qui il legame tra Cielo e Terra; si conia infatti in questo periodo il termine TENNŌ (composto dai caratteri cinesi di “cielo” e “sovrano”). La morte di Shōtoku Taishi fu subito seguita dalla congiura del 645 che vide vittima il capo dei Soga. A gestire tale operazione du un Principe imperiale, Naka no Ōe, e un membro del clan NAKATOMI, Nakatomi no Kamatari, il quale fu ricompensato con importanti cariche ed un nuovo importante cognome: FUJIWARA. Secondo la cronologia NENGŌ (metodo giapponese di suddivisione della storia), la caduta del potere dei Soga avvenne nel primo anno dell’epoca Taika. Da qui in poi, l’Imperatore promulgò una serie di riforme: 1. Abolire tutti i titoli che garantivano privilegi locali 2. Nomina di funzionari 
 Il territorio fu organizzato in province, KUNI, a capo delle quali erano posti governatori provinciali, KUNI NO TSUKASA. Le province erano divise in distretti, KŌRI, a capo delle quali erano posti capi di distretti, KŌRI NO TSUKASA. A livello più basso, le unità amministrative erano rappresentate da villaggi rurali e quartieri urbani, ciascuno dei quali era guidato da un capo scelto tra gli abitanti delle singole località. 3. Registri di censo e di tasse 
 La riforma Taika prevedeva che la popolazione contadina fosse registrata per famiglie, che fungevano come unità di base per l’assegnazione della terra e per il pagamento delle tasse. Le terre agricole furono divise con il sistema JŌRI: un quadrato di terra veniva diviso in 36 parti uguali, a loro volta divise in 10 strisce chiamate TAN (mille metri quadrati). Ai maschi di una famiglia rurale di età superiore a 6 anni venivano dati 2 tan (alle femmine due terzi di questo). 
 Il sistema di ripartizione delle terre era già esistente in Cina e venne ripreso in Giappone con gli stessi caratteri i quali si leggono KUBUNDEN, “campi divisi per ogni bocca”. La divisione delle terre ai cittadini non era perpetua, ma soggetta a periodiche ridistribuzioni. Venne poi creato un Consiglio di Stato, DAJŌKAN, con otto ministeri dipendenti e da questi dipendevano altri due ministeri, di Destra e di Sinistra. L’opera riformatrice proseguì sino a quando una disputa per la successione al trono riportò il Paese in uno stato di guerra che durò alcuni mesi. A prendere il potere fu l’Imperatore TENMU (673-686) il quale riportò in auge il potere degli uji. Egli sottolineò anche la necessità della stesura di un’opera storica finalizzata a legittimare il potere dell’Imperatore: KOJIKI. 6 VI. Le grandi capitali imperiali Nel 694 fu stabilita la prima capitale a FUJIWARA, poco a nord di Asuka, qui, nel 702 venne redatto un codice chiamato sia Taihō che Codice RITSURYŌ, contenente leggi pensali (ritsu) e codici amministrativi (ryō), finalizzato a stabilire un saldo controllo della popolazione e delle risorse economiche. Con ciò - segnato come il punto massimo dell’influenza cinese sulle istituzioni del Giappone antico - vediamo il completo superamento delle realtà uji e la creazione di una massa di sudditi sottoposti all’Imperatore. C’erano i RYŌMIN, sudditi liberi, divisi in KANMIN, funzionari e in KŌMIN, coltivatori delle terre dello Stato; poi c’erano i SENMIN, i sudditi non liberi. Inoltre, a fianco del Dajōkan stava il JINGIKAN, ministero delle Divinità. Nel 710 la capitale si trasferì a NARA. Qui inizia un periodo di grande costruzione di templi buddhisti, fatti sia per attingere prestigio, sia per proteggere il territorio. Un esempio è quello del Grande Buddha, la cui inaugurazione avvenne nel 752 e alla quale parteciparono rappresentati della Corea, della Cina e dell’India. Il Giappone intraprese contatti anche con Indonesia, Vietnam e Malesia. Ovviamente la fonte presa come modello rimaneva quella cinese, dal 701 infatti partirono navi dal Giappone contenenti cinquecento persone tra studenti e studiosi desiderosi di ricavare informazioni dalla Cina. Nel 712 fu ultimata la compilazione del Kojiki in tre volumi: 1. PRIMO VOLUME - fino al 660 a.C. con la fondazione dell’Impero ad opera di Jinmu 2. SECONDO VOLUME - inizi del 300 3. TERZO VOLUME - fino al 628 In questo periodo lo Shintoismo continuò ad esercitare un forte sostegno all’istituto imperiale e, come culto popolare, restò ancorato alla vita quotidiana dei giapponesi. Il clero buddhista inca iniziava ad ottenere un potere che andava al di là di quello spirituale - basti pensare che molti nobili e addirittura alcuni sovrani diventavano monaci buddhisti. Nel 749 salì al trono Kōken, una fervente buddhista che nel 758 decise di ritirarsi alla vita monastica abdicando. Ella concesse titoli e privilegi al monaco DŌKYŌ, che ella riteneva l’avesse guarita da una malattia. la posizione del monaco si elevò a tal punto da richiedere un intervento militare contro di lui dal quale egli si salvò. L’Imperatrice tornò al trono e lo insignì di un titolo riservato esclusivamente ai sovrani allontanati dal potere per prendere i voti: quello di HŌŌ. Alla morte di lei, anche il monaco perse il suo potere. La vicenda spinse la corte ad assumere un rapporto più equilibrato con la religione. Nel 723 e nel 743 furono adottati due provvedimenti che indussero la possibilità di assumere il controllo privato delle terre bonificate per più generazioni o perfino in modo perpetuo. Il problema fu che la nobiltà e le istituzioni religiose acquisirono possesso privato di queste terre, esentate dal pagamento delle tasse, ciò provocò una violenta ribellione. Nel 784 la capitale fu spostata a NAGAOKA, ma una serie di sciagure indussero a spostarla nuovamente. Il luogo designato, nel 794, fu KYOTO - precedentemente chiamata Heiankyō. In 7 A. Terra Pura (Jōdo), parallelismo del Paradiso Occidentale, diffusa in primo luogo dal monaco Kūya che predicò nel strade della capitale, ed il monaco Genshin, che dipinse gli orrori dell’Inferno e le delizie del mondo celeste. Amida era il Buddha del Paradiso Occidentale, che poteva essere ottenuto tramite l’invocazione del suo nome. B. Fase finale della Legge (mappō), secondo cui esistevano tre fasi successive alla morte del Buddha storico:
 - cinquecento anni di prosperità 
 - fase di declino di durata millenaria 
 - degenerazione e decadenza della legge buddhista 
 Ritenendo che il mondo si stesse avvicinando a quest’ultima fase, tale dottrina lasciava aperta un’unica via di salvezza rappresentata dall’invocazione di Amida per ottenere la grazia ed entrare nella Terra Pura. La diffusione del Buddhismo portò anche all’assimilazione dei culti shintoisti, attraverso l’idea che i kami fossero una manifestazione delle divinità buddhiste (Amateratsu > Buddha Dainichi «il Grande Sole» che si esprimeva con i mandala, punto di riferimento della scuola Shingon). Gli stessi credenti mostravano grande capacità di sincretismo religioso. La vera innovazione di arte autoctono arrivò con gli Yamatoe, la pittura di Yamato, cioè giapponese (≠ Karae, cinese). Iniziarono così ad essere dipinti i byōbu, paraventi, e i rotoli orizzontali con eventi storici. I templi iniziarono ad essere riempiti di giardini e boschetti, stagni e laghetti sormontati da piccoli ponti. Il periodo Heian si concentra quindi su uno sviluppo culturale dell’aristocrazia (1 per cento della popolazione; 10 per cento nella capitale). II. Origini e diffusione dello «shōen» Nel periodo Nara erano stati adottati provvedimenti che contraddicevano in modo palese i principi fondamentali stabiliti dalla riforma Taika: per aumentare il volume delle entrate provenienti dalla tassazione delle terre kubunden e per allentare la pressione demografica sulle terre agricole, era stata consentita la possibilità di mantenere il controllo delle aree a coloro che avevano provveduto a bonificarle. Ciò aveva generato una povertà diffusa in molte aree, spingendo un numero crescente di contadini ad allontanarsi dalle terre kubunden. Un progetto del 722 - finalizzato a rendere coltivabili ampie zone nord-orientali - era fallito a causa della scarsa mano d’opera e per questo si era affidato il compito di bonifica a singole famiglie in cambio della concessione del terreno da una a tre generazioni - poi in modo perpetuo. Questa estensione aveva però portato a benefici delle più grandi famiglie di Corte e ai grandi monasteri buddhisti che non al governo imperiale. Ecco che nel corso del periodo Heian questa situazione si accentuò: si svilupparono gli shōen, possedimenti privati che gradualmente si affrancarono dal controllo centrale e dall’obbligo di pagare le tasse al governo, nelle quali si diressero gruppi di contadini i quali, oberati dall’onere 10 fiscale, abbandonavano le terre statali. Con l’indebolimento del governo centralizzato, la nobiltà di origine uji e le grandi istituzioni religiose potremo estendere il controllo su ampie tenute agricole e sul lavoro dei contadini necessari alla coltivazione servendosi del loro potere economico e politico per acquistare e mantenere i diritti sulle terre. Alla diminuzione delle entrate provenenti dalle terre kubunden, infatti, corrispose un aumento della tassazione agricola e dei contadini che cercavano di sottrarsi all’onere fiscale chiedendo protezione a chi aveva ottenuto l’esenzione. Un’ulteriore misura che trasformò queste tenute in veri e propri possedimenti pirati fu quella di escludere i dipendenti del governo centrale dalla possibilità di accedervi al fine di svolgere compiti amministrativi. Ciò segnò la transizione riconosciuta come ICHIEN SHŌEN, che designa i possedimenti terrieri all’interno dei quali il beneficiario dei privilegi (esenzione dalle tasse ed uso perpetuo) deteneva tutti i compiti di governo e i diritti amministrativi. Questa figura era nota come RYŌSHU, «proprietario» di shōen. La maturazione completa di questo processo, iniziato nel VIII secolo, arrivò nel XIII secolo con 5000 shōen di varia estensione, nelle mani di alcune centinaia di proprietari. I compiti amministrativi di questi possedimenti, quando il ryōshu non vi risiedesse o fosse in una delle sue altre proprietà, erano designate allo SHŌKAN. Anche nelle province i capi delle famiglie locali più benestanti avevano cercato di trarre beneficio, tuttavia, affinché i privilegi che avevano ottenuto potessero continuare ad essere garantiti, fata la crescente competizione in questo ambito, in genere ricorrevano all’appoggio di potenti e autorevoli figure appartenenti all’ambiente di Corte. Questi erano detti HONKE e presentavano la loro opera come una sorta di «protettori» in cambio di un compenso o di una quota dei prodotti agricoli. Così, a differenza degli ryōshu aristocratici, quelli contadini diventavano residenti di uno shōen di cui consolidarono il potere acquisendo anche una forza militare, diventando via via sempre più aggressivi. Quindi la figura del garante, honke, era richiesta solo per i proprietari contadini che abitavano in loco. Oltre all’assetto organizzativo, la gerarchia interna era quindi divisa negli MYŌSHU, i contadini proprietari degli shōen ed in contadini dipendenti che lavoravano i campi. Gerarchia ryōshu honke shōkan myōshu contadini dipendenti La ripartizione dei prodotti delle terre avveniva sulla base del ruolo svolto dalle figure sopra elencate. Dai doveri derivano infatti i benefici, SHIKI, che ciascuno poteva vantare sui prodotti della terra. Ad ogni shiki corrispondevano dei dovere e diritti relativi allo shōen. Lo shiki rappresentava quindi un beneficio individuale che poteva essere ereditato, suddiviso e venduto. Gli stessi rapporti gerarchici erano privati e personali, molto diversi da quelli tra suddito e Imperatore. 11 Questo sistema provocò un’intensa stratificazione dei villaggi: spesso le famiglie di discendenti degli uji che avevano continuato a godere di una posizione privilegiata e avevano saputo imporre il loro potere militare e amministrativo più efficace del governo iniziarono in gran parte a trasformarsi in capi militari terrieri (mentre altri, incapaci di fronteggiare la competizione, restavano ancorati al sistema Imperiale mantenendo le cariche civili ottenute dal governo). II. L’ascesa della classe guerriera All’epoca delle grandi riforme, la creazione di un esercito nazionale tramite l’introduzione di un sistema di reclutamento obbligatorio non aveva avuto grande successo. I maschi di età compresa tra venti e sessanta anni iscritti nelle liste di coscritti, a rotazione dovevano prestare servizio militare nelle unità militari delle province, nelle truppe a guardia della capitale e in quelle stanziate a difesa delle frontiere nord-orientali o delle zone costiere. Si trattava di un obbligo che per molti era risultato assai oneroso e ne era risultato un esercito scarso ed indisciplinato. Il sistema di arruolamento obbligatorio era stato superato con l’istituzione, nel 792, di un sistema di milizie locali chiamate KONDEI, che prendeva l’arruolamento di valenti maschi, selezionati tra le famiglie di funzionari distrettuali o di influenti personalità locali. Il potere militare locale diventa quindi sempre più autonoma dal centro e, col tempo, molti capi delle milizie locali cominciarono a disporne come fossero dei veri e propri eserciti personali (all’interno degli stessi shōen si rese necessaria l’organizzazione di corpi combattenti). tutto ciò concorse alla nascita di eminenti figure di guerrieri professionisti appartenenti all’élite locale, dediti all’addestramento e alle arti militari, dotati di armature e cavalli. Fu tra il IX e il X secolo questi gruppi di professionisti militari si affermarono con varie designazioni, tra cui: • BUSHI, uomini d’armi • SABURAI, militari al servizio della nobiltà o dei governatori Essi andarono assumendo il controllo sulle terre agricole grazie al fatto che la forza militare che detenevano li rendeva competitici rispetto persino alle grandi famiglie dell’aristocrazia civile. Le famiglie dell’aristocrazia di Corte presero a disporre delle milizie nello stesso modo in cui lo fecero le istituzioni religiose. La classe guerriera riuscì a prevalere quindi sull’aristocrazia civile in sul piano economico e politico, ma non in ambito sociale e culturale, dove rimase orgogliosamente separata dalla colta e raffinata élite aristocratica. La Corte restò la fonte di legittimazione del potere militare e, anche quando fu privato di ogni effettivo potere politico, il sovrano continuò a conferire il supremo titolo militare allo SHŌGUN, «grande generale conquistatore dei barbari». D’altra parte, occorreva una forza militare per fronteggiare le popolazioni ribelli stanziate nelle regioni del nord-est che premevano sulla frontiera del Giappone antico (barbare in quanto nomadi opposti alla cultura sedentaria giapponese): gli EMISHI, considerati gli antenati della popolazione degli Ainu. 12 governo militare. Nel corso del periodo Kamakura tale processo si verificò solo in parte creando una sorta di «governo duale»: per circa due secoli, il bakufu operò in equilibrio con la Corte di Heian. Nel 1185, dopo avere eliminato il fratello Yoshitsune, al quale spettava il merito di aver contribuito in modo determinante alla sconfitta dei Taira, Yoritomo emerse come il più potente capo militare del Giappone alla guida di una estesa coalizione formata da guerrieri provinciali. Delle casate facevano infatti anche parte i GOKENIN, «membri della casata», che spesso avevano origini umili e ce comunque vi appartenevano per legami di sangue, per relazioni di parentela acquisita tramite matrimoni o adozioni, per vincoli fonati su un personale rapporto di assoluta fedeltà. Yoritomo stabilì una rete di rapporti tipicamente feudali fondati sul vincolo signore-vassallo, un legame che era allo stesso tempo personale e politico. Yoritomo si apprestò a dichiarare il suo completo sostegno alla Corte e si impegnò a rispettare la tradizione imperiale, senza comunque rinunciare a intavolare negoziati con Kyoto, in merito alla spartizione del potere. Nel 1185 ottenne anche il titolo di SŌTSUIBUSHI, capo della polizia militare, che gli conferiva il diritto di inviare in tutte le province un suo dipendente deputato a svolgere compiti di sorveglianza e sedare i focolai di resistenza militare. Questi personaggi, in seguito detti SHUGO «protettori», reclutavano i propri dipendenti in loco per assistere i governatori civili inviati dal governo imperiale al fine di garantire il pagamento delle tasse. Nel corso dei secoli successivi, queste figure avrebbero consolato il proprio potere a livello locale e sarebbero giunti a sostituire del tutto l’autorità del kokushi. I poteri di Yoritomo furono nuovamente estesi nel 1190, con la nomina di SŌSHUGO, capo dei governatori militari, e SŌJĪTO, capo degli intendenti terrieri militari. Egli aveva così il diritto di inviare shugo e jīto anche nelle province esterne al Kantō. Lo jīto era l’intendente che in ogni tenuta collaborava con i funzionari dello shōen per garantire un’equa ripartizione del prodotto agricolo tra quanti ne avevano diritto, in base al proprio shiki. Egli era dotato a sua volta di shiki e aveva il diritto di riscuotere una tassa di emergenza, nota come hyōrōmai «riso per le vettovaglie militari», andando con il tempo ad offuscare il ruolo degli amministratori preposti da «proprietari». Yoritomo potè così stabilite una rete di controllo sugli affari interni degli shōen di tutto il Giappone, che diede al governo di Kamakura la fisionomia di un ente amministrativo di carattere nazionale. Nel 1192, quando ottenne la carica di shōgun, divenne «proprietario» di otto province del Kantō, di una provincia nel Kyūshū (Bungo) e di sette province nel resto del Paese. Facoltà ottenuta grazia al suo sostegno e al suo rispetto per l’istituzione imperiale. L’apparato amministrativo era così diviso: 1. SAMURAI DOKORO, Ufficio degli affari (1180)
 Controllava i suoi vassalli e sovrintendeva gli affari militari e di polizia 2. MANDOKORO, Ufficio amministrativo (1191, derivato dall’ufficio dei documenti pubblici, Kumonjo)
 Conservava i documenti pubblici e si occupava di questioni amministrative e politiche 15 3. MONCHŪJO, Ufficio investigativo (1184)
 Corte d’appello presso cui accogliere i reclami e dirimere le contese di natura legale, far rispettare le norme penali e conservare la documentazione giudiziaria Il potere di Yoritomo si basava poi sulla fedeltà di circa duemila casate militari, la cui gerarchia era così spartita: A. GOKENIN, di comprovata fedeltà, e KENIN, che da generazione sostenevano la casata Minamoto B. SAMURAI, con cavalli ed il loro gruppo di seguaci C. ZUSA, fanti Tutti loro dovevano conformarsi alle virtù della lealtà, dell’onore, del coraggio, della disciplina e della frugalità. Yoritomo morì nel 1199, lasciando due giovani figli: Yoriee e Sanetomo. Entrambi non si rilevarono in grado di gestire l’eredità paterna che andò nelle mani della loro madre: Hōjō Masako (casata discendente dai Taira). Masako si fece monaca pur senza rinunciare a esercitare il potere a beneficio della sua famiglia di origine. I figli divennero entrambi shōgun per un breve periodo, con la nomina del nonno materno, HŌJŌ TOKIMASA, di shikken, reggente dello shōgun. Da allora fino alla fine del periodo Kamakura, la famiglia Hōjō gestì il potere a Kamakura attraverso il monopolio sulla carica di shikken e il controllo di alte cariche del governo militare, portando ad un periodo di pace e stabilità interna. Nel 1221, l’Imperatore in ritiro Go Toba fallì nel suo tentativo di guidare una coalizione per attaccare il bakufu. Quest’ultimo reagì punendo gli autori della «ribellione»: Go Toba e altri due ex Imperatori furono esiliati, il sovrano in carica venne deposto e istituito con uno più gradito a Kamakura. Vennero anche confiscate le terre ai kuge ribelli, le quali vennero trasferite ai vassalli di famiglia. Da qui, il bakufu ottenne il diritto di interferire nelle questioni della Corte imperiale inviando nella residenza di Rokuhara, a Kyoto, due rappresentati dello shōgun, detti TANDAI, incaricati di vegliare sul trono ed approvarne ogni iniziativa. Nel 1232 venne introdotto dagli Hōjō il CODICE JŌEI, che sostituì le vecchie norme stabilite dalla corte imperiale e dettò i principi per la legislazione della classe militare. Redatto in cinquantuno articoli, enunciava i diritti e le norme di comportamento dei bushi e definiva i compiti dei funzionari dipendenti da Kamakura, suggerendo di attenersi al buon senso, più che alla rigida osservanza che aveva caratterizzato gli antichi codici e che appariva del tutto inadeguata di fronte a una società mutata. In breve, l’élite guerriera codificò una «legge feudale» ispirata a valori e principi che erano divenuti ormai dominanti e che sarebbero sopravvissuti per molti secoli. Le religioni citate nel capitolo precedente incrementarono fortemente a causa della perdita dei valori tradizionali. Shinran, monaco discepolo del famoso Hōnen, fondò la scuola Jōdōshinshū, della Terra Pura. Mentre il monaco Nichiren creò quella della Hokke, Setta del Loto, basata 16 appunto sul libro del Sutra del Loro (Myōhō rende kyō), che criticava le dottrine amidiste e le alte scuole buddhiste per aver trascurato l’insegnamento di tale sutra; ed il governo di Kamakura, che proteggeva le altre sette e professava una falsa fede. La propagazione della fede buddhista fu accompagnata dal moltiplicarsi di centri religiosi in tutte le zone del Paese. L’aristocrazia guerriera trovò sostegno culturale in un’altra scuola buddhista, quella ZEN, sviluppatasi in Cina attorno a una pratica meditativa finalizzata a controllare il corpo e la mente, e giunta in Giappone agli inizi del periodo Kamakura. Lo Zen è legato soprattutto alla figura del monaco Dōgen (1200-1253); di origini aristocratiche, egli diede una dimensione intellettuale alla sua speculazione metafisica, rifugiandosi a meditare in remote zone montane per giungere a una conoscenza interiore e ottenere fiducia in se stesso. Il bakufu stabilì uno stretto legame con i monasteri Zen che comunque non esercitarono alcuna interferenza di natura politica. Il mondo e le gesta, i gusti e i valori della classe militare presero posto nelle varie espressioni culturali e furono spesso accompagnati da messali o commenti d’ispirazione buddhista. Oltre al genere dei gunki, arrivarono anche i rekishi monogatari, romanzi storici, tra cui occorre citare il Gukanshō scritto nel 1220 dal monaco Jien di nobili origini. Quest’opera rappresenta il primo tentativo di interpretazione storica avvenuto in Giappone e dimostra come l’avvento dell’età feudale avesse stimolato anche presso l’aristocrazia una nuova coscienza storica. Intanto, verso la fine del XIII secolo, i capi mongoli avevano fondato in Cina la dinastia Yuan e stavano consolidando la loro espansione. Nel 1266, Qubilay Qan inviò al Giappone la richiesta di sottomettersi alla sua autorità. Di fronte al rifiuto opposto dagli Hōjō, i mongoli reagirono inviando una spedizione navale, cui presero parte circa 40.000 uomini e che raggiunse le coste del Kyūshū nel 1274. Tuttavia, dopo un solo giorno di battaglia, un «provvidenziale» tifone - kamikaze - provocò ingenti danni alla flotta nemica costringendola a ritirarsi. Nel 1281, con un numero di uomini quattro volte maggiore all’ultima volta, la Corea riattaccò. Dopo due mesi di aspri scontri fu di nuovo l’arrivo di un tifone a indurre gli invasori a ritirarsi, lasciando comunque il Paese nel timore di una futura minaccia. Gli effetti delle invasioni mongole furono infine fatali al bakufu Kamakura: l’impresa era costata molte energie e vite umane, mentre il successo riportato contro i mongoli non aveva fruttato nessun bottino di guerra da dividere tra i vincitori. II. La Restaurazione Kenmu e la transizione al secondo periodo feudale Verso la fine del XIII secolo, inizia a sentirsi la crisi del potere degli Hōjō, criticati da più parti per l’incapacità dimostrata nel soddisfare le richieste di quanti avevano contribuito alla difesa del Paese. L’ultimo shikken di Kamakura, Takatori, non brillò per intelligenza ed andò a rafforzare il sentimento di ostilità. Fu in questo clima che prese il via il progetto chiamato RESTAURAZIONE KENMU, finalizzato a riportare la guida del governo nelle mani dell’Imperatore. L’artefice di questo tentativo fu GO DAIGO, divenuto Imperatore nel 1318. Appartenente al ramo collaterale della dinastia regnante, egli voleva escludere i membri della dinastia principale dalla successione imperiali. Nel 1321 provvide ad 17 Impose a un certo numero di shugo l’obbligo di stabilire la propria residenza nella capitale, come misura di vigilanza s di essi. Egli riuscì a mantenere il controllo sul Paese (a eccezione del Kantō). Circondato da uomini colti, sanò la frattura tra le due Corti imperiali e lasciò la guida del bakufu a suo figlio Yoshimochi nel 1394 per assumere la carica di Gran ministro di Stato, che gli consentì di ostentare un ruolo quasi paritario con il sovrano imperiale. Egli stabilì i suoi rapporti commerciali con la Cina nel 1402, fregiandosi del titolo di «re del Giappone» e accettando la disonorevole condizione di tributario conferitagli dall’Imperatore Ming nel 1402. Lo stabilimento di licenze ufficiali attraverso cui avrebbero dovuto svolgersi i rapporti commerciali, consentì di controllare questa attività e di porre a freno la pirateria che dilagava nei mari e lungo le coste dell’Asia Orientale. Il bakufu cominciò a declinare dopo la morte di Yoshimitsu nel 1408. Yoshimochi si dedicò a eliminare gli aspetti della precedente politica che reputava più eccessivi, decidendo di recidere il rapporto tributario con la Cina e riaffermando un equilibrio nei rapporti con la Corte. Anche il sesto shōgun, Yoshinori riuscì a raddobbare brevemente l’autorità del bakufu, sconfiggendo il governatore del Kantō, che apparteneva a un ramo collaterale della sua stessa famiglia. Egli fu infatti ucciso da uno dei suoi più influenti vassalli, il quale sospettava che Yoshinori intendesse destituirlo dalla carica di shugo. Il governo Ashikaga ne risultò indebolito. L’ottavo shōgun, Yoshimasa, portò l’autorità del governo militare du completamente dispersa, mentre apparivano con drammaticità gli effetti di problemi politici e sociali troppo a lungo trascurati. Gli shugo avevano potuto consolidare una posizione assoluta nelle province, trasformandosi in veri e propri capi regionali i quali disponevano del potere militare, del potere civile e di quello amministrativo. Esisteva poi la cosiddetta HANZEI - pratica che risale già a Takauji - che significa «pagamento della metà». Essa consentiva agli shugo di riscuotere la metà delle imposte degli shōen per sostenere le proprie milizie e che, assieme alla hyōrōmai, permise loro di assumere diritti all’interno delle tenute private. Gli shugo erano stati selezionati tra i membri dei rami cadetti della famiglia Ashikaga o tra potenti vassalli, e il loro rapporto con il bakufu si fondava sulla garanzia che esso poteva dare allo loro posizione. Ma con il declino delle autorità del governo militare, tali garanzie vennero meno e, con esse, il vincolo di fedeltà che legava gli shugo allo shōgun. Molti shugo si indebolirono e a questa situazione contribuì l’obbligo di risiedere a Kyoto, affidando le loro province agli SHUGODAI, «sostituti», che si dimostravano spesso incapaci. Nel 1467 (primo anno dell’era Ōnin) iniziò un’aspra guerra, che scaturì da una disputa tra gli Hosokawa e gli Yamana legata alla successione shogunale. La guerra Ōnin segnò l’inizio di un lungo periodo di guerre civili, chiamato SENGOKU, «dei territori belligeranti», che durò circa un secolo. Nel 1573 fu deposto l’ultimo shōgun, e, se le cariche di Imperatore e di shōgun formalmente continuarono a rappresentare i simboli di uno Stato unificato, esso venne di gatto diviso in una serie di realtà autonome, del tutto svincolate dal controllo centrale. Questo processo di 20 decentramento del potere politico fu accompagnato dall’ascesa di capi militari locali, noti come SENGOKU DAIMYŌ. Si afferma una sorta di feudalesimo decentrato. • Il potere degli shugo fu minato dallo sforzo bellico • Grandi famiglie usarono la loro forza militare per affermare un potere autonomo sui propri domini • Ci fu il cosiddetto gekokujō, il sovvertimento dell’ordine gerarchico (ge sui jō) Così si dissolse del tutto il sistema shōen lasciando lo spazio ai daimyō simili a feudatari. All’interno del proprio dominio il daimyō era svincolato dal controllo centrale e provvedeva ad emanare codici legali e ordinare rilevamenti fondiari, costruendo il suo dominio nelle JŌKAMACHI, «città castello». Egli sovrintendeva l’organizzazione dei mura, i villaggi: ogni mura era responsabile del versamento di una determinata quantità del raccolto, prelevata dalle singole famiglie di agricoltori e trasmessa al daimyō come tributo. In questo periodo inoltre, si registrarono sviluppi interessanti: - diffusione di fertilizzanti ed incremento della produttività - tecniche di irrigazione migliorate - incremento dell’impegno degli animali nei campi di lavoro - sviluppo di centri urbani - commercio con la Cina con importazioni di merci pregiate (seta, porcellane, libri, dipinti e nuove tecniche per la lavorazione della seta, monete di rame) - dalla Crea importarono tecniche per produrre cotone e cotonate Artigiani e mercanti accrebbero quindi il loro livello di specializzazione e si cimentarono nella pratica del prestito e dell’usura, unendosi in corporazioni chiamate ZA. Consolidatesi sotto la protezione di un tempio o di un santuario, di un ricco nobile o di un capo locale, queste corporazioni assunsero il monopolio sulla vendita e la lavorazione di specidici prodotti e crearono una rete di distribuzione sempre più estesa (nel continente erano molto richiesti sakè, spade, lance, ventagli pieghevoli e paraventi). In questo periodo si estesero anche forme culturali nelle classi meno elevate, come il renga. I templi Zen divennero centri di meditazione per i guerrieri e luoghi di educazione per i loro figli, e stabilirono solidi legami con i capi militari locali e con importanti famiglie stanziate nei grandi centri urbani. Inoltre, monaci provenienti dalla Cina introdussero in Giappone il pensiero neoconfuciano di Zhu-Xi. Nel 1586 ODA NOBUNAGA, un ambizioso ed energico capo daimyō, riuscì a riconquistare Kyoto, da cui cinque anni dopo cacciò Yoshiaki, quattordicesimo ed ultimo shōgun Ashikaga. Nobunaga diede così inizio all’opera di riunificazione del Paese che, alla sua morte, fu perseguitata da Toyotomi Hideyoshi e poi da Tokugawa Ieyasu, il quale, per oltre due secoli e mezzo, avrebbe assicurato alla sua famiglia la successione alla carica di shōgun. 21 IV. I rapporti con il mondo esterno Agli inizi del XV secolo, la Corte dei Ming, dopo vari tentativi, riuscì a indurre il Giappone a reprimere l’attività predatoria dei wakō. Yoshimitsu aveva infatti acconsentito ad aderire al «sistema dei contrassegni», kangō, atto a garantire le missioni ed il commercio ufficiali. Per circa un secolo e mezzo, numerose missioni giapponesi continuarono a recarsi alla Corte Ming; ma il deterioramento del governo degli Ashikaga minò la capacità di reprimere il commercio illegale e la pirateria. Finché la Corte dei Ming non si trovò costretta a proibire il commercio marittimo, e l’ultima missione ufficiale partì nel 1547. Le spedizioni europee furono invece: 1. 1547, piccola isola a sud del Kyūshū
 Dei mercanti portoghesi sbarcarono sulle coste del Paese e non si limitarono ad intervenire sul commercio, ma anche l’ambito religioso. L’opera di evangelizzazione fu svolta in primo luogo dai missionari della Compagnia di Gesù a Parigi nel 1534 e poi dalla Chiesa di Roma nel 1540.
 L’attività di questi uomini di cultura fu essenziale nella divulgazione di nuove conoscenze e nella trasmissione in Europa di dettagliate notizie sul Giappone grazie a numerosi resoconti che redassero. Tra i fondatori vi era anche Francesco Saverio che, dopo aver soggiornato in India, proseguì verso il Giappone, dove sbarcò nel 1549 e restò per circa due anni. Recatosi a Kyoto con l’intento di ottenere il consenso a svolgere la sua attività missionaria e deluso dal rifiuto oppostagli dallo shōgun in carica, egli riuscì comunque a istituire la prima chiesa e una comunità cattolica a Yamaguchi (dopo Saverio altri gesuiti).
 Vennero importate le prime armi da fuoco, tra cui l’archibugio (tanegashima) nel 1543. 2. 1564 
 Arrivarono gli Spagnoli che garantirono la loro protezione all’attività missionaria dei francescani. 3. 1609 
 Arrivarono gli Olandesi con scopi prettamente commerciali, essendo un Paese protestante aveva uno scarso interesse alla diffusione del proprio credo. 4. 1612 
 Arrivarono gli Inglesi e si comportarono come scritto al n. 3. Oda Nobunaga accordò la propria protezione ai missionari della Compagnia di Gesù, e nel 1582 un’ambasciata di daimyō cristiani, organizzata dal gesuita italiano Alessandro Valignano, partì alla volta di Roma. I daimyō convertiti sostennero l’attività missionaria al fine di trarre beneficio dalle conoscenze dei gesuiti e dal legame che essi avevano con i mercanti portoghesi, e spesso non esitarono a rinnegare la propria defe di fronte all’opposizione de clero buddhista o a una politica nazionale ostile all’opera di evangeliccazione. Nel corso del XVI secolo i giapponesi si riaffermarono anche nel campo della attività marine. Il secondo «riunificatore» Hideyoshi inviò due spedizioni militari in Corea (1592 e 1597) con 22 alleanze che egli guidava. Il potere militare centrale era quindi frammentato in numerose entità territoriali, note come HAN, ognuna governata da un daimyō. Hideyoshi fungeva da garante della posizione di un daimyō di cui disponeva strategicamente nelle varie regioni del Paese e pretese che essi inviassero presso il castello di Osaka un proprio famigliare o un fedele vassallo come ostaggio. Con la taikō kenchi, un sistema di revisione catastale che estese in modo sistematico al resto del Paese, il quale poté così essere sottoposto a un uniforme sistema di tassazione. Le terre coltivabili furono misurate in modo da sistemare la capacità produttiva, calcolata ovunque in KOKU di riso e annotata nei registri catastali. Ogni campo fu registrato a nome di una famiglia di contadini, che aveva l’obbligo di lavorarlo e di versare una quota del raccolto dotto forma di tassa, calcolata ora sulla base di quanto in media il terreno rendeva. Erano gli SHOYA, ovvero i capi dei villaggi MURA a dover prelevare l’insieme delle quote di raccolto dovute annualmente. Il mura assunse la responsabilità di amministrarsi e divenne l’unità fiscale in ogni han, mentre i contadini furono vincolati alla terra e acquistarono una certa sicurezza nel possesso dei campi assegnati loro; ciò diede un forte incentivo all’incremento della produzione agricola. Essi, inoltre, furono sottoposti unicamente al governo del daimyō e tutelati dall’interferenza privata. Il daimyō assumeva i pieni diritti sulle risorse agricole del proprio han e affidava l’amministrazione interna al suo dominio a guerrieri alle sue dipendenze, che egli ricompensava con stipendi in koku di riso. I samurai vennero a essere nettamente distinti dai lavoratori di campo ed i guerrieri che non avevano mantenuto un vincolo con la terra erano stati espulsi dai villaggi rurali e costretti a risiedere nei centri fortificati. In questo clima si realizzò, nel 1588, la «caccia alle spade» allo scopo di disarmare i contadini giapponesi e alle barriere imposte tre anni dopo alla mobilità sociale attraverso il divieto di cambiare il proprio status (opera conclusa dai Tokugawa con il sistema mibunsei). Per quanto riguarda le attività commerciali, Hideyoshi proseguì la politica di libera circolazione delle merci eliminando le barriere locali, favorendo l’espansione del libero mercato e abolendo le corporazioni di mercanti. La ricchezza aumentò con la crescita delle attività commerciali e artigianali nelle città-castello e con lo sfruttamento delle risorse minerarie situate nelle province da lui controllate. Questa ricchezza si espresse con un nuovo stile, palese soprattutto nei palazzi: decorazioni di oro, lacca colorata, elaborati elementi architettonici, paraventi, pannelli dipinti, pitture murali e sculture. Di minor pregio in questo periodo risultarono essere le opere letterarie (vennero tradotte dall’Occidente le Favole di Esopo), ma si diffuse la STAMPA con l’intervento nel 1590 del gesuita Alessandro Valignano che introdusse una stamperia a caratteri mobili di metallo. Hideyoshi cercò di assicurare la successione al suo figlioletto Hideyori istituendo un Consiglio composto da «Cinque grandi anziani» (gotairō) che, negli ultimi anni del suo regime, rappresentò il più alto organo di governo e, dopo la sua morte, avrebbe dovuto vegliare sul giovane erede. 25 Tuttavia, uno dei Cinque grandi anziani, TOKOGAWA IEYASU, riuscì a prevalere sugli altri realizzando la completa riunificazione del Giappone. II. L’istituzione del regime dei Tokugawa Tokugawa Ieyasu apparteneva a una famiglia che, attorno alla metà del XVI secolo, aveva acquisito la posizione di modesto daimyō nella provincia di Mikawa; nel giro di tre decenni, i Tokugawa avevano assunto il controllo su un’estesa regione del Giappone centrale e grazie alla brillante carriera militare condotta da Ieyasu al servizio di Nobunaga. Egli aveva accettato di riconoscere la supremazia di Hideyoshi, che lo aveva allontanato dalla sua provincia di origine per trasferirlo nei territori del Kantō in precedenza controllati dagli Hōjō. Egli scelse Edo (attuale Tokyo) per stabilire il suo quartier generale. Ma con la morte di Hideyoshi si riaprì la contesa e lo scontro decisivo si ebbe nel 1600, quando Ieyasu riuscì a sconfiggere i suoi rivali nella battaglia di Sekigahara diventando il daimyō più importante del Giappone; tre anni dopo fu nominato shōgun, e governò la nazione da Edo. Nel 1605 egli rinunciò a questa carica, che trasmise a suo figlio Hidetada, e assunse quella di ŌGOSHO, shōgun in ritiro, trasferendo la sua residenza a Sunpu. Egli aveva acconsentito a Hideyori di mantenere il suo castello a Osaka, ma nel 1614 sferrò un attacco contro i suoi rivali, che furono sopraffatti. Hideyoshi istituì il sistema BAKUHAN, che riorganizzava i possedimenti feudali, sulla base di una gerarchia tra i daimyō fondata sui vincoli di fedeltà tra questi e lo shōgun: A. SHINPAN, ovvero gli han imparentati, tra cui si trovavano i SANKE, le «tre famiglie» legate a Ieyasu da vincoli di parentela diretti B. FUDAI, «vassalli ereditari» coloro che avevano aderito alla causa di Ieyasu prima della battaglia di Sekigahara C. TOZAMA, «signori esterni», coloro che erano stati sottomessi dopo la vittoria del 1600 Alle dirette dipendenze di Ieyasu vi erano poi più di ventimila vassalli, distinti in: a. HATAMOTO, «uomini della bandiera», dotati del privilegio di essere da lui ricevuti e spesso di disporre di un proprio feudo b. GOKENIN, «uomini della casa», occupavano una posizione inferiore e ricevevano in genere uno stipendio Lo shōgun era il più ricco daimyō del Giappone, controllando i maggiori centri economici, le fonti di metallo prezioso e un’alta percentuale delle rendite agricole prodotte nel Paese. Sui 25,6 milioni di koku presenti in Giappone, lo shōgun ne possedeva oltre 4 milioni. Furono i Tokugawa a contribuire finanziariamente affinché la Corte fosse in grado di mantenere uno stile di vita consono alla propria posizione. Nel 1615 fu emanato un corpo di regole specifiche cui la famiglia imperiale e l’aristocrazia civile dovevano attenersi, che vietava al sovrano di partecipare agli affari di Stato, vincolava all’approvazione dello shōgun la concessione di titoli imperali ad alti funzionari e all’aristocrazia militare e regolava i contatti con le istituzioni religiose. 26 Ieyasu aveva quindi la piena autorità su ogni singolo daimyō, al quale concedeva il diritto di governare su uno han, pur riservandosi la facoltà di compiere ispezioni. Il capo di Edo aveva poi la facoltà di richiedere ai feudatari contributi di vario genere, quali lancio delle milizie in caso di necessità o il trasferimento di fondi e di manodopera. Nel 1635 emanò il Buke shoatto, il Regolamento per l’aristocrazia militare, imponendo regole ai feudatari: • in caso di successione o di matrimonio, essi dovevano ottenere l’approvazione preventiva dello shōgun • limite al potenziamento militare dello han • vietata la costruzione di navi di alto mare • proibito aderire al Cristianesimo • sistema SANKIN KŌTAI, «residenza alterna». Ai daimyō venne imposto l’obbligo di costruire una residenza nella capitale shogunale, a Edo, per un efficace sistema di controllo L’amministrazione centrale era simile a quella organizzata nei singoli han: a. HATAMOTO, «vassalli ereditari» b. GOKENIN, «vassalli dipendenti» E tre organismi attraverso i quali operava lo shōgun: A. CONSIGLIO DEGLI ANZIANI, composto da quattro o sei membri selezionati tra un rispetto numero dei più potenti fudai, gestivano l’amministrazione generale delle questioni di rilevanza nazionale, amministravano la Corte dei daimyō, le istituzioni religiose, gli affari militari ed esteri; intervenivano sulla tassazione, la distribuzione delle terre, l’assegnazione di titoli e onori, il conio e la circolazione monetaria. B. CONSIGLIO DEI MENO ANZIANI, composto da tre o quattro membri prescelti tra i fudai di rango inferiore. Avevano la responsabilità sulle questioni interne al governo di Edo, compresi i vassalli e i servitori personali dello shōgun, si occupavano dell’esercito, delle unità di guardia e dei METSUKE, ispettori e funzionari incaricati di vigilare sull’osservanza delle norme. C. ALTA CORTE DI GIUSTIZIA, simbolo di potere del bakufu sul piano nazionale. I guerrieri alle dipendenze dello shōgun erano iscritti in un registro personale, vincolati a lui attraverso un fintamente di fedeltà. I contadini furono organizzati in gruppi di famiglie, reciprocamente taratiti dal pagamento delle tasse e dal rispetto delle norme fissate, secondo il tipico modello confricano di responsabilità collettiva. I rapporti tra i daimyō e lo shōgun erano di tipo feudale, essendo contraddistinti da un legame di fedeltà e da benefici fondati su un vincolo personale e politico. 27 «protetti», la quale era costituita da un numero ristretto di fiduciari dei daimyō. Tuttavia, sul piano politico, i mercanti «protetti» non acquistarono un potere corrispondente a quello conseguito in termini economici. L’allontanamento da parte di molti capi Tokugawa dal modello di governo personale ed efficace applicato dai primi tre shōgun. Nel 1651 le redini della direzione politica erano state assunte dai Consiglieri anziani e gli interessi dei daimyō fudai avevano cominciato a prevalere su quelli del capo militare del Paese, mentre il clima di pace aveva reso meno rigido il controllo esercitato dal bakufu, e quindi si era andato affermando un orientamento più benevolo nell’esercizio di governo, ispirato ai principi neo-confuciani. Nel 1680 divenne shōgun Tsunayoshi, nel corso dei tre decenni in cui egli mantenne la carica le sorti del governo subirono un brusco e marcato declino, per via dell’esaurimento delle riserve monetarie del bakufu e delle miniere di oro e d’argento della famiglia Tokugawa, e per via della vita condotta in un lusso sfrenato dello shōgun. A succederlo ci furono Ienobu e poi Ietsugo, entrambi con la sua condotta di vita, ed entrambi ebbero come consigliere il grande intellettuale Arai Hakuseki, il quale si impegnò a riappropriarsi dei modelli confuciani. Il primo vero tentativo di intervenire attivamente per risollevare le sorti del bakufu si ebbe però con l’ottavo shōgun: Yoshimune, che regnò dal 1716 al 1745. Daimyō di Kii e selezionato tra le tre famiglie direttamente imparentate con i Tokugawa, Yoshimune succedette alla guida del bakufu quando aveva ormai acquisito un’esperienza sufficiente per assumere la direzione del governo e intraprendere quello che sarebbe stato uno dei tre grandi programmi di riforma attuati nel corso del periodo Edo. Le RIFORME KYŌHŌ, dal nome dell’omonima era, erano finalizzate a risanare la crisi finanziaria del governo centrale e a ripristinare l’autonomia economica della classe militare: • contenimento delle uscite • condotta di austerità nel governo e nella vita privata della classe bushi • norme suntuarie per tutte le classi sociali • ristabilimento del valore della moneta Tra il 1721 e il 1722, incapace di pagare i suoi dipendenti, Yoshimune attuò misure più drastiche: • imposizione ai daimyō di prestiti forzosi che vennero usati per pagare le insolvenza contratte con gli uomini alle dipendenze dei Tokugawa • metodo più rigoroso per l’esenzione delle tasse agricole (pagamento annuo fisso, jōmen, in sostituzione della quota calcolata sulla base della quantità del raccolto) Tutto ciò scatenò diverse rivolte cittadine che chiedevano la riduzione degli oneri fiscali. Nel complesso queste riforme non riuscirono a risolvere i problemi strutturali del sistema economico-sociale del Giappone Tokugawa. 30 L’esempio di Yoshimune non fu seguito dai due successivi shōgun (Ieshige e Ieharu), entrambi ricordati come individui di fragile statura politica nelle mani dei ciambellani. A Ieharu si affiancò, con la carica di RŌJŪ, tale TANUMA OKITSUGO. Tanuma, oltre ad essere ricordato come uomo corrotto, fu anche ideatore di una serie di provvedimenti che, volti a rafforzare l’economia del bakufu traendo profitto dalle attività mercantili, ebbero effetti disastrosi (es. creare un fondo nazionale finanziato dal capitale mercantile). Nel 1787, Iernari ereditò una situazione disastrosa: problemi finanziari, indebitamento dei samurai, calamità naturali e carestie deturparono il suo governo. Quest’ultimo fu caratterizzato da due fasi: 1. Fase dominata da MATSURAIDA SADANOBU, 1787 - 1793 
 Egli fu nominato consigliere dello shōgun ancora minorenne e fu fautore delle riforme ricordate con il nome di RIFORME DELL’ERA KANSEI, il cui principio era «torniamo a Yoshimune». Egli tentò di restituire efficienza all’amministrazione centrale, tramite l’esenzione dell’imposta agricola e la creazione di riserve di riso per le cattive annate. Riuscì a migliorare le finanze del bakufu che ritornò poco dopo nella stessa grave situazione. 2. Fase dominata direttamente da IENARI, 1793 - 1836 
 Egli non mostrò particolare interesse verso le riforme. Il suo governo du inefficace e poco incline a tentare di risolvere i problemi di fondo del sistema economico-sociale. A questo di aggiunsero le carestie che portarono il Paese a una profonda crisi. Nel 1836 la provincia di Kai fu teatro di una rivolta contadine, a cui ne seguirono molte altre, ad Osaka e in altre città. Nel 1836 Ienari rinunciò alla sua nomina a favore del figlio, Ieyoshi. Egli intraprese tra il 1841 e il 1843 delle riforme ricordate con il nome TENPŌ (prima nengō). Esse si ispirarono al modelle delle Riforme Kyōhō e Kansei e furono ideate da Mizuno Tadakuni, eminente membro del Consiglio degli anziani. Le norme ebbero effetti negativi sulla circolazione delle merci e sul rialzo dei prezzi stessi. L’opposizione suscitata dall’adozione di queste misure indusse Mizuno a dimettersi dal suo incarico nel 1843, lasciando dietro di sé una situazione critica e un diffuso malcontento. IV. Società, cultura e attività intellettuale del periodo Edo Nel periodo Edo risiedono le basi del rapido sviluppo che il Giappone Meiji conobbe in ambito economi-sociale e culturale. La crescita economica che si registrò nel corso di tutto il periodo fornì nuove opportunità alla distribuzione della richiesta, la quale di rado seguì le regole impose dal governo militare in merito alla differenziazione delle classi sociali. La classe contadina investì le eccedenze in attività extra-agricole. I samurai, nonostante occupassero no status sociale elevato, beneficiarono solo marginalmente del progresso economico disponendo di un’unica fonte di refilo costituita dagli stipendi in riso che ricevevano dal proprio signore. I jōkamachi si estesero con grande rapidità accogliendo mercanti, artifiani, carpentieri, manovali e lavoratori di altro genere. In alcuni han si svilupparono centri importanti (a Kanazawa per esempio e a Nagoya). Edo si era trasformata invece nella più estesa, vivace e popolosa metropoli del Paese, con circa un milione di abitanti. Edo divenne anche il nucleo economico e culturale del 31 Giappone. Lo sankin kōtai diede un marcato impulso alle attività commerciali e artigianali, mobilitando un’elevata quota della ricchezza prodotta negli han. Le città-castello vennero così a essere popolate da una varietà di persone che, pur appartenendo a diversi strati sociali, stabilivano tra loro contatti diretti e rapporti di reciproca dipendenza. La classe guerriera, ormai stabilitasi in modo permanente nelle città-castello, risultò essere assai meno separa dal resto della società di quanto imponessero le rigorose battere istituite dal sistema mibun, mentre i chōnin amavano acquisendo un rilevante ruolo economico, nonostante lo scarso peso esercitato sul piano politico e sociale. La classe militare era costituita da amministratori stipendiati che risiedevano nelle zone urbane, essi mantennero il potere politico e una posizione sociale privilegiata nel corso di tutto il periodo Edo, anche se la loro condizione economica postò evidenti sintomi di vulnerabilità. Essi godettero del diritto esclusivo di portare due spade (una lunga e una corta) e dovevano sottostare all’ideale del bunbu (bun = cultura e bu = arti marziali) che contribuì a trasformare la classe militare in una élite istruita, che si raccoglieva nelle scuole fondate nei vari han per coltivare gli studi confuciani, selezionare raccolte di leggi e normative, compilare storie locali e nazionali di rilevante valore, sviluppare nuovi campi di indagine in ambito filosofico, dell’antichità e di critica letteraria. Le leggi suntuarie stabilivano per ogni classe sociale precise norme che regolavano i vari aspetti di vita pubblica e privata. Nelle cassi socialmente meno elevate delle zone urbane fiorì una cultura di stampo borghese. Le scuole private, TERAKOYA, spesso annesse ai templi locale, impartivano l’educazione ai figli di contadini e di chōnin. I centri urbani rappresentarono la culla di una nuova e vivacissima cultura popolare, contrapponendosi alla tradizione artistica e letteraria riservata a una ristretta cerchia di persone. Questo genere si orientò verso la ricerca di ciò che risultava essere spiacevole e divertente, prediligendo in primo luogo i temi amorosi ed erodici. Si fondò così l’ideale dell’UKIYO, il «mondo fluttuante», il cui teatro erano i negozi, i baffi pubblici, le sale da tè, nonché i quartieri presso cui le prostitute erano state condannate per ordine shogunale (per esempio Shimabara a Kyoto). L’apogeo della cultura chōnin è rappresentato in primo luogo dall’era Genroku e la nuova ondata di creatività di ottenne con le ere Bunka e Bunsei. Il «mondo fluttuante» risultava attraente anche per i samurai i quali, entrando nei quartieri di divertimento, erano costretti a spogliarsi delle spade e a sottostare alle regole ivi imposte. La società chōnin comunque non era priva di priva di doveri e di responsabilità, c’erano infatti i GIRI, dovere e ragione, che racchiudeva l’insieme degli obblighi e dei sentimenti umani, chiamati NINJŌ. Molti dei personaggi della letteratura chōnin sono oppressi dal conflitto tra dovere e istinto che trova spesso una soluzione drammatica, come nel caso del doppio suicidio d’amore. È poi da appuntare che la politica sakoku non sempre comportò un completo disinteresse verso il mondo esterno. Nel 1715 parve l’opera Seikyō kibun, Note sull’Occidente, di Arai Hakuseki. Un missionario italiano giunto clandestinamente in Giappone, Giovanni Battista Sidotti portò 32 commercio, limitando al porto di Canton gli scambi commerciali con gli europei in cerca di prodotti cinesi parti con valuta preziosa. Di fronte all’atteggiamento di Pechino, la Est India Company aveva dato via a un sistema di vendita illegale di oppio in Cina, il cui uso era andato a diffondersi in varie zone dell’Asia Orientale. Nonostante i divieti imposti dalle autorità cinesi, la Compagnia continuò a introdurre in Cina una crescente quantità di oppio prodotto in India - pagato in argento -, che dalla metà del XVIII secolo era stata trasformata in un dominio britannico. L’introduzione dell’oppio in Cina portò ad effetti deleteri sul piano sociale ed il governo di Pechino inviò a Canton un commissario speciale che, nel 1839, diede ordine di bruciare circa 1300 tonnellate di oppio sequestrato, scatenando la reazione britannica. Ebbe inizio la PRIMA GUERRA DELL’OPPIO (1839-1842), al termine della quale la Cina fu costretta a sottoscrivere il primo di una serie di trattati. Questo contesto storico indusse il bakufu a mitigare la rigidità di alcuni provvedimenti e a consentire almeno l’approvvigionamento delle navi straniere che fossero approdate nei porti giapponesi. In questo periodo, dal Re dell’Olanda giunse una missiva che esortava le autorità giapponesi a mutare la propria politica estera prima di esservi costretti con la forza militare degli occidentali. Nel 1852, sempre dall’Olanda giunse la notizia dell’imminente arrivo di una missione statunitense decisa a rompere l’isolamento del Giappone. Infatti, il presidente Millard Fillmore affidò al commodoro MATTHEW C. PERRY l’incarico di presentare al Giappone la richiesta di: • stabilire relazioni pacifiche • garantire le basi di rifornimento e soccorso alle navi e agli equipaggi statunitensi che intraprendevano la tratta verso la Cina • concludere un accordo commerciale Nel 1853, nella baia di Edo, entrarono quattro navi da guerra che componevano la missione guidata da Perry, il quale consegnò il messaggio presidenziale ed ottenne dalle autorità giapponesi l’impegno a vagliarne i contenuti. Il governo del Paese, capitanato dal capo del Consiglio degli anziani, ABE MASAHIRO, sottopose il contenuto delle richieste al parere di tutti i daimyō, ammettendo la palese incapacità del bakufu di affrontare la crisi. Le divergenze non consentirono a Edo di giungere a una soluzione ed Abe decise di seguire una linea di compromesso, nel vano tentativo di trovare consenso unanime: evitare la guerra acconsentendo ad alcune richieste, a eccezione di quelle relative al commercio. L’accordo finale fu stipulato il 31 marzo 1854 a Kanagawa, così come era stato deciso dagli Stati Uniti e consentito dal Giappone, prevedendo però anche l’apertura dei porti di Shimoda e Hakodate. Ecco che così abbiamo lo sfaldamento della politica del sakoku, proiettando il giappone verso una progressiva, rapida e completa riapertura, detta KAIKOKU. Tra il 1854 e il 1857, trattati simili vennero stipulati con la Gran Bretagna, la Russia e l’Olanda. 35 Tutto ciò suscitò critiche del fronte jōi e kaikoku che portarono Abe ad abbandonare il Consiglio degli anziani lasciandolo nelle mani di HOTTA MASAYOSHI. Hotta ebbe numerosi incontri con Townsen Harris, console statunitense stabilitosi a Shimoda nel 1856, il quale, per circa due anni, continuò a descrivere i positivi vantaggi offerti dal commercio e a citare la drastica sorte subita dalla Cina a causa dell’incosciente ostinazione dei suoi governanti (che la aveva portata alle ostilità con Gran Bretagna e Francia). Hotta fu infine convinto e si adoperò per ottenere l’appoggio degli alti funzionari del bakufu e del fudai. Emerse qui un orientamento che, rispetto a quanto avvenuto pochi anni prima, appariva molto più favorevole. Tuttavia, negli ambienti di Corte di Kyoto si levarono voci contrarie all’iniziativa di Hotta. La disputa fu poi complicata dal problema della successione del bakufu lasciato privo di eredi da Iesada, morto per malattia. Si formarono due schieramenti: 1. Ii Naosuke, appoggiato dai Consiglieri anziani e da altri vassalli fudai, sosteneva la successione di Tokugawa Iemochi 2. Daimyō esterni alla famiglia erano favorevoli a Tokugawa Yoshinobu Fu la prima fazione ad avere la meglio grazie a un colpo di mano di II Naosuke il quale, assunta la carica di Gran consigliere, eliminò i suoi rivali con una serie di destituzioni, arresti e condanne a morte. Nel 1858, Iemochi dispose la conclusione delle trattative con Harris senza attendere l’approvazione imperiale. Il 29 luglio 1858 venne stipulato il contratto: • apertura di quattro nuovi porti • rappresentanti diplomatici • cittadini americani possono risiedere a Edo e nei porti aperti • limitazione dei dazi doganali sulle merci di importazione • diritto di extra-territorialità agli americani residenti, che li sottraeva dall’autorità giudiziaria del Giappone • garanzia dello status della nazione più favorita agli Stati Uniti Analoghi trattati vennero fatti con Olanda, Russia e Gran Bretagna, prendendo il nome di «TRATTATI INEGUALI». L’apertura dei porti al commercio estero ebbe un impatto negativo sul sistema economico giapponese, provocandone fenomeni inflazionistici. A questo punto le possibilità erano due: divenire un soggetto attivo nel sistema economico mondiale o mantenere un ruolo subalterno. I sentimenti xenofobi nel frattempo aumentavano, così come il malcontento nei confronti della classe feudale. Nel 1860, un gruppo di samurai di Mito assassinarono Ii Naosuke. Numerosi altri gesti di terrorismo politico furono compiuti da attivisti appartenenti per lo più agli strati medio-bassi della classe samuraica, essi erano chiamati SHISHI, uomini audaci. Nel 1863 si spinsero addirittura all’uccisione di un suddito britannico, fatto che suscitò la vendetta inglese: le loro navi bombardarono e incendiarono Kagoshima. 36 I processi di cambiamento fondamentali furono due: • formazione del KŌBU GETTAI, unione tra la Corte e il bakufu • riapertura al mondo, visto come un passaggio ormai obbligato Intanto a Chōshū l’opposizione militare ai Tokugawa si rafforzò al punto da resistere a una prima spedizione punitiva inviata nello han nel 1864 e da annientare le truppe mandate nuovamente a Edo due anni dopo. Un successo militare, questo, favorito dagli accordi conclusi da Chōshū con la Gran Bretagna, che assicurò il rifornimento delle armi. In questo clima, Chōshū e Kyoto entrarono in contatto grazie all’intervento mediatore degli uomini di Tosa. Agli inizi dell’anno 1866 salì al trono Yoshinobu. Convinto che le sorti del bakufu dipendessero dalla capacità di attuare riforme innovative e disposto ad accogliere l’assistenza offerta dalla Francia per modernizzare il Paese, Yoshinobu cominciò a emanare una serie di provvedimenti che non incontrarono l’assenso della Corte. La Gran Bretagna decise così di rafforzare i propri legami con i feudi occidentali, convinta che il fronte antishogunale non si stava opponendo all’apertura del Paese, bensì al fatto che fosse il bakufu a beneficiarne. Di fronte al rischio di uno scontro militare tra il regime di Edo e la coalizione di Satsuma e Chōshū fu ancora una volta il feudo di Tosa ad agire come mediatore prestando un memoriale allo shōgun. Quest’ultimo doveva dimettersi dalla carica restituendo al sovrano poteri civili, in cambio della garanzia del mantenimento delle loro terre. Yoshinobu accettò la proposta e nel novembre del 1867 si rivolse all’Imperatore pregandolo di accogliere il suo atto di rinuncia alla carica di shōgun, nella speranza di evitare una guerra civile. Tuttavia, la coalizione di Chōshū e Satsuma muovette le proprie truppe contro i sostenitori del bakufu e occupò il palazzo imperiale. Il 3 gennaio 1868 fu proclamata la RESTAURAZIONE DEL POTERE IMPERIALE e l’ABOLIZIONE DELLO SHOGUNATO che privò il capo Tokugawa di tutti i possessi di famiglia. Edo fu ribattezzata Tokyo, capitale orientale, e qui vi furono trasferite le attività governative. 3. La riforma delle istituzioni politiche, sociali ed economiche del primo Meiji Meiji, «governo illuminato», si riferisce al come dell’era prescelto quanto, nel 1868, fu decretato che in nengō avvenne coinciso con il periodo di regno del sovrano. Il giovane Marsuhito divenne Imperatore, e sotto il suo governo prese avvio l’edificazione dello Stato moderno fondato sulla centralizzazione del potere politico e sulla trasformazione capitalistica delle istituzioni economico- sociali. MEIJI ISHIN, Restaurazione Meiji. Il rovesciamento del regime Tokugawa fu indotto principalmente da membri dell’élite militare locale, i quali per buona parte avrebbero costituito la classe dirigente. Si parla insomma di una «rivoluzione dall’alto» che, coniugandole tensioni scaturite della stipula dei «tratti ineguali» con i prerequisiti endogeni, poté governare il processo di transizione capitalistica. Questa nuova concezione di Stato nazionale si fondò sul paradigma «ricco il Paese e forte l’esercito», fukoku kyōhei, base delle riforme dell’epoca Meiji. Nel 1869 i daimyō restituirono i registri fondiari dei propri domini, ufficializzata nel 1871 con la confisca del loro potere. Nello 37 in un primo momento, aveva indotto molti di loro a una reazione di chiusura. L’occidentalizzazione del Giappone Meiji deve essere considerata alla luce del fatto che essa fu non un fine, ma uno strumento per realizzare il fukoku kyōhei. IV. Gli sviluppi nella politica interna ed estera negli anni Settanta e Ottanta Due membri illustri del governo, Saigō Takamori e Itagaki Taisuke, si convinsero dell’opportunità di dare una dimostrazione di forza alla Corea, che si ostinava a rifiutare di riconoscere i cambiamenti avvenuti in Giappone dopo il 1868. Il progetto era stato concepito come una misura che avrebbe consentito agli ex samurai di riversare altrove le proprie insoddisfazioni e, anche, la propria aggressività. Saigō si disse persino disposto a recarsi in Corea per essere ucciso in modo da avere un pretesto per aprire le ostilità. Ma al ritorno dei membri della Missione Iwakura, il dibattito sull’invasione della Corea - SEIKANRON - assunse i toni di un vero e proprio scontro, dao che visitando l’Occidente essi si erano persuasi che fosse necessario dare la priorità al rafforzamento interno piuttosto che all’aggressione esterna e che un atto simile implicasse il rischio di un intervento delle Potenze. Nel 1873 si decise quindi di accantonare il progetto, e ciò provocò l’uscita dal governo di importanti esponenti come Saigō. Il motivo di questo dissidio non riguardava l’eventualità di assumere l’espansionismo tra gli obbiettivi della politica estera nipponica, ma i tempi e le modalità da adottare per raggiungere questo scopo. Semplicemente, personaggi come Ōkubo si dichiarano contrari ad un’azione contro la Corea poiché il potere del Giappone non si era ancora completamente centralizzato e non c’era garanzia di neutralità da parte della altre Potenze straniere. Nonostante questi pensieri, il Giappone si mosse in politiche espansionistiche: • 1874, flotte contro il Taiwan • 1876, forzata la Corea alla riapertura dei commerci • 1879, decretata la fine del Regno delle Ryūkyū e annessione di questo come provincia di Okinawa Per quanto riguarda la politica interna, la questione più importante del periodo fu rappresentata dagli ex samurai: nel 1873 era stata offerta loro l’opportunità di essere liquidati ottenendo una somma pari a quattro-sei annualità di stipendio. Oltre ad alleviare l’onere finanziario del governo, fornì agli ex samurai la possibilità di disporre una certa quantità di capitale da investire nelle attività produttive. Tuttavia, essi non erano grandi «investitori» e molti furono infatti trasformati in forza lavoro da impiegare in occupazioni varie, alimentando ulteriormente la loro insoddisfazione. Tutto questo sfociò nel 1874 con la rivolta guidata da Etō e quella del 1877 a Satsuma (in cui Saigō assunse la guida di una vastissima ribellione). I ribelli furono sconfitti e il loro capo si suicidò. La rivolta di Satsuma rappresentò l’ultima grande minaccia militare per il governo Meiji e, nel complesso, confermò l’efficienza del nuovo esercito di coscritti. Nel 1878 Ōkubo venne 40 assassinato. Il governo scelse allora di impegnarsi per inculcare alle reclute un’obbedienza assoluta all’Imperatore e allo Stato. Nel 1874 Itagaki diede vita a una società politica chiamata AIKOKU KŌTŌ, Partito pubblico patriottico. Itagaki presentò all’Imperatore una petizione per l’istituzione del MINKAI, un’assemblea popolare elettiva. L’anno successivo fu fondato l’AIKOKUSHA, il primo partito politico nazionale, «società dei patrioti», che prese le responsabilità di: - istituire un governo parlamentare costituzionale - diminuzione dell’imposta fondiaria - revisione dei «trattati ineguali» Nel 1874 venne anche istituito il MEIROKUSHA, Società del sesto anno Meiji. L’obiettivo era quello di guardare alle società occidentali per imparare nuove conoscenze, e questa società fu infatti costituita da grandi intellettuali. Tra i cambiamenti adottati ci fu la Riforma del sistema educativo del 1872, ispirata al modello francese, la quale fissò le linee della politica scolastica nazionale. In questi stessi anni nacquero molteplici associazioni, movimenti e partiti politici più o meno direttamente ispirati alle idee di libertà, di sovranità nazionale e di rappresentanza popolare. A partire dal 1883 fu attuata una serie di provvedimenti che limitò in modo sempre più rigido l’attività dei partiti politici - il cui potere sarebbe stato infine limitato in termini costituzionali - e pose numerosi filtri all’ingresso delle conoscenze dall’estero. Si impose lo slogan wakon yōsai, «spirito giapponese, sapere occidentale». Nel 1879 fu varata l’Ordinanza dell’educazione con una mafiose centralizzazione e un più rigoroso controllo del sistema scolastico per formare i giovani a divenne sudditi dell’Imperatore. Nel 1890 fu istituito il Parlamento. I preparativi della Costituzione furono condotti in primo luogo da Itō, che nel 1882 si recò in Europa per studiare da vicino i documenti costituzionali di vari Paesi. Nel 1885, in sostituzione del Dajōkan, fu istituito il sistema di gabinetto, che riuniva i vari ministri sotto la guida di un Primo ministro responsabile verso l’Imperatore, da cui riceveva il mandato per formare il governo. Nel 1888 Itō andò a presiedere il Consiglio privato, l’organismo credo per approvare la Costituzione e composta da membri nominati a vita dal sovrano. La Carta costituzionale fu redatta con la collaborazione di due consiglieri tedeschi e per la sua promulgazione fu scelta la data dell’anniversario della mitica fondazione dell’Impero giapponese, l’11 febbraio 1889, presentata al Pese come un «dono» dell’Imperatore Meiji. All’Imperatore venne dato potere legislativo e diritto di nomina del governo. Restavano poi svincolati da ogni controllo altri potenti organi: • CONSIGLIO PRIVATO • MINISTERO DELLA CASA IMPERIALE • GRUPPO GENRŌ, composto dagli oligarchi originari di Satsuma e Chōshū 41 V. Ideologia e identità nazionale Essendo fondata sulla premessa della superiorità del modello occidentale, la modernizzazione pose un serio dilemma in relazione all’identità nazionale. Dopo un’iniziale infatuazione delle idee occidentali, gli oligarchi si resero conto dei rischi che comportava la diffusione di alcune concezioni, come la libertà e l’individualismo. Rifiutata ogni possibilità di accogliere la visione laica dello Stato consolidatasi in Occidente e riaffermando il tradizionale principio secondo cui il potere politico si basava sulla legittimazione divina, lo Stato continuò a essere concepito in termini confuciani. Il passaggio da una nazione monorazziale a un Impero plurietnico insinuò una contraddizione di fondo nell’identità nazionale, laddove l’affermazione dell’idea dei giapponesi come popolo esclusivo e superiore pareva ostacolata dal progetto di dominazione dell’Asia. Gli anni Ottanta furono caratterizzati da un ritorno alla tradizione, che interessò il piano politico e ideologico. La figura del tennō aveva ormai assunto la posizione di autorità suprema e sacra. Nel suo nome erano stati introdotti cambiamenti più radicali facendo appello a valori supremi, quali l’armonia sociale, l’obbedienza ai propri superiori e la fedeltà alla causa imperiale. Nel 1890 fu emanato il Rescritto imperiale sull’educazione che individuava i valori supremi cui i giovani dovevano ispirarsi nella lealtà all’Imperatore e nel patriottismo. Capitolo Sesto NAZIONALISMO E PRIMA ESPANSIONE Nel biennio 1889-90 il superamento del feudalesimo può dirsi definitivamente avvenuto: il Giappone diviene uno stato moderno. Il blocco del potere dominante fu formato da: 1. Eminenti personalità dell’oligarchia «rivoluzionaria» 2. Corte imperiale 3. Alti gradi dell’Esercizio e della Marina 4. Nuova nobiltà 5. Gruppi economico-finanziari noti come ZAIBATSU. Il processo di formazione e sviluppo di questi ultimi gruppi ebbe luogo a partire dalla cessione a privati di imprese statali non strategiche, gestita da Masukata Masayoshi tra il 1881 e il 1885, che consentì al governo di concentrarsi sulle industrie militari. Questa politica agevolò i «mercanti protetti» che avevano accumulato grandi ricchezze. Matsukata diede via a una politica deflazionistica finalizzata a porre rimedio alla drastica inflazione determinatasi con il vertiginoso aumento di carta-moneta cui il governo era stato costretto a ricorrere per coprire le spese dell’intervento militare contro Satsuma e della conversione degli stipendi dei samurai, creando seri problemi al bilancio. Nel 1886 fu istituita la Banca del Giappone che creò le basi per un sano sistema di bilancio del governo e portò alla deflazione e all’acquisizione di una solida base monetaria in grado di sostenere l’industrializzazione del Paese. 42 - metà dell’isola di Sakhalin 
 L’esito della guerra ebbe grande risonanza internazionale. Sul fronte interno i termini della pace furono però insoddisfacente dal movimento nazionalista. Il tutto sfociò nella RIVOLTA HIBIYA (parco della capitale). La rivolta fu sedata dall’Esercito dopo due giorni di aspri scontri. III. I partiti politici tra coercizione e organizzazione del consenso Il cosiddetto «incidente di Hibiya» non solo sottolinea l’esistenza di tensioni e di conflitti irrisolti all’interno della società giapponese, ma per la brutalità della sua rappresentazione poe in risalto i modi di intervento del governo e dell’amministrazione contro ogni dissenso. I diritti civili e politici, pur contemplati dalla Costituzione, furono limitati con vari interventi normativi, sino all’approvazione della Chian keisatsuhō, Legge di polizia per l’ordine pubblico, del 1900. Sia le prime elezioni del 1890, sia quelle del 1892, registrarono il successo dell’opposizione liberale. Nella Camera bassa erano presenti: 1. RIKKEN SEIYŪKAI, Partito degli amici del governo costituzionale, fondato da Itō Hirobumi 2. KENSEI HONTŌ, Vero partito per la politica costituzionale, presieduto da Ōkuma Shigenobu IV. Le debolezze del sistema economico Le due guerre contro gli Imperi cinese e russo assorbirono grandi risorse finanziare quanto la crisi economica mondiale di fine Ottocento. A causa dei bassi salari industriali, del sovrappopolamento nelle campagne, della fragilità economica e della impossibilità di assumere forza lavoro per le piccole imprese, il mercato interno giapponese rimase estremamente ristretto. Nel 1906 venne fondata la Mantetsu, Società ferroviaria per azioni nella Manciuria Meridionale. La svolta che ne derivò non riguardò soltanto l’utilizzazione del sistema dei trasporti, ma consentì di esercitare il diritto di sfruttamento su ampi aree adiacenti alla massiccia ferrovia, ricche di materie prime. Gli zaibatsu rappresentarono una forma tipicamente giapponese di organizzazione del capitale. Essi avevano la forma del Konzern plurisettoriale, diretto da una holding che ricopriva praticamente l’intero campo di produzione. La peculiarità degli zaibatsu non era però soltanto quella di regolare il mercato, ma di essere soprattutto «monopolio del capitale». La maggior parte del capitale delle imprese controllate dallo zaibatsu veniva fornita dalla holding, sotto forma di approvvigionamento monopolistico di fondi da parte della famiglia che, sino agli anni Trenta, avrebbe diretto lo zaibatsu. Il Giappone inoltre ha peculiarità che lo accomunano con altri Paesi late comers, come Italia e Germania. Superata la fase del consolidamento, dall’ultimo decennio dell’Ottocento dino all’inizio della prima guerra mondiale, l’economia giapponese entrò in una lunga fase di assestamento, caratterizzata da una crisi endemica che ne rallentò la crescita negli anni in cui, a livello mondiale, 45 iniziava la fase dell’imperialismo. La categoria di imperialismo indica una mutazione nei rapporti economico-sociali tra gli Stati coloniali e i territori assoggettati. Con l’entrata in circolo del capitale finanziario, le colonie, oltre che essere mercati per le merci prodotte nella «madrepatria», iniziarono a diventare anche luoghi per l’investimento di capitali, atti a produrre a costi più vantaggiosi manufatti per il mercato interno o per l’esportazione. Verso la svolta del secolo, la conquista coloniale non era più l’unico né il principale strumento della dominazione su popoli e Paesi stranieri poveri, in quanto si stava affermando, da parte delle nazioni a capitalismo avanzato, la pratica degli investimenti di capitale in quei Paesi nei quali il basso costo della forza lavoro consentiva maggiori margini di profitto. Il colonialismo stava lasciando il passo all’imperialismo. Capitolo Settimo PRIMA GUERRA MONDIALE E DOPOGUERRA I. La crescita economica Durante la prima guerra mondiale, nel corso del conflitto europeo, l’economia giapponese compì enormi progressi completando la cosiddetta «seconda rivoluzione industriale»: acquisirono maggiore peso il settore metalmeccanico e l’industria pesante. L’alleanza con l’Intesa consentì l’occupazione delle Isole del Pacifico, delle isole Marianne, Caroline e Marshall e della penisola dello Shandong. I prodotti giapponesi penetrarono nei mercati asiatici e in quelli dei Paesi alleati. Con il prolungarsi del conflitto, la penetrazione economica giapponese divenne ancora più ampia: non solo i tessuti, ma anche i macchinari e, soprattutto, armi vennero spediti in Europa su richiesta degli alleati dell’Intesa. II. Mutamenti sociali e antagonismi Il Giappone si espanse anche nel settore terziario e, a seguito della crescita di settori industriali diversi dal tessile, il numero degli uomini addetti nell’industria superò per la prima volta nella storia giapponese quello delle donne (queste ultime tendevano maggiormente a evitare di esprimere contrasti e antagonismi con i datori di lavoro). Il fenomeno della migrazione dalle campagne nei centri urbani minori e nelle grandi città aumentò: Tokyo superò i 3 milioni di abitanti. Con la crescita del settore terziario si consolidò la media borghesia urbana, attratta dall’ideologia del liberalismo, maggiormente diffusasi in Giappone in conseguenza dei più stretti contatti culturali con l’Occidente. Nonostante i profondi mutamenti, i partiti non riuscirono a diventare organizzazioni politiche in grado di cogliere le aspirazioni delle classi e dei ceti sociali. La polizia e la magistratura, sulla base delle leggi esistenti, perseguirono ripetutamente i raggruppamenti. Le difficoltà economiche delle masse, a causa dell’abbassamento dei salari reali, sfociarono in una protesta inaspettata dal blocco di potere dominante. Nell’estate del 1918 si verificarono i KOME 46 SŌDŌ, moti del riso, una rivolta originata dalla brusca impennata del costo al dettaglio del riso, principale alimento della dieta giapponese, il cui prezzo, imposto dalle società commerciali zaibatsu, era controllato. Alla base della protesta stavano però la contrazione dei salari reali dei lavoratori industriali e le condizioni di pura sussistenza di grandi masse di coltivatori. Oltre 700.000 manifestanti parteciparono e la rivolta fu inizialmente appoggiata e propagandata dai quotidiani a diffusione nazionale. A un numero imprecisato di morti e feriti si aggiunsero migliaia di arrestati, quasi tutti condannati a pene detentive. III. Dai governi trascendenti ai «governi di partito» La fura repressione dei «moti del riso» provocò la fine politica del Primo ministro, il generale Terauchi Masatake, che fu sostituito da Hara Takashi il 20 settembre del 1918. Alla cambio di governo concorse lo sdegno popolare poiché Hara fu il primo «uomo di partito» non appartenente né all’oligarchia che aveva diretto la trasformazione capitalistica né alla ristretta cerchia dei suoi delfini a essere chiamato a ricoprire la carica di Primo ministro. La sua nomina, infatti, fu decisa sulla base del gatto che egli era a capo del partito di maggioranza alla Camera bassa. Il governo non era più sotto il controllo dell’oligarhia, ma al suo interno la presenza di una consistente componente di funzionari civili e militari era in grado di indirizzarne le scelte in senso fortemente conservatore. Pur essendo il leader di un partito politico, Hara dimostrò miopia politica, in primo luogo in tanto non assecondò le aspirazioni dei ceti medi urbani attratti dal liberalismo, cioè alla richiesta di riforma della Costituzione e di introduzione del suffragio universale. In sostanza, la sua scelta contribuì al mantenimento dei partiti politici in una posizione subalterna all’interno del blocco di potere dominante. Appare quindi riduttivo chiamare l’ERA TAISHŌ (1912-26) con il termine di «DEMOCRAZIA TAISHŌ». In realtà si registrò un declino assai relativo di gruppi costitutivi del blocco di potere dominante, a favore dei partiti politici presenti nella Camera bassa. Furono gli anni in cui gli ideali dei pensatori liberali influenzarono soprattutto i ceti urbani, richiamando l’esigenza di riforme liberali che consentissero la partecipazione popolare alla vita politica, partecipazione che avvenne in forme assai limitate. La miopia di Hara e dei dirigenti dei partiti presenti in Parlamento non permise loro di rovesciare i rapporti di forza e il blocco di potere dominante riprese il sopravvento. Hara stesso fu vittima di un nazionalista che lo assassinò nel 1921, condannandolo come responsabile del mancato successo della diplomazia giapponese alla Conferenza di pace di Versailles. Solo con la nomina a Primo ministro di Katō Takaaki si aprì la breve stagione di «governi di partito», compresa tra il 1924 e il 1932. IV. Contrapposizioni al blocco di potere Nonostante la cesura e gli interventi di polizia e magistratura, i «moti del riso», nel clima di relativa libertà affermatosi durante la prima guerra mondiale, diedero slancio all’organizzazione del proletariato. La prima forma di associazione di lavoratori fu opera di Suzuki Bunji che nel 1912 47 Nel 1919 in Corea e in Cina presto corpo i movimenti di massa contro la dominazione imperialista con l’obiettivo del boicottaggio delle merci straniere e, dunque, anche giapponesi. Alla fine della prima guerra mondiale, la crisi di riconversione produttiva che colpì gli Stati Uniti si riversò con estrema virulenza sull’economia giapponese. Venute meno le forniture militari, negli Stati Uniti si registrò una caduta di domanda, soprattutto dei beni di lusso, tra i quali una voce rilevante era costituita dalle importazioni dei seta dal Giappone. Quando nel 1922 gli altri Paesi imperialisti superarono la crisi, il Giappone vi era ancora parzialmente immerso. Nel 1923 ad aggravare la situazione arrivò il TERREMOTO DEL KANTŌ. Furono contati oltre 100.000 morti e 3,3 milioni di feriti, mentre i danni materiali ammontarono a circa mezzo miliardo di yen. La massiccia importazione di beni a largo consumo e di materiali per la ricostruzione aggravò la bilancia dei pagamenti. Al fine di fare fronte all’emergenza furono organizzati gruppi di volontari che affiancarono la polizia nel mantenimento dell’ordine pubblico. Da questi gruppi, presenti e compartecipi i poliziotti, partì una violenta persecuzione di cinesi e coreani presenti a Tokyo (furono assassinati 4.000 coreani e 400 cinesi). La struttura e l’organizzazione del settore primario rimase poi inadatta a superare la «stagnazione agricola». La crescita agricola fu soprattuto impedita dalla eccessiva frammentazione dei campi. Nel 1927, oltre 3,6 milioni di piccoli contadini possedevano da meno 1.000 mq a un ettaro. a. Gli affittuari, costretti a un livello di vita di mera sussistenza, fondarono loro unioni (più di 4.000 nel 1927). A esse mancò la capacità di unificare le lotte e di individuare obiettivi strategici. b. I proprietari terrieri diedero a loro volta via ad unioni che organizzarono la resistenza contro le rivendicazioni dei contadini senza terra. c. Si crearono anche le «unioni per la collaborazione» costituite sia da proprietari che da affittuari. Essi fecero leva sulla confuciana «armonia sociale» e delegittimarono gli antagonismi e le contrapposizioni frontali. Il maggiore incentivo alle lotte venne dal crollo dei prezzi e dei prodotti agricoli più diffusi e dall’incremento del divario tra le condizioni di vita nelle città e quelle nelle campagne. Nel 1924 venne varata la Kosaku chōteihō, Legge per l’arbitrato dell’affittanza, che divenne un efficace strumento dei proprietari terrieri per opporsi alle vertenze che stavano salendo di tono. Questo tipo di intervento divenne lo strumento di ricatto dei grandi proprietari contro gli affittuari. Ci furono così tantissimi licenziamenti che portarono nel 1925 a 200.000 unità di disoccupati. Ciò provocò diversi scioperi e azioni di sabotaggio. VII. I «governi di partito», la debolezza dei partiti politici e la stretta autoritaria Il Kakushin kurabu, Club riformatore, e i partiti Kensekai e Seiyūkai diedero vita a una coalizione nella Camera bassa e riuscirono a formare una maggioranza in appoggio al governo di Katō Takaaki, presidente del primo «governo di partito». 50 Con l’espressione «GOVERNO DI PARTITO» si indicano gli esecutivi operanti fra l’11 giugno 1924 e il 26 maggio 1932. Nel periodo antecedente i governi furono considerati «trascendenti» per definizione. Questi erano varati dai consiglieri dell’Imperatore investiti della fazione esecutiva senza che godessero necessariamente della maggioranza parlamentare. Anche i «governi di partito» dovettero sottostare ad alcune restrizioni e i ministri della Difesa e della Marina continuarono a essere ufficiali superiori indicati dagli Stati maggiori delle rispettive armi. I partiti comunque difendevano gli interessi del blocco dominante, del quale erano parte integrante, seppur in una posizione subordinata. Essi non ebbero la forza, né la volontà, di adottare una strategia orientata ad ampliare il loro potere. Nel 1925, la forte tensione sociale portò ad una richiesta, domandata a gran voce, per il suffragio universale. Il governo si trovò di fronte all’opposizione della Camera alta e del Consiglio Privato, al quale spettava il giudizio di costituzionalità delle leggi. Dopo estenuanti trattative con queste istituzioni, il 5 maggio del 1925, fu infine approvata la legge che istituì il SUFFRAGIO GENERALE MASCHILE. I requisiti per votare erano: • uomini maschi con età superiore ai 25 anni • dovevano risiedere da almeno un anno elettorale • non indigenti, ovvero non fruitori dell’assistenza pubblica • versare una cauzione di 2.000 yen (pari al doppio del reddito medio annuo di una famiglia di proprietari terrieri autosufficienti) Il 12 maggio del 1925 fu varata la Legge per il mantenimento dell’ordine pubblico, Chian ijihō. La polizia e la magistratura la usarono più volte, fino alla fine della seconda guerra mondiale, per colpire «legalmente» ogni opinione difforme dall’ideologia dominante. Venne quindi meno proprio la certezza del diritto. Era assolutamente vietato alterare il kokutai, sistema nazionale. La legge, inoltre, perseguendo i «crimini di pensiero», dette alla polizia e alla magistratura ampie possibilità di intervento sia contro le attività politiche sia contro le elaborazioni ideologiche cosiddette «pericolose». Capitolo Ottavo DAL FASCISMO AL CROLLO DELL’IMPERO I. La repressione Nel ventennio che seguì l’approvazione della Chian ijihō, il regime da autoritario divenne completamente fascista. I primi interventi furono attuati in chiave antimarxista e antiproletaria: nel 1925 furono incriminati gli studenti di sociologia dell’Università di Kyoto, associati nella Gakuren, Unione studentesca, rei di non limitarsi a discussioni accademiche, ma di propagandare nella società l’ideologia marxista. Nel 1928 furono arrestati poi i dirigenti e la quasi totalità dei militanti del Partito comunista. Nello stesso anno l’Imperatore Hirohito introdusse la pena di morte. 51 Ci furono poi altri casi eclatanti molto simili, come quello di Minobe Tatsukichi - che aveva annunciato la «teoria dell’ordine», secondo la quale l’Imperatore era un organo di Stato e non al di sopra di esso. Fu arrestato e costretto ad abbandonare l’insegnamento universitario. Anche Tsuda Sōkichi subì la stessa sorte, tra i più autorevoli studiosi di storia antica del Giappone e delle civiltà cinese e giapponese. Nei primi anni Trenta pubblicò alcuni studi che posero scientificamente in discussione la cronologia ufficiale che fissava all’11 febbraio 660 a.C. la fondazione del «Paese degli dèi» e quindi i fondamenti del tennōsei. Fu condannato a tre mesi di reclusione, sospeso dall’insegnamento e le sue opere vennero proibite. Per rendere efficace l’applicazione della Chian ijihō, il regime ricorse a una serie variegata di misure. Esistevano i «reati di opinione» e la punizione per il possesso di riviste e libri dei quali fu vietata la circolazione. Per controllare meglio la popolazione, furono designati dei supervisori nei gruppi di ricerca universitaria ed il TOKKŌ, Apparato di polizia speciale superiore composto dai cosiddetti «procuratori del pensiero» che diffusero grande terrore nel Paese. Essi praticavano il tenkō, abiura della posizione ideologica: sospendevano il giudizio nei confronti dell’imputato e lo affidavano a un garante individuale o collettivo che si impegnava a convincere il «sovversivo» che la sua posizione ideologica era sbagliata. Questi, se dichiarava di abbandonare le idee pericolose, ritornava ad essere un buon suddito e poteva quindi reinserirsi a pieno titolo nella società. L’efficacia della repressione e della pressione psicologica favorirono la soffocazione di ogni forma di dissenso. In Giappone non sarà riscontrabile alcuna forma di resistenza al regime fascista. Entrati in una clandestinità «passiva», il Partito comunista e il sindacato ad esso collegato sopravvissero a condizione di attenuare la loro azione entro i limiti consentiti dal blocco di potere fascista. Nonostante le intimidazioni e la repressione, negli anni Trenta, il movimento operaio condusse una serie di vertenze a difesa dei propri interessi. Tuttavia, dopo l’inizio della guerra contro la Cina nel luglio del 1937, la Sōdōmei, nel suo congresso di ottobre, deliberò la sospensione di tutti gli scioperi per non sabotare la produzione bellica. II. La «fabbrica» del consenso In questo periodo emerge la consolidata capacità della classe dominante giapponese a veicolare il consenso. Nel 1910 la Teikoku zaigō gunjinkai, Associazione imperiale dei riservisti, aveva forgiato «uomini di carattere» in tutte le comunità rurali attraverso i seinen dan, gruppi giovanili, riuniti in un’associazione nazionale fondata nel 1915 su iniziativa dei ministeri dell’Educazione e della difesa. Entrambe le associazioni, egemonizzate dall’Esercito, condussero sempre più intense campagne propagandistiche, facendo ricorso a vari strumenti. La scuola, fin dall’avvio della trasformazione capitalistica, ebbe un’importanza cruciale nella diffusione di stereotipi collettivi unificati e non antagonistici. Inoltre, la propaganda politica di sostegno al blocco di potere dominante non fu appannaggio esclusivo di una organizzazione di massa, ma di una miriade di club, associazioni e gruppi. Loro obiettivi comuni furono il mantenimento dei valori tradizionali e il controllo sulla dinamica sociale. 52 1. KAZOKUSHUGI, familismo 
 Postula all’interno della società rapporti di tipo famigliare. Il Giappone non sarebbe altro che una sorta di famiglia allargata di origine comune, con il ramo principale costituito dalla famiglia imperiale. Il tennō sarebbe legato al popolo da una relazione tra padre benevolo e figli fedeli 2. NŌHONSHUGI, ruralismo 
 Pone al centro della società la comunità agricola. Il regime fascista fece del ruralismo il densamente per il modello sociale del sistema imperiale. La comunità agricola, tutta tesa a mantenere la «armonia sociale», doveva rappresentare il modello ideale al quale tutta la società giapponese doveva ispirarsi 3. PANAJIASHUGI, panasiatismo 
 Questo velava sotto la demagogia dell’unione di «tutti i popoli e i Paesi dell’Asia sotto la guida del Giappone» le mire espansionistiche sul continente e nei mari del Sud contro l’egemonia dell’«imperialismo bianco» V. Gli effetti della Grande Crisi La conquista della Manciura avvenne nel corso della Grande Crisi mondiale iniziata nel 1929 con il crollo del mercato azionario di Wall Street, ma tutti gli anni Venti furono per l’economia giapponese un periodo percorso da un andamento altalenante tra recessioni e riprese. Nel 1927 lo Shōwa kyōkō, panico del periodo Shōwa, fu un vero e proprio terremoto finanziario. Tale crisi arrivò come conseguenza al sisma del Kantō del 1923. Dopo il disastroso evento, il governo Yamamoto aveva deliberato che le imprese potevano ricorrere a prestiti bancari presentando a garanzia i titoli perduti durante il sisma, i cosiddetti «titoli terremotati». Nel corso del dibattito parlamentare, il ministro delle Finanze Kataoka Naokaru, incautamente, affermò che molte banche depositarie di tali titoli erano «cotte», ovvero non coperte da alcuna garanzia. Il 22 aprile, il nuovo governo, appena insediato, fu costretto a intervenire proclamando una moratoria, cioè la sospensione di tutti i pagamenti da parte delle banche per 21 giorni. Le misure introdotte dal governo e il fallimento di un gran numero di banche minori diedero luogo a una riorganizzazione dell’intero sistema finanziario del settore industriale. Vennero dichiarati diversi fallimenti di banche e i risparmiatori accentuarono la tendenza a ricorrere ai servizi delle banche principali. Il riassetto del sistema finanziario non riavviò l’economia del Giappone, ancora percorsa da una fase recessiva. Le maggiori difficoltà derivavano dalla mancata riadozione del gold standard, come era invece avvenuto nei Paesi più avanzati. Il ministro delle Finanze, Inoue Junnosuke, nel novembre 1929, annunciò che il Giappone avrebbe nuovamente adottato la base aurea per lo yen a partire dal primo gennaio 1930. Si trattò di una decisione governativa del tutto inopportuna, in quanto avvenne dopo il crollo di Wall Street, nel momento in cui i Paesi più avanzati avevano abbandonato o stavano abbandonando il gold standard per consentire la libera fluttuazione delle loro monete. 55 L’avvio della svolta in economia che permise l’uscita dalla crisi è dovuto all’azione di Takahashi Korekiyo, ministro delle Finanze del governo insediatosi nel 1931. Egli abbandonò la politica liberalistica e accentuò l’intervento dello Stato nel settore economico: • abbandono della base aurea dello yen • dilatazione della spesa pubblica, sostenuta da emissioni di titoli fiduciari dello Stato sottoscritti dalla Banca del Giappone • ampliamento della stessa emissione fiduciaria • riduzione del tasso di interesse • sostegno dell’economia rurale Intanto, le opportunità di sfruttamento imperialista della Manciuria, oltre che di Taiwan e della Corea, si rafforzarono, inizialmente a favore dei «nuovi zaibatsu», legati agli ambienti militari e ai giovani funzionari civili inviati in Manchukuo. Nel 1935, si affiancarono nuovamente, con rinnovato vigore, i «vecchi zaibatsu». Questi ultimi ripresero il sopravvento, soprattutto grazie all’ampia disponibilità di capitali finanziari. VI. La «guerra totale» Dopo alcuni tentativi di penetrazione nella Cina settentrionale nel 1934-35. l’Esercito giapponese, nel luglio del 1937, invase la Cina avviando la Guerra dell’Asia Orientale. Il conflitto du concepito come una «guerra totale» che comporta la progressiva ristrutturazione dell’economia in funzione dello sforzo bellico, l’ulteriore stretta autoritaria nel controllo sulla società e la riorganizzazione del sistema politico-partitico. Il dibattito si incentrò sulla tesi degli imprenditori, che difendevano la loro autonomia nella destinazione delle risorse e il principio di trarre il massimo dei profitti dalla produzione; e la tesi dei militari che contrapposero le esigenze belliche dell’invasione della Cina che assorbiva risorse umane e materiali assai maggiori di quanto previsto. Il primo aprile 1938, il Parlamento approvò su proposta del governo del Principe Konoe Fumimaro, la Kokka sōdōinhō, Legge di mobilitazione generale nazionale. Essa forniva le indicazioni di carattere generale al cui interno il governo o il Parlamento potevano emanare norme specifiche. Venne così meno uno dei principali principi fondamentali del liberalismo: la separazione tra il potere legislativo (Parlamento) e il potere esecutivo (governo). Il Primo ministro Konoe proclamò la volontà di istituire in Asia un «Nuovo Ordine». Tra il 1940 e il 1941 i partiti politici, sempre più privi di potere, furono assorbiti nella Taisei yokusankai, Associazione per il sostegno della direzione imperiale, e furono fondate le già ricordate associazioni per la produzione. Sul piano internazionale, il Giappone firmò il PATTO TRIPARTITO tra Italia fascista e Germania nazista. Con l’estensione dell’occupazione della Cina, il governo di Washington chiese al Giappone garanzie per le Filippine, colonia statunitense, e il ritiro delle truppe dalla Cina. Dopo la firma del Patto di neutralità con l’Unione Sovietica, l’Esercito imperiale giapponese occupò 56 l’Indocina meridionale, azione che provocò la proclamazione dell’embargo totale da parte degli Stati Uniti. L’8 dicembre del 1941, gli aerei decollati dalle portaerei giapponesi attaccarono, prima della dichiarazione di guerra, la base statunitense di Pearl Harbor, nelle Hawaii. Con la successiva dichiarazione di guerra della Germania nazista agli Stati Uniti, la guerra divenne mondiale in senso proprio. I successi giapponesi, all’inizio, parvero inarrestabili: conquistarono le Filippine, la Malesia, le Indie Orientali Olandesi (attuale Indonesia), la Nuova Guinea, la Birmania e Singapore. La prima sconfitta la subirono nella battaglia delle Midway. VII. Programmazione e controllo dell’economia di guerra Dal 1937, esponenti di rilievo del blocco di potere fascista operarono per attuare controlli centralizzati sull’economia. Studiosi di economia reclamarono interventi dello Stato per la costruzione di una nuova società e di un’economia indirizzata a rafforzare il ruolo del Giappone in Asia. Obiettivo finale era infatti l’espansione in Asia Orientale e Meridionale del Giappone in sostituzione dell’«imperialismo bianco». Il più lucido paladino in tal senso fu il giornalista Ryū Shintarō che espresse l’opinione secondo cui nel futuro il mondo sarebbe stato diviso in blocco, uno dei quali guidato dal Giappone. La risonanza di questo pensiero arrivò all’allora ministro degli Esteri Matsuoka Yōsuke, il quale affermò anch’egli l’idea della spartizione del mondo in quattro zone: la prima occupata dagli Stati Uniti, la seconda dall’URSS, la terza dall’Europa e la quarta dal Giappone. Intanto lo Stato intervenne in ambito economico facendo investimenti pubblici nel settore dell’armamento e una serie di provvedimenti legislativi di regolamentazione e controllo dei settori industriale e finanziario. L’Obiettivo interno della «riorganizzazione» economica fu la spartizione tra proprietà e management. Nel 1937 il parlamento deliberò la Legge per la mobilitazione dell’industria degli armamenti, la Legge di regolamentazione delle esportazioni e importazioni delle merci e la Legge sul controllo temporaneo dei capitali. Nel 1942 fu poi promulgato il Jūyō sangyō dantairei, Decreto sulla associazione delle industrie principali, che permise la fondazione di tredici Associazioni di controllo delle industrie chiave (acciaio, carbone, cemento, automobili ecc.). Queste avrebbero dovuto collaborare all’attuazione di un piano economico ispirato al modello sovietico, ma fallirono lo scopo. In definitiva, negli anni della «guerra totale» fu attuata un’economia controllata dell’amministrazione statale e negli anni successivi al 1937, il potere dello Stato in economia si accentuò. VIII. La «guerra totale» dei sudditi giapponesi I sudditi giapponesi, sia miliari sia civili, parteciparono attivamente alla guerra, ritenendosi tutti difensori del tennōsei e del kokutai. Mancò infatti qualsiasi forma di resistenza. I soldati giapponesi, oltre all’orrore della guerra, affrontarono spesso sacrifici umani per carenza di 57 B. UNITÀ 731 
 Nel campo di prigionia della Manciuria vennero condotti esperimenti su cavie umane. C. COMFORT WOMEN 
 Donne coreane, taiwanesi e di altri Paesi occupati furono obbligate a prostituirsi, in campi di detenzione, ai soldati giapponesi. II. La nuova Costituzione Gli Stati Uniti optarono per la non perseguibilità dell’Imperatore Hirohito, la quale avrebbe comportato la sollevazione di gran parte della popolazione giapponese; inoltre egli diede la dimostrazione di poter «sopportare l’insopportabile». La nuova Costituzione del Giappone si ispirò ai principi della democrazia parlamentare, fu promulgata il 3 novembre 1946 ed entrò in vigore il 3 maggio del 1947. L’Imperatore divenne il «simbolo dello Stato e dell’unità del popolo giapponese» e perse le prerogative previste dalla Costituzione Meiji. Nel nuovo regime, egli, con l’approvazione del governo, ha il potere di: • promulgare le leggi, i decreti legge, gli emendamenti alla Costituzione, i trattati internazionali • convocare il Parlamento • sciogliere la Camera alta • proclamare le elezioni generali • nominare e revocare i ministri e accettarne le dimissioni • ricevere le credenziali dagli Ambasciatori, incontrare loro e i ministri stranieri • nominare il Primo ministro e il presidente della Corte Suprema, designati rispettivamente dal Parlamento e dal governo La nuova Costituzione prevede la netta separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Inoltre è fortemente pacifista, in quanto l’articolo 9 prevede la rinuncia del Giappone alla guerra per la risoluzione delle dispute internazionali e il divieto alla ricostruzione delle forze armate. Il Parlamento è formato da: - Camera alta - Camera bassa Sono entrambe elettive e nel caso di discordanza per la nomina del Primo ministro, prevale il voto della Camera bassa. I collegi a forte concentrazione urbana sono gravemente penalizzati rispetto a quelli a prevalente popolazione rurale. Attualmente per questi ultimi occorre un terzo dei voti dei colleghi urbani per eleggere lo stesso numero di parlamentari. Nonostante l’articolo 9 della Costituzione, dopo l’inizio della guerra di Corea, fu istituita la Riserva di polizia nazionale i cui 75.000 uomini, tra il luglio del 1950 e la dine dell’anno sostituirono i militari statunitensi nel mantenimento dell’ordine pubblico. Nel 1952, su pressione degli Stati Uniti nel corso della Conferenza di pace di San Francisco, alle forze di terra si aggiunsero unità navali ed aeree e l’Agenzia della difesa. 60 III. La vita politica Durante i primi anni successivi alla sconfitta, la vita politica giapponese attraversò una fase convulsa, caratterizzata dalla formazione e dissoluzione di partiti che solo lentamente ebbe fine. Nell’ottobre del 1948, sino al dicembre del 1954, iniziò l’era di YOSHIDA SHINGERU, a capo del Partito liberale. Yoshida pose come priorità assoluta la ricostruzione dell’economia che, a prezzo di immani sacrifici da parte della popolazione, intorno alla metà degli anni Cinquanta, raggiunse i livelli del 1933-35, i più alti del periodo prebellico. Il Giappone con lui firmò il Trattato di pace di San Francisco e promosse la «purga rossa» che colpì dirigenti e iscritti al Partito comunista. Dopo la firma del Trattato di San Francisco Yoshida ne riabilitò un gran numero. Nel 1954 riemerse HATOYAMA che, nominato presidente del Partito democratico, mise in minoranza il governo Yoshida con l’appoggio dei socialisti. IV. La ricostruzione economica In economia, inizialmente lo Scap attuò uno stretto controllo nell’allocazione delle risorse e impose che il pagamento delle riparazioni di guerra avvenisse in valute pregiate o con il trasferimento di impianti industriali giapponesi. Tuttavia, già nel 1947, lo Scap permise al Giappone di fare fronte ai danni di guerra con l’esportazione di prodotti nazionali, in particolare beni strumentali e pagamenti in yen. Un punto di forza nella politica dello Scap fu poi la RIFORMA AGRARIA. L’affittanza, già emersa nel corso dell’era Meiji e che alla fine della guerra era estesa a circa la metà delle aree coltivabili, nel 1950, a riforma completata, fu ridotta al 10 per cento del totale; favorendo gli acquirenti e penalizzando i grandi proprietari terrieri. La produzione aumentò incredibilmente. Gli investimenti nel settore industriale, pubblici e privati, furono indirizzati in modo coordinato verso i settori di sviluppo. V. Il progresso economico fino ai primi anni Settanta Verso la metà degli anni Cinquanta, il Giappone completò la ricostruzione economica, gli anni di successo furono appena incrinati dalla «crisi petrolifera» del 1973. Il successo fu possibile grazie a diversi fattori, come gli interventi a sostegno del settore industriale e la capacità della popolazione giapponese di sopportare grandi sacrifici. Il primo febbraio del 1947 lo Scap vietò lo sciopero dei dipendenti pubblici, dando un forte segnale repressivo alle organizzazione sindacali e, più in generale, agli oppositori delle scelte politiche dello Scap e del governo conservatore. In queso periodo abbiamo la cosiddetta «inversione di rotta». Il 1950 è invece teatro della «PURGA ROSSA»: alla vigilia della guerra di Corea, 21.997 comunisti furono licenziati dagli uffici pubblici e privati. Lo sforzo della ripresa per gettare le basi al futuro sviluppo si protrasse fino alla metà degli anni Settanta, quando la bilancia dei pagamenti diventò attiva. Negli anni precedenti, seguendo le linee 61 dei programmi economici sostenuti dal governo, il Giappone sviluppò con coerenza una politica economica fondata su tre principi: 1. Limitazione delle importazioni all’indispensabili (materie prime carenti nel Paese) 2. Trasformazione della struttura produttiva in funzione della concorrenza sul mercato mondiale 3. Stimolo alle esportazioni, necessarie a compensare il flusso delle importazioni Nel 1955 il Giappone aderì al GATT, Accordo generale su tariffe e commercio. Gli scambi del Giappone con i mercati di tutto il mondo furono favoriti dalle attività di sōgō shōsha, società commerciali internazionali. I commerci internazionali del Giappone furono favoriti dalla sottostima del tasso di cambio dello yen con il dollaro nel 1949. Fino al 1965 la popolazione giapponese fu sottoposta a grandi sacrifici (es. salari mantenuti bassi, consumi molto contenuti ecc.) e a peggiorare la situazione fu l’altissimo livello di inquinamento. Il livello di vita iniziò a migliorare nei tardi anni Sessanta. VI. Relazioni internazionali L’8 settembre 1951 il Giappone siglò il TRATTATO DI PACE DI SAN FRANCISCO - non firmato dall’Unione Sovietica, dall’India, dalla Repubblica di Cina (Taiwan) - e contemporaneamente il TRATTATO DI SICUREZZA NIPPO-AMERICANO. Il 28 aprile 1952 ebbe termine l’occupazione alleata. Tuttavia, gli Stati Uniti continuarono a occupare Okinawa e conservarono basi militari in altre zone del Giappone, in particolare, nell’area di Tokyo. Date importanti: • 1953
 l Giappone aderisce al Fondo monetario internazionale; prime trasmissioni televisive • 1954
 istituita l’Agenzia di Difesa • 1955
 nasce il Partito Liberal-democratico; il Giappone aderisce al Gatt - accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio • 1956
 ristabilimento delle relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica; scoppia il caso Minamata (intossicazione da mercurio); il Giappone è annesso all’ONU • 1960
 rinnovo del Trattato di Sicurezza con gli Stati Uniti: massicce le proteste popolari • 1964
 nuova linea ferroviaria superveloce tra Tokyo e Osaka; Olimpiadi a Tokyo • 1965
 la bilancia commerciale giapponese comincia ad essere in attivo 62 Gli anni Ottanta furono gli anni delle grandi operazioni finanziarie internazionali, dall’acquisto delle case produttrici discografiche all’aggressione delle istituzioni finanziarie. III. Gli effetti sociali della recessione Tuttavia, l’economia giapponese, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, al di là dell’apparente floridezza, ha in sé i segni di una grande fragilità basata principalmente sulla difficoltà nel recupero dei crediti da parte degli istituti bancari. In questa situazione, grandi e piccole imprese del settore privato e il settore pubblico iniziano a ricorrere alla riduzione del personale. Nel 2002 la disoccupazione raggiunge il 5,2 per cento, record negativo. Il disoccupato assai spesso si considera emarginato e viva la sua nuova condizione con un senso di vergogna, giungendo in alcuni casi alla scelta estrema di togliersi la vita. Un altro problema sociale che grava sulla società giapponese è costituito dall’invecchiamento della popolazione, dovuto all’allungamento della speranza di vita e dal calo di nascite. IV. I sistemi burocratico e politico Una peculiarità del Giappone è costituita dai rapporti esistenti tra il sistema burocratico e quello politico. La particolarità risiede nel potere di gestione e di iniziativa legislativa dei burocrati. Infatti, a differenza di quanto avviene nelle democrazie occidentali, in Giappone le proposte di legge raramente sono di iniziativa parlamentare. In genere, sono i funzionari di medio livello dei singoli ministeri che provvedono motu proprio o su sollecitazione di enti locali e associazioni a stilare i disegni di legge, dando così avvio a un iter che va dal basso verso l’alto e che, dopo mediazioni interministeriali e interne alla coalizione del governo, si conclude con la presentazione di un disegno di legge governativo. Segno evidente del potere burocratico è la stessa organizzazione dei vertici dei singoli ministeri e agenzie governative. Infatti, al ministro e uno o più sottosegretari di appartenenza politica si affianca un sottosegretario di provenienza burocratica che è anche il vertice dell’apparato. In conseguenza dello spirito di gruppo, e quindi all’interno del loro ministero, i funzionari di grado inferiore si sentono responsabili verso il sottosegretario burocratico. Ciò implica che i politici responsabili dei dicasteri debbono tenere in considerazione le sue opinioni politica al dine di non vedere vanificate le loro iniziative. Questa interdipendenza burocratico-politica ha conseguenze anche a livello parlamentare e politico generale: il sistema politico appare relativamente debole, mentre i funzionari ministeriali fruiscono di ampi margini di azione e intervento. Nel secondo dopoguerra, a eccezione di due brevi parentesi i governi che si sono succeduti in Giappone sono sempre stati formati da politici i area liberaldemocratica. Nel periodo 1972-89, si succedettero otto primi ministri, tutti del Pdl, dei quali sette guidarono il governo per due anni e uno, Nakasone Yasuhiro, tenne il premieranno per cinque anni. 65 Nel 1989 si apre una fase di incertezza e turbolenza politica che si palesò con le elezioni della Camera bassa del 1993, che decretarono l’allontanamento, per la prima volta dal 1955, dei liberal- democratici dalla guida di governo. Hosokawa Morihiro, del Nihon shintō, Nuovo partito del Giappone, fu eletto a capo del governo. Il suo governo si fondò tuttavia su una coalizione fragile, così come avvenne anche per i due successivi governi. Il Pdl tornò alla guida del governo nel 1998 con Hashimoto Ryūtarō. V. I tentativi di riforma Il premier Hashimoto lanciò un programma di riforme che, tuttavia, ebbe molte difficoltà a decollare. Le riforme proposte riguardarono il sistema finanziario, economico, politico-burocratico e dell’educazione. Quest’ultima è una questione controversa in Giappone: il ministero dell’Educazione, di chiara matrice conservatrice, dimostra una chiusura che è tuttora in vigore attraverso, per esempio, il divieto di adozione nelle scuole di libri di testo privi del visto ministeriale. Lo studente giapponese, oltre a frequentare la scuola a tempo pieno, deve nel tardo pomeriggio frequentare una scuola privata per migliorare la sua preparazione. L’entrata all’università è percorso duro e che implica sacrifici economici non indifferenti alla famiglia, tanto che il mancato accesso diventa un dramma che talora si conclude con il suicidio. VI. Una difficile collocazione internazionale Come si è detto, le relazioni internazionali del Giappone per lungo tempo sono state caratterizzate dall’allineamento alla politica statunitense, sebbene l’azione di Tokyo si sia sviluppata soprattuto attraverso gli interventi di carattere economico, tanto con la crescita degli aiuti allo sviluppo, quanto con investimenti in altri Paesi. Per il governo è sempre stato di particolare importanza mantenere buone relazioni con i Paesi fornitori di materie prime o esportatori di prodotti finiti. Facciamo un esempio. Dal Vicino Oriente, nel 1988, sorse per il Giappone un problema internazionale. Nella guerra del golfo, l’Onu inviò contro l’Iraq una forza di combattimento e chiese al Giappone di partecipare alle fasi di appoggio. La richiesta pose gravi problemi al governo di Kaifu Toshiki, in quanto la Costituzione vieta la partecipazione del Giappone a qualsiasi azione militare. L’avvio del confronto tra movimento pacifista e mondo politico, peraltro diviso al suo interno, sul problema di interpretare la Costituzione in modo restrittivo ovvero estensivo, si concluderà nel 1992, con l’approvazione in Parlamento di una norma che consente al Corpo di sicurezza nazionale di partecipare alle operazioni di peace-keeping delle Nazioni Unite in Cambogia. Con la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la diplomazia giapponese ha tentato, in più occasioni, di trovare con la Russia un accordo per la restituzione delle isole a nord dello Hokkaidō, tuttavia senza successo. Nel loro complesso, le relazioni diplomatiche del Giappone presentano parecchi punti di tensione e difficoltà. 66 Le capitali asiatiche imputano al Giappone di non avere fatto i conti con la sua storia e di mantenere una cospicua e minacciosa forza di intervento militare. Dall’ultimo decennio del XX secolo, le linee di politica internazionale di Tokyo, seppur con cautela, tendono all’aggregazione del Giappone come potenza regionale. Nel 2006 il Giappone ha ritirato il suo contingente militare dall’Iraq, e nel 2007 ha visto coronati i suoi sforzi, come responsabile della missione Untac in Cambogia, per l’avvio dei processi di guerra commessi dai khmer rossi. VII. Dalla grave recessione alla ripresa economica Il Giappone, tra la fine della seconda guerra mondiale e l’ultimo scorcio del Novecento, da Paese con un apparato industriale ridotto del 70 per cento è diventato la seconda potenza economica del mondo. Questo percorso è stato costellato da grandi successi e da crisi che comunque l’economia giapponese ha sempre superato brillantemente. Nei primi anni Novanta scoppiò però il baburu ekonomi. Nel 1997 il mondo finanziario è stato percorso da una grave crisi, avviata dal fallimento di cinque banche a causa della inesigibilità dei prestiti concessi von estrema disinvoltura durante l’economia della bolla. Negli anni seguenti si assiste alla fusione delle banche sino ad allora considerate il nucleo dei gruppi finanziari. Questa fusione ha in parte modificato le dinamiche interne ai due keiretsu e a ciò si aggiunse, nel settore industriale, il fatto che tra i colossi dell’auto, la Toyota e la Mitsubishi hanno attuato drastiche riduzioni di personale. 67
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