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Storia del Giappone (Gatti e Caroli), Sintesi del corso di Lingua Giapponese

Storia del Giappone fino alla fine del periodo Edo. Modulo A di Letteratura Giapponese

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 07/12/2020

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Scarica Storia del Giappone (Gatti e Caroli) e più Sintesi del corso in PDF di Lingua Giapponese solo su Docsity! Rosa Caroli e Francesca Gatti Storia del Giappone 1 STORIA DEL GIAPPONE Modulo A L'introduzione del Buddhismo in Giappone Nato verso la fine del VI secolo a.C. in India, il Buddhismo individua le cause della sofferenza umana nelle passioni, da cui è possibile liberarsi attraverso il progressivo annullamento della propria individualità, di quello che, in termini moderni, potremmo definire il "senso di sé"; una pratica, questa, che si esplica nel corso di una serie di reincarnazioni (ciclo del Samsara) sino al raggiungimento del nirvana, uno stato di completo annullamento dell'io che interrompe il ciclo karmiko della reincarnazione e segna il passaggio alla felicità e alla salvezza finale. Il buddhismo incominciò a penetrare nell'arcipelago nipponico nella prima metà del VI secolo, esattamente un millennio dopo la sua nascita. L'introduzione della nuova religione è posta in relazione a un episodio che, secondo il Nihon Shoki, risalerebbe al 552, anche se la data ufficiale dell'introduzione del buddhismo in Giappone risalirebbe al 538. Si narra che il sovrano di Paekche (regno in Corea) inviò a Kinmei, il capo del clan Yamato, una statua e alcune scritture buddhiste, con allegata un lettera dove il Re coreano spiegava i vantaggi derivanti da questa dottrina. Appare evidente come, da disciplina spirituale finalizzata ad annullare i desideri, il buddhismo si fosse trasformato in una sorta di potente forma magico-rituale in grado di soddisfarli. La contrapposizione tra i fautori e gli avversari dell'introduzione della nuova dottrina va considerata come uno scontro tra clan che cercavano di tutelare i loro interessi. Non a caso a favore del buddhismo si schierarono i Soga, immigrati dalla penisola coreana, e che, occupando un ruolo di mediazione tra le due zone, erano favorevoli al proseguimento degli scambi con il continente. La difesa del culto indigeno fu sostenuta da quanti ricavavano potere da esso, come il clan Nakatomi. Il confronto tra i due schieramenti sfociò in uno scontro militare, che vide vittoriosi i Soga. Da questo momento in poi un costante flusso di nuove idee arrivò dalla Cina, il quale contribuì allo sviluppo di uno stato unificato sotto la guida di un sovrano. L'introduzione del buddhismo stimolò una nuova trasformazione del paese, la quale si verificò a partire dalla metà del VI secolo, che segnerebbe quindi la fine del periodo Kofun. Il 587, anno della vittoria dei Soga, determinò l'effettiva adozione della nuova religione tra le élites dominanti. Sempre in relazione al buddhismo troviamo l'introduzione della scrittura, importata dalla Cina. Vediamo la stesura del Kojiki e del Nihon Shoki, compiendo così un passaggio importante nella cronologia della successione imperiale; si chiude la lista degli imperatori mitologici e prende avvio la successione dei sovrani storici. PERIODO NARA 710-794 La creazione di uno Stato imperiale Dopo aver sconfitto i suoi avversari, Soga no Umako si impegnò per consolidare il proprio potere a corte, facendo uccidere l'imperatore in carica che, pur essendo suo nipote, contrastava le ambizioni del capo Soga. Nel 592 salì così al trono l'Imperatrice Suiko, che fu la prima donna ad accedere a questa carica. Allo stesso tempo, un principe sposato con una donna Soga divenne reggente, sesshō, assumendo di fatto il controllo del governo. Costui, Shōtoku Taishi, occupa una posizione di rilievo nella storia del Giappone. A Taishi è attribuita l'opera di consolidamento del governo a quel tempo, con il probabile scopo di rafforzare il potere della famiglia Soga. Egli avviò contatti diretti con la Corte dei Sui e provvide a introdurre importanti riforme ispirate al modello cinese. Nel 603, infatti, fu istituito un sistema di dodici ranghi di Corte, la cui assegnazione spettava al sovrano sulla base delle priorità che egli riteneva consone. A Taishi è anche attribuita la stesura della cosiddetta “Costituzione dei diciassette articoli”, scritta in cinese ed emanata nel 604. Essa contiene un elenco di precetti e regole morali ispirati a valori confuciani, buddisti e taoisti. Lo scopo di questo documento è quello di affermare il diritto sovrano e di eliminare il potere degli uji, sostituendolo con una sorta di burocrazia, composta Rosa Caroli e Francesca Gatti Storia del Giappone 2 di ministri e funzionari. L'autorità da loro esercitata a livello locale deve rispecchiare il potere centrale, e mai sostituirsi a esso. L'Imperatore rappresenta il legame tra cielo e terra, pertanto costituisce la guida per tutto il popolo. Dopo la morte di Taishi, avvenuta nel 622, i Soga vennero spazzati via da un colpo di stato, il quale avvenne il primo anno dell'era Taika. L'anno successivo l'Imperatore promulgò un editto, con lo scopo di rafforzare la centralizzazione della Corte. L'editto provvedeva ad abolire tutti i titoli che garantivano i privilegi locali, ovvero i possedimenti privati, assegnando il controllo delle terre e dei suoi abitanti al sovrano. Inoltre, introduceva un sistema amministrativo che prevedeva la nomina di funzionari, i quali dovevano servire l'imperatore con fedeltà e obbedienza. Il territorio fu organizzato in province a capo delle quali erano posti i governatori provinciali. Le province a lor volta erano suddivise in distretti, guidati da capi di distretto selezionati dal governo centrale a i membri della nobiltà locale. Come terzo provvedimento, si sanciva l'istituzione di registri di censo e delle tasse. La riforma Taika prevedeva che la popolazione contadina venisse registrata per famiglie, che fungevano da unità di base per l'assegnazione delle terre e per il pagamento delle tasse. L'editto Taika inaugurò una stagione di riforme finalizzate a subordinare le terre e i capi locali all'autorità centrale, a contenere il potere delle famiglie importanti vicino alla corte e a provvedere un sistema economico atto a sostenere le nuove istituzioni statali. L'opera riformatrice proseguì sino a quando una disputa per la successione al trono riportò il paese in uno stato di guerra. Da questo scontro emerse un nuovo imperatore, che fondò il proprio potere sulla forza militare. Si parla dell'imperatore Tenmu, che regnò fino al 686. Egli è ricordato per aver ristrutturato il sistema dei titoli onorifici. Questo nuovo sistema di ranghi segnò un rallentamento nella gerarchia politica, consentendo all'Imperatore di far promuovere i propri alleati e di far retrocedere i propri nemici. Le grandi capitali imperiali Nel 694 fu sperimentata la prima capitale stabile a Fujiwara. La scelta, però, non si sarebbe rivelata felice, dato che dopo soli dieci anni la capitale fu spostata a Nara. Nel 702 venne emanato il Codice Ritsuryō, il quale si compone di due parti fondamentali: le leggi penali (ritsu) e le norme amministrative (ryō). Questo codice fu l'ultimo atto del processo di centralizzazione del potere iniziato con l'editto Taika. Il Codice, entrato in vigore nel 702 e revisionato nel 718, gettò le basi del sistema amministrativo che sarebbe rimasto in vigore sino alla metà del XIX secolo, il quale prevedeva il definitivo superamento del sistema Uji e la creazione di una massa di “sudditi”, intese come persone pubbliche (kōmin) sottoposte all'Imperatore e classificati sulla base del rapporto che li legava al sovrano. In generale, questo codice seguiva le forme e i principi di quelli cinesi. La struttura di governo risultò organizzata sulla base di quanto già previsto dall'editto Taika. Al già menzionato Dajōkan, il Consiglio di Stato incaricato dell'amministrazione civile, infatti, si affiancava un ministero delle Divinità. Queste furono le istituzioni politiche, economiche e sociali adottate dal governo che, nel 710, si trasferì a Nara. Nel 712 fu ultimata la stesura del Kojiki in tre volumi. Il testo era scritto in puro giapponese con un complicato uso degli ideogrammi cinesi. Pur contenendo molte informazioni riguardo gli usi e i costumi dell'epoca, dal punto di vista storico il testo risulta poco attendibile. Assai più attendibile, invece, è il Nihon Shoki, ultimato nel 720 e ispirato al modello di storie ufficiali cinesi. Scritto in lingua cinese, esso si compone di trenta volumi che narrano le vicende del Giappone sino al 697, riportate con un rigoroso ordine cronologico e abbastanza attendibili in riferimento agli ultimi tre secoli della narrazione. Entrambe le opere avevano come scopo la legittimazione del diritto perpetuo della dinastia regnante. Nel corso del periodo Nara, il nesso tra religione e Stato fu tale da aprire una pericolosa disputa per il potere all'interno della stessa Corte. Salita al trono nel 749, l'imperatrice Kōken fu una fervente buddista. Nel governo, l'Imperatrice fece affidamento su due ministri della famiglia Fujiwara sino a quando, nel 758, ella abdicò in favore dell'Imperatore Junnin, per ritirarsi a vita monastica. La fiducia riposta in un monaco, Dōkyō, che ella riteneva l'avesse guarita da una malattia, la indusse a concedergli vari titoli e privilegi, grazie ai quali il monaco assunse un tale potere da richiedere, nel 764, un intervento armato contro di lui. Ma il monaco riuscì a sventare l'attacco militare, mentre l'ex Imperatrice riaccedette al trono in quello stesso anno con il nome di Shōtoku. L'Imperatrice poté quindi elevare la posizione del monaco attribuendogli alte cariche. Il potere buddista dominava ormai la Corte e l'ambizioso monaco pretese di essere nominato Imperatore. Di fatto, la fine del potere d Dōkyō fu determinata dalla morte dell'Imperatrice, avvenuta nel 770, a seguito della quale il monaco fu esiliato dalla capitale. La vicenda che vide protagonista Shōtoku spinse la Corte ad assumere un più equilibrato rapporto con la religione buddista e a guardare con maggiore interesse a una filosofia laica, il Rosa Caroli e Francesca Gatti Storia del Giappone 5 modo sempre più esclusivo da gruppi di professionisti, appellati con varie designazioni, tra cui bushi o saburai, da cui sarebbe derivato il termine samurai. Con il passare del tempo essi andarono assumendo il controllo sulle terre agricole grazie al fatto che la forza militare che detenevano li rendeva competitivi rispetto persino alle grandi famiglie dell'aristocrazia civile, le quali avevano tradizionalmente mostrato un profondo disprezzo per le armi e per l'attività militare. Così, l'ascesa di questi gruppi di guerrieri fu accompagnata dal declino dell'aristocrazia civile e dal progressivo superamento della struttura di potere imperiale. Questi guerrieri professionisti consolidarono un'identità di gruppo definita, dotandosi di norme comportamentali, coniando una cultura propria, acquisendo uno status ereditario e stabilendo al loro interno una rete di rapporti gerarchici fondati su legami di natura personale. Anche in questo caso i vincoli di parentela, reali o meno che fossero, svolsero un ruolo importante per stabilire un legame tra i membri di una casata, guidata da un capo e dalla sua famiglia. Il tramonto dell'era dei kuge Il ricorso alle armi rappresentava sempre più il mezzo per dirimere i contrasti politici e per risolvere le dispute per il controllo delle terre, beneficiando in primo luogo i detentori del potere militare, cioè le grandi famiglie guerriere delle province e le istituzioni buddhiste. Il mantenimento del governo civile venne così a dipendere in modo crescente dalla classe militare, come dimostrò la guerra civile che si scatenò nel 1156, la rivolta dell'era Hōgen. L'Imperatore in ritiro Sutoku non era riuscito nel suo intento di porre suo figlio sul trono, cui era invece asceso Go Shirakawa. Ma i veri protagonisti dello scontro furono i due clan Taira e Minamoto, i quali discendono da membri della famiglia imperiale. I primi discendevano dal figlio dell'Imperatore Kanmu ed erano guidati dal leader Kiyomori, mentre i secondi appartenevano al ramo Seiwa del clan Minamoto (o dei Genji). I Taira appoggiarono la causa di Go Shirakawa, e nel 1156 riuscirono a sconfiggere i Minamoto, sostenitori dell'Imperatore in ritiro. La vittoria riportata dai Taira segnò l'inizio di una fase di supremazia esercitata da questo clan in vari ambiti della vita politica ed economica del paese. Il potere di Kiyomori si fondò anche sul ricorso al dispotismo e alla violenza, così le potenti famiglie guerriere e le grandi istituzoni religiose si raccolsero sotto la guida del capo dei Minamoto, Minamoto Yoritomo, il quale sconfisse i Taira e uscì vittorioso dalla guerra Genpei, che sconvolse il paese tra il 1180 e il 1185. La guerra terminò con la battaglia navale di Dannoura. In questa celebre battaglia, la nave che trasportava l'Imperatore bambino, nipote di Kiyomori, e altri membri della corte affondò causando la perdita della spada, uno dei simboli dell'autorità imperiale. Gli sviluppi interni e la minaccia dal continente La vittoria riportata dai Minamoto sancisce l'inizio del periodo Kamakura, durante il quale fu creato un centro di potere alternativo ed esterno alla Corte, guidato dall'élite militare. Sul piano economico-sociale si andò registrando un marcato incremento delle tenute shōen controllate dalle famiglie guerriere. Yoritomo preferì creare un centro di potere ex-novo; si tratta del Bakufu, o governo della tenda, termine che indica il governo militare a carattere nazionale presieduto dai capi guerrieri, detti shōgun. Si è già accennato a come, in passato la carica di seii tai shōgun fosse stata conferita dal governo imperiale ai capi degli eserciti inviati alle frontiere nord-orientali. Tuttavia, a partire dal 1192, anno in cui l'Imperatore Go Toba lo assegnò a Yoritomo, tale carica assunse un significato inedito nella misura in cui essa implicò non più solo il conferimento di poteri militari, ma anche la delega di potere politico, che sino ad allora era stato esercitato in modo esclusivo dalla dinastia regnate e dalle famiglie kuge. In tal senso, il bakufu divenne il luogo verso cui il controllo amministrativo e militare del Paese sarebbe andato progressivamente accentrandosi. Il ruolo del bakufu crebbe proporzionalmente alla riduzione della capacità del governo imperiale di svolgere i propri compiti e alla conseguente delega dei poteri fatta al governo militare. Nel corso del periodo Kamakura tale processo si verificò solo in parte, generando una sorta di governo duale. Nel 1185, dopo aver eliminato il fratello Yoshitsune, Yoritomo ottenne il titolo di sōtsuibushi, capo della polizia militare. La delega a Yoritomo rappresentò un riconoscimento formale della Corte imperiale al nuovo governo che egli aveva istituito a Kamakura, e il 1185 è spesso considerato come la data di transizione al feudalesimo in Giappone. I poteri di Yoritomo furono ulteriormente estesi nel 1190, quando ricevette le nomine di sōshugo (capo dei governatori militari) e sōjitō (capo degli interdenti terrieri Rosa Caroli e Francesca Gatti Storia del Giappone 6 militari), designando l'amministratore delle tenute di alti funzionari della Corte incaricato di raccogliere le imposte. L'effettiva legittimazione giunse nel 1192, quando Yoritomo ottenne la più alta carica militare, quella di shōgun inviato contro i barbari, che effettivamente egli riuscì a sottomettere estendendo la frontiera del Giappone sino all'estremità settentrionale dello Honshū. Yoritomo morì nel 1199, lasciando due giovani figli, Yoriie e Sanetomo, avuti da sua moglie Hōjō Masako. Dopo la morte del marito, costei si fece monaca pur senza rinunciare a esercitare il potere a beneficio della sua famiglia d'origine. Alla disputa accesasi tra i vassalli di Yoritomo, fu posta fine con la nomina di Yoriie a shōgun e con la successione del giovane Sanetomo nel 1203; in questo stesso anno il nonno materno, Hōjō Tokisama, assunse la carica di shikken, grazie alla quale riuscì a ottenere la carica di reggente dello shōgun. Da allora, sino alla fine del periodo Kamakura, la famiglia Hōjō gestì il potere a Kamakura attraverso il monopolio sulla carica di shikken e il controllo sulle alte cariche del governo militare. La propagazione della fede buddhista fu accompagnata dal moltiplicarsi di centri religiosi in tutte la zone del paese. L'aristocrazia guerriera trovò un sostegno culturale in una nuova scuola buddhista, quella Zen. Lo Zen è legato soprattutto alla figura del monaco Dōgen, egli diede una visione intellettuale alla sua speculazione metafisica, rifugiandosi a meditare in remote zone montane e suggerendo un modello di vita del tutto svincolato dai problemi e legami contingenti. Per la nuova classe dirigente risultò di particolare interesse il fatto che, attraverso la disciplina mentale, l'individuo potesse giungere a una conoscenza interiore e ottenere fiducia in se stesso, forgiando in tal modo una personalità solida e decisa. Nel 1266, Qubilai Qan inviò al Giappone la richiesta di sottomettersi alla sua autorità. Di fronte al rifiuto opposto dagli Hōjō, i mongoli reagirono inviando una spedizione navale che raggiunse le coste del Kyūshū nel 1274. Tuttavia, un tifone spazzò via la flotta mongola. Gran parte delle energie del Paese fu così impiegata per edificare una difesa di fronte a un successivo attacco, che giunse nel 1281. Dopo due mesi di aspri scontri, di nuovo l'arrivo di un tifone costrinse il nemico a ritirarsi. Le attività di difesa costiera proseguirono almeno sino alla fine del secolo, impegnando gran parte delle finanze del bakufu. L'impresa era costata molte energie e vite umane, mentre il successo riportato contro i mongoli non aveva fruttato alcun bottino di guerra da dividere tra i vincitori. Kamakura non era in grado di risarcire le famiglie delle vittime e quanti ritenevano di meritare una giusta ricompensa. L'incapacità dimostrata da Kamakura nel far fronte alle richieste dei suoi creditori finì con il minare l'ideale di governo giusto, su cui il bakufu si era sino ad allora fondato. La restaurazione Kenmu e la transizione al secondo periodo medievale Già verso la fine del XIII secolo si ravvisavano i sintomi della crisi del potere degli Hōjō, fu in questo aspro clima che prese forma la restaurazione Kenmu, finalizzata a riportare la guida del paese nella mani dell'Imperatore. L'artefice di questo tentativo di restaurazione fu Go Daigo, divenuto imperatore nel 1318. al fine di ottenere maggior potere, nel 1321 provvide ad abolire il sistema degli Imperatori in ritiro. Ma per realizzare le proprie ambizioni, occorreva aprire una disputa con il governo di Kamakura che andava ben oltre il piano politico; pertanto, Go Daigo cercò di guadagnarsi l'appoggio militare di quanti auspicavano la fine degli Hōjō. Nel 1331 Kamakura reagì punendo gli esponenti di rilievo del “complotto” e, quindi, inviando uomini armati a Kyōto. Dopo un breve e infruttuoso tentativo di difendersi, Go Daigo fuggì dalla capitale portando con sé i simboli del potere imperiale, il cui possesso serviva a legittimare la posizione del sovrano. Egli fù però catturato e riportato a Kyōto, dove venne deposto a favore di un membro della linea principale, e quindi condannato all'esilio. Ciò non impedì al fronte lealista dell'Imperatore di consolidarsi e di resistere alle truppe di Kamakura, né a Daigo di fuggire nel 1333 dall'isola in cui era stato confinato. Kamakura inviò quindi due truppe con a capo due generali. Uno dei due morì, e rimase solo Ashikaga Takauji al comando. Trovandosi da solo alla guida delle milizie, Takauji non esitò a compiere un atto di insubordinazione schierandosi dalla parte dell'Imperatore Daigo, rivolgendo le proprie truppe contro gli Hōjō. Il suo ingresso a Kyōto nel 1333, dove sconfisse la resistenza shogunale, fu seguito da quello di Go Daigo, che si riprese la capitale. Nel frattempo, Nitta Yoshisada completava la rovina degli Hōjō attaccando Kamakura e distruggendo le sue istituzioni. Questi eventi segnarono la fine del bakufu di Kamakura, mentre a Kyōto Go Daigo proclamò l'inizio dell'era Kenmu nel 1334 e diede inizio al suo progetto di restaurazione del potere. In realtà, se in un primo momento l'alleanza filoimperiale si coagulò attorno a un comune obiettivo di eliminare la supremazia degli Hōjō, il vero scopo che mosse i grandi clan guerrieri fu quello di partecipare alla competizione per ottenere maggior potere. Takauji, che disponeva Rosa Caroli e Francesca Gatti Storia del Giappone 7 di una forza militare maggiore di quella di qualunque altro capo militare, si ritenne insoddisfatto delle pur importanti carche ottenute in alcune province orientali e, ancor più, del fatto che l'Imperatore aveva concesso il titolo di shōgun a suo figlio, il principe Morinaga. Nel 1336, dopo essersi ribellato al sovrano e aver sconfitto le truppe imperiali, Takauji poté di nuovo entrare trionfante a Kyōto, dove provvide a deporre Go Daigo, sostituendolo con un Imperatore della linea principale. Qui Takauji stabilì la sede del suo governo, che ricevette la definitiva legittimazione nel 1338, anno in cui egli ottenne la carica di shōgun. Ma la vittoria di Takauji e la nascita del bakufu a Kyōto non riportarono la pace nel paese, che continuò a essere afflitto da turbolenze interne, fazionalismi e lotte civili da cui sarebbero scaturiti nuovi equilibri di potere. PERIODO MUROMACHI 1338-1573 Il bakufu degli Ashikaga Sebbene il bakufu degli Ashikaga restasse formalmente in vita per circa due secoli e mezzo, il suo effettivo potere sarebbe andato declinando trasferendosi nelle mani dei grandi capi militari locali, in un generale clima di tensione che avrebbe portato il Giappone a vivere un lungo periodo di guerre civili. Nel gettare le basi del suo governo, Takauji si ispirò al modello del precedente bakufu. L'assetto del governo centrale rispechiò quello di Kamakura, fondandosi sul Samurai dokoro (Ufficio degli affari militari), il Mandokoro (Ufficio amministrativo) e il Monchūjo (Ufficio investigativo). La carica più elevata era quella di kanrei, o capo dell'amministrazione assegnata in genere ai membri di tre potenti vassalli dello shōgun. Takauji delegò buona parte delle responsabilità amministrative e giudiziarie a suo fratello Tadayoshi, riservandosi 'autorità militare attraverso il controllo del Samurai Dokoro. Fuori da Kyōto, l'autorità del bakufu era rappresentata dai delegati regionali. Il controllo sulla Corte, invece, non fu più delegato a funzionari, ma garantito dalla prossimità della sede del bakufu con il palazzo reale. All'indomani della conquista della capitale, Takauji si trovò impegnato ad assicurarsi il controllo del paese. Poco dopo essere stato deposto, infatti, Go Daigo era riuscito a fuggire. Ebbe così inizio una contesa per la legittimità del potere tra due rami della dinastia reale. La contesa, accompagnata da sanguinosi scontri armati, si sarebbe protratta sino al 1392, anno in cui l'ultimo sovrano della Corte meridionale rinunciò alle proprie pretese, sanando la frattura interna alla famiglia reale e consentendo agli Ashikaga di estendere il proprio dominio su tutto il paese. Il bakufu, pertanto, non mostrava più di fungere da garante per i diritti e dispensatore di potere e giustizia com'era stato in passato, e ciò contribuì a rendere meno solido il sistema di alleanze. Alla sua morte, avvenuta nel 1358, Takauji lasciò quindi un'eredità tutt'altro che solida e stabile. Il terzo shōgun, Ashikaga Yoshimitsu, fu nominato quando era ancora un bambino. Nel periodo in cui fu alla guida del bakufu tentò di consolidare il suo governo, rafforzando il controllo sulle casate guerriere, impose così a un certo numero di shugo l'obbligo di stabilire la propria residenza nella capitale. Ma i successori di Yoshimitsu non furono altrettanto bravi nell'esercizio del potere e del prestigio del bakufu, che cominciò a declinare dopo la sua morte, avvenuta nel 1408. Sul piano economico, il bakufu risentì, oltre che dell'incapacità di difendere i propri interessi fondiari, anche nella progressiva perdita del controllo sul commercio con la Cina, che passò nelle mani di grandi famiglie guerriere. Nel 1467, primo anno dell'era Ōnin, le tensioni e le contese tra vassalli presero la forma di un'aspra guerra, che scaturì da una disputa tra gli Hosokawa e gli Yamana legata alla successione shogunale. La guerra Ōnin segnò l'inizio di un lungo periodo di guerre civili, detto Sengoku, che durò circa un secolo. Ma se a livello formale le cariche di Imperatore e di shōgun continuarono a rappresentare dei simboli di uno stato unificato, esso venne di fatto diviso in una serie di realtà autonome, del tutto svincolate dal controllo centrale. Ciò diede vita a quello che i giapponesi chiamano gekokujō e che sta a indicare il sovvertimento dell'ordine gerarchico. Questo aspro confronto, in cui venne meno ogni vincolo di fedeltà al superiore e che parve generare un completo decadimento dei valori di riferimento, fu il tratto caratteristico del periodo detto appunto Sengoku. L'affermazione dei sengoku daimyō segnò dunque la dissoluzione del sistema shōen. Costituite di terre e castelli, queste nuove unità avevano preso forma attorno all'effettiva possibilità di controllo esercitata dal daimyō, il quale assorbì i diritti amministrativi e di proprietà sulle terre, assumendo così le sembianze di un vero e proprio feudatario. All'interno del proprio dominio il daimyō, del tutto svincolato da ogni forma di governo centrale, provvedeva a emanare codici legali, a organizzare i propri seguaci, a ordinare i rilevamenti fondiari, esercitando un efficace controllo dal suo castello. L'inversione di rotta al processo che, nel corso del periodo Sengaku, aveva condotto a un totale decentramento Rosa Caroli e Francesca Gatti Storia del Giappone 10 shōgun, pertanto, era il più ricco daimyō del Giappone, controllando i maggiori centri economici, le fonti di metallo e un'altra percentuale delle rendite agricole prodotte nel paese. Su questa struttura di potere i Tokugawa fondarono la propria autorità, legittimata dalla delega dei pieni diritti di governo concessa dall'Imperatore allo shōgun. Le funzioni a esso delegate prevedevano che esgli detenesse il dominio del Paese, regolasse le questioni tra daimyō e tra le istituzioni religiose, defiinisse la politica nazionale in campo fiscale e militare, gestisse gli affari esteri, e soprattutto disponesse della totalità delle terre. Anche la condotta dei daimyō fu sottoposta a una normativa emanata nel 1615 ed emendata nel 1635. Questa proibiva di aderire al Cristianesimo e disciplinava le modalità del sistema di ostaggi. Tale pratica sottraeva una cospicua parte delle risorse finanziarie degli han. Lo shōgun operava con l'ausilio di due organismi: il Consiglio degli anziani e il Consiglio dei meno anziani. In prossimità del castello di Edo fu pure stabilita un'Alta corte di giustizia, simbolo del potere esercitato dal bakufu sul piano nazionale. Questo modello di amministrazione era ricalcato anche in ogni singolo han, all'interno del quale il daimyō godeva di un alto grado di autonomia, pur nei limiti imposti dall'autorità centrale. Fu questo, dunque, il sistema politico creato sotto i Tokugawa, dove nella compresenza di un'autorità nazionale rappresentata dal bakufu e di un certo numero di possedimenti gestiti autonomamente dai daimyō si riscontra il carattere di un feudalesimo centralizzato, che gli storici giapponesi chiamano sistema bakuhan. L'efficacia di questo sistema dipese dalla capacità dei Tokugawa di garantire un equilibrio nei rappporti di potere con i grandi signori feudali e fu sorretto dall'adozione di appropriate misure sociali e di un'ideologia di regime finalizzata a mantenere lo status quo. La legislazione Tokugawa riconosceva anche un precisa stratificazione sociale, con la presenza di categorie privilegiate e categorie considerate ai margini della società. Poiché la maggior parte degli artigiani e dei mercanti si concentrava nei centri urbani, essi nel complesso venivano definiti chōnin (persone delle città), ed erano considerati una categoria dedita a mansioni extra-amministrative ed extra-agricole. In fondo troviamo le categorie più umili e di infima reputazione, secondo la società di allora, ovvero gli eta (pieni di sporcizia) e gli hinin (non esseri umani), raggruppati sotto la denominazione di senmin (persone di basso rango). Per ciascun livello furono sancite norme adeguate allo status. Alla rigidità di questo ordine sociale contribuì poi la concezione secondo cui esso fosse regolato da una legge naturale, che non consentiva all'individuo di cambiare la condizione sociale ereditata sin dalla nascita, cui egli era vincolato per l'intera esistenza. L pilastro ideologico dell'ordinamento politico e sociale fu rappresentato dalla dottrina sociale neoconfuciana, che servì ad avallare il potere dei governanti e fornire una base etica per la condotta pubblica e privata dei giapponesi. Inoltre nel 1635 fu vietato ai giapponesi di recarsi fuori dal paese e, a quanti si trovavano all'estero, di tornare in patria. Il Giappone entrava così nell'era Sakoku (“paese chiuso”), nel corso della quale i contatti con il mondo esterno furono controllati da Edo e limitati, oltre che a Nagasaki, ad altre tre località. Così, se l'epoca Azuchi-Momoyama era stata caratterizzata da una marcata espansione delle attività commerciali, da una vivace partecipazione dei mercanti giapponesi ai traffici d'oltremare e da un proficuo scambio con la cultura e la tecnologia europee, dopo l'instaurazione del regime Tokugawa il Giappone si ritrasse progressivamente dalle vicende che riguardavano il mondo esterno. L'assetto economico, sociale e politico del periodo Tokugawa la politica del sakoku pose forti limitazioni al commercio internazionale, tanto che lo sviluppo economico si fondò in modo precipuo sulla crescita del mercato interno. Questo determinò l'insufficienza crescita delle entrate fiscali degli han e l'emergere di un limitato numero di ricchissimi mercanti. Il lento incremento delle rendite di un certo numero di famiglie contadine favorì l'espansione dei mercati locali nei quali confluivano manufatti di uso quotidiano. In parallelo a questi commerci, la concentrazione a Edo dei daimyō o dei loro famigliari diede impulso alla formazione del mercato nazionale. Infatti, raccolte le imposte agricole e versati gli stipendi ai samurai, il daimyō e i bushi dovevano inevitabilmente affidarsi all'attività dei mercanti per convertire i prodotti agricoli nelle merci a loro necessarie. Emerse così la borghesia mercantile. Tsunayoshi diventò shōgun nel 1680 e inaugurò una nuova stagione dell'esercizio del potere. La fiducia dell'istituzione shogunale fu minata dalla dissennata e bizzarra condotta privata di Tsunayoshi, il quale visse in un lusso sfrenato, fu dedito ad attività omosessuali praticate in modo ostentato e divenne un fanatico protettore dei cani, finanche decretando severe pene contro il maltrattamento di questi animali e guadagnandosi così l'appellativo di shōgun cane. Il primo vero tentativo per risollevare le sorti del bakufu si ebbe sotto l'ottavo shōgun Tokugawa Yoshimune. Le riforme attuate sotto Yoshimune furono volte a risanare Rosa Caroli e Francesca Gatti Storia del Giappone 11 la crisi finanziaria del governo centrale e a ripristinare l'autonomia economica della classe militare. Yoshimune tentò di controllare il potere del ceto mercantile attraverso le concessioni di licenze ufficiali a case commerciali, mentre la moratoria di tutti i debiti contratti dai bushi intendeva riequilibrare il rapporto tra la classe militare e quella mercantile. Le riforme dell'era Kyōhō nel complesso, tuttavia, non riuscirono ad assicurare una solida base alle finanze shogunali né a risolvere i problemi strutturali del sistema socio-economico del Giappone Tokugawa. In sintesi, le riforme emanate a partire dai primi decenni del XVIII secolo testimoniano come la classe dirigente, nazionale e locale, ricercasse gli strumenti appropriati per fronteggiare le ricorrenti crisi, le quali mostrarono in modo sempre più palese le contraddizioni insite nel sistema Tokugawa. Come vedremo, su questi problemi di natura interna si innescarono nuove tensioni, scaturite dagli eventi che, nel frattempo, stavano avvenendo in Occidente e che andavano investendo anche l'Asia Orientale, compreso il Giappone. Società, cultura e attività intellettuale del periodo Edo. Se buona parte del regime Tokugawa fu caratterizzata dalla limitazione dei contatti con il mondo esterno, in questo periodo si ebbero mutamenti significativi per quanto concerne l’organizzazione politica, la struttura sociale, l’assetto economico e l’ambito culturale, i quali segnarono la transizione del Giappone al mondo moderno. È ormai evidente come nel periodo Edo risiedano le basi del rapido sviluppo che il Giappone Meiji conobbe in ambito economico-sociale, così come in quello culturale. La marcata crescita economica fornì nuove opportunità alla distribuzione della ricchezza. Ciò introdusse una serie di elementi politicamente destabilizzanti, com’è testimoniato dall’arricchimento sia di una parte della classe contadina, sia delle categorie legate alle attività commerciali, da cui sempre più spesso vennero a dipendere economicamente i samurai. Quest’ultimi, infatti, beneficiarono solo marginalmente del progresso economico. La società idealizzata del regime Tokugawa, e organizzata attorno alla priorità dell’attività agricola, dovette confrontarsi con il progressivo sviluppo dell’economia mercantile. In alcuni han si svilupparono centri importanti, come Kanazawa e Nagoya. In quello stesso periodo, Edo si era trasformata nella più estesa e popolosa metropoli del paese. Le città castello vennero così a essere popolate da una varietà di persone che stabilivano tra loro contatti diretti e rapporti di reciproca dipendenza, condividendo uno stile di vita urbano. Dunque, la classe guerriera risultò essere assai meno separata dal resto della società, mentre i chōnin2 andavano acquisendo un rilevante ruolo economico. A eccezione dello shōgun e dei daimyō, la classe militare era costituita da amministratori stipendiati che risiedevano nelle zone urbane, vincolati ai loro compiti di governo da uno status ereditario. Eredi della nobile tradizione militare, essi godettero del diritto esclusivo di portare due spade3. Conformemente all’ideale bumbu, la cultura, bun, era per loro un dovere pari a quello delle arti marziali, bu, e ciò contribuì a trasformare la classe militare in una élite istruita. Nel complesso i samurai diedero al paese un governo di certo autoritario e rigoroso, ma di rado arbitrario e nel complesso poco efficace. Le leggi santuarie stabilivano per ogni classe sociale precise norme che regolavano vari aspetti della vita pubblica e privata. La stessa diffusione dell’educazione non fu limitata alla casta guerriera, interessando pure i ceti rurali ricchi e classi socialmente meno elevate delle zone urbane, dove fiorì una cultura di stampo borghese. Infatti, il progresso economico produsse un generale innalzamento di livello di vita, che fu accompagnato dall’allargamento dell’istruzione anche al di fuori dell’élite di potere e che contribuì a trasformare in modo significativo i costumi, le abitudini e il sistema di valori dei giapponesi. L’accresciuta possibilità di accesso all’istruzione fu resa possibile dalla creazione di numerose accademie private, le shijuku, finanziate dall’amministrazione degli han. I centri urbani, infatti, rappresentarono la culla di una nuova e vivacissima cultura popolare. Espressione dei gusti, dei costumi, dei valori e delle aspirazioni di una borghesia cui era precluso l’accesso alla sfera politica e amministrativa, la cultura chōnin si orientò verso la ricerca di ciò che risultava essere piacevole e divertente, prediligendo in primo luogo i temi amorosi ed erotici. L’ideale dello ukiyo era ispirato da una visione effimera della vita, che imponeva di cogliere l’immediato godimento di una realtà sfuggente, fosse esso suscitato da un fenomeno della natura, da un sentimento amoroso, dall’ebrezza del sake, dal piacere di una gradevole compagnia o dal pur momentaneo distacco dei problemi quotidiani. Tale ideale veniva espresso in varie forme: nelle stampe e nei dipinti noti come ukiyoe; nella narrativa popolare dove primeggiano gli ukiyozōshi; nel teatro dei burattini e nel kabuki; 2 町人 (cittadino), La maggior parte di loro era mercanti, ma vi erano pure alcuni artigiani; 3 Una corta e l’altra lunga; Rosa Caroli e Francesca Gatti Storia del Giappone 12 nella poesia haiku. Il mondo animato e variopinto delle zone urbane, presso cui si riversavano le masse popolari, era costituito da negozi, teatri, bagni pubblici e sale da tè, nonché dai quartieri presso cui le prostitute erano state confinate per ordine shogunale. Il mondo fluttuante risultava attraente anche per i samurai i quali, entrando nei quartieri di divertimento, erano costretti a spogliarsi delle spade e a sottostare alle regole ivi imposte, tutte più o meno direttamente connesse alla disponibilità di denaro. La società chōnin, comunque, non era scevra dai doveri e dalle responsabilità, né priva di ideali superiori. Molti dei personaggi della letteratura chōnin sono oppressi dal conflitto tra dovere e istinto che trova spesso una soluzione drammatica, come nel caso del doppio suicidio d’amore, shinjuu. Il mondo dell’ukiyo rappresenta in sostanza, una fuga da una realtà densa delle restrizioni e delle inibizioni dettate dall’ideologia ufficiale. Durante tutto il periodo Edo si registrò un fermento intellettuale che interessò diversi livelli della società, costituendo un essenziale sostrato su cui si sarebbero fondati i progressi che il paese avrebbe compiuto dopo la ‘riapertura’ e con la modernizzazione. In questo stesso periodo nell’ambito degli studi confuciani si andarono creando zone di eterodossia. È in questo contesto che occorre ricordare l’attività degli studiosi di cose nazionali, kokugakusha o wagakusha, dediti a rivalutare la tradizione e i valori indigeni. Un personaggio da citare è sicuramene Motoori Norinaga, il quale dedicò tutta la sua vita alla compilazione del Kojiki den, il commento al kojiki in 48 libri, un capolavoro che ha reso possibile ai posteri la possibilità di leggere e comprendere l’opera redatta agli inizi dell’VIII secolo. Quel che appare rilevante è il risvolto politico dell’attività di Norinaga, dato che egli compì una rivalutazione degli antichi miti shintoisti e ripropose il ruolo storico del tennō, gettando in tal modo le basi ideologiche su cui si sarebbe fondata la restaurazione del potere imperiale nel 1868. Nel complesso, l’attività dei kokugakusha contribuì non solo a segnare il distacco dalla concezione sinocentrica che aveva a lungo dominato il mondo culturale e intellettuale giapponese, gettando le basi per il primato che il Giappone avrebbe asserito in Asia dopo il 1868, ma anche a preparare il terreno sia al ritorno allo Shintoismo e alla sua trasformazione in un culto di Stato nel periodo Meiji, sia al consolidamento di un’idea di identità nazionale, ispirata al principio di esclusività e di unicità. La crisi della società feudale e i prodromi4 dello Stato nazionale Nell’ultima parte del periodo Edo, si ravvisarono ormai i sintomi evidenti della crisi che investiva la società e il sistema economico feudale. Il malessere nelle zone rurali si manifestava con crescente ricorrenza sotto forma di insurrezioni rivolte contro le autorità feudali. Un ulteriore indice del disagio economico e sociale che affliggeva vari settori della classe agricola è rappresentato dal proliferare di movimenti religiosi di natura messianica, i quali si guadagnarono un forte seguito tra le masse contadine. Neppure le città furono immuni da esplosioni di violenza, che interessarono diversi strati della società urbana, compresi i samurai, tra i quali si registrò un diffuso malcontento dovuto alle difficili condizioni economiche in cui molti di essi versavano. Il fermento intellettuale, già stimolato dalle difficoltà politiche, economiche e sociali che si registravano sul versante interno, fu ulteriormente sollecitato dalle trasformazioni che stavano avvenendo nell’assetto internazionale. Un esempio fu il tentativo da parte della Russia di stabilire rapporti commerciali con il Giappone nel 1792, tentativo che però non ebbe riscontro positivo. La generazione dei fautori dell’adozione dell’adozione della scienza e della tecnologia occidentali per scopi difensivi ebbe modo di rendersi conto del reale pericolo che minacciava il proprio paese grazie alle notizie che giungevano dalla Cina, costretta ad accettare le umilianti condizioni che seguirono la sconfitta della guerra dell’oppio. Negli ultimi anni del regime Tokugawa5, esisteva dunque un fermento intellettuale che conferma senza dubbio l’esistenza di tensioni profonde nella società giapponese, ma che suggerisce anche l’immagine di un Paese dinamico alla ricerca di soluzioni capaci di far fronte alla crisi interna e alla pressione esterna. Il senso di crisi generato dall’atteggiamento che l’Occidente andava assumendo in Asia Orientale si intrecciò con la diffusa insoddisfazione che scaturiva di fronte alla palese incapacità dimostrata dal bakufu di attuare un’efficace politica di risanamento economico. Ciò ebbe l’effetto di aggravare la frattura tra governanti e governati, e di indurre le autorità di alcuni han a cercare di fronteggiare la situazione a livello locale. I tentativi più significativi si ebbero a Chōshū e a Satsuma. Chōshū attuò un programma teso a migliorare l’assetto agricolo e a ridurre 4 Segno o indizio che precede il manifestarsi di un fatto (di solito spiacevole); per lo più al pl.; 5 Cui gli storici giapponesi si riferiscono come periodo bakumatsu;
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