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Storia del giornalismo italiano di Paolo Murialdi capp. V-VI-VII-VIII-IX-X-XI-XII-XIII, Sintesi del corso di Giornalismo radiofonico e televisivo

Nel libro (e nei riassunti) si ripercorre la storia del giornalismo italiano dall'età delle gazzette fino agli anni duemila.

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 28/01/2016

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Scarica Storia del giornalismo italiano di Paolo Murialdi capp. V-VI-VII-VIII-IX-X-XI-XII-XIII e più Sintesi del corso in PDF di Giornalismo radiofonico e televisivo solo su Docsity! Capitolo 5 Giornali e giornalisti all’inizio del 900 La situazione giornalistica è ancora fragile, anche se ci sono prospettive di progresso per l’Italia (che verranno sviluppate da Giolitti): la popolazione è in crescita, e anche il reddito nelle regioni più sviluppate, si ampliano la rete ferroviaria e il servizio postale, viene reso più veloce il telegrafo. Con Giolitti aumenta la libertà di stampa, e dal 1913 il suffragio sarà esteso a tutta la popolazione adulta maschile. I giornali liberali sono usciti rafforzati dalla battaglia contro il disegno reazionario, e Giolitti usa la stampa come arma di battaglia mediante finanziamenti anche illegali, e pressioni esercitate dal governo e dai prefetti. Gli editori si preparano ad affrontare la prospettiva di un rinnovamento nell’industrializzazione della stampa, avviando quel processo che porterà l’Italia a livello europeo. La riduzione dei quotidiani è forte, anche in una città come Milano, dove i più grandi schiacciano i piccoli e ne assorbono i lettori. I tre forti dell’inizio del '900 sono il Secolo, il Corriere sera e La Tribuna, che tirano sulle 100.000 copie: la maggior parte delle testate è in deficit, e da anni si parla di “passivo pianificato”, ovvero la dipendenza dalla politica. In più un quotidiano in vendita a 5 centesimi, di 4 pagine, non è remunerativo se le inserzioni pubblicitarie sono poche. Ci sono poi i costi dei nuovi macchinari: la Linotype, presente soprattutto a Milano, e il cliché a retino, per le fotografie (ancora poco diffuso). Le imprese devono ricorrere, ad alleanze con gli industriali. Aumentano i formati (“grande”, a 5 colonne), e la foliazione (6 pagine che presto diventeranno 8), arrivano le testatine apposite per dividere gli argomenti. Va forte la cronaca, il teatro e le “recentissime”; resta il romanzo d’appendice (non più in prima pagina). I modelli restano il “Times”, “Le Matin” e il “Temps”, seri e seriosi: in prima pagina c’è posto solo per la politica e uno spunto culturale, e a volte per la corrispondenza di un inviato. I titoli sono sempre a una colonna fino a conclusione del decennio, quando iniziano a comparire i “titoli di taglio”(a due colonne, quando le pagine vengono spartite in 6 colonne). Procede la razionalizzazione del lavoro e nasce il “giornale collettivo”, con una struttura gerarchica dominata dal direttore e dal redattore capo che è il suo factotum per la realizzazione del giornale: gli inviati speciali acquistano a volte molta popolarità, come i cronisti giudiziari, il critico teatrale e il letterato. La cronaca cittadina fa da padrona, sia bianca che nera. La Stefani, principale fonte di notizie per i giornali grandi poichè i piccoli ritagliano notizie da quelli più tempestici, è ancora in condizioni di arretratezza. In più, durante Crispi si è impegnata in cambio di finanziamenti a non diffondere notizie “lesive gli interessi italiani”, e questo rapporto non cambia nell’era giolittiana. Nel 1900 ha 10 succursali di provincia, che diventano 14 dieci anni dopo, con un centinaio di corrispondenti per lo più non professionalizzati. Per le informazioni provenienti dall’estero si appoggia alla Wolff, a sua volta collegata con la Reuters. A volte il suo funzionamento si blocca, come nel caso dell’assassinio di Umberto I a Monza. La concorrenza fra quotidiani si basa sulla tempestività delle notizie, il prestigio delle firme, la cronaca cittadina e giudiziaria. La formula dei quotidiani italiani è “omnibus”, cioè per tutti, dominata però da un’impostazione elitaria e da una loro partecipazione attiva alla politica. La differenziazione fra giornali politici, di cronaca, popolari e di qualità da noi non è netta come fuori, o peggio non esiste. Sulla strada della diversità dei pubblici si sono avviati invece i settimanali di attualità e varietà, in via di sviluppo anche loro. La buona borghesia legge settimanali come L’”illustrazione italiana” di Treves, ricca di illustrazioni, che con l’avvento della fotografia si alternano a foto. Le fasce medio-basse leggono invece i supplementi illustrati dei quotidiani d’informazione, come Tribuna illustrata, la domenica del corriere e il mattino illustrato. Anche la stampa femminile e quella per ragazzi sono in crescita, mentre quella sportiva è agli albori (di rado le notizie sportive si vedevano sui quotidiani precedenti): nel 1882 i primi settimanali dedicati al ciclismo, nel 1896 nasce la “Gazzetta dello sport”, a Milano, che esce prima due, poi tre volte la settimana (a seguito del successo del giro d’Italia, occasione in cui la gazzetta adotta anche la caratteristica carta rosa), che la Sonzogno trasformerà in quotidiano nel 1919. La professionalizzazione comincia a prendere forma: mentre pullulano gruppi di volontari e corrispondenti di provincia malpagati, ai giornalisti inseriti nei quotidiani si inizia a dare un certo riconoscimento professionale. Naturalmente i direttori, capiredattori e grandi firme hanno un guadagno elevato. Nel 1908 le varie associazioni giornalistiche si uniscono sotto la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), nata per iniziativa dei maggiori direttori editoriali in accordo con vari politici, fra cui spiccano i leader del socialismo riformista e del cattolicesimo liberale. La Fnsi mira alla tutela dell’editoria sia nei confronti del pubblico che dello Stato. I trionfi di Albertini, Frassati e Bergamini Il Novecento apre una stagione che porterà la stampa italiana a una grande evoluzione, che farà dei giornali i principali strumenti di informazione su tutti i piani, compreso quello culturale e politico, di cui saranno principali armi di lotta. Nel primo quindicennio domina Albertini alla guida del Corriere della sera, fronteggiato da Frassati alla guida del La stampa di Torino e Bergamini con il Giornale d’Italia, di Roma. Albertini è un conservatore liberale, legato alle idee etico-politiche della Destra storica e avverso a Giolitti, fortemente legato all’Inghilterra vittoriana e al modello del Times, a cui si ispirerà persino sulla forma della sede di via Solferino, completata nel 1904. Qui si stampano, con modernissime linotype e rotative, non solo il Corriere e la “Domenica”, ma anche i nuovi supplementi dedicati alla piccola borghesia. La “Domenica del corriere” si diffonde anche fra artigiani, operai e contadini. In pochi anni il Corriere ha una fitta rete di corrispondenti dalle varie capitali europee, persino Pietrogrado: nel 1904 Albertini si assicura la possibilità di riprodurre le corrispondenze, e contemporaneamente i dispacci, dei più attrezzati quotidiani dal “Telegraph” al “Times”, dal “Daily Chronicle” al “Le Matin”. Il giornale, che ormai esce a 6 pagine, si appresta alle 8 e diventa il più ricco e accurato d’Italia. La veste resta austera, e non si stampano più di una o due foto, ma arrivano argomenti nuovi come aviazione e sport. La prima edizione parte la mattina da Milano e raggiunge entro sera alcune città del Meridione. Crescono anche gli introiti pubblicitari. Il 1904 è anche l’anno in cui Albertini può intimare a Romussi, direttore del Secolo, di togliere dalla testata la dicitura “il quotidiano più venduto d’Italia”. Dopo quasi 30 anni, il sorpasso è finalmente avvenuto. Ma perché era successo? Il Secolo dava la colpa al ministro delle finanze, che aveva abolito le lotterie colpendo duramente il giornale, ma la crisi andava cercata dal ritiro di Edoardo Sonzogno nel 1895, seguito dalle crescenti interferenze della democrazia lombarda (portavano finanziamenti) favorite dal Romussi. A tutto ciò si era aggiunta l’incapacità del giornale di cogliere e trattare i mutamenti di fine secolo, della mentalità dei ceti borghesi di Milano, della lotta politica ed economica. Frassati aveva trascorso 3 anni in Germania, essendo fortemente influenzato dai suoi modelli giornalistici. Nel 1894 entra in società con Roux per risollevare le sorti della “Gazzetta Piemontese”, puntando sulla riorganizzazione tecnica, la necessità di varcare i confini regionali. Dal 1900 il giornale è interamente nelle mani di Frassati, e inizia a gareggiare con la “Gazzetta del popolo” (fondato da Bottero, al momento sotto la direzione di Orsi). Quest’ultimo è in ripresa perché si accosta a posizioni nazionalconservatrici, mentre la Stampa s’ispira al riformismo liberale e sostiene la “democrazia industriale”, entrando quindi in sintonia con le idee che si sviluppano a Nord e le novità imprenditoriali che vengono da Torino. Albertini si circonda di giovani redattori e collaboratori, come Luigi Einaudi e Francesco Saverio Nitti che era il più in vista nel periodo. Appoggia dapprima in modo cauto Giolitti, poi sempre di più fino al loro sodalizio spirituale, e Frassati e la Stampa sono sempre di più i veri rivali di Albertini e del Corriere della sera. Le predilezioni culturali e letterarie dei due giornali sono molto diverse: Albertini sta con D’Annunzio e Ojetti, Thovet e Lanza con Frassati. Il maggior peso che la parte letteraria sta assumendo si consolida con il “terzo grande” del tempo, Bergamini, con cui si istituzionalizza nella “terza pagina”. Il “Giornale d’Italia” inizia a pubblicare nel 1901 a Roma, con pochi mezzi a disposizione e il solo vantaggio che i periodici romani, Tribuna compresa, se la stanno passando male. È un I fogli socialisti si oppongono alla situazione, e l’”Avanti” ne fa le spese, quando l’iniziale entusiasmo per la guerra ne fa calare le vendite, viene accusato di essere filo-turco, mentre alcuni inserzionisti rompono i contratti con la testata. Le autorità militari ordinano il rimpatrio di Guarino, inviato in Libia dell’organo socialista, che segnala le deficienze nella condotta di guerra. Di notevole efficacia sono le vignette di Scalarini, amaro e incisivo. L’"avanti" acquista vivacità politica e la sua tiratura aumenta: il primo dicembre 1912 ne assume la direzione Mussolini, esponente del gruppo idealista-rivoluzionario, mentre la corrente massimalista prevale al congresso di Reggio Emilia. Sotto la direzione, abile e spregiudicata di M. l’Avanti tocca punte di 60.000. Il primato è del Corriere di Albertini, che sta a 200.000, seguito a distanza dal Giornale d’Italia, Tribuna, Stampa e Gazzetta del popolo: il primato nel Mezzogiorno è del Mattino di Scarfoglio, che pure sta sulle 60.000. l’Italia è un’eccezione rispetto ai paesi più sviluppati, dove va forte la stampa popolare: i quotidiani italiani sono solo di qualità, l’industrializzazione ha prodotto di popolare soltanto settimanali. Il forte coinvolgimento della guerra in Libia ha portato il nazionalismo a innestarsi in alcuni quotidiani liberali come il Corriere della sera. In questo contesto di debolezza e disparità nello sviluppo economico, di lotte sindacali per il carovita, il sistema di Giolitti entra in crisi, con il vantaggio di una non chiara leadership nazional-liberale. Il giornalismo nella Grande guerra I giornali, durante la neutralità proclamata dal Governo Salandra, hanno avuto una parte importante nello scontro fra neutralisti e interventisti: è lì, prima che sulle piazze, si svolge la battaglia fra i due schieramenti. Mussolini dà forza all’offensiva degli interventisti (radicalizzandola) con il suo voltafaccia, manifestato sia nell’Avanti che nella fondazione del “Popolo d’Italia”, Milano, 1914. Il gruppo delle testate interventiste aumenta: ne fanno parte il Corriere della sera, la Gazzetta del popolo, il Resto del Carlino, il Giornale d’Italia, il Messaggero e il Roma. Il Secolo, il Gazzettino e il Lavoro (dei riformisti liguri) sono i portavoce di quel filone democratico confluito nell’interventismo, che vede nella guerra contro l’Austria-Ungheria lo strumento per riscattare le terre irredente del Risorgimento. Il campo neutralista conta sulla Stampa, la Tribuna, il mattino, la Nazione: il neutralismo di Scarfoglio, tuttavia, è più salandriano che giolittiano (è per un appoggio, interessato, alla Germania). All’interventismo nazionale si uniscono anche i fogli cattolici. L’Avanti, diretto ora da Serrati, condanna la guerra fra le potenze imperialistiche, con una certa incertezza (parola d’ordine: “né aderire, né sabotare). Il Corriere di Albertini si fa più deciso, con D’Annunzio che tuona in orazioni contro il riluttante Parlamento (ma ormai la guerra è stata decisa, al di sopra della Camera dei Deputati). Il decreto del 23 marzo 1915 autorizza il governo a vietare qualunque notizia di argomento militare. Il 23 maggio ne scatta un altro, che vieta ai giornali di dare notizie politiche al di fuori dei comunicati ufficiali; lo stesso decreto permette ai prefetti il sequestro, e invita i direttori (che seguivano il consiglio) alla censura preventiva dei loro giornali. Il 24 maggio entra in vigore la censura militare coordinata dall’Ufficio stampa del comando supremo. Le disposizioni di Cadorna sono drastiche: gli inviati non possono entrare nella zona delle operazioni, pena l’espulsione. La censura prende di mira soprattutto i giornali socialisti, che in gran parte, Avanti compreso, sono messi al bando: per la prima volta si sente nominare la parola “fascismo”, quando si formano i fasci interventisti in varie città, che combattono i socialisti propagandando il boicottaggio della loro stampa. Albertini si lamenta con Salandra per le sue misure, nonostante il corriere facesse tutt’uno con governo e comando supremo, che prevedevano oltretutto parafrasi dei bollettini di guerra, senza neppure un po’ di cronaca. Quando la guerra si rivela più lunga del previsto, ad un minor rigore dei Comandi, si accompagna cautela informativa: iniziano a comparire colore e retoriche, anche per tranquillizzare le famiglie dei soldati. Comune a tutti i giornali è l’idea di dare un’immagine ottimistica del conflitto. I toni magnificenti e le descrizioni edulcorate mandano in bestia gli ufficiali, che pretendono le copie dei giornali nelle loro trincee: famosa la battuta di un soldato “se trovo Barzino lo ammazzo”. Nel 1917 cade lo Zar, e le notizie sono piuttosto schematiche, dato il timore che la pubblicazione di quegli eventi indebolissero l’Intesa. Si tenta anche di ridurre l’eco delle parole di Benedetto XV, che definisce la guerra “inutile strage”, e si polemizza contro i fogli cattolici (come “Osservatore romano”). Si minimizzano i Moti torinesi per la mancanza del pane, che sfociano in proteste contro la guerra, e la sanguinosa repressione che segue. La disfatta di Caporetto viene minimizzata per tranquillizzare l’opinione pubblica. Allontanato Cadorna, il sostituto Diaz cambia le cose: limita a 500 parole i bollettini da inviare ai giornali, che sono invitati ad abbandonare i toni retorici e solenni. Dal 15 iniziano i giornaletti per i soldati: linguaggio semplice ,con un'impronta nazionalistica, stimolano il patriottismo e un atteggiamento critico verso la politica con un tono satirico. All’inizio nelle trincee ne arrivano pochi, ma dopo Caporetto si diffondo notevolmente, essendo il capofila “La tradotta” della III armata. Finiscono nel 1919, quando fermenti del conflitto iniziano a produrre effetti nefasti. Il ruolo dei giornali nel I dopoguerra Le tirature erano salite nella fase del neutralismo, grazie anche a maggiori introiti pubblicitari. Dopo arrivano le restrizioni e l’aumento dei costi di produzione, soprattutto carta. Le poche aziende che in questa fase hanno raggiunto una situazione solida sono quelle con un’organizzazione più moderna: prime fra tutte, il Corriere di Albertini e la Stampa. Tutti gli altri rischiavano la fine, nonostante la concessione del Governo Orlando di raddoppiare il prezzo di vendita. Questa situazione fa entrare l’industria (particolarmente quella siderurgica, interessata alla produzione bellica), appoggiata dalle banche, nelle testate (che iniziano a passare di mano). Qualche esempio? Il Messaggero di Pontremoli\Della Torre viene ceduto ai fratelli Perrone, che controllano già il Secolo XIX e altri. Alla morte di Scarfoglio l’Ilva arriva al controllo del Mattino, oltre che della Nazione. Dopo il conflitto ben 14 sono i quotidiani in mano ai siderurgici fra cui Il piccolo di Trieste, il vecchio Secolo, che entrano anche nelle agenzie di notizie e pubblicitarie, come la Volta (fondata nel 1912): i giornali non cambiano necessariamente la loro ispirazione politica, ma devono fare gli interessi dei nuovi proprietari. Mussolini (dir. del Popolo d’Italia) inizia a trovarsi in difficoltà già dal 1916, e non basta il soccorso economico del fondatore del Tempo Naldi, che era anche dir del Resto del Carlino, e si fanno avanti alcuni potentati e banche: determinante per la sopravvivenza del giornale sarà l’accordo con i Perrone, che in cambio di finanziamenti farà cambiare linea a Mussolini. Gli agrari hanno il controllo del Resto del Carlino e dei quotidiani di provincia, specie nella Val Padana. Frassati cede 1\3 della sua società al finanziere Gualino e al fondatore della FIAT, Giovanni Agnelli. Nel corso della guerra l’industria e le banche iniziano a sostenere anche la stampa cattolica. Nel 1916 nasce l’Unione Editoriale Italiana, fondata dal conte Grossoli, che raccoglie in una società buona parte delle 20 testate cattoliche del momento (l’Italia a Milano, Il corriere d’Italia a Roma, il Momento a Torino, L’avvenire d’Italia a Bologna-sono le testate di spicco). Nel 1919 esce a Roma il Popolo nuovo, settimanale del neonato partito di don Sturzo. La stampa socialista è in una situazione meno florida. L’Avanti si è ripreso con una rispettabile tiratura di 70.000 copie, e due edizioni (Roma e Torino), di modesto successo (Gramsci Tasca e Togliatti si sono staccati dal partito, dando vita a “L’ordine nuovo”). La riforma di Modigliani, proposta nel 1918 a Montecitorio, avrebbe voluto rendere pubblici i finanziamenti ai giornali, ma viene insabbiato dai nazionalisti e liberali, che non volevano rinunciare ai loro strumenti di controllo sulla stampa ovvero i fondi segreti del Ministero degli Interni. Corretti informatori sono “La stampa” e il “Corriere”, che non cedono alle sovvenzioni. I giornalisti si mostrano meno sensibili su questi problemi, mentre la Federazione della stampa è ancorata al mito della apoliticità e tenta di difendere i salari, bassi. La svolta della Fnsi comincia con il Congresso del ’20, quando va alla sua guida un gruppo di repubblicani e riformisti, che inizia a mettere in luce i problemi della libertà di stampa. I quotidiani del primo anno di pace, tuttavia, nonostante la guida di Fnsi fosse ancora in mano a liberalcostituzionali e riformisti, avevano mostrato una maggiore vivacità politica e una terza pagina più culturale, e non solo letteraria. Il Partito comunista nasce con la scissione di Livorno (riformisti-massimalisti) nel 1921. Alle elezioni del ’19 trionfano socialisti e i cattolici di donSturzo; i nazionalisti, i seguaci di D’Annunzio e di Mussolini, chefonda nello stesso anno i Fasci di combattimento, sono in ebollizione. Nel 1921 c’è il crack della Banca Italiana di Sconto, e parte il “balletto” dei pacchi azionari di Tribuna, Mattino, Tempo. Nel giugno 1920 torna Giolitti al governo, osteggiato dai giornali, ancora di più per il suo atteggiamento neutrale di fronte all’occupazione delle fabbriche e per i suoi provvedimenti economici. Ad aprile viene incendiato l’Avanti e nel ’20 inizia la vera e propria violenza fascista contro i socialisti. Nonostante le violenze, buona parte degli stampatori vedevano nel fascismo (e nella sua rigidità, proclamata da Mussolini nel Popolo d’Italia) la soluzione ai disordini del momento, la difesa del capitalismo. Filofascisti sono il Corriere, il Secolo e il Giornale d’Italia. Mussolini riceve l’appoggio di molta stampa cattolica, e non mancano i giornali che si autofascitizzano prima della marcia su Roma, come il Resto del Carlino e il Messaggero. Il quotidiano fascista per antonomasia resta il “Popolo d’Italia”, affiancato da altri minori in mano al partito. Le squadre fasciste devastano più volte i giornali di sinistra, come l’Avanti, e i nuovi nati Ordine nuovo (dove opera Gramsci), e il Comunista; Turati e Treves avevano l’organo del partito socialista unitario, “la Giustizia”, uscito a Milano nel 1922 (un anno prima della “Voce repubblicana”- analogo per i repubblicani). La sera del 28 ottobre del 22 i fascisti intimano ai giornali di opposizione di non uscire: chi si rifiuta viene assalito (meglio fare come il Corriere: quel giorno non esce). Frattanto Mussolini ha raggiunto il re in vagone letto, e ottenuto da lui l’incarico di formare il governo. Dall'avvento di Mussolini alla soppressione della libertà Nelle prime settimane del Governo Mussolini i giornali d’informazione sono spenti politicamente, a parte l’opposizione più tenace che reagiscono al fatto compiuto. Mussolini scrive sul Popolo d’Italia, ora diretto dal fratello Arnaldo, tre articoli sulla libertà di stampa: il primo riguarda il problema della gerenza (il più discusso dello Statuto), gli altri i sequestri e la censura. Riprende a tappeto la violenza contro la stampa. L’art 1 del Regio decreto del 12 luglio prescrive che il responsabile della testata debba essere un direttore o caporedattore, non più un uomo di paglia; l'articolo 2 dà ai prefetti la facoltà di diffidare il gerente e dichiararlo decaduto, dopo aver consultato un magistrato e un giornalista: La stampa e il Corriere prendono posizione contro la durezza del R.D. ma le reazioni si fermano qui. Mussolini lo sospende per usarlo come spauracchio incombente al momento del bisogno (e poi ha sempre il mezzo della violenza illegale). Anche la Fnsi vota un documento di rigetto verso questo decreto, e una delegazione si reca da Mussolini ricevendo assicurazioni vaghe ma distensive. Mussolini costituirà poi un Sindacato fascista dei giornalisti da opporre alla Federazione della Stampa. Passa di mano il vecchio Secolo, con un’operazione orchestrata da Arnaldo, che lo mette in mani industriali e fidate; Bergamini e Malagodi si ritirano dalla direzione del Giornale d’Italia e della Tribuna: il primo appoggerà criticamente il Governo, il secondo sarà portavoce del gruppo finanziario filofascista che lo ha acquistato. Mussolini tiene molto al Carlino, e si servirà degli aiuti della FIAT e altri gruppi per risollevarlo. I giornali più oltranzisti del Fascismo sono “L’impero”, diretto dallo squadrista Carli, e il “Tevere”, il cui direttore (Interlandi) non nasconde sentimenti antisemiti. La stampa cattolica, in linea con la Chiesa, si allineano al Duce: don Sturzo reagisce fondando il Popolo a Roma (organo del partito popolare), ma la gerarchia ecclesiastica ha già fatto la sua scelta e Sturzo deve dimettersi dal partito. Nel 1924 la grande novità della sinistra è la nascita dell’organo del partito comunista, “L'Unità”, diretto da Ottavio Pastore. Nello stesso anno c’è il delitto Matteotti. nascere un sacco di settimanali di successo: i re del rotocalco saranno Rizzoli e presto anche Mondadori. Questo settore è ancora dominato dalla Domenica del Corriere, un supplemento da 600.000 copie. Accanto agli sviluppi della stampa arrivano la radio e il cinema (e i cinegiornali dell’Istituto Luce). Il sistema di comunicazione di massa si fa moderno: diventa necessario coordinare il tutto, ed ecco che Ciano, Genero di Mussolini, diventa capo dell’Ufficio stampa, mostrando grande interesse per il cinema e la radio, e assumendo tratti affabili in contrasto con i suoi predecessori. Il potenziamento dell’apparato è urgente perchè mussolini gia sta pensando all’Abissinia. Mobilitazione per l’Impero Il primo segnale è un discorso del Duce al Sindacato dei giornalisti, il 14 ottobre del 1933, quando dice che i giornalisti, i militi detentori dell’arma più potente di ogni battaglia, devono fare un “blocco solo”. Pochi si sottraggono a questa nuova situazione, che porterà la stampa italiana a inscenare una gazzarra contro il Negus della Società delle nazioni a Ginevra: opera di 8 giornalisti, fra cui Signoretti (direttore della Stampa). Il Minculpop dappertutto Mussolini aveva affidato a Ciano il Ministero degli esteri, la cui attività di repressione si intensifica e si burocratizza: nel ’1937 il Ministero diventa “della cultura popolare” o Minculpop. In questo periodo la terza pagina assume un aspetto meno arcadico per via della penuria di carta, già iniziata con l’Abissinia, che permetteva ai giornali di uscire a 8 pagine solo 2 volte a settimana. La concorrenza fra i giornali più ricchi, oltre che fra le grandi firme dei commentatori, si basa anche sui letterati-giornalisti- inviati speciali: tutti intenti, come Ansaldo e Malaparte, a celebrare i viaggi di Mussolini, i fasti del Regime. Nel 1939 il primato del Corriere è inattaccabile, con 597.000 copie, contro le 300.000 dei due rivali torinesi: il tentativo di questi di avvicinarsi è stroncato dal Governo Borelli, che vieta l’impiego degli automezzi di trasporto per varcare i confini regionali. La Tribuna e il Giornale d’Italia passano sotto i controllo della Banca dell’agricoltura, mentre il Resto del Carlino viene ceduto dalla Segreteria del Pnf al gerarca Dino Grandi. Ormai le testate più importanti dipendono dai potentati industriali e finanziari, mentre i giornali che dipendono dal Partito fascista sono tutti in deficit. Vanno forte i periodici, grazie agli sviluppi del rotocalco e della fotografia, che con i loro argomenti incontrano l’interesse dei giovani: il “Bertoldo” di Rizzoli spopola in università e scuole medie. Rotocalco e grafiche vengono ben sfruttate dal settimanale d’attualità di Rizzoli “Omnibus”, diretto da Longanesi, e fondato a fine anni '30: suo rivale è il settimanale Tempo. Omnibus viene soppresso dopo due anni per la sua natura lontana dalla marzialità del Regime, nostalgica dell’800, ricca d’ironia, e dedicata alle elite. Il Tempo, edito da Arnoldo Mondadori e diretto dal figlio Alberto, sul modello americano Life dà alle immagini una funzione informativa: nasce così la figura del fotoreporter: non trascura le rubriche culturali, ma non ha la sfacciataggine del giornalismo letterario di Longanesi. La radio ha conosciuto nel frattempo un grande sviluppo, anche perché vengono coordinati ascolti collettivi di radiogiornale (in 6 edizioni giornaliere a reti unificate) dopo il lavoro: non si avvicina però, allo sviluppo che c’è all’estero. Intorno al ’36 direzione e redazione del giornale radio sono concentrate a Roma. Le radiocronache conoscono un miglioramento tecnico-professionale, grazie alla formazione di un gruppo di specialisti, ma quelle su eventi politici sono tutte riservate a Mussolini e ricorrenze storiche del Regime. La guerra e il crollo del Regime Nel '40, Pavolini tiene rapporto ai direttori e corrispondenti dei principali quotidiani, esordendo con una bugia: l’entrata in guerra è stata decisa quando ancora l’esito non si conosceva, in realtà Parigi era già in ginocchio. Obbiettivo del Minculpop in questo periodo è far fare propaganda sulla guerra ai giornali, nascondendo gli eventi “controproducenti” di essa. È così che i corrispondenti di guerra Buzzati, Napolitano, Emanueli e Malaparte, scrivono più le impressioni esaltanti del conflitto che i fatti, mentre era sempre più evidente per tutti che gli articoli erano le versioni massaggiate dei comunicati: le vendite calavano. Mario Appelius (scriveva sul Popolo d’Italia e parlava in radio) è il cantore più tronfio della Guerra. Pavolini fa riprendere le vendite, concedendo le 6 pagine per due numeri a settimana (la penuria della carta ne aveva alzato di molto il costo- nel '43 il numero delle pagine scende persino a 2), e esortando i direttori a dare maggior rilievo alla terza pagina. Nel '43 il quotidiano più diffuso è il Corriere, seguito da Stampa e Stampa sera. Per la Guerra “delle onde”, iniziata col conflitto spagnolo, gli strumenti più importanti di propaganda sono i due giornali radio: il Bollettino delle 13, e il commento serale, dal 1940 affidato a Valori (del Corriere). Per tamponare gli aumentati ascolti di Radio Londra e Radio Mosca, il Minculpop creerà una squadra di commentatori, fra cui spiccano Appelius e Ansaldo. Mentre gli speakers stranieri, più spigliati, mettono in crisi quelli del Regime, Mussolini raggruppa i giornali di provincia nell’Ente stampa, fondato nel 1942: preferisce ora i giornali perché più disciplinati, anche se nelle redazioni dei maggiori inizia a serpeggiare la sfiducia e il mugugno. Mussolini continua a ostentare baldanza (“sono tempi duri ma vinceremo, è matematico”), e a pressare i giornalisti perché trascinino le masse. Ad ogni fatto che accade gli ordini del Regime dicono ai giornalisti come massaggiare i fatti: allo sbarco in Sicilia si chiedono titoli sobri, il bombardamento di Roma serve a spingere all’odio verso il nemico “barbaro”. Quando Mussolini viene destituito dal Gran Consiglio comincia una notte frenetica: fra i giornali regna lo sgomento, Morgagni (pres. della Stefani) si toglie la vita. L’ultimo numero del Popolo d’Italia viene bloccato dal prefetto di Milano, per via delle proteste dei dimostranti su quanto c’era scritto: Mussolini non viene praticamente citato, se non in un breve corsivo, dove si parlava di “affetto filiale imperituro” (questo aveva motivato l’irruzione dell’atrio del giornale). Il Corriere scriveva: “è difficile fare noi stessi un giornale, dopo che per 20 anni ce lo ha dettato un ministero”. Nelle testate vengono fatti direttori gli uomini meno compromessi, come Pio Perrone per il Messaggero, idealmente legato a Badoglio. L’abiguo interludio il Governo Badoglio adotta misure severe. Innanzitutto non vuole fogli antifascisti (quindi, niente giornali socialisti, comunisti, democratici e cattolici), e poi istituisce la censura preventiva estesa a tutte le pubblicazioni. Riprendono le veline ministeriali, vengono soppresse solo due testate: Popolo d’Italia e Il regime fascista. Il re e Badoglio erano d’accordo nel rendere non traumatico il trapasso che stava avvenendo. Rocco, il nuovo ministro della cultura, faceva in modo che si tacesse sia sul Regime fascista, che sulle aspirazioni del popolo per la fine della guerra. La direzione del Corriere (dei Crespi) va al liberal-conservatore Janni, quella della Stampa a Filippo Burzio, mentre Bergamini riprende quella del Giornale d’Italia. Con Galli al posto di Rocco viene concessa una certa libertà nel parlare del Fascismo, in sostanza degli aspetti scandalistici e grotteschi del Regime, di Claretta Petacci e dei suoi familiari, ma “con il massimo rispetto per le autorità, quali Casa reale, il Papa, Hitler, l’Imperatore del Giappone”. Al momento dell’armistizio la libertà torna al Sud e al Centro, non nella parte del Fascismo di Salò e dell’occupazione nazista. La stampa e la radio di Salò Fuggiti Badoglio e il re, giornali e radio tacciono qualche giorno, e sono allo sbando: segno evidente è la pubblicazione della liberazione di Mussolini a una colonna da molte testate. I tedeschi ordinano la pubblicazione dell’integrale discorso di Hitler sui giornali romani, mentre impongono le agenzie di Germania come unica fonte d’informazione, e i notiziari unici della RSI (trasmessi da Monaco). A Salò vengono trasferiti la sede del Minculpop, l’ispettorato della radio e la Stefani: ricompare il “Regime fascista”, non viene resuscitato il “Popolo d’Italia”. Nel 1943 Mussolini riunisce il Consiglio dei Ministri, affidando il Minculpop a Mezzasoma, e a Pavolini la costituzione del Partito fascista repubblicano. I tedeschi controllano radio e stampa da Milano, sede dell’Ufficio della propaganda Staffel. Salò non ostacola i giornali cattolici, ossessionati dal comunismo, e spesso f avorevoli al Regime. Il reclutamento dei giornalisti è difficile: molti si sono eclissati o cercano di non esporsi. La più significativa è l’assuzione di Amicucci al Corriere, mentre Spampanato va al Messaggero: della vecchia guardia dei direttori fascisti è rimasto solo il presidente della Stefani Luigi Barzini. Mezzasoma attribuisce ai direttori poteri più ampi persino che agli editori, contando anche sugli addetti stampa provinciali. La pratica delle veline è intransigente: fedeltà alla Germania, guerra a tutti gli oppositori. Il 22 dicembre 1943 Mussolini abolisce la censura preventiva di Badoglio, ma la rissosità del periodo lo induce a ripristinarla. Alcuni giornali accendono una polemica revisionista, pur nella fedeltà al Fascismo come la Stampa, il Secolo XIX, la Nazione e la Gazzetta del popolo, che culminerà con l’articolo di Pettinato sulla Stampa, “se ci sei batti un colpo”: il governo reagisce con la repressione e rimuove i direttori revisionisti. A contrastare queste tendenze conciliative c’erano i giornali di battaglia del Regime, fra cui la “Crociata italica” creato da Farinacci, e diretto da don Calcagno (un prete sospeso a divinis). Il maggior successo editoriale del periodo spetta a Mussolini, quando sul Corriere pubblica una serie di articoli dove ripercorre le vicende dall’ottobre del ’42 al dicembre ‘43, con l’interpretazione che è ovvia: le tirature, quando i 19 articoli sono pubblicati (numero del 12 agosto) nella raccolta “il tempo del bastone e della carota- le vicende di un anno” toccano le 800.000 copie. la stampa della Resistenza Due sono i filoni della stampa clandestina, quello dei gruppi e de partiti antifascisti da Roma in su, e quello della stampa partigiana, che non aveva i rischi della clandestinità: i formati sono ovviamente piccoli (2-4 pagine), e comune è lo sforzo di dedicare i fogli a varie categorie sociali. Più diffusa è la stampa comunista, il cui organo principale è l’Unità, che esce a Torino, Milano, Genova e Roma. Il Partito d’azione contava invece su L’Italia libera, che esce a Roma e a Milano con una tiratura di 20.000 in entrambi i casi. Il Partito socialista si fa sentire a Roma e al Nord con l’Avanti, prodotto a Milano. Lenta è la stampa clandestina della Democrazia cristiana: Il popolo comincia a Roma nel 1943 e raggiunge Milano l’anno successivo. Nel 1944 partono anche i fogli partigiani, precariamente diffusi: su molti di questi, a volte numeri unici, si legge “esce quando e come può”. Capitolo 11: Stampa e dominio Tv La sfida Corriere-Repubblica La stampa quotidiana, superata la barriera dei 6 milioni di copie giornaliere, acquista lettori di anno in anno. Ora si combattono sfide a colpi di gigantismo (più pagine, linguaggio accattivante, sensazionalismo e spettacolarizzazione) e gadjets: presto arriveranno anche i giochi a premio. La grande concorrenza è fra il Corriere e la Repubblica: per la prima volta nel 1986, dopo 80 anni dal primato del Corriere, Scalfari annuncia che la Repubblica ha superato il rivale. Terza in gara è la Stampa. La Repubblica aveva superato il Corriere non solo per l’immobilismo di questo, ma anche per l’inserto “Affari e Finanza” e una serie di supplementi, per l’apertura mostrata verso De Mita e un atteggiamento critico verso Craxi e la partitocrazia. Nel 1987 aumenta il distacco grazie a Portfolio, un gioco a premi lanciato da Repubblica guadagnando 180.000 copie.. Nel 1994 e nel 1996 alle competizioni elettorali si vota con una nuova legge basata sul bipolarismo. Berlusconi e il suo nuovo partito Forza Italia portano alla vittoria una coalizione di centro-destra, battendo l’Ulivo, ed estromettendo il Consiglio di amministrazione della Rai e il suo nuovo presidente Letizia Moratti, cambia tutti i direttori dei Tg e giornali radio. Nella carta stampata fa notizia il distacco di Montanelli da Berlusconi e l'affidamento del Giornale a Feltri. Uno degli aspetti più importanti è il ruolo che l’uso della tv ha avuto nel determinare la vittoria di Berlusconi. Qualcuno ha parlato di telecrazia, metre la Rai è stata più rispettosa della par condicio: il Governo di Berlusconi non dà nemmeno il tempo di portare a compimento un dibattito sul conflitto di interessi per il suo possesso di tre reti, poiché dura 8 mesi per la defezione della Lega. Nel 1996 vince il centrosinistra e ricambiano di nuovo tutti i direttori del cazzo: il potere va a una coalizione sotto il segno dell’Ulivo, guidata dal prof. Romano Prodi. Dello sviluppo economico e del risanamento finanziario, che permetteranno all’Italia l’entrata nella moneta unica, beneficeranno soprattutto stampa e tv, grazie all’aumento della vendita di pubblicità. Tuttavia la stampa è in crisi, e nel 1996 ben mille professionisti conosceranno la disoccupazione e la cassa integrazione: secondo Scalfari i lettori “hanno bisogno di qualcosa di più serio”. Mentre Scalfari perdeva la direzione della Repubblica (al suo posto va Mauro), Veltroni perdeva quella dell’Unità diventando vicepresidente del Consiglio. Nel 1993 Ordine e Fnsi hanno presentato la Carta dei doveri, ma questa non è ancora diventata operativa: si attendono quindi i risultati del codice deontologico nato dalla legge sulla privacy del 1997. Nel frattempo l’Ordine ha istituito 5 scuole professionali e corsi di laurea in scienze della comunicazione. Capitolo 13: Nel Duemila: carta e schermi A cavallo del millennio internet comincia a dispiegare le sue straordinarie possibilità di comunicazione, inoltre in Italia cresce la diffusione dei telefoni cellulari; la comunicazione on-line è diffusa in tutto il mondo e anche i blog possono essere un fonte d'informazione. Il giornalismo dal 11 settembre del 2001 è dominato dal terrorismo islamico. Giornalismo di guerra si ricomincia in Afghanistan dieci anni dopo la guerra in Golfo; le comunicazioni satellitari consentono l'impego del computer e dei cellulari e quindi il giornalista è in contatto diretto con il giornale. Durante il conflitto perdono la vita alcuni giornalisti tra cui la Cutuli. Dopo l'Afghanistan tocca all'Iraq (2003) dove i giornalisti sono al fianco delle truppe e vengono soprannominati embedded, riscuotono molto successo le inviate della Rai. Dall'inizio del conflitto perdono la vita 66 giornalisti tra i quali il giornalista italiano freelence Baldoni inoltre viene rapita l'inviata del Manifesto Giuliana Sgrena successivamente liberata. Di fronte all'intensificarsi degli attentati e rapimenti il governo italiano consiglia di ritirare gli inviati. Tensioni in Italia Berlusconi vince le elezioni del 2001, il varo di leggi discutibili e il coinvolgimento nella guerra in Iraq alimentano i contrasti. La repubblica si schiera contro la guerra anche il Corriere non è favorevole così come il Tg3, unico tra le reti Rai. Le notizie di cronoca nera vengono messe in primo piano per nascondere quelle politiche. Porta a porta avanza tra i programmi di approfondimento. Anche nel mondo finanziario si risente degli interessi di parte, solo Il Sole 24 Ore, ora legato alla confindustria, mantiene il suo pregio. In generale la credibilità dei media è calata, come sottolineato dagli interventi del Presidente Ciampi. Il governo mostra attenzione nei confronti della televisione e Berlusconi ottiene l'allontamento dalla Rai di Enzo Biagi e Michele Santoro, a testimonianza di questo collegamento tra potere e l'azienda viene approvata la legge Gasparri. Il caso del Corriere Stanco dell'ostilità di Berlusconi il direttore del Corriere della Sera, de Bortoli, si dimette il28 maggio 2003, gli azionisti designano come suo successore Folli, che però non ha la stoffa di un commandante, così nel 2004 ritorna alla direzione Paolo Mieli. Mieli nomina quattro vice- direttori Battista, Di Vico, Fontana e Riotta. Mieli effettua un restyling con la creazione di una pagina chiamata Opinioni sul modello dei quotidani italiani. Pochi giorni dopo aumenta il prezzo di vendita a un euro. La repubblica mantiene il vecchio prezzo, nel 2005 è il quotidiano d'informazione più letto. Brivido in borsa nel corso del maggio del 2005, Stefano Ricucci, ha avviato la scalata del gruppo Rcs comperando azioni a ritmo notevole arrivando a possedere il 20,9 delle azioni diventando il primo azionista. I redattori del Corriere si chiedono chi ci sia dietro, pensando a Berlusconi. Nell'ottobre fallisce il tentativo di scalata da parte di Ricucci. I quotidiani si difendono In Italia nel 2005 si vendono 99 quotidiani ogni 1000 abitanti, pochi ripsetto alla media europea. Il quotidiano più venduto è il Corriere seguito dalla Repubblica, più distaccati il Sole 24 Ore e la Stampa. Tutti i quotidiani hanno un sito, che è un vero e proprio quotidiano on- line. A migliorare i bilanci contribuiscono le vendite collaterali, dopo il tentativo di accoppiare videocassette di film, i CD e i Dvd si arriva a i libri, primi fra tutti il gruppo Espresso. Fu un successo editoriale. L'esempio della Repubblica viene seguito dal Corriere della sera. Di anno in anno cresce il livello delle opere in vendita: enciclopedie, libri d'arte, grandi classici e guide Touring. Anche i quotidiani gratutiti cominciano a circolare in provincia.
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