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STORIA DEL GIORNALISMO Secondo Parziale: Appunti + Riassunti libri, Dispense di Storia del Giornalismo

Appunti lezioni seconda parte. Riassunti dei capitoli dei libri: Uno non vale uno (Tecnologia, Disintermediazione), Poteri e Informazione (L'Italia liberale), Comunicare (Introduzione, Capitolo 1), Storia del giornalismo (XI, XII).

Tipologia: Dispense

2023/2024

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Scarica STORIA DEL GIORNALISMO Secondo Parziale: Appunti + Riassunti libri e più Dispense in PDF di Storia del Giornalismo solo su Docsity! GIORNALISMO POLITICO 3 Democrazia liberal-rappresentativa 3 Democrazia media-centrica 3 Infotainment 3 Crisi politica 3 Cultura visuale 3 Parola scritta e immagine: Il romanzo borghese 3 Prevalenza dell’immagine 4 Banche della rabbia 4 Videocrazia 4 Auto-percezione del giornalismo americano 5 Futuro del giornalismo 5 Crisi degli anni 70 6 Televisione pubblica dal Secondo dopoguerra 6 Fine dei “30 anni gloriosi” e del secolo breve 6 Talent 6 Fine della mobilità sociale 6 Iper-individualizzazione 6 Mediamorfosi 7 Piattaformizzazione 7 Accordo Facebook-redazioni 7 Caso Buzzfeed: mediazione sociale e manutenzione civica 7 Era informazionale 7 Native press 7 News literacy 8 “I fatti separati dalle opinioni” 8 GIORNALISMO CULTURALE 8 Prima della terza pagina 8 La terza pagina 8 Nascita: Giornale d’Italia di Bergamini 8 Elzeviro 8 La terza pagina in camicia nera 8 Il paginone 9 Hard news e soft news 9 Cultura per fare politica 9 Scalfarismo 9 Mielismo 10 Giornalismo culturale e Post-modernità 10 Caduta dello statuto speciale 10 Caratteristiche del neo-giornalismo culturale 10 Tendenze del giornalismo culturale post-moderno di “contaminazione” (Edmondo Berselli) 10 Giornalismo culturale nei media audio-visivi 11 TV e radio 11 Festival 11 Personal brand 11 Giornalismo culturale online 11 Content curation 11 INFOTAINMENT 11 Società dello spettacolo 11 TV generalista 12 Tecnologie di trasmissione 12 Talk show: See It Now, Edward Murrow 12 Network privati e informazione 12 Notizie locali 13 Nuovi paradigmi giornalistici dei network privati Usa 13 di 1 22 Cambiamenti nella TV italiana 13 Agenda-setting 13 Nuovi tg: italiano e personalizzazione dei giornalisti 13 Neotelevisione 13 Il modello Usa si impone nel tg italiano 14 Eredità del 68 14 Libertà e rivendicazioni 14 Situazionismo: La società dello spettacolo di Debord 14 Spettacolo introiettato nella Tv commerciale italiana 14 Il paradosso dei dirigenti dei canali berlusconiani 14 Evoluzione dei talk show: Samarcanda di Santoro 15 Rai3, PCI e crisi della Sinistra 15 Rappresentanza e rappresentazione 15 Talk show di seconda generazione: sondaggi, tesi, editoriale 15 Imperialismo dell’intrattenimento 15 Nei giornali: le promozioni 15 In politica: il politainment 16 Nell’educazione e nello sport: edutainment e sportainment 16 L’eccezione: il media event 16 Informazione senza mediazione 16 Posizioni diverse in merito all’infotainment 16 Tratti ambivalenti 17 GIORNALISMO USA POLITICALLY CORRECT 17 UNO NON VALE UNO. DEMOCRAZIA DIRETTA E ALTRI MITI D’OGGI - PANARARI 18 Tecnologia 18 Specchi televisivi 18 Neorealitysmo italiano 18 Ideologia californiana 18 Digital propaganda 18 Disintermediazione 18 Anarcoplebiscitarismo 18 La casta espiatoria 18 Leader senza corpo 18 POTERI E INFORMAZIONE - PANARARI 19 2. L’Italia liberale 19 L’Unità d’Italia e la nascita della grande stampa borghese 19 Le forme della manipolazione nel Regno d’Italia. L’informazione, lo “scandalismo” come genere e la critica del potere 19 La stampa socialista e quella cattolica: propaganda extra o antisistema 19 La crisi di fine secolo e i faticosi (o mancati) percorsi di integrazione nazionale 19 COMUNICARE. PERSONE, RELAZIONI, MEDIA - BOCCIA ARTIERI, COLOMBO, GILI 20 Introduzione. Di cosa parliamo quando parliamo di comunicazione 20 1. Un oggetto sfuggente e in divenire 20 2. La comunicazione: attitudine, azione, attività 20 3. Comunicazione e mondo simbolico 20 1. Perché comunichiamo? I soggetti della comunicazione e i loro scopi 20 1. I soggetti agenti 20 2. Gli scopi della comunicazione 21 3. L’azione comunicativa tra soggetti e scopi 21 STORIA DEL GIORNALISMO ITALIANO - MURIALDI 22 XI. Stampa e dominio Tv 22 1. La sfida Corriere della Sera - la Repubblica 22 2. La Grande Mondadori e il duello De Benedetti-Berlusconi 22 3. Inviati in guerra 22 4. Tangentopoli 22 5. Cresce la teledipendenza 22 6. Scontri con i media e con la scheda 22 XII. Giornalismo e Internet 22 di 2 22 • centralità della copertura mediatica: la presenza costante nei media non significa attivare automaticamente consensi, ma consente di alimentare la presenza nel circuito comunicativo ed è fondamentale per dominare il discorso politico. Da qui deriva il media management, gestione delle presenze dei politici nei vari media • ulteriore spinta alla professionalizzazione della politica: sviluppo di consulenza politica e comunicazione. AUTO-PERCEZIONE DEL GIORNALISMO AMERICANO 1. Il primo dovere del giornalismo è l’onestà: riportare il fatto oggettivo in maniera obiettiva 2. La prima lealtà del giornalismo è con i cittadini: il vero editore del giornalismo è il cittadino, c’è dovere di risposta nei suoi confronti. Se il giornalismo è leale nei confronti dei cittadini, la lealtà è il modo per avere lettori: è un’idea anche economica, nel senso che i clienti lettori sono i destinatari dell’attività del medium. 3. La sua essenza è la verifica scrupolosa dei fatti: gli operatori dell’informazione sono professionisti a cui spetta verificare che i fatti siano effettivamente accaduti. È la funzione di corpo intermedio del giornalismo: raccontare i fatti in modo rigoroso. 4. I giornalisti devono mantenersi indipendenti dalle persone di cui scrivono: le persone di cui si scrive sono fonti privilegiate di informazione. In Italia c’è incesto tra politica e giornalismo. L’indipendenza è dimensione deontologica difficile da applicare. 5. Il giornalismo deve servire da monitoraggio indipendente nei confronti del potere: funzione watch-dog del giornalismo, quarto potere autonomo e indipendente. 6. Deve fornire uno spazio pubblico comune per il compromesso e la critica: l’idea originaria è che il giornalismo è forum dell’opinione pubblica. Nello spazio pubblico comune circolano idee differenti che devono trovare una dimensione di critica e un punto di caduta. Ci deve essere pluralismo, ma senza compromesso la discussione non avanza. Esistono spazi in cui la realtà prevale sull’opinione, come nelle elezioni, ma la delegittimazione resta, producendo un principio di corruzione dello spazio pubblico (chi cerca un compromesso è additato come traditore). L’esempio di spazio comune supportato da una politica bipartisan erano gli USA fino agli anni 2000: oggi non ci sono punti in comune tra un repubblicano e un democratico. 7. Deve fare il possibile per rendere interessante tutto ciò che è importante: è il principio dell’agenda-setting, ovvero i corpi redazionali definiscono l’agenda delle notizie importanti della giornata. Le notizie di apertura definiscono il paniere a cui deve appassionarsi l’opinione pubblica: è l’attività per eccellenza di mediazione dei giornali. Questo meccanismo è entrato in crisi: non necessariamente l’agenda-setting dei corpi redazionali coincide con i fatti di cui si discute di più nell’opinione pubblica. Esiste una distanza tra la loro visione della notiziabilità e quello che soprattutto le giovani generazioni considerano momento di dibattito: la distanza è innanzitutto generazionale. Dagli anni 90 si è generata una discrasia collegata all’accelerazione tecnologica e al trasferimento delle notizie su media personali a costante disposizione Quando i media digitali hanno consentito un’abbondanza di fonti informative, ognuno si è costruito uno gerarchia di notizie rispondente ai propri interessi. Rendere interessante è complicato: significa padroneggiare i codici linguistici dei lettori, e la modalità di raccontare del giornalismo italiano non è in sintonia con i cambiamenti. 8. Deve dare alle notizie il tono e la copertura giusta: è la notiziabilità, l’idea che certe notizie siano più facilmente veicolabili rispetto ad altre e che sia possibile dare una copertura più immediata a queste. Di solito l’evento drammatico a elevata carica emozionale è notiziabile. La complessità rende la notizia meno notiziabile: la politica, in particolare quella barocca italiana, è espressione della difficoltà della notiziabilità. Per tanto tempo la politica non è stato oggetto di sforzo: per renderla notiziabile, si è adottato il retroscena in una dimensione horse-race di gossip e personalizzazione. 9. Ai giornalisti deve essere permesso di scrivere secondo coscienza: indipendenza e autonomia, di cui risponde il direttore. È indiscutibile il ruolo della proprietà nei confronti dei giornalisti. La vera garanzia di indipendenza è la redditività. 10.Anche i cittadini hanno doveri e responsabilità quando si rapportano con le notizie: il lettore ha responsabilità critica, deve avere spirito di valutazione della notizia, che la disarticolazione del giornalismo come professionismo ha problematicizzato. Le tendenze populiste invocano il complottismo de-responsabilizzando i cittadini: il popolo, che non esiste in quanto tale, ha sempre ragione, ed è sempre colpa delle caste. FUTURO DEL GIORNALISMO Per Philip Meyer nel 2043 verrà stampata l’ultima copia cartacea del New York Times. Il NYT in realtà ha saputo re-inventarsi: ha molte risorse, essendo in inglese può essere letto da tutti, ha una redazione gigantesca che permette la segmentazione del mercato. Oggi c’è il podcast, che permette il multitasking e la riscoperta dell’oralità: è stato il NYT a scommettere sul podcast come format narrativo. C’è una previsione di fine nel 2035 che potrebbe avere fondatezza per i giornali europei. Ross Dawson (imprenditore australiano tech, convinto che la modalità digitale avrebbe stravolto le nostre esistenze; c’è un elemento ideologico di culture non europee non alfabetiche) aveva previsto la fine del giornalismo di diversi paesi: USA 2017, Norvegia 2020, Italia 2027. La Norvegia ha i più alti tassi di lettura, l’Italia più bassi. La scomparsa del giornale cartaceo è negativa per i giornali europei per diverse ragioni: • gratuità originaria dei contenuti digitali: si è pensato che introducendo il pagamento le persone avrebbero iniziato a pagare, ma gli abbonamenti digitali in realtà non coprono i costi • non c’è possibilità di avere un mercato ampio per i giornali non in lingua inglese • questione cognitiva: il giornale cartaceo ha la caratteristica del numero di parole, più ampio rispetto a quello del web, dove invece tutto va concentrato nell’economia della fruizione e in termini di rapidità dell'informazione. Il giornale pdf presenta il problema dell’ampiezza: la possibilità della reversibilità delle pagine non è consentita rapidamente dallo schermo. • il problema della carta è il costo, mentre il web consente di risparmiare ed è a disposizione di tutti per cui non può essere pagato quanto la carta. Il giornale cartaceo richiede lo sforzo fisico di acquisizione. La stampa non è necessaria alla sopravvivenza: esiste una (pseudo)informazione gratuita. C’è una crisi dei giornali precedente alla diffusione massiccia del web. Già a metà degli anni 70 le vendite dei giornali statunitensi hanno cominciato a ridursi (da 1,12 copie/famiglia a 0,88). Negli anni 20 NYC aveva 14 testate locali, negli anni 70 solo 4. La crisi del giornalismo USA è stata precedente rispetto a Internet e ha a che fare con processi sociali. In Italia nel 1990 si vendevano oltre 6 milioni di copie di giornali cartacei. Dal 1991 c’è una decrescita cognitiva. Negli anni 10 del 2000 si arriva a 4 milioni. Per Gianni Riotta, la crisi del di 5 22 giornalismo fotografa la trasformazione del post-fordismo, che è la crisi della verticalità, dei corpi intermedi, con sfiducia crescente nei confronti di chi svolge un ruolo pubblico. Dalla metà degli anni 70 la crisi del giornalismo identifica un passaggio di civiltà: la trasformazione verso la post-modernità (disintermediazione, crisi dell’idea della grande impresa, rivendicazione della soggettività). Nella civiltà borghese si può essere davvero individuo con disponibilità economiche e culturali. La dimensione strutturale della post-modernità è l’ambivalenza: ogni processo è interpretabile all'insegna di punti di vista differenti. La dismissione dello spirito critico è combinata all’iper- criticismo: se diffido di tutto, non ho spirito critico, ma costruisco una realtà parallela, per cui è difficile avere lo stesso linguaggio e avere compromessi. La frammentazione è la conseguenza del soggettivismo. CRISI DEGLI ANNI 70 Oggi il modello top-down, di cui il giornale è il prototipo, è ampiamente superato e in crisi. Nella metà degli anni 70 ci sono le prime avvisaglie: c’è richiesta differente del pubblico rispetto all’offerta che era stata unidirezionale, coincidente con i grandi quotidiani e la TV pedagogica di stato. Televisione pubblica dal Secondo dopoguerra Nella TV pubblica, dopo la WW2, si era costruito un nuovo patto sociale tra stati liberal-democratici, in alcuni casi rinnovati dopo i totalitarismi, e popolazioni che dovevano essere rieducate alla democrazia popolare o avevano subito un rilevante sforzo bellico, e dovevano essere riportate in una condizione di normalità politica. La TV di stato ha una funzione pedagogica: insegna i valori della nazioni, il funzionamento delle istituzioni, come comportarsi nel contesto collettivo. A volte insegna direttamente: la trasmissione Non è mai troppo tardi, di successo negli anni 50, insegna l’italiano, nella condizione di specificità dell’analfabetismo italiano (gran parte della popolazione continuava ad usare il dialetto della città di provenienza), ed è una reinvenzione televisiva delle scuole serali molto frequentate dagli italiani. Allora in Italia la povertà era diffusa e tante persone avevano bisogno di entrare nel mercato del lavoro dotandosi di skill tra cui l’italiano corretto. Questa funzione pedagogica entra in crisi in Italia e negli altri paesi europei nella metà degli anni 70 e in USA è già oggetto di discussione, dove largamente dominanti sono i network privati. Il modello consumistico della mobilitazione cognitiva (le persone hanno più strumenti cognitivi) fa sì che sia sempre più faticoso avere qualcuno che ci insegna delle cose, soprattutto davanti alla TV, e si va nella direzione dell’intrattenimento. Fine dei “30 anni gloriosi” e del secolo breve La società, fino agli anni 70, era politicamente impegnata: i giovani erano saliti sul palcoscenico della storia con una serie di rivendicazioni attraverso le battaglie politiche del 68, con l’idea della trasformazione della società. Nella metà degli anni 70 questa idea entra in crisi: si diffondono inquietudini per la crisi petrolifera energetica del 73 (guerra dello Yom Kippur), che porta vari paesi, tra cui l’Italia, a dover applicare le prime forme di austerità anche in Italia. C’è l’idea di un periodo complesso e oscuro, rispetto al quale non è possibile essere fiduciosi: è la fine dei 30 anni gloriosi (1945-75), periodo di crescita economica illimitata che garantisce prospettive di ottimismo per il futuro della società occidentale, con il più grande benessere della storia dell’umanità. Con la crisi energetica inizia il periodo che arriva ai giorni nostri: crisi cicliche, bolle speculative più frequenti, fasi di recessione. Dal 2008-2011 viviamo la perma-crisi/poli-crisi, ovvero una situazione di crisi ininterrotta, che inizia con la bolla dei mutui sub-prime che diventa crisi economico finanziaria e poi sanitaria con il Covid (inizio della de-globalizzazione), fino alle guerre russo-ucraina e in Medio Oriente. Uno storico inglese marxista ha parlato, a proposito del 900, di secolo breve: finisce per lui nel 1989, secondo altri nel 1975. Finito quel 900, siamo entrati in una nuova epoca, che ha archiviato le caratteristiche strutturali del XX secolo, fra cui il modello di produzione economica fordista, che non è stato solo produttivo ma un paradigma sociale, un modello verticale gerarchico che tutta la società del 900 applica alle sue strutture (partiti, corpi intermedi, governi, TV di stato). Nella metà degli anni 70 il modello entra in crisi: col 75 tutte le istituzioni sono oggetto di contestazione. Nel 68 la contestazione è forte e dichiarata, politica, del modello sociale patriarcale tradizionale di famiglia, della gerarchia, dell’idea di autorità. Questa fiammata si spegne, ma nella fase successiva dal 75 in avanti questa idea comincia a refluire: i movimenti politici di manifestazione si indeboliscono e gli individui tornano al privato e concentrano le energie per la realizzazione di se stessi, in una chiave non più politica ma arricchendosi, affermandosi professionalmente oppure attraverso forme di espressività che oggi sono diventate occasione dell’industria di intrattenimento). Talent La radice del talent è che ciascuno ha il talento per diventare qualcuno: la società attribuisce un valore democratico al talento, in un’estrinsecazione del superamento della gerarchia in una logica di orizzontalizzazione. Prima c’era l’idea dei talenti unici, secondo l’idea romantica del genio. La contestazione ora racconta che il genio romantico è superato e ciascuno di noi ha la possibilità, messo nelle condizioni opportune, per diventare qualcuno e affermarsi. È una narrazione auto-consolatoria che copre smagliature della società che in realtà offre sempre meno possibilità a chi non ha strutture familiari o circuiti sociali alla base. Fine della mobilità sociale Il 900 dei 30 anni gloriosi è stato un periodo di mobilità sociale: quando la crescita economica funziona, si aprono opportunità di miglioramento della condizione professionale, di benessere e ricchezza. Per il grande patto sociale del 900, il miglioramento era inesauribile, cioè le generazioni successive avevano una prospettiva di fiducia credendo di avere condizioni migliori dei genitori: c’è l’idea di un compromesso social-democratico, cioè che tra capitale e lavoro ci potesse essere una tregua perché entrambi avrebbero avuto beneficio dalla crescita. L’ascensore sociale si interrompe per le crisi e perché una delle due parti è avvantaggiata dal progresso tecnologico (AI: produrre con meno risorse umane) e dal processo di finanziarizzazione. IPER-INDIVIDUALIZZAZIONE Le organizzazioni collettive sono entrate nel cono d’ombra della sfiducia. Questo ha anche a che fare con il processo di individualizzazione: ciascuno ha delle istanze molto ritagliate sul livello specifico, ed è difficile costruire piattaforme comuni di richiesta di cambiamento. La metà degli anni 70 è il periodo di accelerazione dei processi di individualizzazione: non è più l’individualismo di 6 22 borghese classico, ma iper-individualizzazione dove l’individuo è sempre più solitario, fatica a trovare punti di contatto con gli altri, in una condizione di apparente connessione ma sostanziale isolamento che si auto-alimenta. Si parla di sovranismo psichico: per un’avventura collettiva bisogna operare una cessione di sovranità rispetto ad alcune preferenze, entrando in una logica di accordo compromissoria. Se nessuno cede su nulla, l’alternativa è entrare nel mondo digitale, dove aumentano i tassi di polarizzazione e litigation fino a una situazione di incivility e sfiducia sistemica nei confronti di tutto/i. Nei talk l’equilibrio delicato tra quota di information e entertainment è saltato: si parla di entertaition, dove la parte tossica di intrattenimento è diventata eccessiva. Un esempio è La Zanzara di Cruciani-Parenzo: si occupano di attualità e alcuni la prendono come fonta informativa, meccanismo che aumenta incivility e polarizzazione in chiave populista. Mediamorfosi La mediamorfosi, concetto elaborato da Roger Fidler sulla trasformazione dei media, indica il processo di metamorfosi che deriva dall’interazione tra i bisogni percepiti dai soggetti. In un contesto di iper-individualizzazione, il punto di partenza è l’io per l’approccio rispetto al mondo, sono i bisogni di soggetti in una chiave di percezione. L’umanità ha da sempre dei bisogni: quando il bisogno si moltiplica, entra in una condizione di percezione. Ciascuno di noi avverte ogni tipologia di bisogno in una chiave di bisogno assoluto: il bisogno percepito si scontra con la realtà, e se non è soddisfatto, è colpa di qualcuno. Se la percezione è dominante, tutte le percezioni non consentono di ripristinare un quadro di funzionamento reale dei processi produttivi. Il passaggio alla centralità della percezione porta ad avere meno fiducia nelle istituzioni e rende la soggettività il criterio fondamentale con cui ci rivolgiamo al mondo e guardiamo alla vita pubblica. La nostra percezione entra nella dimensione del quadro di (in)compatibilità che il sistema economico-politico rende possibile. Le innovazioni tecnologiche hanno cambiato i modelli sociali: la nostra percezione è strutturata anche dalla velocità; ciò che caratterizza la società occidentale è la volontà di vincere il tempo. La società è cambiata in meglio grazie all’accelerazione consentita dalle tecnologie, ma è un processo irreversibile dal punto di vista della percezione: le nostre aspettative diventano sempre più impazienti. Il meccanismo di richiesta di accelerazione sociale si confronta con il sistema politico che ha bisogno di tempo. Nei 30 anni gloriosi si è sviluppata l’aspettativa illimitata: la percezione è rimasta ma in questo periodo di decrescita è un problema insormontabile, per cui la reazione individuale è sempre la sfiducia. Per diminuire il tasso di sfiducia, occorrono organizzazioni collettive, gruppi per meditare insieme e cercare soluzioni rispetto alle difficoltà: se l’individuo è isolato, l’unica risposta possibile è la sfiducia generale sistemica nei confronti del funzionamento della società, che investe anche la stampa. Con la mediamorfosi siamo entrati nel terreno della transizione. PIATTAFORMIZZAZIONE Il processo di piattaformizzazione della società significa ri-mediazione e inter-mediazione: le piattaforme hanno costruito la loro retorica sul fatto che finalmente si entra nello spirito dell’orizzontalizzazione che tutti chiedono, con la rinuncia all’impostazione top-down. Dietro l’apparente disintermediazione, c’è un processo di inter-mediazione, che rende la nostra un’epoca di centralità delle piattaforme logistiche. Accordo Facebook-redazioni Un caso eclatante di piattaformizzazione e tentativo di mediamorfosi è stato l’accordo annunciato nel 2015 fra Facebook e testate globali mainstream, con un modello di giornalismo che rimotivava in chiave digitale il giornalismo d’inchiesta (Buzzfeed): i giornali cedono a Facebook le notizie, che le distribuisce in relazione al suo algoritmo (consente la profilazione dell’utente per cui otteniamo contenuti più mirati, ma ha esternalità negative). In questo meccanismo di rafforzamento di contenuto, si produce, a livello di ricezione micro, l’omotetia: le cose che apprendo sono sempre rafforzative rispetto a ciò che so, rendendo difficile il confronto con la diversità. Dal punto di vista macro, questa edicola planetaria metteva FB e i proprietari delle piattaforme nelle condizioni di decidere che informazione si ricevono. Nel giornale e nella TV generalista l’agenda-setting è in capo alle redazioni: in questo modo, gli editori esautoravano le redazioni dalla costruzione dell’agenda-setting. Attraverso questo accordo, senza che gli editori se ne accorgessero, Facebook ha costruito una condizione di monopolio informativo, pur senza dover produrre direttamente informazione. Dopo un anno vuole rinegoziare le royalties unilateralmente, ma interviene l’UE nelle cause a favore degli editori. Facebook ha deciso di disdire l’accordo con gli editori australiani nel 2024. Comunque vada, una volta che gli editori si sono consegnati a Facebook, la situazione è problematica. Caso Buzzfeed: mediazione sociale e manutenzione civica Buzzfeed si reinventa con il giornalismo di inchiesta, per poi chiudere la sezione di news perché per la logica del web il giornalismo investigativo costa troppo. Siamo di fronte al problema strutturale dei costi e della duplice natura dell’informazione: è merce prodotta da privati che vogliono proventi, ma anche strumento per formare l’opinione pubblica. Le piattaforme decidono che il giornalismo è attività talmente residuale da chiudere la sezione delle news. Mentre i giornali cartacei si indeboliscono, Buzzfeed decide che quell’informazione non è strategica: impoverisce l’offerta generale, e quindi le due funzioni essenziali, di mediazione sociale e manutenzione civica (Alessandro Barbano). • La mediazione sociale, che nella nostra società costituiva un terreno di confronto comune alla base della idea dell’opinione pubblica, è messa in difficoltà dal contesto di disintermediazione. • La manutenzione civica, estensione della funzione watch-dog, è l’idea che attraverso l’informazione si parli delle istituzioni in termini non negativi. ERA INFORMAZIONALE L’espressione è coniata da Castells, sociologo contemporaneo, che ha definito network society il periodo dagli anni 90. La parte più consistente e qualificata del lavoro si gioca sul piano degli analisti simbolici: i driver dell’economia odierna passano per la gestione dei dati. La finanza è stato il primo settore in cui la dimensione informazionale si è strutturata. Native press Il giornalismo deve reinventarsi alla luce della native press (Michele Mezza), cioè l’informazione si sviluppa con il confronto con il pubblico. Il modello della native press è fatto di giovani, non giornalisti professionisti, che forniscono fonti di informazioni alle nuove generazioni. Questo nuovo ventaglio di offerta informativa è fuori dal modello classico del giornalismo. di 7 22 Mielismo Paolo Mieli è stato direttore della Stampa (1990-92) e del Corriere (1992-97, 2004-09). Da giovane era militante di Lotta continua, suo padre era nella segreteria di Togliatti, e il suo nemico era il PCI, che lui considerava borghese. Fa poi una parabola: diventa assistente all’università di De Felice, entra all’Espresso di Scalfari. Le pagine culturali del Corriere sono ancora oggi eredi del mielismo. L’idea di Mieli è l’antitesi dello scalfarismo: un’operazione che riempia i vuoti culturali del centro destra italiano. Tradizionalmente la Sinistra è stata maggiormente attenta alla cultura come strumento di occupazione dello spazio pubblico rimasto libero per esercitare potere. La Destra, già al potere, ha altre sensibilità (finanza, democrazia cristiana). Mieli vuole una visione culturale per la sensibilità moderata di cui Berlusconi diventerà rappresentante politico. Vuole una rottura nei confronti del pensiero comune della Sinistra, con il revisionismo storiografico. Renzo De Felice, liberale, cerca di proporre una versione di lettura del Fascismo che non coincide con quella dominante della storiografia di Sinistra: secondo lui, il Fascismo ha avuto gran consenso presso gli italiani e non è stato totalitario. L’operazione di De Felice è letta da Sinistra come una sfida dichiarata e un tentativo di riabilitare il Fascismo. Sul revisionismo storiografico il mielismo costruisce una costante polemica alla ricerca di momenti per dimostrare il male del comunismo e del socialismo, facendo leva sulle morti rosse: Mieli vuole evidenziare che anche il PCI, salvaguardato dalla Sinistra come diverso da quello sovietico, ha le sue responsabilità. Vuole provocare, e accoglie un dibattito senza fine con la messa in discussione di ogni posizione (es.: il filologo Canfora rivaluta Stalin sulle pagine del Corriere): in apparenza ha a che fare con la storiografia, che deve iniziare un processo di revisione alla luce di nuovi documenti, ma è puro revisionismo, collegato all’assenza di verità del post-moderno. La passione strumentale per il dibattito che serve per accendere polemiche è la versione del giornalismo culturale alla Paolo Mieli: una versione polemologica. Attraverso questa operazione culturale praticata sul più grande quotidiano italiano, Mieli ha contribuito a costruire un clima culturale differente. Vuole polemizzare contro l’egemonia culturale della Sinistra: è un’operazione di apertura di spazi culturali che disarticolano la strutturazione sofisticata della Sinistra. L’effetto è di controversialità: il Corriere di Mieli è liberale, ospita posizioni differenti, e ciò serve a generare attenzione. GIORNALISMO CULTURALE E POST-MODERNITÀ Il giornalismo culturale entra all’interno di una serie di modifiche che intercettano il passaggio alla post-modernità. Post-modernità significa crisi della verità e associato relativismo: se non esiste una verità assoluta e incontrovertibile, esistono molte verità in conflitto tra loro. L’assenza di una verità assoluta ha natura ambivalente: da un lato libera ed emancipa, dall’altro crea problemi perché, se ciascuno aderisce ad una verità differente, questa verità può desiderare di imporsi sulle altre secondo un meccanismo conflittuale, oppure si può aderire a verità senza alcun fondamento oggettivo, e ci può essere progressiva indifferenza verso il trovare un punto comune. La democrazia liberal-rappresentativa ha però bisogno di terreni di intesa: se non esistono dimensioni comuni, non funziona il nostro stare insieme. Da qui i meccanismi di polarizzazione e camere dell’eco dei social media, dove non si cercano modalità di dialogo con gli altri. L’assenza di un terreno di sintesi produce tensioni o indifferenza: entrambi alimentano situazioni non ideali per la convivenza civile. La democrazia liberale ha il pregio di garantire la convivenza tra persone con visioni differenti, purché le visioni differenti trovino luoghi in cui dialogare. Caduta dello statuto speciale Nella trasformazione del giornalismo culturale vediamo la caduta del suo statuto speciale. Il caporedattore della cultura aveva un ruolo subordinato al direttore, ma raramente il direttore interveniva sulle pagine della cultura. C’è libertà nella scelta dei collaboratori, autonomia per la retribuzione e per gli orari. Quando gli intellettuali diventano editorialisti, il direttore esercita con più forza il suo ruolo di comando. Con la post-modernità, lo statuto speciale si perde: il caporedattore cessa di essere il capo di una repubblica autonoma e diventa uno dei tanti caporedattori sottoposti al controllo verticale del direttore. Caratteristiche del neo-giornalismo culturale • Tabloidizzazione — Temi più popolari e abbassati, e certi oggetti di interesse largo entrano nel giornalismo culturale in un’ottica di culturalizzazione, diventata possibile grazie allo sguardo post-moderno. • Controversialità, dimensione agonistica e conflittualità — Ricerca di un oggetto controverso come tema di dibattito. • Commistione dei generi — La commistione alto-basso è uno dei principi fondamentali dello sguardo post-moderno alle cose, che non prevede più barriere e gerarchie. Ogni consumo culturale è l’effetto di una stratificazione storica e quindi ha pari dignità: ogni oggetto della vita collettiva può essere trattato in chiave culturale. È la disintermediazione dell’idea di autorità, debitrice della trasformazione della cultura sociale prodotta dal 68. • Attualità culturale — In precedenza le pagine culturali non avevano breve scadenza, ora sì, per l’enorme sovrapproduzione di oggetti culturali e per le logiche di mielismo e scalfarismo che portano a considerare i temi come oggetti di dibattito. Ci sono anticipazioni: si parla di libri ancora prima che escano (ora si evita per la logica commerciale). Rientra tutto nella logica di competizione e trasformazione della cultura in una logica di quotidianità. • Supplementi culturali — Tuttolibri de La Stampa, Il Domenicale de Il Sole 24 Ore, Diario di Repubblica (dedicato a una parola indagata in ambiti differenti, non più stampato), L’Almanacco (non più stampato), erede di Mercurio (dalla divinità protettrice della comunicazione, il messaggero degli dei che seminava zizzania), Lettura del Corriere (rediviva), Saturno de Il Fatto quotidiano e Alias de il manifesto. • Quotidiani piccoli di opinione — (Il Foglio, Il Riformista, Europa) C’è qui un’altra modalità di interpretare il giornalismo culturale: hanno declinato lo scalfarismo indagando gli oggetti culturali come modalità di stare nello spazio politico per influenzare l’opinione e fare agenda-setting. Tendenze del giornalismo culturale post-moderno di “contaminazione” (Edmondo Berselli) • Morte della critica letteraria — Prima il giornalismo culturale era soprattutto critica letteraria. La critica oggi non determina la fortuna di un libro. Cade l’idea che il grande critico sia il portatore dell’opinione definitiva più autorevole. • Centralità del marketing nelle case editrici — Essenziale e decisiva. Oggi i premi letterari sono una battaglia con alternanza tra gli uffici marketing delle case editrici. di 10 22 • Più narrativa, meno saggistica — Le persone, nella crisi dei lettori, leggono più narrativa, e anche i giornali si occupano sostanzialmente di narrativa. • Certificazione di qualità data dai numeri — Il numero detta la legge. Genera un meccanismo economico per cui le classifiche sono entrate all’interno delle pagine culturali. Le classifiche servono a restituire al lettore l’idea che ci sono libri che vendono tanto ed è necessario fare il dibattito su questi libri: sono meccanismi narrativi di sceneggiatura, che movimentano il racconto attraverso dati o presunti dati di natura quantitativa. GIORNALISMO CULTURALE NEI MEDIA AUDIO-VISIVI TV e radio C’era un giornalismo culturale in TV, ora i programmi dedicati a libri sono sempre più rari. Una trasmissione passata dedicata a libri era Pickwick di Alessandro Baricco, che si è mostrato grande storyteller. È rimasto un po' di spazio in radio: Radio 3 (servizio pubblico, con funzione pedagogica), Radio 24 (con caratteristiche diverse perché è radio commerciale di Confindustria), RTSI (Radio televisione della Svizzera italiana). Festival Il festival culturale (come il Festival del giornalismo culturale) ha innescato una dinamica di prossimità nei confronti dell’autore di libri, in un’ottica tipica della spinta sociale della disintermediazione, ovvero dell’avvicinamento nei confronti di protagonisti della vita pubblica. Le presentazioni dei libri oggi non servono per vendere ma per avere la firma delle star. Questi eventi, che entrano in una logica di eventologia, conservano l’idea della partecipazione ad un rito collettivo in termini antropologici: è un momento di condivisione nel quale in maniera rapida il protagonista irradia aspetti del suo sapere facilmente accostabili in quel momento. È un’esperienza post-moderna che si basa sul frammento del pensiero, all’interno del frammento più ampio di visitare una città, e che trasforma gli eventi secondo una logica di marketing in una dimensione esperienziale. Personal brand Il marketing non ci propone il prodotto in sé: in alcuni casi si tratta della brandizzazione del giornalista (Indro Montanelli, Marco Travaglio), fenomeno che si è intensificato in virtù della TV e dei social. Il meccanismo di personalizzazione ha a che fare con la frammentazione post-moderna: i giornali moderni erano corpi collettivi, era come se ci fosse una voce sola, un unico flusso; oggi andiamo alla ricerca del brand che ci interessa, e se questo brand si avvale della multicanalità, quello che ci interessa è sentire il suo pensiero. Questo meccanismo di fidelizzazione personale spiega il successo di alcuni opinionisti all’interno di canali orizzontali, come il fenomeno del book influencer, che sta trasformando il giornalismo culturale. GIORNALISMO CULTURALE ONLINE È iniziato con alcuni siti poi arricchitisi: Minima et moralia (da un libro di Adorno: cose minime e morali, che riguardano la morale intesa come sentire comune di una popolazione), Nazione Indiana. Nazione indiana nasce da giovani accademici che scoprivano il web insieme ai loro allievi in una logica antisistemica e anticonformista: gli indiani sono contro gli americani e il capitalismo negli anni 70, per reagire agli interessi economici del giornalismo culturale mainstream. Da questi due siti è nato un dibattito che ne ha fatto un giornalismo culturale molto schierato. Questo giornalismo culturale online nasce come reinvenzione della critica letteraria, per volontà di fare battaglie di stroncatura rispetto all’industria culturale mainstream e guidare il lettore verso la riscoperta della lettura in un approccio libero. Ciò si intreccia alla diffusione del blog letterario: è la rivendicazione in logica orizzontale di poter esprimere il proprio giudizio sui libri. Diventa logica di potenziale politicizzazione, in una dimensione di vetrinizzazione, cioè messa in vetrina del proprio pensiero, che risponde alla logica dell’auto-comunicazione di massa. È l’idea alla base del web 2.0: l’idea di comunicare il proprio pensiero, antitetica alla logica top-down del broadcasting. Da una parte la logica della democratizzazione apparente (blog), dall’altra la logica della re-intermediazione critica (siti). Nell’auto- comunicazione di massa (mass self-communication) rientrano i book influencer: comunicano in una logica di disintermediazione. Content curation Tutte le forme online si avvalgono del tema della content curation: è la reinvenzione del giornalismo online nel tentativo di riprodurre un senso. Il giornalismo è in crisi perché la disintermediazione rende le attività dei mediatori più problematiche, ed è un processo irreversibile, è l’effetto di una crisi di fiducia. Noi abbiamo sfiducia nei confronti dei sistemi esperti, dei contenuti di organizzazione della società per come sono stati proposti in maniera gerarchica. Il post-moderno è l’altra grande spinta generale che ha alimentato questa sfiducia. Le trasformazioni sociali sono sempre l’effetto di conflitti: si produce una trasformazione nei rapporti di forza. La pari dignità nel dibattito pubblico è un diritto in questa società. Uno degli ambiti per cercare di ricostruire il terreno del dibattito democratico è la possibilità di far parlare tutti e poi trovare punti d’intesa. La content curation è ricostruzione di un senso di significato: abbiamo bisogno sempre, come esseri umani, della produzione di senso. Il compito del giornale e del professionista dell’informazione è costruire una narrazione convincente che restituisca un senso, cosa che internet mette a disposizione di tutti noi. Occorre che il racconto sia sensato, rilevante e interessante: sono tre questioni che rimandano al decalogo sul giornalismo. La ricostruzione di un percorso di senso avviene attraverso fonti disomogenee. INFOTAINMENT SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO La “società dello spettacolo” inizia dagli anni 70. Diventa massiccia nella tv generalista, ma il concetto di spettacolarizzazione è in atto già da tempo: è l’idea alla radice dei mezzi di comunicazione di massa. I media sorgono in una società industriale che vede la crescita del ruolo delle masse da ogni punto di vista - innanzitutto quello di consumatori -, e nascono per massimizzare clientela e profitti dei titolari dei diritti di proprietà. La chiave per arrivare al maggior numero di clienti possibili è la spettacolarizzazione dei temi. Ciascuno di noi ha di 11 22 passioni differenti, ma una modalità di interessare tutti quanti è andare in una logica di spettacolo, con temi qualificabili tra i basic instincts, ovvero le 3S (soldi, sangue, sesso). Un’altra fonte in grado di interessare larghi pubblici ha a che fare con gli scandali. Dopo Tangentopoli, i media aumentano lo spazio dedicato alla politica in chiave di scandalismo e sensazionalismo. Troviamo un antenato della logica della spettacolarizzazione e dell’intrattenimento applicata alla comunicazione in Phineas Taylor Barnum, il tycoon del Circo Barnum: nelle sue meditazioni sulla comunicazione ci sono le ricette per la spettacolarizzazione; per lui l’importante è che la notizia circoli, a prescindere dall’interesse positivo o negativo. La manipolazione è prevista, consentita e ampiamente utilizzata. Nelle prime gazzette economiche della nascente borghesia in UK e Olanda non c’era la dimensione del mezzo di comunicazione di massa né la vocazione primaria di profitto: bisognava veicolare informazione. I mezzi di comunicazione di massa nascono nell’800 a partire dalla stampa popolare, poi radio, tv, e oggi piattaforme: perseguono l’allargamento del pubblico in una logica di ampliamento del profitto, ed è lo spazio della spettacolarizzazione. La società dello spettacolo in senso proprio nasce con la diffusione della tv generalista, che è generalista nei contenuti e nei destinatari. TV GENERALISTA Nasce negli USA, alla fine degli anni 40 del 900. Anche i nazisti stavano lavorando ad un tentativo di televisione, ma nella competizione tra Terzo Reich e USA, a prevalere, in virtù dei mezzi economici e delle capacità tecnologiche, sono gli USA. In Italia la prima trasmissione Rai avviene il 3/1/1954, con una programmazione contenuta nell’arco della giornata, e in gran parte un prodotto statunitense. Le tecnologie che fanno decollare la Rai, come per tutte le tv generaliste pubbliche, derivano dagli USA, esportate con il Piano Marshall agli alleati, e quindi con un ruolo politico rilevante. Tutt’oggi la RAI è dipendente dagli USA: le trasmissioni avvengono attraverso una rete satellitare controllata dal governo USA; è uno degli effetti di lungo periodo della sconfitta della WW2, dell’egemonia statunitense. L’indebolimento statunitense ora ha lasciato spazio ad altri soggetti, tra cui la Cina. All’epoca la tv è rivoluzione dei costumi, dei modi di pensare. Tecnologie di trasmissione Gli apparecchi televisivi erano all’inizio di pochi (esercizi pubblici, ristoranti e bar, famiglie benestanti); era un rito collettivo, una forma di socialità che si sviluppava con la visione dei programmi televisivi. La tv via cavo era in diretta, e la diretta costa più della registrazione: questo spiegava la compressione dei programmi e la limitazione della programmazione oraria. Negli USA nasce poi l’Ampex 1957, standard di videoregistrazione principale. I network privati statunitensi adottano ampex, e questo consente la diffusione di programmi registrati e in diretta da un capo all’altro del paese a orari diversi. Viene poi esportato nei paesi occidentali. Nel 1962 c’è il lancio del primo satellite per le telecomunicazioni con funzione civile (prima i satelliti avevano scopo militare), e consente la circolazione di filmati su grande scala. Talk show: See It Now, Edward Murrow Per l’investimento finanziario, il talk show è il programma più redditizio. Il primo talk show della storia è See It Now di Edward Murrow (1951-1958 su CBS), con grande impatto sulla politica americana. Murrow ha un ruolo nelle dimissioni e nella chiusura della commissione del senatore Joseph McCarthy, il senatore repubblicano da cui deriva il maccartismo della fase iniziale della Guerra fredda, dove la reazione negli Usa rispetto alle infiltrazioni sovietiche di ispirazioni comunista è la più dura e violenta. La commissione McCarthy stila elenchi di persone sospettate di simpatia nei confronti del comunismo, che devono essere radiate da uffici pubblici e giornali: è una campagna di espulsione che suscita un gran dibattito e vede un ruolo attivo del presidente del sindacato degli attori, Reagan, che denuncia persone a lui antipatiche. Basta il sospetto perché una persona venga bandita. È una società impregnata di anticomunismo, con timori per il rischio di un conflitto nucleare, dove anche l’essere liberal-progressisti è considerato elemento da estirpare. Murrow non era considerato persona davvero schierata in politica, era venerato e godeva di autorevolezza. L’apice della sua popolarità è raggiunto da inviato a Londra durante la WW2, dove aveva avuto il compito di raccontare agli USA la resistenza eroica del popolo inglese sotto i bombardamenti nazisti. Usa la popolarità per il progetto See It Now. Talk show significa spettacolo di parola: è un format fondato sulla discussione, profondamente diversa da quella odierna entrata nella logica di spettacolarizzazione. È una logica che oggi definiremmo anti-televisiva. Lo spostamento delle telecamere e la moltiplicazione di punto di vista è successivo, un aspetto dell’ingresso nella società dello spettacolo, mentre negli anni 50-60 la telecamera è frontale e fissa. Murrow guarda in telecamera: introduce per la prima volta l’idea del rivolgersi direttamente al pubblico. È il primo caso di personalizzazione del giornalismo, lontana da quello a cui siamo abituati noi: è una trasmissione che si guardava perché c’era lui, lo show è lui e soprattutto i suoi editoriali, il suo commento, la sua presa di posizione. La scenografia è una tenda: il modello originario della scenografia televisiva è il teatro. Il pubblico è abituato a consumare i media teatrali o cinematografici, e anche quando sono cinematografici, avvengono nel contesto teatrale, ovvero nei cine-teatri. Murrow fa un monologo, simile al monologo teatrale, con l’aggiunta dello sfondamento della quarta parete, ovvero il rivolgersi direttamente al pubblico. La logica broadcasting è top- down: Murrow simula una forma di coinvolgimento, contempla l’idea del pubblico, che diventa attore del flusso comunicativo. Il programma è chiuso dopo alcuni anni per la violenta reazione del partito repubblicano dopo la caduta della commissione McCarthy (1957): Murrow ottiene una vittoria straordinaria, ma i repubblicani interloquiscono con la CBS per chiudere il programma, e poi un anno dopo sparisce lo sponsor CBS, quindi la trasmissione chiude. Se non avesse affrontato in maniera diretta McCarthy, la trasmissione sarebbe continuata: è un caso di giornalismo watch-dog. NETWORK PRIVATI E INFORMAZIONE Negli USA, dove non esiste la tv di stato, ci sono grandi network privati che fanno informazione. L’informazione cresce di importanza, anche nella televisione americana, dove in origine non ha grande spazio. Lo spazio cresce in relazione alla comprensione di come anche l’informazione possa essere trasformata in trasmissione per il pubblico, sottoponendo l’informazione alle logiche di spettacolarizzazione e massimizzazione dell’audience: nasce la fusione di informazione e intrattenimento. A influire nelle televisioni generaliste private USA è l’elemento commerciale: fino agli anni 90 la tv statunitense non influisce sulle questioni politiche. I network privati prima fanno informazione controvoglia. Le tv berlusconiane non avevano voglia di occuparsi di informazione: è considerata solo spesa che attira poco pubblico, e nessun grande sponsor vuole collocare spot prima o dopo l’informazione. Le prospettive cambiano quando questa logica di 12 22 letto Debord, avevano sperimentato nelle radio libere, avevano pensato di fare la rivoluzione, avevano frequentato il Dams. Carlo Freccero accoglie queste figure in una logica di riversamento dello spettacolo nei programmi, dove prevale l’interazione rispetto al monologo. Evoluzione dei talk show: Samarcanda di Santoro I talk show oggi sono infotainment, alcuni rappresentano forme di entertaition, sostanzialmente intrattenimento in cui compare una dimensione di informazione (es. La Zanzara). Nel talk classico della paleotv, i politici ospitati sapevano di stare in un contesto protetto: era uno schema narrativo, l’effetto di una condizione generale della Prima repubblica, dove si aveva rispetto della politica. Ora il conduttore cessa la sua funzione (fintamente) arbitrale e diventa parte della sceneggiatura: può attaccare e interrompere il politico, dice la sua opinione, fa un editoriale (in apertura enuncia una tesi, l’antitesi dell’idea dell’arbitro). A inventare il talk di seconda generazione in Italia è Michele Santoro con Samarcanda (1987), su Rai3, appaltata al PCI di Berlinguer: rompe e rivoluziona il linguaggio tv. Propone l’idea della tv realtà, che diventa spesso tv del dolore, reinvenzione post-moderna del genere letterario del verismo e del neorealismo cinematografico. Samarcanda è luogo di scontro tra culture diverse, secondo l’idea che dal caos si generi ricchezza e molteplicità. Rispecchia la società caotica, dove i partiti sono entrati in crisi: il caos fertile è portato in tv. Santoro è anticipatore del tele-populismo con l’idea della piazza: i partiti della Sinistra ufficiale non riescono più a rappresentare i loro ceti sociali di riferimento, il PCI si è istituzionalizzato, il popolo ha bisogno di altri rappresentanti. Bisogna riportare la verità del popolo attraverso la piazza: è un’idea di disintermediazione, la piazza è la rappresentazione del caos senza filtri, di quello che succede nell’opinione pubblica generale nell’ottica di un problema sociale. Nel talk di prima generazione il pubblico è un coro a cui ci si rivolge, la rappresentazione plastica delle persone dall’altra parte dello schermo. Santoro e il talk di seconda generazione fanno entrare il pubblico nella rappresentazione, che interviene all’insegna di caratteristiche codificate. Le telecamere vanno davanti a una piazza in cui avviene qualcosa, la conseguenza di un problema di una realtà locale, come un dramma al lavoro. Succede oggi spesso di vedere queste situazioni con collegamenti in diretta che restituiscono un problema rispetto al quale la trasmissione si pone in una condizione che vuole essere risolutiva: è l’idea della trasmissione che sostituisce la politica per la risoluzione dei problemi, il modello inventato da Santoro. Rai3, PCI e crisi della Sinistra Rai3 è appaltata al PCI, deve rappresentare la voce degli italiani di Sinistra all’interno della tv di stato, con il direttore Angelo Guglielmi. Rai3 sperimenta linguaggi tv innovativi, non così embedded al PCI (Guglielmi non ha la tessera del PCI). Guglielmi si rifà alla tradizione pedagogica del PCI, al modello della tv-verità che rappresenta quello che succede con sguardo particolarmente centrato sulle classi subalterne. Dopo la morte di Berlinguer, che costituisce l’apice elettorale della performance del PCI, inizia una crisi del PCI legata alle trasformazioni nel mondo: crolla il muro di Berlino, il comunismo al di là della cortina di ferro è morto, il comunismo all’italiana (tra comunismo e socialdemocrazia secondo il PCI, in termini quasi riformistici) non funziona più come narrazione. Lo spegnersi dell’ideologia porta alla crisi strutturale della Sinistra in tutto il mondo. Il PCI rimane sotto le macerie della crisi globale del comunismo: cambia nome diventando Partito democratico della Sinistra, fino al PD di oggi. Sostanzialmente da quella crisi la Sinistra non si è mai ripresa perché le forze politiche hanno bisogno di narrazione, blocchi sociale, di rappresentare in maniera precisa degli interessi affinché le persone vi riconoscano un processo di rappresentanza vero. Il blocco sociale del centro-destra è precisamente identificato, al contrario di quello della sinistra: quella che era classe operaia fatica da tempo a riconoscersi nei partiti della Sinistra. Rappresentanza e rappresentazione Santoro mostra che la Sinistra storica non rappresentava più gli eredi del movimento operaio, di qui la crisi tra CGIL, sindacato di sinistra, e gli eredi del PCI, ovvero PD (oggi il rapporto si è riformato con la Schlein). Sulla rete appaltata al PCI, mette in evidenza che la Sinistra ufficiale non rappresenta più i lavoratori, che possono ora trovare una rappresentazione dei loro problemi attraverso la tv: dalla rappresentanza alla rappresentazione. La rappresentanza deve essere agita: perché ci sia, occorre che le persone siano parte attiva di questo processo, iscrivendosi ai corpi intermedi, dando forza politica alla rappresentanza. Nella rappresentazione la componente di attività lascia spazio alla passivizzazione. La rappresentazione funziona per titoli comunicativi, non necessariamente per politiche che realizzino quegli interessi. È ciò che accade nella trasformazione della politica dagli anni 80: i politici nominano i problemi, nessuno riesce a risolverli. Dalla rappresentanza di interessi alla rappresentazione dei problemi e sempre di più auto-rappresentazione. Il processo viene condensato nella presenza di un leader di un partito personale che satura lo spazio della politica con la sua presenza. Santoro è una delle manifestazioni televisive della rappresentanza che diventa rappresentazione, e lo fa costruendo un programma in cui tutto viene rappresentato: il problema. La tv assume un ruolo centrale in assenza del funzionamento in maniera virtuosa dei circuiti di rappresentanza. Talk show di seconda generazione: sondaggi, tesi, editoriale Santoro propone i sondaggi con una funzione narrativa e drammaturgica. Il sondaggio, prima utilizzato in termini neutri come fotografia delle opinioni generali, diventa un pezzo della sceneggiatura, che serve a confermare la tesi che viene accreditata. È un sondaggio tendenzialmente orientato: non vuol dire che vengano toccati i dati, ma Santoro utilizza le parti dei sondaggi funzionali alla sua narrazione per confermare la tesi. Il talk di seconda generazione si caratterizza per l’esistenza di una tesi: è uno svolgimento narrativo che vuole andare a un punto finale per confermare quello che è stato annunciato all’inizio della trasmissione. Santoro fa scuola anche per l’apertura con l’editoriale: le telecamere si accendono prima della sigla del programma su di lui come se fosse un attore, e lui annuncia cosa succederà nel corso della trasmissione ed enuncia una tesi, un punto di vista parziale che dominerà la narrazione della puntata. IMPERIALISMO DELL’INTRATTENIMENTO Nei giornali: le promozioni I giornali cambiano il loro linguaggio a causa della concorrenza televisiva anche dal punto di vista dell’infotainment: non possono rivaleggiare con immagini, quindi contaminano la loro informazione con una serie di innovazioni. Walter Veltroni inventa sull’Unità le promozioni (1994), nel suo caso videocassette di film (progetto pedagogico: film sofisticati) e poi figurine dei calciatori: l’invenzione, che prevedeva una contaminazione cross-mediale, funziona e viene copiata. Prevedeva una combinazione e contaminazione cross-mediale. L’Unità ha creato un business generazionale, un’ondata nazionale all’origine di tanti fenomeni culturali, in sintonia con la post-modernità. Il postmoderno è presentismo, una direzione no-future, con aspetti minacciosi: nello schiacciare la linea temporale sul presente, per converso produce spesso nostalgia del passato; è tipico, nella costruzione della temporalità di 15 22 frammentaria, idealizzare il passato solo perché non si conosce il futuro o lo si immagina in termini negativi. Sul piano pop, questo produce l’amarcord, nostalgia del passato alla base del successo di prodotti culturali come le figurine. Veltroni (e Fazio con le sue trasmissioni) hanno cavalcato questa idea. L’Unità poi entra in crisi con la crisi strutturale del PCI. In politica: il politainment La dimensione dell’entertainment è il linguaggio universale della post-modernità: qualunque tipologia di prodotto richiede una dimensione di intrattenimento per essere venduto, aumentare l’audience, veicolare contenuti e ottenere successo. Questo spiega come anche la politica abbia introdotto dosi sempre più massicce di intrattenimento: dagli anni 2000 entriamo nel politainment (politics + entertainment), concetto elaborato da Thomas Meyer, legato al fatto che di politica si parli solo nei media, che la politica abbia bisogno dei media per chiedere consenso e far circolare le proprie idee. Il politainment si articola in 2 aspetti: • incrocio tra realtà politica e industria dell’intrattenimento: i politici entrano in programmi di intrattenimento; prima degli anni 2000 erano rari i casi di politici che fuoriuscivano dagli spazi politici, perché la politica era più forte nella credibilità e non aveva bisogno di altri spazi in cui veicolare le proprie idee e presentare i candidati. Quando comincia a de-ideologizzarsi e la sfiducia nei partiti diventa sistemica, il politico cerca altre finestre di opportunità, mostrandosi sempre più simile agli elettori (orizzontalizzazione): va alla ricerca di un linguaggio dell’intrattenimento per rivolgersi a pubblici disinteressati nei confronti della politica. In un contesto in cui il numero di persone che conoscono nomi di politici diminuisce, diventa importante farsi conoscere. Gli USA sono l’iniziatore di questo processo, con politici all’interno di prodotti della cultura mediale e show. • trasformazione di temi e attori politici in una logica riconducibile alla cultura popolare: i politici veicolano la loro immagine cercando di diventare similari ai prodotti mediatici, diventano l’equivalente di un output mediale, perché la cultura mediale pop è universalmente conosciuta. Il politico ha bisogno di essere associato a modalità di processare le informazioni che comunicano immediatamente al pubblico/corpo elettorale, il quale ha sempre meno dimestichezza con la politica ma che identifica immediatamente attraverso i pattern della cultura pop. Le campagne elettorali USA sono piene di immagini pop. I politici si appellano a interessi materiali, hanno bisogno di semplificare i messaggi e il linguaggio perché siano comprensibili per tutti. La cultura pop è bipartisan: può essere adottata da tutti in termini negativi o positivi. Anche in Italia arriva il politainment: un esempio classico è la metafora calcistica. Nell’educazione e nello sport: edutainment e sportainment La declinazione secondo chiave di intrattenimento è generale. La lingua di intrattenimento è necessaria per veicolare contenuti altrimenti complicati. L’Italia ha sempre avuto difficoltà e sfiducia con le materie STEM. Quark, trasmissione di successo, presentava questioni scientifiche usando una dimensione di intrattenimento. Insieme ad altre trasmissioni (La macchina del tempo) designa il processo dell’edutainment. Lo sport è il linguaggio universale degli italiani, ma una partita senza commento non è guardata: il commento è una forma di intrattenimento, che nel caso italiano parte con Il processo del lunedì, talk intorno al calcio che appassionerà gli italiani, fatto di retroscena. L’eccezione: il media event Nella neotv c’è un flusso continuo, la programmazione non si interrompe mai, tranne in caso di evento mediale (sociologo Elihu Katz), dove a cadere è la pubblicità, interrotta o con spazi ridotti. I conduttori assumono un tono rispettoso, c’è da mantenere una condizione di deferenza, si moltiplicano gli spazi della diretta e i fuochi (i punti di visti da cui si osserva la scena), ovvero si introduce una dimensione dispendiosa. Di fronte all’evento mediale la tv moltiplica gli sforzi produttivi perché si tratta di un evento epocale; è una logica diversa da quella che governa la programmazione ordinaria. INFORMAZIONE SENZA MEDIAZIONE L’infotainment, insieme al talk show, prevede una serie di sottogeneri che presentano contenuti informativi: • docufiction: programma avente natura documentaristica, recitato come se fosse una fiction. Parte da fatti di cronaca documentati che in parte o totalmente vengono sceneggiati. I personaggi reali protagonisti dei fatti di cronaca sono interpretati da attori. • real tv (programma autonomo o inserto dentro un notiziario): mostra soprattutto eventi di cronaca nera o ad alto impatto emozionale (incidenti, sparatorie, disastri) che a volte avvengono live, commentati all’interno di un programma, con riprese fatte da testimoni diretti mandate a programmi/tg o fonti provenienti dalla polizia. Presenta una serie di problematicità, per la deontologia e il professionalismo. Viene messa in discussione la funzione della mediazione giornalistica: sono espressioni di disintermediazione (real tv) o programmi basati su eventi accaduti con il linguaggio della fiction, e dunque il ruolo del giornalista è messo in discussione fino ad essere negato. Il prodursi del fatto presentato come oggettivo prevale rispetto a qualsiasi forma di riflessione e commento. Un altro rischio è l’estetizzazione e la spettacolarizzazione di violenza ed eventi scioccanti. Ai generi dell’infotainment possiamo, di recente, assimilare anche gli influencer che propongono contenuti informativi. POSIZIONI DIVERSE IN MERITO ALL’INFOTAINMENT Possiamo schematizzare le opinioni sull’infotainment in base a due approcci: • approccio derivante dai cultural studies (iniziatore: Stuart Hall): l’infotainment è funzionale alla società capitalistica, un pezzo dell’oppressione intersezionale e sistemica, e non è politicamente asettico. Osservato da un punto di vista critico, l’infotainment rafforza un giudizio negativo nei confronti di quello che avviene, porta a maturare sentimenti di allontanamento, disaffezione e avversione nei confronti della politica. L'effetto dell’infotainment è intensificare il conservatorismo irriflessivo (idea che esistano tendenze conservatrici strutturali nel popolo, propensione naturale a privilegiare l’assetto tradizionale della società). • Mazzoleni: l’infotainment ha una valenza positiva, perché, per le sue caratteristiche, assodato che una parte della popolazione non ha interessi specifici nei confronti della politica, avvicina a temi politici persone che non seguirebbero talk e occasioni di approfondimento e non leggono giornali. È informazione rivolta a persone che altrimenti si terrebbero distanti dalla vita politica. di 16 22 Tratti ambivalenti Come tutti i fenomeni e processi che si svolgono nella post-modernità, c’è una componente di ambivalenza. La spettacolarizzazione della politica e dell’informazione indebolisce l’idea della tv come res publica. La tendenza naturale è quella di pensarla come un allargamento progressivo del modello illuministico, ma in realtà non è stato così: man mano che si allarga l’opinione pubblica, non si ripropone lo schema di dibattito. La tv non è sfera pubblica come lo sono stati i giornali, è anche altre cose. Oggi parliamo, per la pervasività delle piattaforme, di una post-sfera pubblica o sfera pubblica di transizione. In questo contesto viene naturale pensare che, se cerchiamo informazione politica di qualità, non la dobbiamo cercare in tv, perché la spettacolarizzazione è il nodo centrale. Nondimeno non possiamo dimenticare la origine dei mezzi di comunicazione di massa, e così il giudizio è meno moralistico. I media sono nati “nel” e “per” il mercato di massa: sono diventati tali all’interno dello strutturarsi di un mercato in cui i consumi si allargano, rivolgendosi ad un contesto di allargamento progressivo della platea di consumatori. Essendo pensati come un’industria, vogliono generare profitto: i media anglosassoni nascono come imprese, dunque devono rispondere a una domanda di consumo di cultura, divertimento e informazione che è mass oriented. Questo processo produce nella post-modernità la politica pop e i processi di pipolizzazione: quando i politici entrano come protagonisti nelle riveste di gossip e diventano l’equivalente di una velina o un calciatore, entrano nella dimensione della cultura pop. C’è sempre ricerca di popolarità e visibilità per entrare in sintonia con pubblici differenti, in un contesto di frammentazione del corpo elettorale e di de- ideologizzazione. Fino a Tangentopoli la politica è sovra-ordinata nei confronti dei mezzi di comunicazione, e i politici trattavano con i gruppi industriali che controllavano i giornali italiani; questo rapporto salta con la crisi strutturale e la caduta dei partiti di massa: i leader dei partiti personali hanno bisogno di comunicazione, vanno nella trasmissione di varietà in una condizione subordinata, e devono adottare la media logic della spettacolarizzazione. Il processo di popolarizzazione della politica determinato dall’infotainment genera dumbing down (abbassamento, istupidimento): il sociologo Temple sostiene che non sia un effetto della cultura tv, ma un esito dell’allargamento del target da parte del mondo dell’informazione. L’abbassamento del linguaggio non è una funzione della logica mediale, ma se il mondo dell’informazione vuole andare oltre il target di riferimento, deve introdurre un linguaggio diverso e cambiare temi. Questa dinamica è coerente con l’idea che i mezzi di comunicazione nascano nel mercato di massa per rivolgersi a masse di pubblico. I talk di seconda generazione si fondano nella dimensione di polarizzazione e iper-agonismo, e devono la loro fortuna a una dimensione conflittuale: se la politica si propone in termini di riduzione del conflitto, i talk scendono di share. La risposta è andare nella direzione dell’intensificazione dell’infotainment, con una serie di innovazioni (es. introduzione della satira), come i comici che entrano nei talk. In un'idea di esasperazione dell’infotainment, si perdono i confini: il comico fa satira o pubblicità nei confronti del politico, il quale è presente nello stesso studio e deve ridere, in una logica di metanarrativa riflessiva per cui il contenuto genera altri contenuti che si basano sulla discussione del contenuto originale. GIORNALISMO USA POLITICALLY CORRECT La sfrontatezza è venuta a mancare nel giornalismo americano, che ha adottato l’ideologia della correttezza politica. Il giornalismo americano avrebbe dovuto tenere fede ai fatti separati dalle opinioni, mentre oggi fa polemica basata sulla polarizzazione in modo simile all’Europa. Ora nel dibattito pubblico americano c’è assenza di spavalderia. Il peggioramento del clima dovuto al rischio di litigation crea irrigidimento nei giornalisti per il rischio di essere citati in giudizio. È il segnale di un peggioramento del clima di polarizzazione sempre più elevata del mondo occidentale. Oggi è difficile trovare media che garantiscano pluralismo perché sono polarizzati. Nella crisi generale dell’utenza, si cerca di fidelizzare la parte del pubblico a cui si sa di potersi rivolgere, e ciò porta a sperimentare di meno. L’aumento di sensibilità e suscettibilità ha a che fare con il cambiamento di mentalità e il rispetto di tutti, ma se si applica una forma di autocensura per non urtare nessuno si arriva ad un giornalismo grigio dove non si possono affrontare certi argomenti e non si può essere scorretti. A volte il politically correct diventa cancel culture: la differenza sta nel tasso di radicalità. di 17 22 COMUNICARE. PERSONE, RELAZIONI, MEDIA - BOCCIA ARTIERI, COLOMBO, GILI INTRODUZIONE. DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI COMUNICAZIONE 1. Un oggetto sfuggente e in divenire Secondo Williams, il termine “comunicazione” è usato nella modernità con significati diversi: l’atto del comunicare, il contenuto trasmesso e i mezzi di comunicazione (infrastrutture e organizzazioni che si occupano di condividere messaggi). Le teorie della comunicazione sono cambiate nel tempo proprio perché è cambiata la comunicazione insieme ai suoi strumenti. Comunicare significa non solo trasmettere ma anche condividere: è la comunicazione interpersonale, che non passa attraverso i media. 2. La comunicazione: attitudine, azione, attività La comunicazione linguistica ha luogo attraverso le parole in una lingua nota almeno a un gruppo di persone. La comunicazione è: • attitudine umana: gli esseri umani sono spinti a costruire relazioni con gli altri basate sulla comunicazione, ed è una spinta preliminare rispetto alla messa a punto dei linguaggi. Siamo consci della limitatezza dell’esistenza individuale, e siamo in grado di comunicare con chi vive prima e dopo di noi: la comunicazione umana è un’originaria apertura all’altro • azione (rel-azione): la messa in atto della possibilità che utilizza il linguaggio per rendersi concreta • attività funzionale: attività finalizzata ad ottenere risultati specifici, unica forma comunicativa governabile da algoritmi La comunicazione come attitudine non si esprime visibilmente attraverso la lingua ma condiziona gli atteggiamenti. La comunicazione come rel-azione e attività funzionale necessita del linguaggio, ma le funzioni del linguaggio cambiano a seconda di azione o attività, anche se può accadere che le due si mescolino nel linguaggio ordinario. 3. Comunicazione e mondo simbolico Azione e attività comunicativa producono effetti osservabili, a differenza dell’attitudine. La comunicazione concreta in quanto azione o attività comprende le lingue, la gestualità e le tecniche di espressione artistica o culturale. Lo studio della comunicazione non esaurisce la complessità della relazione personale o sociale. L’agire comunicativo è definito dal fatto che avviene fra soggetti umani, indipendentemente dalla mediazione di interfacce. I modelli di funzionamento della comunicazione sottolineano il tipo di flusso tra i soggetti. Nel modello di Shannon e Weaver l’interesse è per le regole formali della comunicazione: è una teoria generale fondata sul livello tecnico che non si occupa dei problemi di significazione né degli effetti o dei contesti. Il suo valore sta nello scindere gli elementi della comunicazione a livello analitico e tenerli assieme a livello processuale. L’analisi dei segni-simbolo come elementi di mediazione ha generato tre ambiti di ricerca: 1) sintattica: rapporto tra segni, regole di strutturazione dei testi), 2) semantica: processi di significazione, 3) pragmatica: studio dei comportamenti. 1. PERCHÉ COMUNICHIAMO? I SOGGETTI DELLA COMUNICAZIONE E I LORO SCOPI Gli elementi essenziali in ogni situazione d’interazione sono: partecipanti, messaggi, codici, interfacce, scopi, norme, contesti. 1. I soggetti agenti Soggetto agente è colui che partecipa alla relazione comunicativa, indipendentemente dal ruolo, e interpreta i comportamenti propri e altrui come espressioni di intenzionalità e volontà. Che cosa caratterizza gli esseri umani in quanto soggetti comunicativi? 1. Simili ma diversi — L’altro ha una vita interiore analoga alla nostra, ma non immediatamente accessibile per noi. I pensieri degli altri possono essere colti in modo indiretto e derivante dai segni che li esprimono. Simmel individua come a-priori sociologici l’alterità (percepiamo gli altri come altri, e siamo altri per loro, per cui non è possibile una piena conoscenza reciproca) e l’ulteriorità (non siamo totalmente definiti dalle relazioni, perché non tutto dell’individuo è socializzato e quindi comunicabile). Per Ricoeur l’originaria similitudine e differenza è la condizione a-priori alla base delle relazioni. La similitudine rende la comunicazione facile, e ci sono degli universali comunicativi (strutture invariate della comunicazione che precedono le diverse culture): comunicare è possibile per i tratti pre- e trans-culturali comuni e per gli elementi di similitudine universalmente riconosciuti dell’esperienza umana. La diversità degli esseri umani rende la comunicazione problematica: l’altro rimane sempre diverso da me, rendendo la comunicazione una traduzione. Un soggetto della comunicazione è tale perché è allo stesso tempo simile e diverso rispetto agli altri soggetti con cui comunica. 2. Intenzionalità — I soggetti agenti agiscono intenzionalmente. L’intenzionalità come tratto fondamentale della comunicazione umana è definita come: 1) apertura al mondo e agli altri: attitudine comunicativa che dipende dal nostro essere immersi in un mondo già dato, un comune Lebenswelt; 2) capacità di agire riflessivamente: istituire un rapporto consapevole con il gesto comunicativo proprio e altrui (Mead, gesti significativi: ciascuno può guardare a se stesso come se fosse un altro, e possiamo tener conto dell’interlocutore nella comunicazione); 3) intenzionalità del noi: la comunicazione umana ha natura essenzialmente cooperativa. Un soggetto agente è tale perché il suo agire comunicativo è intenzionale e relazionale. 3. Agire individuale e agire di ruolo — L’individuo non partecipa alla comunicazione come persona totale ma in termini di una specifica funzione, veste o status sociale. I ruoli fissano le aspettative reciproche e canalizzano le azioni comunicative in una certa direzione. Oltre definizione normativa e agire tipico di ruolo, esiste uno spazio di interpretazione del ruolo. 4. Soggetti individuali e soggetti collettivi — I soggetti della comunicazione possono essere individuali o collettivi (gruppi, organizzazioni, istituzioni). I soggetti collettivi agiscono comunicativamente come un’unica entità. 5. La questione dell’emittente e del ricevente: due polarità sempre attive — Emittente e ricevente non sono due ruoli rigidamente separati, ma ognuno di noi è sempre potenzialmente emittente e ricevente. L’equivoco fondamentale è la “metafora del condotto”, l’idea che l’emittente sia attivo e il ricevente passivo. L’emittente può agire come: 1) animatore: comunica materialmente e si rivolge all’interlocutore; 2) autore: idea e costruisce il messaggio; 3) mandante: soggetto nel nome del quale si parla e si assume la responsabilità di ciò che è detto. Le tre dimensioni possono essere concentrate nello stesso soggetto o divise tra più soggetti. Il ruolo del ricevente può essere scomposto in: 1) partecipante ratificato/designato (status privilegiato, vero e proprio destinatario) o ricevente occasionale/accidentale (si trova nel campo d’azione dell’emittente); 2) ricevente diretto (si espone al messaggio come è stato originariamente formulato dall’emittente) o ricevente indiretto (riceve il messaggio per tramite di altro soggetto); 3) ricevente in di 20 22 presenza (relazione faccia a faccia, compresenza e contemporaneità) o ricevente a distanza (con tecniche e tecnologie di trasmissione). Il modello del two-steps flow (Lazarsfeld, Katz) mostra che la ricezione dei messaggi dei mass media passa attraverso il filtro degli opinion leader, persone dello stesso ambiente dei riceventi ma più interessati ed esposti alla fonte. 2. Gli scopi della comunicazione Per Jakobson, ogni comportamenti comunicativo è orientato verso uno scopo, ma gli obiettivi variano. 1. Scopi sociali — Legati a determinati valori. Possono essere generali, se condivisi dal gruppo, o particolari, se ogni soggetto persegue scopi specifici. Gli scopi specifici possono essere: comuni (le azioni mirano allo stesso scopo), complementari (competenze e interessi diversi si implicano reciprocamente), conflittuali (più soggetti competono per un risultato esclusivo), negoziati (pur in presenza di situazione potenzialmente conflittuale, i soggetti accettano un compromesso che garantisce chance uguali di comunicazione). 2. Scopi interni alla comunicazione — a) Informare/disinformare: il primo scopo della comunicazione è offrire al destinatario un nuovo elemento di conoscenza; informare vuol dire fornire un’informazione che l’emittente crede vera, mentre disinformare è veicolare una conoscenza falsa; la moltiplicazione dei mezzi di comunicazione ha agevolato il fenomeno della post-verità, con diffusione crescente di fake news (disinformazione: notizie false prodotte per confondere; disinformazione: notizie false diffuse credendole vere), ma senza la verità come riferimento essenziale non vi sarebbe comunicazione. b) Convincere/manipolare: si può comunicare per spingere qualcuno a fare o non fare qualcosa; convincere e manipolare rientrano nella categoria dell’influenza, ma convincere vuol dire sostenere un’idea con buone ragioni e fare appello alla capacità di giudizio dell’interlocutore, e presuppone fiducia e adesione razionale del destinatario, mentre manipolare è influenzare sfruttando leve psicologiche e sociali di cui il destinatario è inconsapevole. 3. L’azione comunicativa tra soggetti e scopi Buber distingue tra relazione dialogica Io-Tu, dove in gioco è l’intero rapporto interpersonale, e relazione di ruolo Io-Esso, dove in gioco è solo un segmento della personalità. Habermas distingue tra agire comunicativo, dove lo scopo è la ricerca dell’intesa reciproca, e agire strategico. La comunicazione come attitudine è alla base delle relazioni, ma perché le relazioni sono essenziali? È una questione di interesse per il contenuto della comunicazione o per l’interlocutore, è consapevolezza di essere nati per stare con gli altri. La comunicazione come attitudine spiega l’andamento delle relazioni: le relazioni si coltivano quando ci sono vantaggi e piacere, mentre sono interrotte se onerose e sgradevoli. Vi sono casi in cui si mantiene la relazione comunicativa allo scopo di sabotarla, o ci si sottrae per difendere un autonomo spazio di espressività. di 21 22 STORIA DEL GIORNALISMO ITALIANO - MURIALDI XI. STAMPA E DOMINIO TV 1. La sfida Corriere della Sera - la Repubblica Dal 1986 i media sono in fase di crescita. Per la tv, si consolidano i due poli pubblico e privato e comincia il dominio dell’audience. Per la stampa, sono ormai superate le 6 milioni di copie giornaliere. I maggiori quotidiani avviano gigantismo (più pagine e contenuti) e marketing (gadgets, giochi a premio). È una fase di sorpassi fra la Repubblica e il Corriere. L’immagine dei maggiori quotidiani italiani è ora diversa da quella tradizionale: più articoli, varietà e rubriche. Nascono iniziative di informazione economica. L’introduzione nelle redazioni di sistemi editoriali basati sul computer e l’aumento di edizioni e foliazione determinano il potenziamento delle agenzie di notizie, tra cui la più importante rimane Ansa. I giornalisti possono consultare banche dati e archivi, trasmettere i propri servizi alla redazione e procedere alla video-impaginazione. Aumenta il numero di giornalisti grazie allo sviluppo dei media. Ci sono riserve crescenti sull’Ordine obbligatorio, discusso per la limitata azione deontologica e per i meccanismi di ingresso in una professione che richiede libertà. Il saggio Carte false di Pansa denuncia la politicizzazione interessata di alcuni colleghi e altri vizi del giornalismo italiano. 2. La Grande Mondadori e il duello De Benedetti-Berlusconi Dopo il gruppo Rizzoli-Corriere, nasce un altro gruppo editoriale: Mondadori di De Benedetti incorpora la Repubblica e L’Espresso. I due gruppi dominano la scena mediatica. Fra gli azionisti Mondadori c’è Berlusconi: dopo la scomparsa del presidente della Mondadori Formenton, c’è un conflitto tra Berlusconi e De Benedetti. La guerra di Segrate e il dibattito parlamentare sul sistema televisivo fanno prevalere l’idea della spartizione della Grande Mondadori: Berlusconi diventa proprietario della vecchia Mondadori e ottiene le assicurazioni che chiedeva per la legge televisiva. La legge Mammì (l. 225/1990) sancisce l’esistenza del duopolio Rai e Fininvest, pone limiti alle concentrazioni fra Tv e quotidiani, obbliga Berlusconi a trasmettere tg in ciascuna rete. Ora il campo dei media è ricco e potente, con tre grandi concentrazioni: Rai (radiotelevisiva), Rcs (carta stampata), Fininvest-Telepiù-Mondadori (mista). 3. Inviati in guerra Diversi eventi degli anni 90 riportano in primo piano il lavoro degli inviati di guerra (disgregazione del blocco sovietico, guerra del Golfo, conflitti in Bosnia e Kosovo, rivolte in Africa, guerra in Cecenia). Alcuni giornalisti e operatori tv perdono la vita. Alcune guerre sono più visibili, come quella del Golfo e del Kosovo, per il coinvolgimento Usa e italiano, mentre altre sono meno visibili, come quella in Cecenia, dove la repressione armata dei ceceni per l’indipendenza dalla Russia non è nei media per la pressione di Mosca sull’Occidente. 4. Tangentopoli Il sistema partitocratico italiano si indebolisce, la sinistra del postcomunismo è travagliata da scissioni e polemiche, viene svelata una corruzione diffusa eretta a sistema, con indignazione in tutto il paese. I media danno grande risonanza a questi eventi, e il giornalismo si fa coinvolgere nei conflitti di idee e interessi. 5. Cresce la teledipendenza I giornali cercano di rispondere alla concorrenza della Tv con informazione di gridata, maggiori dosi di cronaca nera e rosa e il prendere partito. Dal 1992 inizia la diminuzione di lettori. Gli editori provano a rispondere scegliendo direttori giovani, come Mieli per La Stampa e poi al Corriere. C’è teledipendenza per la scelta di argomenti e linguaggio, per i protagonisti dei teleschermi. Le testate di sinistra sono in crisi economica e politico-ideologica: l’Unità fa risalire le vendite con iniziative promozionali (Veltroni: videocassette). 6. Scontri con i media e con la scheda Nel campo dei media crescono politicizzazione e asprezza delle polemiche. Nelle elezioni del 1994 un ruolo preminente è svolto dalla Tv e dal suo impiego da parte di Berlusconi: si parla di televoto e rischi di una telecrazia. La Tv ha evidente influenza sugli stili di vita e sulle mentalità. Il mercato di lettura dei quotidiani è in crisi, la categoria giornalistica conosce disoccupazione e cassa integrazione. Il distacco di frange di lettori è dovuto anche alla scarsa credibilità dei giornali. XII. GIORNALISMO E INTERNET Le incognite immediate di Internet agli inizi degli anni 2000 riguardano il futuro della stampa e l’evoluzione del giornalismo. Per la stampa quotidiana l’aspetto più preoccupante è il distacco dei giovani, e aumenta la disparità fra Nord e Sud. Editori e giornalisti ricorrono alle stesse soluzioni degli anni 90 (gigantismo, supplemento, ricchezza di firme). Ma il livello di credibilità della stampa fra i lettori resta basso. Nei tg nazionali c’è maggiore evidenza per notizie di cronaca e sport rispetto alle informazioni politiche, con un uso più frequente di interviste veloci. Lo stile del giornalismo resta impressionistico piuttosto che fattuale, e continua a mancare la cultura professionale del controllo e dell’indagine. Le cinque testate maggiori (Corriere, Repubblica, Gazzetta dello Sport, Il Sole-24 Ore, La Stampa) assumono la metà della diffusione globale giornaliera dei quotidiani. Ci sono gravi crisi finanziarie per Il Tempo e l’Unità, con dissensi sulle scelte dei dirigenti postcomunisti al governo e nostalgie del PCI di Berlinguer. I piccoli giornali di opinione e partito (Il Foglio, il manifesto) si sostengono con sovvenzioni pubbliche. La riduzione dei costi di produzione per lo sviluppo tecnologico consente la pubblicazione di piccoli quotidiani locali e piccoli tabloid quotidiani gratuiti (gli unici introiti sono quelli dalla pubblicità). Per la svolta digitale, si inizia dalla riproduzione dei giornali sullo schermo del computer, per arrivare a una elaborazione e diffusione di servizi e informazioni con spazi pubblicitari, con nascita di redazioni online. di 22 22
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