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STORIA DEL LIBRO E DELLA LETTURA (Giorgio Montecchi), Sintesi del corso di Biblioteconomìa

Riassunto del libro "Storia del libro e della lettura. Vol. 1: Dalle origini ad Aldo Manuzio" di Giorgio Montecchi - Esame: Bibliografia

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica STORIA DEL LIBRO E DELLA LETTURA (Giorgio Montecchi) e più Sintesi del corso in PDF di Biblioteconomìa solo su Docsity! STORIA DEL LIBRO E DELLA LETTURA Dalle origini ad Aldo Manuzio (Giorgio Montecchi) Il libro è nato quando gli uomini hanno trovato forme leggere e facilmente trasportabili per le loro scritture. Ciò ha consentito al testo scritto di viaggiare con agilità e leggerezza, da una terra all’altra e da un’epoca all’altra. È sotto il segno della leggerezza che si è sviluppata l’intera storia del libro, dal papiro all’e- book. - Il papiro in forma di rotolo si è protratto per circa quattro millenni dagli antichi Egizi fino all’età tardo-antica - Quella del codice in pergamena ha attraversato tutto il Medioevo fino al XV sec. - Il libro a stampa antico (torchio in legno) è sopravvissuto almeno quattro sec. da Gutenberg alla prima metà del XIX sec. - Il libro industriale contemporaneo ha dominato il mercato per duecento anni, dai primi dell’Ottocento fino allo schiudersi del terzo millennio - Dal Novecento una serie di innovazioni con l’imporsi delle tecnologie digitali In questi passaggi, assistiamo al progressivo aumento della leggerezza. 1. IL LIBRO NELL’ANTICHITA’: il rotolo del papiro dall’Egitto a Roma Dalla parola orale alla parola scritta Platone nell’ultima parte del dialogo intitolato Fedro, illustra la sua dottrina sul discorso. Tratta di come la dialettica (scienza che conduce alla verità) sia superiore alla retorica che mira a persuadere l’esecutore. Socrate mostra in questo dialogo a Fedro, l’arte dei discorsi e gli propone di affrontare il tema dell’opportunità o meno della scrittura introducendo un’antica leggenda, che attribuiva ad un dio l’invenzione dell’alfabeto (presentò la sua scoperta al Re che non fu entusiasta, disse che il venir meno dell’esercizio della memoria avrebbe portato all’oblio) Socrate/Platone contrappone alla neutra fissità del testo scritto la vivacità e la fertilità del discorso orale, che trova espressione più alta nel dialogo interattivo tra il maestro e il discepolo. Questo passo, testimoniala paura dei timori suscitati dell’apparire a NUOVE TECNOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE. Nell’età che tenne subito dietro a quella di Platone la scrittura si sarebbe completamente scrollata di dosso il ruolo di servizio della comunicazione orale. Ormai i poemi, drammi, orazioni, storie erano scritti e letti non come supporto alla memoria ma per se stessi. In età ellenistica il testo scritto appariva ormai come il mezzo indispensabile e privilegiato in grado non solo di essere al servizio del dialogo ma anche capace di mettere in comunicazione il lettore con gli assenti = ascoltare la voce degli uomini del passato. Dalla seconda metà del IV sec. venne riconosciuta ormai piena efficacia comunicativa alla relazione stabilita dalla scrittura e dalla lettura tra l’autore di un’opera e il suo pubblico. era nata la SOCIETA’ DELLA LETTURA. Dalla struttura interlocutoria degli scritti di Platone si era ormai passati alla forma trattatistica delle monumentali opere di Aristotele che riflettevano il pensiero del loro autore senza finzioni dialogiche L’avventura della scrittura approdata in Grecia era iniziata alcuni millenni prima presso le popolazioni che abitavano la Mesopotamia. Dove i primi segni, non ancora alfabetici, indicanti una parola o al massimo una sillaba furono trasformati nei segni cuneiformi dai Sumeri, adattati poi alle diverse lingue dei popoli che si succedettero lungo i sec. Dal terzo millennio a.C nella Valle del Nilo fece la sua apparizione la SCRITTURA GEROGLIFICA per dono del dio Thoth (da cui attinge anche Platone). Accanto ai geroglifici apparve quasi contemporaneamente anche la SCRITTURA IERATICA forma corrente per testi religiosi, per componimenti letterari, per atti amministrativi e corrispondenza. In seguito si fece strada anche la SCRITTURA DEMOTICA che serviva all’inizio per l’amministrazione e i commerci. Queste scritture erano impiegate principalmente per scrivere con inchiostro e pennello su fogli di papiro che incollati l’uno accanto all’altro formavano una striscia, che costituiva il rotolo = prima forma assunta dal libro. Comunicare con la parola e con la scrittura Con il trascorrere dei sec. comunicare divenne un sinonimo di parlare, ogni altra forma di comunicazione non verbale, per quanto chiara ne costituiva ormai un semplice corredo. I processi di incivilimento comportarono ovunque lo sviluppo e il prevalere del linguaggio. La scrittura poi portò all’apparizione della prima tecnologia del comunicare. Nella sua lunga storia e preso i popoli andò incontro a innovazioni e trasformazioni ed ha intrapreso il suo cammino verso la leggerezza trovando il suo approdo fondamentale quando gli Egiziani hanno cominciato a scrivere non su pietra o su argilla ma su fogli fabbricati con sottili strisce di papiro. Pianta che cresceva negli acquitrini a ridosso del Nilo. Questi fogli, che provenivano dal fusto di elementi vegetali erano incollati insieme l’uno all’altro e davano origine ad una lunga striscia che poteva essere facilmente arrotolata su se stessa e trasportata = nascita del libro, la seconda grande invenzione dopo la scrittura nel campo della comunicazione Il libro di papiro in forma di rotolo A tramandarci la descrizione non sempre chiara di come avveniva la produzione dei fogli di papiro (3000. A.C – X-XI sec. d.C) è la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. I fusti delle piante, che crescevano molto bene specialmente nel Delta, erano tagliati ancora freschi nel senso della lunghezza in strisce sottili che, ridotte all’altezza desiderata, erano accostate con una leggera sovrapposizione dei bordi l’una all’altra in modo da formare un unico strato reso più omogeneo dall’umidità gelatinosa della pianta. Su questo primo strato erano distese in senso perpendicolare alle prime altre strisce di papiro incollate e pressate con le medesime procedure. Alla fine il foglio intero era battuto con un martello in modo da aderire perfettamente e divenire compatto e sottile. Essiccato al sole e levigato venivano rifilati infine i bordi prima di essere pronto per la scrittura. I fogli ottenuti, chiamati Kollémata dai Greci presentavano spessore, consistenza e dimensioni diverse. Ai suoi tempi la carta di papiro prendeva nomi differenti a seconda dell’autorità cui riferiva le proprie qualità (Augustea, Liviana, Claudia, Corneliana, Hieratica ecc..) Per la corrispondenza, la documentazione di ogni tipo si adoperavano fogli singoli, per i testi più lunghi i rotoli. Nei testi letterari si aggirava intorno ai cinque metri. Questa misura diffusione nei regni del vicino oriente. Per più precise informazioni dobbiamo aspettare ancora alcuni secoli. Quando Lodovico Antonio Muratori riporta nelle Antiquitates Italicae Medii Aevi una ricetta su come preparare una pergamena. Le pelli usate generalmente di pecora o di vitello ma anche capra e montone conferivano particolari caratteristiche alla pergamena (quella di vitello era ruvida più adatta ad accogliere colori e miniature) Negli ultimi sec. del Medioevo furono molto apprezzate le pelli degli agnelli non nati, dalle quali si ricavava una pergamena finissima chiamata virginea. La preparazione della pergamena non andò incontro a variazioni sostanziali per oltre mille anni. Le differenze sono dovute al: - tipo delle pelli - modalità di esecuzione - modo grossolano/accurato della fine della lavorazione Un caso a parte riguarda i libri purpurei o d’oro bagnati con inchiostri, per dare segno di magnificenza e regalità. Ben presto però, in secoli di declino economico e sociale cominciarono ad essere riutilizzati per la scrittura antichi codici di opere ritenute obsolete o scritte con grafie non più in uso. Il copista raschiava e lavava accuratamente il codice e riscriveva il testo = PALINSESTO. Codici riscritti che giunti fino a noi ci hanno spesso restituito opere definitivamente scomparse. La lettura del testo cancellato fu possibile grazie ad un trattamento chimico della pergamena, oggi si possono leggere con la fotografia a raggi ultravioletti. La confezione del codice e la produzione del testo in età classica La fabbricazione del libro e l’attività personale dello scrivere, come la produzione di ogni altro manufatto, erano in età classica lasciate a liberti/servi. Il termine librarius in una professione artigianale dai contorni non sempre ben definiti, assumeva: - significato di fabbricatore di codice - copista - editore commerciale ad indicare il mestiere di chi trascriveva libri, abbiamo molti termini che fanno riferimento alle operazioni per la produzione del codice che comportava: levigatura della pergamena, taglio, piegatura, cucitura per la confezione dei fascicoli e rigatura. Il libro nell’abbandonare la forma di rotolo per assumere quella di codice non cambiò radicalmente ne la sequenza delle pagine del testo ne la loro immagine visiva. Le norme di impaginazione rimangono quelle del papiro. La pergamena però era più resistente agli agenti esterni del papiro ed era in grado di offrire un più grande ausilio della conservazione Nel rotolo, il colophon che riportava alla fine del testo nome dell’autore e titolo e gli altri elementi essenziali per l’identificazione dell’opera, presentava spesso una grafia più grande ed accurata. Nel codice invece, era a ridosso della parte esterna, posizione più soggetta ad usura. Il trasferimento di questo sarebbe giunto a compimento dopo l’invenzione della stampa. Fin dalla tarda antichità il codice nella prima pagina aveva cominciato ad ospitare simboli già presenti nel colophon. Ma soprattutto iniziarono a comparire le lettere grandi iniziali per contrassegnare l’inizio di un paragrafo. Ricordiamo che, l’autore non scriveva direttamente l’opera ma la dettava ad un professionista della scrittura. Si procedeva poi alla revisione del testo per renderlo degno di entrare in un primo circuito privato di letture presso amici o colleghi. La preliminare distribuzione di alcune copie per opere ancora in formulazione veniva praticata. Scrittura, pubblicazione e diffusione dei libri in età patristica Le modalità di scrittura, le procedure editoriali di pubblicazione e i canali di diffusione restano ancora negli anni della massima espansione della letteratura cristiana tra IV e V sec. i grandi padri della chiesa latina: - Girolamo - Agostino - Ambrogio - Papa Gregorio Erano romani e cristiani allo stesso tempo. Nelle grandi trasformazioni di quegli anni, il cristianesimo svolse una funzione catalizzatrice. Offrì e predispose il contesto concettuale, sociale e materiale in cui quei processi di cambiamento giunsero a maturazione. Per creare un’opera si procedeva con la dettatura, ma talvolta anche l’autore poteva procedere direttamente di propria mano alla scrittura del testo. Gli stenografi e gli scribi erano indispensabili al buon funzionamento di tutte le procedure che portavano nell’antichità alla produzione del testo scritto. L’intensa attività di scrittura dei padri della chiesa faceva loro apprezzare l’impegno dei notarii e degli scribi che lavoravano per loro. Quando il notarius aveva terminato di stenografare il testo, lo trascriveva in chiaro per farlo rivedere, correggere ed approvare dall’autore. Aveva così inizio l’itinerario di pubblicazione che prevedeva come in età classica letture preliminari di amici e di altre persone fidate che potevano contribuire al perfezionamento dell’opera. La pubblicazione ha sempre costituito uno dei momenti più critici e importanti nel processo editoriale, nell’antichità era costituita dall’invio in dono di una copia dell’opera accompagnata da una dedica. Con il dono l’autore di fatto perdeva il controllo del suo scritto e ne autorizzava la riproduzione. Già in questo periodo, alcune opere venivano pubblicate senza il consenso dell’autore, un esempio potrebbe essere il “De Trinitate” di Agostino. Con il passare del tempo, la diffusione dei testi, non era più affidata solo alla copiatura e allo smercio da parte dei librai, ma al lavoro di copisti e di librai al servizio delle chiese. 3. L’EREDITA’ ROMANA E I MILLE RIVOLI DA CUI, LENTAMENTE NASCE L’EUROPA Cassiodoro: salviamo almeno l’ortografia! Quando i Longobardi dai confini nord orientali d’Italia avevano percorso gran parte della dorsale appenninica e avevano già da alcuni anni raso al suolo, nel 577 il monastero di Montecassino, Cassiodoro ormai ultranovantenne, portava a compimento l’ultimo generoso tentativo di salvare e trasmettere ai posteri l’eredità romana e cristiana, il patrimonio di libri e di civiltà in cui era stato educato in gioventù dettando attorno al 580 l’ultima delle sue opere “De ortographia”. Nel 554 fondò il monastero Vivarium che aveva quale caratteristica peculiare la lettura e lo studio della sacra scrittura, resa possibile grazie a una vasta opera di acquisizione, trascrizione e ordinamento di testi sacri e profani. Dell’attività della scrittura e della biblioteca ci lasciò documentata testimonianza nei due libri delle “Institutiones”. Con il passare delle generazioni i monaci del suo monastero erano sempre meno istruiti e sempre meno preparati nella lettura e nella scrittura dei testi. Anche quando possedevano queste abilità non erano più in grado di avvertire come in passato la corrispondenza tra la forma grafica delle parole scritte con la loro originaria pronuncia, quindi erano facilmente indotti a commettere errori di copiatura. Allora, la scrittura delle parole e dei periodi non si era ancora completamente emancipata dalla voce del lettore, il testo scritto allineava sulla riga le parole senza spazi intermedi. Solo la lettura, tenuta ad alta voce, riconferiva al testo orale la sua completa armonia. Cassiodoro ripropose loro un compendio di tutto quanto era stato scritto sulla retta grafia delle parole, in modo che potessero trascriverle correttamente anche quando non erano in grado di comprenderne appieno il significato e di avvertirne l’antica pronuncia. Il legame tra la trascrizione dei monaci e gli antichi testi non poteva più essere mediato dalla corretta pronuncia ma dalla sola grafia del testo = nuovo equilibrio e più retta distinzione tra parola e voce grazie alla quale il testo scritto sarebbe stato conservato nella sua integrità dall’attenzione alla sola grafia. Il libro stava trasformandosi in uno scrigno di tesori reconditi, la cui chiave di lettura restava in gran parte ignota anche a quelli stessi che lo custodivano. Appariva sempre più un simbolo di potere e di un sapere assoluto e lontano. Le opportunità del codice: voluminosità, compattezza e conservazione del testo Nella seconda metà del sec. IV quando Cassiodoro fonda il monastero Vivarium, il libro in forma di codice ha ormai preso decisamente il posto del rotolo di papiro. La scelta di fare della copiatura dei codici il centro della sua attività ne segna anche la differenza con il monastero aperto da Benedetto Montecassino (aperto una ventina di anni prima). Nella regola di San Benedetto si dava spazio alla “lectio divina” cioè alla pubblica lettura dei testi sacri. Ma per giungere ad una sistematica attività di scrittura bisognerà aspettare il sec. IX ai tempi dell’abate Desiderio. Il Vivarium trovava il suo corrispondente classico: - Nell’otium della villa romana - Nella bottega del libraio L’attività di produzione dei libri era affidata a pochi amanuensi, che vedevano nel loro lavoro di copiatura una partecipazione alla storia della salvezza (leggendo le sacre scritture arricchiscono con il messaggio salvifico la loro mente” Alla centralità della trascrizione dei codici nel monastero contribuirono anche le diverse caratteristiche strutturali che la solidità e la praticità del codice offrivano. Rispetto alla fragilità e all’ingombro degli antichi rotoli in papiro vi contribuì la gran quantità di testo che ora si poteva copiare su un solo codice. Tutto ciò comportò anche un diverso modo di distribuire i testi all’interno del nuovo manufatto librario, con importanti trasformazioni lessicali e tipologiche nella partizione e nell’aggregazione dei testi. - Si continuò a parlare di “liber” anche quando le pagine non erano più di natura vegetale ma di natura animale - Qualità della voce che doveva essere “semplice, chiara e adatta ad ogni genere di pronuncia” Geografia e storia del codice: l’orbe terrestre, l’Europa e le nazioni Il mondo, tripartito tra Asia, Europa e Africa, il Mediterraneo ha giocato un ruolo importantissimo nella storia dei popoli che hanno abitato sulle sue sponde e che vi hanno trovato una strada verso altre terre da colonizzare o da raggiungere per aprire nuove vie commerciali, per razziare o per estendere il proprio dominio. Scrive Isidoro che di tutti gli imperi due erano considerati i più gloriosi: - Assiri - Romani Il succedersi ed alternarsi di popoli e di regni nelle terre che si affacciavano sul Mediterraneo, era ripreso con irruenza in età tardo antica e avrebbe proseguito per molti secoli ancora. Le “Etymologiae” di Isidoro di Siviglia ci offrono una prima sommaria descrizione dell’eredità che il mondo romano ha lasciato alle popolazioni d’Europa ma anche agli abitanti delle coste africane e popoli d’oriente. Al centro di questo lascito troviamo: - SCRITTURA che aveva avuto origine presso i Fenici e corroborata sapientemente dai Greci era giunta fino a Roma - LIBRO che in forma di rotolo di papiro proveniva dall’Egitto e avrebbe assunto nei primi sec. d.C la nuova forma di codice in pergmena Il libro, una volta assunta la forma di codice, aveva raggiunto una tale essenzialità nella struttura e nel funzionamento da apparire uno strumento quasi connaturale all’uomo nella lettura. Le trasformazioni interessavano le modalità di produzione. Il codice era rimasto per secoli i patrimonio comune tra popoli tra loro diversi e distanti. Soprattutto dopo che la diffusione dell’Islam a partire dal VII sec. aveva completamente trasformato il panorama politico e religioso da oriente ad occidente. Dagli inizi dell’VIII sec. l’intera penisola iberica era stata occupata dai Mussulmani che segnarono la fine della Spagna visigotica. Il dominio dell’’Islam poi si estese dall’oceano Atlantico, dalla Spagna alla Sicilia, attraverso l’intera Africa settentrionale fino alle regioni asiatiche ai piedi delle grandi catene montuose a ridosso dell’India e della Cina fino a raggiungere le coste del Madagascar e in estremo oriente le isole dell’Indonesia. Il libro nei territori dell’Islam Il libro è al centro della nuova fede islamica. Mentre i libri della Bibbia sono scritti da autori ben definiti che riferiscono in diverse lingue e in differenti generi letterari i contenuti della rivelazione, il Corano è esso stesso la divina rivelazione, sciolta da ogni interferenza umana e manifestata in lingua araba. Si presenta fin dalle origini, come libro pienamente costituito che Maometto non scrive ma trasmette quale riproduzione del libro divino. Il testo, la scrittura e il manufatto occupano una posizione molto centrale ed importante dell’intero itinerario della rivelazione e della sua comunicazione rispetto alle due precedenti (ebraica e cristiana). La sua recitazione costituisce uno dei capisaldi della religione. da qui l’attenzione e la venerazione che il libro del Corano ha ricevuto. Nel Corano vi è un preciso riferimento al libro in forma di rotolo “avvolgeremo il cielo come un rotolo e ricreeremo l’universo”. Ma il Corano conobbe differenti configurazioni fisiche nel formato: - Confezione dei fascicoli - Distribuzione degli spazi della pagina - Apparati grafici La pubblicazione di un nuovo libro avveniva di solito con la sua pubblica lettura in una moschea o in una biblioteca o in una libreria della città. Il lavoro di copia era generalmente affidato a singoli scrivani, anche a delle donne. ad alimentare la circolazione libraria contribuivano notevolmente anche le vendite all’asta di intere raccolte librarie. A volte studiosi dell’Europa continentale compivano veri e propri viaggi di istruzione nei paesi arabi per conoscere e scrivere le proprie opere. I libri a Bisanzio e nei paesi slavi L’espansione dell’Islam, prima ancora della fine del VII sec. aveva enormemente ridotto i territori dipendenti dall’autorità di Bisanzio cui erano rimaste le penisole dell’Anatolia e dei Balcani, città e zone costiere della penisola italica, Sicilia e altre isole del Mediterraneo. La pressione degli slavi da nord e un ulteriore avanzamento dei musulmani, fece si che entro i confini dell’impero si trovavano quasi esclusivamente popolazioni di lingua e cultura greca. Le biblioteche degli studiosi contavano al loro interno: - Opere della classicità - Dissertazioni teologiche - Letteratura I popoli slavi, si alimentarono della tradizione bizantina. Si convertirono al cristianesimo e cominciarono a formare regni e principati (come quello della Grande Moravia). Venne inventato anche un nuovo alfabeto “glagolitico”. 4. IL LIBRO NELL’EUROPA CRISITIANA D’OCCIDENTE Carlo Magno e la purezza della tradizione latina A Roma, nell’anno 787 era la Pasqua e si fece un gran discutere tra i cantori papali e i cantori franchi. Carlo Magno stabilì che i Franchi dovevano ritornare alle origini, cioè alla purezza del canto di san Gregorio. Chiese a papa Adriano alcuni cantori che lo accompagnassero in Francia per ristabilirvi il genuino modo di cantare secondo l’uso romano e portò con se anche maestri di arte grammatica, ordinando di estendere ovunque lo studio delle lettere. Poiché chi voleva piacere a Dio non doveva solo agire bene ma anche saper parlare bene. Constatò che da molti monasteri giungevano spesso scritti che presentavano contenuti di alto valore religioso espressi però in una scrittura assolutamente inadeguata e incolta. Aveva fondato il timore che i monaci come non riuscivano ad esprimersi correttamente non riuscissero neppure alla lettura e a comprendere i significati più profondi dei testi sacri e della sapienza divina. Il re si faceva da garante e protettore della vita religiosa e si sentiva come proprio compito provvedere all’organizzazione e al buon funzionamento delle istituzioni ecclesiastiche presenti nei suoi territori. “I cavalieri della Chiesa” dovevano promuovere la trasmissione del sapere in ogni sua forma. Il compito di trascrivere, emendare e conservare testi che Cassiodoro aveva affidato ai suoi monaci qui diventa di carattere istituzionale essendo imposto da una disposizione regia. Libri emendati per la liturgia e per lo studio delle sacre scritture Numerose sono le testimonianze dell’impegno di Carlo Magno nell’ammonire e nel sollecitare gli ecclesiastici a perseverare nello studio delle lettere, a imparare il canto romano e conoscere i testi sacri per poterli insegnare ad altri. I membri del clero, avevano il compito di leggere ai fedeli i testi sacri, inoltre dovevano procurarsi perciò testi: - Corretti - Conformi agli originali Secondo norme e principi che si possono avere solo da una buona conoscenza delle arti liberali. Paolo Diacono ebbe l’incarico di ripulire e togliere ogni imperfezione dati testi. Passò in rassegna i trattati e omelie dei padri scegliendo e correggendo i testi migliori. Nella Pasqua del 767 Carlo Magno aveva condotto a se a Roma uomini e libri, fece giungere alla corte palatina da ogni parte d’Europa le tracce della sapienza, il nuovo sapere si alimentava a tutte le tradizioni culturali e scrittorie. Si circondò di uomini dotti provenienti da tutta Europa. L’esito fu quello di riportare ad una nuova unità, sotto le insegne di un impero che si proclamava sacro e romano. Paradigma di questa ritrovata unità in campo culturale e istituzionale, può certamente essere considerata la scrittura dell’alfabeto latino. La tradizione gregoriana: libri e uomini al servizio della chiesa in Europa Carlo Magno, aveva posto al centro dei suoi interessi il rinnovamento della vita culturale ed ecclesiastica del regno e dell’impero. Le riforme dovevano poggiare sull’uso di libri corretti emendati a partire da testi in grado di offrire le migliori garanzie di autenticità. L’imitazione, non si limitava quasi mai solo alla trascrizione corretta dei testi, ma tendeva ad estendersi anche ad altre caratteristiche del libro, influenzando così: - Scelte grafiche - Disposizione del testo - Apparati illustrativi Da questo punto di vista i libri liturgici dell’età di Carlo Magno e dei suoi successori presentavano tutti un’impronta romana (diversa disposizione delle miniature rispetto agli usi merovingi) In questo contesto di comunicazione rituale, il libro con la sua fisica e solida presenza, svolgeva un ruolo essenziale, quale segno della presenza tra gli uomini della parola divina e dei suoi arcani misteri, garanzia e conferma di quanto veniva comunicato dal popolo. Da qui l’importanza che la liturgia e la sua applicazione ha avuto non solo nella riforma del VI sec. a Roma da san Gregorio ma anche in quella portata avanti con determinazione da Carlo Magno duecento anni più tardi. Il ritorno all’età di papa Gregorio non riguardò solo i libri di canto e i testi liturgici ma si estese anche alle altre discipline sacre e profane. Poggiando sull’autorità papale, aveva influito anche nella vita politica e sociale della cristianità. Si cominciarono a considerare Forme di resistenza scrittoria nell’Italia Meridionale: la minuscola beneventana L’Italia meridionale, fu per tutto l’alto Medioevo una terra divisa in due su un’asse longitudinale, con i Longobardi che ne avevano conquistata la dorsale interna e con i Bizantini che ne continuavano ad occupare gran parte delle terre e delle città costiere, gli uni e gli altri sotto la minaccia degli arabi. A partire dall’XI sec. in gran parte di questi territori avrebbe cominciato ad estendersi la sovranità dei Normanni che portarono con se, l’uso della minuscola carolina. A contrastare questa, fu la minuscola formatasi nel Ducato di Benevento, rimasta in uso fino al XIII sec. i centri di produzione dei codici furono: - Monastero di Montecassino Fondato all’inizio del VI sec. da San Benedetto, la maggior fioritura si ebbe nel sec. XI sotto l’abate Desiderio divenuto in seguito Papa che seppe trasformare il monastero in uno dei più attivi centri di produzione di codici. A rinascita spirituale del monastero passava sempre attraverso la scrittura, libri, lettura e canto - Monastero di Cava dei Tirreni - Città di Benevento, Salerno, Bari La minuscola fu così chiamata BENEVENTINA. L’autorità dei libri e la forza delle armi in Europa attorno all’anno Mille La diffusione della minuscola carolina = diffusione di lingua e scrittura latina, può essere un modo per leggere l’assetto della nuova Europa e quindi dalla complessa compagine istituzionale messa insieme da Carlo Magno. La nuova latinità europea era legata alle istituzioni ecclesiastiche e ai poteri costituiti. L’asse culturale e politico era fissato prima di tutto tra Roma ed Aquisgrana, in secondo luogo fra Roma e i centri di potere che si andavano formando dopo la frammentazione feudale dell’impero carolingio. E infine tra Roma e gli altri paesi Europei che avevano aderito al cristianesimo accogliendo la liturgia latina. L’autorità dei libri da Rodolgo Galabro alla rinascita degli studi universitari in Europa Nel corso del X sec. i Benedettini di Cluny in Borgogna si diedero una struttura fortemente accentrata sotto l’autorità dei loro abati che liberi per privilegio papale da ogni interferenza di vescovi e signori, riuscirono ad estendere rapidamente la loro riforma e molte altre comunità monastiche, acquisirono così grandissimo prestigio e potere in tutta la cristianità di lingua latina e favorirono oltre al rinnovamento della vita monastica e della liturgia e del canto gli studi delle lettere. Va tenuta però presenta la differenza nei confronti del sapere classico, mai del tutto sopita negli ambienti monastici in nome ovviamente del primato dell’incontro personale con Cristo. Rodolfo Glabro, di natura irrequieta, vagò per diversi monasteri della Borgogna, finché trovò asilo a Cluny, dove, nel 1047, terminò di scrivere cinque libri di Storie nei quali fornisce notizie sugli eventi storici dal 900 al 1044 e interessanti considerazioni per il periodo attorno all'anno Mille: i suoi racconti storiografici sono spesso diretti all'interpretazione delle calamità (come le carestie) o dei fenomeni naturali (come le eclissi) quali segni premonitori della fine del mondo, e per tale ragione i suoi lavori sono di frequente citati come prova delle cosiddette paure dell'anno Mille; tuttavia egli in effetti non situa nell'anno Mille la fine del mondo, ed anzi i suoi lavori sono di qualche decennio successivo. Abbazia di Cluny L'abbazia di Cluny fu fondata nel settembre del 910 dal Duca Guglielmo d'Aquitania, detto "il Pio"; il solenne atto di fondazione specificava che il Duca, "per amor di Dio", donava ai Santi Apostoli, Pietro e Paolo, la sua residenza di caccia di Cluny. L'edificio fu, ben presto, ingrandito e sistemato; l'abate Bernon intraprese la realizzazione di una prima chiesa, ancora piuttosto modesta (Cluny I) che fu consacrata nel 926. Il suo successore, Sant'Odeon, la terminò prima di farla nuovamente consacrare nel 967. Dal 948, però, Aymard ne fece iniziare una più grande e più bella, che fu continuata da Maiolo e consacrata nel 981 (Cluny II). Dopo appena un secolo, il monastero godeva del suo periodo di massimo splendore, diventando centro di un'immensa congregazione, l'ordine cluniacense; la chiesa del 981, si rivelò così troppo piccola per accogliere i 250 monaci e i numerosissimi fedeli che quotidianamente seguivano le funzioni religiose. Sant'Ugo decise così di ricostruire integralmente la chiesa (Cluny III) per renderla degna della sua reputazione. I lavori iniziarono nel 1088 e proseguirono sino al 1095 quando Urbano II in occasione del viaggio in Francia dove si predicò la prima crociata consacrò l'altare maggiore il 25 ottobre. Il cuore del sistema cluniacense è costituito dalle terre donate ai monaci. I monaci sono diventati il perno di un sistema di scambi. Essi si fanno donare delle terre con gli uomini che le coltivano, diritti sui mulini, sui forni, sui corsi d’acqua, sulle strade, sui mercati. Queste entrate costituiscono la struttura di un circuito di ridistribuzione e di trasformazione. I monaci diventano intermediari per la circolazione dei beni fra gli uomini e Dio, e al tempo stesso elementi della circolazione dei beni fra gli uomini. Abbazia di Sa Benetto Polirone L'abbazia fu fondata nel 1007 dal conte di Mantova Tedaldo di Canossa. Il monastero aderì alla riforma di Cluny e alle Consuetudines del monastero francese, che regolavano la vita, la liturgia ed anche l'architettura. Il monastero di Polirone, molto potente, diventò in quel periodo un importante centro culturale, dotato di un celebre scriptorium, dove si trascrivevano i manoscritti sia per uso liturgico sia per studio. 5. IL TRIONFO DEI CODICI: L’ETA’ DELLE UNIVERSITA’ NELLE SCUOLE Ugo di San Vittore e l’autonomia del testo scritto L’abbazia di San Vittore, fu fondata agli inizi del sec. XII dal canonico Guglielmo di Champeaux, che vi aprì una delle scuole che diedero vita all’Università di Parigi. Qui verso il 1116 giunse dalla Sassonia un giovane ventenne che col nome di Ugo di San Vittore, sarebbe divenuto famoso per: - Studi di teologia - Attenzione ai problemi didattici e pedagogici dell’insegnamento dalle prime nozioni di grammatica fino alla teologia Si proponeva di esporre il metodo da seguire nello studio e nella lettura ai giovani che desideravano intraprendere il cammino verso la sapienza. Il suo itinerario pedagogico si compiva interamente entro i confini dell’universo librario. Secondo lui la lettura si origina in tre modi: 1. Per opera del docente 2. Per opera del discendente 3. Da se stessi Per lui far lezione e ascoltarla costituivano due facce di un unico percorso di lettura. Il libro costituiva il terzo elemento fra docente e discendente. La conoscenza e la trasmissione del sapere erano mediate dalla lettura e avevano nei libri la loro sorgente inesauribile. I libri non erano più chiusi e lontani, scrigni simbolici di un sapere arcano ma vivi e aperti davanti ai lettori. **Libricolae: uomini talmente dediti alla ricerca del sapere da anteporlo ad ogni altro bene terreno (termine coniato da John of Salisbuty) Ugo da San Vittore attribuiva un valore fondamentale al testo, per prima cosa secondo lui era necessaria una prima lettura, che consentisse di comprenderlo senza orpelli. Poi una seconda, che procedeva sulla definizione di significati simbolici o allegorici. In tal modo, la sacra scrittura poteva essere interpretata in tre modi: - Secondo la storia - Secondo l’allegoria - Secondo la tropoogia Nel suo testo si potevano cogliere più significati: - Significato storico: nasceva dalle parole Il modo applicabile a tutte le tipologie di testi sacri/profani. - Significato allegorico: che svelava il loro mistero tramite l’allegoria - Significato tropologico: svelava il significato delle cose piuttosto che le parole = metteva il testo in relazione con l’operato del Dio nel creato Il modo allegorico e tropologico erano riservati all’interpretazione dei testi biblici. Venne così compiuto il primo passo verso il riconoscimento della completa autonomia della lettura storica e letterale del testo, apprezzata e perseguita per se stessa. Ugo di San Vittore e la rinascita delle arti liberali nel XII sec. La riscoperta e l’autonomia delle arti liberali nei percorsi di studio e l’attenzione ai libri e ai testi che ne registravano i contenuti portò Ugo di San Vittore e quanti le coltivavano a concepire i libri non più come custodi dei mirabili segreti della natura e della divina relazione, quanto concrete e materiali registrazioni del pensiero umano. Il libro veniva così spostato da Dio al microcosmo terreno delle relazioni intellettuali che si formavano nella scrittura e nella lettura tra autore, libro e lettore. Il testo si faceva veicolo del pensiero. Scrittura, testo e pagina nei libri della chiesa, delle università, delle corti e delle città Nel 1395 Jean Gerson divenne cancelliere dell’Università di Parigi. Scrisse a Lione un brevissimo trattato in lode dei copisti di testi sacri. Rispondeva positivamente alla questione se fosse lecito agli amanuensi copiare gratuitamente libri di devozione nei giorni festivi. Compivano un lavoro che non era da considerare servile, contribuiva a diffondere la dottrina della salvezza. Inoltre disse che il loro merito più grande era quello che scrivendo un testo questo avesse la possibilità di durare nel tempo. Ai primi del ‘400 quando scrisse questo elogio, la produzione di codici per gli studi universitari e per la vita religiosa era enormemente aumentata. Inoltre la copiatura dei testi era ormai divenuta un’arte cittadina, specialmente nelle città universitarie. Tra il XIII e il XIV sec. cominciarono a sorgere cartiere in diverse località italiane in cui l’abbondanza id acqua consentisse di mantenere alle carte un’alta qualità di purezza e di candore. Si distribuirono su fasce territoriali circondate da rilievi montuosi per ricevere l’acqua necessaria. I codici nell’Europa del basso Medioevo: circolazione libraria e biblioteche L’introduzione della carta in Europa contribuì grandemente alla diffusione dei libri. La carta tuttavia mantenne sempre una posizione subalterna però rispetto alla pergamena che continuava ad essere il supporto esclusivo dei libri destinati a sfidare i secoli e a impreziosire le biblioteche delle corti. Non tutti i libri infatti godevano del medesimo status nella società. Si assiste pertanto ad una differenziazione tipologica a seconda che i libri siano destinati: - Alle università - Alle scuole - Ai conventi - Alle cancellerie - Alle residenze dei nobili - Agli studi dei medici, giuristi e notai - Alle botteghe Ed anche una netta distinzione, per correttezza bellezza ed eleganza per: - Libri destinati al servizio divino (Bibbia e testi liturgici) E - Libri di studio Che dovevano essere più pratici e funzionali, presenti i numero tale da rispondere ai numerosi usi che se ne faceva ogni giorno. Gli inventari delle biblioteche per esempio dei monasteri, ci presentano raccolte librarie che si attestano sulle poche decine di libri che raramente giungevano al centinaio. L’ordinamento dei codici poneva all’origine di tutto la Bibbia, fonte di ogni autorità e punto di germinazione dell’intero apparato bibliografico cristiano. Completavano le raccolte di queste biblioteche: - Cronache - Vite dei santi - Autori classici - Testi liberali Dopo la rinascita del sec. XII e dopo l’apertura e diffusione degli studi universitari e fiorire di nuovi conventi, iniziarono a formarsi nuove raccolte librarie pur mantenendo al centro la “lectio divina”. Tra il XII e il XIVsec. Ci fu l’immissione di opere nuove e un movimento di crescita della circolazione libraria che portò a espandere ogni ramo del sapere. Nel corso del Duecento e del Trecento, le biblioteche dei monasteri cominciarono a cambiare la propria fisionomia. - Diritto - Medicina - Arti - Eloquenza Scopo di garantire l’uso non tanto ai frati, quanto a tutti i cittadini che ne facessero richiesta, messi a loro disposizione dal padre bibliotecario. = le biblioteche conventuali fino al XVI sce. Sono da considerarsi ad uso cittadino. Nelle città universitarie bene presto cominciarono a sorgere i collegi, la loro apertura permise di mettere a disposizione anche libri utili agli studi. Dal XIV sec. ormai la produzione libraria era in continua crescita. Dottori e professionisti iniziarono ad accumulare nelle loro case cospicue raccolte librarie. 6. IL TRIONFO DEI CODICI: L’ETA’ DELL’UMANESIMO Tra Medioevo e Umanesimo: Richard de Bury e Francesco Petrarca Di fronte alla necessità di avere a disposizione una quantità sempre crescente di testi per lo studio ed anche per la professione, i docenti e studenti a partire dal XIV sec. non sempre ricorrevano alla copiatura di nuovi libri. Alle loro esigenze supplivano abitualmente: - piccole raccolte familiari - librerie dei conventi - biblioteche dei collegi per esempio come quella della Sorbona aperta a Parigi nella seconda metà del XIII sec. da Robert de Sorbon. Oppure quella del Collegio di Spagna e a Bologna. Richard de Bury lord cancelliere del re d’Inghilterra Edoardo III, aveva riunito una delle più scelte raccolte di codici del suo tempo con passione. Intendeva sistemarla presso l’Università di Oxford a disposizione degli studenti ricchi di buona volontà ma privi di mezzi. Raccolse libri da ogni parte d’Europa per facilitare agli studiosi l’accesso al maggior numero possibile di autori e di testi di ogni disciplina. Ottocento anni prima Cassiodoro aveva fatto raccogliere e trascrivere libri per affrontare un futuro incerto, ora la parabola di desolazione e miseria volgeva al termine. La quantità di libri era in costante crescita. Un’altra città molto importante per la circolazione dei libri era Avignone, qui Richard Bury era giunto quale ambasciatore del re d’Inghilterra tra il 1330 e il 1335 e vi aveva amabilmente discusso con Francesco Petrarca. Era lui l’uomo che più di ogni altro esprimeva nella persona e nella vita i tempi nuovi, il passaggio verso la stagione dell’Umanesimo da lui aperta con la volontà di recuperare il sapere degli antichi non solo quindi come armamentario per l’interpretazione del messaggio cristiano. I saperi degli antichi non erano più considerati antiteti, ma cominciavano ad apparire espressione compiuta di un mondo sommerso al quale si cominciava a guardare con una nostalgia e interesse sempre maggiori. La riscoperta dei testi e dei libri degli antichi Già prima del Petrarca, alcuni professionisti avevano cominciato a recuperare e a leggere con passione ed intelligenza i libri degli antichi. Sulla strada tracciata da Francesco Petrarca, si incamminò Giovanni Boccaccio che contribuì a far giungere a Firenze manoscritti da Monteccasino. Un altro personaggio importante in questa stagione fu Poggio Bracciolini che estese le ricerche di codici ad antiche biblioteche della Borgogna, Francia, Germania e della stessa Inghilterra. Nuove opere ritenute scomparse per sempre ritornarono in vita. Per merito suo e di altri umanisti in quegli anni crebbero considerevolmente le opere degli antichi autori latini conosciute dagli studiosi italiani che le accoglievano con entusiasmo, le leggevano con attenzione e si industriavano con ogni mezzo per restituire agli antichi testi il volto originale. Tra coloro che si distinsero in questa impresa di emendare i testi secondo principi filolofici ben calibrati ed efficaci: - Lorenzo Valla, diede un’opera fondamentale per la conoscenza e eleganza dello scrivere in latino - Angelo Poliziano, letterato che affollava la Firenze di Lorenzo il Magnifico espresse la sua vasta conoscenza dell’antichità. Raggiunse i più alti livelli di capacità espressiva nella lingua italiana, latina e greca La pagina degli umanisti: dalla littera moderna alla littera antiqua L’interesse mostrato dagli umanisti per il testo non fu inferiore all’attenzione che prestarono alla configurazione grafica che esso assumeva sulla pagina. La scrittura dei codici allora in uso nell’Europa continentale, aveva la sua origine più antica nella riforma avvenuta in età carolingia. Verso il XII sec. si cominciarono ad avvertire trasformazioni significative nel modulo originario dovute all’esigenza di serrare molto testo in poco spazio. Semplificando la carolina dei primi secoli, tra VIII e XI sec. si passò dalla “littera antiqua” alla scrittura nuova/moderna. Si impose a partire dal XII sec. la scrittura carolina era ormai conservata nei codici delle antiche librerie dei monasteri. Fu Poggio Bracciolini nei primi anni del ‘400 a perseguire e ad attuare il proposito di ridare nuova vita alla scrittura dei codici su cui leggevano i testi gli antichi, dei loro commenti e di tutto ciò che li riguardava e di farne la nuova e matura scrittura dell’Umanesimo con forme più arrotondate. Divenne la scrittura principale delle lingue in caratteri latini, gli alfabeti gotici rimasero per particolari e specifiche funzioni testuali. I libri degli umanisti dall’Italia all’Europa Gli umanisti vedevano: - Livello più alto, i libri prodotti per le grandi biblioteche principesche del tempo - Livello più basso, libri di piccolo formato (su carta più che pergamena, per se stessi o per gli amici) La circolazione di testi classici e ridotti, adattati ad ambienti cittadini iniziò durante l’Umanesimo e continuò con molta insistenza nei secoli della stampa. Su un piano più alto poi si svolgeva la grande impresa di copiatura e di diffusione in Italia e in Europa degli antichi autori da parte di copisti di professione. I libri degli umanisti giunsero ad occupare un posto importante nelle biblioteche dei contenti, i libri di Francesco Petrarca destinati al pubblico della Serenissima, confluirono poi nelle raccolte dei Carraresi a Padova e da qui a Pavia nella biblioteca viscontea e sforzesca, prima di seguire Luigi XII in Francia. Più fortunati furono quelli del Boccaccio, che trovarono rifugio nel convento di Santo Spirito a Firenze. Venezia avrebbe poi dato inizio alla sua pubblica biblioteca un secolo più tardi nel 1464 accogliendo la raccolta di libri greci donati dal Cardinal Bressarione. nel compositoio mentre leggeva il testo da stampare aperto davanti a lui su una specie di leggio. Anche il torchio e i due torcolieri: - Battitore per l’inchiostratura delle forme - Tiratore per la pressione del foglio sui caratteri Sono già presenti nella silografia lionese appena ricordata (Danse macabre del 1499) Le diverse modalità in cui le pagine si distribuivano sul foglio di stampa variavano, a seconda del formato diventando sempre più complesse nel passare dal formato in foglio a quello in quarto. Con il passare del tempo nacquero nuovi formati. Il motivo di tanto faticare era dovuto al fatto che ogni pagina richiedeva l’uso di una gran quantità di caratteri, mentre la dotazione che una stamperia si poteva permettere era abitualmente tale da non consentire la conservazione contemporanea di tutte le forma in piombo di un intero fascicolo. Era necessario stampare mano a mano che venivano composte, per scomporre e ridistribuire subito i caratteri nelle casse del compositore printi per la composizione di altre pagine. Ogni parola era composta parola per parola e riga per riga, il fascicolo era composto a salti, stampando prima pagine che nel testo seguivano e viceversa. In un fascicolo in folio, la prima pagina era stampata insieme all’ultima poiché erano ambedue sulla medesima facciata. Due linee di produzione: La Bibbia di Gutenberg e la Bibbia di Bamberga A far da corona alla Bibbia in questi anni abbiamo: - Opuscoli - Fogli singoli - Frammenti E anche la Bibbia di 36 linee pubblicata a Bamberga nel 1460. Si tratta in genere, ad eccezione di questa Bibbia di edizioni di pochi fogli come: - Grammatiche - Calendari - Bolle - Indulgenze Opere destinate a una larga circolazione i cui caratteri furono riuniti dai bibliografi sotto la comune denominazione di DK-Type (dalle inziiali dei Donatus latini e dei Kalender tedeschi) e che furono anche designati come i caratteri della Bibbia di Bamberga. Si dice che Gutenberg avrebbe utilizzato questo carattere per le edizioni esclusivamente sue, compiute senza la collaborazione di Fust e Schoffer i quali invece intervennero pesantemente nella produzione della Bibbia. - Fust si interessava direttamente della dimensione artistica dell’impresa ed era un abile finanziatore - Schoffer abile compositore Fust poi portò a processo Gutenberg. Gli atti confermarono l’esclusiva di Gutenberg sull’invenzione. Il dibattito sulle origini della stampa e sulla diffusione in Europa Accanto alla questione del primato di Gutenberg rispetto a Fust e Schoffer altre questioni hanno animato per secoli i dibattiti degli eruditi sulle origini della stampa tipografica. Si è anche discusso dell’eventuale relazione della scoperta tedesca con l’invenzione della stampa a caratteri mobili metallici in Corea verso la fine del XIV sec. Il libro intitolato “Jikji” un trattato sulla meditazione degli insegnamenti di Buddha è il primo libro stampato al mondo in caratteri mobili di metallo con procedure di produzione radicalmente però diverse da quelle occidentali. Senza il ricorso della sequenza punzone (matrice e carattere) e senza l’uso del torchio per la stampa. I caratteri erano fusi in stampi ed erano passati sui fogli come tamponi. La stampa tipografica di tipo occidentale giunse in estremo Oriente portata dai missionari portoghesi verso la fine del XVI sec. - Alcuni attribuirono l’invenzione a Fust e Schoffer (come Gabriel Naudé) - Altri mantennero fermo il nome di Gutenberg ma tolsero il primato a Magonza, antidatando la scoperta a Strasburgo Intanto, a partire dalla metà degli anni Sessanta la tipografia cominciò a conquistare le altre città d’Europa. - La Bibbia delle 36 linee stampata con carattere DK-Type vide la luce a Bamberga - Arte tipografica a Strasburgo grazie a Johann Mentelin - I chierici Pannartz e Sweynheym che nel monastero di Subiaco stamparono il “De oratore” di Cicerone e di Sant’Agostino i due tipografi si recarono poi a Roma continuando a pubblicare opere di autori classici e padri della chiesa Dalla Germania la nuova tecnica raggiunse: - Italia nel 1465 - Olanda - Svizzera - Parigi nel 1470 - Belgio - Ungheria - Polonia - Spagna - Portogallo - Austria - Inghilterra - Danimarca - Svezia Verso la fine del XV sec. erano state impiantata stamperie in più di duecentocinquanta centri e la presenza di officine tipografiche costituiva ormai un fatto naturale nel tessuto urbano di molte città. Si stima che le edizioni stampate in Europa dalle origini fino all’anno 1500 indicate dai bibliografi con il nome di INCUNABOLI siano state circa 40mila di cui circa il 40% in Italia. 8. LA STAMPA IN EUROPA DA GUTENBERG AD ALDO MANUZIO Un’invenzione che ha contribuito a creare l’Europa moderna I contemporanei di Gutenberg si avvidero ben presto che la scrittura a stampa con caratteri mobili doveva essere ricordata tra le scoperte più importanti del secolo e i cronisti ne annotarono l’invenzione accanto alle più alte imprese dei papi e degli imperatori, dei re e dei principi d’Europa. Nella cronache del tempo la notizia fu registrata dalla fine degli anni ’50. - Schedel dice che il modo di stampare i libri sia stato inventato da un uomo di particolare ingegno a Magonza sul Reno nel 1440. Fece subito notare che questa invenzione si propagò in tutte le parti del mondo. Da umanista appassionato osservava che la stampa contribuì: - alla diminuzione del prezzo dei libri - allargamento della conoscenza degli autori antichi dalle semplice annotazioni di cronaca possiamo rilevare che il veicolo principale della diffusione della stampa fu quel ceto di alti prelati e dotti che in Europa aveva sempre mantenuto una visione condivisa del mondo. la stampa a caratteri mobili metallici messa a punto da Gutenberg oltre a differire sostanzialmente da quella coreana, ebbe anche un diverso impatto sulla società del suo tempo. In Corea l’invenzione rimase un utile circoscritto quasi esclusivo dell’ambiente del ceto sociale in cui era sorta. Ebbe una circolazione lentissima. In Europa invece, la scoperta rispose ad esigenze produttive ormai largamente percepite a diversi livelli di comunità intellettuale. La stampa superò quella barriera che fino ad allora si ergeva tra coloro che praticavano arti manuali e meccaniche (considerate servili) e coloro che esercitavano una professione intellettuale (arti liberali) = il libro alimenta così lo spirito umano. La stampa inoltre, avrebbe consentito ad un numero sempre più alto di persone, di possedere libri e di accedere alle fonti del sapere non solo a quanti potevano frequentare le raccolte librarie delle corti o dei conventi. Con pochi denari chiunque poteva ora divenire dotto = strumento di allargamento del sapere in tutti gli strati della popolazione. La diffusione delle tipografie in Germania Fust e Schoffer dopo l’estromissione di Gutenberg continuarono a pubblicare e sottoscrivere superbe edizioni. Accanto a loro sorsero altre officine tipografiche in altre città: - Strasburgo (stamperia di Mentelin) - Bamberga - Colonia - Norimberga Quello che veniva pubblicato era: - Edizioni di cultura accademica - Ecclesiastica - Classica - Autori contemporanei - Padri della chiesa
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