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Il Pensiero Politico Utopico: Da Tommaso Moro a Condorcet, Appunti di Storia Del Pensiero Politico

La storia del pensiero politico utopico dal '500 al '900, partendo da tommaso moro e passando per james harrington, morelly e condorcet. Opere letterarie e trattati politici che hanno esplorato la possibilità di una società perfetta, con un focus particolare sulla struttura politica e l'educazione dei giovani. Le idee utopiche sono state influenzate dalla riforma protestante, la rivoluzione scientifica e la rivoluzione americana.

Tipologia: Appunti

2011/2012

Caricato il 10/02/2012

bibi2322
bibi2322 🇮🇹

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Scarica Il Pensiero Politico Utopico: Da Tommaso Moro a Condorcet e più Appunti in PDF di Storia Del Pensiero Politico solo su Docsity! STORIA DEL PENSIERO POLITICO Il corso è diviso in due parti: la prima riguardante il pensiero utopico, la seconda riguardante il dibattito attorno allo stato sociale nel pensiero politico contemporaneo ('800-'900). Elemento di raccordo fra i due argomenti è la questione sociale, e dunque la politica come oggetto di riforma sociale ed economica. Il pensiero utopico. Utopia significa “non luogo” (da ou topos - luogo che non c’è). “Utopia”, di Thomas More. Già al tempo di Moro però si iniziò a dare anche un'altra interpretazione all'utopia come parola che proviene da eu topos, ovvero luogo del bene. Questo luogo che non c'è è anche un luogo della felicità morale. L'organizzazione della vita in quel luogo è tale da aver corretto i mali della nostra esperienza: è il luogo di una organizzazione sociale perfetta. TOMMASO MORO Tommaso Moro è un autore inglese di primo '500, fa parte dell'ambiente umanistico, è noto per aver scritto questo testo e per essere stato funzionario di primo piano di Enrico VIII. Poiché rifiuta di seguire il sovrano nell'abbandono del cattolicesimo, viene condannato a morte. Utòpia è un testo relativamente breve, uscito nel 1516, che descrive una società perfetta. Nell'ansia di risolvere i conflitti della società esistente, si proietta nell'immaginazione un mondo che ha risolto i problemi della realtà. In tutti gli autori utopisti resta implicito questo passaggio (il fatto che la morale è corrotta e la società ha degli errori, e che il mondo che ci viene rappresentato è un mondo migliore di quello esistente); in Tommaso Moro invece c'è anche un elenco dei mali della nostra società, un'indicazione esplicita che il mondo utopico nasce dalla sperimentazione dei mali della nostra società, tanto che il testo è diviso in due parti: 1. nella prima sono descritti in un elenco i mali della società esistente; 2. nella seconda c'è la rappresentazione di un mondo idealizzato che invece quei mali non li ha, perché non li ha mai conosciuti o perché è riuscita a sanarli. È un'opera letteraria, più che un saggio politico. Il primo libro è fatto di dialoghi che hanno vari protagonisti, fra cui lo stesso Moro e altri intellettuali del suo tempo, che Moro dice di aver conosciuto in una missione all'estero. Mentre questi intellettuali hanno iniziato a discutere dei mali della società, si affaccia al dialogo un personaggio silenzioso, Raffaele Itlodeo, marinaio italiano, che si presenta alla fine della prima parte. Egli si dice d'accordo con gli altri intellettuali e afferma di aver visto in una delle sue peregrinazioni una parte del mondo in cui non vi sono questi mali. Il secondo libro è il racconto del marinaio dell'isola di Utopia. Si tratta di una società immaginaria, di un'isola perfetta. Ma c'è il richiamo trasparente a un’Inghilterra trasformata, rovesciata da quella attuale sul piano politico, sociale, morale. C'è un richiamo esplicito, tutta una serie di rinvii all'Inghilterra di Moro (per esempio il numero di province dell'isola è esattamente uguale al numero di contee inglesi) che fanno pensare a un mondo immaginario che rappresenta il rovescio della medaglia del loro mondo attuale. Quali sono i mali del mondo che Moro critica maggiormente? • Il primo male è la guerra, il fatto che le potenze europee siano in conflitto fra loro. • Il secondo male è collegato alla guerra: è lo spirito di potenza, che anima i sovrani del tempo di Moro e che spesso è accentuato nei sovrani da molti cattivi consiglieri. • Il terzo male sono le Iniquità della giustizia penale, la sua eccessiva severità, soprattutto per la giustizia esercitata contro le fasce basse della popolazione (per esempio il furto è punito con la pena di morte). • Il quarto male, che entra nel tema sociale, è la denuncia di un'ingiustizia prodotta da un progresso economico di segno privatistico. È un'economia che si sta evolvendo sotto la spinta degli interessi privati e che è portata a creare ingiustizia sociale. Moro già a inizio '500 capisce che c'è in atto un'evoluzione economica di tipo imprenditoriale che ha come suo costo sofferenza sociale (Es. enclosures: si consegna la terra per lo sfruttamento privato di un capitalismo nascente). C'è dunque questo mondo fatto di conflitti, guerre, squilibri di carattere sociale, che viene denunciato. Anche per un intellettuale mosso da razionalità e da intendimenti puri è quasi impossibile lavorare efficacemente per il sovrano. C'è però questo mondo, l'Inghilterra rovesciata, dove tutto ciò non esiste. In questa descrizione minuziosa della vita in Utopia c'è uno stretto legame fra politica, società ed economia. A differenza dei trattati politici del tempo di Moro (“Il principe”, concentrato sul tema del potere), si parla di un potere politico che agisce in stretta connessione con un'idea di armonia sociale. A Moro interessa un mondo sociale nella sua integrità, nella sua interezza, perché la felicità sta nel tutto, non solo nel potere (→ stretto legame fra politica e sociale). In Utopia c'è un'organizzazione politica che combina insieme caratteri democratici repubblicani e caratteri monarchici. C'è cioè un'organizzazione politica di tipo gerarchico ma di investitura democratica: tutte le cariche sono elettive. C'è un sovrano, un senato, una serie di rappresentanze locali. C'è un legame consensuale in tutte queste fasi ed un 'investitura popolare a vali livelli. Non c'è un sovrano un sovrano assoluto di tipo '500esco. L'economia è organizzata in termini collettivistici. Gli utopisti esercitano il lavoro all'interno di un regime comunistico. Non esiste la proprietà privata. È una gestione collettiva della ricchezza comune. C'è anche una capacità della società di questo popolo di capire che l'autentica ricchezza sta in quegli strumenti che permettono di stare bene. C'è il disprezzo dei beni inutili e superflui. Con l'oro si fanno le catene dei carcerati: gli utopisti detestano il simbolo esteriore della superiorità legata alla ricchezza. È un sistema comunistico volto alla soddisfazione dei beni essenziali. Non essendoci spreco, si lavora tutti, ma poco: con un massimo di 5 ore al giorno, perché non c'è bisogno di lavorare di più. L'organizzazione del lavoro è fortemente egualitaria e collettiva. Tutti i giovani per una parte della vita lavorano in campagna: il lavoro agricolo dà prestigio. Ulteriore spazio di vita collettiva è nel consumo: ci sono momenti in cui si mangia tutti insieme etc. C'è poi una parte considerevole dedicata all’educazione. Ogni società ideale ha un forte apparato educativo pubblico: la descrizione dell'educazione è una forte componente che si ripresenta e viene descritta dettagliatamente in ogni utopia. C'è la scuola pubblica, ma anche spettacoli, biblioteche, culturale: la società ideale interviene molto nell'educazione. È infatti una società perfetta che deve rimanere sempre uguale a se stessa, per questo i giovani devono essere educati ai valori della società (questo è anche uno dei limiti maggiori del pensiero utopico). Ci sono molti servizi pubblici: non solo la scuola, ma anche la sanità. La carica sociale di questi autori fa intuire loro la necessità di risolvere i problemi del popolo: l'idea di un ospedale permanente era fortemente innovativa, un'organizzazione sanitaria pubblica per tutti era addirittura impensabile a inizio '500. “Utòpia” è una costruzione simbolica che nega i mali del presente. Lo squilibrio economico è sanato dal comunismo. Il problema della guerra è sanato attraverso la propensione degli utopiani per la pace, anche se non c'è una dichiarazione di pacifismo assoluto. Le guerre che non esistono sono quelle di conquista anche se non sono pacifisti a oltranza. Intanto in quel sistema formativo dei giovani un grosso peso hanno anche le arti marziali e la preparazione del corpo. Ci sono poi due tipi di guerra lecita evocate dagli utopiani: la guerra di difesa, vista come un dovere patriottico, non solo verso se stessi, ma anche dei popoli alleati. C'è dunque in Moro una sensibilità per la pace dichiarata, ma meno radicata che in Erasmo. C'è uno spazio pure per la religione. Gli utopiani sono orientati alla tolleranza religiosa e Moro, da buon umanista, è orientato alla tolleranza. In Utopia ci sono diverse confessioni religiose, fra cui il cristianesimo, che però è stato epurato dai troppi dogmi devianti. Il cristianesimo si avvicina alla religiosità naturalistica. L'idea di un dio creatore accomuna le religioni utopiane, assieme al principio della giustizia ultraterrena. Gli utopiani hanno sospetto nei confronti delle religioni con troppi testi sacri e troppi dogmi che vanno contro la natura: c'è la ricerca di una religiosità semplice, basata sul comportamento che sulle credenze. In Utopia non è però tollerato l'ateismo. Gli atei sono visti con sospetto, come una una presenza disgregante e pericolosa. Chi non crede in qualcosa di superiore può essere un cattivo cittadino. Gli atei sono rieducati. Dopo Tommaso Moro c'è un fiorire di opere analoghe lungo tutto il '500 fino all'inizio del '600: opere di carattere letterario del filone utopico. È stato osservato dagli storici dell'utopia che la produzione di utopie è concentrata in alcuni paesi e non è continua lungo la storia: si parla di “periodi caldi” e “periodi freddi” delle utopie, secoli che vedono la produzione accrescere e secoli che la vedono diminuire. Il '500 nel suo una sostituzione dell'età dell'oro degli antichi. È una felicità perduta dal genere umano, che nella Città felice esiste ancora, la possiamo descrivere e Patrizi lo fa con uno spirito nostalgico. È una città la cui felicità è contemplativa, è la felicità dei filosofi classici, il superamento dei condizionamenti materiali, è una felicità tutta intellettuale, data dalla possibilità di esercitare l'intelligenza, la speculazione filosofica, gli ozi intellettuali (una sorta di otium litterarum). È una felicità contemplativa, non produttiva. È un ideale di felicità non proiettato su tutti, non egualitario, come in Moro, ma molto elitario. L'impianto di patrizi è aristocratico, in continuità con l'esperienza della repubblica aristocratica veneziana. Patrizi dà una definizione testuale di felicità: “operazione conforme a virtù perfetta” → in effetti i cittadini aristocratici di questa società esercitano tutte le virtù intellettuali. Il primo elemento è quindi la possibilità di esercitare le virtù intellettuali e morali (anche quelle meccaniche della ricerca scientifica). “senza impedimento” → al raggiungimento di questa perfezione intellettuale. L'elemento di impedimento maggiore per questa felicità è quello posto dal corpo e dai suoi limiti. Per raggiungere quella felicità contemplativa il corpo non deve soffrire, non costituire un impedimento all’intelletto. Accanto alla mente che agisce, occorre un corpo sano: allora c'è grande attenzione all'alimentazione, alla salute, e grande rispetto per la scienza medica. “e per una vita completa” → con ciò si intende in tutte le fasi della vita, fino alla vecchiaia. Dobbiamo raggiungere il grado di perfezionamento in tutte le fasi della vita, anche nella vecchiaia, che deve essere un'età felice come la giovinezza e la fase adulta. Rispetto per gli anziani. La vita dei cittadini in questa città felice è regolata da due principi di fondo: 1. Lo stretto legame tra anima e corpo. L'anima raggiunge la felicità se il corpo non è da impedimento, perciò i cittadini della città felice sono attenti alla cura intellettuale e alla cura fisica. 2. Gli uomini sono orientati dall’amor proprio, sentono prima la propria felicità e aspirazioni, e di questo va tenuto conto per costruire la città felice. Moro, con la società collettiva, aveva superato questa fase. In Patrizi invece c'è attenzione per l'elemento individuale. Questa spinta ai propri interessi fa parte della dimensione umana, perciò non può essere ignorata. Si tratta di sapere che l'amor proprio, che è uno stimolo a essere felici, può essere in ambito sociale un pericolo perché può essere un elemento di egoismo e disgregazione. Deve essere arte del governo sapere di questa spinta e quindi frenarla, prima che diventi eccessiva ed elemento di conflitto. I governanti della città felice usano quindi la legge e la costrizione, ma soprattutto l'educazione, il convincimento, affinché il comportamento dei cittadini si fermi a prima di combattere contro il sentimento comune. Va sottolineato che a differenza di Moro e della maggioranza delle società utopiche, quella di patrizi non è una società egualitaria, divisa in classi non propriamente chiuse ma tendenzialmente statiche. Ci sono 6 classi: 3 basse e 3 alte. Le 3 basse sono quelle dedite prevalentemente alla produzione, al lavoro. Le 3 alte sono dedite all'attività intellettuale. Le 3 classi basse vivono esternamente alla città e producono ciò che serve ai cittadini per essere felici (ciò che produceva il contado veneziano per Venezia all'epoca): ci sono i contadini, gli artigiani e i mercanti, che trasportano le merci prodotte fuori dalla città al suo interno. Sono classi selezionate in modo tale che facciano quei compiti coloro che per costituzione oggettiva sono adatti a farlo. Fanno i contadini coloro che hanno caratteristiche adatte alle loro mansioni, coloro che sono dotati di forza fisica e di spirito ripetitivo. Questi trasmetteranno il lavoro ai figli, perché sono i più forti. Se ne stanno buoni perché hanno il loro tornaconto e non sono disprezzati. Sanno anche di far parte di un ordine generale armonico tra disuguali. È un messaggio di armonia fra disuguali. La vera ossatura di questa città è rappresentata dalle 3 classi elevate: 3. la prima classe trattata, che è al terzo posto, è quella dei guerrieri. Anche nella città felice c'è bisogno di un esercito per mantenere stabile l'ordine interno e soprattutto per resistere agli eventuali pericoli provenienti dall'esterno. Caratteristica ricorrente di queste utopie è l'attenzione alla difesa, a differenza delle utopie 800esche. I soldati sono coloro che hanno determinate caratteristiche: è necessaria la forza fisica unita al coraggio. Sono queste le virtù principali dei guerrieri. 2. la seconda classe evocata (cioè la quinta), è quella dei sacerdoti. La classe dei sacerdoti è un clero e anche una comunità intellettuale di scienziati quasi. I sacerdoti sono anche coloro che studiano la natura. C'è l'aspirazione a che la religione diventi una religione naturale (elemento che sarà molto forte in Bacone). Il discorso religioso di Patrizi si rifà anche a un'idea di sincretismo religioso, che è una pratica di culto che combina insieme elementi di diverse religioni. Nella religiosità dei cittadini della città felice i riti sono un po' cristiani, ma risentono anche delle religioni orientali (ebraiche, islamiche) e classicheggianti (il paganesimo). In questo sincretismo religioso c'è un implicito richiamo alla tolleranza religiosa. Patrizi non milita nella controriforma, ma anzi fa parte di quell'ambiente veneziano anti papale. 1. la prima classe è quella dei magistrati: sono i governanti della città. Ci sono magistrati di grado inferiore e intermedio, poi una magistratura di governo più elevata (eletta dai primi) che a sua volta elegge un capo (figura simile al Doge). Ci sono molte analogie con la realtà veneziana. Tutti questi magistrati sono elettivi, il Doge detiene la carica a vita. Ciò non è un problema, poiché i valori che si richiedono ai magistrati, quelli che li fanno adatti a governare, sono i valori tipici della vecchiaia: la moderazione, la prudenza, la saggezza. Questi magistrati controllano politicamente la città, prevengono i possibili conflitti fra le classi, convincendo tutti della giustizia dell'ordine, anche attraverso l'educazione e la pedagogia. C'è una perpetuazione dei valori della società. In Patrizi si affaccia un motivo che troveremo ribadito anche nelle utopie successive, che vorrebbero intrecciare politica, sanità e scienza e quindi spingono a controllare le nascite. C'è l'idea di controllare la riproduzione, in parte a fini quantitativi (c'è l'idea che queste società ideali si possano reggere con un numero controllato di abitanti) ma, soprattutto, in Patrizi, in termini qualitativi. Si devono riprodurre le stesse qualità delle stesse classi, altrimenti si perde la purezza di quelle qualità. C'è l'idea che nella riproduzione si trasferiscano le caratteristiche. Il potere politico si assume perciò il compito di controllare la riproduzione. TOMMASO CAMPANELLA “La città del Sole” è un'opera a cui lavora dall'inizio del '600 e che viene pubblicata per la prima volta in Germania nel 1623. Il '600 è il secolo della rivoluzione scientifica e della controriforma. Calabrese, inquieto religiosamente, Campanella accetta la controriforma, apprezza il naturalismo e risente della cultura di Giordano Bruno. In Calabria è coinvolto in una congiura contro gli spagnoli, come frate ed eterodosso viene consegnato al papato: trascorre perciò 27 anni nelle carceri pontificie, a Roma, durante i quali sarà integralmente scritta l'opera. Il libro riflette questa inquietudine intellettuale e religiosa di Campanella. La città del Sole è una città che si basa fortemente su simboli religiosi, in cui l'elemento metafisico e religioso è molto forte, più che nelle altre utopie. È però una religiosità che vuole aprirsi anche alla scienza, allo studio della natura. Si tratta di un apparato di fede che si coordina con la ricerca scientifica e con la natura. C'è una spinta di carattere scientista (Campanella risente del suo tempo, di Copernico, di Galileo). Il discorso scientifico per Campanella ha dimensioni anche più estese, che attraversano il mistero, ha una componente metafisica. Si parla di “magia naturale”. È convinto che l'astrologia sia una scienza, gli astrologi sono figure importantissime nella città. Nella Città del Sole si pianificano le cose secondo la posizione dei pianeti. C'è un'aspirazione a sanare il conflitto tra religione e scienza alla luce di un discorso unitario. Il libro è un dialogo tra due personaggi, Ospitalario e Genovese, un navigatore che sostiene di essere il Nocchiero di Colombo, che è stato in America. C'è una netta ed esplicita unione fra immaginazione utopica, la letteratura di viaggio e scoperte geografiche. Genovese descrive la città del Sole. È un'isola equatoriale che si trova nei mari australi. È un'isola collinare. La città è in collina, vicina al mare, di forma triangolare. È una città difesa da sette cinta murarie, ciascuna delle quali ha il nome di un pianeta. Al centro di queste città c'è un tempio, dedicato al Sole, dove vi sono i rappresentanti del Sole (→ è una trasparente allusione al Sistema Copernicano: si tratta di una presa di campo a livello scientifico). Parte preponderante dell'opera occupa la struttura e l'azione del potere, sulla cui descrizione Genovese si dilunga molto. È una società comunistica ma meno egualitaria di quella di Moro. A capo di tutto c'è una sola persona, un Re sacerdote, che ha il nome di Sole. Il titolo che gli corrisponde è il Metafisico (richiamo alla sintesi scienza-metafisica). Il Sole è coadiuvato da tre alti dignitari, ognuno dei quali gestisce un ramo del governo. I nomi delle loro cariche sono: * Potenza. È il capo dell'esercito, a lui fa capo la difesa della città; * Sapienza. A lui fa capo l'organizzazione del sapere scientifico, quindi la ricerca scientifica, l'indagine filosofica e la loro diffusione, e, in parte, anche le arti meccaniche; * Amore. Il compito fondamentale di questo ministro è di sovrintendere alla generazione e quindi controllare l'esercizio della sessualità. Come per Patrizi, le cariche sono elettive, i magistrati eleggono gli alti magistrati, il Sole detiene la carica a vita. I ministri rappresentano tre grandi virtù, queste tre grandi virtù si dilungano in un elenco di virtù che sono proprie di tutti i cittadini: verità, solerzia, misericordia, trasparenza, coltivate dalla popolazione. Questa è la struttura del potere. Ci sono poi anche qui le descrizioni che riguardano l'organizzazione sociale ed economica. Nella città del Sole vige la comunione dei beni. I solariani hanno scelto il comunismo non per considerazioni sociali o economiche, ma per considerazione filosofica: il comunismo rimanda al tutto, che prevale sulle singole parti, sulle aspettative singole. La singolarità è vista come un pericolo. La proprietà privata sarebbe disgregante, costruisce avidità. Il comunismo ribadisce l'unione fra tutti. In conseguenza di ciò, ci sono poi tutta una serie di momenti in cui i solariani vivono momenti di vita comune: i pasti, il lavoro, l'educazione, che non è un momento privato ma collettivo (elementi tipici degli ordini religiosi: Campanella prende lo spunto dal convento). C'è attenzione a un'alimentazione sana, la medicina è importante perché mantiene in salute. Non c'è divisione del lavoro tra i solariani. I compiti si svolgono in gruppi e gli stessi gruppi periodicamente passano da un occupazione all'altra: sono contadini, artigiani, soldati periodicamente, in epoche di vita distinte. Caratteristica interessante è che in questo sistema vige la comunione delle donne. È un'ulteriore scelta legata al tema della disgregazione. L'organizzazione familiare, la sessualità privata sono viste come elementi di chiusura e di appropriazione privata, di disgregazione all'appartenenza comune. La famiglia porta all'egoismo verso la comunità. Non è propriamente poligamia, ma un controllo politico culturale della riproduzione. Si pratica la castità: le donne fino a 19 anni le donne, gli uomini fino a 21. Poi la sessualità viene interamente gestita e consumata a fini riproduttivi. Una magistratura decide gli incroci ai fini di una riproduzione della razza controllata. L'obiettivo è di eguagliare gli uomini: per Campanella la disuguaglianza offende, anche quella oggettiva, non solo economica. C'è molta attenzione al tema religioso. Questi grandi capi organizzano molti riti. Si tratta di una religione molto poco dogmatica e libresca, ma bensì naturalistica, vicina a Giordano Bruno. Credono in Dio Creatore, nell'anima immortale, e in un giudizio ultraterreno. C'è poi il richiamo all'astrologia. Il momento più solenne è la riproduzione. L'opera si conclude con una tensione irrisolta fra Ospitalario e Genovese. Ospitalario gli chiede: “ma allora il libero arbitrio”? I solariani sono strettamente convinti che gli astri influenzano la vita degli uomini. FRANCIS BACON Con Bacone torniamo in Inghilterra, dove il genere utopistico si è creato, per vedere alcune alcune manifestazioni del pensiero utopico nel '600. Francesco Bacone è uno dei primi grandi sistematori delle filosofie di tipo empirico e della ricerca induttiva. Nelle sue opere filosofiche egli pone le regole fondamentali dell'uso della ragione che parta dalla conoscenza della realtà piuttosto che dalla metafisica. Ci interessa per un brevissimo testo, a cui lavora alla fine della sua vita e che rimane inedito: viene pubblicato postumo, incompiuto. Il testo si intitola “Nuova Atlantide”. È un'opera che esce nel 1627, un anno o due dopo la morte di Bacone. A differenza dei testi visti finora, nel lavoro di Bacone c'è anche una trama, un racconto. La prima delle 4 parti in cui può essere diviso il testo racconta il naufragio di viaggiatori europei in mari probabilmente australi, ma non identificati. Questo gruppo di navigatori europei trova riparo in un'isola che non conoscono e scoprono chiamarsi Nuova Atlantide. Atlantide era un mito dell'antichità, un isola scomparsa: è l'idea che possano esistere mondi alternativi rispetto a quelli esistenti. In una seconda parte del racconto questi naufraghi vengono soccorsi e accolti dagli abitanti della Nuova Atlantide, sono ospitati nella “casa dei forestieri”, e attraverso un primo incontro con le magistrature di questa casa hanno notizie di questo mondo e lo raccontano ai lettori. La società ideale di Bacone, a differenza della maggior parte delle precedenti, non è descritta come del tutto isolata, ma ha degli scambi con l'esterno, non è un mondo chiuso e ha un luogo per ospitare soggetti provenienti dall'esterno. C'è l'intenzione di Bacone, rispetto agli autori precedenti, di dare verosimiglianza al suo racconto, dare un tono di realismo. Possiamo pensare ad isole che ancora non conosciamo: nel '600 c'è poi un rilancio delle esplorazioni che conducono a molte nuove scoperte nel pacifico meridionale, però è Altra idea espressa da Harrington è che in ogni ordinamento giuridico, uno degli aspetti essenziale per il suo funzionamento è una buona distribuzione della proprietà. Essa è uno dei problemi cruciali e aspetto fondamentale anche in vista della costruzione di un buon ordinamento politico. Su questa base Harrington cerca di tenersi lontano da due estremi: • il primo è la grande proprietà (terriera), vista come un nemico di un buon ordine politico, perché è in sé oppressiva nei confronti di un numero esteso di cittadini. C'è un'accezione positiva dell'idea della proprietà privata, ma non incondizionata. Risente qui anche dei movimenti sociali dei livellatori. • L'estremo opposto, l'abolizione della proprietà privata, è considerato anch'esso nemico di un buon ordine politico, perché non si identificano i meriti, non si crea un ceto dirigente stabile. L'ordinamento della proprietà è essenziale. Bisogna muoversi verso una dimensione mediana. Non c'è lo spirito comunistico, come in Moro o in Campanella. In nome della centralità del tema della proprietà per un buon ordinamento politico, la legge più importante che le istituzioni politiche di Oceana hanno costruito è la legge agraria, che è la regolamentazione della proprietà della terra. È una legge che non limita ma regolarizza. La regola è basata su vari principi: 1. primo criterio è porre un massimo giuridico all'estensione delle proprietà terriere. Non si possono costruire proprietà grandi oltre il desiderio del legislatore di Oceana (criterio tipico della mentalità dei livellatori). 2. Secondo criterio è diffondere la proprietà, e quindi incoraggiare la piccola proprietà coltivatrice. Si incoraggia quindi che la proprietà si estenda al massimo numero di persone, pur sapendo che non diventerà condizione di tutti. Questo perché la legge agraria comunque concepisce l'esistenza, sotto un tetto massimo, di differenze fra una proprietà e l'altra. Riassumendo, la legge agraria mette un limite. Il porre un limite massimo non significa uguagliare la proprietà (Harrington crede alla proprietà, come misura anche del merito sociale ed economico). Sotto quel massimo consentito ci sarà una certa dinamica: si formeranno in base alle tradizioni, ai patrimoni familiari, ai meriti produttivi, diversi livelli di proprietà. C'è una proprietà medio-alta, che corrisponde alla piccola nobiltà del tempo di Harrington. Possedere questa proprietà significa vivere di rendita fondiaria, vivere non del proprio lavoro ma grazie al lavoro servile di altri. C'è poi una seconda scala di proprietà, la piccola proprietà, che non consente al proprietario di vivere di rendita. Sono i contadini proprietari del loro piccolo terreno, dei loro piccoli appezzamenti. L'articolazione fra queste due forme di proprietà armonizza il criterio di non fare proprietà troppo grandi e il criterio del merito produttivo con l'idea che la classe dei piccoli nobili abbia la possibilità, proprio perché libera, di seguire gli affari pubblici. Sono il nerbo di coloro che occuperanno le istituzioni politiche, in un quadro di controllo democratico. C'è una articolazione sociale, basata su un'armonia fra diversi. Si formano due classi sociali: • la piccola nobiltà dei redditieri • l'insieme dei piccoli proprietari coltivatori, che costituisce il popolo. Il popolo è l'elemento del consenso e del controllo, della difesa di questa comunità. Siamo, come in Moro e in Campanella, di fronte a un popoli in armi. Nel momento della necessità, i cittadini entrano nel nucleo dei cavalieri. C'è la leva obbligatoria per la popolazione, che è anche l'ossatura del sistema militare – il popolo è infatti contrario alle milizie mercenarie. Quadro generale del sistema politico Tutte le cariche delle istituzioni politiche sono elettive. Le istituzioni politiche sono fondamentalmente due: il senato, che rappresenta la piccola nobiltà proprietaria, che vive di rendita e quindi può dedicarsi agli affari pubblici (sono eletti dai nobili stessi); e un parlamento popolare, che rappresenta invece il popolo. Le cariche sono anche qui elettive, quindi investitura democratica, con ampia rotazione delle cariche stesse. Ogni anno un terzo del senato e un terzo del parlamento viene obbligatoriamente rinnovato. Un aspetto interessante è poi legato a come si formano le leggi: esse sono scritte dal senato, la parte più istruita e saggia della popolazione, che però non le approva. L'approvazione viene dalla rappresentanza popolare, che può approvare o rifiutare ma non modificare il progetto. Esiste poi un esecutivo formato da un corpo di magistrati che ha autonomia negli atti esecutivi, però è anch'esso a base democratica, in quanto eletto dal popolo. Questo organo serve a sorvegliare l'esecuzione della legge e in caso di situazioni urgenti ha libertà di movimento. Combinando tutti questi elementi viene fuori una forma un po' strana di repubblica, che assomiglia all'idea di repubblica mista teorizzata da Machiavelli. Il pensiero utopico fra '600 e '700 Francia, patria della cultura filosofica del '700, patria dell'illuminismo: 1703 → testo anonimo all'isola degli ermafroditi; Cyrano de Bergerac scrive “viaggi all'altro mondo”: i suoi viaggiatori arrivano anche sulla luna. Continuità che si riprende nel corso del '700 alla luce di due considerazioni poi più tipiche del sentire del secolo dei lumi. Nel corso del '600 è emersa come argomentazione politica la nozione di stato di natura (giusnaturalismo). Lo stato di natura era delineazione concettuale di uno stato ipotetico naturale che costituiva il primo paradigma su cui poi instaurare lo stato politico. Lo stato di natura nasce come una figura filosofica concettuale: non è uno stato di fatto, ma serve per spiegare e legittimare i rapporti di sovranità esistenti. Nel passaggio da '600 a '700, anche per il moltiplicarsi dei viaggi di scoperta e colonizzazione, si inizia a pensare che lo stato di natura esista concretamente e si possa studiare: è lo stato selvaggio, sono quei gruppi di non civilizzati che esistono nel mondo e che talvolta i viaggiatori incontrano e studiano. Lo stato di natura si trasferisce da elemento concettuale a una condizione preistorica. Per molto illuminismo queste considerazioni servono a valorizzare il processo di civilizzazione. C'è anche però un illuminismo radicale, una corrente di pensiero che usa lo stato di natura, lo stato selvaggio, per metterlo a confronto con la nostra civiltà e per misurare quanto la nostra civiltà ci ha snaturati, ci ha allontanati dalla nostra natura. Questa tema è di Rousseau. E in effetti l'influenza di Rousseau in questo modo di pensare nella seconda metà '700 è centrale. Nel corso del '700 francese si diffonde il mito del buon selvaggio. Si crede di osservare una bontà originaria dell'uomo ancora incarnata nel selvaggio, perché questi non soffre ancora di tutta una serie di mali di cui invece soffre l'uomo civilizzato (la competizione economica, la proprietà privata, il furto etc). Il selvaggio è in una condizione morale superiore rispetto all'uomo civilizzato. Da qui il passo successivo è quello di dire che il buon selvaggio è anche più felice dell'uomo civilizzato. L'idea del buon selvaggio si trasferisce anche nell'idea della natura felice. Più si è vicini alla natura più si persegue una condizione di felicità. ► come si sviluppa in alcuni momenti questa tendenza di carattere utopico? Primo momento di attenzione è attorno a un viaggiatore reale francese: LUIS ANTOINE DE BOUGAINVILLE. È un viaggiatore di professione alle dipendenze del re di Francia; intorno alla metà del '700 ha già svolto missioni nell'America settentrionale. Per ragioni di studio (che preludevano alla colonizzazione) viene incaricato di un viaggio che diventa una sorta di viaggio intorno al mondo. Siamo fra il 1766 e il 1769. Tornato scrive un resoconto molto ampio di questo viaggio, resoconto di taglio realistico, che pubblica nel 1771 con il titolo “Viaggio intorno al mondo”. Almeno in due punti Bougainville ha occasione prima di confrontarsi con un luogo comune delle utopie del suo tempo, e in un secondo punto a esaltare la felicità allo stato naturale. Inizialmente non dimostra nessuna simpatia per i selvaggi: li descrive come brutti, infidi. Quando arriva a Tahiti il discorso invece cambia totalmente. Prima c'è un altro confronto con una problematica utopica del suo tempo. È quando racconta di essersi fermato al Rio della Plata, nel sud del Brasile, e di aver avuto conoscenza diretta delle famose colonie gestite dai gesuiti in Paraguay, colonie costruite a partire dal '600, che erano una presenza costante anche di dibattito in particolare nella cultura francese del tempo di Bougainville. Sono importanti e ritornano nella discussione politica occidentale perché i gesuiti, nell'ambito di queste colonie del Paraguay, avevano costruito un organizzazione di tipo comunitario. Mentre i colonizzatori laici vi avevano trasferito il feudalesimo, i gesuiti si erano tenuti lontani dalla proprietà privata e avevano costruito un sistema che gira in Europa come un modello di comunismo. Chi crede in questo modello gesuitico aveva parlato di questo esperimento di radunare gli indigeni, di farli lavorare in forme collettive, di non suddividere la terra, come di un modello ideale comunistico. Si parla di queste colonie come luogo ideale. In realtà questo modello non suggestionava tutti: Voltaire per esempio li vede gli indigeni non come tutti uguali, ma come tutti ugualmente schiavi dei gesuiti. È un esperimento di economia di sussistenza non aperta al commercio che cercava la soluzione dei problemi vitali degli indigeni. Bougainville ha il primo confronto con questo modello: ne dà un immagine dialettica però sembra crederci. I gesuiti hanno appunto avuto il merito, proprio attraverso la negazione della proprietà privata, di spingere gli indigeni a lavorare in condizioni di equilibrio e armonia. Bougainville dà credito a chi parla bene di questo meccanismo, di cui sono sottolineati molti elementi. Anzitutto i gesuiti si interessano alla protezione dei deboli: chi non è in grado di lavorare viene assistito. Poi c'è una tendenza al comunismo agrario, anzitutto per la necessità dei coltivatori: si utilizza la terra comune per i bisogni dei lavoratori stessi → è un economia a vantaggio delle popolazioni indigene; c'è equilibrio: né grande ricchezza né povertà. Si può vivere in una condizione armonica, in vicinanza armonica, con un culto di una certa uniformità. La vera e propria utopia in Bougainville avviene però quando raggiunge Tahiti, isola del Pacifico scoperta già dall'inizio del '700. C'è tutta una serie di esaltazioni legate alla visione e poi all'esperienza di questa isola, dove Bougainville rimarrà vari mesi. C'è anzitutto l'esaltazione della bellezza allo stato di natura. Non è una bellezza artefatta ma naturale non solo degli ambienti ma soprattutto degli abitanti, tanto che Bougainville la ribattezza subito “Nuova Citera” (dal nome dell'isola dov'era nata Venere). La bellezza non è solo un dono della natura, ma il permanere della vita naturale che preserva la bellezza stessa. Egli conosce la vita e l'organizzazione dei tahitiani, che costituisce proprio la parte utopica di questo testo. Sicuramente certe cose le ha viste, in altre ha equivocato le situazioni. I tahitiani hanno un'organizzazione politica molto semplice e molto vicina alla vita effettiva della popolazione. Si organizzano in piccole tribù autonome. C'è anche un re indigeno, ma non ha grandi poteri (è un po' un coordinatore delle varie tribù nei momenti di necessità). Il vero nerbo dell'organizzazione sono queste piccole comunità autonome, rette da un capo che è una sorta di grande padre per tutti i componenti della tribu. Il capo tribù è una figura continuamente scambiata con la figura familiare e paterna, non con l'autorità, con lo scettro che conosciamo noi. C'è una religiosità molto semplice, non complessa. Il '700 soffre il peso dei dogmi e dei riti, delle confessioni organizzate. Lì invece c'è una religiosità semplice, si adora gli idoli della natura. C'è un forte culto dei morti. I culti sono quasi interamente dedicati ai morti: una cosa anche questa molto semplice. La morte è vissuta come un elemento naturale, come inevitabile successione delle generazioni. C'è molta naturalità in ambito economico. È un'isola che vive in modo molto frugale, senza gli stravizi del mondo occidentale. C'è un assenza di tutti i vizi non solo di tipo alimentare ma anche alcol e tabacco. E poi c'è una grande libertà di carattere sessuale, di comportamento sessuali: non ci sono le morali restrittive dell'uomo civilizzato. A Tahiti vige la poligamia, che non è vista come uno sfruttamento sessuale degli uomini nei confronti di donne o più donne, ma come un abitudine di circolazione dei rapporti sessuali. Essa si instaura anche perché non esiste gelosia. È una sorta di promiscuità estesa, che non costituisce un problema per i taitiani perché avere rapporti sessuali fa parte della perfetta naturalità dell'essere umano. L'uomo vive secondo le spinte della natura, non della civiltà. Proseguendo il viaggio, un tahitiano, l'interprete di Bougainville, va con gli occidentali: dirà poi che questa spontaneità di carattere sessuali, dopo l'arrivo degli occidentali, è iniziata ad essere un problema, soprattutto per la diffusione di malattie (come la sifilide, che poi effettivamente falcerà la popolazione). Anche il comunismo vale fino a un certo punto: esiste comunque il sentimento di proprietà. Questo non offusca però l'immagine radiosa del suo racconto di viaggio a Tahiti. “Mito dell'umanità felice per natura”: questo testo è importante anche perché ispira uno dei più grandi filosofi del '700 francese: DIDEROT. Egli un anno dopo l'uscita del libro di Bougainville, nel 1772, scrive un proprio supplemento: “Supplemento al viaggio di Bougainville”. È un testo che sarà edito solo alla fine Diderot ribadisce un ruolo dell'utopia: questa delineazione di società ideali è uno strumento per criticare la realtà. Doppia antitesi → l'immaginazione utopica serve a costruire un mondo che non ha i nostri mali; usare l'utopia per criticare il nostro mondo. MORELLY Rimaniamo solidamente nel secolo dei lumi per introdurre un altro autore: Morelly, figura di primo piano nel pensiero utopico. Se n'è persa la memoria perché quasi non ne abbiamo notizie biografiche. Francese, vive nella periferia di Parigi a metà 700, faceva quasi sicuramente il maestro in una scuola comunale, scrive alcune opere, spesso anonime. Un'opera anonima importante si intitola “Codice della Natura” (1755), raccolta a fine anni '70 in una pubblicazione di opere complete di Diderot che esce in Olanda. Quindi questo testo arriva alla rivoluzione francese come di Diderot, che non lo smentisce mai. È letto nella parte più accesa della sinistra della rivoluzione francese. Sono attribuite a Morelly 6 o 7 opere, produzione abbastanza significativa, e opere quasi tutte interessanti, alcune con elementi di originalità. Inizia a pubblicare negli anni '40 del '700. Tra il '44 e il '45 pubblica due saggi, accomunati dallo stesso sottotitolo: “principi naturali sull'educazione”. Sono due saggi sull'educazione ispirata ai principi naturali: uno è dedicato allo spirito, cioè alla ragione, all'intelletto; l'altro al cuore, cioè al sentimento. È interessante per un autore di livello medio alto che si mette a scrivere principi sull'educazione e decida di dedicare un volume all'intelletto e uno al cuore. Quindi mette nel gioco sull'educazione non solo la ragione, il grande tema illuminista, ma anche il sentire, grande tema ottocentesco. Questo richiama Comte. Questo abbinamento è significativo, ed è poco in sintonia con i tempi. Morelly ha alcune posizioni degne d'interesse → in questi 2 saggi ci sono alcuni aspetti specifici, interessanti: 1. sono scritti sull'educazione: siamo a metà anni '40 del '700 e lui propone un'istruzione pubblica e generalizzata. È il '700 francese che esalta questa idea, ma molti lo diranno dopo Morelly (Elvezio, che scriverà una lunga memoria sulla scuola pubblica, Condorcet). Questo costituisce un richiamo estremamente forte. 2. Questa educazione deve stare dentro ai principi naturali, a un'idea della conoscenza che deve stare dentro la natura umana. Egli ha un impianto sensista e materialista. La conoscenza proviene dai sensi, non c'è un idea metafisica dell'anima. La conoscenza avviene dalle sensazioni. “Prima che non reagiscano i nostri sensi, l'anima è come un quadro in cui non si sia dipinto nulla”. E mancano 30 anni alla famosa statua inanimata di Condillac, che propone la stessa cosa. Passaggio del libro di Morelly: “Si può definire fisicamente lo spirito, con i movimenti combinati degli organi, in quanto agiscono sull'intelletto”, perciò le idee sono reazioni fisiche di fenomeni fisici. “ Il cuore, con i movimenti combinati degli organi, in quanto agiscono sulla volontà”, il cuore quindi agisce sulla nostra volontà sotto forma di influenze di tipo sentimentale e non solo razionale. Ci sono azioni che possono intervenire violentemente sulla nostra volontà: sono le passioni, l'irrompere di sensazioni difficilmente controllabili dalla ragione. “I desideri li possiamo unire con i movimenti del cuore, causati dall'immaginazione di un bene che non possediamo”, sul piano soggettivo può essere un desiderio specifico, sul piano collettivo è l'utopia, che nasce dal desiderio (Diderot diceva dal sogno) o anche dal ricordo di un bene mancante che abbiamo perduto e non abbiamo più. 3. È importante anche che la creazione divina, a cui Morelly crede anche da materialista. Usa spesso Natura e Dio con la maiuscola. Nella natura Morelly intuisce un destino egualitario: la natura ci vuole uguali perché siamo tutti uomini e donne. C'è un destino, un volere di uguaglianza nella natura, che è però stato messo in discussione, è stato alterato da una cattiva storia. La storia ci ha portato lontano dall'uguaglianza che la natura aveva scritto per noi. (Analogia con Rousseau. C'era quindi un argomentazione che si stava diffondendo in certi ambienti radicali). 4. Quarto elemento da sottolineare è che in quanto sensista Morelly riconosce che la felicità è anzitutto una condizione individuale, una situazione personale. Questa felicità la si sente prima di tutto individualmente. Questa nostra aspirazione alla felicità è destinata a rimanere frustrata se noi diamo all'umanità un'interpretazione egoistica. La natura ha costruito una condizione ideale per l'umanità, che fa sì che diventiamo felici solo attraverso una collaborazione con gli altri: abbiamo bisogno degli altri, e lo capiamo razionalmente. Lo stesso benessere materiale non può esserci assicurato da soli. Ma la felicità è anche sentimento e cuore, per cui serve una soddisfazione sentimentale nei rapporti con gli altri. L'educazione deve ribadire che la felicità la si sente individualmente, ma all'interno di un ambiente sociale che deve essere armonico. A inizio anni '50 inizia a scrivere trattati di ordine politico, orientati all'esaltazione del dispotismo illuminato. Crede che la ricerca della felicità sia più facilmente perseguibile attraverso un potere solido. Scrive un trattato intitolato “Il principe”. Occorre una figura autorevole ma si deve trattare di una monarchia con una certa capacità di costruire un sistema razionale e coerente con le aspettative. Occorre un esercizio della sovranità politica da intendere come arte sociale. La sovranità politica si qualifica per la capacità di essere un arte sociale, cioè di costruire una società. Si fa appello a un principe a disegnare e costruire. È un principe padre ed educatore, e ha come suo compito fondamentale di costruire attraverso il suo potere paterno una società armonica. La politica serve non in quanto garantisce quello che esiste, ma in quanto costruisce una società diversa, una società armonica. Armonica per Morelly significa saper armonizzare il valore dell'uguaglianza con le molte disuguaglianze specifiche che gli uomini hanno reciprocamente. La grande arte della politica è far sì che le differenze che pure ci sono nella natura dei singoli individui, non siano strumento di disuguaglianza disarmonica, ma siano ricondotte a un armonia ugualitaria in cui ognuno trovi la sua strada per la felicità. L'uguaglianza non significa il livellamento totale di ogni cosa. L'arte sociale è la capacità di armonizzare piccole disuguaglianze che corrispondano alle aspettative e alle strategie dei singoli. I singoli non devono essere egoisti: devono essere educati alle necessità individuali dei bisogni degli altri che fa parte della natura umana. Su questa base Morelly arriva all'utopia vera e propria, in due momenti: 1) 1753 - “Basiliade”, romanzo utopico in cui torna all'utopia del principe illuminato. Il sottotitolo dell'opera è “naufragio delle isole flottanti”. Quest'opera è un racconto, un gioco letterario, in cui Morelly si presenta come traduttore di un testo indiano, orientale, ovviamente in realtà lo scrive lui e finge di averlo trovato e tradotto. C'è un'ambientazione è esotica e orientale, la storia avviene in una mitica parte dell'oceano orientale in cui si svolge questa vicenda letteraria. È un personaggio che sa maneggiare la letteratura: esotismo e oriente fanno parte del gusto dell'epoca. La prima parte di questo testo è la descrizione di un'isola felice, collocata tra Oceano Indiano e Oceano Pacifico, e retta da un principe illuminato, Zeinzemin, il quale è alla guida di una società ideale. Questi uomini sono felici, e viene detto subito. La loro felicità è data da: assenza di proprietà privata; lavoro che viene svolto in comune; il lavoro è di tutti ; costumi di tipo vegetariano: non uccidono né animali né pesci → il che ha 2 vantaggi: sono sani e vivono in pace anche con gli animali. C'è una tradizione di viaggio in queste opere. I selvaggi appaiono sani e belli perché non hanno i nostri vizi. C'è un sistema monarchico, una grande semplicità di atteggiamenti politico culturali. Essendo una società semplice e felice, ha una religiosità molto semplice e naturalistica, si celebra la bontà della natura nei riti religiosi, la religiosità non ha nulla a che vedere con i dogmi e le complicanze della religione occidentale o orientale. C'è anche una legislazione molto semplice. C'è questo principe illuminato che sovrintende a tutto, governa un mondo semplice e moralizzato in cui tutti sono orientati al bene. Perciò non ci sono molte molte leggi da scrivere. Non c'è il cavillo, l'inganno della legge: c'è semplicità naturale anche sul piano politico giuridico. La situazione di questa società ideale, a differenza di molte altre isole utopie, non è una situazione stabile, perché anche il mondo ideale di Zeinzemin è soggetto a una condizione che caratterizza tutto l'universo: la perenne lotta tra il bene e il male. C'è la ripresa di un motivo tipico della tradizione orientale, una visione dualistica e contrastata del mondo, caratterizzato dalla continua lotta tra Bene e Male, la lotta tra le Virtù e i Vizi. A un certo punto quest'isola è soggetta a questa lotta. Virtù e vizi sono rappresentati come divinità personificate: c'è una specie di olimpo in cui essi sono rappresentati come dei. I vizi, il cui capo è l'avarizia, discutono nel loro olimpo, seccati della presenza di un'isola dove i vizi non dominano, e decidono di muoverle guerra. E lo fanno tramite le isole galleggianti, in cui fanno salire persone provenienti dall'occidente, in primo luogo i mercanti, i commercianti, e queste isola vengono mandate contro l'isola di Zenzemin. Alla fine della storia, reagiscono le divinità buone, le virtù, e tutte le isole galleggianti e i loro abitanti vengono inghiottiti dalle acque dell'oceano, così il male perde. Questa lotta viene vinta dalle forze del bene. 2) 1755 - “Il codice della natura” È un saggio filosofico. Opera attribuita a Diderot e poi fatta propria dalla congiura degli uguali. È un saggio filosofico che però ha una caratteristica interessante: l'appendice. Alla fine della trattazione filosofica, il libro si conclude con un'appendice, in cui dà le leggi fondamentali di una società felice, di una società ideale, sotto forma di costituzione, redatta in articoli e in linguaggio giuridico, che sostituisce la descrizione romanzesca dell'isola felice. È un operazione importante perché con lui l'utopia da espressione letteraria diventa esplicitamente progetto giuridico-politico. Questo agirà sul suo secolo come volontà di riscrivere le leggi, e verrà fatto prima in America e poi in Francia. Morelly intuisce quest'aspirazione a rifondare la società politica, e per farlo occorre una veste giuridica nuova di tipo costituzionale. Argomentazione filosofica Precede questa proposta di codice (codice che traduce i valori della natura in un ordinamento politico). Primo elemento: c'è uno stretto stretto legame tra politica e morale. L'avvicinamento alla problematica politica passa attraverso un'ottica morale. Di questo avvicinamento Morelly cerca di dare una veste che convinca, che attraversa tutta la sua formazione e le sue convinzioni di carattere filosofico. È sensista. Morelly descrive l'uomo come individuo dal punto di vista filosofico: lo descrive come un insieme di bisogni e di sentimenti. È retto da reazioni di tipo utilitaristico. Le azioni dell'uomo sono rette dal principio del piacere e del dolore. L'uomo ricerca il piacere, l'uomo rifugge il dolore. È mosso dall'istinto di autoconservazione che si proietta poi dalla ricerca del piacere. Una delle prime fonti del piacere sarà soddisfare i bisogni, e dare soddisfazione ai propri sentimenti (antropologia di tipo utilitaristico). Tutto questo non deve diventare, sul piano morale, occasione di giustificazione dell'egoismo, di un individualismo in conflitto con gli altri. È importante che la nostra individualità non diventi ragione di disgregazione. Se interroghiamo correttamente la natura, dovremmo capire qual'è la giusta individualità, essa non deve diventare un vizio. La natura ci ha già messo le condizioni perché questa chiusura non avvenga: 1. la natura ci ha fatto, in un certo senso, tutti uguali, perché tutti siamo portatori di bisogni e di sentimenti. 2. Questa uguaglianza di natura però si esplica, si evidenzia, diventa ragione di azione degli individui, secondo non un uguaglianza assoluta di bisogni e comportamenti, ma attraverso quelle che Morelly chiama le “variabilità secondarie”. Questi bisogni che tutti hanno variano infatti a seconda di ciascuno, perché per esempio non tutte le stesse cose fanno lo stesso piacere a tutti. Morelly spera di costruire una società fortemente socializzata, comunistica, senza ammazzare l'individuo, tenendo in piedi questa dimensione individualistica. Terzo elemento: ma può anche avvenire che tra bisogni e risorse si formi uno squilibrio, ossia che gli uomini presentino una quantità di bisogni superiori ai beni disponibili in quel momento stesso (era l'ipotesi hobbesiana, la condizione dello stato di natura di Hobbes, in cui gli appetiti degli uomini sono invariabilmente superiori ai beni). Morelly si pone nella stessa situazione; però se questo avviene non è l'inizio del male, ma è un'astuzia della natura da cui è destinato a scaturire il bene. Da questo squilibrio e impossibilità di soddisfare tutti i nostri bisogni, scopriamo la necessità dell'altro, di allearci con i nostri simili. Di fronte alle difficoltà e alle necessità della natura, gli uomini non diventano soggetto di conflitto, attori di conflitto, ma scoprono di aver bisogno di coalizzarsi con gli altri, di mettersi d'accordo. Allora questo squilibrio, che di per sé è un male, diventa punto di partenza per trovare il bene: il lavoro comune, che può sanare lo squilibrio tra risorse e bisogni. Siamo di fronte a un pensiero che sta cercando di mettere insieme utilitarismo individualistico e pensiero della società. In origine è avvenuto così: negli stati selvaggi, all'origine dell'umanità, possiamo ipotizzare che ci sia stato questo equilibrio tra individualità e società, ma non è durato. La causa di questo è stato l'aumento demografico e i conseguenti movimenti migratori, che hanno rotto la comunità originaria e hanno proiettato gli uomini lontani dalla loro origine. Gli uomini così perdono la consapevolezza dei legami con gli altri. È stato un processo vizioso, egoistico, e il vizio per antonomasia è ancora una volta l'avarizia, che conduce a tutti i mali della civiltà sbagliata in cui viviamo, che ha come emblema sul piano giuridico, politico ed etico il diritto di proprietà. L'unica speranza di salvezza è passare alle condizioni di uguaglianza e solidarietà originarie, dandosi un nuovo codice e rispettandolo. È una costituzione che all'inizio dà i principi fondamentali e poi è divisa in una serie di capitoli che riproducono un mondo della società ideale: città, educazione, consumi, sanità etc. l'uguaglianza. Questo in primo luogo fa sì che sul piano elettorale esalti il suffragio universale. In secondo luogo, lo porta però alla convinzione che l'uguaglianza assoluta non si raggiungerà mai, che le disuguaglianze ereditate dalla storia rimarranno sempre, e sono enormi, ingiuste. Così la riflessione politica che Condorcet mette in essere nel periodo rivoluzionario è volta a fare progetti per ridurre fortemente tutte le disuguaglianze, di ogni genere. È convinto da liberale che non arriveremo mai al livellamento assoluto: questo però non giustifica la non ricerca della riduzione di quelle disuguaglianze eccessive ereditate dal passato. Si può sintetizzare l'azione di Condorcet nel periodo rivoluzionario facendo riferimento alle cose che scrive a proposito di specifiche disuguaglianze da ridurre o annullare. 1. La prima disuguaglianza su cui scrive molto è quella tra uomo e donna (anche per effetto di una moglie femminista). Nel periodo rivoluzionario è l'unico intellettuale di parte maschile che si spinge così avanti su questo tema: afferma l'uguaglianza politica fra uomo e donna → il diritto di voto va riconosciuto immediatamente anche alle donne. Il voto alle donne va riconosciuto perché non c'è nessunissima distinzione di carattere intellettuale tra uomo e donna: la ragione della donna è uguale a quella dell'uomo. Condorcet è anche d'accordo su un maggior riconoscimento di diritti sul piano familiare, patrimoniale, economico. 2. Anche qui scrive in modo abbastanza radicale, la rivoluzione non lo segue: non hanno nessuna giustificazione le distinzioni in ambito civile che provengono da fattori di ordine razziale. La distinzione fra bianchi e neri non ha nessuna ragione di esistere. È un tema delicato perché la Francia era una potenza coloniale. Implicitamente è contro la schiavitù; entra nella “società degli amici dei neri”, ma anche qui non otterrà niente. 3. Altra distinzione che va combattuta è la disuguaglianza tra chi ha la cultura e chi non ce l'ha. L'unico mezzo per ridurre questa disuguaglianza è la scuola. Condorcet è un grande teorico e propositore della scuola pubblica, con un progetto avveniristico: la sua scuola verrà realizzata solo 100 anni dopo, nella terza repubblica. Propone una scuola pubblica su tutti i livelli, dalla base all'università, aperta a tutti i meritevoli attraverso borse di studio, con totale uguaglianza di diritti e dei programmi tra maschi e femmine. 4. Ultima disuguaglianza da combattere è quella economica. È ancora un liberale, sostenitore della proprietà e del commercio. Condorcet non è comunista né socialista, e non lo diventerà mai, ma c'è uno spazio pubblico per correggere le disuguaglianze economiche: un sistema pensionistico pubblico per esempio, di cui Condorcet ipotizza uno studio con contributi dei lavoratori. Proponeva anche una specie di aiuto pubblico, attraverso sovvenzioni, per i giovani privi di una forza economica propria familiare che uscivano dalle scuole, per farsi una professione e proprietà. Sono squarci di tipo quasi utopico per l'epoca. Condorcet scrive anche molte cose sul piano politico: elabora progetti costituzionali basati sulla distinzione fra potere costituente e costituito. Intuisce che la costituzione è quello strumento che deve legalizzare l'azione dei poteri costituiti. Questi trovano le loro regole di funzionamento nella costituzione, espressione della volontà costituente, che rappresenta la volontà del popolo. Quindi grande importanza sulla costituzione. Condorcet afferma anche che per ragioni di democrazia la costituzione dovrebbe essere sottoposta essa stessa al voto popolare. Un aspetto interessante sul piano costituzionale è l'idea che la costituzione dev'essere modificabile: ogni 20 anni, scrive Condorcet, si deve rinnovare il testo costituzionale, perché una generazione non deve obbligare le successive per sempre. Questo è orientato al progresso: si rinnova per ampliare quello che è stato conquistato, per aumentare libertà e uguaglianza. L'ultima sua opera è scritta in condizioni particolari. Condorcet è il responsabile della convenzione del comitato della costituzione. Con il colpo di stato giacobino, Robespierre si appropria della costituzione e la modifica, accantonando i progetti di Condorcet. In questa situazione Condorcet imprudentemente prende posizione pubblicamente contro di lui, denunciandone tensioni dispotiche; così si becca un provvedimento che lo fa arrestare. Riesce a sfuggire all'arresto e vive nascosto da amici a Parigi, dove scrive l'opera utopica. Nella primavera del '94 Condorcet cerca di scappare da Parigi, ma viene arrestato e trovato morto la mattina dopo in carcere, quasi sicuramente suicida. È una fine tragica che rispetta la famosa regola che la rivoluzione tende a divorare i propri figli. Ma Condorcet è un rivoluzionario “dalle mani pulite”, personaggio chiave delle due rievocazioni della rivoluzione francese. È nascosto che scrive dunque la sua opera più conosciuta: “Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano”. Siamo tra il 1793 e il 1794; la pubblicazione sarà successiva. È uno schizzo, un progetto (scritto peraltro senza i normali strumenti di uno studioso, la biblioteca), di una storia universale, già tentato da Turgot. È una storia universale orientata dall'idea di progresso. Il progresso è quello fondamentalmente quello dello spirito umano. Spirito è traduzione del francese “esprit” che indica le qualità intellettuali dell'uomo: è la ragione (Condorcet è totalmente ateo). Lo spirito è lo strumento principe dell'uomo per progredire: è l'intelletto umano. In questo libro c'è una storia del mondo che cerca di far vedere quali sono stati i momenti fondamentali che hanno fatto progredire l'umanità. È divisa in 10 parti: 8 sul passato, la nona sul presente, la decima sul futuro. Condorcet pensa che estrapolando i dati del progresso si possa descrivere le linee generali del futuro. È un libro di storia dell'umanità visto come una lotta fra chi vuole il progresso e tra chi non lo vuole. I primi sono filosofi e scienziati, coloro che ricercano la verità e la diffondono (la diffusione del sapere è il vero momento del progresso). Il progresso è scienza ma anche tecnica. L'invenzione dell'agricoltura e della stampa sono momenti in cui scienza e tecnica si uniscono. Si sono invece battuti contro questo progresso i poteri autocratici e il clero di tutte le religioni (contro la libertà di ricerca per difendere i propri privilegi). Tutto questo processo è diventato anche grande progresso politico: momento fondamentale è la rivoluzione francese. Condorcet avrebbe voluto mettere il 1792 come Anno Zero. Grande esaltazione della rivoluzione come momento fondamentale del progresso anche politico. Il futuro è un immagine “radiosa” (sole dell'avvenire), che possiamo estrapolare intellettuale dal progresso vissuto finora. Ci sono tre grandi motivi che identificano questo progresso come sole: due di questi motivi hanno a che vedere con l'uguaglianza. Nel futuro ci sarà: 1. la totale uguaglianza fra le nazioni; 2. una uguaglianza non assoluta ma maggiore di ora per quanto riguarda gli individui all'interno di ciascuna nazione. Ci sarà una forte correzione delle disuguaglianze fra gli individui; 3. il futuro sarà segnato dal perfezionamento della specie umana → C'è un primo nucleo di dottrina evoluzionista. Sugli scritti scientifici di Condorcet ha riflettuto molto Comte. Progredendo su ogni piano, la specie umana migliorerà in ogni campo, fisico, intellettuale, economico. Questi miglioramenti si trasferiranno per via ereditaria da una generazione all'altra. Sicuramente gli uomini di domani vivranno molto più a lungo. Forse verrà il dubbio se davvero la natura abbia dato un limite alla vita o siamo destinati ad essere eterni. Il pensiero utopico fra '800 e '900 Nella prima metà dell'800 c'è un'ulteriore periodo caldo delle utopie, un consolidarsi di produzioni sia sotto forma di saggio che sotto forma letteraria. È una produzione che fa segnare al genere utopico due elementi di novità molto significativi. 1) Il primo sul piano dei contenuti: sono utopie che vengono scritte all'interno di una civiltà, quella europea, che sta diventando industriale. Oltre alla Gran Bretagna, si stanno ormai avviando all'industrializzazione molti paesi europei occidentali. Le scritture di opere utopiche nel periodo considerato risentono di questa trasformazione, iniziano ad essere utopie adatte ad un mondo industriale. L'utopia di Morelly era in fondo pensata per un mondo rurale. Nel corso dell'800 invece, quando si scrive a proposito di un mondo diverso, si tiene di conto il mondo industriale. Il che significa che in gran parte queste utopie hanno due riferimenti: - sul piano dell'organizzazione economica fanno riferimento all'industria, c'è quindi una forte presenza rispetto al passato di elementi tecnici e scientifici. Finora c'era solo Bacone, altrimenti le altre utopie pensavano ad un mondo semplice, rurale, con meno necessità di un forte apparato tecnico e scientifico; - secondo elemento legato all'attenzione del mondo industriale che appare nelle scritture dei testi utopici è, sul piano del lavoro, l'apparizione della classe operaia. È una struttura di tipo classista. Sono utopie che si spera di veder realizzate intorno al proletariato. Trasformazioni di contenuto, che si concentrano sull'attenzione dell'industria, sugli aspetti tecnico scientifici, sul sentimento di riscatto del proletariato. 2) Altra innovazione, più esterna alla scrittura, è il fatto che dall'inizio dell'800 in avanti, attorno agli scrittori di utopie si iniziano a raccogliere delle scuole, dei gruppi, dei discepoli, dei continuatori, qualcuno anche che aspira a realizzarle. Si iniziano a creare movimenti attorno alle utopie. Si formano anche dei partiti politici, prima di tipo rivoluzionario poi riformista. L'utopia diventa non più soltanto produzione di carattere intellettuale ma anche modo di fare politica con diversi mezzi. Tutto questo si incarna soprattutto nell'800 nelle utopie di carattere socialista. Si potrebbe dividere i socialisti utopisti europei in due grandi categorie: • c'è chi pensa in un mondo da trasformare dall'alto, dallo stato (socialismo di stato), che è idea propria di Saint Simon o Cabet (1840 – viaggio in Icaria, dove descrive un comunismo industriale di stato). • C'è chi invece pensa alla rifondazione del mondo partendo dal basso: è il filone associazionistico. Tra i grandi utopisti del secolo, è la linea di Fourier (falansterio). Ci sono poi tutte le combinazioni intermedie di questi due elementi, per esempio Louis Blanc. Accanto a queste utopie di tipo socialista, ci sono poi alcuni sogni di carattere utopico che non hanno propriamente carattere socialista. Non ci sono grandi utopie di segno liberale (Condorcet è una “mosca rara”). Si possono ricordare invece tutta una serie di filoni che appartengono in senso lato al mondo positivista scientista, che giustifica da metà 800 in avanti una produzione utopica che non è di segno socialista (ma anzi, è una impostazione di tipo elitario). Auguste Comte: la società positiva di Comte assomiglia molto a una società ideale, lo stesso Comte usa la parola utopia per indicare il proprio modello di società. Egli dice “la mia è una utopia convenientemente interpretata”. La società positiva di Comte non esiste, ma è una società ipotizzata, e lo è con certi criteri (armonia, pace etc) che fa sì che anch'essa sia una costruzione apparentabile con le produzioni utopiche. È da Comte e dal positivismo che si sviluppa un'altra stagione utopica nel passaggio fra 8 e '900. È un altro periodo caldo. Ma prima, nella seconda metà dell'800, come si inquadrano marxismo e anarchismo? Il pensiero di Marx si ancorava a un'indagine scientifica della realtà: non entra nei particolari della società comunista. A cavallo fra 8 e '900 c'è un altro marxista di primo piano che scrive un'opera che doveva concludersi con la descrizione del comunismo: è “Stato e rivoluzione” di Lenin (1917), testo in cui il tema della rivoluzione è strettamente connesso a un progetto di società futura. Lenin inizia a raccontare come sarà la vita degli uomini nel comunismo, sarà un paradiso in terra, salvo che poi il testo rimane incompiuto per lo scoppiare della rivoluzione. Possibile lettura anche di parte del marxismo apparentabile all'utopismo. Ancor più apparentabile all'utopismo è l'anarchismo: l'idea che l'umanità si possa autogovernare senza alcuna forma di costrizione. Ulteriore stagione di produzione utopica si situa fra fine '800 e primo '900. C'è ancora in questo periodo qualche titolo importante di continuazione con il socialismo utopistico ottocentesco. Non solo il testo di Lenin, ma anche un romanzo di un grande scrittore francese, Emile Zola, del 1901: “Lavoro”. Questo è il tipico romanzo utopico che descrive una società ideale che combina in forma mista elementi fourieristi e elementi saint simoniani. C'è un falansterio retto da un ingegnere di sentimenti saint simoniani, quasi a sottolineare che dei due grandi maestri bisogna unire le forze. Nell'ambito della rivoluzione russa, va ricordato un letterato, Majakovskij, il quale scrive un'opera teatrale nel 1918, che si intitolava “Mistero buffo”. È un opera teatrale che racconta di operai che se ne vanno via dall'Europa occidentale attraverso un razzo (fantascienza e futurismo), e calano su una società ideale in cui gli operai non sono sfruttati dai capitalisti ma vivono sotto gestione operaia della produzione. È un mondo che coltiva più l'armonia che non la produzione. In questa fase c'è una grande fiducia nel comunismo, ma poi sarà uno dei tanti intellettuali delusi dal bolscevismo. La produzione più interessante, più nuova, più insistita del periodo è però quella che proviene dell'impianto positivista. Sono descritte società elitarie in cui governano i migliori. C'è un impianto di carattere elitista con una forte presenza di carattere scientifico, e in gran parte o totalmente sono ucronie, cioè proiezioni nel futuro dell'ansia di innovazione che questi autori esprimono nei loro sogni. Fra questi autori ci sono: Gabriel Tarde, è un magistrato che si interessa di questioni sociologiche (soprattutto l'aspetto della psicologia delle masse), che scrive nel 1896 un'opera “Frammento di storia futura”. In questo romanzo si raffigura che nel futuro avviene una catastrofe di tipo cosmico: il sole non manda più il suo calore verso la terra. Avviene quindi una glaciazione in cui la stragrande maggioranza degli uomini muore. Alcuni hanno
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