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STORIA DEL TEATRO, BROCKETT (RIASSUNTO FINO AL CAPITOLO XI), Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Storia del teatro, esame triennale riassunti Di Oscar G. Brockett Prof, Sonia Bellavia capitoli selezionati per esame triennale Lettere Moderne, Sapienza, Teatro e Spettacolo

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
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Scarica STORIA DEL TEATRO, BROCKETT (RIASSUNTO FINO AL CAPITOLO XI) e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! RIASSUNTO STORIA DEL TEATRO Di Oscar G. Brockett Capitolo I. LE ORIGINI DEL TEATRO E’ necessario operare una prima distinzione tra il teatro come fenomeno culturale specializzato (o teatro in senso stretto) e la presenza di elementi teatrali nelle varie forme dell’attività umana. Per trattare coerentemente di elementi generici di teatralità bisogna prendere in considerazione il teatro come istituzione specializzata a partire dalla sua origine. Teorie, ipotesi e supposizioni sono le basi per riconoscere le prime attività riconosciute come teatro: delle molte teorie avanzate nessuna è verificabile all’effettivo. Le teorie antropologiche hanno attraversato tre fasi principali: la prima si colloca tra il 1875 e il 1915, James Frazer ed i suoi seguaci sostennero che le culture percorrono i medesimi stati evolutivi, e quindi che le società primitive fossero attendibili ed utili alla ricostruzione dell’origine del teatro. La seconda ipotesi (o ipotesi avanzata) guardava all’impossibilità del primitivo di comprendere i fenomeni naturali, ritendendole di conseguenza soprannaturali e magiche. Successivamente intuisce l’esistenza di un rapporto causa-effetto tra gli espedienti, perciò quest’ultimi vengono ripetuti in una sorta di rituale. Il mito, normalmente si sviluppa insieme al rito, come spiegazione del cerimoniale. Quando le forze soprannaturali del rito vengono impersonate da “attori” nel corso della celebrazione, avviene il passaggio chiave per la nascita del teatro. Appena viene raggiungo un grado maggiore di cultura il teatro tende a diventare un’attività specializzata. Intorno al 1915 un’altra scuola di antropologi, guidata da Malinovski, rifiutò l’approccio deduttivo di Frazer. Questi antropologi vennero definiti “funzionalisti”, il loro metodo vedeva la spiegazione delle istituzioni dell’antichità in funzione solamente allo studio dei popoli primitivi. Dopo la seconda guerra modniale, con Levi-Strauss, si formò una terza scuola di pensiero: lo strutturalismo. Secondo la cui ottica il mito è un modo per classificare la realtà, quindi allo studioso interessa l’analisi del mito come indicatore del modo di pensiero. Il rito nelle società primitive può assumere diversi ruoli: può essere utilizzato come mezzo di trasmissione di tradizioni e conoscenze; ha il potere di influenzare o di dominare gli avvenimenti esterni. Una delle premesse fondamentali è che l’effetto desiderato possa essere rappresentato (ad esempio l’evocazione della primavera nell’attesa del suo ritorno). Il rito infatti è spesso utilizzato per rappresentare una potenza soprannaturale con cui la comunità crede di avere un contatto, inoltre è spesso procuratore di piacere. Joseph Campbell ha riassunto i vari miti e riti nei seguenti temi: il piacere, il dovere, il potere. La maggior parte dei riti primitivi utilizzano la danza pantomimica e l’accompagnamento musicale, anche l’uso della voce è abbastanza comune, come anche la maschera ed il costume. La netta distinzione tra teatro e rito dipende in gran parte dalla nostra percezione della sua funzione, dall’altra parte si può far risalire il teatro direttamente al rito con l’unica e sostanziale differenza che i destinatari del rito erano le potenze sovrannaturali, le forme rimanevano strettamente collegate al sacro e alla religione. Secondo altre teorie sull’origine del teatro l’attività teatrale si fa discendere direttamente dal racconto orale, quindi l’elaborazione del racconto di un evento che prende adito dall’istinto narrativo. Una seconda teoria collega il teatro alla danza: l’evoluzione del movimento ritmico o ginnico; ma ovviamente è necessario cecare ulteriori risposte. Un ulteriore contributo distingue le società statiche da quelle dinamiche ovvero società che si preoccupano di mantenere le condizioni esistenti, al contrario delle società che si occupano di migliorarsi e di progredire. Ci sono però anche esempi di società avanzate (Egitto o Giappone) che mostrano un rallentamento nel loro sviluppo. Campbell chiarifica molto bene questo fenomeno: i miti occidentali si fondano sul rapporto tra uomini e dei, l’attenzione si sposta sull’abilità dell’individuo in quanto capace di controllare il proprio destino (atteggiamento umanistico) o completamente assoggettato rispetto agli dei (visione religiosa del vicino Oriente antico, gli egiziani e i popoli del medioevo). Al contrario la corrente dominante del pensiero orientale è un’armonia totale tra umano e divino, tale da scoraggiare qualsiasi tentativo di definizione (cambiamento e progresso sono mere illusioni). Intorno all’8000 a.C. sono stati rinvenuti in Mesopotamia dei reperti che dimostrano la diffusione dei riti di fertilità, i geroglifici (la maggior parte egizi) sono testimonianze fondamentali del ciclo stagionale e della vita. I testi delle Piramidi, secondo alcuni, testimonierebbero l’esistenza di riti eseguiti in forma drammatica ma non esistono prove certe che dimostrino che siano stati concepiti per la rappresentazione. Alcuni dei riti fondamentali erano il Dramma Memfitico (ripetuto ogni anno) che racconta la morte e la resurrezione di Osiride e il Dramma Sacro di Abido che rievocava la morte e la resurrezione di Osiride. Oltre ai riti egiziani esistono testimonianze di riti smeri, babilonesi, ittiti che datano dal 2500 a.C. in poi; alcuni storici hanno ipotizzato una forte influenza del Vicino Oriente sullo sviluppo del teatro greco (analogie di Erodoto). E’ quindi in Grecia che bisogna cercare le origini del teatro e dell’arte drammatica. Capitolo II. IL TEATRO GRECO Le nozioni fondamentali sull’origine del teatro sono contenute nella Poetica di Aristotele, dove si afferma che la tragedia (letteralmente “canto del capro”) e la commedia (“canto del villaggio”) fossero inizialmente nate dai cantori del ditirambo. Il ditirambo era un inno in onore di Dioniso, che secondo la tradizione fu trasformato in composizione letteraria da Arione. Gerald Else ha però avanzato un’ipotesi che vede il dramma come una creazione consapevole, secondo questa teoria alle feste religiose partecipavano cantori che recitavano passi tratti da poemi epici. Il culto di Dioniso incontrò una certa resistenza a causa della sfrenatezza che sembrava suscitare. Secondo il mito il dio era figlio di Zeus e Semele, allevato da satiri e metà corpo caprino, dio della fertilità e del vino. In suo onore in Attica si tenevano quattro feste annuali: le Dionisie rurali (o Piccole dionisie, in dicembre), le Lenee (gennaio), le Antesterie (tra febbraio e marzo) e le Dionisie cittadine (o Grandi dionisie, dall’inizio della Primavera). Durante le Grandi Dionisie le tribù dell’Attica si sfidavano in tre esecuzioni tragiche seguite da un dramma satiresco, gli elementi lirici e corali erano predominanti, i personaggi probabilmente erano interpretati da un unico attore. I più grandi drammaturghi del quinto secolo furono Eschilo, Sofocle ed Euripide. La struttura di un tragedia iniziava generalmente da un prologos (informazioni prima dell’apertura del dramma), seguito dal parodos (entrata del coro) che possono avere una lunghezza che varia dai venti ai duecento versi, poi vi sono una serie di epidsodi separati dai canti corali (o stasima), l’exodos chiude la tragedia. Delle tragedie di Eschilo si conoscono circa ottanta titoli ma me sono sopravvissute solo sette: I Persiani, I sette contro Tebe, L’Orestea (che comprende Le Coefore, le Eumenidi e l’Agamennone), Le Supplici ed Il Prometeo incatenato. La maggiore innovazione di Eschilo è l’introduzione del secondo attore, i personaggi hanno dimensioni eroiche, molto distanti dalle persone della vita quotidiana. Eschilo è il più teatrale, utilizza con frequenza elementi visivi e insolite danze corali e costumi fastosi. Sofocle ha scritto più di centoventi tragedie, ma ne sono sopravvissute solo sette: Aiace, Antigone, Edipo re, Elettra, Le Trachinie, Filottete, Edipo a Colono ed una parte dei Segugi (dramma satiresco). Le importanti innovazioni sono: l’aggiunta del terzo attore e l’aumento dei coreuti da dodici a quindici. Da una maggiore importanza alla caratterizzazione degli attori, complessi psicologicamente e ben riusciti, l’impatto emotivo è dato dalla forza dell’azione drammatica. Euripide scrisse ottanta tragedie ma ne sono sopravvissute diciassette: Alcesti, Medea, Ippolito, Gli Eraclidi, Andromaca, Ecuba, Eracle, Le Supplici, Ione, Le Troiane, Elettra, Ifigenia in Tauride, Le Fenicie, Oreste, Le Baccanti, Ifigenia in Aulide ed Il Cicolpe (dramma satiresco). Euripide utilizzava molto argomenti ritenuti inadatti per la rappresentazione di una tragedia, l’intento era quello di esplorare la psicologia più profonda dell’animo umano. Euripide critica spesso la giustizia degli dei, insinua che sia il caso a dominare il mondo e sostiene che gli uomini si preoccupino più dei valori morali che degli dei. Alcuni dei soggetti delle sue di Menandro, a Roma la sua fama superò quella di tutti gli altri autori greci. Intorno al 350 a.C sia il coro sia i danzatori iniziarono ad essere diretti da professionisti, gli attori iniziarono a scegliere la commedia più adatta e ad avere un tale predominio dell’opera da modificarla per esibire al meglio l proprie doti. E’ in questo periodo che Aristotele scrisse la Poetica (334 a.C). All’età classica segue il periodo ellenistico, con il regno di Alessandro Magno. Questo dispose molte feste per festeggiare le vittorie militari, nelle quali vennero allestite le rappresentazioni teatrali più esclusive. La creazione di una corporazione teatrale (Artisti di Dioniso) contava tra di loro poeti, attori, coristi, musicisti, costumisti, tutte le persone necessarie per la messa in scena di opere teatrali. Ogni corporazione era un ramo che confluiva in un centro geografico di importanza maggiore: Atene, Corinto, Teo ed Alessandria. Dopo la morte di Alessandro vennero stipulati dei patti che garantivano una sicurezza internazionale alle corporazioni. Tra il quarto ed il primo secolo anche la struttura teatrale subì sostanziali trasformazioni: lungo palcoscenico sopraelevato collegato con delle scale al livello dell’orchestra, il lato frontale era sostenuto da un proskenion mentre l’episkenion era la parte posteriore del palco. Anche le pratiche sceniche non appaiono chiare […]. I thyromata furono creati per un maggior illusionismo nell’effetto scenografico (alti tre metri e larghi tre metri), come proscenio in miniatura per singole scene. Giulio Polluce ha lasciato un elenco di 28 maschere fondamentali, che coprivano tutte le categorie di personaggi tragici: sei di anziani, otto di uomini, otto di donne e sei di servi. L’abito tipico era l’exomis (tunica semplice che differenziava i personaggi dal colore indossato). Enumera inoltre 44 maschere dai tratti realistici o caricaturali. La vita teatrale risenti molto della conquista romana nel secondo secolo. Con il termine “mimo” vengono ad identificarsi diversi tipi di spettacoli teatrali di carattere popolare, consisteva essenzialmente di brevi commediole, danze mimiche, imitazioni di animali, giochi di destrezza (..). sembra aver avuto origine a Megara, gli attori non furono mai ammessi nella corporazione degli Artisti. Nell’Italia Meridionale fiorì la farsa fliacica, gli attori imbottivano il seno ed il sedere indossando un chitone molto corto. Capitolo III. IL TEATRO A ROMA E NELL’IMPERO BIZANTINO L’attività teatrale a Roma iniziò sotto l’influenza etrusca, secondo lo storico Tito Livio le prime rappresentazioni si sarebbero svolte nel 364. Utilizzò lo stesso termine latino per definire gli attori: histriones. L’origine etrusca del teatro romano emergerebbe anche da altre fonti, da una città (Fescennium) deriverebbe il nome di una composizione dialogata in versi rozzi e osceni: il fescennio. Le prime rappresentazioni avvennero a Roma intorno al 240 a C. nel corso dei Ludi Romani, istituiti sotto Tarquinio Prisco. I Ludi Romani erano le più antiche feste ufficiali in onore di Giove, nel mese di settembre (insieme ai Ludi Florales, Ludi Plebei, Ludi Apollinares, Ludi Megalemses). E’ difficile con esattezza quantificare quanti giorni l’anno i romani dedicassero agli spettacoli teatrali, sicuramente ebbero un grande incremento dopo il 240, nel 354 d C. almeno un centinaio di giorni erano dedicati agli spettacoli teatrali. La letteratura latina viene tradizionalmente fatta risalire a Livio Andronico (240- 204 a C.), inieme a Gneo Nevio dei quali sappiamo ben poco. Tra gli autori successivi i più importanti sono Plauto e Terenzio, Plauto godette di molta popolarità, dopo la sua morte gli furono attribuite 130 commedie. Molte di queste vennero composte tra il 205 e il 184 a C., ma è impossibile stabilire il grado di originalità delle opere (fu ammirato particolarmente per i suoi dialoghi in latino e la varietà metrica dei suoi versi. Terenzio era uno schiavo cartaginese educato a Roma, strettamente legato all’ambiente culturale che gravitava intorno agli Scipioni (fu accusato di essere un semplice prestanome). Il valore delle sue commedie è dato dalla capacità di esaltazione del personaggio, nella costruzione delle situazioni più opportune per rivelarne l’indole e provocare il contrasto con gli altri caratteri della storia. Ambientazione, personaggi e costumi descrivevano ambienti tipicamente romani, esistevano due tipologie di commedie: fabula palliata (dal pallio, mantello greco) e fabula togata (dalla toga romana). Dopo il 100 a C. la commedia cessò di essere un genere vitale, il coro fu eliminato e le commedie non vennero più suddivise in episodi e circa i due terzi delle battute avevano sottofondo musicale. La tragedia romana oggi conosce solamente tre nomi di autori attivi tra il 200 e il 75 aC.: Quinto Ennio, Marco Pacuvio e Lucio Accio, la maggior parte delle tragedie erano adattamenti delle opere greche. Questo tipo di tragedie erano nominate fabula crepidata mentre altre , che svolgevano argomenti tratti dalla vita quotidiana romana, erano nominate fabula praetexta. Le uniche tragedie rimaste risalgono al periodo di attività di Seneca (4 aC.- 65 d C.), nato in Spagna ed educato a Roma, diventò una delle personalità più nfluenti quando Nerone, suo discepolo, fu incoronato imperatore nel 54 dC. Morì suicida, per volere di Nerone, nel 65 d C. Ci sono rimaste nove tragedie di Seneca: Ercole Impazzito, Le Troiane, Le Fenicie, Medea, Fedra, Edipo, Agamennone, Tieste ed Ercole sull’Eta. Queste sono divise in cinque episodi, separate da intermezzi corali, il linguaggio era erudito e costantemente declamatorio, le scene erano violente e sanguinose (nell’Edipo Giocasta si squarcia il ventre, mentre in Tieste i corpi dei figli sono serviti durante un banchetto). La costruzione dei personaggi è caratterizzata da un’unica passione ossessiva (spesso la vendetta), che li conduce alla distruzione finale. Tra le forme drammatiche minori di questo periodo ricordiamo l’atellana e il mimo. A Pomponio e Novo si attribuiscono le prime forme della farsa atellana, dove caratteristiche erano le scene campestri, il linguaggio rozzo e personaggi tratti dal mondo agreste. Venne per questo associata al dramma satiresco. Apparivano quattro personaggi fissi: Papus (vecchio stupido), Maccus (scemo picchiato), Dossenus (gobbo furbo) e Bucco (sguaiato e mangione). Raggiunge il suo massimo di popolarità nel primo secolo. Il primo riferimento al mimo risale al 211 a.C., era associato ai ludi che celebravano la fecondità ed erano caratterizzati dal loro fare licenzioso. Sotto l’impero sembrò tornare alla sua fama originaria, non letteraria, tanto da imporsi su tutte le altre forme di rappresentazione. Poteva trattare di qualunque argomento ma per lo più prendeva spunto dalla vita quotidiana da un punto di visa comico-satirico. Era osteggiato principalmente dai cristini, data la forte testimonianza degli eccessi e le depravazioni, presentavano anche una vasta gamma di numeri che comprendevano trapezisti e funamboli. Era molto in voga, sotto l’impero, anche il genere pantomimo: per certi aspetti ripercorreva il balletto moderno, perché tramite la danza raccontava una storia (a Roma si trattava di un assolo di danza). Forse venne introdotto a Roma nel 22 dC. Talvolta poteva essere un genere comico. Tra le altre forme di intrattenimento la più antica e popolare era la corsa dei carri introdotta da Tarquinio Prisco, si crearono addirittura quattro fondamentali fazioni. Molti altri intrattenimenti erano offerte nei circhi e comprendevano le corse con i cavalli e battaglie simulate di cavalleria. I combattimenti dei gladiatori vennero introdotti a Roma intorno al 264 a C. come giochi funebri privati, non entrarono a far parte delle feste ufficiali prima del 105 aC. Con il passare del tempo i combattimenti si erano diffusi a tal punto da essere accompagnati da musiche intonate alle situazioni, provvisti di costumi adeguati. Le venationes, o combattimenti con animali feroci, erano strettamente collegate alle esibizioni dei gladiatori, si fece particolarmente frequente dopo l’inaugurazione del Colosseo nell’80 a.C. Ma l’intrattenimento più particolare era costituito dalle naumachie (o battaglie navali), per questo tipo di spettacolo si preferì allargare gli anfiteatri. Occasionalmente venivano allestite imitazioni in scala, per permettere battaglie navali di piccole proporzioni, ma lo spazio nel teatro era troppo piccolo e poco attrezzato. La responsabilità delle feste era affidata ai magistrati, esistevano testimonianze che accennano a claques organizzate ed a tentativi di corruzione del pubblico e dei funzionari per guadagnare illegalmente i premi. L’ingresso alle rappresentazioni finanziate era sempre libero e gli spettatori appartenevano ad ogni classe sociale, sono sopravvissute alcune tessere d’ingresso del periodo imperiale ma non si può stabilire se fossero destinati a pochi privilegiati. I teatri potevano contenere migliaia di persone, la prasi comune prevedeva che tutti gli spettacoli comuni fossero rappresentati nello stesso teatro. Il primo teatro permanente a Roma venne costruito intorno al 55 a C., alla sommità delle gradinate del primo teatro si trovava il tempio di Venere. La tarda costruzione del primo teatro si pensasse fosse dovuto alle molte correnti contrarie, che vedevano le rappresentazioni come fonti di eccessive spese e corruzione. Si è evidenziata l’ipotesi di versioni semplificate di teatri in pietra, si riposta di teatri decorati con particolari dipinti architettonici o palcoscenici di marmo, vetro e legno decorato a tre piani. Gli edifici avevano caratteristiche molto simili tra loro, normalmente erano costruiti su una superfice piana, i corridoi e le scale erano costruiti intorno e sotto lo spazio designato agli spettatori per consentire un flusso ordinato del pubblico. L’area riservata agli spettatori (cavea, chiamati “vomitoria” perché vomitavano il pubblico) era divisa in settori ed i corridoi d’accesso erano coperti. L’orchestra, ridotta ad un semicerchio, veniva utilizzata solo per l’entrata di personaggi importnti o durante i combattimenti. Il palcoscenico (o pulpitum) era alto circa un metro e coincideva con il diametro della circonferenza dell’orchestra, la grandezza del palco era proporzionata alla grandezza del teatro e nella parte posteriore si aprivano da tre a cinque porte. La scena frontale era una facciata decorata con colonne, nicchie e statue. Il palcoscenico era coperto da una tettoia, probabilmente per migliorare l’acustica. Fu messo a punto un sistema di raffreddamento, grazie a condotte e pozzi d’acqua fredda per proteggere il pubblico nelle ore più calde. Il Circo Massimo venne costruito intorno al 600 a C., in legno, poteva contenere circa 60.000 persone, la sua principale caratteristica era la pista, che permetteva fino a dodici carri di gareggiare. Il primo anfiteatro fu costruito nel 46 a C., nell’80 venne portato a termine l’anfiteatro Flavio (Colosseo), in origine a tre piani. Lo sfondo scenico era generalmente la scaenae frons, uno sfondo fisso che generalmente rappresentava una serie di case che si affacciavano sulla strada. Alcuni problemi relativi al fondo scenico vedevano un personaggio che ascoltava sulla scena, non visto, il dialogo degli altri. Qualche indicazione può essere suggerita dall’impiego dell’auleum e del siparium: il primo veniva sollevato dal basso per impedire la visione del palcoscenico, veniva poi lasciato ricadere per rivelare una nuova scena, il secondo nascondeva la parte retrostante alla scena. L’impiego di un gran numero di comparse di massa venne introdotto intorno al primo secolo, nel corso di una rappresentazione sfilarono persino seicento muli. Tecniche particolarmente sofisticate nell’uso delle macchine si svilupparono intorno al primo secolo, ad esempio un sistema di montacarichi permetteva di trasferire gli animali feroci dagli spazi sotterranei direttamente sull’arena. Quando le macchine dovevano essere utilizzate dal deposito venivano direttamente spostate nei sotterranei dell’arena, circa sette metri sotto terra. A volte i sotterranei fungevano anche come mezzo per l’apparizione di un attore, ad esempio Orfeo che sale dagli inferi. La scenografia tridimensionale era spesso fondamentale nelle rappresentazioni. Il termine histriones iniziò ad essere utilizzato per ogni tipo di attore, alcuni storici hanno ipotizato che tutti gli attori fossero schiavi del direttore della compagnia. Molti attori facevano parte del collegium poetarum, un’associazione fondata nel 207 a C. Le opere venivano rappresentate da una compagnia di massimo cinque attori massimo sei, acquistò un fascino sempre maggiore l’attore protagonista (le scene risaltavano spesso il “divo”). Lo stile della recitazione variava a seconda della forma drammatica, nella tragedia era lenta e declamatoria, nella commedia era più rapida e colloquiale. Molti ricevevano una lunga preparazione tecnica, in cui veniva curata nei dettagli la gestualità, i gesti ed i movimenti dovevano essere considerevolmente enfatizzati (spesso presi a modello per l’oratoria). Per gli attori dei mimi, non indossando maschere, l’espressione era di fondamentale importanza, deformità fisiche o bellezza estrema erano spesso caratteristiche di selezione. Nel pantonimio tutta l’attenzione era verso il danzatore solista, noti per la loro bellezza e le qualità atletiche del fisico. La maschera a Roma venne introdotta nel primo secolo da Roscio, che voleva nascondere il proprio strabismo. Erano fatte di tela ed insieme alla capigliatura formavano una completa copertura della testa, assomigliavano a quelle del teatro ellenistico. Quintiliano accenna a delle maschere a doppia faccia, che su un lato avevano una espressione allegra e dall’altro triste e seria (un primo mutamento di stato d’animo). I costumi mutavano a seconda del genere: la commedia, seguendo le convenzioni, utilizzava l’abito ateniese; anche la tragedia si basava su pratiche ellenistiche. I danzatori del pantomimo indossavano una lunga tunica ed un mantello che permettevano movimenti ampi e liberi. Gli attori utilizzavano come accessorio che li distingueva il ricinium, una sorta di fazzoletto da testa, altri utilizzavano una tunica fatta da pezze di vari colori, ed avevano la testa rasata. Della musica romana sappiamo relativamente poco, sembra che l’accompagnamento musicale fosse opera di un flautista. Alcuni documenti parlavano di un particolare tipo di musica per l’entrata di ogni personaggio, cosi che il pubblico fosse in grado di capire chi stava per entrare in scena. La musica era eseguita con un flauto a due canne, ognuno lungo circa 50 cm. L’accompagnamento musicale del pantomimo era sicuramente più complessa, richiedeva un’orchestra di flauti, pifferi e strumenti a percussione. rappresentazioni erano in larga parte affidate alle confraternite, che presentavano i drammi come atti di devozione. Nell’Inghilterra settentrionale le responsabilità erano divise tra il consiglio comunale e le corporazioni di arte e mestieri. Talvolta tutte le rappresentazioni venivano eseguite su un palcoscenico fisso, in questi casi le organizzazioni erano nelle mani di una singola autorità, tuttavia essendo centralizzata comportava spesso complicati accordi finanziari. Trattare con un cast che talvolta contava più di trecento attori, per poi programmare effetti scenografici erano tutte operazioni che non potevano essere affidate al caso. Il direttore di solito scritturava gli attori, organizzava e seguiva le prove in ogni fase della produzione (un noto esempio di direttore particolarmente dotato fu Jean Bouchet). I compiti principali erano: sorvegliare la costruzione del palco, allestimento di scene e macchinari, dipingere scene e costruire sedili, controllare la qualità delle merci consegnate, scegliere i riscossori del prezzo all’ingresso, accogliere il pubblico e fare i riassunti delle scene. L’organizzazione produttiva Il numero degli attori necessari era variabile, ogni corporazione aveva bisogno di pochi attori ma l’intero ciclo prevedeva molti ruoli da interpretare. E’ raro stabilire con certezza i criteri di selezione, a volte decretato dai più bravi a corte, mentre altre volte decretato dallo stesso sindaco accompagnato da tre collaboratori o persino dal popolo stesso. Esistevano molti mezzi per assicurarsi la disciplina degli attori: giuramento di fronte ad un notaio o la partecipazione alle prove nei giorni stabiliti. Non si sa bene se le prove fossero in costume, ogni episodio veniva allestito separatamente e per le lunghe rappresentazioni gli attori si riunivano in gruppo per poi partecipare in processione sul luogo della messa in scena (a Lucerna vennero allestiti dei complessi sistemi per permettere agli attori di allontanarsi senza essere visti). La qualità della recitazione variava notevolmente, i personaggi erano per lo più tipi convenzionali che compivano azioni e manifestavano chiarezza. Gli sforzi per rendere efficacemente realistica l’azione potevano mettere a repentaglio la vita degli attori (a Metz il costume di Satana prese fuoco, gli attori che ne presero parte riportarono gravi ustioni e ferite). Gli abitini erano principalmente medievali, Dio era vestito come un sacerdote o un papa e gli angeli indossavano delle tuniche ecclesiastiche mentre i diavoli, che eccitavano l’immaginazione, potevano essere animali rapaci o mostri con teste ferine. In molti casi gli attori provvedevano al loro costume, speso andando incontro a spese onerose (soprattutto se dovevano immedesimarsi in personaggi di ceto abbiente o ecclesiastico). I palcoscenici potevano essere fissi o mobili, ogni dramma veniva montato su un carro e presentato nel giorno della rappresentazione (pageants). Il pageant era formato da una grossa impalcatura su sei ruote, che comprendeva un luogo superiore (dove gli attori si esibivano) ed uno inferiore (dove gli attori si vestivano). Talvolta i palchi erano eretti nei cimiteri adiacenti alle chiese, oppure nei cortili ad abitazione privata. Negli anfiteatri il pubblico poteva guardare lo spettacolo da tutte le angolazioni, il palco più comune era probabilmente costituito da una lunga piattaforma rettangolare montata a ridosso di un palazzo o davanti ad una schiera di case. Lo spazio dell’azione teatrale era costituito da due elementi fondamentali: mansion e platea. Il primo si identificava come il luogo di una scena, che si poteva espandere in base alla necessità, un intero ciclo di rappresentazioni poteva comprendere anche più di cento mansions. Le mansions venivano costruite rispettando le esigenze sceniche, inoltre la stessa mansions poteva assumere aspetti differenti con delle minime varianti, per questo è difficile capire quante mansions fossero necessarie per rappresentare i luoghi descritti dal testo. Di tutte le mansions il paradiso era quello più difficile da ricostruire: talvolta comprendeva un complicato congegno di sfere girevoli e l’intero complesso abbellito e illuminato da torce nascoste, in alcuni casi poteva aprirsi o chiudersi al momento necessario. L’inferno era spesso una cittadella fortificata, in cui Cristo sfonda le porte infernali per liberarne le anime, era suddiviso in quattro sezioni: il limbo dei profeti, il limbo dei bambini, il purgatorio e la fossa dell’inferno (dai quali provenivano fuoco, fiamme, fumo e rumori terrificanti. Altri effetti scenici dipendevano dal tipo di congegno utilizzato, quali botole o meccanismi nascosti, fantocci che venivano sostituiti agli attori per le rappresentazioni di decapitazioni o esecuzioni capitali. La rappresentazione dei drammi ciclici non avveniva tutti gli anni, per questo motivo la popolazione era invitata tramite dei messaggeri a cavallo che girava per la città suonando una tromba (durante i giorni delle rappresentazioni era proibito lavorare). La durata era variabile, in alcuni casi iniziava alle sette del mattino, prosguiva fino alle undici e dopo un’ora di intervallo continuava fino alle sei del pomeriggio. Non era possibile prenotare i posti, solamente le autorità locali ed il clero disponevano di posti riservati. Di notte alcune sentinelle venivano poste a guardia del paloscenico. Di un vero e proprio dramma di carattere non religioso si può parlare intorno al tredicesimo secolo. Il più antico è il Jeau de la feuillè di Adam de la Halle, una satira dei personaggi della città nella quale sopraggiungono fate e regine della festa ce distribuiscono doni o castighi. Estremamente popolare fu il genere della farsa, i cui argomenti sono le infedeltà coniugali, le liti, i pettegolezzi e l’ipocrisia. In Francia diventarono popolari altri due generi quali le sotties (sots che indossavano il tradizionale costume da buffoni) e i sermons joyeux (sermone comico), probabilmente entrambi nati come tentativo della chiesa di reprimere la festa dei folli. , La moralità è il genere teatrale profano più vicino al dramma sacro, sfortunatamente non è sopravvissuto nessun dramma di questo tipo. All’inizio interpreti delle moralità furono probabilmente dei dilettanti, l’importanza era collegata all’elemento allegorico e si rifletteva nella ricchezza dei costumi. L’interlude è un genere fiorito in Inghilterra tra quattordicesimo e quindicesimo secolo, era la recitazione di brevi scene teatrali nel corso o nelle pause di una festa. Il suo sviluppo è associato alla diffusione della figura dell’attore professionista, crebbe molta richiesta per la prestazione dei giullari, e questi cominciarono a stabilirsi nelle città. In Inghilterra sia Riccardo III sia Enrico VI mantennero una propria compagnia di attori. Il luogo in cui gli interludes venivano messi in scena era la sala dei banchetti di un palazzo signorile, allestite secondo uno schema fisso. Lo sfondo scenico era il muro che separava la sala dalla cucina, ogni porta poteva rappresentare una mansions con determinate scene allegoriche. Si sviluppò anche una seconda forma di intrattenimento, i mummings (breve scene mute, cantate o recitate), che vennero progressivamente proibiti. Nel corso del sedicesimo secolo i generi teatrali scomparvero quasi progressivamente, il motivo principale fu l’indebolimento dell’autorità della chiesa, lacerata da controversie interne che portarono il trasferimento del papa da Roma ad Avignone e di seguito la riforma protestante. In Inghilterra la rottura di Enrco VIII con la chiesa romana provocò dispute feroci che utilizzarono anche le rappresentazioni per difendere particolari dogmi religiosi. Elisabetta I proibì tutti i drammi religiosi, riuscendo quasi completamente nel suo intento. Fu soprattutto il Concilio di Trento (1545-1563) che scoraggiò tutti i tipi di rappresentazione. Capitolo V. IL TEATRO ITALIANO DALL’UMANESIMO AL SEICENTO Tra il 1200 ed il 1400 l’Italia si colloca al centro degli scambi culturali e commerciali con l’impero bizantino e con l’Islam, conoscendo un profondo rinnovamento culturale. Nell’Italia meridionale si insedia il regno angioino del papato, mentre al settentrione le città stato si trasformano in signorie. Il primo rinnovamento è nella forma drammatica che nasce dallo studio delle tragedie e delle commedie classiche. La prima tragedia nata è l’Ecerinis di Alberto Mussato, opera scritta in latino sul modello senecano, estendendosi in un’altra opera fondamentale: l’Achilles di Antonio Loschi. Da Leon Battista Alberti ed Enea Piccolomini fino a Vergerio e Petrarca si sono susseguiti nei diversi tentativi di riproduzione del dramma classico. Il ritrovamento delle opere plautine nel 1429 e l’introduzione della stampa resero possibili la diffusione dei testi classici, già nel 1486 era stata infatti allestita la rappresentazione dei Menecmi di Plauto. La prima commedia scritta in italiano fu la Cassaria di Ludovico Ariosto, che riprendeva nella trama le vicende di una coppia di innamorati, scritta e rappresentata in prosa. Dell’Ariosto ricordiamo anche I Suppositi, il Negromante, I studenti e La Lena. Completamente svincolata dai contenuti classici è la Mandragola di Machiavelli (del quale ricordiamo anche Clizia), il vecchio Nicia che costringe la moglie a concedersi al giovane Callimaco. Il primo esempio di tragedia scritta in italiano è la Sofonisba di Trissino, destinata più alla lettura che alla rappresentazione. Oltre alla tragedia ed alla commedia si sviluppò in Italia il genere del dramma pastorale, dall’imitazione del dramma satiresco (il mondo violento e licenzioso si trasformò nelle nuove opere in una società leggiadra di ninfe e pastorelli). Progenitore del dramma pastorale è l’Orfeo di Poliziano, scritto in volgare, che narra la storia di Orfeo che tenta di sottrarre la moglie Euridice al regno dell’Ade. Il vero e proprio dramma pastorale apparve solo più tardi, nella seconda metà del cinquecento, i più celebri furono l’Aminta di Tasso ed il Pastor Fido di Guarini. Accanto alla produzione colta si inserirono produzioni antiletterarie, le farse cavaiole, più rozze e popolari. L’ossequio all’autorità e l’ispirazione classica portarono al primo testo di riferimento: la Poetica di Aristotele. Valla ne curò la traduzione latina e la prima versione italiana apparve solo una cinquantina di anni dopo, per questo la prima metà del cinquecento venne condotta attraverso commenti a quest’opera. L’esigenza principale era la verosimiglianza, per cui i soggetti e gli avvenimenti ed i soggetti dovevano essere rigorosamente possibili (se non storicamente veri almeno reali). Caratteristico fu l’inserimento della figura del confidente, una seconda esigenza imponeva che il dramma impartisse un insegnamento morale: l’opera d’arte doveva cogliere i caratteri universali. La commedia doveva attingere a classi medio basse, mentre la tragedia a classi elevate, tutte le opere teatrali avevano la funzione di insegnare dilettando. Fu formulato il principio delle tre unità: spazio, tempo e luogo anche se ogni opera deve comprendere una lunga azione. Lo spettatore si trovava quindi a non credere che sulla scena fossero trascorsi lunghi periodi di tempo e di trovarsi catapultati da un posto all’altro. Anche l’azione a cinque atti divenne un presupposto necessario per tragedia e commedia. Ogni festa veniva affidata alla direzione di un’unica persona, generalmente l’architetto che curava il progetto e la realizzazione scenica. L’interpolazione di quattro intermezzi, che servivano a riempire gli intervalli tra i cinque atti, diventò ben presto una norma. Questo genere di intrattenimento diventò l’occasione per proporre vari esperimenti scenografici. L’opera lirica nacque dagli esperimenti di una accademia italiana. I membri della camerata, che studiavano la musica in rapporto con il dramma, cercarono di ricreare opere teatrali secondo il modello della tragedia greca (sbocciò come maggior forma artistica nel periodo barocco). Il primo grande compositore fu Claudio Monteverdi, il cui Orfeo ampliò il ruolo della musica strumentale, il numero di canti melodici o arie, aumentò mentre il recitativo diminuì. La nuova produzione di drammi classici fu parte stimolato dal ritrovamento del trattato di Vitruvio, ma alcuni passi sono messi in discussione perché ambigui. Dallo studio condotto si arrivò alla concezione di un palcoscenico dalla facciata continua, piatta o tridimensionale, la maggiore innovazione si verificò grazie agli approcci con la pittura prospettica (De Pittura, Alberti). L’obiettivo finale di Vitruvio era quello di fornire un modello ideale di sistemazione urbanistica, gli artisti sedotti dall’idea di una città ideale cercarono di riprodurla nelle scenografie degli spettacoli. Nei Sette libri dell’architettura di Sebastiano Serio troviamo un ampio spazio dedicato al teatro, includendo illustrazioni comiche o tragiche. Nel rinascimento le rappresentazioni teatrali erano allestite in ambienti preesistenti o nelle sale dei palazzi. La prospettiva era principalmente data dal fondale posteriore che comprendeva tre scene che pendevano verso il basso e l’interno. La prima soluzione adottata fu quella dei periaktoi: prismi triangolari che recavano una scena dipinta su ogni lato e potevano ruotare su un perno centrale. Altre soluzioni meccaniche furono l’uso delle quinte mobili e le tele dipinte che coprivano la scena precedente e mostravano quella successiva. La soluzione ultima furono le quinte angolari con quinte piatte, innovazione resa possibile dal disegno prospettico (il punto di fuga era fissato sulla parete di fondo al palco). Le due facce di ogni quinta erano trattate come lati differenti di un’unica struttura, una parallela al fronte e l’altra obliqua, rivolta verso la parete di fondo. Intorno all’inizio del XVII secolo i tre elementi fondamentali di ogni scenografia erano così le quinte laterali, i fondali scorrevoli e le “arie”, che potevano essere cambiati simultaneamente attraverso numerosi macchinari. Nel periodo in cui predominarono le quinte angolari, ogni quinta rappresentava un edificio diverso, pratica che proseguì anche con le quinte piatte. Con l’apertura dei teatri d’opera veneziani (1637) lo splendore degli allestimenti, fino ad allora esclusivo per l’ambiente cortigiano, fu accessibile al grande pubblico ed il gusto per le invenzioni scenografiche si estese anche alle forme drammatiche. Le prime produzioni teatrali furono allestite all’aperto, nei cortili o ne giardini, di seguito i luoghi tipici divennero i salotti ed ambienti simili. La costruzione ideata da Palladio fu il piu antico esempio sopravvissuto di teatro: il Teatro Olimpico. La facciata architettonica delle pareti è riccamente adornata da colonne, nicchie, statue e bassorilievi; nella facciata si aprono due porte ed un arco centrale, mentre altre due porte sono sulle pareti laterali. Essendo uno dei pochi teatri rinascimentali sopravvissuti costituisce una testimonianza fondamentale. Generalmente il prototipo di palcoscenico era considerato quello del Teatro Farnese di Parma, in quanto prima struttura a disporre di un arco di proscenio fisso. Le origini dell’arco di proscenio sono oscure, nel teatro medievale il paradiso, l’inferno e la terra venivano rappresentati fingevano protezioni nobiliari per rappresentare drammi di parte ed accendere cosi gli animi e le controversie. E’ per questo che nel 1559 la regina decise di proibire la presentazione di testi teatrali senza la licenza, interdì i drammi a sfondo politico o religioso. Le norme continuarono ad essere più restrittive, perché poco efficaci, cosi che alcuni drammi vennero sistematicamente soppressi. Queste norme vennero ufficialmente specificate con un decreto promulgato da Sir Edmund Tinley, master of Revels fino al 1610. La compagnia che riceveva la licenza del funzionario aveva il diritto legale di rappresentare in tutto il paese. Gli Stuart, che successero ai Tudor, ribadirono la loro autorità sul teatro e le licenze vennero convalidate anche per esibirsi dentro Londra (fino al 1608 i teatri erano situati fuori ai confini cittadini). I proventi annuali erano pari a 4.000 sterline, dalle sterline per la licenza a quelli per ogni testo presentato, una cifra ingente per l’epoca. Le compagnie che si contesero la supremazia furono diverse, ma ricordiamo i Lord Admiral’s Men ed i Lord Chamberlain’s Men (che presero il nome King’s Men quando salì al trono Giacomo I). Ogni attore azionista di una compagnia reale riceveva un compenso annuale e un’indennità per vitto e alloggio, per compensare al mantenimento della compagnia gli attori partecipavano a rappresentazioni private. In Inghilterra non si scisse l’idea di teatro di corte e teatro pubblico, spesso le compagnie rappresentavano gli stessi drammi il pomeriggio per il pubblico e la sera per le corti. Non tutti gli attori erano azionisti e non tutti possedevano quote, ma questo metodo permetteva di assicurarsi i migliori attori, che iniziavano ad assumere una certa importanza. Gli azionisti si dividevano quanto rimaneva dell’incasso totale, gli attori della compagnia Lord’s King ricevevano il doppio dello stipendio di un insegnante scolastico. I salariati (attori non azionisti), essendo dipendenti da quest’ultimi, non godevano di privilegi e a loro spettavano le parti minori (macchinisti, musicisti, guardarobieri). Gli apprendisti vivevano con i loro maestri, i quali si occupavano della loro educazione e del loro sostentamento, per queste prestazioni extra la compagnia pagava dai tre ai sette scellini alla settimana ma solo pochi di questi apprendisti diventavano attori professionisti. La maggior parte delle compagnie puntava ad acquisire una sede stabile, dato che nei lunghi periodi di chiusura forzata dei teatri molte compagnie fallivano o erano costrette a vendere tutti i loro testi. In alcuni viaggi delle compagnie gli attori venivano accolti bene, in altri venivano pagati per non recitare ed andarsene velocemente. Le compagnie cambiavano programma ogni giorno quindi erano costrette ad un repertorio vastissimo, è qui che la figura del drammaturgo iniziò ad essere necessaria e retribuita. Una volta effettuato il pagamento del drammaturgo il testo era proprietà della compagnia, ma non essendoci il diritto d’autore avevano difficoltà nel mantenere l’esclusività del testo. L’attore riceveva un'unica copia del testo con le proprie battute, il suggeritore era incaricato di ricopiare le battute degli attori e di censire tutti gli oggetti in scena. Ogni compagnia aveva un proprio regolamento che prevedeva una serie di multe per i ritardi, l’ubriachezza, chi rubava o non si presentava. Oltre alle compagnie di adulti ce ne furono diverse dei ragazzi, la migliore fu la compagnia dei Chapel Boys. I teatri pubblici o teatri all’aperto erano spesso i cortili delle locande o le arene, i primi avevano il palcoscenico simile ad un capannone mentre le seconde venivano utilizzate per i combattimenti o per la lotta. La prima struttura fissa si pensa sia stata il The Theatre di Burbage, in realtà era stato preceduto dal Red Lion (1567) di Brayne. Il successo di queste imprese portò alla realizzazioni di altre strutture teatrali permanenti, tutti costruiti ai confini della città, nei sobborghi o sulla riva meridionale del Tamigi. La maggior parte contava tre piani di gallerie coperte, che giravano intorno al cortile e le gallerie circondavano un’area scoperta abbastanza ampia (yard). Alcuni sostengono che il palcoscenico si estendesse nel cortile e visibile da tre lati, altri sostengono che l’azione fosse visibile da quattro lati. La piattaforma era spesso coperta da un tetto (shadow) che serviva a proteggere il palcoscenico dalle intemperie ed a nascondere i macchinari utilizzati. Lo sfondo era costituito da una facciata a più piani, nella parte inferiore c’erano due grandi porte. Il teatro era dotato di un palcoscenico interno, nascosto al pubblico, che poteva essere rivelato quando l’aione lo richiedeva (inner stage). Un altro problema riguarda lo spazio sopraelevato, come il balcone di Romeo e Giulietta, che prevedeva un “palcoscenico superiore” (upper stage) ed era utilizzato attraverso lo schema fisso: palcoscenico principale-interno-sopraelevato. Tra i proprietari di teatri piu famosi (che affittava alle compagnie) ricordiamo Philip Henslowe, costruttore di The Rose, The Fortune e The Hope. Alla compagnia degli attori spettavano tutti i proventi della platea, il restante delle gallerie era suddiviso tra proprietario e compagnia. E’ probabile che la maggior parte degli spettacoli fosse al chiuso, nei teatri “privati”. Quest’ultimi erano coperti, illuminati da candele e con la capienza della metà degli spettatori, il costo era molto piu caro. All’inizio erano situati in aree particolari (liberties) londinesi, i primi teatri furono allestiti in residenze private e venivano impiegati attori giovani per sfuggire alla condanna sulla categoria dei professionisti. Farrant, maestro del coro della cappella Reale, fu il primo ad affittare una proprietà dichiarando di voler preparare i fanciulli ad apparire di fronte alla regina, senza nessuna menzione alle rappresentazioni in pubblico. Dopo una serie di processi il Blackfriars passò nelle mani di Burbage e alla sua morte ai suoi figli insieme al maestro del coro reale. I teatri privati passarono nelle mani di professionisti dal 1610, ad esempio la compagnia dei King’s Men si esibiva al Blackfriars da ottobre a maggio. La scenografia era essenzialmente “raccontata”: i luoghi dell’azione venivano citati solo se necessari dal punto di vista drammatico, gli elementi erano semplici, assomigliavano alle mansions medevali. Quando una compagnia di attori professionisti recitava di fronte alla regina, l’ufficio del Divertimento (Revels Office) allestiva una sala e forniva gli accessori scenici necessari. L’importanza della scenografia crebbe dopo il 1603 nell’ambiente di corte, molti erano gli allestimenti all’italiana dei masques. L’elemento visivo più elisabettiano fu sicuramente il costume, identici ai vestiti utilizzati nel quotidiano ma venivano utilizzati anche abiti “antiquati” (fuorimoda), “antichi” (ricchi di drappeggi alla greca), “fantasiosi” (fantasmi, streghe, fate), “tradizionali” e “caratteristici”. Le compagnie compravano la maggior parte dei costumi, spesso i nobili regalavano i loro abiti ai servi che li rivendevano agli attori. La maggior parte di quest’ultimi doveva saper cantare, l’orchestra era composta da almeno sei elementi. Le rappresentazioni delle compagnie dei ragazzi erano precedute da un concerto che poteva durare persino un’ora. I teatri pubblici avevano una enorme capienza, di circa 3000 persone, mentre i teatri privati circa 500. Per mantenere alta la frequenza degli spettatori le compagnie cambiavano frequentemente i programmi ed ogni nuova opera veniva inclusa nel repertorio generale (circa 10 rappresentazioni a settimana, nel 1641 la compagnia King’s Man contava circa 170 opere nel repertorio). Gli addetti alla riscossione raccoglievano il denaro all’ingresso di ciascun settore, i palchi privati persero prestigio e diventarono teatro di prostitute e traffici quando i posti più importanti diventarono sgabelli o sedili sullo stesso palcoscenico. I prezzi continuarono a salire quando i puritani non ottennero il decreto per l’interdizione e la chiusura di tutti i teatri. I masquets, in voga alla corte di Enrico VIII, furono allestiti con particolare splendore con Giacomo I. per l’allestamento di queste produzioni venivano stanziati enormi fondi (Triumph of Love di Shirley costò 21.000 sterline). La maggior parte delle masquets venne scritta da Ben Jonson, dove la musica aveva un ruolo fondamentale (presentava intermezzi simili a quelli italiani). Generalmente erano inserite tre danze fondamentali: di apertura, centrale (con ballerini prescelti dal pubblico) e di chiusura, inoltre venivano inseriti molti balli di società in voga. Quando la danza si svolgeva nel salone ogni ballerino era accompagnato da un portatore di torcia. I personaggi si ispiravano a figure mitologiche o allegoriche e le donne rappresentavano dee, ninfe o regine. Le figure dell’anti-masquets erano invece satiri, ubriaconi o zingari. La maggior parte vennero rappresentati al Whitehall Palace. La maggior parte delle scenografie la dobbiamo ad Inigo Jones, con un’ottima conoscenza dell’arte italiana si ispirò anche agli intermezzi di Giulio Parigi. Progettò le scenografie di diversi drammi di corte, questi erano spesso recitati da personaggi femminili (nobildonne) il che era una rarità per l’epoca. La conoscenza di questi spettacoli era cosi diffusa che quando Prynne equiparà le “donne attrici” a “notorie puttane” venne condannato all’ergastolo, espulso dalla sua professione e gli vennero tagliate le orecchie. Capitolo VII. IL TEATRO SPAGNOLO DAL MEDIOEVO AL SEICENTO Lo sviluppo del teatro spagnolo è strettamente legato alle vicende politiche del paese sotto l’occupazione araba iniziata nel 711 e terminata nel XV secolo (con il matrimonio tra Ferdinando di Argona ed Elisabtta di Castiglia e l’espulsione araba del 1492). La lotta contro gli arabi fu caratterizzata da una potente cristianizzazione, si riuscì a stabilire e mantenere un’attenta ortodossia. Con la scoperta dell’America e l’espansione dei loro domini la Spagna diventò la nazione più potente al mondo. I drammi vennero introdotti come nuovo strumento religioso, fiorì nel quindicesimo e sedicesimo secolo proprio mentre negli altri paesi venne soppresso. Si sviluppo una forma particolare di rappresentazione che prese il nome di auto sacramental, che riuniva le caratteristiche dei drammi ciclici ed i personaggi erano rappresentazione simbolica religiosa (il Peccato, la Grazia, il Piacere). I drammi furono rappresentati da una sola compagnia e scritte tutte da un unico autore, Calderòn. Gli spettacoli erano montati sui carri, la facciata era montata sui cardini in modo tale che si aprisse al momento della messa in scena, fungevano anche da camerini o ingessi (successivamente diventarono quattro). La prima di uno spettacolo era spesso data in presenza del re, veniva poi replicato in piazza ed il giorno successivo per il consiglio comunale, solo due per il pubblico generico. Quando i rapporti tra Spagna e Italia si intensificarono iniziò a circolare la cultura classica ed a svilupparsi drammi di stampo profano (Calisto e Melibea). Alcuni importanti scrittore di quest’epoca sono Juan del Encina, Naharro, Lope de Rueda (del quale scrisse anche Cervantes) che fu attore, autore e capocomico. La popolarità del teatro crebbe ma dopo la morte di Rueda non emerse alcun autore di reale importanza. In questi anni acquistarono tuttavia una notevole fama Cueva e Cervantes, il primo fu uno dei primi drammaturghi a trarre i suoi personaggi dalla storia nazionale spagnola; Cervantes, autore del Don Chischiotte, scrisse circa trenta opere teatrali. Ogni rappresentazione iniziava con una lode (loa) o prologo, che aveva la forma di un monologo ed era utilizzata per cogliere l’attenzione del pubblico e continuò ad essere utilizzata per diversi anni. Lo scrittore più prolifico fu Lope Fèlix de Vega Caprio, le stime delle sue opere parlano di 1800 opere drammatiche. Tra i tratti generali vi è soprattutto l’abilità nel mantenere alta la tensione, i personaggi provengono da ogni ceto sociale. Tra le sue opere maggiori ricordiamo Il cavaliere di Olmedo, Il cane dell’ortolano e L’acciaio di Madrid. Accanto a Lope ricordiamo Castro che scrisse Il beffatore di Siviglia, la prima elaborazione drammatica della leggenda del Don Giovanni. Pedro Calderòn de la Barca scrisse prevalentemente per il teatro di corte, i suoi drammi profani possono essere suddivisi in due categorie: le commedie di cappa e spada (intrighi amorosi) e le opere serie (gelosia ed onore). Il dramma più famoso è La Vita è Sogno, una favola allegorica sul mistero della vita e dell’uomo (storia di Sigismondo ed il suo “sogno” alla corte). Calderòn è noto soprattutto per i suoi autos sacramentales (genere drammatico che portò alla massima perfezione), dove incarna il dramma cattolico trasfigurandolo in limpide simbologie raccontate in un dialogo lirico. Accanto a questo drammaturgo ricordiamo anche Zorrilla e Moreto. I corrales (teatri pubblici) vennero posti sotto il controllo di confraternite simili alle corporazioni medievali, quando passò nelle mani dell’amministrazione municipale continuarono ad essere affittati a impresari privati. Il primo corral fisso fu aperto nel 1583, il Corral del Prìncipe. Non avevano una struttura uniforme ma erano costruiti in un cortile di forma quadrata o rettangolare, diventarono spazi chiusi con la costruzione dei tetti. Il patio era occupato dagli spettatori in piedi, furono disposti di fronte al palco una fila di sgabelli o panche e ai lati delle file di gradas. In fondo al patio si trovava il banco per i rinfreschi mentre le finestre ai piani superiori erano utilizzati come delle palchetti privati. Il teatro di Madrid presentava due ingressi, rispettivamente controllati per la riscossione, e permetteva alle donne di entrare nella cazuela mentre agli uomini nel patio. La capienza era di circa 2.000 persone. La stagione teatrale iniziava a settembre e continuava fino alla quaresima (marzo), poi dal mercoledì delle ceneri fino a dopo la Pasqua rimanevano chiusi. Avevano inizio alle due pomeridiane e dovevano concludersi almeno un’ora prima del tramonto. Il programma si apriva con musiche, canti e danze e si concludeva con un ballo. I mosqueteros (spettatori in platea) erano i più turbolenti, ma talvolta anche le donne usavano fischietti o tiravano frutta marcia agli attori. Esistevano due tipi di compagnie: quelle formate da azionisti e quelle composte da attori salariati, i contratti erano di norma biennali. La compagnia doveva chiedere la licenza ai magistrati cittadini, che la concedevano solo dopo una rappresentazione riservata e gratuita. I compensi erano estremamente variabili, in genere ogni compagnia riceveva una somma fissa per ogni rappresentazione, altre volte solo una percentuale sulle entrate. Conosciamo i nomi di molti direttori ma non delle compagnie: Ortiz, Figueroa, Rueda. La posizione dell’attore ea ambigua, tuttavia vi era un atteggiamento di generale tolleranza. In molte occasioni furono presentate istante al re contro quest’impiego, ma gli attori trovarono molti alleati nelle autorità cittadine. Una delle maggiori cause dell’opposizione era la presenza delle donne attrici (dal 1587 le donne ottennero quando si creava un posto i societaries eleggevano uno tra i salariati, legandosi alla compagnia per vent’anni e impegnandosi a pagare una multa in caso l’avessero abbandonata. La compagnia adottò anche un sistema di pensionamento, in base ad esso gli attori potevano ritirarsi con una pensione annuale. I membri della commedia godevano di uno status di prestigio e sicurezza, molti furono gli attori che raggiunsero la fama tra il 60 e il 70 come Medeline Bèjart (che convinse Molière a diventare attore). Gli interpreti tragici più importanti furono Mademoiselle du Parc, Mademoiselle Champmelsè e Michel Baron. La prima fu prima attrice tragica fino alla sua morte; la seconda dopo soli sei mesi era già considerata la più brava attrice di Parigi. Quando la compagnia metteva in scena una nuova commedia le parti venivano assegnate dall’autore, i ruoli assegnati in base a una decisione collettiva, le prove erano in tarda mattinata, dopo la prima rappresentazione l’opera veniva inserita in repertorio. Il nuovo tipo di palcoscenico utilizzato riflette i mutamenti che si erano verificati nelle pratiche sceniche dopo gli anni ’30: lo spazio riservato alla recitazione era notevolmente ridotto, per questo lo sfondo era una scena era neutra ma adatta all’azione, senza dettagli né cambiamenti (Palais à volontè). Per la commedia sostanzialmente veniva utilizzata la stessa tecnica ma lo sfondo scenico era un interno domestico. Il monopolio drammatico di musica e balli, affidato all’Operà, si fondava sulle scene all’italiana mentre la commedia francese non si avvaleva di particolari effetti spettacolari. Con il tentativo di sostituire i tragici greci come massimi esponenti della tragedia e Molière al posto di Plauto e Terenzio, per la commedia, la produzione si mostrò cosi infeconda che alla fine del secolo il grande periodo del teatro drammatico francese era ormai concluso. Capitolo IX. IL TEATRO INGLESE DAL 1642 ALLA FINE DEL SETTECENTO L’attività teatrale riprese in Inghilterra nel 1660 con il ritorno degli Stuart, i King’s Men vendettero la compagnia e il Globe Theatre fu abbattuto, le rappresentazioni ripresero in forma più o meno clandestina. Nonostante ciò gli attori continuarono a recitare al Red Bull, che riuscì a salvarsi dalla demolizione. Davenant, succeduto a Jonson come masques ufficiale di corte, riusci ad aggirare il bando presentando alcuni spettacoli teatrali come “intrattenimenti musicali” (ricordiamo L’assedio di Rodi come prima rappresentazione ufficiale in cui apparvero attrici inglesi). Quando Carlo II riconquistò il trono si accesero immediatamente le dispute per le licenze, Davenant e Killigrew si assicurarono il monopolio e raccolsero esperti nella loro compagnia Duke’s Men. Il centro più importante, dopo Londra, era Dublino dove venne aperto lo Smoke Alley. All’inizio vennero utilizzati i testi di Jonson e Fletcher ma molti testi si dimostrarono inattuali e antiquati. La moda dominante era la tragedia eroica, tragedie che oscillavano tra amore e onore, che declinarono dopo essere stati ridicolizzati. La forma drammatica conquistò larga popolarità dopo l’uscita di Tutto per Amore, ispirato alla storia di Cleopatra e Antonio di Shakespeare. Anche l’opera lirica visse un periodo di grande fioritura, si distingueva dalla tragedia eroica per l’apporto della musica. Furono riadattati Sogno di una notte di mezza estate e Macbeth di Shakespeare, ma declinò rapidamente non appena ebbe inizio. La restaurazione aiutò a fiorire il genere della commedia “degli umori”, la commedia di intreccio, la farsa e la commedia di costume. Quest’ultima vede in Dryden il commediografo più versatile, a seguire le commedie furono caratterizzate da personaggi aristocratici, matrimoni combinati, ultime mode, intrighi e le schermaglie argute. Il loro tono licenzioso offese molti critici dell’epoca ma toccò il suo apice con Congreve e Così va il mondo (racconto di Millamant e Mirabell e la loro reciproca accettazione delle convenzioni del mondo). Dopo la “pacifica rivoluzione” salì al potere Guglielmo III d’Orange, emerse un nuovo atteggiamento che si evidenziava in personaggi dissoluti del bel mondo. Questo periodo è interessante anche per il fiorire di un folto gruppo di autrici teatrali, quali Mary Pix, Susanna Centlivre, Catharine Trotter. L’intento tipico della commedia subisce un’importante e sostanziale trasformazione con Richard Steele: piuttosto che cercare di suscitare il riso, il testo tende a stimolare nobili sentimenti tramite la descrizione delle avventure sopportate coraggiosamente dai personaggi che alla fine vengono salvati dalle loro sofferenze e ricompensati. Steele non ebbe successori di rilievo, ma questa nuova vena drammatica fu validamente recuperata nella tragedia. Una nuova strada si aprì quando George Lillo scrisse Il mercante di Londra: un apprendista mercante viene traviato da una prostituta, uccide lo zio e finisce sul patibolo. L’opera ebbe un enorme successo, tanto da essere lodata da Diderot e Voltaire. Nel settecento fiorirono anche forme drammatiche minori come il pantomime, la ballad opera e il burlesque. Il primo combinava elementi della commedia d’arte con la satira sui fatti d’attualità e le storie mitologiche. Fu John Rich a definire questo nuovo modello, le scene comiche erano solo mimate, ma lo sviluppo dell’intreccio tragico era affidato al dialogo e al canto. La figura di Rich venne associata anche alla nascita della ballad opera, una forma di spettacolo comica, il cui dialogo era cantato in versi ed adattato ai motivi popolari. La più importante fu L’opera ei mendicanti. Il Burlesque, di carattere satirico e parodistico, si discostava dalla ballad per l’assenza di parti cantate. Entrambe trovarono il declino dopo la promulgazione del Licensing Act, volto a ristabilire la proibizione di rappresentare “a scopo di lucro”. Il decreto fu presto aggirato con diversi espedienti ma continuò ad essere reintrodotto. La Ballad Opera venne presto sostituita dalla comic opera (carattere tipicamente sentimentale). Mentre la miglior opera del genere burlesque fu Il Critico di Sheridan, satira sulla tragedia e sulle opere letterarie. Il Pantomime continuò ad essere il più popolare tra gli intrattenimenti teatrali. Il teatro del diciottesimo secolo ampliò repertorio fino a comprendere circa 75 opere, finanche 90, ai frequentatori venivano proposte più opere del passato che quelle recenti. Gli autori ricevevano gli incassi della terza serata di rappresentazioni, dedotte le spese dell’affitto del teatro (valido solo per la prima serie di rappresentazioni). Generalmente gli autori potevano aumentare le entrate vendendo i diritti di stampa delle loro opere (valido per 14 anni), che di norma era comprato dal teatro stesso per salvaguardare il proprio investimento. I teatri venivano costruiti con capitali basati sulla partecipazione azionaria, gli azionisti ricevevano poi una somma concordata per ogni giorno d’uso del teatro. E mentre la forza contrattuale degli attori diminuiva, cresceva il potere degli azionisti esterni. Il rischio maggiore era però nelle mani dell’impresario che affittava il teatro e dirigeva la compagnia, solo pochi riuscirono a resistere a lungo. La compagnia iniziò ad ampliarsi quando vennero “assunti” anche i tesorieri, i controllori, gli incaricati della riscossione, i suggeritori, i ballerini, fino ad arrivare a persino duecento partecipanti alla compagnia. Per poter far fronte agli incrementi o veniva aumentato il prezzo del biglietto (alla prima o in occasioni speciali), altrimenti bisognava raddoppiare l’affluenza del pubblico. Mentre il palcoscenivo veniva ampliato per rispettare ed adattarsi al gusto richiesto, cosi anche i teatri iniziarono ad ampliarsi pper la necessità di accogliere più spettatori. Nei teatri la sala era divisa in platea, palchi e gallerie. La platea era senza schienale e posta in pendenza per permettere una visuale migliore. La struttura del palcoscenico differiva perche disponeva dell’arco di proscenio e di una profonda piattaforma posta sui tre lati che sporgeva verso il pubblico. Dietro all’arco erano sistemate botole e le macchine per gli effetti speciali. Nel corso del secolo furono ingranditi gli spazi che ospitavano gli spogliatoi, i camerini degli attori, magazzini di vario genere, tutti gli ambienti necessari alla preparazione delle scene. La pratica scenica non differiva da quella in uso in Italia e in Francia, le quinte avevano l’arco di proscenio ed i fondali costituivano gli elementi strutturali caratteristici, mentre i macchinisti eseguivano manualmente gli spostamenti necessari per il sipario ed i cambi di scena. Il crescente interesse per le meraviglie della messa in scena fu accompagnato da un cambiamento di status del pittore di scena, tra i più importanti ricordiamo Servandoni (Operà di Parigi) e De Loutherbourg. Quest’ultimo rese popolare la pratica della riproduzione di situazioni reali sul palcoscenico: usò effetti sonori per riprodurre suoni come le onde, la pioggia o la grandine e riuscì ad ottenere tutto il compesso degli elementi visivi delle sue rappresentazioni ( di solito realizzati da pittori diversi oppure recuperate da scene di repertorio). Abbiamo scarse notizie sull’illuminazione teatrale in uso durante la restaurazione, gli spettacoli venivano rappresentati di pomeriggio, veninvano appesi dei candelabri dull’apron e dietro l’arco di proscenio. I lumi della ribalta (fila di candele sul palcoscenico) erano già in uso nel 1672. L’illuminazione venne perfezionata con l’invenzione di una boccia di vetro parzialmente coperta da uno schermo di latta che permetteva una luce più stabile e brillante. La maggior parte dei personaggi era vestita con abiti di foggia contemporanea, gli eroi classici indossavano l’abito alla romana mentre i personaggi orientali erano caratterizzati da turbanti e pantaloni alla turca. A volte la consuetudine vinceva sul moderno: Enrico VIII vestito secondo il ritratto di Holbein, Amleto con un costume nero, Re Lear indossava una pelliccia di ermellino sopra ad abiti moderni e Macbeth recitava in uniforme da ufficiale dell’esercito inglese. Le compagnie iniziarono ad investire per i costumi e le scenografie, i magazzini erano ben lungi dal poter soddisfare le esigenze di tutti gli attori. Il desiderio di sfoggiare abiti ricchi e sontuosi aumentava la rivalità tra gli attori, cosi che spesso gli abiti di scena riflettevano le possibilità economiche dell’attore piuttosto che il personaggio stesso. I principianti recitavano un ampio numero di piccole parti e alla fine scoprivano i personaggi per cui erano più tagliati, dopo pochi anni vennero inseriti nel sistema dei ruoli che alla fine del ‘700 comprendeva quattro livelli: principali, secondari, terzi e generici. Nelle piccole compagnie si richiedeva agli interpreti di rivestire molti più ruoli rispetto a quelli delle compagnie londinesi, dovevano interpretare tante parti serie quante parti comiche. L’attore continuava a recitare quelle parti fino al cambio di compagnia, erano considerate un vero e proprio possesso personale. I contratti dei “divi” erano di circa cinque anni ma si preferì abbreviarli, la paga rispettava i giorni di apertura del teatro e veniva incrementato da almeno una serata d’onore l’anno. Una serata molto affollata poteva fruttare anche l’incasso di un anno di lavoro, specialmente quando gli spettatori pagavano un prezzo più alto per portare danaro o gioielli ai divi più popolari. Durante le prove, che si tenevano di norma per due settimane, tre ore al giorno, gli attori non recitavano integralmente il loro copione e molti si davano all’interpretazione. Il funzionamento della compagnia dipendeva dal suggeritore, i cui doveri riguardavano le licenze, le trascrizioni e le prove, se richiesto. Numerose convenzioni rimasero inalterate, dalla recitazione in avanscena allo scambio da destra verso l’interlocutore. Si cercò di dissimulare il ritmo del verso, per evitare la cantilena dell’attore. Non vi era ancora l’usanza degli applausi né delle chiamate a fine di una rappresentazione. Un attore del settecento assomigliava a quanto oggi si può vedere in un’opera lirica che non nella prosa. David Garrick dominò le scene inglesi, esercitò un’ampia influenza sul teatro del tempo, estremamente versatile e interprete insuperabile di Lear, Macbeth e Amleto. L’orario delle rappresentazioni si spostò gradualmente dal pomeriggio alla sera, dato che i posti non erano riservati molti inviavano i loro servitori ad occuparli. Il programma della serata era complesso, la reppresentazione di una commedia e di una tragedia erano inframmezzate da balli e canti (la durata variava dalle tre alle cinque ore). Il rapporto tra attori e pubblico era molto stretto, spesso gli attori si lamentavano dei loro malcontenti generali e gli spettatori impedivano lo svolgersi dello spettacolo finchè i colpevoli non presentavano le loro spiegazioni. Dopo il 1760, quando il parlamento cominciò a concedere le licenze il teatro fuori Londra inizò a prosperare. Capitolo X. IL TEATRO DEL SETTECENTO IN ITALIA E IN FRANCIA La scenografia italiana La grandezza e la magnificenza della scenografia trovò la sua piena espressione nell’opera della famiglia Bibiena, lavorarono molto anche in acque internazionali (Parigi, Lisbona, Londra, Stoccolma). Cambiarono la prospettiva scenografica da quella ad asse centrale con un unico punto di fuga, all’utilizzo di piu punti di fuga posti ai lati del disegno scenografico. Mentre la scena poteva essere dipinta da diversi punti di vista, le quinte venivano trattate come fossero la sezione inferiore di un edificio troppo grande. La scena ad angolo riusciva a suscitare un’impressione di ampiezza assai superiore a quella della scena ad asse centrale. Tutte le innovazioni rispondevano al gusto barocco che si era imposto alla fine del ‘500, mentre lo stile rinascimentale prediligeva più linearità. In questo periodo crebbe la popolarità dell’opera buffa, tanto da dividere i grandi teatri in due compagnie (una per le rappresentazioni serie e l’altra per l’opera buffa). La scenografia adottava le “parapettate” e le “plafonate”: scene chiuse da tre pareti continue e il tetto a vista nero. L’innovazione più importante fu l’inserimento delle tonalità psicologiche nella scenografia: enfasi sul chiaro-scuro, scene di prigionia dai toni drammatici, la ricerca dell’atmosfera. Il dramma italiano nel ‘700 testi nuovi dalla traduzione dei drammi francesi classicisti, Neuber insistette sull’improvvisazione teatrale ed assegnava ad ogni attore compiti supplementari, di aiuto per la compagnia. I sostenitori dei Gottsched non erano sufficienti a riempire dei teatri ambulanti mentre i Neuber non ottennero ciò in cui avevano sperato. Le compagnie teatrali dal 1740 al 1770 La prima fu formata da Schonemann, due attori della compagnia -Sophie Schroder e Konrad Ackermann- raggiunsero importanti risultati ma la guerra dei sette anni tra Prussia ed Austria costrinse Ackermann a fuggire verso l’occidente. Questo costruì il primo teatro permanente in Amburgo, nel quale si affrontarono principalemente problemi di tipo finanziario e di incapacità del degli impresari, decisero di aprire il primo teatro stabile. Lessing, il migliore scrittore tedesco del tempo, accettò di collaborare come consulente della compagnia e direttore di una rivista teatrale. Il Teatro Nazionale d’Amburgo fu inaugurato nell’aprile del 1776. Da Lessing allo Sturm und Drang Mentre la cerchia dei sostenitore di Gottsched si assopiva, emerse un nuovo gruppo teatrale (Schlegel). Ma l’autore più importante fu senza dubbio Lessing, il suo primo vero successo fu Miss Sarah Sampson che diventò il testo teatrale tedesco più popolare e imitato. Proponeva come modello le opere del teatro inglese, ma il repertorio non si era radicalmente riformato alla morte di Lessing e prima della stessa emerse il movimento dello Sturm und Drang. Quest’ultimo operò contro i principi neoclassici, mancano di un preciso programma comune a tutto il movimento ed i temi proposti sono sovente audaci. Da I Soldati all’Infanticida vengono affrontate sia la prostituzione che l’omicidio di un bambino con una spilla. Pochi drammi vennero all’effettivo rappresentati, uno di questi fu l’opera di Shiller. L’istituzione dei teatri nazionali Il primo teatro statale fu istituito a Gotha nel ’75, quando il Teatro d’Amburgo chiuse. Il teatro non aveva scopo di lucro e la posizione degli attori era più che stimata, prima che si concludesse l’esperienza di Gotha, si istaurò a Vienna un teatro statale più importante. La corte viennese aveva privilegiato l’opera lirica, ignorando il dramma tedesco parlato. Una fase completamente nuova iniziò quando l’imperatore Giuseppe II istituì un teatro statale (Burgtheater): la migliore di tutte le compagnie teatrali tedesche. Nel 1790 esistevano piu di sessanta compagnie tedesche, piu della metà con sede fissa. Schroder, Iffland e Kotzebue La compagni piu influente fu quella degli Schroder, il figlio di Sophie dopo la guerra dei sette anni conobbe Ackermann e Ekhof. Diventò direttore artistico della compagnia del Teatro Nazionale d’Amburgo, fu uno dei più rigidi assertori della disciplina ed il suo repertorio toccava le opere di Lessing quanto quelle di Shakespere e gli scrittori dello Sturm und Drang. Recitava inoltre una quarantina di ruoli all’anno, tradusse ed adattò ventotto opere teatrali. Nonostante il suo successo rimase dipendente della madre , per questo diede le dimissioni nell’80. In questi anni Iffland riusci a conquistarsi un pubblico ampio, fu membro della compagnia di Mannheim. Kotzbue superò in popolarità, come scrittore, Iffland con il suo primo successo Misantropia e pentimento. Le sue opere furono i cavalli di battaglia di molti autori dell’ottocento. Lo sviluppo delle pratiche sceniche Venne introdotta la pratica di leggere ogni testo agli attori della compagnia per guidarli all’interpretazione dei personaggi. Finchè non vennero istituiti i teatri statali le compagnie erano costrette a ridurre al minimo le scenografie: un bosco per le ambientazioni esterne, una sala per le rappresentazioni in palazzo e la stanza di una casa di campagna per le ambientazioni interne. Dopo il 1750 l’allestimento venne variato ed ampliato, nel 1770 i teatri stabili introdussero un sistema di carrelli mossi da un argano centrale per i cambi di scena. Con la voga dei drammi bellici ci furono i primi tentativi di scenografie più autentici, Schroder utilizzò circa ottanta soldati come comparse. Anche i costumi seguirono la stessa tendenza, dalla giacca e il panciotto a costumi più personalizzati per la caratterizzazione dei personaggi, le attrici indossavano pizzi e merletti di carta e abiti eleganti. Continuò la moda degli abiti alla romana e dei tubanti per i caratteri orientali. Con Gottsched ci fu piu accuratezza nei dettagli. Tutti questi drammi usavano abiti di un unico periodo storico (Cinquecento) indipendentemente dall’epoca effettiva dell’azione, pratica che iniziò a cambiare solo agli inizi dell’800. Goethe, Schiller e il classicismo di Weimar Johann Wolfgang von Goethe è la massima personalità letteraria che la Germania abbia mai avuto. Diventò capo di una formazione di dilettanti a Weimar, unica risorsa teatrale della città. Il viaggio in Italia coincise con il suo cambio di prospettiva artistica, operò il recuper dell’arte classica che si riflettè nell’Ifigenia in Tauride e Torquato Tasso. Iniziò una nuova attività teatrale sotto consiglio di Iffland e Schiller. Quest’ultimo dopo il suo successo con I masnadieri, gli fu proibito scrivere e fuggì a Mannheim dove compose La congiura di Fiesco e Amore e raggiro. Iniziò una stretta amicizia tra Goethe e Shiller, ritenevano che le convenzioni formali della tragedia greca servissero come espedienti per distanziare gli spettatori dagli eventi del dramma, per far si che potessero cogliere la realtà del quotidiano. Il dramma doveva trasfigurare le forme della nostra esperienza ordinaria, non creare l’illusione della vita reale. Le opere mature di Schiller sono estremamente complesse, da una trilogia sulla guerra dei tren’anni agli avvenimenti cruciali della storia inglese. Goethe sviluppò un sistema di norme per rimediare all’improvvisazione in scena degli attori, lavorando con ciascun attore singolarmente (talvolta anche per mesi). Era cosi attento al ritmo ed alla cadenza da sembrare un vero e proprio direttore d’orchestra, le prove erano poche e non iniziavano prima che ogni attore avesse imparato a memoria le parti. Usava dividere il palcoscenico in quadrati per gestire geometricamente i movimenti degli attori. Il teatro di Weimar era piccolo e scarsamente attrezzato, il proscenio era di circa otto metri e la sala conteneva circa 500 persone ma la fama dei due autori attrasse molti visitatori e presto il “classicismo di Weimar” fu famoso in tutta la Germania. Delle tre rappresentazioni settimanali una era una commedia o opera lirica, uno un dramma popolare e la terza un’opera preferita da Goethe. Dopo la morte di Shiller il suo interesse pe ril teatro si infievolì, cedette la direzione nel 1817 a Jagemann, attrice e amante del duca. Tra le opere mature di Goethe la più importante è il Faust, dalla vendita dell’anima a Mefistofele alla notte di Valpurga. Il teatro in Russa e nell’Europa settentrionale Il maggior scrittore olandese fu Joost van del Vondel, autore di trentadue testi teatrali, molti di imitazione plautina. La nascita del teatro fu più lenta in Danimarca e Norvegia, alla fine del ‘700 la corte danese manteneva preso di sé una compagnia francese. Il dramma danese nacque grazie a Ludwig Holberg, che inziò la sua attività con una satira letteraria in lingua. Quando Federivo V salì al trono fu aperto un nuovo teatro, ancora oggi teatro nazionale in Danimarca. In Svezia il primo teatro fu inaugurato a Stoccolma, diventato uno dei musei più importanti a livello europeo. La prima e chiara testimonianza di un teatro in Russia risale al 1672, a Mosca, all’epoca dello zar Aleksej e dopo la sua morte (1676) rimase inutilizzato fino alla salita di Pietro il Grande. Le attività teatrali furono essenzialmente in ambito di corte, nel 1753 venne invitato in Russia Francesco Araia, compositore napoletano. Sotto il tempo dell’imperatrice Elisabetta gli italiani ed i francesi si contesero la supremazia nei teatri di corte, alla fine una compagnia francese fu incaricata di rappresentare le opere drammatiche. Intorno al 1750 uno scrittore russo, Aleksandr Sumarokov cominciò a scrivere opere teatrali sul modello classicista francese, nello stesso periodo anche Volkov allesti un teatro in un vecchio magazzino. Durante il regno di Caterina II il teatro si diffuse in molte regioni, i drammi in repertorio erano Diderot, Lillo, Lessing e lo stato continuò il suo fermo controllo sul teatro. Le compagnie drammatiche conquistarono una maggiore sicurezza economica, verso la fine del diciottesimo secolo le compagnie itineranti toccavano ormai le principali città russe. La maggior parte dei teatri era gestito da privati e grandi latifondisti, la servitù della gleba fu istituita solo alla fine del cinquecento, successivamente diventò fondamentale per l’economia russa, molti nobili iniziarono ad addestrare i loro servi come attori. Vennero fondate compagnie private e scuole di recitazione. Nel 1800 il teatro russo aveva ormai raggiunto un assesto stabile, la pratica scenica era in larga parte legata al modello francese e italiano. La situazione russa dimostra anche come il teatro professionale si fosse ormai diffuso in tutta l’Europa. Il diciannovesimo secolo l’avrebbe portato alla piena fioritura. Capitolo XII. IL TEATRO DEL PRIMO OTTOCENTO Il romanticismo e la letteratura drammatica tedesca Il termine “romanticismo” fu utilizzato la prima volta da un gruppo di filologi che nel 1799 si radunarono intorno alla rivista “Athenaeum”. I nuovi principi teorici trovarono una prima coerente formulazione negli scritti di Schlegel, le cui idee vennero diffuse in Inghilterra da Coleridge e Madame de Stael. Il romanticismo esprimeva il suo malessere nei confronti della realtà rifugiandosi nell’utopia, traendo ispirazione dal mondo naturale e dalle tradizioni nazionali. In campo teatrale le convenzioni del palcoscenico sembravano troppo restrittive agli autori di questo movimento: rifiutavano di sottomettersi alle unità aristoteliche di tempo e luogo, non rispettando la divisione dei generi e respingendo le costruzioni razionali degli avvenimenti. L’elemento spettacolare ed il fattore visivo diventarono componenti essenziali, ritenendo che la libertà formale di Shakespeare si avvicinasse perfettamente al loro ideale artistico. I massimi divulgatori in Germania furono Schlegel e Tieck, quest’ultimo dedicò la sua attività alla promozione delle opere di Shakespeare. Scrisse diversi testi teatrali come Il gatto con gli stivali, tipico esempio del teatro nel teatro. Scrisse anche alcune tragedie, la più importante fu L’imperatore Ottaviano, della quale ricordiamo l’immagine che propone nel prologo della luce chiarificatrice del giorno che si confonde con il mistero del crepuscolo. Solo poche opere di autori romantici vennero riprodotte, ricordiamo Il ventiquattro febbraio di Werner che racconta una serie di eventi tragici che sono in relazione tra loro a causa di una maledizione. Il miglior autore drammatico fu Kleist con i suoi grandi capolavori come La bocca rotta e Il principe Von Homburg. Il dramma postromantico in Germania ed Austria Un profondo cambiamento sembro verificarsi quando Austria e Prussia vennero occupate da Napoleone, la difesa del territorio procurò una grande unione di spirito nazionale nel popolo tedesco, quindi l’interesse per il proprio passato. Tra il 1815 e il 1830 spiccarono le figure di due autori, Grabbe e Grillparzer: il primo espresse la sua visione della società come un groviglio di interessi egoistici e comportamenti sclerotici, nel suo Don Giovanni e il Faust volle simbolizzare le figure delle masse e degli intellettuali. Grillparzer mise in scena personaggi sradicati o alienati dalla società, che spinti da un alto ideale cercano di riconciliarsi con gli altri e con se stessi ma generalmente senza successo. L’espressione tipica del temperameto austriaco si attuò al meglio nei drammi popolari e pastorali, che culminò nelle opere di Raimund e Nestroy: dalla vita contadina ad ambienti fiabeschi e dal dramma folkloristico ad elementi fantastici (La casa dei temperamenti). Dopo il 1830, un nuovo movimento democratico, la Giovane Germania produsse alcune tra le opere più controverse con l’esigenza di mostrare il mondo reale ed i suoi problemi affrontandoli in modo diretto. Ricordiamo l’opera di Buchner, La morte di Danton, un dramma ad episodi ambientato dopo la rivoluzione francese dove il giovane Danton cerca di risolvere i suoi dubbi esistenziali finendo nella disperazione piu profonda. Dopo il 1840 l’autore più apprezzato dalla critica fu Hebbel, secondo il quale i problemi piu importanti sorgono perche i valori tendono ad irrigidirsi verso i modelli convenzionali, i processi morali possono realizzarsi solo in seguito ad un violento conflitto. I personaggi delle sue opere rappresentano l’antico e il nuovo, che possono solo fare affidamento sulla fede e sull’amore. Il suo dramma piu famoso Maria Magdalena trae i suoi personaggi dalla vita quotidiana, il dialogo è in prosa e la storia termina con il suicidio del’eroina, vittima della meschinità della società. Le condizioni del teatro in Germania e in Austria La caduta di Napoleone comportò il ripristino delle sovvenzioni e un meggiore controllo politico, ne derivò una rigida organizzazione delle attività teatrali. Verso il 1842 operavano circa settantacinque teatri stabili, il centro teatrale piu importante fu quello di Berlino. Alla morte di Iffland il teatro piu prestigioso divenne quello di Vienna, fu il primo a restringere il proprio repertorio ai soli drammi parlati, eliminando le opere liriche. La compagnia vedeva la presenza di Sophie Schroder e Costenoble (uno dei comici piu richiesti del tempo). il guardaroba di scena comprendeva genericamente cinque periodi storici: epoca classica, medioevo, XVI, XVII, XVIII secolo. L’impostazione del lavoro di compagnia divenne irrealizzabile con l’avanzare d’importanza della figura del divo, la Germania produsse molti attori di rilievo come Devrient che debuttò studioso di antiquariato. Per la rappresentazione dell’Enrico V utilizzò un diorama mobile per illustrare il viaggio in mare da Southampton ad Harfleur. Il contributo innovativo di Madame Vestris si esplicò nell’allestimento dei generi drammatici minori, alla direzione dell’Olympia Theatre, controllava con grande attenzione ogni singolo elemento sulla messa in scena, che coordinava alla perfezione. Attribuiva un grande valore al fattore visivo, con l’aiuto di Planchè sostituì i vestiti da burlesque con vestiti più appropriati al quotidiano. Contribuì alla semplificazione del programma serale, soppresse una serie di intrattenimenti, di modo che non si tardasse la rappresentazione delle undici. Nel 1838 lasciò l’Olympia sposò un attore della sua compagnia e assunse la direzione del Covent Garden. Il teatro in Italia Il teatro iniziò ad essere impiegato come strumento di propaganda e di educazione popolare, la prima formazione stabile del regno napoleonico fu la Compagnia Vicereale diretta da Salvatore Fabbrichesi. Negli stessi anni nascevano altre formazioni stabili a Modena e a Parma, ma quella più importante fu la Compagnia reale sarda, in cui recitarono i piu importanti attori italiani come Carlotta Marchiorri. Il dramma italiano rimase sotto l’influenza di Goldoni nella commedia ed Alfieri nella tragedia, per tutta la prima metà del secolo. Ricordiamo Foscolo con l’Aiace ed il Tieste e Manzoni con l’Adelchi. Particolarmente importante fu la figura di Gustavo Modena, attore e capocomico risorgimentale. Il teatro in Spagna Il classicismo tardò ad affermarsi a causa della guerra di Successione del 1701-1713. Moratìn e Cruz furono le figure più popolari tra il settecento e l’ottocento, il primo si preoccupava della psicologia del personaggio e sull’intreccio mentre il secondo trasformò il genere sostituendo le figure mitologiche con personaggi esistenti. Con la caduta dell’impero napoleonico molti scrittori si ripararono all’estero, soprattutto a Parigi dove entrarono in contatto con il romanticismo. Il teatro in Russia Nonostante la rivolta decabrista contro lo zar Nicola I, in Russia la prima metà dell’ottocento fu particolarmente importante per il dramma. Griboedov scrisse Gore et uma, capolavoro destinato a diventare un classico russo, attraverso la denuncia dei difetti di una società materialistica. Aperta all’influenza del romanticismo fu l’opera di Puskin, che trattatava del sovrano e dei suoi sudditi, la prima di argomento politico. Ricordiamo Lermontov, uno dei piu raffinati poeti russi, oggi è ricordato per Maskarad ma anche Gogol e L’ispettore generale, dove attacca in forma satirica la rozzezza dei funzionari governativi. In tutto questo periodo le sale imperiali ebbero il totale monopolio sulle produzioni teatrali di Pietroburgo e Mosca, Pietroburgo aveva tre teatri (opera, drammi e opere straniere) mentre Mosca ne aveva due (opera e drammi). Il primo grande attore russo fu Scepkin, nato servo della gleba, entrò nella compagnia di Malyj moscovita. Il teatro russo fu molto conservatore nelle sue pratiche sceniche ma l’influsso straniero non tardò a dominare per tutto il secolo. Il teatro negli Stati Uniti Al 1752 risale la prima compagnia londinese di Hallam, una compagnia inglese che, evitando Boston per i puritani e Filadelfia per i quaccheri, si stabilì in Virginia. Alla morte di Hallam, Douglass riuscì a costruire alcuni teatri permanenti. Dopo la ratifica del trattato di pace del 1783 che sanciva l’indipendenza delle colonie, Filadelfia era diventata il centro teatrale per eccellenza. Iniziarono ad arrivare compagnie dall’Inghilterra, il secondo centro teatrale divenne New York con la Old American Company che sotto la guida di Dunlap rimase il miglior teatro fino all’1840. Quando il territorio degli Stati Uniti si estese con la conquista del Mississippi, Florida, Texas e California nei nuovi territori penetrò il teatro portato da diverse compagnie. Venne inaugurata la prima ferrovia ma il trasporto migliore fu quello via mare, molti teatri aprirono sulla via del fiume per rendere piu praticabile l’arrivo dei battelli. Lo Star system o la consuetudine di organizzare le tournèes si estese stabilmente anche negli Stati Uniti, nuocendo alle compagnie esistenti. Le opere teatrali americane resero importanti la figura dell’indiano e lo Yankee, il primo era un buon selvaggio mentre il secondo era una figura comica che rappresentava l’uomo medio americano. Un altro personaggio caratteristico fu quello del Negro, in seguito alle interpretazioni del Rice, divenne molto popolare. Il suo successo contribuì a creare un nuovo genere: Minstrel Show, in cui gli attori con i voli tinti di nero sedevano in semicerchio ed in mezzo stava il middleman (l’unico non truccato da nero) che serviva da maestro di cerimonie. Malgrado queste caricature, i neri furono comunque capaci di distinguersi dalle scene americane fin dall’inizio del XIX secolo.
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