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Storia del teatro e dello spettacolo, Dispense di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Appunti completi del corso di Storia del teatro per 9 crediti, appunti sulla storia del teatro e modulo dedicato a Maria Callas

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 12/06/2023

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Scarica Storia del teatro e dello spettacolo e più Dispense in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! Teatro e spettacolo nell’antica Grecia A partire dal V secolo a.C. si diede inizio alla cultura teatrale greca che giunge fino a noi. Parlando di cultura greca, si fa sempre riferimento alla tragedia, la più antica forma di teatro: è impossibile definire specificatamente l’origine della tragedia greca, ma possiamo datare l’origine dello studio a proposito nel 1871 con la pubblicazione del saggio La nascita della tragedia dallo spirito della musica scritto dal filosofo Friedrich Nietzsche. Molte testimonianze fanno risalire l’origine della rappresentazione teatrale ad alcuni festività agresti in onore del dio Dioniso in cui un coro appositamente scelto intonava canti per portare la prosperità. Non sorprende l’origine molto precoce delle rappresentazioni teatrali: è noto che già intorno al 2000/1500 a.C. si svilupparono nella piazza centrale del palazzo di Cnosso alcune rappresentazioni teatrali non direttamente connesse all’aspetto religioso. La tematica religiosa rimane fondamentale nella storia della tragedia greca poiché il racconto mitico diviene centrale: le vicende degli dèi e degli eroi diventano le protagoniste della narrazione. Lo spazio teatrale nella Grecia antica Nel V secolo a.C. la definizione architettonica del teatro era ancora alquanto abbozzato, se pur dotato di tutti gli elementi fondamentali. Il pubblico era sistemato all’aperto su gradinate scavate nella collina in terra battuta ma sistemate da assi di legno. Il luogo dove risiedeva il pubblico era detto theatron (dal greco theaomai, ammirare e guardare). Il pubblico era posizionato di fronte all’orchestra, che poteva avere pianta di forma diversa (il teatro di Siracusa aveva pianta trapezoidale, mentre in altri teatri aveva una struttura più curva). Il ruolo dove si realizzava lo spettacolo vero e proprio era detto skene, un fondo di legno davanti a cui gli attori, in piedi, recitavano ad alta voce (il fondale di legno occorreva per evitare la dispersione della voce). A partire dal 400 a.C. circa, la skene ateniese aveva fondamenta in pietra che si conservarono meglio nel tempo. La skene, ponendosi alle spalle degli attori, aveva duplice funzione: • Offrire lo sfondo per le scene in cui viene rappresentata l’azione drammatica • Marcare il retroscena in cui venivano rappresentate le opere (occultava, ad esempio, le scene violente come le scene La forma circolare dell'orchestra e il kòilon (gradinata curvilinea) comparvero ad Atene durante il IV secolo a.C., quando i lavori di sostituzione del legno con la pietra e il marmo interessarono l'intero edificio teatrale dionisiaco. La skenè (già costruita in pietra dalla fine del V secolo a.C.) si sviluppò su due piani, con decorazioni e colonne anche nei paraskenia. Essa aveva un tetto praticabile sul quale comparivano gli dèi (theologeion) e tre grandi portali (thyròmata) con funzioni convenzionali: - quello centrale era riservato al protagonista - quelli laterali agli altri due personaggi. Analoga convenzione si fissò per le parodoi: da destra provenivano personaggi dalla città o dal porto; da sinistra quelli dal contado o da terre straniere. Dietro i portali, si collocavano tele o pannelli lignei dipinti (pìnakes), che servivano a figurare architetture o paesaggi evocati dai testi. L'età ellenistica vede anche la trasformazione del logeion (nel III secolo a.C.), separato dalla zona dell'orchestra con una sopraelevazione di 3-4 metri rispetto alla zona del coro; aveva forma stretta e lunga ed era sorretto da colonne, tra i quali andavano a collocarsi i pìnakes. La sua ultima partecipazione agli agoni drammatici con la trilogia di cui conserviamo solo l’Oreste risale al 408 a.C. Nello stesso anno si trasferì in Macedonia dove morì due anni più tardi, nel 406 a.C. Il grandissimo sperimentalismo delle tragedie di Euripide lo portò a non essere particolarmente apprezzato dai suoi contemporanei: venne accusato di ateismo, di misoginia e di incoerenze a causa delle numerose riforme da lui introdotte (anche nella trattazione del titolo). Questo spiega il numero alquanto esiguo di vittorie ottenute durante il corso della sua vita e i numerosi attacchi da parte della commedia aristofanea. Le sue ultime tragedie, Ifigenia in Aulide e Baccanti vinsero l’agone presentate dal figlio, Euripide il giovane, e furono più volte rappresentate, introducendo tematiche che saranno fondamentali nella produzione successiva. L’atteggiamento di Euripide nei confronti del mito è frutto delle influenze culturali del tempo, tra cui spicca la sofistica: essi mettevano al centro la retorica per mettere alla prova la verità e le impostazioni tradizionali. Euripide utilizzò questo metodo per analizzare i miti, che si rivelarono inverosimili e immorali e prese di mira alcuni atteggiamenti tipici delle divinità dell’Olimpo come la bramosia di Zeus o la gelosia di Era. Dai sofisti deriva anche il suo profondo amore per la retorica, per il confronto, che talvolta inserisce anche all’interno delle sue tragedie. Il linguaggio scelto da Euripide è quotidiano, proprio per questo si parla di realismo nelle parole dei personaggi che si contrappone ad un lirismo eccessivo nelle odi corali. L’umanità ritratta da Euripide, diversamente da quella di Sofocle, mostrava le proprie angosce e fragilità da cui è possibile sfuggire solo con la morte. Fondamentale nelle tragedie di Euripide è la rappresentazione delle figure femminili, i cui atteggiamenti e comportamenti sono spesso imprescindibili per lo svolgimento della narrazione: la delicatezza di Alcestra, la gelosia di Media, l’infelicità di Fedra. Fondamentale è inoltre l’innovazione del prologo messa in atto da Euripide. Esso non è più soltanto introduttivo dell’azione, ma è anche espositivo perché diventa una parte a sé e ottiene il compito di esporre al pubblico l’antefatto di una vicenda. Spesso, il prologo anticipava anche lo svolgimento della vicenda perché per Euripide l’elemento fondamentale della narrazione era l’interpretazione del mito e non il finale. Di fatti, una delle maggiori critiche fatte ad Euripide è l’abuso del deus ex macchina ovvero l’intervento della divinità della vicenda che risolve il dramma. Medea Medea è una tragedia di Euripide che ha avuto una lunghissima fortuna non solo per la trama o per la fama di Euripide, ma anche per la tradizione successiva che si focalizzò sulla figura di Medea (due esempi sono la Medea di Seneca e la pellicola cinematografica omonima con interprete di Maria Callas per regia di Pier Paolo Pasolini). Rappresentato per la prima volta nel 341 a.C. risulta ad oggi un testo ancora molto moderno: Medea non è rappresentata come una donna pazza che si vendica, il discorso è molto più ampio, mostra i peccati di Giasone e i suoi comportamenti sbagliati: il comportamento dell’uomo e della società è sbagliato, la vendetta di Medea è, in qualche modo, giustificata. La tematica dell’errore maschile e dell’errata impostazione della società è approfondita da Franca Rame nella sua analisi di Medea; abbiamo anche la rilettura di Medea al maschile fatta da Franco Bacciaroli. TRAMA Dopo aver aiutato il marito Giasone e gli Argonauti a conquistare il vello d’oro, Medea si è trasferita a vivere a Corinto insieme al consorte ed ai due figli, abbandonando il padre per seguire l'amore. Dopo alcuni anni, però, Giasone decide di ripudiare Medea per sposare Glauce, la figlia di Creonte, re di Corinto. La donna si lamenta col coro delle donne corinzie in modo disperato e furioso, scagliando maledizioni sulla casa reale, tanto che il re Creonte, sospettando una possibile vendetta, le intima di lasciare la città. Tuttavia, nascondendo con abilità i propri sentimenti, Medea resta ancora un giorno, necessario per poter attuare il proprio piano. Medea rinfaccia a Giasone tutta la sua ipocrisia e la mancanza di coraggio, ma Giasone sa opporre solo banali ragioni di convenienza. Di fronte all'indifferenza del marito, la donna attua la sua vendetta. Per prima cosa ottiene dal re di Atene Egeo (di passaggio per Corinto) la promessa di ospitarla nella propria città, offrendo le proprie arti magiche per dargli un figlio; poi, fingendosi rassegnata, manda in dono alla futura sposa di Giasone una ghirlanda e una veste avvelenata. La ragazza, indossati i doni, muore tra atroci tormenti bruciata Tale scena viene raccontata da un messaggero. A questo punto Giasone accorre per tentare di salvare almeno la propria prole, ma Medea appare sul carro alato del dio Sole, mostrando i cadaveri dei figli che ella stessa, seppur straziata nel cuore, ha ucciso, privando così Giasone di una discendenza. Alla fine, la donna vola verso Atene, lasciando il marito a maledirla, distrutto dal dolore. Applicando alla tragedia di Euripide la teoria di Aristotele, scopriamo che essa funziona: - Unità d’azione: non ci sono altre narrazioni, la vicenda si concentra su Medea e basta, il pubblico viene a conoscenza della storia del vello d’oro solo dal coro. - Unità di tempo: la vicenda si svolge nell’arco di una sola giornata, la follia di Medea procede rapidamente in un arco di tempo brevissimo - Unità di luogo: la vicenda si concentra solo sulla città di Corinto, non ci sono momenti ambientati in luoghi differenti, la vicenda inizia direttamente a Corinto, non è visibile la patria di Medea. Per quanto riguarda gli aspetti propriamente formali del lungo discorso di Medea, possiamo analizzarle alcuni elementi importanti (https://youtu.be/tn6mujpwqEk): • La voce: la voce di Medea era rappresentata come alquanto sgradevole, ma ciò occorreva per enfatizzare la potenza della recitazione degli autori • La denuncia: Medea non dà inizio al suo discorso con l’intento di scusarsi o di giustificare le sue azioni, compie una denuncia nei confronti non solo delle azioni di Giasone, ma anche della società. • La persuasione: il discorso di Medea ha una grandissima capacità persuasiva, riesce a convincere il pubblico nonostante la brutalità delle sue azioni. La classificazione di Aristotele Aristotele, considerato uno dei massimi filosofi e teorici della Grecia antica, individue tre unità fondamentali che devono comporre le tragedie affinché esse siano funzionali e possano ottenere maggiore successo: Unità d’azione Il pubblico doveva seguire una sola vicenda, la storia narrata doveva essere una, lineare e senza intrecci. Unità di tempo L’azione doveva svolgersi nell’arco di massimo ventiquattro ore perché era impossibile far comprendere al pubblico il passare del tempo Unità di spazio L’azione doveva svolgersi in un unico luogo. Quando si raccontano di fatti ambientati in altri luoghi, lo si racconta tramite ricordo Le regole imposte da Aristotele predisponevano la presenza costante di un pubblico e ne sottolineavano l’importanza. Lo scopo delle opere teatrali era la catarsi, il miglioramento morale del pubblico al termina della rappresentazione: assistendo alle tragedie e ai risvolti tragici a cui le azioni dei personaggi conducono, essi dovevano essere spinti a migliorarsi, a compiere azioni diverse. Spesso la catarsi era aiutata dal coro che, al termine della rappresentazione, con un ultimo canto, invitava il pubblico alla riflessione. Le macchine sceniche Lo spazio teatrale della Grecia antica era pressoché vuoto, non esistono veri e propri elementi scenici (per quelli dovremmo aspettare il teatro cinquecentesco in Italia). La mancanza di un vero e proprio sfondo scenico permetteva al pubblico di concentrarsi sulla rappresentazione vera e propria, su ciò che gli attori interpretavano senza distrazioni. Tra le macchine ricordiamo: • Mechané: gancio che, attraverso l’ausilio di una carrucola, permetteva ad un attore/personaggio di comparire sulla scena dall’alto o dal basso Solitamente a comparire era la divinità che interveniva e risolveva la situazione. Questo macchinario permetteva l’unità d’azione cantata da Aristotele: la discesa del dio, ad esempio, permette di conoscere la sua idea che, se fosse rimasto nell’Olimpo, il pubblico non avrebbe potuto conoscere. • Ekkyklema: piattaforma girevole che permetteva di celare una scena cruda e di tornare a mostrare l’attore a scena conclusa. Un esempio sono certamente le scene brutali di omicidio che non potevano essere viste dal pubblico, eppure il cadavere veniva spesso mostrato al termine dell’assassinio. La macchina permetteva di mantenere l’unità spaziale, non spostando la scena in un altro luogo. Questo macchinario scenico, se pur in versione migliorata, è utilizzato ancora oggi. • Periacti: prismi che venivano posti tra due colonne che avevano il compito di creare cambiamenti di luce ruotando. Potevano essere utilizzati anche per creare effetti speciali. • Scaletta di Caronte: botola che si trovava all’interno della skene e che comunicava con il coro permettendo all’attore di scomparire e apparire o di apparire al centro del coro tramite un corridoio sotterraneo. Questo sistema è ancora molto comune nei teatri del Barocco. Il dramma satiresco e la commedia Il dramma satiresco del V secolo a.C. era una breve composizione comica che veniva aggiunta in coda ad una trilogia tragica, formando così una tetralogia. Era composto dallo stesso autore delle tragedie che normalmente riprendeva gli stessi temi della tragedia ma in chiave comico-burlesca che aveva lo scopo di risollevare gli animi del pubblico. È sempre Aristotele, nella Poetica, a testimoniare la nascita della commedia a come evoluzione delle falloforie (processioni propiziatorie). Il termine greco komodia “canto del kosmos” è una parola attica che indica la gioia e la licenza del simposio dopo un corteo festeggiante. Essa si sviluppò in contemporanea con la tragedia ma non ebbe lo stesso successo, anche se si rintracciano figure fondamentali della storia greca anche nel genere. Il primo a tramandare per iscritto la commedia fu Epicarno che legò con un filodrammatico scenette ispirate alla parodia e alle figure mitologiche. Possiamo distinguere, sulla base di una teoria dei filosofi alessandrini, l’epoca della commedia in tre fasi differenti: o Commedia antica: periodo compreso tra l’istituzione degli agoni e la morte di Aristofane nel 380 a.C. o Commedia di mezzo: periodo compreso tra la morte di Aristofane e quella di Alessandro Magno nel 323 a.C., è un’età indefinita di cui non ci sono rimaste fonti scritte ma che sembra aver confermato la rappresentazione della vita quotidiana e l’eliminazione delle parabasi o Commedia nuova: periodo compreso tra la morte di Alessandro Magno e il III secolo a.C. Aristofane (Cidateneo 445 a.C. – Atene 380 a.C.) Della sua produzione conserviamo i testi completi di undici commedie: Acarnesi, Cavallieri, Nuvole, Lo spazio scenico è abbastanza ridotto, il pubblico era seduto su gradinate o per terra, talvolta il pubblico era seduto dietro l’autore che si trovava a recitare in mezzo al pubblico. È interessante notare come Dario Fo accentui la fisicità e come utilizzi il suo corpo per trasmettere il messaggio. La fondazione del teatro moderno Il confronto con il teatro antico ln Italia, prima che in Europa, la cultura d'ispirazione classicista compie un salto di qualità rispetto all'approccio medievale e si trasforma in un nuovo progetto artistico. Rinascimento è il termine con cui si denomina questa trasformazione culturale che coincide, cronologicamente, con il XVI secolo, mentre in Europa si manifesta più tardi, grazie al confronto con l'esempio italiano. L'evento caratterizzante del periodo sarà l'invenzione del teatro come lo conosciamo oggi, nell'insieme delle sue componenti: l'edificio, la scenografia, l'arte dell'attore professionista, i nuovi generi drammatici. La commedia dell’arte Quello della commedia dell’arte è un fenomeno cronologicamente lunghissimo, la prima data utile risale al 1545 (datazione del primo documento ritrovato). È una forma di spettacolo molto attiva, sia in Italia sia all’estero, fino a circa metà dell’Ottocento con grande fortuna. È un fenomeno stranamente molto lungo, il pubblico ne è molto affezionato. Il fenomeno nasce e si sviluppa in Italia ed è legato ad un certo stereotipo dell’Italia e dell’italiano: da qui prendono avvio una serie di fortunate discendenze in tutti gli ambiti che danno al nostro paese un’immagine rappresentativa del nostro paese. Nel 1545 viene ritrovato il primo documento, una specie di atto notarile che sancisce l’unione di una serie di attori che rappresentavano i loro spettacoli nelle piazze. È una sorta di regolamento interno che regolava la vita della compagnia teatrale di ser Mafio e dei sette attori. Questo documento dimostra il primo intento di creare una vera e propria compagnia che basi le proprie regole sugli aspetti economici: gli attori non sono più solo artisti, diventano “mercenari”, è un vero e proprio lavoro. Possiamo affermare che la commedia dell’arte nasce a Padova. I comici dell’arte sono connessi al personaggio del ciarlatano, una figura che vendeva nelle piazze prodotti di varia natura (per lo più inutili) a gruppi di popolani che si riunivano. Alla vendita erano abbinati degli spettacoli, essa spesso era inframezzata da una canzone o con un’acrobazia con l’intento di attirare il pubblico. La figura dei ciarlatani era molto vicina a quella dei giullari che, esattamente come loro, sapevano cantare, ballare e poetare ma i ciarlatani univano a queste doti artistiche la capacità di vendita. Il fenomeno dei ciarlatani era sempre in crescente espansione e, proprio per questo, quando essi arrivavano nelle piazze, si dava spesso avvio alla competizione, così goni ciarlatano doveva trovare modi sempre diversi di attirare i compratori. Accanto al ciarlatano veniva dunque posta la figura della servetta (che poi evolverà in soubrette) che fu la prima figura femminile vera inserita nell’ambito della rappresentazione (la figura femminile viene inserita nel contesto della rappresentazione circa negli anni Sessanta del Cinquecento). Se dapprima la servetta svolgeva solo la funzione di valletta, era un affiancamento, alla fine riuscì a riservarsi un vero e proprio spazio nella rappresentazione creando scenette comiche (contrasti, scene divertenti). Progressivamente, tuttavia, la figura del ciarlatano come venditore lasciò il posto alla figura dell’attore che, recitando, otteneva la propria sussistenza (il pubblico era più attratto dalla rappresentazione che dagli oggetti venduti). Il termine “commedia dell’arte” può avere due accezioni: • Commedia dell’arte come commedia della bravura, gli attori erano capaci di ottenere il successo dal pubblico (valore estetico) • Commedia dell’arte come commedia delle “arti e dei mestieri”, è una commedia professionale, gli viene data l’accezione di professione vera e propria. La commedia dell’arte non avrà vita facile sin dalle origini, essi incontrano tre grandi tipologie di opposizione: L’elisir d’amore Gaetano Donizzetti mette in scena l’arrivo di un ciarlatano, il dottor Dulcamara (https://www.youtube.com/watch?v=ITyXKq57o98&t=163s), su un carro in una piazza. Il popolo, riunito nella piazza, è inizialmente incuriosito dal personaggio di Dulcamara e dal suo bizzarro carro stracolmo. Il dottor Dulcamara arriva nella piazza proprio con l’intento di vendere i prodotti: egli vende un elisir (un liquore) capace di uccidere topi e cimici ma anche di risolvere problemi (un uomo molto anziano è riuscito ad avere dieci figli, può far ringiovanire le “matrone rigide”, può muovere i paralitici e guarire gli asmatici). Il dottore è munito di certificati che giustificano gli usi del suo prodotto, ma ne garantisce la possibilità di lettura ad un pubblico che non sapeva leggere. Il dottor Dulcamara riesce a vendere tutte le boccette di questo elisir (per tre lire) che, alla fine dell’opera, si scopre essere del semplice bordeaux (“comprate il mio specifico, per poco ve lo do”). Possiamo notare come l’opera performativa dell’attore, il modo in cui vende, sia più importante di quello che vende in sé. L’improvvisazione Improvvisare è un termine giusto affiancato al concetto di commedia dell’arte, ma esso deve essere limato: esisteva, per i comici dell’arte, una sorta di storyboard che regolava l’insieme delle entrate in scena e delle uscite di scena che occorreva ai comici per capire cosa avrebbero dovuto fare (era chiamato canovaccio). Esso era un grande grande foglio di carta, solitamente appeso nelle quinte tramite una cantinella, che permetteva all’autore di avere una sorta di “linea generale” per svolgere la scena, essendo a conoscenza delle azioni degli altri attori. L’improvvisazione era dunque presente perché non vi era un vero e proprio testo letterario, ma era perfettamente regolamentata da un quadro generale. Ad esso si affiancava il catologo delle robbe, una serie di elementi scenici (fondale dipinto con una quinta) o accessori di scena che permettevano al comico di entrare in scena e di proseguirla nel modo migliore, dava informazioni utili sulla rappresentazione della scena. La chiesa che rappresentava un ampissimo ostacolo a causa del periodo storico vissuto, quello dell’Inquisizione (Concilio di Trento). I comici dell’arte saranno a lungo esiliati e tenuti lontane dalle città poiché la chiesa vedeva nei comici dell’arte un esempio da non seguire, raccontavano storie legate al divertimento e al soddisfacimento dei piaceri. A questo si aggiungeva la rappresentazione della figura femminile che, libera e priva di vincoli, era considerata troppo spregiudicata (strumentum diavoli). Gli organi di polizia, molto presenti in un territorio italiano ancora molto frammentato. Gli attori della commedia dell’arte erano nomadi, si spostavano continuamente, attraversando tutta l’Italia e non solo. Ciò era considerato pericoloso perché erano incontrollabili, portavano con sé la capacità di fare satira: potevano portare da uno stato all’altro informazioni che non dovevano uscire da un dato territorio. La cultura ufficiale (accademie, centri culturali) vede nell’accademia dell’arte un elemento che non può essere considerato cultura poiché le commedie non sono frutto di testi letterari. La commedia dell’arte non ha dignità artistica perché l’arte non deve mai essere mercenaria, non deve basarsi sul denaro. Ad essi si aggiungevano i generici repertori o zibaldoni, dei libroni che ogni attore teneva con sé e in cui scriveva tutto quello che il suo personaggio/ruolo doveva fare in tutte le situazioni possibili. Potevano essere elementi di due tipologie: o Delle parti: venivano inseriti monologhi, duetti o tirate o Dei lazzi: venivano inserite sequenze mimiche, gestuali È possibile riassumere il concetto di zibaldone come un insieme di appunti che riguardavano per lo più l’interesse del pubblico (tale azione piaceva al pubblico, dunque doveva essere fatta in quel determinato momento). ESEMPIO: mentre fugge dopo aver rubato, il servo fa un salto mortale Un’altra delle grandi abilità dei comici dell’arte era la capacità di suonare strumenti musicali, solitamente strumenti a corda o a fiato (solitamente erano inseriti nella commedia attraverso le serenate fatta dallo zanno per il padrone o per una servetta. I ruoli della commedia dell’arte La commedia dell’arte aveva ruoli ben definiti che si dividevano in due gruppi: • Ruoli fissi: ruoli sempre presenti nella commedia; erano due vecchi, due zanni (personaggi popolari, contadini) e due innamorati • Ruoli mobili: erano ruoli di secondaria importanza, non avevano battute ma prendevano parte alla rappresentazione; erano il capitano, la servetta, i musicisti (accompagnavano la rappresentazione), le comparse e i figuranti I ruoli erano quasi sempre muniti di maschere che vengono riprese dal teatro greco, diventando protagonisti delle vicende. Ad avere la maschera erano: - Per quanto riguarda i ruoli fissi, ad avere le maschere erano i vecchi e gli zanni - Per quanto riguarda i ruoli mobili, ad avere le maschere era solo il capitano La maschera spesso aumentava la fisicità meccanica di alcuni attori perché la pesantezza e la rigidità della maschera impediva certi movimenti, incentivandone altri ESEMPIO: quando un nuovo attore entrava sulla scena, se l’attore già presente in scena avesse indossato una maschera, sarebbe stato costretto a voltarsi totalmente per poterlo vedere. I VECCHI I vecchi erano solo due: Pantalone (detto anche magnifico) e il dottore. Pantalone è un mercante avaro (sempre rappresentato con la borsa, intento a tenere conto del denaro), libidinoso (cerca di soddisfare le sue brame sessuali corrompendo la classe popolare, solitamente la servetta) proveniente da Venezia (che era l’emblema della città mercantile e della borghesia imprenditoriale), aveva un atteggiamento un po’ da galletto (segnava movimenti che erano funzionali al suo personaggio sullo zibaldone). Dottore (il più celebre è il dottor Balanzone) era il professore universitario che parlava molto, era dottore di vari ambiti universitari ma che in realtà conosceva molto poco. Era capace di vendere molto bene la sua cultura (parlava, ad esempio, un finto latino o curava con pratiche di medicina inventate) che in realtà era alquanto scarsa e imprecisa. Proveniva da Bologna che al tempo era il primo ateneo in Italia. GLI INNAMORATI Gli innamorati erano due (ma potevano essere anche quattro), un personaggio femminile e uno maschile dotati di nomi della tradizione poetica (Beatrice, Laura, Florindo, Silvio), abbigliati come i nobili dell’epoca, L’arlecchino servitore di due padroni () è una commedia dell’arte di Giorgio Strehler rappresentata per la prima volta in Italia nel 1947 ma che ebbe un successo planetario, girò tutto il mondo e ottenne sempre un grande successo perché il pubblico seguiva le vicende con un grandissimo interesse anche senza comprendere la lingua. Possiamo affermare che quest’opera, tuttavia, non fosse una commedia dell’arte ma un testo di Goldoni da Strehler che lo rimette in scena pensando alla commedia dell’arte. Possiamo analizzare alcuni elementi d’interesse: • Arlecchino entra dalla sala, si rompe la parete immaginaria (quarta parete) tra il pubblico e il palcoscenico (sembra riportare lo spettacolo negli stanzoni dove una volta veniva rappresentato) • Sono presenti in scena la maschera del dottore, quella di Pantalone, quella della servetta (di cui notiamo la caratteristica della fisicità esibita) e la coppia di innamorati • Costruzione del ritmo che si crea nella scena, ritmo quasi perfetto, si crea un meccanismo tale per cui gli attori, guidati dal canovaccio (letto dal suggeritore) • Lazzo dell’orecchio: sembra che Pantalone non senta (continua a chiedere chi sia Arlecchino) e Arlecchino passa il cappello da una parte all’altra della testa per sturargli le orecchie; tutti i personaggi intervengono nella scena, a dimostrazione della funzionalità del canovaccio • Ingresso in scena degli innamorati (si riconoscono dagli atteggiamenti e dai vestiti), entra in scena con il lazzo dello svenimento: l’innamorata sviene portando in scena il dottore che dimostra di non sapere molto della sua professione che dapprima legge il codice di giurisprudenza per errore, poi la cura con i sali. • Lazzo di Brighella: servo astuto, in ha la balbuzie che si trasforma in un lazzo in cui Pantalone e il dottore trasformano la balbuzie in un momento musicale. • Idea del travestimento sempre presente nell’idea della commedia dell’arte: il costume di Federigo viene indossato dalla sorella che svolge un ruolo centrale nella commedia dell’arte. • Arlecchino viene chiamato ad imbastire una cena per entrambi i suoi padroni: Arlecchino entra in scena portando una zuppiera e consegna una serie di pietanze sempre attraverso delle acrobazie. Lazzo del budino (anche questo, come tutti i lazzi, poteva durare di più o di meno sulla base dell’apprezzamento del pubblico). La fine della commedia dell’arte La commedia dell’arte non sopravvive nel corso del tempo a causa della nascita di nuove forme di teatro sviluppatosi a seguito della Rivoluzione francese: la commedia dell’arte, la sua natura scherzosa e buffa, perdono spessore nel pubblico che si convince che il teatro debba dire qualcosa, non solo far ridere. Dell’arte della commedia dell’arte rimangono, nella tradizione teatrale successiva: L’opera Pergolesi, La serva padrona (https://www.youtube.com/ watch?v=ZUa3AN-_hM0) in quest’opera è la servetta che comanda il nobile ordinandogli di non parlare. La servetta parla in italiano, ma è chiaro il riferimento alla maschera originale che parlava il dialetto napoletano (“Stizzoso, mio stizzoso). Il ruolo della servetta Totò, A cammisella (https://www.youtube.com/ watch?v=7Fl_QtnABTY) una donna incontra Totò e gli rivela di amare gli uomini brutali, gli chiede di picchiarla e di minacciarla. Totò ci prende gusto e inizia a chiedere alla donna, progressivamente, di spogliarsi fino a quando la situazione si ribalta e, pistola in mano, è la servetta a far spogliare Totò (la scena è tutta molto musicale). L’evoluzione del servo sciocco Paolo Villaggio, Il secondo tragico Fantozzi (https://www.youtube.com/watch ?v=d9ehjBmHVys) la signorina Silvani offre a Fantozzi una banconota da giocare sul 27. I movimenti e le espressioni della signorina Silvani sono tipici della commedia dell’arte. (https://www.youtube.com/watch ?v=4CVBpiUXEvs) importanza della mimica che riprende quella della commedia dell’arte. L’uomo seduto al tavolo da gioco obbliga Fantozzi a continuare a bere acqua gasata perché il gesto porta fortuna nelle carte, gli chiede di continuare anche quando Fantozzi, per il troppo gas, inizia a fluttuare per tutta la sala. Lo spazio scenico nel Cinquecento Nel Cinquecento, con la nascita del Rinascimento, il luogo teatrale inizia ad acquisire forme stabili (https://www.youtube.com/watch?v=2nHHIGXL2u0&t=7s). Con il rinascimento, anche il luogo teatrale acquisisce delle forme stabili. È nei luoghi a cui aveva preso piede la commedia dell’arte che troviamo i primi teatri intesi come luoghi per la rappresentazione delle opere. Essi nacquero dalla volontà di alcuni accademici o alcune famiglie nobiliari di creare luoghi privati riservati alle rappresentazioni di opere. Nella storia del teatro rinascimentale, prendiamo ad esempio tre grandi stanze teatrali: teatro Olimpico di Vicenza (minuto 6:50 – 14:13) Nel 1580 Andrea Palladio, uno dei più affermati architetti vicentini, viene incaricato della costruzione del teatro Olimpico che verrà tuttavia ultimata da Vincenzo Scamozzi. Situato all’interno di una struttura, il teatro Olimpico è una sala teatrale relativamente piccola ma dotata di uno spazio ben delimitato, con una struttura appositamente costruita e dotata di tetto (una novità rispetto ai teatri greci). Il teatro era quasi totalmente realizzato in legno, per questo era molto delicato e ancora oggi sono presenti molte restrizioni per poterlo visitare e per poter realizzare rappresentazioni. Nel teatro olimpico si rappresentavano per lo più tragedie (la prima rappresentazione è l’Edipo re di Sofocle) e rappresentazioni musicali, ciò dipendeva anche dalla presenza della scena fissa che rappresentava sempre la dimensione cittadina. La sua struttura richiama la cavea antica, è uno spazio molto simile ai teatri greci, dotato di gradinate e di uno spazio dedicato all’orchestra (emiciclo), un palcoscenico dotato di una scenae fronts fissa. La scenae fronts è molto decorata, dotata di statue e finte colonne. I basso rilievi e decorano la scenae fronts, oltre a rappresentare scene mitologiche, rappresentano gli accademici di maggior rilievo che si fanno ritrarre a testimonianza della loro capacità. La vera novità del teatro Olimpico sono le vie di fuga, situate alle spalle del scenae fronts che occorrevano per richiamare lo scenario in cui le opere erano ambientate. È importante l’uso della prospettiva, che viene introdotta per dare profondità. Entrando nelle vie prospettiche, ci si accorge che la prospettiva viene distrutta dunque non erano praticabili; di conseguenza le statue erano viste sempre da lontano, e per questo erano realizzate grossolanamente (accadeva anche con i costumi). L’illuminazione era realizzata attraverso cere o lampade ad olio che venivano poste all’interno delle vie di fuga. La prospettiva data dalle vie di fuga riprendeva la scenae fronts tipica dei teatri greci in cui lo sfondo era dato dagli elementi naturali (pensando al teatro di Taormina, lo sfondo è un paesaggio da cui è possibile vedere anche l’Etna). Teatro di Sabbioneta (minuto 16:18 - 23:18) Nel 1588 Vincenzo Scamozzi viene incaricato dalla famiglia Gonzaga di realizzare un teatro privato che si sposasse bene con la città che lo avrebbe ospitato. La città di Sabbioneta è un grande esempio dell’opera architettonica del rinascimento perché viene costruita proprio come una città ideale seguendo le idee del De architettura di Vitruvio. La struttura del teatro è ricavata in un palazzo che non richiamava la struttura classica di un teatro visibile dall’esterno. Il teatro di Sabbioneta è andato in parte distrutto, risulta difficile comprendere la vera natura della scena, anche se pare che fosse ispirata a quella dell’ Olimpico di Vicenza. Esiste però una ricostruzione della scena originale ma di cui non è certa l’attendibilità. Si componeva di una pianta mistilinea (composta di linee miste) che ha già al suo interno l’idea di un loggiato anche se esso non è ancora praticabile. All’interno della loggia erano presenti pitture che ritraevano personalità sia del passato sia contemporanee (che venivano comunque ritratti come personaggi antichi). Viene dipinto anche il pubblico che assiste allo spettacolo, creando una sorta di metateatro (teatro nel teatro) ma anche la presenza di musici e attori come i comici dell’arte. La cavea è presente anche se è decisamente ridotta e anche se perde la sua struttura totalmente circolare, essa viene vagamente modificata proponendo una struttura leggermente diversa, più angolare che permetteva alle persone sedute in qualunque punto di assistere alla scena nel modo migliore. Teatro Farnense (minuto 24:30 – 27:24, minuti 30:35) All’inizio del Seicento Giovanni Battista Aleotti viene invitato a Parma dalla famiglia Farnese per costruire uno spazio teatrale connesso al palazzo che rivoluzionò la struttura teatrale del rinascimento. La prima differenza del teatro di Parma stava nelle dimensioni, il teatro era uno spazio decisamente più grande che poteva contenere circa 3.000 persone. Ad oggi lo spazio teatrale è poco utilizzato anche a causa della sua struttura delicata. Una delle più celebri rappresentazioni realizzate nel teatro Farnense è l’introduzione al Rigoletto di Giuseppe Verdi in cui assistiamo alla rappresentazione di Luciano Pavarotti (https://www.youtube.com/watch?v=fYDI6MWkCW8). Lo spazio del teatro Farnense era inserito in una dimensione diversa che attribuiva una grandissima importanza della verticalità. All’interno coesistono due spazi per la rappresentazione, il palco e uno spazio piatto per rappresentazioni di tipo differente (vi si rappresentavano, ad esempio, delle dimostrazioni equestri). È realizzato con una pianta ad U allungata, la struttura tonda non esiste più, diventa molto più simile a quella di una U. Non solo i lati vengono allungati, ma appaiono per la prima volta due loggiati in cui potevano prendere posto gli spettatori. I loggiati sono abbelliti da affreschi e pitture che riportano sempre l’idea di autocelebrazione. Il palcoscenico si trasforma in arco scenico che sarà fondamentale per le rappresentazioni successive, inoltre dietro il palcoscenico erano già presenti alcune macchine sceniche. Occorre precisare che il teatro rinascimentale era inteso come luogo di autocelebrazione, un luogo in cui le famiglie e gli accademici dovevano rendere evidente la loro importanza. Chiunque entrasse nel teatro per assistere ad una rappresentazione doveva rimanere stupito, doveva accorgersi del valore della famiglia che lo possedeva. Nei teatri spesso venivano ospitate figure di grande rilievo che occupavano posti d’onore all’interno del teatro, diventando talvolta più importanti dello spettacolo rappresentato. Il teatro elisabettiano Il Seicento è un secolo molto importante nella storia del teatro non solo in Inghilterra, ma in tutto il mondo: in Francia spicca l’opera teatrale di Moliere, in Spagna la vivacità dello spettacolo teatrale assume una finale tragico o Romances: opere che hanno poca connessione tra loro e di cui è incerta l’attribuzione alla figura di Shakespeare. Questa ultima sezione raccoglie opere alquanto vaghe che potrebbero rientrare in altri generi (La tempesta è spesso considerata una commedia). Conosciamo anche andate perdute che negli anni sono state attribuite a William Shakespeare, Cardenio e Pene d’amore vinte. Nonostante le grandi differenze tematiche, stilistiche e di genere delle diverse opere scritte da Shakespeare, possiamo rintracciare in esse alcuni elementi comuni che furono introdotti all’interno delle opere e che caratterizzarono la nuova tradizione del teatro elisabettiano. Tutto il teatro shakespeariano non rispetta volutamente le categorie aristoteliche. Questa era una scelta tipicamente shakespeariana perché in Francia esse erano ancora in vigore, erano il centro dell’Academie francaise: • Unità di luogo: i luoghi delle opere di Shakespeare sono molteplici e cambiano continuamente; il pubblico poteva comprendere l’ambientazione solo grazie al testo in cui l’autore inseriva lunghe descrizioni dei luoghi (ciò era indispensabile anche a causa della mancanza delle scenografie) • Unità di tempo: l’opera non era concentrata nell’arco di ventiquattrore, il tempo era scandito dalle parole dell’attore che dava indicazioni sul momento dello svolgimento della vicenda (ciò era dato anche dalla mancanza di costumi di scena che, non venendo cambiati, non scandivano l’arco temporale) • Unità d’azione: nonostante ci fosse una vicenda portante che regolava gran parte dello svolgimento della rappresentazione, ad essa si sovrapponevano altre storie Il teatro shakesperiano seguiva quella che, a partire dall’Ottocento, diventa conosciuta come la teoria del teatro totale: il teatro di Shakespeare univa poesia, musica (che spesso era scritta per l’occasione, nel teatro era presente uno spazio appositamente dedicato all’orchestra che suonava), danza e recitazione. Era una forma di teatro totalizzante anche per quanto riguardava i ruoli: in ogni rappresentazione erano presenti sia ruoli comici, sia tragici. Un nuovo ruolo introdotto era quello del full, personaggi irrazionali che avevano funzioni diverse all’interno delle opere, solitamente comiche. Il teatro di Shakespeare ha la grande caratteristica di essere senza tempo, le opere di Shakespeare trattano argomenti che sono contemporanei a tutte le epoche. Shakespeare è l’autore più rappresentato al mondo, le sue opere sono largamente rappresentate anche nella modernità (cinema, pubblicità, teatro, musical). Questi elementi di novità sono chiaramente visibili realizzando (con l’aiuto della Royal Shakespeare company) una breve cronologia delle diverse rappresentazioni dell’Amleto. Nella prima fotografia, risalente alla rappresentazione del 1975 diretta da Buzz Goodbody, possiamo notare una figura di Amleto più standardizzata, in linea con i cardini dell’epoca. Nella rappresentazione più recente, Amleto rappresenta meno i cardini sommando questo ad un minor rigore nel rispetto dell’opera originale. Romeo e Giulietta Romeo e Giulietta (Romeo and Juliette) è una delle opere italiane di William Shakespeare, ambientata a Verona e scritta presumibilmente tra il 1594 e il 1596: la datazione è difficoltosa, è data da un riferimento storico presente in una delle prime copie a stampa. La tragedia/commedia è composta di cinque atti che portano avanti la vicenda. La storia racconta lo scontro tra due famiglie, i Capuleti e i Montecchi, la vicenda viene immediatamente raccontata nel prologo: l’importanza del prologo è data dall’esigenza di raccontare e collocare cronologicamente la vicenda. La scena è quella elisabettiana, al centro del palco (vicinissimo al pubblico) un uomo in costume tipicamente elisabettiano (anche se pare che la vicenda dell’opera si svolga nel Duecento) inizia a recitare il prologo. L’inner stage si compone di stendardi che ricordano le famiglie e di un fondale dipinto che rimanda ad una generica città italiana (Verona al tempo non era molto conosciuta) che permetteva al pubblico di ambientare la vicenda (https://www.youtube.com/watch?v=FAfih_YUgMk&t=2438s). Romeo appartiene alla famiglia dei Montecchi, ha sedici anni ed è innamorato di una ragazza, Rosalina, di un amore non corrisposto (la donna non è visibile nella vicenda). Romeo si confida con i suoi amici più cari, Benvoglio e Mercuzio, e con loro Romeo decide di fare una bravata: andare ad una festa che si svolge nella casa dei Capuleti, famiglia con cui la sua aveva una faida da molti anni (forse riferimento storico ai guelfi e ghibellini). Romeo e gli amici entrano mascherati, e durante il ballo Romeo ha un colpo di fulmine con una bellissima ragazza che però è sua rivale diretta: è Giulietta Capuleti, figlia dell’anziano Capuleti. Al termine della festa, Romeo si reca sotto il balcone della ragazza: i due parlano e si innamorano, tanto che appena può Romeo corre a cercare frate Lorenzo, un prete che possa sposarli. Frate Lorenzo acconsente al matrimonio perché vede nell’unione tra i due giovani un tentativo di pacificare la città e il diverbio tra le due famiglie. Nel frattempo, però, la famiglia Capuleti ha già organizzato il matrimonio di Giulietta (che aveva quattordici anni, età da matrimonio) con Paride, un ricco giovane. La faida tra le due famiglie è sempre più tesa perché Tebaldo, cugino di Giulietta, si è accorto della presenza di Romeo e degli amici alla festa. Si celebrano le nozze tra Giulietta e Romeo all’insaputa delle due famiglie. A causa di un infausto incontro in piazza, Tebaldo sfida a duello Mercuzio, Romeo vorrebbe intervenire ma non può perché sente Tebaldo come un parente (perché ha sposato Giulietta, è un Capuleti anche lui) ma, quando la lotta si fa più accesa e Mercuzio è in grande difficoltà, Romeo interviene perché Tebaldo uccide Mercuzio, così Romeo è costretto, per vendetta, ad uccidere Tebaldo. Romeo è riconosciuto come assassino e viene condannato all’esilio ma, prima di partire, si reca da Giulietta a vivere la loro notte d’amore in cui Romeo confessa all’amata di aver davvero ucciso Tebaldo, di essere un assassino. All’alba, Romeo parte per l’esilio e i Capuleti comunicano a Giulietta la data del suo matrimonio, fissata da lì a due giorni, con Paride. In una scena molto violenta, il padre di Giulietta impone il suo comando sulla figlia che richiede di non sposare Paride. Giulietta corre da frate Lorenzo per chiedere aiuto, sapendo che lui è l’unico a conoscere la verità sul suo matrimonio con Romeo (l’unica altra figura a sapere la verità è la nutrice di Giulietta). Frate Lorenzo consiglia a Giulietta di assumere una pozione composta di erbe velenose che l’avrebbe fatta sprofondare in una morte apparente: in questo modo, Giulietta avrebbe evitato le nozze con Paride e avrebbe raggiunto Romeo con cui si sarebbe allontanata dalla città. Giulietta accetta, si prepara per il suo imminente matrimonio, assume la pozione e si addormenta. Il mattino seguente, la nutrice trova il corpo senza vita di Giulietta e la famiglia organizza il funerale celebrato da frate Lorenzo. Nel frattempo, in una città vicina (situata tra Mantova e Verona) una violenta epidemia dilaga e impedisce a chiunque di entrare e uscire tanto che il collaboratore di frate Lorenzo, che avrebbe dovuto avvisare Romeo della morte apparente di Giulietta, viene fermato. Romeo, appresa la notizia che circolava in città della morte della moglie, decide di fare ritorno a Verona per morire nelle tombe scaligere, vicino al corpo di Giulietta. Giulietta è deposta distesa su una lastra di marmo, nella tomba accanto a lei si trovano Romeo e Paride: Romeo, avendo compreso l’amore di Paride per la ragazza, lo sfida a duello e ne esce vincitore uccidendo Paride. Romeo depone il corpo di Paride accanto a quello di Giulietta sotto sua richiesta, poi guarda per l’ultima volta Giulietta prima di bere il veleno e darsi alla morte. Giulietta si risveglia e assiste alla tragedia che è appena avvenuta, anche frate Lorenzo interviene ma è troppo tardi: Giulietta afferra il pugnale di Romeo e si uccide, morendo proprio accanto all’amato. La vicenda si conclude con l’arrivo del principe di Verona e delle due famiglie, il principe invita le due famiglie a ripristinare la pace usando la storia come monito per una pace universale. Come abbiamo già accennato, le tre unità di Aristotele non sono rispettate. Il genere dell’opera shakespeariana è un ibrido tra la tragedia e la commedia: l’inizio della rappresentazione è molto comico ma con il passare del tempo, con la morte di Tebaldo la vicenda prende una piega tragica, cupa. All’interno di questa vicenda è presente la concezione del teatro universale: è presente la danza, la musica, il canto e il divertimento, sono presenti molte parti poetiche. È presente un linguaggio basso e volgare (la figura della nutrice, ad esempio, è molto comica) che convive con il tono eccessivamente alto della tragedia. Assistiamo ad una grande partecipazione del pubblico. Giulietta, svegliatasi dal sonno, chiede “Dov’è il mio Romeo?” e il pubblico risponde e lei si volta a cercarlo. Lo stesso personaggio che aveva recitato il prologo, al termine della vicenda, racconta la morale della rappresentazione al pubblico. Assistiamo ad un’importante distinzione dal teatro greco: il momento della morte è molto evidente, è realizzato sul palco differentemente dal teatro greco in cui le morti avvenivano dietro le quinte ed erano solo annunciate. Questo dimostra la volontà del teatro elisabettiano di avvicinarsi al realismo. Esistono poche opere che hanno avuto una fortuna simile a quella di Romeo e Giulietta. La loro fortuna ha preso in considerazione tutti i campi, da quello letterario (in cui è stata analizzata e riscritta) a quello del teatro musicale (è stato il libretto, il testo di molte opere musicali). (https://www.youtube.com/watch?v=jAHO0er9A8k) rappresentazione all’opera di Charles Gounod che trasforma l’opera di Romeo e Giulietta in un’opera lirica. Un’altra opera, del 1830, che vale la pena di ricordare è Montecchi e Capuleti, un’opera giovanile di Bellini. (https://www.youtube.com/watch?v=6Zvv1ntXKWI) Romeo e Giulietta con le musiche di Sergej Prokof’ev è uno dei balletti più celebri e più rappresentati. Una delle più grandi interpreti del personaggio di Giulietta nella danza fu Carla Fracci. (https://www.youtube.com/watch?v=8IaK_VzGQtI) la pellicola cinematografica di Franco Zeffirelli del 1968, è stata una delle pellicole più amate e più famose di tutta la filmografia contemporanea. (https://www.youtube.com/watch?v=9GXYEPz4deg) Romeo + Juliette del 1996 di Baz Luhrmann è una delle tante possibilità di rileggere l’opera con delle modalità differenti rispetto al testo originale: dimostra come l’opera sia universale e come possa essere rappresentata senza nessuna connessione con il tempo in cui è stata scritta. Era possibile realizzare scene multiple. Il teatro era una struttura dedicata appositamente alla rappresentazione degli spettacoli teatrali, lo spazio era detto el corral de commedias. Commedia nueva Lope de Vega teorizza l’esistenza della commedia nueva, una modalità di rappresentazione basata sulla libertà della concezione spazio-temporale (non esiste più la regola delle tre unità), sul superamento della divisione dei generi, su un sistema dei personaggi ricalcato sulla struttura delle compagnie e su un sistema in tre atti. L’autore più celebre di questo periodo è probabilmente Pedro Calderon de la Barca di cui la sua opera La vita è sogno è una delle opere più rappresentate ancora oggi (anche se le opere del secolo spagnolo non sono più molto rappresentate). Pedro Calderon de la barca è ricordato anche per l’invenzione degli autos sacramentales, un genere allegorico in cui si mettono in scena dei personaggi simbolici con un valore edificante (personificazioni, ad esempio, di povertà e ricchezza, di bene e male). La figura che racchiude tutti i temi della commedia nueva spagnola è certamente quella del Don Giovanni che, a partire dalla sua prima scrittura El burlador de Sevilla y convidado de pietra, incarna tutta la tradizione spagnola del Seicento. Don Giovanni è l’emblema del libertino che, affiancato dal suo fedele servo, si trova sempre a fuggire da uomini gelosi o donne disilluse anche se, alla fine Don Giovanni è sempre soggetto alla punizione divina. Solitamente, Don Giovanni uccide il padre per stuprarne la figlia e, al termine della vicenda, incontra il fantasma del padre a cui stringe la mano e che lo trascina negli inferi. Le vicende di Don Giovanni si connettono direttamente alla commedia dell’arte, perché probabilmente era una commedia portata in Spagna dai commediografi dell’arte che fu scritta per la prima volta da Tirso de Molina. Questa figura, dopo essere stata messa per iscritto, arriva anche in Francia dove Moliere la utilizza per realizzare una commedia di carattere. Il teatro all’italiana In Italia, come abbiamo già accennato, troviamo il grande sviluppo della commedia dell’arte che si sposta in tutto il paese e si espande anche negli stati limitrofi. In questo stesso periodo nasce un altro genere fondamentale, il melodramma, una forma teatrale che unisce la musica al teatro parlato riprendendo l’unità che vigeva nella tragedia greca. Il melodramma è uno spettacolo teatrale aperto al pubblico, raggiunge un grande consenso da parte del pubblico che desidera vederlo: proprio per la grande presenza del pubblico, nasce il teatro pubblico inteso come un luogo in cui, per assistere alla rappresentazione, occorre acquistare un biglietto. La nascita del melodramma e la fortuna della recitazione in musica vanno a creare un monopolio della lingua italiana in tutto il mondo: ancora oggi in tutto il mondo gran parte del repertorio cantato delle rappresentazioni del melodramma è interpretato in lingua italiana. Tra gli autori più importanti in questo periodo ricordiamo: La struttura del teatro Il primo teatro pubblico in Italia nasce dalla necessità di costruire sale teatrali destinate ad un pubblico pagante composto da moltissimi individui. La sala doveva riflettere le differenze tra ranghi sociali, la pianta riprende nuovamente la pianta a ferro di cavallo che permetteva a tutti gli spettatori di assistere in egual modo allo spettacolo. La scena diventa per la prima volta mutevole: era munita di quinte dipinte con elementi prospettici e poste ai lati, poste su dei binari che avevano il compito di spostare la scena per dare spazio a quella successiva. Teatro Santi Giovanni e Paolo, Firenze L’intento del teatro barocco era quello di stupire, per questo era molto comuna l’ausilio di macchine sceniche che permettevano non solo lo scambio delle scene ma anche degli autori. Il pubblico viene così posizionato in verticale: la suddivisione negli spazi dipendeva da un fattore esclusivamente sociale e realizzava la struttura a palchi (o ad alveare). I membri delle diverse famiglie possedevano un palco e sedevano nelle celle (boxes). I palchi erano abbelliti a piacimento dalle famiglie che lo decoravano secondo il proprio gusto (vi erano palchetti più sobri, altri con colori più sgargianti). Il pubblico della platea era solitamente un pubblico alto-borghese, mentre nei palchi sedevano le famiglie aristocratiche (fino alla modifica della norma da parte di Toscanini, i palchi sono rimasti di proprietà delle grandi famiglie). All’esterno, invece, i teatri non erano particolarmente arricchiti seguendo la teoria della “scatola di cioccolatini”: entrare in un luogo non meraviglioso che poi stupisse il pubblico all’interno. Un esempio del teatro del periodo è proprio il teatro la Scala di Milano, che rispetto ai teatri del tempo è una struttura decisamente più grande (può ospitare 2030 persone) e organizzata in modo più evoluto: l’ampliamento della struttura permette una modifica del sistema per ranghi che prevedeva ingressi separati nei palchi e loggiati più bassi per le famiglie borghesi. Nei teatri non si rappresentava solo la musica o la lirica, ma anche il balletto (forse più rappresentato della lirica) ma anche la prosa, anche se questi teatri erano particolarmente inadatti a questo tipo di rappresentazione. All’epoca, la rappresentazione era solo uno dei tanti motivi per cui si andava a teatro: era luogo di incontro, spesso le famiglie nobiliari ospitavano le famiglie che non potevano ricevere nelle loro tenute e si giocava d’azzardo nei foiet (proprio grazie ai proventi del gioco d’azzardo il teatro poteva mantenersi). Gli evirati Spesso lo spettacolo era legato a figure che, per la loro bravura e per la loro capacità artistica, riuscivano a richiamare un altissimo numero di persone. Nel Seicento spiccavano gli evirati, cantanti d’opera che, a seguito dell’operazione chirurgica dell’evirazione, mantenevano la cosiddetta “voce bianca” quella dei bambini prima dell’età dello sviluppo. Questa usanza permetteva una mancanza dello sviluppo vocale che dava origine ad una voce ibrida che non rientrava nei canoni e aveva un’estensione straordinaria (tre ottave) che permetteva un repertorio musicale impossibile per altri cantanti. Gli evirati, presenti in bassissimo numero a causa dell’alta mortalità dell’operazione, potevano divenire grandi star perché gli autori scrivevano delle aree apposta per gli evirati: questo porta ad una complessità ad oggi di rappresentare alcune aree delle opere perché gli evirati, da dopo l’illuminismo, gli evirati smisero di esistere. I grandi evirati (tra cui Farinelli) erano considerati al pari del sovrano, vivevano a corte ed erano personalità tali da avere un importantissimo ruolo sociale. Gli evirati interpretavano ruoli maschili, solitamente personaggi storici o ruoli in cui avevano la possibilità di essere al centro dell’attenzione. Chi andava a vedere gli spettacoli, voleva assistere alle esibizioni degli evirati che, per questo, spesso non aderivano al testo: spesso il comportamento degli evirati era molto libero, erano dotati di una grande libertà e interpretavano ciò che volevano (spesso interpretavano aree di autori diversi in un’unica rappresentazione). L’evirato diveniva in qualche modo autore dello spettacolo perché ne modificava il contenuto con l’intento di stupire, si torna all’idea dell’improvvisazione anche se solo in senso relativo. (https://www.youtube.com/watch?v=y3fzhMnGs5E). Dietro la figura di Farinelli, la scenografia rappresenta il mare (che si connette all’opera) ed è in continuo movimento. Il canto di Farinelli è accompagnato dall’orchestra che accompagna i continui cambiamenti della musica possibili grazie alla sua estensione vocale. La verosimiglianza non è presente: Farinelli è vestito in modo eroico e viene inserito in un contesto importante, ma la voce dell’evirato era particolarmente grave. La scenografia di un cielo barocco, il costume di Farinelli è tipico della figura dell’eroe. La rappresentazione si concentrava non tanto sul testo dell’opera cantata vera e propria, ma sull’aspetto di stupore che la figura imponente sul palco portava. Il Settecento Possiamo affermare che ad influenzare il Settecento come secolo della cultura fu principalmente un grande fattore: l’illuminismo L’Illuminismo è un movimento storico e culturale che influenza tutta l’Europa a partire dall’inizio del Settecento: la corrente intacca tutta la società settecentesca, l’arte e la cultura. Gli illuministi dedicano gran parte del loro interesse al teatro perché in esso vedono un possibile miglioramento dell’uomo e della società e un mezzo per illuminare le menti. Gli illuministi vedono la rappresentazione come un modo per far ragionare il pubblico: attraverso attori che recitano in modo impeccabile e testi che mirano ad un innalzamento morale, gli illuministi recuperano l’antica concezione del teatro come mezzo per un miglioramento morale (concezione già presente nel teatro greco). Si riprende il concetto del realismo, anche se non è ancora inteso come “fotografia della vita” ma come rappresentazione della vita di persone del ceto borghese/medio Si dimenticano le vicende dei grandi eroi in favore di quelle dell’uomo medio (si inizia a parlare di dramma borghese). Denise Diderot Le osservazioni di Diderot si concentrano sulla concreta messa in scena dell’opera teatrale, si interessa agli aspetti tecnici relativi alla recitazione. Scrive dei suggerimenti utili agli attori per interpretare i loro personaggi, non si limita ad elaborare solo concezioni teoriche ma le attua nei suoi testi e nel suo lavoro di autore. Scrive un’operetta molto breve sotto forma di dialogo, Paradosso sull’attore, scritto tra il 1773 e pubblicato nel 1830: è scritto in più momenti della vita di Diderot perché modifica le sue indicazioni lavorando attivamente con gli attori. Il dialogo espone una teoria paradossale che viene portata avanti da due uomini che, riuniti in un caffè, discutono sul sistema del teatro e sulla figura dell’attore. Si contrappongono due idee differenti: • Attore sensibile, coinvolto da quello che sta recitando attivamente • Attore totalmente insensibile, freddo e controllato, distante da quello che recita L’eccessiva espressività dell’attore è solo un fattore negativo perché l’emozione è pericolosa perché inibisce le capacità critiche, gli attori che recitavano commuovendosi erano falsi, la sensibilità rendeva gli attori mediocri mentre il totale distacco li rende attori migliori. Se il pubblico veniva caricato emotivamente dagli elementi narrati, la loro capacità di ragionare veniva inibita, congelata. I PUNTI DI DIDEROT L’emozione non si può ripetere a comando perché è impossibile sentire sempre la stessa intensità nei confronti di una scena. Ogni attore si porta dietro elementi della sua vita perché l’attore è umano. Si deve sempre studiare e riflettere per inserire l’espressione dell’attore in un sistema stabilito. L’attore deve essere colto, deve saper entrare in una società culturale; l’attore non è più un comico dell’arte che recita senza preparazione. L’emozione si forma in una rappresentazione artistica attraverso un processo che non è paragonabile a quello che riguarda episodi della vita naturale. L’attore deve sempre scindere la rappresentazione e la recitazione dal bagaglio delle sue esperienze. L’attore nel pieno possesso dei suoi mezzi è l’attore maturo e non quello giovane. L’artista giovane tende a mettere in atto tecniche nuove che un attore più maturo con più esperienza riesce a mostrare nel modo migliore. Le constatazioni sul controllo degli attori mostrano o la necessità del sangue freddo o la mancanza di emozioni La locandiera La locandiera è una commedia del 1753 in cui si sviluppa il discorso del “teatro utile” che, grazie alla figura di Mirandolina, possa incidere sulla società in modo positivo. La vicenda è molto semplice: Mirandolina gestisce una locanda (che le è stata lasciata in eredità dal padre) e viene corteggiata da due uomini nobili che sono invaghiti dalla sua figura. Tra tutte queste figure spicca il cavaliere, una figura misogina che, al termine della vicenda, si invaghisce anch’egli di Mirandolina. Al termine della vicenda, Mirandolina ribadisce la sua volontà di essere una donna libera di fare ciò che desidera. Mirandolina è la servetta della commedia dell’arte che, passando attraverso il lavoro di umanizzazione della maschera, diventa un personaggio evoluto. La locandiera è la commedia più rappresentata tra quelle di Carlo Goldoni ed è una delle non molte commedie scritte in toscano da Goldoni (https://www.youtube.com/watch?v=mW1zi76rTjE&t=3096s) È il termine della vicenda, Mirandolina ha conquistato il cavaliere che è infuriato perché ha ceduto al fascino di una donna che all’inizio, come tutte le altre, detestava. Gli uomini combattono per Mirandolina, ma fino all’ultimo momento in cavaliere nega di amare la donna. Mirandolina decide di metterlo alla prova usando la gelosia, dichiarando di voler sposare il servo Fabrizio. Al termine della vicenda, quando prende marito, Mirandolina sancisce la sua libertà dimostrando di rimanere libera nonostante il matrimonio; arriva a cacciare i suoi spasimanti dalla locanda che, amareggiati, si allontanano. Alla fine della vicenda Mirandolina, rivolgendosi direttamente al pubblico, espone la morale dello spettacolo. Qualcosa della maschera della servetta è rimasto, ma sono degli accenni (le movenze, i costumi) ma Mirandolina è a tutti gli effetti un personaggio. Goldoni mostra anche il cambiamento sociale: la borghesia è vincente, Mirandolina scaccia i nobili e conseguentemente un aumento del suo status da semplice imprenditrice a contessa. L’allontanamento finale dei nobili con amarezza appare come un preludio della Rivoluzione francese, mostra lo stampo illuminista. Altre opere Nel 1622 venne inaugurato il teatro San Luca a Venezia (oggi teatro Carlo Goldoni) che fu il primo teatro stabile di tutto il Veneto nonché il teatro più antico della città. Il periodo di impiego di Goldoni in questo teatro fu alquanto instabile: egli si occupò per la prima volta della gestione impresariale della compagnia, si trovò a doversi confrontare con una sala teatrale di grandi dimensioni e le sue commedie furono soggette a continui cambiamenti tanto da farlo sprofondare in un periodo di crisi compositiva. Per questo in questi anni ricordiamo solo La trilogia persiana e teniamo e mente che Goldoni intraprese una lunga concorrenza con lo scrittore Pietro Chiari. Il periodo di massima stagione compositiva di Goldoni risale agli anni Sessanta del Settecento (1760-62): in questo periodo compone un altissimo numero di commedie corali (con molti protagonisti) caratterizzate dall’analisi psicologica e sentimentale dei personaggi e altrettante opere che mirano a rappresentare attraverso uno sguardo critico e con un tono decisamente serio il fallimento sociale della borghesia. Tra le opere di questo periodo ricordiamo: - I rusteghi - La trilogia della villeggiatura: Le smanie per la villeggiatura, Le avventure della villeggiatura, Il ritorno della villeggiatura - Una delle ultime sere di Carnovale Negli ultimi anni della sua vita Goldoni si trasferì a Parigi, dove applicò le sue idee innovative nel teatro francese. Goldoni conosceva perfettamente il francese (oltre al toscano e al veneziano) e per questo scrisse opere in lingua come Le bourru bienfaisant e L’avare fastueux. In quel periodo compose i Memoires, opera biografica dedicata al re di Francia che ancora oggi inserisce Goldoni nell’ambiente della storia letteraria, e si dedicò alla stesura di canovacci. L’Ottocento Lo spettacolo che occupa gran parte delle sale teatrale e ottiene un maggior interesse da parte del pubblico è l’opera lirica che esporta le sue rappresentazioni in tutto il mondo (tra i massimi esponenti ricordiamo Verdi, Puccini, Donizetti, Rossetti) Per quanto riguarda la prosa, possiamo rintracciare Verga (crea un teatro verista ma ad oggi non è molto rappresentato) e Alfieri (autore di tragedie, anche se non è corretto inserirlo nell’Ottocento): la presenza di pochi e incerti nomi nel teatro in prosa dimostra quanto questo genere di rappresentazioni fossero schiacciate dal melodramma e dall’opera lirica. La tradizione in prosa prosegue solo attraverso le compagnie di giro, compagnie teatrali nomadi (il nomadismo è una caratteristica delle compagnie molto italiana) che portano il loro repertorio e le proprie rappresentazioni vagando nella penisola. Le compagnie erano spesso sovvenzionate da principi o da governi che utilizzano il teatro come un modo per informare il pubblico e dare dei buoni esempi (compagnie privilegiate): ciò accadde soprattutto sotto il dominio francese in Italia, in cui il governo usava le compagnie teatrali per diffondere la lingua francese e per dare una nuova immagine del nuovo governo. Le rappresentazioni delle compagnie di giro sono legate ad un sistema di ruoli ben preciso, ancora legati alla tradizione della commedia dell’arte. Una categoria storiografica tipicamente italiana nell’ambito del teatro è il Grande Attore, una figura centrale nella compagnia. Aveva delle doti teatrali molto evidenti e si circondava di attori di minor talento che costruivano intorno a lui l’intera rappresentazione: questi Grandi Attori usavano le rappresentazioni per far emergere la loro bravura, diventavano autori del testo teatrale che veniva da loro modificato per far emergere la parte (talvolta modificavano i testi di autori celebri aggiungendo o rimuovendo porzioni intere di testo in favore della loro recitazione) così come nella tradizione del melodramma faceva l’evirato. Tra i massimi nomi di Grandi Attori nella tradizione italiana ricordiamo: • Tommaso Salvini: attore di straordinario talento, è celebre per la sua interpretazione di Otello e per aver modificato il finale della tragedia di Shakespeare rimuovendo la morte di Desdemona > Otello soffoca Desdemona e, credendola morta, si suicida tagliandosi la gola con una sciabola ma, dopo il suicidio di Otello, Desdemona si risveglia trasformando Otello in una vittima. • Ernesto Rossi: è uno dei più grandi attori shakespeariani, a lui si deve gran parte della diffusione in Italia delle opere di Shakespeare • Adelaide Ristori: è una figura molto significativa nella tradizione teatrale dell’Ottocento, ebbe una vita molto nomade e si spostò in molte compagnie di giro fino al momento in cui sposa il marchese Capranica. È celebre per la sua interpretazione della Medea e del personaggio di Lady Macbeth (ne modifica il titolo da “Macbeth” a “Lady Macbeth” perché la protagonista diventa la la signora Macbeth e non più Macbeth stesso, si accentua la figura femminile). Una delle caratteristiche degli attori era la partenza per le tournée che non si limitavano al territorio italiani, viaggiavano per lunghe tratte (arrivavano persino in sud America) soprattutto per ragioni economiche. Durante le tournée recitavano in italiano anche all’estero, a volte recitavano in italiano anche diventando parte di compagnie teatrali locali ma ottenevano comunque un successo straordinario grazie alle modalità di recitazioni straordinarie degli attori che riuscivano a trasmettere non tanto il significato delle singole parole del testo, quanto il senso complessivo della scena. Eleonora Duse (Vigevano, 3 ottobre 1858 – Pittsburgh, 21 aprile 1924) Nel teatro italiano tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento spicca la figura di Eleonora Duse, una delle più celebri attrici italiane: è l’ultima Grande Attrice del teatro dell’Ottocento ma anche la prima attrice contemporanea. Eleonora Duse è, secondo la tradizione, una figlia d’arte di attori appartenenti ad una compagnia d’arte secondaria e proprio per il nomadismo dei suoi genitori nasce a Vigevano. Per lo stesso motivo l’attrice morirà a Pittsburgh dove si trovava per una rappresentazione. La Duse, come tutti gli attori del periodo, esordisce giovanissima nella compagnia di giro del padre e apprende proprio sul palcoscenico la tecnica teatrale (per quanto riguarda l’istruzione, aveva una preparazione modesta, è una carenza che sentirà a lungo). La Duse, come tutti gli attori del periodo, esordisce giovanissima nella compagnia di giro del padre e apprende proprio sul palcoscenico la tecnica teatrale (per quanto riguarda l’istruzione aveva una preparazione decisamente modesta, carenza che sentirà a lungo). All’inizio della sua carriera è un’attrice di medio livello, non ha una corporatura che eccelle sul palcoscenico ma, lentamente, inizia a migliorare fino ad interpretare il ruolo della principessa di Bagdad (fino a quel momento interpretata solo da Sarah Bernhardt) e ottiene un grandissimo successo, diventando una Grande Attrice. Eleonora Duse inizia a comprendere che nel teatro “l’istinto non basta” ma che occorre studiare per potersi migliorare: si connette per la prima volta la figura dell’attrice con quella di una persona colta, aiutata dalla sua storia d’amore con Arrigo Boito (una delle figure più celebri della Scapigliatura italiana) che per lei sarà anche un maestro. Frequentando l’ambiente intellettuale e assistendo da vicino al lavoro di Boito (ad esempio, Boito traduce insieme a lei alcuni testi di Shakespeare), la Duse inizia a partire per tournée all’estero e diventa una delle attrici più conosciute a livello internazionale. Da questo momento nasce la sua capacità di lavorare con il pubblico che la rende unica e che le dona l’appellativo di “attrice divina”. La Duse rinnova il suo repertorio, arriva a recitare moltissime opere teatrali costruendosi un repertorio internazionale (traduce e fa tradurre testi francesi) e cerca di aggiungere opere internazionali alla traduzione italiana traducendo il testo in modo fedele, senza modifiche (diversamente da quanto facevano i Grandi Attori). La Duse recita più all’estero che in Italia, partendo per moltissime tournée internazionali che la rendono celebre in tutto il mondo, arrivando a toccare una punta di notorietà che fino a quel momento non era mai stata raggiunta. Un secondo momento della vita di Eleonora Duse è caratterizzato dalla sua relazione con Gabriele D’Annunzio, con cui intrattiene una storia molto nota al pubblico (al momento del loro incontro, D’Annunzio non era affatto famoso, mentre la Duse era già una stella internazionale). D’Annunzio non aveva, fino a quel momento, mai lavorato per il teatro e vede nella sua relazione amorosa la spinta per iniziare ad affermarsi in quel mondo: i due elaborano una nuova forma di teatro, quella del “teatro di poesia”, in cui immaginano testi scritti in poesia che hanno l’intento di riportare il pubblico in una dimensione tragica del teatro attraverso la rappresentazione di miti resi contemporanei. Tra queste opere ricordiamo la Francesca da Rimini (1901) e La figlia di Iorio (1904). La Duse lavora attivamente sui testi teatrali di D’Annunzio che talvolta, per il suo stile troppo complesso, scriveva testi inadatti al teatro che venivano modificati perfettamente con le indicazioni drammaturgiche date dalla grande esperienza dell’attrice. Dal teatro di poesia in poi si creerà un indissolubile rapporto tra gli attori e gli autori che modificheranno sempre il testo seguendo i suggerimenti di chi viveva attivamente lo spettacolo. Nei primi anni del Novecento (dopo la conclusione del rapporto con D’Annunzio nel 1904) la fama di Eleonora Duse cresce esponenzialmente fino al 1909 quando mette fine alla sua carriera, annunciandolo durante una tournée: le ragioni di questa decisione sono molteplici, da un lato è convinta che il teatro stia andando in una direzione diversa dalla sua ma dall’altro ad esso si aggiungono problemi personali. La guerra però la costringe, per motivi economici, a tornare sulla scena: dapprima tenta con il cinema (nel 1916 prende parte alla pellicola Cenere di Febo Mari) ma è per lei un’esperienza fallimentare così, nel 1921, riparte per una tournée molto lunga ma per lei è un ritorno faticoso anche a causa di gravi problemi di salute. Delle opere teatrali francesi del periodo restano molte più immagini, per questo conserviamo un altissimo numero di rappresentazioni di Sarah Bernhardt. Questo, interpretato dalla Bernard, è un dramma storico che racconta la storia della regina Elisabetta. In questa particolare scena, si assiste alla morte del duca di Sessex, amante della regina Elisabetta: notiamo la grandissima gestualità dell’attrice che enfatizza tutti i movimenti per accentuare il grande dolore del personaggio. Il teatro francese era particolarmente innaturale, la tragicità e il sentimento non avevano nulla di realistico fronte ad un regista di grandissima fama, decide di dare il meglio di sé per interpretare il ruolo (anche sotto invito del regista). Kubrick è convinto che il modo migliore per far percepire al meglio il terrore sugli occhi del personaggio femminile fosse maltrattare psicologicamente. La scena teatrale Tornando a focalizzarsi sulla figura del regista, possiamo affermare che anche lo spazio scenico muta con la nascita di questa figura, la costruzione dei teatri diventa sempre più vicina alle necessità del regista. L’esempio più emblematico di questo passaggio è il teatro di Bayreuth, aperto nel 1866 da Richard Wagner, grande compositore. È il massimo esempio di luogo teatrale che va a aderire all’idea di regia. Si introduce lo spazio del golfo mistico, un luogo permetto per porre l’orchestra in modo che essa non sia vista dal pubblico: ciò dimostra che il teatro è cambiato, la priorità diventa la scena rappresentata e non più il cantante che da solo gestiva lo spettacolo. Da questo momento il pubblico, sedendosi a teatro, parteciperà ad un rito e l’assistere ad una scena che non viene più interrotta dalla visione di un singolo elemento, la musica diventa un sottofondo che sembra apparire dal nulla. Per la prima volta, la sala viene abbuiata e il pubblico non è più diviso per classi sociali su una scalinata, si apre l’idea di comunità che assiste ad uno spettacolo stando seduta tutta allo stesso livello. L’idea della sala teatrale di Wagner si sposa perfettamente con quella di Antoine, per questo diventa possibile la presenza di una quarta parete e diventa più chiara la concezione del pubblico che “spia” ciò che accade sulla scena. Le avanguardie storiche In questo periodo storico iniziano a prendere piede le avanguardie che hanno riflettuto a lungo sull’estetica dell’arte. Tutte le avanguardie (surrealismo, espressionismo, futurismo, dadaismo, simbolismo) si occupano della rappresentazione teatrale dando uno scossone al modello rappresentativo in vigore fino a questo momento. Per quanto riguarda l’aspetto teatrale, possiamo affermare che furono attuati cambiamenti significativi da parte di tre avanguardie: • Futurismo: ebbe un peso nella musica, negli aspetti visivi dello spettacolo e nella drammaturgia • Espressionismo: donano una nuova idea della teoria della recitazione (il massimo esponente fu Bertold Brecht) • Esperienza dei balletti russi: esperienza che permette il dialogo tra tutte le arti Futurismo Pur essendo cronologicamente breve, quello del futurismo è un periodo alquanto significativo perché portò innovazione anche per quanto riguarda l’aspetto artistico. Possiamo assimilare il periodo futurista a quello della prima metà del Novecento (fino al primo dopoguerra). I futuristi rifiutano tutto ciò che arriva dalla tradizione e vedono il teatro come un luogo dove si assiste alla rappresentazione della classe borghese ed è sempre stato alquanto noioso e statico. I futuristi desiderano (attraverso il manifesto dei drammaturghi futuristi) migliorare l’aspetto teatrale attraverso la concezione del teatro di varietà che vede un teatro dinamico, sintetico, colorato, divertente e totale (deve unire musica, poesia, arti visive, drammaturgia), deve adattarsi all’ausilio delle nuove tecnologie in modo da poter stupire il pubblico. Creano le serate futuriste che trasformano la sala teatrale in un luogo dove contemporaneamente è possibile fare molteplici esperienze (recitare poesie, assistere a mostre d’arte), non mancavano forme di provocazione (un esempio può essere la figura dell’attore che, uscito sul palco all’orario stabilito, non voleva recitare) che scuoteva il pubblico borghese. Per Filippo Tommaso Marinetti (1876 - 1944), occorreva superare l’idea di teatro come fotografia della realtà contro la ricostruzione storica. Due esempi di spettacolo futurista sono Le basi di Filippo Tommaso Marinetti (abbuiata la sala e alzato il sipario, esso mostra i piedi degli spettatori) e Detonazioni di Cangiullo (si alza il sipario, mostra uno scenario realistico fino a quando non si sente un botto che, all’improvviso, mette fine allo spettacolo). Grandissimo è il lavoro svolto dal punto di vista scenografico: vengono create scenografie incredibili che portano talvolta alla soppressione dell’attore (la figura di chi recita diventa meno importante della scena) grazie all’ausilio di una serie di tecnologie (un esempio è Feu d’artidice di Giacomo Balla). Picasso and Dance è un balletto in cui collabora Pablo Picasso perfetto come emblema dello spettacolo Si notano immediatamente la musica, profondamente distante da quella della tradizione, e l’ausilio di una scenografia non realista, che non ha nessun rapporto né con la tradizione né con quanto viene rappresentato. I balletti russi La danza aveva agli inizi del Novecento uno spazio molto più ampio, molto più grande di quello a cui siamo abituati oggi (https://www.youtube.com/watch?v=qqejv_BQ7Zg). Una delle tipologie di danza più famose tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento è il balletto classico La figura femminile è predominante ma innaturale, l’uomo ha un ruolo marginale, è la donna ad essere posta al centro della scena. La tradizione della musica per la danza di riassume nei movimenti svolti dalla figura femminile e dalla sua regolamentazione, che si concentra sui costumi, sui salti e sull’ausilio delle punte (un grande esempio è la rappresentazione di The sleeping beauty con le musiche di Tchaikovsky). Il secondo grande momento dal quale sarebbe scaturita la spinta avanguardistica fu quello del cosiddetto ballo storico, attraverso il quale venivano messe in scena delle vicende storiche, antiche o moderne, come ad esempio quelle risorgimentali legate alle cinque giornate oppure quelle arcaiche della civiltà egizia e di Cleopatra. Si trattava evidentemente di colossal, rispetto ai quali il pubblico assisteva alle vicende raccontate, danzate e mimate, senza la parola I balletti russi arrivano fino a Parigi, una città contraddistinta da una grande tradizione del ballo storico e del balletto classico. I gruppi del balletto russo, basandosi sulle idee delle avanguardie, rivoluzionano l’ambito della danza che diventa uno spettacolo completo: • presenza di una musica moderna (Stravinskij, Prokof’ev, Ravel, Satie) • presenza di scenografie realizzate da pittori contemporanei che trasmettono sentimenti nuovi (Balla, Picasso, Matisse, Mirò, Benois) • assumono coreografi che, partendo da una storia, crea le coreografie che regolino l’andamento della rappresentazione (Fokine, Massine) Questa idea di unione delle arti ha un successo tale che diventano una forma di spettacolo fondamentale per gli inizi del Novecento, rivoluzionano il mondo del teatro in generale. L’APRES-MIDI DU FAUNE Il balletto (https://www.youtube.com/watch?v=fx6i7sXcRqo) viene rappresentato per la prima volta nel 1912 al Theatre du chatelet, vengono messe in scena le musiche di Claude Debussy, vengono usate le scenografie di Bakst e vengono realizzate le coreografie di Nizinsckij, che svolse anche il ruolo di ballerino. La danza riprende l’idea di un bassorilievo antico, la scenografia è antinaturalistica e bidimensionale, Nizinskij diventa per la prima volta il protagonista maschile di un balletto cosa alquanto insolita per un balletto: le grandi protagoniste dei balletti ottocenteschi erano tutte donne. In una calda giornata d’estate, un fauno viene stuzzicato da un gruppo di ninfe. Le ninfe giocano con il fauno che, attratto da loro, vorrebbe raggiungerle fino a quando, ad una di loro, cade il velo che la copre. Il fauno ha un rapporto sessuale con il velo. La scenografia è pittorica, ricorda uno spazio esterno ma non non somiglia alla natura reale, la figura maschile è preponderante, la fisicità è molto esibita, il movimento della figura maschile è molto innovativo. Le ballerine non indossano le punte, la fisicità è differente, si scollega da quella legata all’immagine del tutù e delle punte ma costumi di scena veri e propri. Il corpo è centrale nel teatro dell’avanguardia del Novecento, elemento che probabilmente deriva proprio dall’esperienza dei balletti russi. L’espressionismo L’espressionismo è un movimento artistico e culturale che nasce in Germania agli inizi del Novecento e mette in scena soprattutto il disagio dell’uomo in ambiti diversi (contro la società, contro l’idea del mondo dominato da leggi ingiuste, deve opporsi all’industrializzazione) facendo riferimento a figure come Marx. Un grande esempio dell’espressionismo, che concerne al mondo dell’arte, è Il dipinto Il grido di Munch, che rende perfettamente l’idea della realtà deformata e dell’angoscia dell’essere umano. Il teatro espressionista mette in scena personaggi reali (il corrotto, la prostituta, il banchiere…) che non sono analizzati dal punto di vista psicologico, sono caricature della realtà. Bertold Brecht (Augusta 1898 – Berlino est 1956) Brecht è un direttore teatrale, regista, uomo politico, comunista convinto. Durante la Germania nazista è costretto a fuggire negli Stati uniti, per fare poi ritorno nella Germania est dove diventa uno dei massimi esponenti della DEDER. Brecht desidera un teatro politico, in cui il pubblico poteva assistere a scene di ingiustizia sociale. Il teatro di Brecht rimanda alla tradizione epica, in cui il personaggio poteva essere catalogato e in cui si mettevano in scena passioni e sentimenti di ogni tipo. Brecht si allontana dal teatro di Stanislavskij perché il teatro emozionale (in cui il pubblico si immedesima nella vicenda) è sbagliato e non permette il ragionamento. Brecht introduce il metodo dello straniamento, fornisce delle indicazioni che aiutino l’autore a mantenere l’attore distante dal suo ruolo dal suo ruolo per evitare che esso emozioni il pubblico. Straniare una vicenda significa togliere ai personaggi o alla vicenda qualsiasi elemento noto o sottointeso per realizzare un elemento di stupore: la recitazione straniata deve essere il rifiuto dell’immedesimazione e dell’emozione. L’attore deve recitare le proprie battute come se parlasse in terza persona premettendo battute come “lui disse che…”, deve recitare come se citasse qualcun altro. Questa tecnica è aiutata da una serie di elementi che aiutano questo lavoro: la scenografia diviene nulla (occorre solo un cartello esplicativo) in modo che il pubblico si concentri sul messaggio senza distrazioni, l’illuminazione viene realizzata da proiettori che illuminano l’attore, la finzione viene abolita. Il teatro di Brecht si rivela un teatro didattico incentrato sullo straniamento e basato sulla critica alla borghesia: nel teatro di Brecht poteva essere apprezzano anche dalla classe operaia che assistendo allo spettacolo poteva imparare qualcosa. La scenografia è semplice ed è resa grazie ad una serie di scritte che la separano diverse sezioni, il set è alquanto scarno, privo di elementi scenografici. Nel cinema, rendere l’idea dello straniamento è più facile grazie all’ausilio della voce fuori campo da parte del narratore. Il teatro del Novecento Luigi Pirandello (Agrigento 1867 – Roma 1936) Possiamo affermare che Pirandello ebbe nel Novecento una grande importanza come proto-regista (non è ancora possibile parlare di regia perché la figura del regista in Italia si affermerà solo qualche tempo dopo) Se dovessimo segnare un punto di inizio della carriera teatrale di Pirandello potremmo datarlo intorno al 1910: Pirandello arriva al teatro molto tardi, quando ha circa 43 anni e scrive le sue prime opere esclusivamente in dialetto siciliano. I primi quarant’anni della sua vita sono dedicati agli studi e all’attività letteraria: i suoi anni di studio presso l’università di Bonn saranno fondamentali per la sua carriera teatrale poiché si allontanerà dal mondo ristretto del teatro italiano per approcciarsi ad altri mondi. Pirandello inizia a dedicarsi al teatro mettendo in scena le sue Novelle per un anno: Pirandello tradurrà poi le sue opere anche in italiano per poterle rappresentare di fronte ad un pubblico più ampio. Più importante è la fase successiva, che coincide con l’incontro con il celebre attore teatrale Angelo Musco per cui Pirandello riadatta alcune opere, sempre scritte in dialetto siciliano, proprio alla figura dell’attore (Lumie di Sicilia, A’Birritta cu ‘i ciancianeddi, A’ giarra): il lavoro che Pirandello svolge con Musco è sempre colpito dall’avvento della grande guerra e dai problemi personali di Pirandello. Le opere in siciliano hanno un grande successo perché, anche se si muovono sempre intorno al realismo, ruotano intorno alcune tematiche molto nuove: Il Piccolo teatro Milano è martoriata dal fascismo e dai bombardamenti, riesce a rinascere solo dopo il periodo della resistenza: rinasce una Milano antifascista che guarda al teatro come mezzo di elevazione culturale che si oppone alla propaganda. Questo sentimento si concretizza con la nascita del Piccolo teatro nel 1947, viene fondato il piccolo teatro stabile (con una propria sede) e pubblico (interamente finanziato dal comune). A fondare il Piccolo teatro sono Giorgio Strehler, Nina Varchi e Paolo Grassi che, con l’aiuto del sindaco Antonio Greppi, riescono a rispondere all’esigenza della città di avere un teatro: Greppi concede loro una piccola sala teatrale in via Rovello (traversa di Via Dante) che vantava una pessima tradizione storica e una sovvenzione economica. A questo gesto fanno seguito altri aiuti economici concessi ai giovani dall’industria milanese che speravano di riuscire a contribuire ad una sala d’arte (era un teatro capace di dialogare con il pubblico e di creare una comunità di spettatori, non un teatro di propaganda). La lettera programmatica La lettera programmatica è una lettera pubblicata sul Politecnico, neonata rivista di Vittorini, con cui i quattro protagonisti del Piccolo teatro ne giustificano la fondazione. • Paolo Grassi: operatore culturale e organizzatore di tutte le attività del teatro • Giorgio Strehler: regista del teatro • Mario Apollonio: professore di letteratura presso l’Università Cattolica, unisce la fazione cattolica della cultura (da lui incarnata) alla sezione socialista (incarnata da Strehler e da Grassi) • Virgilio Tosi: critico cinematografico presso l’Unità, massimo rappresentante del PCI (partito comunista italiano) I quattro personaggi individuano sette punti cardine intorno ai quali si fonda il Piccolo teatro: è importante tenere a mente che in questo periodo Milano era distrutta e priva di qualsiasi tipo di servizio (non vi erano, ad esempio, scuole o mezzi pubblici di trasporto) eppure i quattro giovani chiedono denaro per un teatro; con questa lettera vogliono ribadirne l’importanza. Nell’anno precedente Greppi aveva proposto anche la ricostruzione del teatro La Scala, distrutta durante i bombardamenti, con l’intento di ricostruire un monumento simbolo della città e un grande luogo d’incontro. Riassumiamo ora i punti della lettera: 1. Teatro in platea: in passato il teatro coincideva con il testo teatrale, in altri tempi invece è prevalsa la figura dell’attore ma ad oggi il centro del teatro diventa lo spettatore, definito “coro tacito e intento”, impegnato nel comprendere quanto lo spettacolo desidera comunicare. 2. Vogliamo dire qualcosa: il nuovo teatro desidera mandare un messaggio che non sia né di letteratura, né di scenografia né di moda, “rifiutiamo ogni concessione alla sensualità della folla. Rifiutiamo le frasi fatte, i luoghi comuni, il conformismo del costume politico e sociale”; desidera creare un teatro morale che sia moralmente in grado di dialogare con lo spettatore. 3. Italiani o forestieri: non occorre rivendicare l’italianità, non occorre il carattere nazionale perché il “passaporto” dell’autore perde d’importanza rispetto alla moralità del testo da lui scritto; “non rinunzieremo ad arricchirci della universale ricchezza delle parole degli uomini: solo, la tradurremo fra noi, la porteremo fra noi”: non è infatti un caso che tra le grandi figure che si occuparono di traduzione per il Piccolo teatro rientrano Salvatore Quasimodo ed Eugenio Montale. 4. I nuovi autori: il teatro non deve più assistere alle stesse rappresentazioni degli stessi autori classici, ma deve aprirsi ad una nuova cultura e portare opere che siano frutto della società attuale 5. Civiltà dello spettacolo: punto probabilmente scritto da Strehler, difende l’importanza della regia; lo spettacolo non deve essere occasionale e non deve gratificare solo visivamente il pubblico, ma deve “influire sul costume del popolo, abituarlo a vigilare sul divario fra la parola e le intenzioni, abituarlo o riabituarlo alla dignità e alla coerenza, ad un’integrità di vita che abolisca le lacune” 6. Tecnica: si mette fine alla tradizione degli spettacoli amatoriali in cui non vi sia l’uso di alcuna tecnica (né di recitazione né di scenografia), lo spettacolo deve diventare una professione artistica vera e propria, deve esserci un’innovazione tecnica (e anche tecnologica) che crei un prodotto valido tecnicamente e artisticamente. 7. Perché un piccolo teatro: la sala di via Rovello concessa dal comune ai quattro protagonisti era molto piccola (non arrivava nemmeno a cinquecento posti), molto più dei teatri all’italiana, ma più che essere un limite è un punto di forza. Dopo il periodo del teatro fascista che straripava di spettatore (teatro dei diecimila), il nuovo teatro mirava a partire da un luogo più piccolo per arrivare all’estensione attraverso il lavoro, gli spettatori andavano reclutati nelle scuole, nei lavoratori, nei giovani creando un teatro che possa essere comune, “domani ogni comune grande e piccolo potrebbe imitare il nostro Piccolo teatro”. Grazie a questi sette punti, i quattro protagonisti riescono ad aprire il loro piccolo teatro: dopo breve tempo, Tosi e Apollonio abbandonano la dirigenza del teatro lasciando il posto a Grassi e Strehler che diventano d’esempio nel mondo del teatro, dando inizio ad una tradizione di “piccoli teatri”. Il secondo “piccolo teatro” apre a Genova pochi anni dopo, il terzo viene fondato a Torino. Propongono un repertorio di opere molto vasto e globale (nella prima stagione vengono messi in scena Gork’ij, Salacrou, Calderon de la Barca e Goldoni) e in questo modo riescono a costruire il loro nuovo pubblico. Passati gli anni Cinquanta e Sessanta, dopo vent’anni la cultura teatrale inizia a risentire del clima modificato dalle nuove generazioni che, sull’esempio del movimento studentesco de 1968, iniziano a chiedersi se il nuovo teatro sia un luogo ancora funzionale e se il pubblico sia ancora lo stesso, di conseguenza iniziano a sentire l’esigenza di creare un teatro ancora nuovo. La prima figura che viene messa in discussione è quella del regista, del signore della scena, di colui che coordina: si inizia a domandarsi se questa figura sia davvero necessaria, se non sia una figura imposta. Iniziano ad elaborare l’idea di un teatro collettivo in cui la discussione sia fatta da individui posti sullo stesso piano e in cui anche il testo sia un lavoro cooperativo. Preso atto di questa contestazione che cambia totalmente la società, ci si accorge quanto questo influisce sull’idea del teatro, che si oppone completamente a ciò che era stato introdotto dal Piccolo teatro: il teatro deve raggiungere tutti, non deve più essere ubicato al centro della città, deve trattare argomenti attuali e non della tradizione, la rappresentazione è messa in scena con la piena libertà, vengono rifiutati il luogo teatrale stabile e la figura del regista, diventa fondamentale la parità di genere (fino a quel momento, i nomi di registi donne era alquanto scarno) Il Piccolo teatro e Strehler vengono visti come un grande modello ormai superato e inadatto a rispondere alle esigenze dei giovani. A Milano nascono, in questo periodo, due importantissimi poli teatrali (due sono emblematici, ma in realtà nascono milioni di spazi teatrali, il teatro veniva fatto dappertutto): il salone Pier Lombardo (fondato da Franco Pareti, bravissimo attore strehileriano che decide di fondare un nuovo teatro più moderno) e il teatro Elfo Puccini (composto da un gruppo di ragazzi molto giovani che si uniscono avendo come centro la figura dell’elfo, un animaletto fastidioso e androgino, mettono in scena testi politici). Un grande esponente del teatro dell’Elfo è Gabriele Salvatores, uno dei fondatori dell’elfo oggi regista cinematografico e premio Oscar. È bene ricordare che il piccolo teatro prosegue negli anni ma senza Strehler che, nel 1968, si trasferisce a Roma dove fonda anch’egli una cooperativa. Il pubblico del Piccolo teatro si dimezza a causa della concorrenza che promuoveva rappresentazioni di tipo diverso, i nuovi spettatori faticano a adattarsi alle proposte del Piccolo teatro. Il teatro Elfo Puccini (https://www.elfo.org) Il teatro Elfo Puccini viene fondato nel marzo del 1973, compie dunque cinquant’anni. L’Elfo nasce come un teatro nomade, gli spettacoli venivano realizzati nei centri sociali, nelle palestre delle scuole e nei luoghi di aggregazione dei giovani. Esso fu sempre affiancato da Radio popolare, creando così una formazione del tutto nuova. Il teatro dell’Elfo nasce in un momento storico molto particolare, nessuno era convinto che il teatro avrebbe avuto successo: i primi attori dell’Elfo erano socialmente malvisti perché considerati troppo hippie. Il teatro dell’Elfo mirava a portare la politica a teatro divertendo sempre il pubblico. All’inizio, gli autori dell’Elfo scrivevano gli spettacoli da sé, fino a quando gli attori non hanno dichiarato di voler prendere parte a spettacoli diversi. La musica aveva un ruolo fondamentale, vi erano riferimenti al cinema, ai fumetti e ai cartoni animati e, in questo modo, gli spettacoli ottenevano un grande consenso da parte del pubblico. Il teatro dell’Elfo vede come protagonisti: Gabriele Salvatores (grande regista cinematografico, l’unico dei fondatori ad esserci scostato dall’Elfo), Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani (regista di alcuni degli spettacoli di maggior rilievo). Alle tre figure fondatrici dell’Elfo si aggiungono Cristina Crippa, Corinna Augustoni e Ida Marinelli. Quello dell’Elfo è un nucleo stabile ancora adesso attivo, la storia del teatro ha una sua continuità da cinquant’anni. La struttura dell’Elfo Come abbiamo già accennato, per i primi anni della sua vita la compagnia dell’Elfo non aveva un teatro proprio, si esibiva in sale teatrali differenti ed era nomade: ciò si sposava perfettamente con la loro idea di un teatro che potesse raggiungere tutti e aveva al centro la compagnia e non il luogo teatrale. A partire dal 2010, il teatro dell’Elfo ha sede in corso Buenos Aires 23 a Milano, in una sala tanto desiderata e agognata. Il secondo nome del teatro, quello di Giacomo Puccini, deriva dal nome dei cinema che prima soggiornava in quello spazio. La sala cinematografica viene completamente ristrutturata e riadattata per essere un teatro, la progettazione da parte dei fondatori è stata molto accurata. Il teatro si compone di tre sale, ognuna delle quali è stata intitolata ad una figura che ripercorre un momento importante della storia della compagnia teatrale. SALA SHAKESPEARE (https://www.youtube.com/watch?v=pTalN5_mGf8) La sala Shakespeare è la sala più grande del teatro Elfo Puccini, contiene circa 500 posti. La sala è intitolata a William Shakespeare perché una delle prime rappresentazioni della compagnia dell’Elfo nel 1981 è Sogno di una notte di mezza estate che il regista Gabriele Salvatores realizza come una sorta di musical rock. È uno spettacolo di grande successo che fa scoprire a livello universale il teatro dell’Elfo (compie un salto qualitativo e di tecnica). Tra le altre opere di Shakespeare rappresentate all’Elfo abbiamo Otello con la regia e rappresentazione di Elio De Capitani. La prima rappresentazione del Sogno di una notte di mezza estate è profondamente connessa alla dimensione musicale: Salvatores era convinto che quello fosse il modo migliore di portare in scena in maniera contemporanea il testo di Shakespeare, è convinto che Shakespeare avesse un animo profondamente rock. In questo spettacolo la musica non è più un elemento di sottofondo, ma è parte integrante dello spettacolo, ciò vale anche per la danza. SALA FASSBINDER La sala Fassbinder è la seconda sala di maggiore estensione, contiene circa cento posti. La sala è intitolata a Rainer Fassbinder, per simboleggiare l’appoggio dell’Elfo all’arte contemporanea. Fassbinder era un regista cinematografico i cui testi sono stati a lungo messi in scena e riscritti per il teatro dai registi dell’Elfo. Il sottotitolo del lavoro dell’Elfo è “un teatro d’arte contemporanea” perché uno degli impegni di questo teatro è quello di mettere in scena la drammaturgia contemporanea, con autori di questo secolo. (https://www.youtube.com/watch?v=eq0w_XsEAAU) l’Elfo mette in scena moltissimi testi di Fassbinder, ma quello che ha certamente più successo è Le amare lacrime di Petra von Kant: la storia è quella di una compagnia), una donna ludopatica che tenta continuamente di derubare il figlio fino al momento in cui non fa ritorno il padre di Phil che, dopo un cambio di genere, entra in scena come Annalisa. A completare il quadro si aggiunge Wanda, una venticinquenne sovrappeso e molto fragile, che entra in scena vestita da principessa. L’opera affronta in modo ironico alcuni dei grandi stereotipi della società contemporanea come la transessualità, la disabilità, l’omosessualità, la violenza ecc. ANIMALI DA BAR Nel 2015 viene messo in scena per la prima volta il secondo spettacolo della trilogia, Animali da Bar. Lo spettacolo non ha un vero e proprio sviluppo narrativo. Una barista ucraina, Mirka, offre il suo utero in affitto ad uno dei clienti del bar in cui lavora. La vita di Mirna si incrocia con quella di altri personaggi che frequentano il bar (c’è un uomo “melariano”, uno scrittore che non riesce a scrivere il romanzo che gli è stato commissionato, un uomo che non riesce a sbancare il lunario perché ha un’azienda di pompe funebri per animali, un uomo bipolare ossessionato dalla grandezza del suo membro). COUS COUS CLUB Nel 2017 viene messo in scena il terzo ed ultimo spettacolo della trilogia, Cous cous club che, dopo Animali da bar, torna ad avere uno sviluppo narrativo coeso. In un futuro distopico colpito dalla siccità, una città separa tramite un sistema di mura uomini poveri da uomini ricchi. In questo spettacolo si inseriscono in maniera preponderante i temi della società contemporanea: mentre i primi due spettacoli incarnano le relazioni tra gli umani, con questo spettacolo si apre lo sguardo sociale (tema del capitalismo ingestibile, modello economico sempre più allo sbando): uno dei temi fondamentali è lo scontro religioso che viene reso dallo scontro tra un ex prete che, dopo aver assistito ad alcuni scandali in Vaticano, decide di rinunciare ai voti e un uomo musulmano. L’intento dei poveri è quello di derubare un prelato corrotto di una reliquia inestimabile, il prepuzio di Gesù. Miracoli metropolitani La stesura di questo testo teatrale si completa nei primi anni del 2020, lo spettacolo viene messo in scena per la prima volta a Napoli nel luglio del 2020. Nel dicembre del 2021 viene rappresentato per la prima volta al teatro dell’Elfo. Lo spettacolo ottiene un budget di produzione molto alto, è uno spettacolo molto complesso. In tutti gli spettacoli della carrozzeria è all’interno delle vite dei personaggi che avviene l’intreccio con la società contemporanea: tutti gli elementi contemporanei vengono talvolta distrutti, talvolta derisi e talvolta fungono da specchio per il pubblico che, ridendo delle caricature sul palco, può riflettere sui problemi di tutti. Gli spettacoli della compagnia hanno un grande successo proprio perché l’obiettivo principale è non solo quello di divertire, ma anche quello di far riflettere. TRAMA L’ambientazione è uno scantinato in cui, in un momento storico in cui tutti sono reclusi in casa perché la città è invasa dai liquami, l’attività che più funziona è quella della cucina d’asporto. Plinio è un cuoco stellato declassato che gestisce un ristorante d’asporto di prodotti senza glutine; a lui si affianca la moglie Clara (che lavora come social media manager e che vuole solo diventare ricca e ha come modello una celebre influencer) e il figlio Igor che ha una disabilità comportamentale. Nella storia entreranno una serie di altri personaggi come Cesare (un ex professore che per errore telefona alla cucina scambiandola per un centro anti-suicidio e viene ingannato da Clara), Hope (immigrata etiope che si occupa della bassa manovalanza), Patty (suocera di Clara e mamma di Plinio, una passionaria ribelle sessantottino che desidera portare avanti la resistenza amata contro il governo che si pone contro gli immigrati) e Mosquito (ex detenuto che lavora per l’attività durante la messa in prova). Lo spettacolo ha alla base una serie di riflessioni anche politiche sulle istanze del nostro contemporaneo: • capitalismo di sfruttamento del lavoro, incarnato da Clara che vuole affermare il suo ruolo nel ristorante • Immigrazione, incarnata da Hope e dalla sua situazione lavorativa e personale • Resistenza armata, incarnata da Patty che desidera combattere le ingiustizie sociali del governo di destra • Difficoltà di sfondare senza raccomandazioni, incarnato da Mosquito che desidera trovare un lavoro importante e un ruolo sociale dopo la detenzione • Disabilità, incarnata da Igor la cui disabilità è solo accennata, ma sempre accennata e nascosta • Inquinamento, incarnato dal contesto storico che non permette più alle persone di uscire • Spettacolarizzazione della cucina, resa dal contesto lavorativo in cui lavorano Clara, Plinio e tutti gli altri personaggi • Suicidio, incarnato dalla figura di Cesare che chiama il numero del ristorante cercando aiuto scambiandolo per un telefono amico. CONSIDERAZIONI Miracoli metropolitani è messo in scena da Carrozzerie Orfeo al teatro Elfo Puccini. Lo spettacolo è una commedia che pone una visione sempre ironica e divertente su tutti i grandi temi della società contemporanea. Ogni scena è resa sul palco con movenze quasi cinematografiche che strizzano l’occhio al grande schermo. Dire di cosa parla Miracoli metropolitani è quasi impossibile: i temi trattati sono tantissimi e spaziano in tutti gli ambiti del nostro quotidiano (matrimonio, imprenditoria, ambiente, colonialismo, femminismo…) ma sono tutti perfettamente incarnati dai personaggi ironici portati sul palco. Il testo portato in scena è molto politico e cela una venata critica alla società in cui viviamo e all’umanità più in generale. L’umorismo portato sul palco è molto esplicito e non risparmia battute divertentissime ma dall’umorismo talvolta nero e sempre molto politico. La nascita della regia in Italia Abbiamo già parlato della nascita della regia nel mondo con figure come Bertold Brecht e Stanislavskij, ma non ci siamo focalizzati sulla situazione italiana che si presentava molto diversa. Nei teatri europei le figure di regia diventano indispensabili già nell’Ottocento, mentre in Italia notiamo un forte ritardo. Tale ritardo è causato da due fattori: • Presenza ancora forte dei Grandi attori che, anche se non ha più la stessa importanza che aveva in precedenza, ha ancora un ruolo centrale nello spettacolo: viene chiamato mattatore perché, esattamente come il matador della corrida, sale sul palco e domina tutta la scena. • in Italia, contrariamente all’Europa dove i teatri stabili erano molti, erano ancora frequenti le compagnie di giro: ciò ostacolava la presenza di un regista perché al centro di queste rappresentazioni si trovava la semplicità (scenografia semplice da montare, trame adattabili) che potevano regolamentare gli attori stessi. Il repertorio era simile a quello di una “serata televisiva”, gli spettacoli cambiavano continuamente anche all’interno di uno stesso teatro. La parola “regista” arriva in Italia solo nel 1932 all’interno del Vocabolario di Bruno Migliorini come traduzione del termine francese che esisteva già nella prima metà dell’ Ottocento. Per parlare, in Italia, di una prima generazione di registi dobbiamo aspettare il secondo dopoguerra (1945- 46) grazie alla nascita dei teatri stabili: non è possibile parlare di regia prima di questo momento; quindi, Pirandello può essere considerato un “proto regista” perché iniziava a comportarsi come tale, ma la figura in sé non esisteva. La regia si afferma anche per un’esigenza dei giovani, le nuove generazioni escono dalle scuole di teatro (che si affermano lentamente) tra cui spicca l’Accademia di arte drammatica di Roma. Le scuole d’arte teatrale si affiancano ai teatri stabili pubblici (Roma, Milano, Genova). In queste scuole teatrali i giovani imparano l’esigenza di avere qualcuno che li guidi e li osservi dall’esterno dando loro delle indicazioni. Il neonato registi inizia ad ottenere sempre più compiti: deve occuparsi della scenografia (dare l’input allo scenografo sulle modalità con cui creare la scenografia), coordinare la recitazione degli attori, occuparsi del testo e di tutti gli elementi dello spettacolo. Grazie al lavoro dei registi, inoltre, si rivaluta un repertorio che ottiene un significato più diretto: prima dell’avvento della regia, le opere di Goldoni erano sempre rappresentate come spettacoli semplicemente divertenti ma, con l’avvento dei registi, le opere vengono analizzate, la tradizione viene scrostata e le opere vengono messe in scena con alle spalle un lavoro di conservazione dell’opera originale e un lavoro filologico. La regia del teatro musicale Nel panorama totale dell’Italia, il teatro di prosa occupava solo il 10% delle opere rappresentate nei teatri, l’opera lirica aveva certamente un ruolo di maggior rilievo. Molteplici sono gli elementi che entrano in gioco nella realizzazione del teatro dell’opera: cantanti, coro, orchestra dotata di un direttore, scenografi, costumisti, ballerini, tecnici (macchinisti, attrezzisti), comparse; tutte queste figure rendono lo spettacolo musicale molto più costose rispetto ad uno spettacolo in prosa, lo spettacolo dell’opera diventa una vera e propria industria teatrale. Il responsabile dello spettacolo musicale è il direttore d’orchestra che dirige non solo l’orchestra, ma anche l’intero palcoscenico (indirizza, ad esempio, i cantanti in scena), ed è lui a dirigere interamente lo spettacolo che dipende, nella sua totalità, dall’aspetto musicale: questo rende le regole di un’opera lirica molto più complesse rispetto a quelle del teatro in prosa (ha tempi molto precisi legati alla musica). Accantonando la musica, il teatro dell’opera ha comunque la necessità di mettere in scena uno spettacolo coerente e coeso: fino agli anni Cinquanta, questo compito era affidato ad un direttore di scena ma mancava una lettura critica dell’opera che veniva rappresentata sempre nel medesimo modo, in modo abbozzato. Giorgio Strehler Luigi Squazzina primo regista italiano, fondatore del Piccolo teatro Direttore del teatro stabile di Genova Gianfranco De Bosio Direttore del teatro stabile di Torino Luchino Visconti Grandissimo regista di teatro Lirico, collabora con il teatro Eliseo di Roma musicista autore di West Side story) e le scenografie di Salvatore Fiume (pittore molto celebre negli anni Cinquanta). Quest’opera è la dimostrazione che, per la prima volta, veniva rappresentato in scena qualcosa di nuovo: (Callas at La Scala (7): MEDEA, December 1953 – Callasiana Ultra) Il modo di recitare della Callas è definito con il termine “recitar cantando”: la comprensione dei testi del canto lirico è sempre particolarmente difficile (può essere facilitato da una buona dizione del cantante) e per questo, nel recitar cantando, ogni parola viene scandita perfettamente, come se si stesse recitando. (https://youtu.be/GA99EexmUfo) alla fine dell’opera Medea sta decidendo di uccidere i suoi figli, è una donna persa che non riesce a riconoscere il luogo in cui si trova. È mossa dall’odio per Giasone che l’ha tradita e abbandonata, ma ama i suoi figli e non ha idea di come reagire. Maria Callas e Luchino Visconti Visconti (1906-1976) ha un percorso lunghissimo, si occupa sostanzialmente di molti ambiti registici e inaugura un nuovo modo di fare regia nel teatro di prosa: mette in scena, sempre con un senso critico, sia la prosa americana (Williams, Miller) sia la prosa italiana più tradizionale (Goldoni) sia testi scomodi (realizza, ad esempio, una rappresentazione di Arialda di Giovanni Testori). Ha collaborato con alcuni dei più grandi attori teatrali del periodo (Anna Magnani, Marcello Mastroianni), Visconti collabora per tantissimi anni con il teatro Eliseo di Roma, è totalmente romanocentrico. Visconti lavora anche per il cinema, scrive pellicole importantissime come Senso ed è certamente una figura importantissima per la storia cinematografica. Di Visconti non rimane nulla per quanto riguarda l’ambito teatrale, nonostante egli abbia rappresentato moltissime opere (probabilmente non concordava con l’idea di riprendere gli spettacoli teatrali per distinguere il teatro dal cinema). L’incontro con Maria Callas dà origine alla sua prima regia d’opera: egli non aveva mai lavorato con il teatro dell’opera perché non aveva mai trovato un’artista per cui, a parer suo, valesse la pena realizzare un’opera teatrale dell’opera. Visconti assiste ai primi anni del lavoro della Callas e ne ammira la capacità vocale, ma la vede fisicamente troppo” ingombrante” per la scena teatrale; dopo la trasformazione fisica della Callas Visconti la seleziona immediatamente e firma con lei spettacoli molto importanti. La collaborazione con la Callas si svolge al teatro la Scala e realizza per lei cinque spettacoli: Scenografia contemporanea che non ha nulla di realistico e che mira a sorprendere il pubblico che si aspettava una “scenografia basilare”, anche i costumi di scena vengono modificati e vengono resi meno realistici (l’abito indossato dalla Callas è astratto e non ha alcun richiamo storico fatta eccezione per i colori che rimandano a quelli dei vasi greci) Le scelte registiche della Wallmann sono innovative, come la presenza del coro interrato che permette al pubblico di vederlo solo dalla vita in su, come fosse spettatore della vicenda (richiamo probabile al teatro greco) Interpretazione della “nuova” Maria Callas che viene messa alla prova come attrice e nelle scelte di posizionamento (la Callas era costretta a cantare un’intera scena completamente sdraiata) durante le esibizioni canore proprio dalle imposizioni della regia I cinque spettacoli sono molto diversi tra loro, alcuni sono molto noti (come La Traviata) e altri molto meno, con alcuni spettacoli Visconti realizzerà anche alcune tournée. LA TRAVIATA (https://youtu.be/--e9PtfcSg0) Quando arriva alla Scala nel 1955 la Callas già conosceva molto bene il testo de La traviata. L’opera nasce dalla penna di Alexandre Dumas figlio e ha come protagonista Violetta (nella versione di Verdi), una donna parigina che vive nel peccato facendosi mantenere da uomini molto ricchi. Improvvisamente si innamora di un giovane borghese, Alfredo, con cui trascorre un periodo di grande felicità ma l’uomo viene allontanato dal padre che non vedeva di buon occhio quell’unione. Violetta, colpita dalle parole del padre del suo innamorato, abbandona Alfredo e riprende la sua vita mondana. Violetta si ammala di tisi e nell’ultimo atto muore di malattia; Alfredo, che in precedenza l’aveva offesa, si avvicina a lei e la abbraccia così Violetta può spirare tra le braccia dell’amato. L’opera di Dumas era malvista perché metteva in scena una vicenda “da allontanare” perché, soprattutto nella visione di Verdi, l’opera era stata messa in scena come una vicenda contemporanea: Dumas voleva realizzare una critica sociale, La traviata veniva rappresentata come se fosse ambientata un secolo prima della scrittura di Dumas, somigliava ad un’opera antica (osservando le immagini originali dell’epoca, i personaggi portavano la parrucca e indossavano abiti tipicamente settecenteschi) per allontanare l’idea di un pubblico che poteva riconoscersi nell’opera. La versione portata in scena da Visconti si riferisce invece ad un’epoca più contemporanea, seguendo la volontà sia di Verdi sia di Dumas. Visconti si allontana dalla tradizione e modifica in maniera significativa tutto ciò che ricordava un periodo più arcaico: un esempio è certamente la morte di Violetta che, contrariamente ad ogni tradizione, muore seduta sulla sedia mentre tenta di rialzarsi per riprendere a vivere. La vestale di Spontini La sonnanbula di Bellini La Traviata di Verdi Anna Bolena di Donizzetti Ifigenia in Tauride di Gluck L’opera aveva la scenografia di Lila de Nobili che porta la vicenda avanti di una ventina d’anni, l’ambiente è fine ottocentesco perché, secondo Visconti, la vicenda di Violetta entrava in un ambito di realismo tipico del periodo tardo ottocentesco (costume di scena che riprende la tradizione del teatro femminile, riprende un costume di scena indossato da Eleonora Duse). È grande attenzione alla recitazione che viene resa ancor più credibile dalla bravura acquisita dalla Callas. Lo spettacolo di Visconti strizza sicuramente l’occhio al metodo di Stanislavskj: il metodo con cui viene rappresentata l’opera ha a cuore sia il realismo (dato, ad esempio, dalla presenza di fiori veri in scena, come il giardino di ciliegi in Stanislavskj o dall’acquisto, da parte di Visconti, di mobili originali dell’Ottocento) sia il benessere dell’attore che poteva così vivere meglio quella parte (questi elementi sono visibili anche nella pellicola cinematografica di Il Gattopardo con la regia di Visconti. Lo spettacolo di Visconti fa fatica ad affermarsi: la critica demolisce lo spettacolo di Visconti per la sua poca aderenza con il testo (e, soprattutto, con la volontà di rappresentazione) di Verdi; Maria Callas è stata molto osteggiata per aver preso parte a questo spettacolo per due anni (1955-1956) tanto che, al termine della seconda rappresentazione, le vengono lanciati dei rapanelli. La Callas canterà La traviata per gran parte della sua carriera (anche all’estero, soprattutto negli Stati uniti) ma la regia di Visconti rimase fondamentale per la sua carriera perché, coincidendo anche con il suo cambiamento fisico, segna l’importanza della recitazione nell’opera e l’importanza del regista. Anche a livello canoro, la Callas dimostra una bravura eccezionale perché riesce ad incarnare tre differenti modo di cantare in maniera perfetta, senza errori: nel primo atto incarna il recitar cantando, nel secondo atto utilizza un tono più drammatico e nel terzo atto incarna perfettamente la sofferenza causata dalla malattia. Maria Callas e Franco Zeffirelli Franco Zeffirelli mette a scena la Tosca di Puccini con l’interpretazione di Maria Callas a Londra nel 1964. La BBC, per accordi particolari, riprende dal vivo il secondo atto dell’opera: è l’unica testimonianza video del lavoro teatrale della Callas. Franco Zeffirelli (1923-2019) è stato un uomo presente in tutte le attività dello spettacolo, della cultura e della politica italiana. Fu un allievo di Luchino Visconti da cui prende lo stile teatrale e registico, fa cinema come aveva fatto Visconti (Romeo e Giulietta, Gesù di Nazareth) e realizza molti spettacoli in prosa con i grandi attori del tempo. Lavorano entrambi per l’opera lirica e per entrambi ha una enorme importanza il rapporto con Maria Callas (Zeffirelli è giovanissimo, ma lavora accanto a Visconti): Zeffirelli prende parte alla rappresentazione de Il turco in Italia di Rossini, collaborando direttamente con la Callas. Zeffirelli firma molte opere con Maria Callas protagonista, in cui spiccano Norma (rappresentata all’operà di Parigi) e La traviata (messa in scena negli USA, a Dallas). TOSCA Nel 1964 la Callas torna in scena con un allestimento molto curato e molto atteso: dopo la prima rappresentazione a Londra, viene riproposto al MET di New York. (TOSCA in pochi secondi - Teatro Verdi di PisaYouTube · Teatro di Pisa3 minuti27 nov 2019) Ambientata a Roma in epoca Napoleonica, racconta la storia di Angelotti che fugge dal carcere di Castel Sant’Angelo (dove erano detenuti i rifugiati politici) e va a rifugiarsi nella chiesa di Santa Maria della valle dove sta lavorando la sorella del suo amico Mario. Tosca è una cantante molto celebre ed è l’amante di Mario (i due si incontrano proprio nella chiesa) e l’oggetto del desiderio di Scarpia, il capo della polizia. Scarpia capisce che Mario sta nascondendo Angelotti, così lo arresta, lo conduce a Palazzo Farnese e lo tortura davanti a Tosca per costringerla a rivelare la posizione di Angelotti. Tosca, non potendo vedere il suo amante soffrire, rivela il nascondiglio di Angelotti; Mario accusa Tosca di essere una traditrice. Scarpia propone a Tosca di cedere al suo desiderio, in cambio lui avrebbe assolto Mario dalla condanna a morte (Scarpia concede a Tosca una via di fuga: egli simulerà solo la fucilazione di Mario permettendo così ai due amanti di fuggire). Quando Scarpia sta per gettarsi su Tosca, lei afferra un pugnale dal tavolo e lo uccide. Tosca si reca poi in prigione da Mario e gli racconta l’accaduto, compreso il momento della fucilazione simulata. Quando il protone di esecuzione arriva e mette in atto la fucilazione che, tuttavia, non è simulata: quando Tosca si avvicina a Mario, comprende che l’uomo è morto. Nel frattempo, è stato scoperto il cadavere di Scarpia e i gendarmi si recano alla ricerca di Tosca che, per non cadere nelle mani dei nemici, sale fin sopra l’angelo di Castel Sant’Angelo e si getta nel vuoto. Quello di Tosca è un ruolo molto tragico, fu un cavallo di battaglia per Sarah Bernard (non nella versione di Puccini, ma in quella scritta da un celebre autore francese che la scrive apposta per lei). Tosca non è stata una delle opere più eseguite del repertorio della Callas, non la rappresenta mai alla Scala e per molto tempo non la mette in scena. La seconda edizione del testo di Zeffirelli sarà la sua ultima rappresentazione della Tosca.
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