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Storia del Teatro e dello spettacolo - Appunti, Appunti di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Appunti completi del corso di Storia del teatro e dello spettacolo, dal mondo antico all'antico regime con relative immagini. Vengono trattati: teatro francese dell''800, Emile Augier, Alexandre Dumas fils, Victorien Sardou, Frédérik Lemaitre, Jean Mounet Sully, Sarah Bernhardt, Teatro italiano dell'800, Eleonora Duse, compagnia del duca di Saxe-Meiningen, Teatro Naturalista, Emile Zola, André Antoine, Stanislavskij, Adolphe Appia, Edward Gordon Craig, Mejerchol’d, e altri

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 16/03/2022

MarianninaRicci
MarianninaRicci 🇮🇹

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6 documenti

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Scarica Storia del Teatro e dello spettacolo - Appunti e più Appunti in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! 1 Storia del teatro e dello spettacolo Dal Mondo Antico All'antico Regime Prof. Renzo Guardenti Il concetto di spettacolo: inteso come fatto teatrale, quell’evento che si manifesta agli occhi dello spettatore come opera d’arte e che si fonda su due dimensioni la dimensione genetica e fenomenica Il concetto di regia: si può dire che la regia sia sempre esistita, fin dai tempi di Eschilo primo drammaturgo e allestitore teatrale. Colui che dà forma allo spettacolo / alla rappresentazione, allestitori di spettacolo (es Bernardo Buontalenti architetto scenografo del tardo 500 importante alla corte medicea). Quello che succede a cavallo tra 800/900 è qualcosa di particolare perché si realizza uno scarto concettuale caratterizzato dalla presa di coscienza dell’evento teatrale come opera d’arte autonoma che si fonda sul fatto che gli artisti elaborano questa idea attraverso la maturazione della consapevolezza che il teatro in quanto spettacolo vive di leggi proprie. Il teatro è un’operazione complessa che vede insieme più competenze: competenza di un drammaturgo (dove c’è un testo teatrale di riferimento), di uno scenografo, di un lumino tecnico, di un musicista di scena, di un costumista. → regista (artista di teatro che ha la funzione di elaborare una visione relativa a d una messa in scena). La regia nasce nel momento in cui ci sono degli artisti che assumono la consapevolezza e ritengono di potersi costituire come artisti di teatro = regista colui che ha la capacità di mettere appunto la visione teatrale e si traduce nella pratica del palcoscenico nella realizzazione di uno spettacolo teatrale. La dimensione genetica: quello che c’è prima dello spettacolo. La serie di processi che contribuiscono a creare lo spettacolo. Le prove, la messa appunto del testo drammatico, i costumi, rapporto testo/ messa in scena e attori/regista. La dimensione fenomenica: quello che appare agli occhi dello spettatore. Analisi della: idea che il regista ha dato dello spettacolo, l’illuminazione, la scenografia, gli attori come recitano, costumi e accessori, musica. Le funzioni del teatro: Quei personaggi che hanno determinate capacità operative che consentono di mettere appunto e realizzare i vari elementi costitutivi dello spettacolo: costumi testo drammatico. Teatro francese del secondo ’800 ● Topografia teatrale parigina e contesti produttivi: messa in luce della disposizione dei teatri e luoghi di spettacolo nell’ambiente parigini e le modalità in cui fanno spettacolo. ● Drammaturgia ● Grandi attori francesi Frédérick Lemaître, Sarah Bernhardt, Jean Mounet-Sully. Parigi nel corso dell’800 diventa capitale mondiale dello spettacolo. Il teatro arriva ad avere un ruolo fondamentale nella società parigina. Immortalato in forma scritta nel testo di Émile Zola “Rougon-Macquart, Histoire naturelle et sociale d’une famille sous le second empire” (1871-1893) ciclo di 20 romanzi dove passa in rassegna un ventennio della storia di francia attraverso le vicende di una famiglia ↪ “Nana”(1880) attricetta/prostituta che anima le serate del Theatre des varietes. Può essere definito come un romanzo teatrale perché descrive la vita del teatro e cosa succede dietro le quinte «..la sala del teatro delle Variétés era ancora vuota. Poche persone, in balconata e in platea, aspettavano, sperse in mezzo alle poltrone di velluto granata, nella scarsa luce del lampadario a fiamma abbassata. Un’ombra copriva la grande macchia rossa del sipario; e dal palcoscenico non proveniva nessun rumore, la ribalta era spenta, i leggii dei suonatori sparsi qua e là. Solo in alto, nella galleria di terz’ordine, intorno alla rotonda del soffitto su cui donne e bambini nudi spiccavano il volo 2 in un cielo inverdito dal gas, da un brusio continuo di voci si alzavano risa e richiami, e teste coperte da cuffiette e da berretti si assiepavano sotto gli ampi vani concavi, incorniciati d’oro. Di tanto in tanto si scorgeva una maschera, indaffarata, con dei biglietti in mano, che faceva passare davanti a sé un signore e una signora, i quali prendevano posto, l’uomo in frac, la donna sottile e flessuosa, che lentamente lasciava vagare intorno lo sguardo.» → In questa descrizione possiamo notare i colori tipici del teatro francese (rosso e oro) e due comportamenti di carattere sociale per quanto riguarda il pubblico: In alto il popolo comune e in platea i signori e le signore - possiamo notare gli scambi di sguardi (rito sociale si sguardi - si va a teatro per vedere e essere visti) ★ George Banu, “Il rosso e l’oro”,→ I colori del teatro 800esco, salotto buono della classe dominante (borghese) Parigi diventa capitale dello spettacolo anche per una serie di vicende politiche di carattere economico finanziario, logistico, infrastrutturale. Durante il secondo impero (1852-1870 fino alla guerra franco prussiana) viene impostata una politica di grande sviluppo finanziario, industriale e infrastrutturale (es rete ferroviaria convergente su Parigi - processo centralizzazione trasporti) ↪ la possibilità di spostarsi con maggior facilità consente l’afflusso di pubblico a parigi in misura crescente e fenomeni di inurbamento di persone provenienti dalle campagne in cerca di lavoro e fortuna. Il legame che si crea tra questi eventi e lo spettacolo si fonda sul fatto che queste masse vanno intrattenute e si viene a creare una rete numerosa di teatri che sviluppa un’industria dello spettacolo fondata sui luoghi di spettacolo non ufficiali= caffè chantant, caffè-concert, cabaret luoghi dove si manifestava una spettacolarità diversa da quella dei teatri tradizionali. Rispetto a Parigi nelle restanti province le azioni teatrali erano ridotte (attori, pieces). Si distingueva soltanto il Théâtres des Arts di Rouen che nel corso della seconda metà dell’800 aveva avuto successo grazie alle rappresentazioni Wagneriane, in particolare la rappresentazione di Lohengrin. La rivoluzione francese detta la Libertà dei teatri con un provvedimento dell’assemblea nazionale del 1791 che prevedeva che qualsiasi cittadino che avesse le capacità dal punto di vista tecnico e economico poteva aprire delle attività teatrali. Primo intervento grosso da parte dello stato sul teatro: Napoleone Bonaparte, Decreto sui teatri (1807), tenta di abbassare il numero dei teatri nel territorio. individua una partizione nei teatri francesi: Grands Théâtres (teatri nazionali): ❖ Théâtres Francais (comedie Francaise) - Teatro in prosa ❖ Théâtres de l’Impératrice (Odéon) - Teatro in prosa ❖ Théâtres de l'Opéra - Teatro musicale(melodramma e balletto) ❖ Théâtres de l'Opéra-Comique - Teatro musicale Théâtres secondaires (teatri privati) → divisione usata ancora oggi. ❖ Théâtres du Vaudeville ❖ Théâtres des Variétés ❖ Théâtres de la Porte Saint-Martin ❖ Théâtres de la Gaité 5 4. Per volere di Luigi XIV e del primo ministro Jean Baptiste Colbert questa nuova compagnia viene fatta fondere con la compagnia dell’Hotel de Bourgogne nel 1680 con il nome di Comedie-Francaise (1680) - primo teatro di stato al mondo controllato dal re (comedient rois - comici del re) tramite i primi uomini della camera del re. Gli attori della comédie si dividono in ➢ Sociétaires: attori soci partecipano attivamente, prendono le decisioni riguardo il repertorio la distribuzione delle parti, aspetti economici e sociali ➢ Pensionnaires: attori stipendiati senza far parte della società vera e propria, maggiormente giovani che potevano aspirare ad entrare nel gruppo della sociétaires. La comedie-francais nota anche come Maison de Molière deve mantenere viva la memoria del grande repertorio francese del 600 : Molière, Pierre Corneille, Jean Racine. → teatro prevalentemente tradizionalista. Nel corso dell’800 la Comédie fa resistenza nei confronti di pieces innovative. ★ La messa in scena nel 1830 di Hernani di Victor Hugo pieces romantica che non rispondeva alle tradizioni drammaturgiche a cui erano abituati gli spettatori della Comédie portò ad una battaglia teatrale: sostenitori di Victor Hugo Vs detrattori di Victor Hugo. ★ Ci sono state delle aperture significative nei confronti di due opere che difficilmente avrebbero trovato udienza alla Comédie, due opere naturalistiche con temi pesanti e scabrosi, i fratelli Goncourt con Henriette Marechal (1865) e Henrie Becque, La Parisienne (1890) A partire dagli anni 20 dell’800 viene inserita la figura dell’amministratore: Barone Taylor amministratore Comédie Française + importante, Emile Perrin, Jules Clarétie. Ad ogni teatro lo stato ha attribuito un genere drammatico: ● Teatro in prosa ● Teatro in musica Nella seconda metà dell’800 alcuni teatri si specializzano in un settore/tema es Theatre Ambigu Comique pièce nere/polizieschi/ thriller/mélodrame Theatre Porte Saint-Martin pièces (↑) di: Victorien Sardou (Patrie,Tosca,Theodora), Eugène Sue Les mystères de Paris, Adolphe Belot Les étrangleurs de Paris, Jules Verne Voyage à travers l’impossible, Edmond Rostand Cyrano de Bergerac. Mélodrame (non è il melodramma - in italiano l’opera in musica nata Firenze) è una forma drammaturgica creata da Guilbert de Pixérécourt che scrive il primo pièce Mélo Coelina ou l'Enfant du mystère(1800). Storie da forti tinte veri e propri thriller caratterizzati da personaggi contrastati cattivi veramente cattivi e protagonisti buoni principalmente fanciulle belle e perseguitate dai cattivi. E caratterizzata dalla musica non come sostegno del canto ma come accompagnamento musicale (tipo musica dei film). Ancora alla metà del XIX sec abbiamo due linee di indirizzo importanti: ● Comédie des moeurs - commedia in costume (no costumi= vestiti) costumi della società. Si afferma nel corso dell'800 ed è un derivato dell’avvento della drammaturgia borghese. Privilegia commedie e drammi che riguardano la critica sociale. ● Vaudeville →Vau de Vire (Normandia) o Voix de ville→ canzone popolare → genere drammatico/musicale (sec XVIII) Su questa linea si caratterizzano alcune forme spettacolari che si sviluppano nella metà dell’800 in francia → l’operetta con artisti come Florimond Roger(detto Hervé) ma soprattutto Jacques Offenbach. Tipica espressione del sentimento d’evasione della società francese durante il 2° impero( anni di Napoleone III). Forma drammatico-musicale caratterizzata da una musica brillante e leggera. 6 Caratterizzata da strutture drammaturgiche agili all’interno delle quali si alternavano delle parti cantate, delle arie, assoli, duetti, parti corali a quelle in prosa (doppio registro). Storie con scene stereotipate e personaggi convenzionali (divinità, personaggi mitologici, regnanti, pastorelli) con una cornice spettacolare veramente fastosa. Pieces a carattere mitologico di Offenbach in collaborazione con Henry Meilhac e Ludovic Halévy: Orphée aux Enfers, La Belle Hélène. Talvolta vengono messe in scena pieces che mostrano gli aspetti più brillanti e divertenti della vita contemporanea: La vie parisienne. Riscossero grande successo nella capitale Generazione teocratica: Emile Augier, Alexandre Dumas Figlio, Victorien Sardou Compongono un grande numero di drammi e sono coloro che creano le loro opere drammatiche modellandole sulle caratteristiche dei grandi attori francesi.→ i grandi drammaturghi non scrivono per la gloria della letteratura me per il teatro, per la scena, per gli attori (Shakespeare, Molière, Goldoni Pirandello) Questi autori basano i loro drammi/commedie sulla base di un modello drammaturgico che era stato definito nella prima metà dell’800 ad opera di un’altro drammaturgo importante: Eugène Scribe ha definito la Pièce bien faite (dramma ben fatto) - modello drammaturgico al quale si ispirano drammaturgia della generazione successiva. Consiste nella miscela sapientissima di tutti i meccanismi drammaturgici caratterizzata da un’esposizione capillare degli eventi i quali vengono preparati e disposti all’interno della vicenda drammatica sulla base di nessi di causa e effetto. caratterizzate dalla costruzione di scene capaci di mantenere alto il livello di tensione drammatica. Questa formula drammaturgica si caratterizza anche dall’introduzione nel finale di colpi di scena e capovolgimenti. Questa formulazione di Scribe trova un’ulteriore precisazione nelle parole di Dumas fils il quale nella presentazione di un suo dramma, Le fils naturel (1858) si esprime così: «La prima di queste qualità, la più indispensabile quella che domina e comanda, è logica che comprende il buon senso e la chiarezza. Ci può essere una verità assoluta o relativa a seconda dell'importanza del soggetto e del posto che occupa. La logica dovrà essere placabile tra il punto di partenza e quello di arrivo che non dovrà mai essere perso di vista nello lo sviluppo di un'idea o di un fatto. Occorre inoltre la scienza delle controparti, in una parola delle opposizioni che costituiscono l'equilibrio, l'insieme e l'armonia. Poca concisione(?), la rapidità poi la produzione matematica inesorabile, fatale che moltiplica la scena per la scena l'evento per l'evento l'atto per l'atto fino allo scioglimento che deve essere il totale e la riprova. E infine la nozione esatta dei nostri limiti che ci vieta di fare il nostro quadro più grande della cornice poiché l'autore drammatico deve dire tutto quello che è da dire dalle 8 della sera fino a mezzanotte compreso un'ora di intermedio di riposo per lo spettatore.» Espone le coordinate di riferimento di un’opera drammatica → una sorta di teatro ingegneristico. Ma un aspetto ulteriore che duma fils mette in evidenza è quello della durata dello spettacolo: l’autore deve dire quello che ha da dire in 4 ore massimo comprese le pause. Questo ci fa comprendere che siamo in presenza di attività dal carattere economico dove la componente artistica è importante ma occorre proporre agli spettatori un modello della rappresentazione che funziona e questo permette a tutti di guadagnare. Émile Augier Il drammaturgo + consapevole della società del secondo impero e degli inizi della terza repubblica. è molto attento ai valore della borghesia (anche se questo caratterizzerà tutti gli autori). L’esordio si ha nel 1849 alla Comédie Francaise con una pièce intitolata Gabrielle, protagonista. Storia di una giovane donna che insoddisfatta del suo matrimonio con il marito Juliane (+ vecchio di lei) e nonostante un’amica tenti di trattenerla dal cogliere le attenzioni del giovane segretario di suo marito Gabrielle finisce col cedere alla seduzione e diventa l’amante del segretario. Il giovane poco a poco si lascia prendere dalla passione e in seguito inizia a maturare delle preoccupazioni nei confronti dei sensi di colpa che Gabrielle ha verso la figlioletta. Egli decide di troncare la relazione tentando di 7 riavvicinarsi in seguito alla donna, nel frattempo il marito ha scoperto la tresca e reagisce con estrema signorilità lasciando scegliere a Gabrielle chi scegliere: trovatasi di fronte alla benevolenza del marito decide di tornare in famiglia e il marito la accoglie a braccia aperte. «padre di famiglia vero poeta (?) io ti amo e ti amerò per sempre» ↪ Questa pièces ribadisce i valori del matrimonio esaltando la figura del marito, uomo sofferente che è anche un affidabile custode dei principi e dei valori familiari del matrimonio che sono principi contigui della società borghese. Fonda il dramma sociale della seconda metà dell’800 Les Lionnes pauvres (1858): protagonista la giovane Séraphine Pommeau sposata ad un marito anziano che cerca di affrancarsi dalla condizione piccolo borghese affrancandosi a due uomini - il marito di una sua amica (Thérèse) e l’altro è un uomo da cui tenta di farsi mantenere - sarà Thérès a rivelare al marito di Séraphine le sue tresche per vendicarsi del fatto che la donna non può pagare i vestiti che si è fatta cucire. Bordignon il marito di Séraphine cerca di convincere la moglie ad allontanarsi dai due uomini, offrendosi di non allontanarla. Séraphine rifiuta e solo dopo che il marito fa irruzione nella casa di uno degli amanti dove trova conferma della condotta della moglie e ormai troppo vecchio per un duello abbandona la moglie. Nel mentre Léon (amante) e Therese si riuniscono. Les Fourchambault (1878): Protagonista Maria Letellier, giovane orfana che lavora nella casa dei Fourchambault come istitutrice dei bambini, Bianca e Leopoldo. Leopoldo la corteggia ma la famiglia lo ostacola a causa delle differenze sociali. Bianca sta per sposare un Barone??????. Le avventure della famiglia si intrecciano con quelle di una donna, Madame Bernard e suo figlio, Vittore, che sono personaggi ricchissimi con origini oscure - Vittore è un figlio illegittimo. La famiglia Fourchambault passa un periodo di crisi a causa delle spese folle fatte da Leopoldo e dalla madre. Madame Bernard chiede a Vittore di aiutare Messier Fourchambault capendo che è il padre. Vittore risolleva la famiglia dal punto di vista finanziario senza rivelarsi come figlio. Sul fronte sentimentale Leopoldo si dichiara a Maria la quale lo rifiuta e Bianca decide di rompere il matrimonio con il barone per legarsi ad un suo vecchio amore. Maria perde il lavoro. Bianca e Vittore convincono Leopoldo a sposare Maria ma questa si dice innamorata di Vittore il quale ne è felicissimo. ↪ Morale: non è possibili arrivare a fare matrimoni tra classi sociali diverse. - mésalliance(?) Alexandre Dumas Fils: grande autorre drammatico - scrive pièces à thèse Una delle peculiarità della sua drammaturgia è prendere in considerazione l’universo femminile: problematico conflittuale e che oscilla tra i poli della famiglia dell’infedeltà coniugale del denaro della trasgressione → questa attenzione si giustifica col fatto che durante il 2° impero si afferma una categoria di donne particolare (cortigiane di altro borgo) - Demi-mondaines (titolo di un dramma di Duma fils che crea il nome per questo gruppo di donne) - donne decadute dal loro rango sociale e decise a riconquistare un rango elevato a tutti i costi. Es. l’utilizzo della seduzione carattere tipico di questi personaggi. Queste donne sono per il drammaturgo fonte di ispirazione ma costituiscono anche un pubblico ideale. ↪ Un famoso giornalista dell’epoca, Jules Janin, che scriveva sul “Journal des débats” e “Le Figaro”:«Le donne oneste vogliono sapere come vivono e muoiono le altre donne, e queste ultime amano vedere la propria vita privata a teatro.» Nella seconda metà dell’800 le donne iniziano a rivendicare il ruolo nella società e iniziano a farsi strada nel dibattito sociale e politico nuovi temi: divorzio, adulterio, riconoscimento dei figli. I personaggi che + hanno incarnato questi temi sono 3 donne dei drammi di Dumas: ● Marguerite Gauthier ● Suzanne d’Ange ● Césarine Rupert 10 es. Prologo di Madame sans gene 1893, una sorta di dramma storico sulle vicende della rivoluzione francese. «Una bottega di lavandaia, luminosa, vivace in via sant’anna in fondo porta a vetri con due grandi intelaiature anch'esse vetrate che lasciano vedere la strada. a destra in primo piano un piccolo rientro nel quale si trova(?) la tromba della scala di legno che va al piano superiore. Qui sulla branca e sulle corde si vede della biancheria stesa ad asciugare, le sottane a righe a più colori accanto e a contatto con i merletti degli aristocratici» «Antonietta giulia e della rossa(?), apprendiste di Caterina, stanno stirando piuttosto svogliatamente nella strada vicine e vicini borghesi, bottegai guardie nazionali in piedi sui paracarri e sugli scalini scrutano dalla parte delle Tuileries, ovvero verso destra» troviamo indicazioni precisissime sia per lo scenografo sia per gli autori, quasi una fotografia dell’ambiente. Serie di indicazioni che prefigurano quella che sarà la messa in scena del dramma. Victorien Sardou, La famille Benoiton 1865. La question d'argent → il denaro è un punto centrale nella vita economica, sociale e civile nella francia del periodo(seconda metà dell'800), epoca delle grande speculazioni principali. (ultimo scorcio del secondo impero e gli inizi della terza repubblica). Sesso→ adulterio, la possibilità delle donne di esprimersi liberamente attraverso la piena disponibilità del proprio corpo. Tema principale il denaro. Le donne della famiglia rappresentano il fulcro di tutta l’azione. Marthe viene accusata dal marito Didier di essere l’amante di un nobile decaduto, Champrosé che cerca di accasarsi con una delle Benoiton. La donna aveva avuto con lui solo uno scambio epistolare allo scopo di chiedergli del denaro per ripianare dei debiti di gioco. Camille invece incurante del denaro dà sfogo ai suoi sentimenti fuggendo con un giovane squattrinato, Stéphan, al quale il padre di lei darà la possibilità di sposarsi. Contrapposizione tra le due sorelle sfruttata da Sardou per mettere in evidenza, in modo divertente, il temporaneo disgregarsi di questa famiglia e l'attitudine a dilapidare il patrimonio da alcuni dei suoi componenti tra cui spicca l’ultimo figlio Fanfan, bambino di 7 anni che fuma sigari beve e ruba soldi al padre (simbolo della degradazione). ↪Sardou riesce a tenere attiva l’attenzione degli spettatori e riesce a veicolare una vicenda con tratti pienamenti drammatici in una dimensione di divertimento. Altra questione calda in questo periodo è quella legata al divorzio Divorcons! 1880. Questa pièce si configura come una commedia a tesi da sapore antidivorzista. Serie di equivoci. Intorno al tema del divorzio ruotano i pensieri dei protagonisti De Prunelles e Cyprien. Cyprien si sente attratta al cugino di De Prunelles, Adhémar, e per questo cerca di affrancarsi dalla situazione matrimoniale. Questo porta ad una grave crisi matrimoniale. Il primo elemento di equivoco arriva tramite un telegramma nel quale viene approvato il divorzio (è un falso scritto da Adhémar). De Prunelles che vuole riconquistare la moglie riesce a tenere un equilibrio fra i due amanti cercando il momento bono di approfittare delle debolezze del cugino. Cyprienne rimane colpita dall’atteggiamento del marito, e con la speranza inconscia di rifarsi conquistare dal marito va a cena con lui. Durante la cena irrompe la polizia insieme ad Adhémar, particolarmente geloso che svela la verità: il divorzio non è mai stato approvato. In virtù di questo viene arrestato e i coniugi si riconciliano. ↪ simile alla pieces Gabrielle dove dopo varie vicissitudini tutto rientra nei valori della buona borghesia. 11 Victorien Sardou è passato alla storia soprattutto per i personaggi femminili protagoniste delle sue opere: Odette, Fedora, Tosca, Theodora. Quattro eroine contrassegnate da un destino tragico. Sono state interpretate dalle maggiori attrici dell'800 europeo, Sarah Bernhardt (theodora, Tosca), Eleonora Duse (Odette). Personaggi che Sardou ha modellato osservando la tipologia della Grande attrice ottocentesca. Odette 1881: una nobildonna sposata con un conte, si accompagna ad un uomo che non è il marito. Odette ha una figlia la quale viene allontanata dalla madre nel momento in cui il padre scopre la relazione della moglie con un altro uomo. Il marito si occuperà della figlia e la terrà lontana da Odette. Odette perde i contatti con la figlia per circa 15 anni e attraversa un periodo dissoluto nella sua esistenza - numerosi amanti. Verso la fine del dramma si accompagna ad un giocatore d'azzardo e si ritrova a nizza dove per puro caso si era stabilito l’ex marito con la figlia. I due si rincontrano e Odette lo convince a farla rincontrare con la figlia senza però rivelarsi come madre. Alla figlia era stato detto che la madre era affogata. Avviene questo incontro e Odette capisce che non potrà + avere un rapporto con la figlia e si rende conto che qualora lei si ripresentasse come madre rovinerebbe il matrimonio della figlia. Finirà per suicidarsi affogandosi in mare. Fédora 1882: la protagonista Fédora si trova in una sorta di storia di spionaggio che si svolge tra Pietroburgo e Parigi. Fédora è decisa a vendicare il promesso sposo Vladimir che era stato assassinato e cerca di incastrare Loris Ipanoff, l’assassino, il quale conferma di essere stato lui per recuperare il suo onore essendo stato Vladimir l’amante della moglie. Fédora viene turbata dalla notizia e tra lei e l’assassino si instaura un legame sentimentale tanto che i due decidono di sposarsi. Ma questa manovra che la donna aveva ordito precedentemente per incastrare Ipanoff trabocca perturbano la famiglia del marito. E a Fedora che passata dall'odio all'amore verso Loris non resta che avvelenarsi in preda al rimorso. Théodora 1884: Storia di veleni e congiure. Moglie dell’imperatore Giustiniano e amante del greco Andréas, implicato nella congiura del 532 dc contro l'imperatore. Il giovane non conosce la vera identità della donna e attenta alla vita di Giustiniano senza riuscirci il quale reagisce soffocando violentemente la rivolta che sta sconvolgendo Bisanzio. Andreas viene ferito e viene condotto da Theodora dalla maga egiziana Tamyris. La giovane fa bere un filtro d’amore ad andreas non sapendo che la maga lo ha avvelenato. Andreas muore e una volta che viene scoperta la congiura eil fatto che theodora tradisse con un congiurato Giustiniano la farà impiccare. Tosca 1887: Personaggio più conosciuto soprattutto per l’adattamento di Giacomo Puccini. È un dramma storico sul finire del 700 nella cornice di una roma agitata dalle rivolte giacobine. La cantante lirica Tosca è decisa a proteggere l’amante pittore Mario Cavaradossi perseguitato dal reggente di polizia, il barone Scarpia. Tosca uccide Scarpia nel momento in cui lui le propone di salvare Mario dalla condanna a morte se Tosca accosentirà a cedere alle sue voglie. Sul momento Tosca cede e chiede a Scarpia dei salvacondotti per fuggire insieme a marco una volta scarcerato. Lui le assicura che Cavaradossi non verrà giustiziato ma verrà colpito con delle salve. Però a fronte di cedere alle sue voglie tosco lo uccide e Cavaradossi viene fucilato e Tosca si suicida gettandosi dalle mura di Castel sant’Anna. Destinate alla morte non tanto perché attraverso questa potranno aspirare ad una redenzione ma perchè con la loro morte si compie il fato - eroine portatrici di una grandezza tragica tutta borghese. Lontana dalla grandezza delle eroine rossiniane(?) Fedra ma comunque capace di penetrare nell’immaginario collettivo della società francese e europea. 12 Eugène Labiche Si cimenta in una serie di pieces commedie agili e divertenti che in altra forma (comica) affronta gli stessi temi di Sardou, Duma fill e Augier. Dominò la scena parigina fino alla fine degli anni 40 fino agli anni 70 dell’800 e il suo repertorio è caratterizzato da un registro comico che presenta situazioni che tendono all'assurdo. Un chapeau de paille d'Italie 1851: la storia di Fadinard che il giorno delle sue nozze deve trovare un cappello di paglia che il suo cavallo aveva mangiato ad una signora che si era appartata con un amante. La sig non poteva tornare a casa senza cappello per non fare scandalo. Fadinard e tutti i suoi ospiti si mettono alla ricerca di questo cappello di paglia che salterà fuori da uno dei regali di nozze dopo una serie di peripezie inseguito da moglie e ospiti: arriva a casa della una sarta che scopre essere l’ex amante; poi a casa di una contessa il cui salone viene scambiato dagli ospiti come la sala di un ristorante; poi alla casa della signora per portarle un cappello simile a quello mangiato dove però il marito si insospettisce. ↪ Attraverso il duplice meccanismo di ritardo: da una parte il rinvio delle nozza e dall’altra la ricerca del cappello siamo in presenza di una drammaturgia che tende a far rimanere alta la suspance dello spettatore Le voyage de Monsieur Perrichon 1860: che vede coinvolti i 4 personaggi principali: Armand, Daniel, Perrichon, Henriette. La storia verte sulle peripezie di Armand e Daniel che cercano di accattivarsi la simpatia del capo famiglia Perrichot per ottenere la mano della figlia Henriette. I due si cimentano in una serie di episodi: Armand salva Perrichon durante una pericolosa escursione sui ghiacciai della svizzera; poi Daniel facendo finta di scivolare in un crepaccio viene salvato da Perrichon il quale manifesta per lui una grande amicizia che si accresce sempre di più quando il giovane fa pubblicare su una rivista questo fatto eroico; Armand fa ritirare una denuncia da parte di un doganiere verso Perrichon durante il viaggio in Svizzera e facendo arrestare un militare che aveva sfidato a duello Perrichon finendo per irritare il padre della ragazza. La vicenda si scioglie nel momento in cui Daniel affida ad Armand il segreto del suo successo: agli imbecilli come Perrichon talvolta piace sentirsi eroi e veder celebrate le proprie gesta. Perrichon ascolta la conversazione e finisce per concedere ad armand la mano di Henriette. ↪ finalizzata a mettere in ridicolo alcuni tratti caratteristici della borghesia ottocentesca. Una sorta di campionario di soggetti borghesi colti nelle loro debolezze: Perrichon-padre diffidente e impacciato, Daniel-ambizioso, Armand-timido. Tutti inseriti in un contesto drammaturgico ricco di colpi di scena di trovate sorprendenti e di ripetizioni che spingono ad un teatro dell’assurdo. Su questa linea si sviluppano sostanzialmente tutte le opere di Labiche - le abitudini, le manie della borghesia del secondo impero con personaggi rappresentati in modo comico. La cagnotte 1864: le peripezie di cui sono vittime alcuni giovani provinciali che sono giunti a Parigi per spendere i soldi vinti al gioco sono il pretesto per esuberare le debolezze e i vizi di ciascuno di questi personaggi. 29 degres à l’ombre 1873: un marito scopre un ospite mentre bacia la moglie. Prima minaccia di sfidarlo ma poi decide di accontentarsi di farlo pagare. Cèlimare le bien aimé 1863: messa in ridicolo (critica) l’atteggiamento di questi genitori disposti a sacrificare la propria figlia dandola in sposa a Cèlimare, uomo non troppo bello e nemmeno troppo giovane ma che ha una rendita annua di 40.000 franchi - per i soldi sono disposti a sacrificare la figlia. 15 Squilibrio economico: costi di gestione elevati → l’Operà di parigi ha attraversato momenti critici dal punto di vista finanziario che cercò di superare utilizzando un maggiore effetto scenografico, + spettacolare, cercando di aumentare il pubblico e le entrate. Es. piece de la Muta di portici di Auber si concludeva con un effetto spettacolare di grande impatto ovvero con l'eruzione del Vesuvio. Oppure nella pièce di Robert le diable di Meyerbeer vengono utilizzate una serie di diorami (scenografie incentrate su una dimensione ottica particolarmente sviluppata e focalizzata alla rappresentazione di una scena prospettica accattivante) che in alcune scene suggestionarono il pubblico con le anime dei morti uscire dalle tombe. Questa forte accentuazione della spettacolarità portò alla proliferazione di un indotto economico particolarmente sviluppato e alla proliferazione di botteghe e atelier a carattere scenografico, costumistico. Nascono imprese artigianali specializzate in scenografia e macchinari, costumi e accessori → dimensione quasi industriale dal punto di vista dell'intensità della produzione Questo elemento da un punto di vista estetico comprometteva l'unità visiva dello spettacolo ma in questo regime di concorrenza tra teatri riuscì a sanare situazioni critiche dal punto di vista economico. Principali scenografi e scenotecnici della seconda metà dell’800: ● Charles-Antoine Cambon, ● Auguste Rubè, ● Philippe Chaperon, ● Ciceri, ● Descheplin Dal punto di vista tecnico la scenografia 800esca si fonda su due elementi: ➢ Scena in prospettiva ➢ Trompe-l’oeil (inganna l’occhio) La raffigurazione di una realtà tridimensionale sulla superficie bidimensionale delle quinte e dei fondali. Nel corso del Cinquecento si definisce una forma di allestimento scenografico fondato sulla prospettiva che partendo dal punto di vista dell'osservatore definisce in un punto di fuga verso il quale convergono tutte le linee della rappresentazione pittorica. Sebastiano Serlio autore di un trattato di architettura dove illustra le modalità tecniche di costruzione della scena prospettica, qui la scena prospettica Viene esemplificata attraverso questa stampa che illustra la cosiddetta scena tragica. Si stabilizzano 3 tipi di scenografia tragica (←), comica (↓), satirica (↘) 16 La maggior parte delle scenografie utilizzate nel corso dell’800 sono di questo tipo, prevalentemente dipinte. Ciò non esclude l’utilizzo di oggetti 3D. Raffigura un bozzetto per la messa in scena di Hernani di Victor Hugo. Si compone in due parti: quella superiore dove si vede l’ambiente come dovrebbero vederlo gli spettatori e dove devono agire gli attori e nella parte inferiore viene visto in pianta e si possono notare i vari dispositivi delle quinte sulle quali sono stati dipinti i vari elementi costitutivi della scenografia ←Rubè, Chaperon e Lavastre, Bozzetto per Hernani Allestimento Plus que reine (Emile Bergerat 1899) - l’impianto scenografico è composto da telai sagomati che riproducono la forma e la prospettiva degli alberi. Questa dimensione illusionistica nella rappresentazione dello spazio si sviluppa nel corso del secolo attraverso la tendenza ad una rappresentazione il più possibile esatta e realistica degli ambienti e degli spazi. Approccio che si inserisce in una linea di crescente adesione ad un’estetica del realismo → romanzo realista Dal punto di vista di spazi utilizzati si usano gli spazi rappresentativi della buona borghesia: il salotto, lo studio, il salone - spazi di rappresentanza. Questo tipo di scenografia di drammi borghesi appare caratterizzata da una invarianza della struttura. 1884, Becq de Fouquières ha scritto un trattato L’art de la mise en scène: «L'appartamento di un giovane ricco varierà a seconda dell'ambiente in cui vive, uno studio di un finanziere non potrà essere quello di un diplomatico» ↪ mette in luce la necessità di variare di volta in volta anche dal punto di vista degli accessori gli spazi destinati a specifiche rappresentazioni. Anche sulla base di elementi minimi si fa strada nel corso del secolo e si afferma sempre di più la necessità di definire in maniera specifica con forti differenziazioni le diverse tipologie di spazio a seconda dello spettacolo. Al di là del peso di questi elementi scenografici il teatro francese si inserisce in quella linea di tendenza trasversale europea legata a tutto il mondo occidentale dell’800 che si fonda sul teatro del Grande Attore: categoria che si sedimenta in tutto il teatro occ e si sviluppa dalla metà dell’8oo in poi Come si diventa attori in francia? Una modalità diffusa è quella relativa agli Enfants de la balle (figli d’arte): trasmissione del mestiere di padre in figlio. Contesto produttivo che contrassegna il teatro professionistico europeo dalla metà del 500 in poi. 17 Talvolta figli della buona borghesia o dell'aristocrazia si intestardiscono nei confronti di un'attrice e lasciano la famiglia per seguire l’attrice diventando attori loro stessi (Romanzo Theophile Gauthier, Capitan Fracassa) Nel corso dell’800 si sviluppano le scuole destinate a formare gli attori → il più importante Conservatoire d’Art Dramatique: scuola nazionale a cui si accedeva per concorso. Costituisce uno degli accessi più importanti alla formazione dell’attore (corrispondente della scuola nazionale di arte drammatica la Silvio d’amico di Roma). ha il comito di mantenere viva una tradizione recitativa legata al patrimonio classico → Qualità prioritaria dell’attore la vocalità. 800 Secolo della normativa del teatro: il teatro in europa si definisce in termini normativi attraverso ola pubblicazione di una serie di trattati che riguardano su vari livelli l’arte della messa in scena, la recitazione degli attori, la scenografia, costumistica.Studi che tendono a codificare i vari mestieri del teatro. Il 700 è stato il sec delle grandi teorie del teatro in particolare sull’attore, in francia e in inghilterra ci sono stati molti autori, studiosi e attori che si sono cimentati nella pubblicazioni di trattati che affrontavano attraverso riflessioni approfondite il mestiere dell’attore dal punto di vista della teoria dell’attore (cosa significa essere attore e cosa significa rappresentare e riportare i sentimenti). Léo de Leymarie L'enseignement dramatique au Conservatoire 1883 → finalità del conservatorio: «insegnare agli allievi ora a pronunciare ora a interpretare ora a sapersi muovere sulla scena ora a mettere in luce il carattere del personaggio ora a presentarlo logicamente e armoniosamente in modo che tutti questi aspetti non siano discordanti e incoraggiarli allo studio in accordo con le tradizioni, con il grande patrimonio classico con il movimento di ogni scena con i caratteri che ci sono stati trasmessi dai maestri.» ↪la qualità primaria dell’attore è legata alla pronuncia che viene prima dell’interpretazione e del movimento sulla scena e tutto questo deve essere fatto in accordo con la tradizione. Compito è quello di mantenere intatta la grande tradizione recitativa che ha radici nel 600 francese con la nascita della Commedie francese nel 1680. Joseph Samson L’art theatral 1863 trattato più importante dell’800 francese per quanto riguarda la recitazione → la scena doveva essere dominata dalla parole e il verso deve costituire l'essenza del teatro. Tanto che egli costituisce il suo trattato attraverso una struttura in versi. La voce costituisce l’elemento fondamentale per l’arte dell’attore → organe strumento per eccellenza dell’attore francese Samson sosteneva che un attore era padrone del pubblico quando era di se stesso ed era padrone di se stesso quando era padrone della propria voce ed era padrone della propria voce quando aveva imparato a servirsene → attestarsi su una varietà di registri interpretativi fondati sull’articolazione della voce che era il punto di forza e strutturale dell’attore. Denis Diderot, Paradoxe sur le comédien 1770 c., grande filosofo e drammaturgo tra i fondatori dell’ Encyclopédie insieme a Lambert, figura a tutto tondo del panorama intellettuale europeo che scrive questo trattato che consiste in un dialogo tra due personaggi che lui definisce come 1 interlocutore e 2 interlocutore i quali discutono su quale sia il miglior modo di recitare: il 1 propende ad una recitazione calda naturale e l’altro ad una recitazione fredda ragionata. Nel corso del loro dibattito mettono a confronto due grandi attrici del teatro 700 francese: Hyppolite Clairon e Marie francoise Marchand detta M.lle Dumesnil. ❖ Mademoiselle Dumesnil è un'attrice calda e passionale dalle capacità eccezionali che riesce ad arrivare alla vetta della rappresentazioni delle emozioni però è un’attrice incostante, quindi una recitazione che non si mantiene allo stesso livello e che sul pubblico da sentimenti contrastanti. ❖ Hyppolite Clairon è un’attrice fredda nel senso che studiava a tavolino i personaggi che portava in scena, attenta allo studio del testo drammatico, attenta ad entrare nella psicologia e 20 Questo attore secondo la percezione si Sarcey si può dire che stanislskianamente Sully sia riuscito a rivivere in sé la vita e i sentimenti di Amleto, sviluppando una modalità di interpretazione del personaggio che sembra anticipare quelle che poi saranno le linee portanti di una delle + significative riflessioni sull’attore di fine 800 inizio 900 → Teoria della reviviscenza di Stanislavskij Coquelin L’Aine: grande attore comico, ha avuto modo di recitare a Firenze al teatro della Pergola. → nella parte di Mascarille nelle Précieuses ridicules di Molière Tournée nei principali paesi europei e nel resto del mondo. Gabrielle Charlotte Reju detta Rejane, può essere considerata come il contraltare si Sarah Bernhardt. → Sarah Bernhardt “ il 26 marzo del 1923, Sarah morì tra le braccia di Maurice (suo figlio). Pochi minuti più tardi il dottor Marò spalancò la finestra per annunciare che Madame Sarah Bernhardt non era più [??]. la sera, tutti gli attori di Parigi invitarono gli spettatori ad osservare due minuti di silenzio poi, al termine delle rappresentazioni, coloro che gli erano stati vicini si recarono in Boulevard Pereire, dove abitava l’attrice, per offrire i fiori ricevuti quella sera. Per tre giorni una fiumana ininterrotta sfilò davanti alla salma di Sarah. Sensazionale nella morte, come era stata nella vita, giaceva nella sua famosa bara, tutta vestita di bianco con la testa posata su un cuscino di violette, una croce d’argento in mano, la rosetta della legion d’onore sul petto. Mazzi enormi di lillà, rose, orchidee, garofani e gladioli riempivano la camera ardente, la scalinata e l’atrio. Ancora più commoventi erano gli innumerevoli mazzetti di violette e giunchiglie modesti pegni d’affetto degli umili che l’avevano adorata da lontano. Migliaia di persone facevano ala al corteo funebre che si snodava da Boulevard Pereire alla chiesa di Saint-François de Salle da qui all’ultimo riposo di Sarah nel cimitero del Père-Lachaise. Mentre passava per la città, il corteo si fermò davanti al “Théatre Sarah Bernhardt”, in quel momento una solenne pioggia di petali multicolori scese dal tetto del teatro e si posò sul feretro…” ↪ ricostruzione romanzata della biografia, scritta da due autori americani: Arthur Gold e Robert Fizdale La divina Sarah. Brano in cui viene descritta l’atmosfera che si è creata a Parigi attorno alla morte di Sarah Bernhardt e ciò che era successo durante i funerali. Attrice particolare, una delle grandi attrice “divine”. Personaggio eclettico, donna votata all’arte non solo come attrice ma anche come scultrice e pittrice, arti in cui si era cimentata anche con un notevole successo. È stata un accortissima creatrice del proprio mito, un mito fondato su un’immagine abbastanza sospetta e artificiosa: si presentava come una donna dotata di un assoluto buon senso, dal fuoco artistico, equilibrio, bontà ecc. Cioè da tutta una serie di tratti che abilmente riusciva a mescolare in quelle che erano le sue immagini pubbliche, arrivando ad una sorta di completa osmosi tra la dimensione della sua vita privata e la dimensione della sua vita scenica. Tenderà a inserire la propria dimensione scenica all’interno della propria vita privata attivando un processo di 21 spettacolarizzazione di tutta la sua esistenza. → non soltanto attrice sulla scena ma attrice anche nella vita. Nata nel 1843, morta nel 1923, iniziò la sua formazione teatrale al Conservatoire e iniziò una carriera che la portò a recitare in alcuni dei più importanti teatri Parigini: alla Comédie Française ebbe due esordi all’inizio della sua carriera; non fu un rapporto lineare con questa grande istituzione teatrale francese anche perché personaggi come lei erano difficili ad adeguarsi ad una riduzione delle proprie capacità e pretese economiche ed artistiche a quelle che erano le caratteristiche dei teatri nazionali. Personaggio che si colloca in maniera autonoma nel panorama teatrale francese del periodo. Il primo esordio dell’attrice alla Comédie Française avvenne nel 1862 a 18-19 anni e il secondo nel 1872, quando cominciava ad essere un’attrice affermata. Ebbe modo di recitare nei principali teatri parigini come il Gymnase, Porte Saint-Martin, Odéon, Théâtre de l’Ambigu Comique. Si distinse non soltanto come attrice ma anche come imprenditrice teatrale → Nel 1882 acquistò la concessione de l'Ambigu Comique, nel 1883 quello del teatro Porte Saint-Martin e negli anni che vanno dal 1883 al 1898 dirige il Theatre de la Renaissance e dal 1899 fino alla sua morte nel 1923 il Théatre des Nations a cui dette il proprio nome (→ Théâtre “Sarah Bernhardt”). ↪Era capace di cimentarsi a 360 gradi in quelli che erano i vari campi dell’attività artistica e del campo imprenditoriale. Per quanto riguarda la sua pratica scenica, era un’attrice particolarmente eclettica: il suo repertorio svariava dai grandi personaggi del repertorio classico francese a personaggi/parti “En Travesti” → parti in cui interpretava personaggi maschili, come ad esempio “Lorenzaccio” dall'omonima pièce di De Musset, “Le Blonde” dall'omonima pièce di Rostand e soprattutto “Amleto”. Una delle caratteristiche per le quali si distingueva nel panorama teatrale francese ed europeo era la sua voce. La capacità vocale per la quale Hugo le aveva attribuito il soprannome di “Voce D’oro” (Voix D’or), si fondava non tanto su una particolare potenza della voce, quanto piuttosto sulla purezza del suono e su di una dolcezza di fondo che nelle scene più violente che l’attrice interpretava, si trasformava in un’emissione di voce irregolare e rauca. Era capace di prodursi, specialmente in quei passaggi testuali che non richiedevano accenti forti, in una sorta di modulazione armonica continua, costante. La sua recitazione era caratterizzata da una costante attenzione ad una sorta di purezza formale. Riusciva a modellare il proprio assetto corporeo alla ricerca della perfezione della bellezza classica (→ interpretato come una sorta di retaggio della sua attività di scultrice). Questa ricerca della perfezione della bellezza si rappresentava sulla scena, a seconda dei ruoli che interpretava, in atteggiamenti imponenti oppure dominati da una dimensione religiosa quasi mistica; caratterizzati da una sorta di nervosismo in linea con la sensibilità dell’epoca, mediante gesti secchi, irregolari o spezzati. → seconda metà dell’800, secolo in cui si manifesta il fenomeno psicologico della nevrosi, attenzione particolare per la sfera psichica che si ritrae anche nel teatro attraverso l’esternalizzazione di alcune sensibilità psicologiche tramite la gestualità. Questo particolare stile recitativo ha lasciato tracce particolarmente evidenti in alcune delle sue interpretazioni. →Sarah Bernhardt in Theodora di Victorien Sardou. cerca di ostacolare l’ingresso delle truppe reali che danno la caccia ad andreas. Il gesto che Sarah costruisce è talmente potente quanto assolutamente innaturale: sbarrare una porta attraverso questa costruzione del corpo, il gomito piegato all’altezza del volto, l’altra stesa e il busto portato in avanti con una gamba piegata. Potenza retorica che sta a rappresentare tutta la disperazione e tensione emotiva che il personaggio riesce a d esprimere. Questa capacità di strutturare, in termini formali quanto artificiosi il proprio corpo, la propria gestualità, la propria recitazione e quindi la propria 22 presenza scenica lo ritroviamo anche in una delle interpretazioni più famose di Sarah Bernhardt, cioè “Margherita Gautier” nella pièce La signora delle Camelie di Alexandre Dumas Fils. Margherita Gautier è un cavallo di battaglia di Sarah Bernhardt. Ci sono dei momenti in cui la recitazione e la rappresentazione di questo personaggio che sono passati alla storia, in particolare la rappresentazione della morte del personaggio di Margherita. Dal punto di vista recitativo aveva connotato questo momento della morte di Marguerite Gautier con degli accenti apocalittici. ← Fotogramma della versione cinematografica de “La signora delle camelie” interpretata da Sarah Bernhardt. Film del 1908. Interpretazione della morte di Marguerite Gautier: Marguerite si alza da letto, va verso Armand e ad un certo punto, colta dal malore che l’avrebbe portata alla morte, fa una giravolta su se stessa, (nel fotogramma si coglie il movimento dell’attrice) per poi cadere ormai morta tra le braccia dell’innamorato. Già da questi atti dell’attrice si può dire che si inseriva a pieno titolo in quelle che sono le coordinate in termini di gestualità e recitazione nel suo complesso, per quanto riguarda i grandi attori ottocenteschi europei. ↪Lei è al vertice di questo fenomeno grand’attorico europeo, come lei anche Eleonora Duse, Ernesto Rossi, Tommaso Salvini. Brano di George Bernard Shaw, scrive in un giornale “Saturday Review” del 15 Giugno 1895, descrive e mette a confronto la recitazione di Sarah Bernhardt con quella di Eleonora Duse. “Mme. Sarah Bernhard ha il fascino di un’allegra maturità, un po' viziata e petulante sempre pronta ad un sorriso, raggio di sole tra le nuvole. I suoi abiti e i suoi gioielli non sono splendidi ma fanno faville. La sua figura una volta, troppo poco imbottita, ora è al punto giusto e la sua carnagione rivela che sa bene usare la sua conoscenza dell’arte moderna. Quegli affascinanti effetti rosati, tipici francesi ottengono dando all’incarnato una preziosa colorazione di fragole e panna ombreggiato di rosa cremisi, sono riprodotti con grazia da MMe Bernhardt nella pittura vivente che riesce a fare di se. Ogni sera si colora le orecchie di cremisi e le lascia occhieggiare attraverso due ciocche pendenti di capelli neri come l’ebano. Ogni fossetta ha il suo tocco di rosa e la punta delle dita sono di un color carne così delicato che sembra siano trasparenti come le orecchie e che le sue vene delicate lasciano trasparire la luce. Le labbra sono rosse come le cassette della posta appena dipinte, le guance fin sotto le languide ciglia sono vellutate come pelle di pesca. Il bello della bellezza che ha saputo studiarsi addosso è assolutamente inumano e inverosimile. Questa inverosimiglianza è perdonabile perché, e qui è l’assurdo, che neanche se nessuno ci crede e l’attrice stessa meglio di chiunque altro, è così studiata, così intelligente così consapevolmente parte di un prodotto ed essa la porta con un aria così sapiente che è impossibile non accettarla con piacere. È l’arte di scoprire tutte le vostre debolezze e di cercare con esse lusingandovi, straziandovi, eccitandovi a conti fatti, prendendovi in giro. Ed è sempre la stessa Sarah Bernhardt con la sua abilità, che vi fa questo scherzo: l’abito, il titolo della commedia, la parte, l’ordine delle parole, possono cambiare ma la donna è sempre la stessa. Essa non entra nel personaggio, si fa guidare da esso, si fa sostituire dal personaggio.” Quest’ultima frase si racchiude tutto il senso dell’esperienza di Sarah Bernhardt. Non soltanto dal punto di vista artistico ma anche dal punto di vista del suo essere donna a tutto tondo. Rapporto di Sarah con l’immagine molto particolare, la promozione di se stessa come attrice e come donna. Tutta questa attività tendente a promuovere se stessa passa attraverso un uso sapiente delle immagini che sono di vario tipo: 25 Teatro italiano dell 800 Situazione diversa dalla Francia, diametralmente opposta: Non c’è il processo di centralizzazione delle arti dello spettacolo in un solo punto perché l’Italia è frammentata politicamente. Questo si riflette sulle attività teatrali, che a differenza della francia dove il grosso si sviluppava a Parigi in Italia tutti i principali capoluoghi di provincia hanno un teatro con varie compagnie che operano in quel territorio → struttura capillare. Elementi strutturali ● Circuiti teatrali e contesti produttivi ● Compagnia all’antica italiana ● Sistema dei ruoli ● Grande Autore Circuiti teatrali e contesti produttivi: È impensabili pensare all’attività centralizzata e quindi è normale pensare che le attività si sviluppano in circuiti (circuito centro-settentrionale e centro-meridionale). Questi circuiti sono seguiti dalle Compagnie di giro, itineranti, che si spostano di città in città → compagnie che si manifestano dalla metà del 500. A questa logica del circuito sfugge la città di Napoli che già dal 500 sviluppa delle attività teatrali stanziali legati a piccoli teatri incentrati su spettacoli dialettali (questo non vuol dire che non passassero le compagnie itinerarie). ★ Eccezione: Compagnia Reale Sarda 1820-1852 Istituita per volere di Vittorio Emanuele I Savoia. Siamo in presenza di una situazione anomala. Anomala rispetto a quello che era il contesto produttivo teatrale italiano, che era appunto caratterizzato dalle compagnie di giro e dall’organizzazione in circuiti. Ebbe la sua sede principale in due teatri torinesi, il “Teatro Carignano” e il “Teatro D'Angennes”. Fu una compagnia particolare perché si deve considerare che l’istituzione di essa si inserisce in un processo di sensibilizzazione della penisola italiana finalizzato a quella che poi sarà l’unità d’Italia del 1861. Anche il teatro da questo punto di vista può essere considerato uno strumento, per quanto riguarda la volontà della dinastia sabauda, per il raggiungimento dell’unità nazionale. Decreto di Vittorio Emanuele I che istituisce la Compagnia Reale Sarda. “Essendoci stato rassegnato, offrire di ottenere la nostra sovrana approvazione, il lodevole divisamento di una società che avrebbe per il scopo di istituire in questa capitale (Torino) una compagnia stabile, composta di eccellenti attori drammatici italiani; considerando noi, che l’arte drammatica ben regolata ed opportunemente favoreggiata e protetta mentre procaccia agli abitanti della capitale un onesto sollazzo, tende a ingentilire il costume. E volendo noi per altra parte concorrere con altri principi di Italia, nel conservare la purità della nostra leggiadrissima favella(?) e nel sollevare più alto grado di splendore così lustre ad un tempo e così profittevole in cui i felicissimi italiani ingegni hanno dato prove di singolare valore, ci siamo di buon grado determinati ad approvare l’esecuzione di un siffatto disegno persuasi che il mezzo più spediente a migliorare e perfezionare l’arte drammatica, si è l’istituzione di una compagnia di ottimi attori. Desiderando poi che una simile istituzione ottenga più facilmente il suo fine e volendone assicurare la durevolezza abbiamo divisato di far ciò eseguire a spese del regio erario. È risoluto che una tale esecuzione sia affidata alle cure della nobile direzione dei teatri. Per mettere poi, questa in grado di più agevolmente compiere questo incarico, vogliamo che siano alla medesima aggiunti cinque soggetti che verranno da noi nominati. A questo fine, la dimensione suddetta presenterà un modello di esecuzione e proporrà la somma necessaria da pagarsi al regio Erario la quale però non dovrà oltrepassare la somma di Lire 50.000 e finalmente il nostro volere che il repertorio delle azioni drammatiche che dovranno rappresentarsi da una tale compagnia sia composto e determinato dalla nostra nobile direzione e sottoposto quindi all’approvazione del primo segretario di polizia. 28 giugno 1820, Vittorio Emanuele I di Savoia.” ↪ Si evince da questo atto che la compagnia ha il compito di intrattenere il pubblico della capitale italiana ma non solo della capitale, ma anche degli altri principati italiani, in riferimento alla volontà 26 di concorrere con gli altri principi d’Italia e concorrere alla purezza della lingua. → non è solo la volontà di istituire una compagnia teatrale, ma è la volontà di diffondere la lingua italiana in quelle città e teatri in cui la compagnia Reale Sarda si troverà ad operare. Si propone anche in diverse Tournée anche se opera principalmente a Torino. Uno dei tratti pertinenti, l’elemento che caratterizza una sorta di intenzionalità politica di questo decreto, affinché si possa parlare di una nazione, l’elemento unificante è proprio la lingua. Se gli abitanti di un intero paese parlano tutti la stessa lingua a livello politico l’unificazione si può dire che è quasi fatta. → in Italia l’unificazione a livello linguistico è stato un processo lungo e faticoso durato decenni anche dopo l’unificazione del 1861 Un altro elemento importante all’interno del decreto: questa compagnia viene istituita per volere reale. Emanuele I si fa carico dell’istituzione della compagnia e quindi è di fatto una compagnia di stato; che beneficerà di un finanziamento che verrà erogato dal “regio erario” che sovvenziona la compagnia. Questa compagnia è una compagnia che si caratterizza, con un’attenzione particolare, verso un certo tipo di repertorio. Si inaugura con il primo spettacolo, il 29 Aprile 1821, con la messa in scena di una commedia di Alberto Nota intitolata “La Atrabiliare” che di fatto è la trasposizione italiana del “Misanthrope” di Molière. In questa compagnia operano degli attori particolarmente importanti come Gaetano Bazzi, Francesco Augusto Bon, Carlotta Marchionni, Luigi Vestri, Gaetano Bettinelli, Adelaide Ristori, Ernesto Rossi, Luigi Bellotti Bon → alcuni di questi saranno protagonisti del fenomeno Grand’Attorico italiano. Attori che hanno avuto prestigio a livello nazionale.I due più importanti sono Adelaide Ristori e Ernesto Rossi. Si specializza prevalentemente sul repertorio Alfieriano (Vittorio Alfieri è autore di riferimento per molte compagnie italiano del periodo). L’atto istitutivo della Compagnia Reale Sarda mette in luce anche che, il repertorio sarà fortemente controllato dalla censura: il governo italiano esercita un’attenzione molto forte nei confronti del repertorio della compagnia. Opera sul territorio nazionale fino al 1852 anno in cui la compagnia viene soppressa in due sedute del Parlamento Subalpino. Fu un intervento paradossale in quanto l’esecutore fu Camillo Benso Conte di Cavour che poi, pochi anni più tardi fu uno degli artefici dell’unità d’Italia. «Sarebbe cosa altamente illogica il votare la menoma somma, fosse pur quella di un centesimo per l’incoraggiamento di arte drammatica» → Disinteresse verso le attività culturali in particolar modo le attività teatrali. Cavour riteneva inutile il teatro e il mantenimento della compagnia. Attori della Compagnia Reale Sarda 1836 Da sinistra a destra: Carlotta Marchionni, Antonietta Robotti, Rosina Romagnoli, Luigi Vestri, Domenico Righetti, Giovanni Gottardi, Giovanni Borghi) 27 Antonio Morrocchesi È stato un grande attore italiano, che ha operato a Firenze. Uno degli attori più importanti che ha lavorato a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento. è stato il principale artefice della messa in scena del repertorio Alfieriano. Si distingue non soltanto come attore ma si distingue anche per la sua attività di insegnante di recitazione e declamazione all’Accademia delle Belle Arti di Firenze. In virtù del suo insegnamento, è stato colui che ha pubblicato nel 1832 un manuale, “Lezioni di declamazione e d’arte Teatrale”. Si possono riassumere le grandi stagioni della trattatistica teatrale del 700/800 con una distinzione fondamentale: nel corso del 700 in Francia con trattati come il Paradoxe sur le comédien, destinati a mettere in luce le grandi teorie sull’arte dell’attore, il teatro in questo tipo di comunicazione è stato affrontato dal punto di vista delle grandi teorie e quindi sono stati scritti trattati che andavano a ricercare le linee strutturali dell’arte dello spettacolo, da un punto di vista teorico principalmente e dal punto di vista dell’attore, della recitazione, e dal punto di vista con cui l’attore poteva esprimere le passioni e i personaggi che si andavano a portare in scena. Per quanto riguarda l’800 la situazione muta. Trattati come quelli di L’art theatral di Samson o di altri autori si assiste al manifestrarsi di una trattatistica che non si fonda più sulla ricerca delle grandi teorie e delle strutture del teatro ma si tratta di una trattatistica a carattere normativo. Trattati che insegnano agli attori a recitare. “La norma del teatro” da “Teatro” di Fabrizio Cruciani e Nicola Savarese, guida bibliografica pubblicata nel 1991. Un attore dell’Ottocento, che ha lavorato anch’egli come trattatista, Francesco Righetti, il quale fa una descrizione particolarmente interessante di Antonio Morrocchesi in un passo del suo trattato “Teatro Italiano” pubblicato nel 1828. «Fra tutti gli attori italiani da me veduti, nessuno ha presentato alla mia mente un contrasto più bizzarro, quanto il nostro Morrocchesi, celebre attore tragico. La sua voce era rauca e malatta a colorire tenere espressioni imponente, terribile nell’espansioni violente affetti. Il suo portamento e il suo gesto erano nobili e dignitosi, né perdevano della loro dignità e della loro nobiltà, che quando voleva dipingere gli oggetti fisici con gesti di sopraffazione. La sua dizione ora lenta, ora precipitata non era sempre quadrante con la qualità dei pensieri che doveva esprimere. Quasi sempre sublime nella pittura di vive immagini, e nell’entusiasmo si trasportava talvolta al di là di quel confine stabilito tra la sublimità e la stravaganza. Infine, nessun attore ha presentato all’occhio dell’intelligente osservatore maggior riunione di bellezze tragiche e difetti del tutto particolari. Quest’attore si applicò quasi esclusivamente alle tragedie del grande Alfieri, e fu dei primi che le fece assaporare nei pubblici teatri ed in queste sviluppava tutte le sue qualità, fisiche e morali. Nessuno potrà contrastare, al nostro Morrocchesi, esser’egli stato il primo tra i comici a penetrà’ bene addentro nei reconditi pensieri di quel gran tragico, a colpirne carattere, a regolare la reclamazione dei suoi versi meno pomposi che ricchi di pensieri, ed indigesti, alla gran parte dei comici di allora. Acclamato nelle principali e nelle più colte città d’Italia, estete gigante in mezzo ai suoi rivali, che pur volevano atterrarlo assalendolo da ogni lato. Questo è il solo valente artista con cui nella mia carriera teatrale, mi si sia trovato in contatto fino a che non fui aggregato alla drammatica compagnia al servizio di sua maestà, il re di Sardegna. E non temo di errare se dico che questo tragico attore era l’attore di genio. Il suo difetto nell’analisi dei caratteri traspariva nelle particolarità, non nel tutto. E si talvolta deviava dalla retta declarazione e si abbandonava a conati troppo più violenti del bisognevole, era meno per mancanza di intelligenza e d’arte che per la foga di strappare al pubblico quei clamorosi applausi che lo deviavano e di che era quasi sempre padrone.» ↪ Questo ritratto che Francesco Righetti fa di Morrocchesi è un ritratto che presenta un attore caratterizzato da una forte discontinuità: un attore di bell’aspetto ma che non riesce a mantenersi in equilibrio nella manifestazione delle passioni. Attore che procede per sbalzi, per linee eccessive della propria recitazione e l’unico merito che Righetti riconosce a Morrocchesi è quello di essere stato il primo a promuovere e rappresentare la drammaturgia di Vittorio Alfieri. 30 Distinzione tra parte e ruolo. ➔ La parte corrisponde all’individuo letterario costituito dall'insieme delle battute pronunciate da un personaggio all’interno di un testo drammatico. ➔ Il ruolo è l’elemento concettuale importante per l’organizzazione interna delle compagnie. Il ruolo può essere nella percezione 800esca, può essere considerato come un contenitore di parti tra loro simili. Un attore che ha una competenza su un determinato ruolo ha assimilato dentro di sé, in termini di capacità recitative, tutti quei tratti comuni che lo contraddistinguono. L'attribuzione di un ruolo per un attore avveniva su delle specificità (fisico, psicologico) e competenze tecniche sulla recitazione, competenza di base che consentiva all’attore di assumere una certa tipologia di ruoli piuttosto che altri. L’attore interviene essenzialmente lavorando sulle variabili del personaggio: tratti specifici che servono a caratterizzare quel determinato personaggio invece che un altro. Meccanismo che consentiva agli attori dell’800 di lavorare con estrema velocità e rispondeva alla necessità della produzione intensiva dello spettacolo. Rispondeva alle Contraintes (costrizioni), quelle condizioni materiali imprescindibili all’interno il quale si muove l’attore che lo obbligano ad accattivarsi le simpatie del pubblico a differenza di quello che succedeva nelle commedie dell’arte dove il pubblico dovevano cercarselo. Sistema Dei Ruoli: Il ruolo può essere inteso come una sorta di competenza su un numero di parti tra loro simili, l’attore ha determinata capacità e su quella base gli viene dato un ruolo. Ma il ruolo all’interno della compagnia ha una funzione gerarchica, all’interno della compagnia ci sono dei ruoli primari e dei ruoli secondari – ruoli che si dispongono in ordine di importanza: Contraintes: dimensione dell’attore in rapporto alla compagnia e al rapporto della compagnia teatrale ottocentesca, quasi tutte le compagnie possono essere considerate come micro società a sé stante. ↪ Compagnia come micro società degli attori – concetto sviluppato da Claudio Meldolesi (italiano), padre fondatore del Dams di Bologna, ha elaborato la nozione di compagnia teatrale perché il teatro si fonda su delle contraintes, che costringono le compagnie a vivere in un certo modo. Una compagnia teatrale si fonda su delle regole, le costrizioni del mestiere dettavano le linee guide di queste persone che costituivano le compagnie. ➢ Comporta che gli attori ubbidiscano ad una serie di regole/costrizioni, condizioni materiali che vincolano l’attività di questi attori che vivono recitando: nomadismo, in cerca di “mercati” differenti + un’altra serie di elementi che determinavano il mestiere dell’attore ha fatto si che le compagnie teatrali 800entesca siano state considerate come delle vere e proprie micro società, autosufficienti, che vivevano di regole proprie nonostante inserite nel contesto sociale dell’epoca. ➢ Figura dell’attore marginale come la figura della compagnia teatrale → vere e proprie micro società Ruoli Primari ● Primo attore e prima attrice → ruoli più importanti, ruoli dei protagonisti, quei personaggi all’interno di una determinata tragedia occupano la posizione principale. Di solito sono a capo della compagnia ● Brillante → forte vocazione per parti tendenzialmente comiche ● Caratterista → parti caratterizzate, personaggi animati da caratteristiche stereotipate (tic, manie ecc) ● Padre nobile (tiranno) → ruolo particolarmente attivo fino agli anni trenta dell’800. Particolarmente rilevante per tutto il secolo il padre nobile/madre nobile → evoluzione del primo attore o prima attrice (madre nobile) 31 Ruoli Secondari ● Primo attore/attrice giovane → attori giovani protagonisti ● Seconda donna → generalmente destinato a parti di adultera o donna non particolarmente per bene (Margherita Gautier, Cesarine….) ruolo che nel corso dell’800 soprattutto verso la fine del secolo diventerà particolarmente importante, alcune grandi attrici, rilevante nella drammaturgia interpreteranno ruoli di seconda donna - tipo Eleonora Duse ● Promiscuo → attori che sono capaci di fare parti diversificate → attori polivalenti capaci di interpretare vari ruoli ● Generico primario → generico primario, attori che non hanno specializzazioni assimilabili a qualcosa in più di una semplice comparsa. A partire da questa configurazione che si basa sia sulla competenza degli attori in un determinato ruolo sia sulla configurazione gerarchica all’interno delle compagnie, si struttura tutta l’attività delle compagnie italiane dell’800. Repertorio Queste compagnie hanno fondato nella prima del secolo sulla drammaturgia di Alfieri, nella seconda parte si afferma il genio di Shakespeare, e diventa il cavallo di battaglia di tutti gli attori dell’800. Durante la seconda metà dell’800 si afferma in Italia in maniera incisiva la drammaturgia di Sardou, Auger e Dumas Fils. → principali punti di riferimento Sul fronte della drammaturgia italiana: Prima metà 800: Paolo Ferrari, repertorio incentrato su commedie di stampo borghese Seconda metà 800: la ripresa del repertorio di Carlo Goldoni, numerosi attori italiani del periodo attingeranno al repertorio goldoniano. I grandi attori: Gustavo Modena, Tommaso Salvini, Ernesto Rossi, Adelaide Ristori, Eleonora Duse, Giovanni Emanuel, Ermete Zacconi. ↪ la maggior parte degli attori hanno recitato più all’estero che in Italia. → modello italiano che si esporta in giro per il mondo → compagnie capaci di rivolgersi al pubblico estero Gustavo Modena È stato una figura singolare, all’origine del fenomeno grande attorico perché univa in sé al proprio mestiere di attore una sorta di attività di Patriota. Esule in inghilterra, viene considerato come un attore che esercita una sua influenza anche sui moti del risorgimento in Italia, diffuse la cultura italiana in inghilterra recitava la divina commedia a Londra. Si è cimentato anche nel repertorio Alfieriano Adelaide Ristori Inizia nella compagnia reale Sarda e diventa una grande attrice del panorama italiano ma anche sul piano europeo e mondiale, attrice che seppe distinguersi sui palchi di tutto il mondo per una serie di interpretazioni tra Alfieri e Shakespeare. Attrice particolarmente eclettica, versatile e dotata di capacità attoriali e manageriali particolarmente alte. Avvio una strategia di promozione del suo lavoro in tutto il mondo Ernesto rossi Attore particolarmente versatile, che riusciva a interpretare il personaggio di “Romeo” (personaggio 15enne) con accenti credibili all’età di 60 anni. 32 Tommaso Salvini Grandissimo attore ottocentesco; personaggio di grandissima levatura al pari degli altri attori. Eleonora Duse (Vigevano 1858 – Pittsburgh 1924) Grande attrice italiana che ha lavorato a cavallo tra la seconda metà dell’Ottocento e la metà degli Anni Venti del Novecento. In confronto a Sarah Bernhardt → erano simili nella grandezza ma diametralmente opposte sia a livello artistico, recitativo sia per quanto riguarda la costruzione della propria immagine. ← Edoardo Gordigiani – Eleonora Duse. Memo Benassi – L’ultimo viaggio di Eleonora Duse, Vicenza 1967: “L’ultimo ricordo che ho di lei, è un saluto appena accennato dalle sue bellissime mani di là dalle quinte. Un saluto direi aereo. Poi la rividi disfatta, nel letto dell’albergo di Pittsburgh, mentre invocava «Acqua, Acqua». E il suo corpo venne calato sulla strada con l’ascensore dei bagagli. Per tre giorni e tre notti la folla che aveva applaudito Eleonora, ricongiunse le mani a pregare nella chiesa che ospitava la salma.” Lettera di Maria Avogadro a Edouard Schneider (citata in un volume DI William Weaver, “Eleonora Duse” Milano 1985) “Alle otto della sera di quello stesso giorno, il medico ci disse che la fine era prossima. La Duse si agitava nel letto, ma senza soffrire, e alle due e venti della notte del 21 aprile si tirò a sedere con straordinario vigore, appoggiandosi sui pugni per sostenere quel suo povero corpo. Poi, fissando Mademoiselle Desirée e me, ci chiese che cosa facessimo lì, immobili e disse: « Bisogna muoversi! Dobbiamo partire! Agire, Agire!». La sua voce era sempre bella. Ma all’improvviso, fu colta da un orribile brivido di freddo. «Copritemi» chiese, Dieci minuti dopo morì. Le sue ultime parole furono: “Partire! Agire! Copritemi!” Questi due brani molto intimi sono ricordi molto personali di questi due testimoni degli ultimi momenti della vita di Eleonora Duse. Gettano una luce importante sulla vita dell’attrice al pari della Bernhardt in Francia, è stata un mito nazionale per gli italiani. Ha avuto dei funerali imponenti. → la motonave “Duilio” portò il feretro dagli Stati Uniti al porto di Napoli e fu accolta da una moltitudine di persone e il treno che la accompagnò ad Asolo dove fu sepolta fu seguito lungo tutta la penisola da tantissime persone. 35 imitato da una cameriera di bar anche se spendesse tutte le sue risorse per agghindarsi, e avesse una fila di luci della ribalta di fronte, invece le mani ?? di una macchina per spillare la birra La Duse è in azione da appena cinque minuti ed è già un quarto di secolo più avanti rispetto alla più bella donna del mondo. Ammetto che l’elaborato sorriso da Monnalisa di Sarah Bernhardt con il sapiente batter di ciglia e le lunghe labbra color carminio, che si aprono timidamente sulla scintillante fila di denti, non solo non può passare inosservato ai vostri sensi ma gli scuote. Ma la Duse, con il tremor delle labbra che voi sentite più che vedere, arriva dritto al cuore e non c’è un tratto della sua faccia o un tono freddo e l’ombra grigia che non renda penetrante quel cuore. Quanto alla giovinezza e alla bellezza, chi potrebbe associare la purezza e la delicatezza delle emozioni e la semplicità dell’espressione con le sordide astuzie che tendono a far tornare indietro l’età o il richiamo alla voluttà o ad un egoistico compiacimento di sé, con il candore e la generosità che ci attraggono della giovinezza? La verità è che nell’arte di esser bella, Sarah Bernhardt è una bambina al suo confronto. Il repertorio di atteggiamenti ed espressioni facciali dell’artista francese potrebbe essere facilmente catalogato come il repertorio delle sue idee drammatiche. A Farne il conto basterebbero le dita delle due mani. La Duse dà l’illusione che la varietà delle sue pose e dei suoi movimenti sia infinita. Ogni idea, ogni ombra di pensiero, ogni umore si rivela con leggerezza di tono ma con vigore. Eppure nell'attenta infinità di mutamenti ed inflessioni è impossibile cogliere un angolosità o una flessione che interferisca con il perfetto abbandonarsi delle sue membra a quella che sembra una naturale gravitazione verso la grazia più armoniosa. È flessibile e morbida come una ginnasta o una pantera. Solo la folla delle idee che trovano espressione fisica nei suoi movimenti, sono tutte di quella alta qualità che distingue gli animali dagli esseri umani e dai cattivi ginnasti. Quando si pensi che la maggior parte degli attori tragici è capace di esplodere solo nelle passioni che l’uomo ha in comune col bruto, non sarà difficile capire l’indescrivibile differenza che la recitazione della Duse acquisisce dal fatto che in ogni tratto del suo lavoro scenico c’è un’idea inconfondibilmente nuova. È un istinto di mera umanità che resta costantemente vigile e cerca di svegliare la risposta dei sentimenti più profondi senza suscitare dolore.” ↪ Eleonora Duse veniva definita come un'attrice che portava in scena personaggi caratterizzati da dolorismo costante, questa dimensione sentilmente sofferta era una caratteristica dell’attrice. L’attrice viene definita “Grigia” rispetto alla Bernhardt. Anche la presenza scenica si presenta diametralmente opposta. Le entrate in scena di Eleonora Duse: entrava, come ricorda Shaw lateralmente e non frontalmente in scena. Non si lascia andare a gestualità particolarmente esagerate, non si uniforma alla recitazione tipica dei grandi attori ottocenteschi ma lavora per sottrazione. Laddove Sarah Bernhard accentua, Eleonora Duse sottrae. Uno degli aspetti più tipici della sua recitazione era, per esempio, lasciarsi andare a dei gesti delle mani minuti non accentuati, in apparenza inutili ma che trasparivano il segno di una sofferenza emotiva, sentimentale e psicologica. Questi gesti erano particolarmente importanti nella relazione che l’attrice riusciva a stabilire con il partner. Aveva l’abitudine di toccare gli abiti degli attori con cui recitava con una familiarità, con piccole attenzioni fatte appunto da piccoli gesti quasi quotidiani che costituivano un valore aggiunto anche in termini di espressione sentimentale dei personaggi da lei interpretati. → Eleonora Duse nella parte di Anna in “La città morta” di D’Annunzio. Eleonora Duse di profilo, appoggiata ad una colonna di scenografia. È collocata in una posizione laterale rispetto alla scena ed è collocata sullo sfondo, dimensione perifericità dell’attrice. Eleonora Duse nella parte di Anna in “La città morta” di D’Annunzio → L’abito bianco sembra confondersi con la scenografia dello sfondo (→ sempre in termini di perifericità dell’attrice). 36 ← Eleonora Duse nella parte di Anna in “La città morta” di D’annunzio. Sembra quasi perdersi tra gli altri due personaggi: la nutrice sulla sinistra e il personaggio di Bianca Maria sulla destra. Eleonora Duse nella parte di Anna in “La città morta” di D’annunzio. → Configurazione diversa dalle precedenti: incontro tra Bianca Maria e Anna. Le due rappresentano un complesso quasi scultoreo ← Eleonora Duse nella parte di Anna in “La città morta” di D’annunzio. L’unico gesto fortemente dilatato all’interno di questo spettacolo. Assimilabile alla grande gestualità delle attrici 800esche (vedi Sarah Bernhardt) La dimensione nel rapporto tra Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio: la gestualità dell’attrice è resa a regime dell’estetica della poetica D’annunziana. L’attrice in questi drammi arriva ad esibire una gestualità quasi stilizzata, caratterizzata da un registro fortemente simbolico. Nel tempo cercherà di gestire questa mimica del corpo sostanzialmente in una compostezza che si accentua sempre di più nel corso degli anni. Presenza scenica caratterizzata da una maestosa compostezza ← Fotogramma del Film “Cenere” di Febo Mari A differenza di Sarah Bernhardt che durante la vecchiaia, nelle fotografie oppure nelle scene aveva un trucco pesante, Eleonora Duse, a 58 anni si presenta al naturale, senza un filo di trucco. Immagini dalla Tournée Americana → Trama del Film “Cenere” 1916 → film Muto. È la vicenda di Rosalia Derios, una donna che ha avuto un figlio illegittimo. Il bimbo cresce e quando ha 7/8 anni la madre si rende conto di non poterlo più mantenere e lo riporta al padre naturale il quale decide di accogliere questo bambino che entra a far parte della famiglia dove viene accettato anche dalla moglie dell’uomo. Questo bambino cresce, il padre lo fa studiare e diventa colto ed istruito. Il bambino, ormai divenuto uomo, si fidanza con Margherita, quella che un tempo è stata sua compagna di giochi da bambina. Il figlio, Anania, è animato dal desiderio di ritrovare la madre e ad un certo punto della vicenda i due si incontrano e ristabiliscono un contatto. Margherita, la fidanzata, si mette in mezzo perché non accetta che il fidanzato mantenga vivo il rapporto con la madre che un tempo l’aveva abbandonato. L’ulteriore allontanamento del figlio da Rosalia sarà la causa della morte della donna. 37 Il Teatro dell’Ottocento in Europa La drammaturgia italiana e Francese sono sostanzialmente le colonne portanti del teatro ottocentesco europeo: dominato da linee di indirizzo trasversali come la linea del Grand’attore; in Francia la linea d’indirizzo industriale dello spettacolo; la linea d’indirizzo “Borghese” che attraversa i principali paesi europee con le pièces di Sardou, Auger e Dumas Fils. Si afferma in questo periodo una nuova categoria di Drammaturgia: quella di stampo Scandinavo con autori come Ibsen e Strindberg che diventeranno anch’essi dei punti di riferimento per grandi attori europei ma soprattutto italiani come Eleonora Duse ed Ermete Zacconi. Siamo all’interno della cosiddetta “Norma del Teatro” ovvero un teatro che in termini generali, si uniforma, con le varie differenze nazionali, con dei punti cardini che sono: ● il “Grande Attore”, ● L’industrializzazione dello spettacolo, ● diffusione capillare dell’organizzazione dello spettacolo, ● istituzionalizzazione complessiva (→ la norma del teatro) Nel corso del secolo iniziano a manifestarsi delle linee di tensione che poi produrranno in progresso di tempo delle linee di indirizzo diversificate e sicuramente divergenti rispetto alla linea tradizionale. → in termini medi si potrebbe dire che le arti dello spettacolo si fondavano, nel corso dell’Ottocento, su delle prove abbastanza approssimative. C’era un’attenzione non capillare al processo di creazione e produzione dello spettacolo soprattutto per quanto riguarda la parte relativa alla recitazione e per certi versi anche alla parte riguardante la dimensione scenografica (→ in alcuni punti non particolarmente curata). Non c’era quella conoscenza che in tempi più avanzati avrebbe fatto sì che dietro alla produzione dello spettacolo ci sarebbe stato uno studio o attenzione particolare per le prove oppure sulla messa a punto di tutti gli elementi costitutivi dello spettacolo. L’inversione di tendenza nei confronti della produzione Ottocentesca si ha con una compagnia che si caratterizza per la sua attività a livello amatoriale (inizialmente) cioè la compagnia del duca di Saxe-Meiningen. Giorgio II, Duca di Saxe-Meiningen, mecenate, aveva istituito una propria compagnia di corte, in parte con attori professionisti e in parte con attori dilettanti, diretta da un regista, il quale è stato definito dalla critica come “Regista Despota” →Ludwig Cronegk Le caratteristiche della compagnia: Questa Compagnia era caratterizzata da una forte gerarchizzazione al suo interno: al vertice della compagnia c’erano sostanzialmente due padroni assoluti ovvero Giorgio II che finanziava la compagnia e Cronegk, il regista, al quale tutti dovevano sottostare. Da un punto di vista della produzione spettacolare, questa compagnia fondava il proprio lavoro su l'assoluto rigore nella preparazione degli spettacoli. La preparazione degli spettacoli era caratterizzata da uno studio approfondito degli ambienti, delle epoche storiche che riguardavano le vicende dei vari drammi delle opere portate in scena perché Giorgio II e Cronegk ritenevano che, per quanto riguarda le ambientazioni e le scenografie, ci dovesse essere una massima attenzione in termini di verosimiglianza storica e perfetta aderenza alle vicende che dovevano essere rappresentate. Lo stesso riguarda anche la costumistica. Giorgio II e Cronegk impongono la ricerca di fonti documentarie, ricercano, leggono saggi, testi che contengono informazioni su determinate epoche storiche più o meno connesse alle vicende che dovevano essere messe in scena; per cui le scenografie e i costumi venivano ricostruiti con un rigore storico-filologico elevatissimo partendo appunto da delle cognizioni documentarie che di fatto tendevano a ricostruire sulla scena degli ambienti assolutamente reali. 40 ❖ Moment (momento storico): Ogni individuo che vive in un determinato contesto storico viene determinato e condizionato da esso. Sono le coordinate che regolano il Naturalismo. Sempre in questo periodo si sviluppano le teorie di Darwin Origini, le origini della specie nel 1859. Per quello che riguarda la letteratura e il teatro ci si basa su due trattati di Zola: ● Le roman expérimental (1880) ● Le naturalisme au théâtre (1880) Il romanziere per Zola è colui che, così come il medico ha il compito di studiare le patologie degli individui, il compito del romanziere è prendere in considerazione le patologie della società. → le tre coordinate Race-Milieu-Moment costituiscono l’elemento principale. L’attenzione di Zola nei confronti del romanzo si rivolge definendo il compito del romanziere studiando le patologie sociali. Prendendo in considerazione i personaggi del ciclo “Le Rougon Macquart: storia di una famiglia sotto il secondo impero”; questi personaggi sono appartenenti ad una famiglia afflitta e affetta da diverse patologie che non si trasmettono in generazione in generazione ma riaffiorano col tempo in determinati individui. Le patologie più ricorrenti all’interno del Ciclo dei Rougon-Macquart che affliggono i personaggi sono essenzialmente due ovvero da un lato l’alcolismo e dall’altro la follia e al centro c’è una varietà di degrado sociale. (Anche la prostituzione come nel caso di “Nana”) In questo ciclo, costituito da circa una ventina di romanzi, vengono presi in considerazione una serie di patologie sotto un determinato punto di vista: qual è il compito del romanziere in confronto alle vicende che narra? Come può il romanziere adottare lo stesso procedimento mentale (scientifico) analogo allo sperimentatore medico/scientifico o tecnologico? Zola dice che il romanzo è il contenitore dell’esperimento → il romanziere, che ha il compito di rappresentare all’interno dei suoi romanzi la realtà sociale complessa, parte dall’osservazione; osservando determinati fenomeni sociali attraverso le vicende di alcuni individui, i Documenti Umani. Il romanziere dispone di “Documenti umani” e li individua attingendoli dalla realtà sociale che lo circonda. Questi documenti umani vengono inseriti in quel laboratorio sperimentale che è il momento della creazione del romanzo. Il romanzo dovrebbe risultare poi, nelle intenzioni di Zola, una sorta di “verbale dell’esperimento” dove il romanziere deve formulare cronaca il più possibile oggettiva capace di rappresentare un determinato contesto, vicende e personaggi. Il trattato “Le Roman Expérimental” consiste nell’analisi delle tappe attraverso le quali la letteratura francese si è evoluta acquisendo, di processo in processo, acquisendo una crescente dose di realismo quindi la capacità di rappresentare efficacemente la realtà così com’è. All’interno del Roman expérimental Zola si sofferma anche sul teatro che definisce come una parte “Refrattaria” nel lasciarsi penetrare dal Naturalismo, perché il teatro viene definito come “la cittadella della convezione” → il teatro per poter sopravvivere deve tenere in considerazione diverse convenzioni stratificate, radicate che sono diventate tradizione: in primo luogo il riuscire a trattenere il pubblico, che non è una sola persona ma una massa e proprio per questo suo rivolgersi alle masse deve in qualche misura produrre spettacoli che raggiungano la media del gusto del pubblico; per poter fare questo il teatro si deve fondare su determinate convenzioni → le convenzioni sono quelle che consentono la sopravvivenza del teatro Il trattato “Le Naturalisme au Theatre” è un trattato che non nasce in maniera organica, ma è una raccolta di recensioni teatrali che Zola ha scritto a partire dagli anni 70 fino al 1880 dove si estrapola la sua visione del teatro. Una visione teatrale che mette in evidenza soprattutto gli aspetti negativi del teatro del suo tempo: sottolinea quelli che sono i difetti, quelle che sono le tradizioni dure a morire, quelli che sono gli aspetti negativi della recitazione degli attori oppure degli allestimenti scenografici 41 o dei costumi. Nella ricerca di una linea di efficace realismo che possa portare ad un teatro realmente naturalista, prima di individuare delle linee di indirizzo possibili, sottolinea quelli che sono gli aspetti negativi. → può essere definito come un trattato che manifesta una sorta di precettistica in negativo. Non detta delle regole da applicare ma semplicemente espone quello che non va nel teatro del suo tempo. →non illustra le proposte che secondo lui potrebbero migliorare il teatro in una direzione naturalistica. [Precettistica → serie di norme] Questa dimensione pratica legata all’applicazione dei principi del naturalismo a teatro viene illustrata da André Antoine. André Antoine André Antoine è stato un grande “Regista inconsapevole”. È stato il primo regista del teatro francese, di assoluto spessore. Ha aperto delle prospettive importanti per quanto riguarda gli sviluppi del teatro francese ma anche per il teatro europeo tra Otto e Novecento. Nasce nel 1858 e muore nel 1943. Prima di dedicarsi al teatro, da giovane, lavora in un’importante libreria parigina, lavora come impiegato del gas e come ausiliario del palazzo di giustizia di Parigi. Si appassiona al teatro da dilettante; dopo che era stato respinto al concorso di ammissione al Conservatoire di Parigi. La sua attività inizia come dilettante e in progresso di tempo arriverà poi a dirigere il teatro dell’Odeon. (il secondo teatro nazionale di Francia) È il fondatore del Theatre Libre (teatro libero) nel 1887: il nome “Teatro libero” si riferisce al fatto di essere libero da tutte le convenzioni di cui parlava Zola nel suo “Le Roman Expérimental”. Il Theatre libre, secondo Antoine, deve affrancarsi da quella che è la dimensione del teatro tradizionale francese di quegli anni. Questo teatro, fondato nel 1887, ebbe la sua sede in Rue Blanche nel quartiere parigino di Pigalle, un quartiere molto particolare dove c’è Moulin Rouge (tutt’ora quartiere della prostituzione a cielo aperto) quartiere ad elevata conflittualità sociale. Il theatre libre viene inaugurato da Antoine con la rappresentazione di uno spettacolo da una novella di Zola intitolata “Jacques Damour”. Lo spettacolo inaugurale del Theatre Libre con questa novella di Zola è passato alla storia del teatro anche per degli aspetti legati all’aneddotica, diffusa anche dallo stesso Antoine → uno degli aspetti più interessanti dell’allestimento dello spettacolo di Jacques Damour era stato la scenografia costituita dai mobili del tinello del salottino da pranzo della casa della mamma di Antoine. → evento tra virgolette e simbolico Si vuole sottolineare il valore di una scenografia costituita da soli oggetti d’uso. [→le scenografie in gran parte dell’ottocento erano realizzate “en trompe l’oeil” cioè dipinte in prospettiva ma erano costituite anche da oggetti d’uso]. In questo, sottolineato dallo stesso Antoine, viene evidenziato lo scarto concettuale che fa sì che questo allestimento di Jacques Damour non sia semplicemente una trasposizione scenica di una novella di Zola ma che questa trasposizione scenica sia soprattutto un qualcosa che si struttura e si uniforma ai principi del naturalismo. Dal punto di vista organizzativo, sostanzialmente, il Theatre libre era a livello amatoriale che fa parte di un circolo culturale il “Circle Pigalle” che ospita tra le varie attività, anche attività teatrali costituite appunto dalle rappresentazioni di Andrè Antoine e del Theatre libre. L’inserimento del Theatre libre all’interno del circolo culturale faceva si che esso non fosse sottoposto al controllo della censura. [→i circoli culturali, in quanto aperti solo ai soci e non a tutti, godevano di una zona franca che non gli sottoponeva al controllo della censura]. 42 I principi della messa in scena naturalista: Una particolare adesione al reale, un realismo portato all’eccesso = iperrealismo, che si fonda su due principi fondamentali elaborati da un drammaturgo collaboratore di Antoine, Jean Jullien “Teoria della tranche de vie” e “Teoria della quarta parete” Tranche de vie: “spaccato di vita quotidiana” → l'obiettivo del teatro naturalista è mettere in scena, secondo Jean Jullien, delle fette di vita quotidiana che per poter essere rappresentati dall’attore e poi per poter essere percepiti dallo spettatore in maniera corretta (secondo la prospettiva naturalista), occorre che questi spettacoli rispondano alla norma della quarta parete La quarta parete: è un muro immaginario che virtualmente è collocato sulla linea di proscenio e che altrettanto virtualmente separa lo spettatore dalla rappresentazione. È un muro che deve essere opaco per l’attore, non deve andare al di là della linea di proscenio e deve recitare come se non esistesse il pubblico in platea, ma al contempo deve essere trasparente per lo spettatore che deve vedere quello che succede in scena da una prospettiva “voyeristica” (come se guardasse dal buco della serratura) con l’intenzione di cogliere attraverso lo sguardo le vicende di personaggi estrapolati dalla vita reale. L’attenzione costante sul proprio ruolo è l’elemento che consente all’attore di esprimere la scena con un maggior grado di realismo, cioè la capacità di tradurre in scena questo spaccato di vita quotidiana. La teoria della quarta parete →Questa teoria era già stata elaborata, alla metà del Settecento, da Denis Diderot in uno dei suoi trattati teorici “La poesie Dramatique” del 1758; Diderot si esprime in questi termini: “Sia che componiate, sia che recitiate non dovete pensare allo spettatore, ma a far conto che esso non esista. Immaginate sul proscenio un grande muro che vi separa dalla platea, come se il sipario non si fosse sollevato.” L’attitudine al realismo si raffigura all’interno degli allestimenti del Theatre Libre con una serie di elementi specifici: Nello spettacolo “le bouchet” (i macellai) di Fernande Icre messo in scena da Antoine nel 1888: questa dimensione iperrealistica si manifestava all’interno di questa messa in scena con una scenografia che rappresentava una macelleria ed era costituita da veri e propri quarti di bue sanguinolenti. Tutto questo contribuiva a rendere vera e realistica la scena di questa vicenda drammatica. Nell’allestimento della “Cavalleria Rusticana” di Verga la scenografia prevedeva che sulla scena ci fosse una fontana zampillante di acqua. Forte attenzione al dettaglio iperrealistico degli oggetti di scena e delle scenografie, oggetti usati intenzionalmente in una prospettiva naturalista. Forte attenzione anche ai costumi di scena, forte attenzione alla recitazione naturalista in senso proprio: recitazione affrancata da una dizione impostata dei grandi attori; gli attori dovevano recitare parlando come si parla nella vita quotidiana, con le stesse inflessioni e modalità dal punto di vista mimico-gestuale; voltare le spalle al pubblico, atteggiamenti sconvenienti. In una pièce, Antoine, faceva la parte di uno sguattero muto, per cui la sua recitazione è consistita per tutto lo spettacolo semplicemente nello sciacquare piatti e bicchieri, standosene sempre zitto e delegando la propria espressività unicamente alla propria mimica facciale. In un’altra pièce intitolata “Au Telephone” (al telefono) Antoine simula una conversazione come se dall’altra parte del telefono ci fosse un interlocutore reale producendosi in effetti particolarmente incisivi proprio per l’aderenza totale al realismo della situazione che lo stesso Antoine voleva rappresentare. 45 Le immagini si pongono in sequenza temporale. Mostrano un gruppo di famiglia, una famiglia una via di mezzo tra “piccolo borghese” e “proletaria”Lo status sociale della famiglia lo si deduce da alcuni elementi: lo si deduce dagli abiti che sono non particolarmente raffinati, grossolani. Lo si deduce dall’ambiente: la disposizione di determinati oggetti all’interno della stanza. La stanza è un tinello, una piccola sala da pranzo all’interno della quale sono disposte delle cose, che sono degli indizi particolari, come, ad esempio, dei pantaloni e un cappotto appesi ad asciugare alla stufa. → elementi indicatori dello stato sociale di questa famiglia, indicatori di uno status non borghese. Altri due elementi che danno indicazioni sullo status: l’espressione imbronciata e il pugno sul tavolo del personaggio all’estrema sinistra del tavolo e la posizione del personaggio in primo piano alla destra, accasciato sul tavolo quasi addormentato (era lo stesso André Antoine che interpretava questo personaggio). Fotografie che ritraggono una realtà teatralizzata → queste immagini ci consentono di capire che non sono spaccati di vita quotidiana ma sono immagini costruite. Gli elementi che consentono di capirlo sono: Questi personaggi sono disposti sostanzialmente in una posizione che consente all’osservatore di coglierli tutti sulla scena, che lascia spazio alla visione dello spettatore in maniera completa. I gesti poco educati → nessun buon borghese si farebbe mai immortalare in una situazione così poco educata. La maggior parte delle fotografie, a quest’altezza cronologica, sono fotografie in posa ovvero, non sono vere e proprie fotografie di scena ma venivano realizzate nello studio del fotografo dove venivano rimontate sommariamente le scenografie oppure venivano montati degli ambienti simili. Gli attori si mettevano in posa in dei quadri tipici rappresentativi della pièce. Poteva accadere che gli attori venissero immortalati anche sul palcoscenico ma non mentre recitavano, si mettevano in posa perché la tecnica fotografica non consentiva di realizzare delle fotografie istantanee. ★ Le immagini sono significative per quanto riguarda la recitazione e l’allestimento del Theatre Libre. “En Famille è un semplice quadro di costume. È il compleanno di Madame Paradis (La donna seduta accanto ad Antoine) suo marito, Monsieur Paradis e i suoi figli, si sono riuniti per festeggiarla e pranzano allegramente in mezzo ai fiori, trincando di buon cuore alla salute della mamma. Voi direte “è una commediola” ma aspettate non mi state lasciando il tempo di dire che il padre è un ricettatore e la madre una ricettatrice, la figlia mignotta e il figlio maggiore ladro e il minore magnaccio. Una bella famiglia, insomma! L’intera pièce è scritta in questo stile e cioè nel più puro arbot, cioè parlano il dialetto parigino. Vi si ascoltano le teorie più folli, si assiste alle compromissioni più insensate, un branco di delinquenti questa gente, ma come si amano? Capaci dei peggiori crimini. Ma quanto sono uniti?. – brave persone – Direbbe l’autore. Questa divertente eccentricità è sebben recitata dai membri del circolo. Monsieur Antoine, il presidente, un vero ricettatore. Albert, il figlio dalla cravatta rossa, mademoiselle Barny, l’illustre Poula e messier Mévisto – il quale ha recitato con vigore, in una spavalderia veramente notevole, un racconto dei più realisti. […] Non ci manca nulla: né la descrizione della vedova, né la sfuriata a quegli zoticoni dei giornalisti, né gli strabocchi di sangue alla fine. Questo racconto è una specie di poesia selvaggia che ti prende, e l’attore l’ha ritagliata in modo tale da far rizzare i capelli anche sulle teste più calve. – Accidenti che Paura! È roba sopraffina, amici miei – “ ↪ È una recensione scritta ironicamente, scherzosa che però rende conto di quella che era la recitazione degli attori del Theatre Libre. → il naturalismo è un movimento attento a quelle che sono le patologie sociali → siamo in presenza appunto di una famiglia che sostanzialmente è una famiglia di delinquenti. Una famiglia che appartiene ad uno strato sociale nettamente legato a quelle che erano le patologie sociali. Questa recensione mette l’accento su quelle che sono le modalità recitative di questi attori e si sofferma soprattutto sulle capacità dell’attore Jules Joseph Wisteaux detto Mévisto, → che interpretava il figlio che aveva assistito alla condanna a morte a Parigi di un suo conoscente e ne era tornato particolarmente turbato raccontandola con tutta una serie di dettagli particolarmente realistici → indicativo delle modalità con cui gli attori del Theatre Libre potevano recitare. 46 La considerazione dell’attore da parte di Antoine: La recitazione, secondo Antoine, deve uniformarsi alla realtà quotidiana. Per quanto riguarda l’opinione che Antoine ha degli attori in quanto tali e soprattutto attraverso questa opinione si colgono le coordinate all’interno delle quali Antoine si muoveva come regista: Lettera di André Antoine a Charles le Bargy (grande attore del teatro parigino) “sull'Arte dell’Attore”: “Gli attori non capiscono mai niente delle opere che devono recitare. Il loro mestiere consiste solo nel recitarle, nell’interpretare al meglio personaggi la cui essenza sfugge loro. Sono manichini in realtà, marionette più o meno perfezionate che il talento guida e che l’autore riveste ed agita secondo la sua fantasia. Dopo lunghissimi anni, certo, riescono ad acquisire un’esperienza del tutto materiale. Possono spiegare all’autore perché un personaggio deve entrare e uscire da destra piuttosto che da sinistra, ma in ogni caso non possono e non devono mai tentare di modificare un carattere o la conclusione di un dramma se non vogliono rinunciare alla loro peculiare funzione. Talmente insormontabile è il divario tra il poeta e il suo interprete e il secondo non riesce mai a soddisfare il primo. L’attore si trova sempre a deformare la visione dell’autore e questi finisce per accettare una soluzione approssimativa. Il più delle volte rassegnandosi di fronte all’impossibile. Considerate che, allora, per quanto perfetto possiate riuscire nel ruolo che più vi preoccupa, rappresenterete solo una delle possibili configurazioni del caso. Una configurazione che avrebbe anche potuto essere completamente diversa, e altrettanto soddisfacente se la commedia fosse stata rappresentata su di un'altra scena. E in qualsiasi caso la commedia resterebbe uguale e integralmente la stessa. E quindi qui fate attenzione: l’ideale assoluto dell’attore sarà fare di sé una tastiera, uno strumento meravigliosamente accordato nelle mani dello scrittore. Un’educazione tecnica molto pratica per sciogliere il corpo, l’espressione, la voce ed un'adeguata educazione intellettuale, saranno sufficienti per renderlo in grado di capire ciò che l’autore vuol fargli esprimere. Quando gli si chiede di mostrarsi triste o allegro, se è un bravo attore nel senso esatto del termine, dovrà magistralmente esprimere la tristezza o l’allegria, senza chiedersi per quali motivi gli vengono richieste. Questo è infatti compito dell’autore. Il quale sa quello che fa ed è l’unico responsabile di fronte al pubblico. Sarete d’accordo che anche se così ridimensionata, l’arte dell’attore resta ancora oggi singolarmente difficile ed onorevole.” ↪ Si deduce che mostra una totale sfiducia nell’attore, li definisce manichini. Deve ripetere a comando, li paragona ai tasti di un pianoforte. L’attore deve essere un oggetto: non deve essere autonomo, deve semplicemente eseguire quello che dice l’autore del testo drammatico. Quindi il regista in un certo senso è il porta parola del dettato dell’autore drammatico, colui che deve controllare che l’attore realizzi a pieno il volere del drammaturgo. Antoine era un regista inconsapevole: era un regista a tutti gli effetti perché attraverso la sua pratica scenica riesce a costruire degli spettacoli che si configurano come opera d’arte autonoma. Ma, da un altro punto di vista, rinunciando a qualsiasi dimensione interpretativa, sua personale ma anche a qualsiasi dimensione interpretativa da parte dell’attore, fa si che l’unico personaggio di spicco motore dello spettacolo, l’unico protagonista della messa in scena sia l’autore drammatico. E la messa in scena, non si configurerebbe più, secondo questa prospettiva, come opera d’arte autonoma ma semplicemente come la trasposizione in palcoscenico del volere del drammaturgo. Regista inconsapevole perché nella lettera non menziona mai il regista o un allestitore. Lui riduce il teatro a due polarità: da un lato l’attore senza margine interpretativo e dall’altro lo spettacolo che si fonda e traduce in palcoscenico il volere dell’autore drammatico e quindi il la funzione registica, così come la svolge André Antoine, altro non è quella di un porta parola dell’autore drammatico. Questi sono anni particolarmente importanti: sono gli anni in cui si manifesta la nascita della regia, come processo creativo dello spettacolo. Nasce la consapevolezza che il teatro in quanto spettacolo è un'opera d’arte autonoma non è solamente la trasposizione scenica di un testo drammatico, è qualcosa che ubbidisce ad un proprio codice linguistico che è vincolato a quelli che sono gli elementi 47 costitutivi dello spettacolo. Lo spettacolo non è il testo né la trasposizione in scena, è un qualcosa che nasce da una mente creatrice che non è quella dell’autore drammatico ma quella del Regista. Si formalizza una riflessione legata a quelli che sono i concetti fondamentali della regia moderna teatrale. André Antoine “Causeries sur la mise en scène” del 1903, descrive quella che secondo lui è l’arte della messa in scena. L’inconsapevolezza dell’essere regista viene confermata dal fatto che Antoine non ricorre a parole proprie, non sviluppa un proprio pensiero ma si appoggia a ciò che dice un altro importante personaggio del teatro di quegli anni cioè Paul Porel che è stato uno degli amministratori della Comédie Française. “Cos'è la messa in scena? - si chiede Antoine - Uno degli uomini più autorevoli di questi tempi Monsieur Porel, al congresso dell’esposizione teatrale del 1900 ha definito la nostra arte in un modo così esatto e felice che non posso fare a meno di citarlo:[cita testualmente Porel] - Senza la messa in scena, senza questa scienza rispettosa e precisa, senza quest'arte potente e delicata, molti drammi non avrebbero mai attraversato i secoli, molte commedie non sarebbero state capite. Molte pièce non avrebbero avuto successo. Cogliere con esattezza in un manoscritto l'idea dell'autore, indicarla con pazienza con precisione agli attori esitando; vedere di minuto in minuto lo spettacolo sorgere, prendere corpo, sorvegliarne l'esecuzione nei suoi minimi dettagli nei suoi giochi di scena, perfino nei suoi silenzi, talvolta tanto eloquenti quanto il testo scritto. Disporre sulla scena il figurante inebetito e maldestro. Per loro stile fondere insieme gli attori modesti e grandi attori. Mettere d’accordo tutte queste voci, tutti questi gesti, tutti questi movimenti diversi, tutte queste cose disparate, al fine di ottenere la buona interpretazione dell'opera che vi è stata affidata. Poi terminato questo lavoro e aver fatto gli studi preparatori con metodo e calma, occorre occuparsi degli aspetti materiali, occorre dare ordini con pazienza e precisione ai macchinisti, agli scenografi, ai costumisti, ai tappezzieri, agli elettricisti. Una volta terminata questa seconda parte dell'opera occorre saldarla alla prima, mettere in interpretazione gli oggetti, infine guardare tutto dall'alto, una visione di insieme, il lavoro che sta terminando. Occorre tener conto dei gusti, delle abitudini del pubblico in misura equa, scartare ciò che può essere pericolo senza ragione, tagliare ciò che provoca lungaggini, cancellare gli errori di dettaglio, conseguenze inevitabili di ogni lavoro fatto rapidamente. Bisogna anche ascoltare l'opinione delle persone interessate, soppesarle dentro di sé, seguirle o strapparle, seguendo il proprio libero giudizio. Infine, con uno slancio del cuore, aprire la mano, dare il segnale lasciar apparire l'opera davanti al pubblico. È un mestiere ammirevole. Non è. Vero? Uno dei più curiosi, uno dei più accattivanti, uno dei più delicati del mondo.” ↪Visione di Antoine sulla messa in scena: quell’arte che lui dovrebbe possedere anche dal punto di vista di una piena consapevolezza teorica, si affida alle parole di un altro per descrivere quello che lui fa abitualmente; è un indice molto importante di una non consapevolezza. La visione della messa in scena che emerge dalle parole di Paul Porel è un lavoro di concentrazione più che creazione, di tenuta insieme di elementi altrettanto diversi, più di armonizzazione che di creazione. Uno degli obiettivi di chi costruisce la messa in scena sta nel cogliere con esattezza in un manoscritto l’idea dell’autore, si ritorna a questa entità superiore cioè allo scrittore, al drammaturgo. Si ribadisce una visione testo-centrica dello spettacolo. Ricerca dello “spirito del testo”, analisi interpretativa mira a ricercare il significato dell’opera. Il Theatre Libre rimane aperto sostanzialmente una decina d’anni, dal 1887 al 1895/96. Successivamente Antoine andrà a dirigere un altro teatro che chiamerà con il proprio nome “theatre Antoine” e poi anche il Theatre dell’Odeon. Il Theatre Libre → nel corso dell’attività è stato una sorta di “fucina sperimentale” dell’emergente drammaturgia europea. Vengono rappresentate opere dei nuovi principali autori drammatici del tempo (come Ibsen e Strindberg) al punto che in quei dieci anni, Antoine ha fatto rappresentare, al Theatre Libre oltre 120 pièce diverse provenienti da ambiti diversificati della drammaturgia europea. Aspetto importante che fa onore all’operato di Antoine, oltre che alla carriera registica. Il Theatre Libre si 50 Linea di indirizzo fortemente filologica. In qualche misura, Stanislavskij, a partire da questa altezza cronologica (fine anni 80 dell’Ottocento), si allinea a quelle che erano le linee di indirizzo della compagnia del duca di Saxe Meiningen: c’è una forte attenzione al periodo storico e nei confronti di una serie di gesti e abitudini quotidiane che un occidentale non poteva avere. Nel corso dell’allestimento di questo spettacolo, le attrici imparano, anche al di fuori delle prove nella vita di tutti i giorni, a camminare con i Kimono; al ritorno dal lavoro, gli uomini-attori si vestivano con i costumi giapponesi per abituarsi al personaggio che dovevano interpretare. Nel 1885 è fra i direttori della società musicale russa. In quegli stessi anni viene ammesso alla scuola d’arte drammatica dei teatri imperiali. (→ diretta da Glicerija Nikolaevna Fedotova) Nel 1887 insieme ad Aleksandr Fedotov fonda la società d’arte e letteratura russa all’interno della quale le attività culturali erano state suddivise in 3 sezioni: musicale, arti grafiche, e teatrale. Nel 1888 la società d’arte e letteratura russa viene inaugurata con una serata con tre spettacoli: “il cavaliere avaro” di Aleksandr Sergeevic Puskin, “Boris Godunov” sempre di Puskin e “George Dandin” di Molière. Il regista è regista è il suo collaboratore Fedotov. Per quanto riguarda il personaggio di George Dandin della pièce di Molière → Stanislavskij si rende conto che nel truccarsi, con una truccatura involontaria cioè si disegna in volto il baffo destro più alto del sinistro, gli provoca una reazione comica insolita. È grazie a questo elemento che Stanislavskij riesce ad entrare nel personaggio. Durante questi anni della società, continua a mettere a punto una serie di riflessioni che riguardano la presenza scenica dell’attore → Le modalità con cui l’attore deve padroneggiare la scena partendo dal controllo delle reazioni sulle emozioni provate dal personaggio. L’attore deve essere attento a controllare spasmi muscolari ingiustificati, deve riuscire a sopprimere gesti superflui oppure deve affrancarsi da momenti di immobilità incongrui con quelli che dovevano essere le coordinate del personaggio che stava interpretando in quel momento. Si rende conto che l’arte dell’attore per poter esser bene esercitata deve fondarsi su una serie di pratiche che di fatto riguardano anche aspetti come la concentrazione e il rilassamento. L’attore non deve avere fretta soprattutto di interpretare personaggi impegnativi. Deve essenzialmente graduare le difficoltà di avvicinamento al personaggio in maniera assolutamente rapportata ai propri mezzi. È importante, che l’attore sia dotato non soltanto di una preparazione tecnica ma è importante che l’attore sia dotato di una preparazione etica. → Etica: è una linea di indirizzo importante per buona parte del teatro di inizio Novecento. Per Stanislavskij la preparazione etica significa che l’attore deve avere la capacità di penetrare nelle leggi della vita e dell’esistenza ed essere capace di riflettere sulla ricerca del bene e della verità. In questa riflessione continua a delineare dei punti che poi saranno sviluppati in maniera più dettagliata all’interno del sistema: se un attore deve interpretare la parte di un personaggio che è buono, lo stesso deve ricercare le parti in cui il personaggio è cattivo, o viceversa. → L’attore deve, soprattutto iniziare nel corso delle sue tappe di avvicinamento al personaggio, variare i colori, i toni, creare contrasti perché secondo Stanislavskij grazie a queste pratiche l’attore riesce a cogliere al meglio quelli che sono i caratteri peculiari di un personaggio. Ma soprattutto, l’attore deve amare il personaggio, non se stesso nel personaggio, deve affrancarsi dagli atteggiamenti narcisistici che molto spesso affliggono gli attori i quali si rispecchiano nel personaggio perché in esso vedono loro stessi. Secondo Stanislavskij, un buon attore è sempre un caratteristica cioè che sa adattare la parte alle proprie doti umane. 51 Stanislavskij è fortemente critico nei confronti degli attori che utilizzano la scena come vetrina cioè attori che gestiscono soltanto il proprio fascino scenico ignorando i contenuti del personaggio, il palcoscenico è soltanto un qualcosa per mettersi in mostra senza andare a fondo nel personaggio. Nel 1890 Stanislavskij subisce in maniera ancora più forte l’influenza della compagnia dei Meininger che ebbe occasione di vedere durante una loro tournée moscovita. In quella tournée la compagnia mise in scena diversi testi shakespeariani come “il Mercante di Venezia” “un racconto d’inverno” ecc. Fu colpito dalla disciplina rigida soprattutto per la ricostruzione storica degli ambienti, ma era perplesso dalla recitazione degli attori. Nel 1896 prepara la messa in scena dell’Otello di Shakespeare e in quell’occasione ebbe modo di viaggiare sia a Venezia che a Parigi. In un brano de “La mia vita nell’arte” racconta le particolarità con cui prepara il personaggio di Otello. A Venezia ebbe modo di incontrare un arabo, entrò in contatto con quest’uomo, scrive un ricordo di questo incontro: “In un ristorante all'aperto vidi un arabo in costume nazionale e feci conoscenza con lui. Mezz'ora dopo avevo già invitato a pranzo il mio nuovo amico. Avendo capito che mi interessava molto il suo costume l'arabo, si tolse il mantello esterno affinché potessi ricavarne il modello. Di lui imitavo anche le pose e mi erano sembrate tipiche. Poi studiavo i suoi momenti. Tornato nella mia camera d’albergo fino a mezzanotte, rimasi davanti allo specchio con addosso ogni genere di lenzuola e asciugamani per cercare di assomigliare ad un autentico Moro con rapide voltate di capo, movimenti delle braccia e del corpo simili a quelli di un daino in allarme con l' andatura leggera e maestosa e le mani piatte con le palme rivolte verso l' interlocutore.” È evidente che Stanislavskij si muove sulla base di linee tracciate dalla compagnia del duca di Saxe-Meiningen, così come in “Mikado” si era rivolto a degli attori del circo giapponese per imparare gli usi e i costumi del Giappone, così si rivolge ad un arabo per interpretare la parte di Otello; impara a muoversi e a gestirsi così come si muove un arabo. Nel 1897 Incontra Vladimir Ivanovic Nemirovic Dancenko, autore drammaturgo e critico teatrale e nel corso di un lunghissimo colloquio all’interno di un ristorante moscovita, si mettono d’accordo per creare il Teatro D’arte di Mosca che viene inaugurato poi l’anno successivo, nel 1898. Stanislavskij e Nemirovic-Dancenko sono in direttori del teatro: il primo si occuperà delle questioni di carattere registico e Dancenko si occuperà della scelta e dell’organizzazione del repertorio. Le prime attività del Teatro D’arte di Mosca furono finanziate anche da un industriale, Savva Morozov. Il testo inaugurale fu “Lo Zar Fedor” di Aleksej Tolstoj → Dramma storico. L’allestimento fu caratterizzato da prove lunghissime; un allestimento particolarmente meticoloso ed estremamente curato, caratterizzato da una prospettiva antiquaria. Storico filologica con una forte impronta della compagnia dei Meininger. 52 Nel 1898 Stanislavskij approda alla drammaturgia di Anton Cechov: quello tra Stanislavskij e Cechov sarà un legame particolarmente profondo, da lì a pochi anni verranno rappresentate le principali pièces cechoviane. “Il gabbiano” di Cechov, del 1898 fu un allestimento particolarmente importante soprattutto per l’approccio sensibilmente diverso di Stanislavskij nei confronti dell’allestimento complessivo. Brano dal quaderno di regia di Stanislavskij che illustra l’inizio dello spettacolo: “La commedia comincia nell’oscurità una sera d’agosto. La debole luce di una lampada in cima a un lampione, il canto di un ubriaco e il latrato di un cane in lontananza, il gracidare delle rane e gracchiare di un corpo, i lenti rintocchi di un campanile lontano, aiutano il pubblico a cogliere la sensazione della vita triste, monotona, dei personaggi. Bagliore di lampi, debole brontolio di tuono in lontananza, al levarsi della tela una pausa di 10 secondi. Dopo la pausa sul palcoscenico Jakov batte un chiodo con un martello, dopo averlo inchiodato sia affaccenda sul palco canticchiando tra di sé” ↪Questo brano di Stanislavskij è importante perché mette in luce quella che si potrebbe definire una particolare attenzione nei confronti dell’atmosfera complessiva dello spettacolo. Un passo in avanti rispetto ad una semplice ricostruzione storica nei confronti della restituzione esatta di un ambiente. C’è un passaggio in più e da parte di Stanislavskij consiste nella sottolineatura di una dimensione “atmosferica”, un’atmosfera complessiva, generale caratterizzata da una sorta di tappeto sonoro: “ il canto di un ubriaco….il gracidare delle rane…” tutto quello che può aiutare il pubblico a cogliere la sensazione di una vita triste e monotona dei personaggi. → il tappeto sonoro rende conto del clima psicologico della pièce. Dopo la rappresentazione del “il Gabbiano” di Checov, si hanno altre rappresentazioni come ad esempio “ Bassifondi” e “piccoli Borghesi” di Maxim Gorkij. Intorno agli anni dieci del Novecento, l’attività di Stanislavskij: [→Uomo di teatro a tutto tondo quindi particolarmente attento a quello che succedeva anche in contesti non esattamente corrispondenti alla sua idea di teatro] da grande sperimentatore quel era, approda alla messa in scena di due testi simbolisti come “La morte di Tintagiles” e “L’uccellino azzurro” di Maurice Maeterlink. Nel 1910 messa in scena dell’ “Amleto” di Shakespeare in collaborazione con Edward Gordon Craig. Episodio importante sia per quanto riguarda il Teatro D’Arte di Mosca sia per quanto riguarda la carriera di Craig. Il sistema di Stanislavskij – “Metodo Stanislavskij” È un metodo, una sorta di psico-tecnica che serve all’attore a penetrare all’interno della dimensione psichica ed emozionale del personaggio. Il metodo Stanislavskij è un metodo conosciuto in tutto il mondo: all’Actor Studio di New York fondato da Lee Strasberg fin dalla sua fondazione, negli anni 40, ha formato i propri attori adattando il metodo Stanislavskij alla propria linea di formazione dell’attore e in questo contesto l’Actor Studio ha formato grandi attori come Marlon Brando, Al Pacino, Robert De Niro ecc. e a partire da questo sistema, si può dire che i questo metodo è un punto di riferimento per diversi gruppi teatrali, per moltissimi registi e moltissimi attori. Siamo in presenza di una linea di pedagogia teatrale importante e ancora oggi di viva attualità. → Pedagogia: può essere considerata una parola chiave soprattutto per quanto riguarda il teatro del primo Novecento, quello degli anni dell’aumento della regia. Ci sono dei registi che possono essere considerati dei veri e propri registi Pedagoghi cioè che hanno fondato la propria azione sulla formazione dell’attore. [Stanislavskij, Jacques Copeau] Testi di riferimento sul metodo Stanislavskij: ❖ “La mia vita nell’arte” (1924) ❖ “Il lavoro dell’attore su se stesso” (1938) ❖ “Il lavoro dell’attore sul personaggio” (1957) 55 Desdemona a tal punto che finisce per ucciderla) quindi entrare in contatto con questo sentimento (la gelosia) però in termini generali in quanto passione. Circostanze date All’interno del processo creativo questo magico “Se”, per potersi sviluppare pienamente, deve riferirsi a delle prospettive precise, a delle coordinate di riferimento le cosiddette Circostanze Date. Sono una serie di strumenti di cui dispone l’attore per entrare pienamente in contatto col personaggio: il testo drammatico → è quello strumento che consente all’attore di entrare in possesso di quelle che sono le due coordinate principali dell’azione ovvero le coordinate spazio-temporali cioè il luogo e l’epoca dell’azione. È anche quello strumento che fornisce all’attore tutte le indicazioni che riguardano il personaggio, ovvero la parte che l’attore deve interpretare; una parte che si sostanzia non soltanto delle battute che pronuncia il personaggio ma che si fonda anche sulle battute che gli altri personaggi dicono su quel determinato personaggio. → composizione elaborata e complessa. Indicazioni di carattere registico, scenografico e interpretative dello spettacolo che si sedimentano il processo creativo ovvero durante le prove dello spettacolo. Una scenografia non si sviluppa di getto, si sviluppa per fasi successive, possono cambiare gli accessori così come particolarmente importanti e fluide soggette a successive modifiche sono le indicazioni del regista sulla recitazione degli attori. Tutti questi elementi che contribuiscono a definire, da un lato la collocazione del personaggio in un ambiente spaziale per quanto riguarda la scenografia, dall’altro la costruzione del personaggio anche sulla base delle indicazioni che il regista da all’attore, costituiscono le circostanze date. Linea di sviluppo del personaggio → Parte → intreccio delle azioni → epoca e momento storico, luogo dell’azione → indicazioni di carattere registico, scenografico e interpretativo → Circostanze Date Questo non è sufficiente per Stanislavskij perché l’attore ha su di sé molto spesso una serie di sedimentazioni che riguardano i clichè, tradizioni del ruolo, atteggiamenti nei confronti dei quali l’attore indulge particolarmente e ricorre abbastanza frequentemente, per cui Stanislavskij ritiene che l’attore per poter attivare un percorso creativo efficace nei confronti del personaggio, deve rifarsi una “verginità espressiva”. Brano da “il lavoro dell’attore (su se stesso)”: “per convincere tutte le difficoltà che ci aspettiamo bisogna innanzitutto avere il coraggio di capire che quando entriamo in scena davanti alla folla degli spettatori e appunto, perché creiamo in pubblico, noi dobbiamo perdere qualsiasi sensazione della vita reale. Dimenticare tutto: come camminiamo, come sediamo, mangiamo, beviamo, dormiamo, chiacchieriamo, guardiamo. In una parola, come agiamo nella vita sia interiormente sia esteriormente. Dobbiamo imparare tutto da capo, proprio come impara a camminare, parlare, guardare, ascoltare un bambino. Quante volte ve l'ho detto, quante volte lo dovrò ricordare? Per ora cerchiamo d’Imparare ad agire in scena non genericamente, ma semplicemente e normalmente, come nella vita, nel modo organico, giusto e libero che esigono le leggi organiche e vive della natura” ↪Questo passo evidenzia ancora di più il fatto che l’attore deve affrancarsi da tutta una serie di clichè e di usi invalsi che di fatto limitano la sua capacità creativa e la sua capacità di entrare all’interno del personaggio. In tutto questo, oltre alle circostanze date, oltre al magico “se” e alla necessità di rifarsi una sorta di “verginità espressiva” un ruolo fondamentale nel processo creativo del personaggio è giocato dall’immaginazione. 56 Un’immaginazione che non deve essere alimentata a caso dall’attore ma deve essere controllata ed educata. L’immaginazione, l’attore la deve usare ad esempio per immaginare quella che era la vita del personaggio prima di quello che succede all’interno della pièce o del dramma. Oppure se il personaggio avrà un futuro quindi che non muore alla fine dello spettacolo, l’attore dovrà immaginarsi per il medesimo anche il suo futuro. Perché il compito dell’attore è riuscire a ricostruire un’immagine il più possibile completa della vita del personaggio quindi anche quella vita che non è contenuta in quella porzione di esistenza del personaggio costituita dal testo drammatico ma anche il prima e il dopo, se ovviamente il personaggio avrà un dopo. Questa immaginazione è utile all’attore per completare e circostanziare, rendere puntuali le didascalie di scena, metterle a punto interiormente attraverso un lavoro che si può definire di precisa visualizzazione. “Ogni vostro movimento in relazione all' immaginazione, ogni parola in scena devono essere il risultato della vita verosimile dell'immaginazione. Se direte una parola o direte qualche cosa in scena meccanicamente senza capire chi siete o da dove venite, perché lo fate o di cosa avete bisogno, dove andrete fuori di qua e cosa fare, la vostra azione sarà priva di immaginazione e la vostra apparizione in scena breve o lunga che sia non sarà vera per voi che avete agito con meccanismo a carica, un automa. “ L'immaginazione come elemento funzionale alla costruzione del personaggio, di quella porzione di vita del personaggio costituita dal dramma. Presupposto di tutto questo lavoro è l’attenzione, punto centrale per quanto riguarda la corretta recitazione da parte degli attori ed è quell'elemento, quel processo che consente all'attore di evitare quella che Stanislavskij chiama attrazione della platea. L’attore deve evitare l’attrazione della platea. La platea è un elemento che attrae gli attori e Stanislavskij fa una distinzione tra gli attori esperti e giovani ed entrambi ne risentono: i giovani ne hanno paura e per questo ne sono attratti; quelli esperti ne sono attratti perché sono capaci di dominare la paura e perchè gli fa piacere sapere che c’è qualcuno e tentano di sedurlo. Questo atteggiamento deve essere eliminato nella pratica attorica e per far questo l'attore deve fondare il proprio lavoro sull'attenzione che può essere esterna ma deve anche essere un’attenzione interna. La L'attenzione esterna è un'attenzione che l’attore inizia ad esercitare partendo da degli accessori scenici specifici, individuati singoli: gli oggetti punto. A partire dalla concentrazione dell’attore su questo oggetto l’attore riesce a dimenticare che c’è una platea oltre la linea di proscenio, e per l'attore si tratta di arrivare ad avere il pieno posssesso dello intero spazio scenico tramite un'attenzione che si sviluppa attraverso cerchi concentrici che arrivano fino alla dimensione massima, quella che non può superare la linea di proscenio. L’attore deve concentrare la propria attenzione unicamente su quello che è il volume dello spazio scenico, all’interno del quale si trova ad operare. Questo perché dice Stanislavskij deve riuscire a provare la solitudine in pubblico, l’attore recita davanti ad un pubblico ma si deve sentire solo davanti al pubblico. Questa è la condizione che gli permetterà di rappresentare correttamente il proprio personaggio vivendolo dall’interno. Un ruolo importanto lo svolge l'attenzione interna che non è più destinata ad oggetti ma su situazioni e reazioni interiori del personaggio, una forte attenzione allo stato emotivo del personaggio. Questo perché ovviamente l’attore deve tendere insieme a tutto lo spettacolo verso quella che S definisce come la verità scenica. La verità scenica che S associa al quadro mentre la verità della vita viene da lui associata alla vita. la verità scenica è un quadro dove prevale una linea interpretativa, che non ha la stessa esattezza della fotografia, non riproduce gli stessi elementi costitutivi, li interpreta. In questa linea interpretativa S fa ricadere anche tutta una serie di elementi di carattere sentimentale e psicologico. Il tutto deve tendere a far si che questa verità scenica complessiva, sia per quanto riguarda la dimensione scenografica sia per quanto riguarda la dimensione dell'attore, porti l’attore a dire “io sono”. 57 “La logica e la conseguente coerenza delle azioni fisiche sono diventate la nostra 2a coscienza. Abbiamo istituito una specie di gioco che consiste nell'osservarsi continuamente, l’un con l'altro, per sorprenderci in qualche azione fisica, illogica e incoerente. senza questa verità e questa convinzione tutto quello che si fa in scena, tutte le azioni fisiche anche se logiche e coerenti diventano convenzionali e danno origine al falso. La cosa più pericolosa per il mio e per qualunque altro metodo di psicotecnica dell’arte in generale è proprio una concezione meramente, angustamente formale del lavoro creativo. Niente di più facile è smembrare le azioni fisiche maggiori nelle loro sezioni componenti, stabilire la logica e la coerenza di queste sezioni formalmente, inventare esercizi adeguati e farli eseguire agli allievi senza preoccuparsi che le azioni fisiche siano vere e che ci si creda non costa molto. Tratteremo l’azione interiore invece che quella esteriore, la logica e la coerenza delle sensazioni invece che decessi. Sarà più difficile se si rappresenterà qualcosa che non si è capito, si corre il rischio di cadere in una recitazione generica. Ci vogliono un piano preciso e una netta linea d'azione interiore. Per crearli è indispensabile conoscere la natura, la logica e la coerenza delle sensazioni. Finora abbiamo avuto a che fare con la natura, la logica e le coerenza delle sensazioni fisiche che sono sensibili, visibili e tangibili. Ora noi dobbiamo affrontare le sensazioni interiori che sono impercettibili, invisibili, inaccessibili e instabili. Abbiamo davanti un campo e dei problemi completamente nuovi e molto più complessi. Creando una linea esteriore d'azione fisica, logica e corrente sapremo se abbiamo approfondito sufficientemente. Parallela ad essa né nascerà dentro di noi un'altra: la linea della logica e della coerenza delle nostre sensazioni. Senza che ce ne accorgiamo le sensazioni interiori provocano delle azioni fisiche e restano indissolubilmente legate alla loro vita. La logica e la coerenza delle azioni fisiche hanno prodotto il vero, il vero ha prodotto la convinzione, e tutte e due hanno crede creato l’io sono, che vuol dire io vivo, esisto, sento, penso esattamente come il personaggio. L’io sono porta l'emozione al sentimento, al rivivere la parte. L’io sono è la verità scenica in sintesi. Per raggiungere pienamente questo io sono l'attore deve arrivare al terzo step, quello precedente alla reviviscenza, quello della Memoria emotiva. La memoria può essere esteriore, ci Ci consente di ricordare cose e quant'altro E c'è una memoria emotiva. la memoria esteriore è quella che consente dell'attore dice stanislaski di ripetere la parte meccanicamente, mentre la memoria emotiva è quella che aiuta a rivivere e riprovare sentimenti già vissuti. L’attore stanislavskiano per poter procedere deve essenzialmente porsi una domanda “Come posso io che sono un individuo con la propria personalità, una propria psicologia, una propria conformazione sentimentale provare i sentimenti e le emozioni di un'altra persona? Cioè di quell'individuo letterario costituito dal personaggio che devo interpretare?” L'attore si trova in questa condizione paradossale: deve riuscire a penetrare all'interno della psicologia e dei sentimenti del personaggio ma dall'altra parte in quanto individuo non può. È praticamente impossibile provare quello che prova un'altra persona. Però l'attore può in qualche misura arrivare a cogliere e sentire quelli che sono i sentimenti di un personaggio attraverso la riattivazione di questa memoria emotiva. La memoria emotiva consiste essenzialmente nel recupero nella propria memoria interiore, di sentimenti, passioni analoghe a quelle provate dal personaggio. Si tratta di istituire un legame tra attore e personaggio sulla base del recupero di un ricordo analogo. “Immaginate molte case e dentro di esse una quantità di stanze e nelle stanze una quantità di armadi, cassetti, e nei cassetti una quantità di scatole e scatolette. Nella scatoletta più piccola ci sono delle perline. Non è difficile individuare la casa, l’armadio, il piano. Un po’ più difficile sarà trovare la scatola grande in cui è la scatoletta con le perline. Ma se vi cade una perlina chi la ritroverà? Solo il caso può aiutarci a farcela ritrovare. La nostra memoria è un archivio. Anche lì stanze, armadi, scatole e scatolette. Alcune a portata di mano, altre meno. Come ritrovare la perlina, ossia il primo ricordo emotivo balenato nella tua mente e poi dileguato come una meteora? Quando affiora, ringrazia Apollo per avertelo mandato, ma non sperare di poterlo conservare o riprovare. Domani ricorderai un’altra cosa. Accettala e il tuo animo risponderà nuovamente, con rinnovata energia, al testo che a forza di ripetere non ti emoziona più. Non dare comunque la caccia alla perla perduta. È irrevocabile come un giorno trascorso, come la felicità dell’infanzia, come il primo amore. Fai che 60 qualcuno che realmente desideri captare il sentimento espresso perchè il contratto non può che essere reciproco” ↪ Non è sufficiente l'auto contatto per quanto riguarda il singolo attore ma bisogna che questo contatto si manifesti al livello di tutti gli attori che agiscono in scena in quel determinato momento. Gli attori devono in certa misura affidarsi a un processo di adattamento reciproco che deriva di fatto dalla confluenza di tutti quei meccanismi interiori ed esteriori del singolo attore ma sempre in rapporto alla situazione del palco. Ci deve essere una stretta relazione cui i vari attori devono in qualche misura adattarsi gli uni, gli altri ma non sulla base di quel contatto di mestiere che Stanislavskij condannava pienamente, ma sulla base di una relazione autentica. La creazione del personaggio è quel qualcosa che si fonda, dice Stanislavskij, sulla base dell'approfondimento del testo drammatico e anche una parallela attività di quelli che sono gli elementi costitutivi della vita psichica, l'intelletto, la volontà, il sentimento. Tutto questo processo si colloca lungo una linea ininterrotta di attenzione e concentrazione per arrivare a cogliere l'essenza del personaggio in scena e fuori scena. Sono altre le mento molto importante che collega Stanislavskij a una delle figure più importanti del teatro italiano del secondo 800. Questo altro elemento è quello che riguarda il raggiungimento di una sorta di sensibilità scenica interiore a partire da quella che Stanislavskij definisce come la toeletta dell'anima. È un qualcosa che riguarda uno dei più importanti attori italiani del secondo Ottocento: Tommaso Salvini è una sorta di processo che l'attore mette in atto nel percorso di avvicinamento al personaggio attraverso un allargamento progressivo della propria attenzione attraverso l'individuazione cosciente di sé è del circostanze date e che lo porta a concentrarsi sul personaggio è sul tema principale concernente il ppersonaggio e che deve essere presente a tutti gli interpreti di un dramma sebbene con tutte le sfumature fisiologiche di ogni personaggio. «L’atteggiamento di Salvini verso i doveri artistici era commovente. Il giorno dello spettacolo era agitato fin dal mattino, mangiava frugalmente e dopo il pasto di mezzogiorno si ritirava in solitudine e non riceveva più nessuno. Lo spettacolo incominciava alle otto, ma Salvini arrivava a teatro alle cinque, ossia tre ore prima dell’inizio. Andava in camerino, si toglieva la pelliccia poi andava a passeggiare sulla scena. Se qualcuno gli si avvicinava, chiacchierava, poi si allontanava, meditava su qualcosa, restava in silenzio e di nuovo si chiudeva nel camerino. Di lì a poco riusciva con il camice che indossava per truccarsi o in vestaglia; dopo aver vagato sulla scena, provato la voce su qualche frase, fatto alcuni gesti, esperimentato qualche procedimento necessario alla parte, Salvini se n’andava di nuovo in camerino e qui si applicava sul viso la tinta del moro e s’incollava la barba. Completamente trasformato non soltanto all’esterno, ma evidentemente, anche all’interno, rientrava in scena con un portamento più leggero, più giovane. Si radunavano gli operai e incominciavano a montare gli scenari e Salvini chiacchierava con loro. Chissà, forse egli immaginava in quel momento di trovarsi in mezzo ai soldati che costruivano le barricate o le fortificazioni per la difesa dal nemico: la sua forte figura, la posa da generale, gli occhi attenti sembravano confermare questa supposizione. E nuovamente Salvini se ne andava in camerino donde ritornava già in parrucca, ma senza vestito, poi il cinturone e il iagatan, poi con la benda sulla testa e infine nella completa divisa da generale di Otello. Ogni volta che appariva sembrava che egli non solo truccasse il viso e vestisse il corpo, ma che preparasse anche lo spirito all’immagine corrispondente, fissando a poco a poco lo stato d’animo complessivo. Egli penetrava nella pelle e nel corpo di Otello per mezzo di un’accurata toeletta preparatoria della sua anima artistica.» ↪ Procedere per gradi, entrare nella parte apoco a poco, assumendo non soltanto le caratteristiche esteriori del personaggio di volta in volta (trucco, parrucca, abiti) ma facendo corrispondere a questa accumulazione di elementi una discesa in profondità nell'animo del personaggio che Salvini doveva interpretare. Questo consentiva all'attore italiano e secondo Stanislavskij doveva consentire a tutti gli attori che agivano correttamente di tener sempre presente all'interno del loro percorso di costruzione del personaggio il tema principale, 61 quindi un oggetto, l'obiettivo che deve essere presente a tutti gli interpreti, ognuno con le proprie declinazioni personali e dev'essere soprattutto presente all'attore per tutta la durata dello spettacolo. Questo tema principale può essere declinato in vario modo e dipende dall'interpretazione di un determinato personaggio che ogni attore dà. Il tema principale e le varie modalità che l'attore sceglie di volta in volta nell'interpretazione di determinati personaggi costituiscono, dice Stanislavskij, quella che può essere definita come la linea d'azione scenica. La linea di azione scenica deve essere composta da sezioni e da segmenti e attraverso il frazionamento del tema principale, che viene sviluppato attraverso questa linea di azione scenica, tutto questo da senso ai se e ai compiti che gli attore di volta in volta si assegna per arrivare a costruire nella maniera più corretta e più sentimentalmente vera il personaggio. Occorre anche che ci siano delle linee opposte. All'interno di una vicenda drammatica l'azione si sviluppa anche sulla base non solo della linea di azione scenica ma sulla linea di contro-azione, quella linea che guarda essenzialmente le vicende di quelli che possono essere considerati gli oppositori nel conflitto all'interno di una drama. Anche questa linea costituisce uno degli elementi integranti dell'azione drammatica. ↑ Tutto il percorso che Stanislavskij mette in piedi per far sì che l’attore arrivi a una conclusione assolutamente pensata meditata del personaggio. Una costruzione del personaggio che riguarda fin qui gli aspetti essenzialmente interiori. Si tratta ora di far emergere all'esterno, attraverso la fisicità dell'attore, quelli che sono gli elementi visibili le personaggio. Si tratta di procedere alla cosiddetta caratterizzazione. Una caratterizzazione è un qualcosa ce l’attore deve realizzare innanzitutto attraverso un training, una sorta di allenamento fisico che gli consente di modulare, di gestire la voce, i propri movimenti, il trucco, al fine di individuare quelle caratteristiche in grado di rendere particolare, di caratterizzare in maniera specifica un personaggio. Bisogna fare molta attenzione alle alterazioni della caratterizzazione perché spesso gli attori possono incorrere in degli errori particolarmente gravi. Stanislavskij individua sostanzialmente quattro tipi di alterazioni: ● L’adattamento di tutte le parti a se stessi: L'attore punta a far leva su quello che è il proprio fascino esteriore quindi sulla capacità di attrarre l'attenzione del pubblico senza che in realtà ci sia una vera e propria efficace caratterizzazione del personaggio. Si ricade nei cosiddetti clichè. ● Punta sul proprio fascino interiore: riporta tutti i personaggi ad un solo schema mentale, psicologico, sentimentale ● Formule fisse: riguarda quegli attori che hanno una modalità personale di recitare ma attraverso formule fisse, si ricade nei cliché quindi questa caratterizzazione che si fonda su formule fisse, ricade nella sola esibizione di questi clichè ● Gli attori copiano delle formule altrui: adottano atteggiamenti o abilità rappresentative ricavate da interpretazioni altrui, non c’è quindi un investimento di carattere personale. Tutto questo processo della caratterizzazione è un processo che di fatto deve realizzarsi sulla base di un training che deve coinvolgere l'attore in termini complessivi. Nel senso che un attore deve avere un apparato fisico perfetto, deve essere una persona che è in grado di avere una costante attività fisica, uno che fa ginnastica, che ha un portamento atletico, deve essere qualcuno che è in grado di cimentarsi nella danza oppure nella scherma. Quindi deve avere un fisico allenato perché il fisico allenato risponde anche una coscienza, a un'interiorità allenata. 62 Questo processo si fonda anche su una dimensione che possiamo definire etica per Stanislavskij. Ci illustra atteggiamento che gli attori devono avere nei confronti del proprio costume che fa parte di quel processo di caratterizzazione che rende visibile agli occhi del pubblico la fisionomia di un determinato personaggio «Il costume o l’oggetto del personaggio da rappresentare cessa di essere solo una cosa e si trasforma in una reliquia per l’attore. Martin Hoff, attore dotato di talento, diceva che se doveva recitare una parte con la stessa giacca con cui era arrivato a teatro, appena entrato nel camerino si toglieva la giacca e l’appendeva ad un gancio, e quando dopo il trucco si avvicinava il momento di rientrare in scena si rimetteva la sua giacca che per lui non era più la sua giacca ma si era trasformata nel costume, cioè nel vestito della persona che doveva rappresentare. il vero artista si riconosce facilmente nel suo comportamento verso il costume e gli accessori della sua parte e per il modo in cui li ama e ne ha cura. Non c’è da stupirsi che queste cose gli servano all’infinito. Ma accanto a questo tipo di atteggiamento ne conosciamo altri completamente differenti verso il costume e gli accessori di una parte. Ci sono attori che, appena finito di recitare la loro parte, si strappano la parrucca (o la barba) mentre sono ancora sul palcoscenico, a volte la buttano subito via e si presentano per l’inchino davanti al sipario con la faccia imbrattata e i resti del trucco. Avviandosi al camerino si sbottonano il costume e ne lanciano i pezzi in ogni angolo. I poveri vestiaristi e trovarobe devono raccogliere le cose in tutto il teatro e rimettere in ordine quello che non serve certamente a loro ma all’attore. Uguale, se non maggiore, considerazione, attenzione, amore deve avere l’attore per la sua maschera. Deve truccare il volto non in modo meccanico ma in modo, per così dire psicologico, pensando all’anima e alla vita del personaggio. Così la ruga più piccola trova la propria motivazione interiore nella vita stessa che ha segnato un volto con questa traccia di sofferenza umana. Gli attori spesso si truccano meticolosamente, indossano il costume e dimenticano completamente l’anima, che ha bisogno di una preparazione incomparabilmente più meticolosa per il lavoro creativo durante lo spettacolo.» ↪ Prima ancora di essere un atteggiamento tecnico funzionale deve essere un atteggiamento etico. perché considerare con un atteggiamento etico il proprio costume permette all’attore di entrare in maniera più vera dell’interno del personaggio. Stanislavskij si chiede anche come possa l’attore arrivare a sentire il personaggio sulla base di quello che ha scritto qualcun altro senza cadere nel rischio di una recitazione di mestiere. Può arrivare a far questo se riesce a creare il sottotesto. Una linea di azione, di contatto con il personaggio che non si riferisce solo ai dati esteriori del testo drammatico ma che scorre parallela al di sotto del testo. «Il sottotesto è la «vita spirituale» del personaggio, palese e interiormente sentita «di una parte», la vita che scorre ininterrotta sotto la parte del testo ravvivandolo e giustificandolo per tutta la sua durata. Il sottotesto comprende tute le innumerevoli linee tracciate dai «se» magici e non magici, dalle finzioni dell’immaginazione, dalle circostanze date, dall’attenzione interiore, dagli oggetti dell’attenzione, dal vero, grande o piccolo che sia, e dalla convinzione che sia vero, dagli adeguamenti e da tutti gli altri elementi. Il sottotesto è ciò che ci costringe a dire le parole della parte.» «Tutte queste linee, ingegnosamente intrecciate tra loro come fibre di una corda, attraversano l’intero dramma tendendo ad un unico problema principale. Appena la linea del sottotesto ha penetrato come una corrente sottomarina il sentimento, nasce la linea conduttrice della parte e del dramma. L’azione conduttrice non si esterna solo con i movimenti fisici, ma anche parlando; non si agisce solo con il corpo, ma anche con la voce, con le parole. […] In scena non ci devono essere parole inanimate o senza sentimento. Le parole senza concetto non sono necessarie, come non sono necessarie quelle che non hanno alcun effetto. In scena le parole devono eccitare, nell’attore e nel suo compagno (e attraverso loro nello spettatore), ogni possibile sensibilità, volontà, riflessione, ogni aspirazione interiore, ogni immagine della fantasia, la vista, l’udito e tutti gli altri sensi. Tutto questo dimostra che le battute di una parte non valgono in sé stesse, ma per il loro contenuto interiore, per il loro sottotesto. Ma questo noi, uscendo in scena, spesso ce lo dimentichiamo. Il testo stampato della commedia non rappresenta tutta l’opera che è completa solo quando è realizzata dagli attori in scena, ravvivata dai loro vivi sentimenti umani. È come una partitura musicale che non diventa musica finché non è suonata dall’orchestra. Appena l’interprete (del dramma o della sinfonia) esprime il sottotesto dell’opera rivissuto in sé, scopre il segreto spirituale sia dell’opera che dell’artista, il contenuto interiore per il quale è stata creata. Il 65 De-teatralizzazione del teatro: Usata sia per il teatro di stampo naturalista sia per quello di stampo simbolista. Significa che certe linee di tendenza del teatro di eliminare tutti quegli elementi legati alla tradizione del teatro del loro tempo, quindi al teatro dell’8oo, come quelli legati alla tradizione del grande attore o della scena in trompe l'oeil. Il teatro viene sottratto, nel caso del naturalismo, di tutti quegli elementi relativi alla teatralità tradizionale. Non si tende alla costruzione illusionistica dell’ambiente ma ad una ricostruzione fotografica. Questa de-teatralizzazione avviene anche con il simbolismo. A differenza del naturalismo che nasce come declinazione del movimento letterario naturalista, il teatro simbolista nasce chiaramente in opposizione dal naturalismo teatrale, il quale diventa il loro principale nemico. Questa linea di indirizzo del teatro simbolista si caratterizza per tutta una serie di elementi e linee di tendenza: una linea di tendenza che guarda in termini generali e complessivi quella che può essere definita come la linea di indirizzo vincente del simbolismo teatrale. Una linea di indirizzo che parte dal presupposto di affermare prepotentemente all'interno delle arti dello spettacolo il potere evocativo della parola. La parola diventa l’elemento centrale del teatro simbolista. La parola in quanto tale, come elemento capace di attivare tutta una serie di risonanze, riverberi, evocazioni nella mente dello spettatore, è qualcosa che già in termini teatrali costituisce il punto di forza di un volume di Alfred De Musset, uno dei principali scrittori del romanticismo francese, intitolato Spectacle dans un fauteuil (1832), spettacolo in poltrona, è una raccolta di poemi, tragedie e commedie. È una sorta di anticipatore della linea di indirizzo del teatro simbolista. Il teatro si può fruire anche semplicemente attraverso la lettura, lo spettacolo viene evocato attraverso le parole del dramma. Questa linea che consiste nella capacità di evocazione della parola sarà la linea di indirizzo del teatro simbolista che nasce in Francia a partire dagli anni 90 dell’800. L’altro elemento che vale la pena di ricordare riguarda un'altra linea di indirizzo che potremmo definire sinestetica del teatro simbolista che in qualche misura vede Charles Baudelaire, grande poeta francese non scrittore simbolista ma che lo preannuncia attraverso una sua opera, principalmente attraverso un suo sonetto, Correspondences: La Natura è in tempo in cui colonne viventi Lasciano talvolta uscire confuse parole; L’uomo vi passa attraverso foreste di simboli Che l’osservano con sguardi familiari. Come lunghi echi che da lontano si confondono In una tenebrosa e profonda unità, Vasta come la notte e come la luce, I profumi, i colori e i suoni si rispondono. Vi sono profumi freschi come carni di fanciulli, Melodiosi come oboi, verdi come praterie, - E altri, corrotti, ricchi e trionfanti, Aventi l’espansione delle cose infinite, Come l’ambra, il muschio, il benzoino e l’incenso Che cantano i trasporti dello spirito e dei sensi. Questo sonetto evoca attraverso la compresenza dell’attivazione di più sensi una dimensione di totalità che ci permette di connetterci ad un grande musicista, Richard Wagner, colui che ha elaborato la teoria del Gesamtkunstwerk (opera dell’arte totale). Questo concetto viene sviluppato da lui attraverso tre testi fondamentali: ● L'opera d'arte dell'avvenire (1849) ● L'arte e la rivoluzione (1849) ● Opera e dramma (1850-1851) 66 Wagner tiene in grande considerazione l'arte greca: il mondo di Atene del quinto secolo è per lui un punto di riferimento particolarmente importante perché nella sua visione di teatro l'atene del quinto secolo è stata l'epoca che corrispondeva ad una sorte di età dell'oro. Una forma artistica spettacolare caratterizzata soprattutto dall'Unione delle cosiddette arti sorelle cioè pittura, poesia e musica. Le arti sorelle della tragedia del V secolo ad Atene contribuiscono in maniera paritetica alla costruzione dello spettacolo e incarnano lo spirito del popolo ateniese. La tragedia greca che si fonda appunto sull'unione delle arti sorelle è quell'elemento che è in grado di esprimere pienamente la volontà del folk. Quella forma spettacolare nella quale il popolo greco si rispecchia e si vede rappresentano. Questa è come dire il punto di partenza della riflessione di Wagner e a partire da questa considerazione arriva ad auspicare che all'interno della propria epoca si possa arrivare a ricostituire quell'unità tra le arti sorelle che era stata interrotta da prima dall'avvento della romanità e soprattutto dall'avvento del Cristianesimo. Da questo momento in poi le Arti avevano viaggiato ognuna per conto suo. Si trattava ora di arrivare a ricostituire una sorta di unità. Ad esempio nei grandi drammi da lui composti, come il ciclo dei nibelunghi ecc. Cerca di dare questa visione opera d'arte totale attraverso una serie di drammi e di opere musica che ha composto nel corso della sua della sua lunga carriera. Particolarmente presente nella visione scenica wagneriana il rapporto che lui tiene con Ludovico II di Baviera (e di cui tende geografiche sono state affrontate anche a livello cinematografico da un bellissimo film di Luchino Visconti, Ludwig nel 1973). Ludwig II di Baviera che in qualche misura è il Mecenate di Wagner contribuisce anche in ruolo particolarmente importante alla costruzione del teatro di Bayreuth realizzato dell'architetto Gottfried Semper nel 1876 e che sarà quel teatro che ospiterà i cosiddetti testi wagneriano di anni che intercorre tra il 1876 fino alla morte nel 1883 che poi continueranno questi wagneriani grazie alla moglie di Wagner, Cosima. Questo edificio richiama da un punto di vista strutturale la forma del teatro greco: i palchi del teatro italiano non ci sono più, non c'è una platea propriamente detta ma la zona destinata agli spettatori è stata sostituita con una vera e propria gradinata che richiama la forma dei teatri greci del V sec, la zona destinata allo spettacolo è incorniciata da un arco scenico e questa conformazione è una conformazione che nell’intento di Wagner era uno spazio configurato in modo da ospitare il popolo che assiste alle rappresentazioni un popolo che deve identificarsi e riconoscersi in quello che avviene sulla sulla scena così come avveniva per gli spettatori ateniesi del V secolo che assistevano alle tragedie di Eschilo, di Sofocle ecc. Quindi questa figurazione dello spazio scenico per una configurazione che riguarda anche le modalità di allestimento spettacolare, le modalità attraverso le quali lo spettacolo si manifesta agli occhi del pubblico. Innanzitutto una zona particolarmente importante per Wagner è costituito dal cosiddetto golfo mistico, che è di fatto la cosiddetta buca dell'orchestra che si intravede a malapena. Questo perché nell'intento del teatro di Wagner la musica doveva sprigionarsi in maniera quasi magica, evocativa all'interno dello spazio scenico senza che ci fosse la possibilità di vedere la fonte del suono, cioè senza che si vedessero necessariamente i musicisti. Questa dimensione sacrale all’interno dello spettacolo all'interno della quale il folk il popolo deve rispecchiarsi si avvaleva anche di un espediente che Wagner aveva adottato in maniera particolarmente efficace, diversamente a quella che era la norma 67 teatrale dell'epoca, cioè l'oscuramento della sala durante lo spettacolo. Perché l'oscurità della sala contribuisce a ricreare questa dimensione sacrale nei confronti dello spettacolo e fa sì che lo spettatore si concentri in maniera univoca su quello che che vede sulla scena. Wagner diventa un punto di riferimento per alcuni ambienti culturali, in particolare modo Francia e Germania. Baudelaire dedica un articolo a Wagner in “La Revue européenne”, riprendendo l’idea della sinestesia, connettendola ad una dimensione totalizzante che ha al centro della sua riflessione il tema della musica. «Il lettore sa bene quale scopo ci proponiamo: dimostrare che la musica autentica suggerisce idee analoghe in menti diverse. D’altra parte non sarebbe affatto sconveniente ragionare qui a priori, senza analisi e senza confronto, dal momento che davvero sorprendente sarebbe il fatto che il suono non potesse suggerire affatto il colore, che i colori non potessero dar l’idea di una melodia, e che il suono e il colore fossero inadeguati a tradurre delle idee: poiché le cose sempre si sono espresse attraverso una reciproca analogia a partire dal giorno in cui Dio ha creato il mondo come una totalità complessa e indivisibile.» ↪ La dimensione sinestetica, la capacità di alcune forme artistiche di generale altre associazioni mentali in grado di attivare in termini complessivi l'apparato sensoriale dell'uomo, si riconnette all’idea di totalità che costituisce l’asse portante dell’opera d’arte totale. Non vi è un legame genetico diretto, sono linee di indirizzo che sorgono in parallelo e determinano un determinato clima culturale. L’influenza Wagneriana si riflette nella vita culturale della Francia a partire dalla morte di Wagner e nel 1885 viene fondata a Parigi La Revue Wagnérienne (rivista) dove Edouard Dujardin e Teodor de Wyzewa, i fondatori, cercano di tenere alta la memoria del compositore tedesco, diffondendo la sua visione culturale dal punto di vista delle possibilità riguardanti il teatro. La fondazione di questa rivista segnò un allontanamento dal teatro wagneriano: si fa strada una sorta di rifiuto della sintesi fra le arti attraverso la negazione dei valori rappresentativi del teatro. Niente è in grado di ripetere il rapporto che si crea tra la purezza della musica e la mente dello spettatore. La musica è dunque un’arte capace di generare azione, scenografia, dramma (arte autosufficiente), la quale fa sì che quest’arte non necessiti di elementi scenici, poiché è capace di evocare nell’ascoltatore una serie di immagini. Lo spettacolo viene percepito come una sorta di presenza alienante e viene definita sulla base di un’ostilità da parte dei simbolisti nei confronti della fisicità degli elementi scenici. I simbolisti si propongono sulla necessità di eliminare gli elementi visivi per evocare la parola. Diventa punto di riferimento a partire dall’opera di Mallarmé ↪ quest’ultimo si esprime dicendo che la musica non si genera dalla musica in quanto tale, ma questa dimensione deve emergere dalla capacità di evocare della parola. La capacità evocativa della parola diventa l’elemento strutturale portante di tutto il movimento. Mallarmé sottolinea con questo brano una sorta di opposizione tra la liquidità della musica e della parola e la fisicità, la materialità degli elementi della rappresentazione. Si va a toccare un punto particolarmente importante della riflessione teorica del caso simbolista perché si individua dunque il principale oggetto polemico contro il quale i simbolisti si scagliano, ovvero la figura dell’attore: cercano di negare la sua presenza sulla scena, poiché non compatibile con il linguaggio poetico, confligge con la purezza della parola e con la sua capacità di evocare le immagini nella mente dello spettatore. Maeterlinck, in Menus propos: le theatre si sofferma su quello che è stato il suo rapporto con la messa in scena e si riferisce a quando ha visto per la prima volta una rappresentazione dell’Amleto a teatro: «Qualcosa di Amleto è morto per noi il giorno in cui l’abbiamo visto morire in scena. Lo spettro di un attore ha preso il suo posto, e non riusciamo più a scacciare dai nostri sogni l’usurpatore. Aprite pure le porte, aprite il libro, il principe di una volta non torna più. Talora la sua ombra varca ancora la soglia, ma ormai non osa più, 70 sfondo e alcuni tendaggi mobili saranno per lo più sufficienti per dare l’impressione dell’infinita molteplicità di tempo e di luogo. Lo spettatore non verrà più disturbato da un rumore sbagliato dietro le quinte o dalla vista di un accessorio discordante, potrà abbandonarsi interamente alla volontà del poeta, libero di vedere in accordo con la propria anima visioni terribili e affascinati, paesaggi di finzione, per altri impenetrabili. Il teatro sarà allora quello che deve essere: un pretesto al sogno.» ↪ Il teatro naturalista nasce come declinazione al naturalismo letterario; il teatro simbolista nasce invece in opposizione al teatro naturalista. Pietre Quillard sostiene che prevalga una dimensione che si declina da un lato nella parola come elemento capace di evocare immagini all’interno dell’ascoltatore, e una prevalenza di questa dimensione onirica dello spettacolo. Il primo spettacolo del théâtre d’art “La fille aux mains coupées”, era un mistero medievale: si svolgeva in un epoca che somigliava al medioevo ed in questo clima di incertezza temporale si apre il primo quadro di questo dramma. La fanciulla a cui poi saranno mozzate le mani prega e chiede a Gesù di preservare la sua purezza e degli angeli le dicono che la sua verginità è frutto solo del suo orgoglio, e che gesù dopo aver distrutto le statue pagane lasciò che Eros risorgesse e occupasse la terra. Gli angeli la incitano a lasciarsi andare alle passioni. Arriva il padre della fanciulla il quale le accarezza lascivamente le mani. Ella allora si fa tagliare le mani che secondo lei sono state sporcate dalle carezze incestuose del padre. Secondo quadro: egli fa salire la fanciulla in una barca senza remi e senza vele e la lascia andare in mare, prega e vede le sue mani resuscitare; arriva in un paese meraviglioso dove c'è il poeta re ad attenderla. Ella da prima esita ad accettare l'amore e le carezze del poeta ma poi finisce per abbandonarsi nelle braccia del poeta spinta dagli angeli che la rassicurano dicendogli che Gesù gli ha restituito le mani perché si abbandonasse alla passione. → Tutti i personaggi sono interpretati da attori maschi ed essi recitano dietro un velo di tulle disposto sulla linea di pro-scena: lo spettatore vede le figure sfumate (si voleva attenuare la presenza fisica dell’attore sulla scena). → La scenografia era stata realizzata da un pittore, Paul Serusier, importante esponente del movimento Nabi, e questa scenografia consisteva in una tela dorata incorniciata da stoffe rosse e disseminata di angeli multicolori. → Sul proscenio oltre il velo c’era una recitante (uomo) vestita con una tunica blu che introduceva e commentava mediante un racconto poetico salmodiante, quindi cantilenante, come se fosse una litania religiosa, le battute dei personaggi spiegando i loro sentimenti loro gesti e loro movimenti ritmati quindi si crea una sorta di doppio piano da un lato la declamazione di questa recitante davanti alla linea di proscenio che illustrava ciò che gli attori al di là del velo mimavano attraverso la loro mimica, attraverso loro gestualità. Ebbe un grande successo anche se i critici furono particolarmente perplessi sul fatto che non ci fossero degli interpreti femminili poiché le voci maschili sebbene tendenti a questa lentezza, a questo salmodiare, in qualche misura avevano pesato non poco sul poema e anche gli avversari del teatro simbolista si espressero a favore di questo spettacolo che fu considerato come una semplificazione di mezzi drammatici e un trionfo della poesia grazie alla preponderanza accordata alla parola. Questa linea di tendenza si afferma anche dagli spettacoli successivi del Theatre d’art: Cantico dei Cantici di Salomone ridotto e messa in scena di Pierre Napoleon Ronard. Spettacolo interessante poiché cerco di dar corpo sulla scena quella dimensione sinestesica che abbiamo messo in luce da corrispondenze di Baudelaire. Una dimensione che tenta di realizzare cercando di trovare un assonanza con il sonetto delle vocali di Arthur Rimbaud - attraverso l'associazione di un colore alle 5 vocali si struttura creando al suo interno una serie di analogie tra vari fenomeni naturali e varie visioni 71 E varie sollecitazioni dei sensi. Questa dimensione sinestetica viene inserita all'interno dei cantico dei cantici Salomone che si caratterizzi dal punto di vista del tentativo di attenuare la presenza dell'attore sulla scena sulla base che viene realizzata introducendo al posto del velo di tulle del primo spettacolo viene introdotta una sorta di griglia metallica che dalle sue maglie lasciava trasparire la presenza degli attori sulla scena seppur attenuata. Secondo Paul Fort, per realizzare la dimensione sinestetica, serviva l’introduzione di una serie di aromi insufflati nella platea attraverso delle essenze che venivano bruciate: lo spettacolo però si risolse in un disastro, poiché gli spettatori se ne andarono infastiditi (episodio ingenuo ma significativo) I pittori Nabis (i profeti): Paul Serusier che è stato di fatto il primo scenografo del teatro simbolista ad appartenere a questo movimento che è stato fondato da Maurice Denis, principale esponente del movimento. Tende essenzialmente a mettere in luce tutta una serie di elementi che possono avere un carattere evocativo all'interno all'interno della pittura. Lo stesso il fondatore del movimento in un articolo pubblicato sulla rivista Art critic nel 1890 detta in maniera sintetica quelle che sono le linee guida di carattere estetico di tutto il movimento: occorre innanzitutto ricordarsi dice che un dipinto, prima di essere un cavallo di battaglia è una superficie piana ricoperta di colori. Questa indicazione mette in luce le caratteristiche della pittura Nabis. ← Maurice Denis La Musa, rende conto in maniera molto esplicita di quanto affermato sopra: Assoluta mancanza di volume, che non c'è un'intenzione di raffigurazione realistica dei personaggi e degli ambienti, c'è una sostanziale piattezza, i colori non mettono in risalto la volumetria delle figure umane oppure degli oggetti o dell'ambiente circostante. Tutta questa immagine si struttura sostanzialmente in una dimensione che potremmo definire quasi sacrale per certi aspetti ← Paul Sérusier, Le talisman Questa idea dove prima di essere una figura umana il quadro è una superficie piana ricoperta di colori lo ritroviamo in questo dipinto. Pierre Bonnard, Il porto di Cannes → La stessa linea di tendenza la vediamo anche in quest'altro dipinto Questa linea pittorica si prolunga fino agli anni 10/20 del 900 grazie al lavoro di Jacques Rouché (personaggio di spicco della pittura teatrale): nel corso dei suoi viaggi entra in contatto con le esperienze nascenti del teatro di regia (Stanislavskij, Appia, Craig ecc...). Di questi incontri ha lasciato memoria in un saggio degli anni 10 “L’arte teatrale moderna”: il primo contributo a carattere storiografico che fissa le prime vicende relative alla nascita della regia in Europa. Alcuni storici dello spettacolo hanno definito l'esperienza del teatro naturalista e simbolista come un qualcosa fondato sulla de-teatralizzazione del teatro. Il naturalismo cerca di riportare sulla scena la riproduzione della realtà in termini fotografici, mentre i simbolisti riportano il teatro ad una purezza simbolica, negando la presenza fisica dell’attore sulla scena. Questa de-teatralizzazione del teatro è un qualcosa che in quegli anni si manifesta seguendo 72 delle linee di tendenza opposte che si realizzano poi per polarizzazioni diametralmente opposte: naturalismo con riproduzione fotografica del reale dall'altro il simbolismo con degli spettacoli dal carattere fortemente evocativo incentrati prevalentemente sulla dimensione della parola. Si assiste, pressappoco negli stessi anni, ad un processo che di contro, è stato definito come un processo di ri-teatralizzazione del teatro: lo spettacolo è qualcosa che mette insieme una serie di linguaggi eterogenei (linguaggi del testo, visivi della scenografia e del costume, musicale, della parole ecc) che concorrono a definire il linguaggio scenico. Cioè corrisponde a un codice linguistico che è proprio del teatro che non è il testo drammatico, non è la sommatoria di scenografia + costume + musica + parola, è qualcosa di diverso è qualcosa di concettualmente molto avanzato. Quindi in questi anni matura pienamente la consapevolezza che il teatro è un'opera d'arte autonoma che risponde ad un proprio linguaggio ad un proprio codice linguistico: il linguaggio scenico; si modifica il rapporto di autorialità: registi consapevoli come Antoine ritenevano ancora che pur essendo loro stessi registi di grande livello detenevano comunque che al vertice gerarchicamente si dovesse porre ancora l'autore drammatico e altri come Gordon Craig, Appia ritenevamo invece che ci dovesse essere una figura che denominiamo regista figura che aveva la funzione essenzialmente di essere l'ideatore, il creatore dello spettacolo quindi una figura che rivestiva una funzione autoriale di grandissimo livello. (←)Adolphe Appia può essere messo in parallelo con Edward Gordon Craig (→). Sono due personaggi diametralmente opposti dal punto di vista geografico perché erano due vite, due esistenze completamente differenti e anche dal punto di vista, per certi aspetti della visione scenica saranno molto simili però per quanto riguarda l'organizzazione dello spazio scenico e della scenografia. Entrambi sono due artisti che possono essere riuniti all’interno della temperie simbolista in grande linea. Però siamo in presenza di due personalità talmente uniche che difficilmente sono riducibili ad un'etichetta, due personaggi assolutamente irriducibili a un movimento culturale. Ciò non toglie però che alcuni aspetti della loro visione scenica possa essere ricondotta a una temperie culturale e nello specifico al simbolismo. Appià è stato uno dei grandi esponenti del teatro europeo di fine 800, inizio 900. Nasce a Ginevra il 1º settembre 1862 e muore a Nyon il 29 febbraio 1928. La sua esistenza copre gli anni della nascita della regia in Europa ed è stata un’esistenza problematica, poiché egli era instabile psichicamente, afflitto dalla balbuzia fin da piccolo e ha passato molto tempo in istituti psichiatrici per sua scelta e si è dato all’alcolismo. Famiglia di origine piemontese, dove erano presenti molti pastori protestanti→ clima permeato di religione. Padre era un uomo severo e calvinista convinto, figura importante nel panorama medico di quegli anni mentre la madre Anna Carolin una donna dedita alle pratiche religiose → clima oscurantista. Clima che lo porta a sviluppare la balbuzia e a sviluppare una sensibilità che entra rapidamente in conflitto con la famiglia: giovane votato alle pratiche artistiche. Inizia ad avvicinarsi al teatro all’età di 20 anni quando il padre permise al figlio di recarsi al Grand théatre di Ginevra dove ebbe l’occasione di assistere a una rappresentazione del Faust di Gounod. «Appena di aprì il sipario rimasi stupito nel non vedere, o meglio, nel non sentire che tele senza consistenza; e mi dicevo: “Ma sono dunque solo paraventi?”. Il piano del palcoscenico mi fece un’impressione analoga; avevo infatti supposto che i piedi degli attori – e quindi, naturalmente, tutti i loro atteggiamenti – sarebbero stati valorizzati dalla diversità dei piani. Era una sensazione ben precisa, ma ancora molto vaga per il mio giudizio. Durante la rappresentazione, la mia delusione si fissò sempre più esclusivamente sui personaggi; trovai bizzarro che ciascun episodio non fosse meglio situato; non formulai così quella sensazione, ma fu proprio così che la provai.» ↪Ciò che stupisce e turba Appià è il fatto che la scenografia sia realizzata in trompe-l'oeil; importante è anche il fatto che lui rimane turbato dal fatto che il pavimento del palcoscenico 75 strutturale dell’impianto registico ed è una luce che si fonda sul contrasto cromatico e tra zone di luce e zone di ombra); per quanto riguarda l’allestimento, la scena è composta su piani diversificati che si strutturano su piattaforme tridimensionali che possono essere percorse dagli attori (rapporto che si istituisce tra attore e spazio scenico, il quale si fonda sul fatto che l’attore deve lasciarsi determinare dallo spazio scenico circostante, poiché lo spazio influenza l’attore). In quegli anni, l’attenzione di Appià si accentra sul ruolo svolto dalla luce: si può istituire un legame tra Appia e Mariano Fortuny (importante pittore, scenografo e stilista). Per quanto riguarda il teatro ha realizzato la cupola fortuny: dispositivo scenografico costituito da una grande calotta semisferica che veniva colorata e poteva riprodurre il colore naturale del cielo, all’interno della quale venivano proiettate immagini che dovevano costituire l’impianto scenografico. Consentiva una grande duttilità dal punto di vista della luce sulla scena. «L’illuminazione per se stessa è un elemento dagli effetti illimitati, rimessa in libertà, diviene per noi ciò che per il pittore è la tavolozza: per lui ogni combinazione di colori è possibile; e da parte nostra, per mezzo di proiezioni semplici o composte, fisse o mobili, con l’ostruzione parziale delle fonti luminose, con diversi gradi di trasparenze, ecc., noi possiamo ottenere un numero infinito di modulazioni. ‘illuminazione ci dà così il mezzo per esternare, liberare in qualche modo una gran parte dei colori e delle forme che la pittura fissava sulle tele, e di diffonderli vivi nello spazio; l’attore non passeggia più davanti alle ombre e alle luci dipinte, ma è immerso in un’atmosfera che è destinata a lui. Gli artisti capiranno facilmente l’importanza di una simile riforma. (Un artista noto a Parigi, M. Mariano Fortuny, ha inventato un sistema di illuminazione del tutto nuovo, basato sulle proprietà della luce riflessa. I risultati sono straordinariamente felici, e questa invenzione geniale provocherà nella messa in scena di tutti i teatri una trasformazione radicale a favore dell’illuminazione). » ↪ Appià fissa i termini teorici del ruolo dell’illuminazione all’interno dello spettacolo e la dimensione legata alla tridimensionalità. Questa idea di teatro si fonda anche su una duplice dimensione: la dimensione legata alla gli effetti luministici dell'uso della luce e poi la dimensione legata alla tridimensionalità Bozzetto delle Valchirie di Wagner Questa immagine è caratterizzata da un registro univoco, il registro dominante è questo contrasto illuministico tra luce e ombra: profilo di questo guerriero che si staglia sulla roccia. Gli elementi che possono essere messi in luce in questa immagine sono: non c'è nessuna intenzione di carattere realistico la figura è stilizzata così come è stilizzato è il profilo della roccia, siamo una dimensione all'interno della quale l'immagine in qualche misura sprigiona e sviluppa un potere evocativo → Questo è uno dei motivi per cui certa storia dello spettacolo ha inserito Appia all'interno del simbolismo Stessa situazione analoga la ricordiamo in un altro bozzetto delle Valchirie, sempre con questi profili di paesaggi che si stagliano sullo sfondo, ma qui interviene in maniera più netta anche l'elemento tridimensionale: la scena si configura in modo che si sviluppi su piani diversi fidati piani diversificati che si supponeva essere assolutamente praticabili da parte degli attori. 76 Analoga situazione per questo bozzetto del l'oro del Reno dove in maniera ancor più evidente si possono cogliere questi elementi praticabili della scena su cui verosimilmente si possono collocare gli attori e dove interviene in maniera assolutamente evidente ancora una volta questo gioco di luci e ombre Bozzetto per Parsifal di Wagner. Due considerazioni: la prima la riprendiamo da un passo di Appia di una nota apposta a questo bozzetto «Questa foresta rappresenta, nella musica, un Tempio. Deve quindi possederne l’aspetto, e tanto più in quanto il vero tempio del Santo-Graal succederà ad essa progressivamente, alla fine dell’atto. Gli alberi assumeranno dunque delle linee e una disposizione generale conformi a questa parentela architettonica. Poi, quando questa foresta-tempio si dispiegherà lentamente e solennemente sotto i nostri occhi, per condurci, come in sogno, verso il Tempio divino, nel mezzo dell’inverosimile e tragico splendore dell’orchestra, i tronchi a poco a poco appariranno piantati su delle rocce piatte, e non più radicati nel terreno: la vegetazione scomparirà; la luce naturale del giorno farà posto a quella soprannaturale, proveniente dal Tempio soprannaturale, e le colonne di pietra rimpiazzeranno lentamente i grandi tronchi della foresta. Passeremo così da un Tempio in un altro Tempio.» Descrizione che illustra quella che nella mente di Appia doveva essere la funzione di questa struttura scenografica. Questo spazio è estremamente suggestivo, una foresta che si configura come una sorta di grotta scandita dalle colonne come di un tempio. Una delle linee di indirizzo fondamentali del teatro di fine Ottocento e soprattutto dei primi decenni del Novecento che introduce appunto un concetto fondamentale avrà dei riverberi fino ai nostri giorni → il concetto di drammaturgia dello spazio. Si sedimenta nell'operato di alcuni registi teorici di questi anni e si assiste a quella che possiamo definire come l'uscita del teatro dai teatri: non necessariamente lo spazio scenico in un dramma di una tragedia di qualsiasi altro allestimento deve necessariamente essere collocato all'interno di un teatro e il teatro per potersi realizzare può rivolgersi anche a spazi che sono al di fuori del teatro in quanto edificio destinato a ospitare spettacoli. Concettualmente ci fa uscire dal teatro e quindi il regista ,gli attori, gli operatori teatrali possono andare anche alla ricerca di spazi che non sono un palcoscenico tradizionale ma si può fare teatro in tutti quei luoghi che in qualche misura per la loro configurazione fisica oppure configurazione architettonica sono suggestivi e suscitano in chi li osserva una vera e propria drammaturgia. All’interno dell’elaborazione teorica di Appià ci riconnettiamo al dramma wagneriano che nell’ottica di Appià costituisce un punto centrale della sua riflessione → Appià mette appunto il wort-ton-drama (dramma di parole e musica): costituire un corretto approccio a quella che è l'opera di Wagner e soprattutto un corretto approccio a quello che è l'ha messa in scena del dramma wagneriano. In questo contesto gioca un ruolo importante Emile Jaques-Dalcroze (insegnante di musica che elabora la ginnastica ritmica). Egli si è reso conto che i suoi allievi necessitavano di un metodo in grado di fargli apprendere il solfeggio senza particolari difficoltà e Dalcroze individua un sistema fondato sulla ritmica, in base alla quale i suoi allievi associando determinati gesti, movimenti del corpo, azioni alla partitura musicale arrivavano a solfeggiare correttamente. → Legame profondo tra la teoria di Appia e la pratica di Dalcroze. Questo metodo ebbe un successo strepitoso al punto che Emile Jaques-Dalcroze poté fondare una scuola ed il suo metodo costituisce ancora oggi un punto di riferimento. Si sviluppa una vera e propria cultura del corpo. Il corpo umano diventa uno strumento, un mezzo di conoscenza e di espressione, diventa un qualcosa che deve essere anche 77 liberato dalle tutta una serie di costrizioni. La fine dell’800 e inizio 900 sono anni particolarmente importanti per quanto riguarda due fenomeni di estrema attualità: lo Sport moderno → nel 1896 il Barone de Coubertin fonda le Olimpiadi, quindi nasce una cultura del corpo in quanto strumento dello Sport. La liberazione del corpo femminile → nasce innanzitutto a partire dai movimenti femministi che si sviluppano a partire dalla seconda metà dell'Ottocento in tutto il mondo occidentale, movimenti femministi che propagandano anche una salutare liberazione del corpo delle donne da certi abiti (costrette in grossetti, in cinture e quant'altro). È una linea che riguarda il teatro ma travalica il teatro. Bozzetti che lui ha realizzato nell'ambito di questa collaborazione con Emile Jaques-Dalcroze. ← Les trois piliers: questo è uno spazio ritmico. Si evince innanzitutto una configurazione dello spazio scenico fondata essenzialmente su un gioco di luci e di ombre - lo spazio viene scandito dalla luce e viene scandito anche da quei corpi solidi come questi tre pilastri che proiettano le ombre sul palcoscenico. Analoga situazione quest'altro spazio ritmico (→) dove si introduce un elemento particolarmente importante per Appia cioè la scala. C'è una sorta di combinato disposto nella strutturazione dello spazio, che si struttura a partire dalla linea dominante del ruolo svolto dalla luce con la creazione di questi giochi di luce e di ombra da un lato e dall'altro sulla base di una struttura scenografica tridimensionale costituita dall'elemento del gradino. ← Bozzetto Il palombaro di Schiller. Altro spazio ritmico. Siamo in presenza di uno spazio scenico tridimensionale, praticabile che può essere percorso dagli attori in tutte le sue dimensioni, ed è uno spazio che rende conto di quella che è la visione complessiva. Nella sua elaborazione della sua idea di wort-ton-drama a differenza di quella che era la concezione del dramma wagneriano, che poneva allo stesso livello tutte e tre le arti sorelle mentre Appia invece pone al vertice la musica. Nella sua visione scenica adolphe Appia cotruendo questo spazio definisce uno strumento idoneo a fare in modo che la musica si incarni pienamente all'interno dello spettacolo e quali sono gli elementi che consentono l'incarnazione della musica all'interno. Elementi che permettono l'incarnazione della musica nello spettacolo: lo spazio scenico caratterizzato da una scansione → la scala in quanto tale ti obbliga a percorre i gradini a un ritmo quando saliamo; L'altro elemento importante è il corpo dell'attore che percorre questo spazio bene sulla base del ritmo che gli viene imposto dallo spazio medesimo, scandisce ritmicamente il proprio movimento nello spazio. La funzione complessiva deriva specialmente dal fatto che questi spazi devono consentire l'incarnazione della musica attraverso il ritmo - il ritmo viene determinato dal corpo dell'attore che percorre questi spazi sfruttando la ritmicità intrinseca di questi spazi. Questa linea di indirizzo è particolarmente importante nella riflessione tanto che Appia arriva ad ipotizzare la costituzione di una sesta linea del pentagramma → la linea che riguarda il movimento dell'attore cantante nello spazio. Movimento che viene in qualche misura determinato dalla maggiore o minore preponderanza musicale all'interno della rappresentazione. Quando la musica opera il massimo grado di estensione l'attore dovrebbe ritirarsi sul fondo della scena, quasi scomparire, nel momento in cui la musica invece si ritrae e si attestano su livelli meno importanti la figura dell'attore dovrebbe stagliarsi e manifestarsi sul proscenio in piena visibilità dinanzi agli occhi del pubblico. 80 tristezza terrestre dell’uomo. Al di là di quello squarcio c’era tutta l’estasi, tutta la gioia, tutto il miracolo della sua immaginazione. Era piccolo il salotto di Rosmersholm? Io non so quel che Ibsen avrebbe pensato. Può darsi che sarebbe stato anche lui come noi senza parole, in pieno rapimento. La mano di Eleonora si fermò nella mia. Sentii le sue braccia attorno a me. Mi serrò a sé in un lungo abbraccio. Lagrime scivolavano sul suo bel viso. Restammo là qualche tempo in quella silenziosa stretta, Eleonora muta d’ammirazione e d’emozione artistica, io, di sollievo.» ↪ Da un lato il giovane regista è portatore di grandi novità in ambito teatrale, e dall’altro la Duse era in rotta di collisione col teatro del suo tempo. Probabilmente la Duse si è rivolta a Craig per modificare l’assetto complessivo del teatro stesso. «Firenze, 4 dicembre 1906. Giornata terribile. La prova della nuova scena per il Rosmersholm, il dramma di Ibsen. È una scena strana tutta verde illuminata da dieci riflettori. I mobili sono verdi, di tela uguale la scena: in fondo una gran porta a vetri dà su un paesaggio che dà su un paesaggio che ricorda stranamente quello dell’Isola dei Morti. Un’altra porta grande è coperta da un velo blu. Altri veli sono ai fianchi. Un sogno! Piacerà al pubblico? La signora è entusiasta.» ↪ La scenografia è costituita da alti pannelli dipinti sulla base di diversi registri cromatici (uno che tende al verde ed uno che tende al blu); la scenografia non è realistica, gli unici accenni ad oggetti di scena sono riguardanti alcuni mobili. Siamo dunque in presenza di uno spazio scenico organizzato in modo diverso rispetto ai canoni dell’800. «Chi l’ha vista incarnare la parte di Rebecca in Rosmersholm sa che nessuno oggi è così risolutamente avanguardista in fatto di allestimento scenico e di relazione dei personaggi col quadro com’ella era già una quindicina d’anni fa. Le pause e i silenzi erano per lei quasi più significanti delle irruzioni di parole; il singulto e il sospiro, intonati come se un primo violino inaudibile ne modulasse l’estensione, avevano un valore fonetico non inferiore al grido; la trepidazione della tenda, dietro al quale Rebecca spiava, non pareva casuale neanche nell’ultima piega; il passaggio delle luci e delle ombre sul suo volto senza contrazioni creava maschere fuggitive che attimo per attimo sembravano plasmate da una statuaria irrevocabile. Problema di ritmica, e addirittura di musica: essa voleva, come ogni vero poeta moderno vuole, sciogliere il verso nella melodia infinita della prosa, alzare la prosa alla determinatezza del verso. » ↪ Per quanto riguarda l’interpretazione della Duse, si caratterizza per degli accenti simbolici dove la dimensione fonetica della sua recitazione si accordava sinestesicamente con lo spazio scenico complessivo caratterizzato dai cromatismo. All’interno dello spazio scenico un ruolo particolare era svolto dalla luce, il quale contribuiva a determinare una sorta di drammatizzazione, delle espressioni, del volto. La linea della luce l’avevamo già vista parlando di Appià e questa è un’ulteriore analogia tra i due. Il valore dello spazio scenico viene messo in luce anche da Corradini (critico): «Il palcoscenico appariva trasformato, veramente trasfigurato, altissimo, con una architettura nuova, senza più quinte, di un solo colore tra il verde e il cilestrino, semplice, misterioso e affascinante, degno insomma di accogliere la vita profonda di Rosmer e di Rebecca West… La scena è la rappresentazione di uno stato d’animo.» ↪ conferma che siamo in presenza di una scenografia che non intende rappresentare un ambiente in termini illusionistici, ma una scenografia che intende evocare una linea simbolica della rappresentazione (emozioni...) I fiorentini non rimasero però impressionati dalla scenografia di Creig, ma la duse pensò di replicare questo spettacolo in tournée. Ma nel 1907 a Nizza si verificò un episodio che mise fine al rapporto tra Craig e la Duse: in occasione dell’allestimento a Nizza della pièce Rosmersholm, la scenografia realizzata da Craig era stata mutilata per adattarla al teatro di Nizza ed erano stati tagliati una settantina di cm della scenografia (non si vedevano più alcuni mobili): questo scatenò una grande rabbia in Craig quando 81 vide che la sua scenografia era stata tagliata e andò su tutte le furie. E’ importante sottolineare il fatto che la mutilazione della scenografia provocò la rottura definitiva tra Craig e la Duse. «[…] Seguirono grandi scenate col macchinista, con l’elettricista, l’amministratore, il direttore di scena, il trova-robe. Gran caos di orribili favelle che s’incrociavano. L’inglese di Gordon Craig, aveva sì delle strane analogie col puro bolognese del macchinista Pompeo Giordani, ma non era in armonia col fiorentino del direttore di scena, con l’italiano dell’amministratore, col nizzardo dell’elettricista, col milanese del trova-robe. Quante insolenze sono volate! Finalmente il pittore se n’è andato per tornare quasi subito con la figlia della signora. Cambiamento di scena! Gordon Craig parlava in inglese con la signorina che parlava in francese, all’amministratore che parlava in italiano, al macchinista che bestemmiava in bolognese.» Nel 1907 Craig si trasferisce a Firenze. Dopo l'uscita da Firenze intorno al 1915-16 girerà a lungo in Italia fino alla fine degli anni 20-30 per poi trasferirsi in Francia prima a Parigi e poi in Provenza dove morirà nel 1960. Il suo lavoratorio Craig lo pone nell’Arena Goldoni → Inaugurata nel 1818 costituiva una zono dell’oltrarno destinata all’intrattenimento - Arena, salone da ballo, sala da gioco, sala da biliardo, giardino e poi il teatro Goldoni tutt'oggi esistente. Negli spazi dell’Arena Goldoni, Craig istituisce una scuola per maestranze teatrali: egli intende creare una scuola destinata ai vari mestieri del teatro - importante la dimensione artigianale (scenografi, falegnami, macchinisti, costumisti...). Successivamente l’arena Goldoni sarà il laboratorio intellettuale dove Craig mette a punto i capisaldi della sua idea di teatro, a cominciare dalla teoria della super-marionetta. Craig inizia a pubblicare la rivista The Mask che può essere considerata come la vera realizzazione scenica di Craig: è quell’oggetto all’interno del quale Craig manifesta e spiega la sua idea di teatro. Si dispiega la sua idea di teatro attraverso diverse modalità - pubblicazione di articoli che riguardano il teatro del passato, iconografie che illustrano immagini del teatro del passato, bellissime incisioni sugli spettacoli giapponesi ecc. Questa dimensione figurativa dell’idea di teatro di Craig si manifesta anche attraverso dei bozzetti e dei disegni che Craig pubblica nella rivista. The Mask costituisce quindi un luogo all’interno del quale Craig da sfogo alla sua idea di teatro. Nel 1908 inizia il rapporto a distanza con Stanislavskij che porterà Craig a curare la messa in scena dell’Amleto a Mosca nel 1912. Il rapporto fu travagliato per molteplici motivi, uno dei quali era la distanza. Siamo in presenza di due personalità particolarmente forti, e successivamente subentrarono anche delle difficoltà di carattere linguistico che aumentarono le incomprensioni. Nonostante i conflitti, lo spettacolo andò in scena nel 1912 ottenendo un enorme successo e fu replicato molte altre volte nel teatro di Mosca. Craig si colloca in una posizione conflittuale rispetto al teatro del suo tempo e nei confronti della figura dell’attore. Da questo punto di vista è interessante vedere come Craig all’interno del saggio L’attore e la supermarionetta del 1907 risponde alla domanda se recitare sia un’arte oppure no: «Per salvare il teatro bisogna distruggere il teatro gli attori e le attrici devono tutti morire di peste essi rendono l'arte impossibile» - Eleonora Duse ↪ recitare non è un arte. «Recitare non è un’arte; è quindi inesatto parlare dell’attore come di un artista. Perché tutto ciò che è accidentale è nemico dell’artista, l’arte è in antitesi assoluta con il caos, e il caos è creato dall’accozzaglia di molti fatti accidentali. All’Arte si giunge unicamente di proposito. Quindi è chiaro che per produrre un’opera d’arte qualsiasi, possiamo lavorare soltanto con quei materiali che siamo in grado di controllare. L’uomo non è uno di questi materiali.» - Craig 82 ↪ L’artista è colui che riesce a controllare i materiali della propria arte (come il pittore riesce a possedere i pennelli). L’attore non è in grado di realizzare tutto questo, poiché l’attore è il materiale stesso della propria arte. «L’uomo non è uno di questi materiali. Tutta la natura umana tende verso la libertà, perciò l’uomo reca nella sua stessa persona la prova che, come materiale per il teatro, egli è inutilizzabile. Nel teatro, poiché ci si serve come materiale del corpo di uomini e donne, tutto quel che si rappresenta è di natura accidentale: le azioni fisiche dell’attore, l’espressione del suo volto, il suono della voce, tutto è in balia dei venti delle sue emozioni, e se è vero che questi venti spirano in continuazione attorno all’artista eccitandolo, non ne turbano mai l’equilibrio. L’attore invece diviene succube dell’emozione; essa gli invade le membra, le scuote come vuole. Egli è completamente in suo potere, si muove come uno in preda al delirio, o come un pazzo, barcollando qua e là; la testa, le braccia, i piedi, se pure non sono del tutto al di fuori del controllo, oppongono così poca resistenza al torrente delle passioni, che possono cedere e fargli fare un passo falso da un momento all’altro. […] L’emozione è la causa che prima crea, poi distrugge. L’arte, come l’abbiano definita, non può ammettere dei fati accidentali; quindi, quel che l’attore ci dà non è un’opera d’arte, ma una serie di confessioni fortuite. Quindi il corpo umano, per le ragioni che ho detto, è per sua natura assolutamente inutilizzabile come materiale artistico. […] Ma vedo uno spiraglio attraverso il quale gli attori potranno evadere in tempo dal servaggio in cui si trovano. Essi devono creare per sé stessi una nuova forma di recitazione, consistente essenzialmente in gesti simbolici. Oggi essi impersonano e interpretano; domani dovranno rappresentare e interpretare; e dopodomani dovranno creare. In questo modo potrà aversi nuovamente uno stile. […] L’attore invece guarda alla vita come una macchina fotografica, e cerca di fare un ritratto che competa con una fotografia. Non immagina neppure che la sua arte sia simile, ad esempio, all’arte della musica. Egli si sforza di riprodurre la Natura; raramente pensa di inventare con l’aiuto della Natura e non aspira mai a creare. […] L'attore deve andarsene, e al suo posto deve intervenire la figura inanimata - possiamo chiamarla la Supermarionetta, in attesa di un termine adeguato. Molto è stato scritto sul burattino, sulla marionetta. Sono stati dedicati loro degli ottimi volumi, e hanno pure ispirato parecchie opere d'arte. Oggi, che la marionetta attraversa il suo periodo meno felice, molta gente la considera come una bambola di tipo un po' superiore - e pensa che sia una derivazione di quest'ultima. Il che è inesatto. La marionetta discende dalle immagini di pietra dei templi antichi - e attualmente è una figura di un Dio alquanto degenerata. Anche se resta sempre la più cara amica dei bambini, sa ancora come scegliere e attrarre i suoi sostenitori.» ↪ Craig sostiene che l’attore debba andarsene ed al suo posto debba intervenire una figura inanimata (definita super-marionetta): non è chiaro cosa intenda Craig con questo termine. Questa idea sella super-marionetta può essere associata ad Henry Irving: egli è stato per Craig un modello portante a partire dagli anni della propria giovinezza. «I suoi movimenti erano tutti controllati. Egli calcolava sempre - uno, due, tre - pausa - uno, due - un passo, un altro, una pausa, un giro lentissimo, un altro passo, una parola. [... ]. Questa era una delle sue danze. Oppure seduto su una sedia, vicino a un tavolo, sollevava un bicchiere, beveva e poi abbassava la mano con uno, due, tre, quattro leggeri scatti - sospensione - un leggero movimento degli occhi - cinque - poi una successione di passi - due sillabe pronunciate lentamente - un altro passo - altre due sillabe - e una seconda sequenza della sua danza era realizzata. E così in tutta la pièce - qualunque fosse - non eseguiva alcun movimento casuale [...]. Tutto era ben definito dall'inizio alla fine. [...] Essendo i suoi movimenti calcolati, pianificati, ritmici, può essere addirittura ovvio sottolineare che anche l'espressione del volto era misurata-, tuttavia non deve essere venuto in mente a nessuno dei miei lettori che questo controllo dell'espressione, nel momento in cui raggiungeva l'immobilità, trasformava il suo volto in una maschera.» ↪ Craig descrive la recitazione di Irving e si possono individuare delle relazioni analogiche tra la sua recitazione e la super-marionetta: egli è un attore che non si lascia dominare dalla passione, ma mantiene un ferreo controllo sia sulle sue emozioni sia su ciò che è il suo materiale artistico, ovvero il suo corpo; Irving è dunque in grado di dominare se stesso durante lo spettacolo attraverso una serie di gesti estremamente rigorosi che gli consentono di non cadere in balia delle passioni, dunque possiede pienamente il materiale artistico. 85 «Fin qui abbiamo visto due mondi, uno di fronte all'altro: quello di Amleto e quello della corte. In primo piano Amleto disteso su due cuscini grigi, neri; sembrano quasi una tomba aperta. Un velo enorme, trasparente, ampio quanto tutto il palcoscenico, lo separa dal mondo della corte. Il mondo della tirannia e dello splendore è tutto d'oro con degli sprazzi di colori violenti, diabolici. È una scalea, una piramide che ha al vertice il re e la regina. Un enorme mantello d'oro e di porpora scende dalle spalle del re, dell'usurpatore, e copre tutta la scena, formando tante onde dorate. Dalle creste delle onde emergono le teste dei cortigiani rivolte in su, verso il trono. La corte noi la vediamo attraverso gli occhi di Amleto, e la ascoltiamo attraverso la maschera delle parole. Ma quel che sentiamo è falso, quel che vediamo è vero.» Questo bozzetto ci presenta in termini grafici quello che Craig ha espresso all'interno del diario di regia del 1912, cioè questa scena era costituita infatti da un grande mantello dorato e color porpora che partendo dal re e dalla regina si dispone su tutti i membri della Corte i quali emergono dalle volute di questo martello facendo emergere le loro teste. Questo mantello dorato nelle intenzioni di Craig doveva essere il simbolo della corruzione all'interno della quale si trovava la corte del regno di Elsinore. Questa è una figura di cartone che raffigura uno dei personaggi relativi alla messa in scena dell’assassinio di Gonzago (piece di teatro nel teatro): che si colloca all'interno dell’Amleto - per cercare di smascherare lo zio e la madre che avevano ucciso suo padre fa realizzarne uno spettacolo da una troupe geovaga che porta sulla scena del castello di Elsinore una vicenda analoga a quella che si era effettivamente verifica nella Corte Danese cioè l'uccisione del Re da parte del porpio fratello. Questo è un altra rappresentazione dell’assassinio di Gonzago. Si intravede una linea di indirizzo che in qualche misura confligge con quelli che erano i dettami propri degli attori stanislavskijani, siamo in presenza di una gestualità particolarmente stilizzata. che riconduce ad una dimensione che potremmo definire simbolica. C'era appunto la volontà di creare un'ambientazione complessiva non soltanto attraverso la dimensione della scenografia → la visione scenica di Craig si doveva valere anche dell’elemento costumistico per definire un punto di vista simbolico. Alcuni dei personaggi vengono caratterizzati da Craig dal punto di vista costumistico attraverso dei costumi che li fanno apparire come animali: il re usurpatore un bulldog, alcuni cortigiani come serpenti altri come camaleonti, i soldati come tartarughe, il padre di Ofelia come un rospo Prima configurazione degli script di configurazione dello spazio scenico costituito dalla presenza di una scena idealistica - spazio indeterminato caratterizzato da una sorta di intenzione assolutamente evocativa. 86 Immagine significativa per capire quello che al di là del grande successo dell'allestimento è significativa dalla distanza scenica tra Craig e Stanislavskij: per Craig era caratterizzata appunto da questi spazi estremamente ampi attivati drammaturgicamente dagli screens, che non si fondavano su una rappresentazione realistica della ambientazione spaziale. Mentre la visione di Stanislavskij si fondava sulla presenza dell'attore che interagiva attivamente con lo spazio scenico a partire dalla ricerca di tutti quei punti d'appoggio detti oggetti punto. Tutto ciò che abbiamo visto relativamente a Craig: concezione negativa dell’attore, Craig teorizza la sua sostituzione con una marionetta. L’idea della marionetta va in parallelo all’idea di una mente ordinatrice che diventi il vero e proprio creatore dello spettacolo. Il regista è il vero e proprio autore dello spettacolo, e da questo punto di vista, Craig è colui che ha formato il primato del regista in termini più strutturati di altri. La Regia in Italia Il termine regia-regista in Italia compare tardi (1932-1935) ad opera di Ermanno Migliorini, studioso di lingua italiana il quale conia questa parola che non esisteva fino a quel momento. Il teatro di regia in quanto tale come operazione cosciente adoperata da operatori teatrali, registi che avevano piena consapevolezza del loro ruolo, in Italia si afferma a partire dal secondo dopoguerra grazie a personaggi come Luchino Visconti e Giorgio Strehler (dal 1947/8.) con la fondazione del piccolo teatro di Milano - la regia viene messa a frutto in maniera stabile nel nostro paese e il primo teatro che si rivolge ad un pubblico in termini di carattere politico e sociale. Craig è dunque colui che in qualche misura avvia il processo di riteatralizzazione del teatro che consiste nella consapevolezza che il teatro vive di un linguaggio proprio (ovvero il linguaggio scenico) e su questo il teatro da luogo a una serie di prodotti artistici costituiti dallo spettacolo. Vsevolod Emil’evic Mejerchol’d All’interno di questo processo di riteatralizzazione del teatro, un ruolo particolare lo svolge Vsevolod Emil’evic Mejerchol’d. Il più grande regista della prima metà del 900 - protagonista della scena russa e poi sovietica. È stato quel regista che ha attraversato tutti i generi teatrali - poliedrico e versatile. Mejerchol’d frequenta e realizza spettacoli in tutti i generi teatrali e costituisce una delle personalità più articolate e complesse del suo secolo. Mejerchol’d nasce in Russia nel 1874 e muore nel 1940, assassinato dal regime Stalinista a seguito di una progressiva caduta in disgrazia iniziata dagli anni 30. Ha avuto un ruolo importante nella rivoluzione russa per quanto riguarda il teatro e per questo è paradossale la sua morte da parte del regime. La sua tragica esistenza lascia un segno di sgomento negli storici. Mejerchol’d nasce da una famiglia benestante di origine tedesca, il padre è proprietario di una distilleria di alcolici e ha sempre avuto poca attenzione per la famiglia (8 figli). Mejerchol’d sviluppa una passione per il teatro fin da piccolo, frequenta insieme alla famiglia il teatro di Pensa, dove la famiglia possiede un palco. Si avvicina a pratiche artistiche studiando pianoforte e violino e insieme al fratello Fjodor compone e recita dei piccoli brani. I suoi studi sono caratterizzati da uno scarso interesse: Frequenta il liceo Pensa che conclude nel 1894, questa esperienza è importante perché entra in contatto con un insegnante che lo avvia all’ideologia socialista; svolge attività teatrali in un teatrino amatoriale e partecipa a serate letterarie. Nel 1896 si trasferisce a Mosca e si iscrive all’università di legge alla scuola teatrale di 87 Danchenko. Tra il 1896-97 organizza degli spettacoli al teatro di Pensa e così entra in contatto con la classe operaia → punto d’incontro tra l’intelligenza russa e la classe operaia. In questi anni entra a far parte della società teatrale Russa. Nel 1897, anno importante per la storia teatrale russa, si svolge un congresso teatrale all’interno del quale il direttore teatrale del Malyj Teatr di Mosca, Aleksandr Lenskij denuncia la decadenza del teatro e rivendica la necessità di riforme radicali tendenti ad avviare dei veri percorsi formativi per attori e registi. Dal 1898 Mejerchol’d è attore presso il teatro d’arte di Mosca di Stanislavskij: Mejerchol’d si distingue nelle parti del Principe di Aragona nel Mercante di Venezia di Shakespeare, Tripler nel Gabbiano di Cechov, Tiresia nell’Antigone e si distingue per una recitazione vibrante e a tratti particolarmente nervosa. Nel 1902 lascia il teatro d’arte di Mosca in polemica col suo maestro: Mejerchol’d inizia a prendere le distanze dalle metodologie di Stanislavskij ed inizia a maturare una visione autonoma di teatro soprattutto per quanto riguarda la messa in scena. Questa è l’occasione per avviare un processo di revisione autonoma dei principi della recitazione di Stanislavskij. Ciò che evidenzia Mejerchol’d è la visione scenica del teatro naturalista: Il teatro naturalista insegna all’attore a esprimersi in modo assolutamente chiaro, compiuto e determinato; non ammette mai una recitazione per accenni una recitazione che lasci coscientemente delle zone d’ombra nel personaggio: ecco perché nel teatro naturalista si notano così spesso delle forzature. Questo teatro non conosce la recitazione per allusioni, mentre alcuni attori, anche nel periodo di entusiasmo per il naturalismo, recitavano in qualche momento con questo stile: la tarantella di V. F. Komissarzevskaja nella parte di Nora è la semplice espressione di uno stato d’animo. Il movimento delle gambe è soltanto nervosamente ritmato, e se si guardassero solo le gambe si penserebbe piuttosto a una fuga che a una danza. Un’attrice del teatro naturalista che abbia studiato sotto la guida di un ballerino farà coscienziosamente tutti i passi, porterà sino in fondo il gioco scenico e metterà tutto il suo temperamento proprio nell’azione della danza. Ma quale impressione produrrà sullo spettatore una simile recitazione? Lo spettatore che va a teatro deve poter completare con la fantasia quanto rimane inespresso. Molti sono attirati a teatro proprio da questo mistero e dal desiderio di svelarlo. ↪ Mejerchol’d mette in luce ciò che secondo lui è l’elemento di criticità del teatro naturalista, ovvero il non lasciare spazio all’immaginazione dello spettatore: non ha la possibilità di ricreare dentro di sé una visione interiore dello spettacolo. Recupera anche alcuni passaggi del pensiero di Schopenhauer affermando: «Un opera d’arte può influire soltanto attraverso la fantasia e perciò la deve stimolare costantemente, deve proprio stimolarla, non lasciarla inattiva mostrandole tutto. Stimolare la fantasia è la condizione di un atto estetico ed è la legge fondamentale delle belle arti. Ne deriva che un'opera d’arte non deve dare tutto ai nostri sensi ma solo quel tanto che serve per orientare la nostra fantasia nella giusta direzione lasciandone l’ultima parola molte cose possono rimanere parzialmente inespresse, lo spettatore completerà da sé e talvolta proprio per questo la sua illusione sarà maggiore ma dire qualcosa di troppo equivale a fare crollare con una spinta una statua formata i tanti pezzetti o togliere la lampada dalla lanterna magica. Quando la fantasia dello spettatore non viene soffocata si accende e allora l’arte sarà più raffinata. Perché il dramma medievale poteva fare a meno di impianti scenici? Grazie alla viva fantasia dello spettatore. Il teatro naturalista nega allo spettatore non soltanto la capacità di sognare ma anche quella di capire i discorsi interleggibili sulla scena.» ↪ Lascia spazio alla possibilità di individuare un legame tra M e una sorta di temperie di stampo simbolista. Per il simbolismo era molto importante che il teatro lasciasse spazio ad una serie di evocazioni nello spettatore. Mejerchol’d entra in contatto dal 1902 con il movimento simbolista russo che aveva preso sviluppo grazie all’operato di Sergej Pavlovic Djagilev (grande impresario teatrale, fondatore dei balletti russi); egli ha fondato nel 1898 una rivista intitolata Il mondo dell’arte “Mir Iskusstva” (organo del movimento simbolista russo). Sono gli anni in cui si afferma uno dei maggiori intellettuali e scrittori del simbolismo russo: Valerij Brjusov, con cui Mejerchol’d avrà contatti proficui. 90 Negli anni 60 dell’800 inizia la riscoperta della commedia dell’arte ad opera di Maurice Sand, il quale scrive due volumi in cui in modo ingenuo egli riscopre questa forma spettacolare che era scomparsa da una settantina d’anni e la ripercorre cercando di ricostruire le vicende delle principali compagnie italiane tra 500/600 ed illustrando la pubblicazione con una serie di bozzetti raffiguranti le principali maschere italiane. Questa pubblicazione è importante perché da qui inizierà la riscoperta della commedia dell’arte che avrà due linee di indirizzo fondamentali: una scoperta di carattere storiografico, oggetto di studi approfonditi e sempre più perfezionati (ancora oggi produce pubblicazioni) e l’immaginario teatrale legato alla messa in pratica di tecniche performative, riguarda attori e registi. Il personaggio di Arlecchino si lascia andare ad una serie di acrobazie, si lascia andare ad un uso del corpo che si struttura in una dimensione acrobatica - preannuncia il particolare uso del corpo che troverà concretezza nella biomeccanica. Teatro della convenzione: significa che Mejerchol’d va alla ricerca di modalità di pratiche performative convenzioni senice desumibili dal teatro del passato, non si tratta di ricostruire in termini storici eventi spettacolari antecedenti ma si tratta di attingere da queste forme spettacolari per recuperare qui principi attivi di questa spettacolarità. Si va a scandagliare quella che era la commedia dell’arte per capire i principi che animavano quegli attori. aspetto particolarmente importante perché tutto questo concetto si lega anche al recupero di una serie di pratiche performative che per Mejerchol’d vanno sotto il nome di Cabotinage - termine che deriva da cabotene “l’istrione”, quegli attori che non fanno mistero di essere attori e catturano l’attenzione del pubblico attraverso le loro capacità tecniche e performative. «Ma è possibile un teatro senza cabotinage? E che cos’è questo cabotinage? Cabotin è un commediante girovago, è un parente dei mimi, degli istrioni, dei jongleurs, è il possessore di una miracolosa tecnica d’attore. Cabotin è il portatore delle tradizioni della vera arte dell’attore, è colui che ha aiutato il teatro occidentale a raggiungere la sua fioritura (i teatri spagnolo e italiano del XVII secolo). […] Per salvare il teatro russo dal pericolo dell’asservimento alla letteratura è necessario restituire ad ogni costo alla scena il culto del cabotinage nel senso lato della parola. […] Bisogna cercare il principio del teatro proprio nell’epoca in cui fiorì il cabotinage. […] Nell’attore moderno, al commediante si è sostituito il «lettore intellettuale». Sui manifesti oggi si potrebbe scrivere: «L’opera verrà letta con costumi e truccature». Il nuovo attore fa a meno della maschera e rinuncia alla tecnica del jongleur. La maschera è sostituita dal trucco, il cui compito si riduce ad una più esatta riproduzione dei tratti del viso osservati nella vita. La tecnica del jongleur non serve all’attore moderno, che non recita ma vive sulla scena. Egli non comprende la magica parola «recitazione», poiché un imitatore non è in grado di elevarsi fino all’improvvisazione, che si basa su un intrecciarsi e un alternarsi infinitamente vario dei mezzi tecnici acquisiti dall’istrione. Il culto del cabotinage che […] riapparirà appena il vecchio teatro sarà ricostituito, aiuterà l’attore moderno a ritornare alle leggi fondamentali della teatralità. […] Come il romanziere ricostruisce il passato sulla base delle vecchie cronache, abbellendolo con la sua fantasia, così l’attore può ricreare la tecnica dei commedianti del passato sulla base del materiale raccolto per lui dallo storico del teatro. L’attore del futuro, in uno slancio di entusiasmo per la semplicità, la raffinata nobiltà, l’elevato senso artistico dei metodi in interpretazione vecchi e sempre nuovi degli histriones, mimi, atellani, scurrae, jaculatores, menestrelli può, anzi deve, se desidera restare attore, concordare il proprio slancio emotivo con la propria maestria, inserendo l’uno e l’altro nella cornice tradizionale della tecnica del vecchio teatro.» ↪Introduce una saldatura tra il teatrante e chi fa storia dello spettacolo. Secondo Mejerchol’d, chi fa storia dello spettacolo può essere un'utile funzione al regista poiché può mettere a disposizione dei materiali utili all’attore e al regista per avviare un percorso interpretativo di natura spettacolare; Mejerchol’d sottolinea il fatto che gli attori non siano più in grado di recitare, ma vivono sulla scena, polemico verso la linea naturalista e stanislavskijana. Loro devono recuperare all’interno del proprio bagaglio di esperienze le tecniche teatrali, le quali si 91 recuperano attraverso la riscoperta del valore artigianale dei saltimbanchi e degli attori di strada, il contrario di ciò che fanno gli attori del teatro naturalista e di Stanislavskij. In questa prospettiva si sviluppano anche ulteriori allestimenti di Mejerchol’d, il quale dopo la rottura con Vera nel 1908 passa alla direzione dei teatri imperiali di Pietroburgo dove mette in scena delle pièce tra cui anche un Don Giovanni di Molière, che diventa una sorta di laboratorio sperimentale per il teatro della convenzione. Infatti all’interno di questo spettacolo, Mejerchol’d prova a ricostruire le condizioni ambientali del teatro francese del 600: le sale sono illuminata da centinaia di candele che si affiancano alle lampade elettriche e introduce delle figure non previste dal teatro di Molière mediante l’introduzione di servi neri che bruciano profumi e porgono agli attori gli oggetti necessari per la recitazione. Mejerchol’d recupera queste figure dai cosiddetti kourombo (servitori del teatro giapponese). Nel corso della rappresentazione accadeva che gli attori si rivolgessero in maniera diretta al pubblico, facendo dei riferimenti anche legati alle loro questioni di carattere personale (se ad esempio uno spettatore era amico dell’attore): si instaurano dunque delle relazioni che vanno in direzione di una duplice performatività convenzionale recuperata da pratiche del passato e si somma a questa performatività che riguarda anche lo spettatore. Il teatro della convezione cercava dunque di recuperare dallo spettacolo del passato una serie di elementi capaci di rivitalizzare un genere, ma soprattutto il teatro nel proprio complesso. Allestimento del Don Giovanni di Molière per la regia di Mejerchol’d, che può essere considerato come un modello, un esempio sicuramente rappresentativo di cosa intendesse Mejerchol’d per teatro della convenzione. Cioè un teatro che cercava di recuperare non tanto lo spettacolo del passato dal punto di vista di una pura e semplice ricostruzione storico-filologica ma piuttosto Mejerchol’d intendeva recuperare dallo spettacolo del passato tutta una serie di elementi che potremmo definire di carattere linguistico degli stilemi recitativi, delle pratiche attoriche, delle pratiche di allestimento, capaci come dire di rivitalizzare un genere ma soprattutto capaci di rivitalizzare il teatro nel proprio complesso. È il motivo per cui Mejerchol’d farà ricorso in termini generali anche alla commedia dell’arte attraverso alcuni allestimenti all'intero dello stesso Don Giovanni, recupererà da un lato delle pratiche proprie della teatralità secentesca francese come ad esempio l’uso dell’illuminazione in sala oppure quello scambio di battute che poteva verificarsi nei teatri parigini del 600 fra attori e spettatori oppure introduce queste figure di servitori neri che in qualche misura sono riconducibili ai servi di scena del teatro giapponese. Quindi introduce all’interno della costruzione dello spettacolo tutta una serie di elementi che in qualche misura contribuiscono a recuperare quella teatralità che da un lato il movimento simbolista e dall’altro il movimento naturalista avevano in qualche modo espulso dalla scena. Questo è un elemento particolarmente importante nella poetica di Mejerchol’d, una poetica che si fonda soprattutto su delle pratiche riguardanti l’attore abbastanza precise anzi decisamente precise, specialmente per quanto riguarda l’uso del corpo. Il corpo dell’attore ritiene Mejerchol’d deve essere particolarmente allenato e questo è un presupposto di base che porterà poi all’inizio degli anni 20 a sviluppare la cosiddetta biomeccanica. Quindi la formazione dell’attore deve essere una formazione che deve fondarsi innanzitutto sullo studio della tecnica dei movimenti scenici, una tecnica che l’attore deve perfezionare attraverso una serie di discipline che potremmo considerate collaterali al teatro, ma sicuramente significative per allenare l’attore ad uso consapevole del corpo, discipline come la danza, la musica, l’atletica leggere, la scherma e quant'altro. Cioè tutto quello che può concorrere ad educare la corporeità dell’attore ed ad indirizzarla su dei binari che poi sulla scena devono risultare altamente espressivi. Cerca di recuperare le tecniche recitative e la commedia dell'arte, quella linea dell'improvvisazione è quella linea che consente all’attore di completare il disegno della sua linea interpretativa. 92 Mejerchol’d: il teatro del naturalismo non lascia spazio all’immaginazione → individuare delle linee di indirizzo che in qualche misura supplissero alla rigidità del testo e degli allestimenti in campo naturalista avviando un percorso che a partire dall’attore doveva riverberarsi anche nello spettatore, che desse luogo al trionfo dell’immaginazione. Questo costituisce una linea d’indirizzo un po' di tutto il percorso Mejerchol’diano, come dire alla riproduzione esatta della realtà si sostituisce di fatto una realtà che è fatta per allusione. Si arriva dunque ad individuare una linea di indirizzo del grottesco, inteso nell’accezione romantica del termine definita da Victor Hugo: grottesco come contrapposizione e congiunzione dei contrari, riso e pianto, personaggi altolocati e plebei. Attraverso questo gioco di contrapposizioni un ruolo importante ce l’ha il recupero di tecniche desunte da forme spettacolari del passato. Ciò viene affiancato anche da una serie di scritti di carattere teorico dove lui evidenzia la sua maniera di teatro. Inizia una serie di attività legate ad una dimensione al di fuori dei teatri imperiali (Alexandrinsky - prosa e Mariinskij - lirica). In quegli stessi anni opera con lo pseudonimo di Dottor Dappertutto in un cabaret e diventa anche questa una sperimentazione teatrale. Particolarmente importante è nella carriera di Mejerchol’d è l’avvento della rivoluzione sovietica. Mejerchol’d aveva avuto l’opportunità di entrare in contatto fin dalla giovinezza con l’ideologia socialista e ovviamente la rivoluzione del 1917 costituisce per lui un momento particolarmente importante perché sulla scia, sull’onda di questa ventata rivoluzionaria può arrivare a delineare in maniera più articolata e in maniera corrispondente alla temperia politica culturale, sociale del periodo, e rispondere a ciò con una idea di teatro allineata a questa nuova visione del mondo originata dalla rivoluziona di ottobre del 1917, che vide Mejerchol’d impegnato in maniera particolarmente attiva al punto che gli viene affidato la direzione dei Laboratori Statali Superiori di Regia. Fin dal 1927 diventerà uno dei protagonisti della nascita e fondazione del teatro sovietico, diventato fin da subito uno dei dirigenti più importanti di tutto questo processo. Questi stessi anni e negli anni precedenti alla rivoluzione del 1917 sono anni particolarmente importanti per quanto riguarda la dimensione teorica dell’attività di Mejerchol’d e in questo ambito si segnala la nascita di una piccola rivista creata dallo stesso Mejerchol’d intitolata “L’amore delle 3 melarance”, ispirata a un'opera di Carlo Gozzi. Attraverso questa rivista Mejerchol’d coglie ulteriori occasioni per iniziare e continuare a diffondere la propria idea di teatro. Gli anni della rivoluzione sono anni particolarmente intensi anche dal punto di vista teatrale, nel senso che qui si avvia per la prima volta in maniera consistente una linea che per quanto riguarda il teatro nella nascente Unione Sovietica che potremmo definire di teatro politico. Questo sarà un filo rosso particolarmente importante che attraverserà non solo il teatro sovietico a partire dal 1917 ma anche una discreta fetta del teatro europeo del primo 900, a partire dagli anni 20 fino alla seconda guerra mondiale sostanzialmente. Ma anche nell’immediato dopoguerra soprattutto con Umberto Brecht. Questa linea di indirizzo politico trova una sua articolazione in tutta una serie di forme che riguardano da un lato una riorganizzazione dei teatri ufficiali, dall’altro il teatro viene considerato soprattutto come veicolo di propaganda politica. A partire dalla rivoluzione 1917, l’adesione delle popolazioni più lontane della Repubblica socialiste sovietiche passa anche attraverso la propaganda politica realizzata per mezzo del teatro. Da Mosca partono i cosiddetti treni rossi che attraversano le grandi distanze anche della russia asiatica, fino a arrivare nelle regioni più remote, e questi treni rossi sono portatori di una teatralità che poi si riversa nei luoghi che vengono raggiunti di volta in volta. ↪ Il teatro diventa uno strumento della lotta politica. 95 Biomeccanica che di fatto costituisce la terza fase del lavoro di Mejerchol’d e che trova la sua linea di indirizzo principale e esordio nel 1922 con la presentazione di una commedia di Fernand Crommelynck, Le Cocu magnifique, il magnifico cornuto. È una vicenda particolarmente divertente: è la storia di quest'uomo Bruno sposato a Stella e lui è ossessionato dal terrore che la moglie possa cornificarlo con qualcun altro. Quindi da un lato ossessiona la donna con la sua gelosia, da un lato spinge anche dei personaggi come Pietro a corteggiare la donna nel tentativo di farla cadere in fallo. La vicenda si conclude in maniera abbastanza rocambolesca, nel senso la donna esasperata dalla gelosia di Bruno finisce poi per fuggire con un altro uomo il Bovaro e quindi da questo punto di vista, da corpo a tutte le preoccupazioni e le ossessioni del marito. Quello che è importante è che Le Cocu magnifique è stato il primo spettacolo di matrice biomeccanica che riunisce oltre a questo particolare uso del corpo dell’attore in termini biomeccanici come vedremo tra poco da parte degli attori Mejercholdiani riunisce anche la linea del costruttivismo per quanto riguarda la scenografia. Costumi che furono realizzati da Liuba Popova che dette luogo ad una scenografia costituita in questo modo: Siamo in presenza di una scena che potremmo definire antirealistica. Siamo in presenza di una scena anzitutto praticabile, il principio della praticabilità che abbiamo visto è un principio ordinatore di gran parte del pensiero teorico e delle prassi sceniche dei registi del primo 900 a cominciare da Appia e Craig e passando ovviamente per Mejerchol’d, questa praticabilità viene realizzata da Liuba Popova per il Cocu magnifique, attraverso la realizzazione di una scena costituita da scale e piani inclinati, da oggetti scenici strutture sceniche che assomigliano anche a attrezzi ginnici, tipo il quadro svedese. Questo perché di fatto una struttura come questa doveva consentire all’attore Mejerchol’diano di prodursi in una permettività particolarmente forte e sviluppata legata proprio agli aspetti fisici, quasi atletici dell’attore, attraverso una serie di gesti, di acrobazie, di posture e di atteggiamenti che dovevano mettere in luce che dovevano mettere in luce più cose contemporaneamente. Dall’altro produrre una recitazione per certi aspetti stilizzata all’occorrenza, dall’altro attraverso un gioco di contrasti tra situazione rappresentata da rappresentare e gesti, dovevano mettere in luce quel concetto di grottesco come un qualcosa che nasce dalla giustapposizione di elementi contrari. La scenografia doveva essere agita, praticata dagli attori di Mejerchol’d in tutte le sue dimensioni quindi veniva fatta nel corso dello spettacolo un uso intensivo della scenografia che veniva utilizzata come se fosse un vero e proprio attrezzo ginnico. Ci sono degli attori che vengono colti in un atteggiamento assolutamente anti realistico, complessivamente stilizzato di questi due attori che sono sdraiati su questa parte della piattaforma scenica che porgono le braccia verso i due altri attori sottostanti e l’atteggiamento di questi quattro attori della compagnia di Mejerchol’d è un atteggiamento complessivamente stilizzato, quasi immobilizzato in una sorta di posa scenica. ← I due protagonisti, la moglie Stella e Bruno e nell’immagine successiva li vede in questa posa assolutamente irrealistica. Così come 96 antinaturalistico è il gesto l’atteggiamento dell’attore che interpreta il personaggio di Bruno. Nella vita reale non si da un atteggiamento di questo genere, ma Mejerchol’d come dire introduce all’interno dello spettacolo questa recitazione che potremmo definire stilizzata, una recitazione che si manifesta attraverso contrasti particolarmente forti e elementi dissonanti fra di loro. Tutto questo contribuisce a introdurre all’interno dello spettacolo quegli elementi di teatralità che di fatto riportano la dimensione dell’attore alla dimensione complessiva del Cabotinage. Attori che sfruttano al meglio la loro capacità di manifestare in termini evidenti al pubblico tutto il loro sapere teatrale, e se guardiamo a immagini come queste che sono caratterizzate da una stilizzazione del gesto e della posa scenica, dell’assetto corporeo complessivo degli attori, ci rendiamo perfettamente conto che cosa significasse per Mejerchol’d appunto celebrare i qualche misura il cabotin e porlo al vertice della sua idea di attore. ← L’uso acrobatico del corpo dove gli attori sono uno sulle spalle dell’altro. In quest’altra immagine dove si usa la scenografia come se fosse un attrezzo ginnico.→ In quest'altra immagine si vedono le donne del villaggio che assalgono Bruno perché convinte che a causa della sua gelosia sua moglie sia stata spinta a tentare le virtù dei loro mariti, questa immagine si presenta come una sorta di tableau vivant con Bruno in primo piano e il gruppo delle donne che lo assalta e loro che sono immobilizzate in questa posa scenica con tanto di bastoni in mano, nel mentre intervengono contro il malcapitato. Siamo in presenza di una scena fortemente stilizzata la dimensione antirealistica e tutta teatrale, si manifesta in piena evidenza e analogamente quest’altra immagine ← È particolarmente significativa perchè rende conto appunto della dimensione biomeccanica di questo spettacolo, fondata appunto su tutta una serie di interventi da parte degli attori legati soprattutto ad una recitazione fondata sulla loro fisicità Utilizzazione di questa scenografia particolarmente complessa e articolata viene utilizzata in termini quasi ginnico acrobatici come se fosse un vero e proprio attrezzo ginnico. → Quindi che cosa intendeva Mejerchol’d per biomeccanica, non è un genere teatrale, è in primo luogo un metodo di allenamento dell’attore, una pratica di training che avvia l’attore ad un uso del corpo particolarmente equilibrato, calibrato e soprattutto un uso del corpo che non separa i due elementi fondamentali che costituiscono l’attore in quanto uomo cioè il corpo e la mente. Quindi l’attore è un’entità costituita da questa doppia polarità corpo e mente. L'obiettivo di Mejerchol’d attraverso il training è quello di far in modo che l’attore possa possedere in maniera 97 assolutamente equilibrata e efficace il proprio corpo tenendo conto anche che questo corpo in certa misura, anzi essenzialmente governato dal cervello. Quindi questa doppia polarità corpo-mente costituisce il punto di riferimento che deve essere tenuto sempre in considerazione dall’attore Mejerchol’diano. La biomeccanica in quanto training è una pratica che si indirizza come dire a tenere insieme tutta quella serie di discipline e di pratiche come la danza, l’atletica la scherma ecc. Una pratica quella della biomeccanica che si fonda anche su una serie di principi apparentemente contrari tra di loro, nel senso che l’attore deve arrivare a manifestare sia durante il training che durante lo spettacolo vero e proprio tutta una serie di gesti di attitudini di mimica che si fonda su due principi fondamentali della riflessione Mejerchol’diana, il principio di azione e controazione. un’azione che va in una certa direzione e il suo contrario. Queste sono le logiche che contribuiranno a dare una visione più possibile armonica dello spettacolo in quanto tale e a realizzare quelli che sono i principi fondamentali della biomeccanica. ← L’ispettore generale di Gogol 1926. Spettacolo non propriamente biomeccanica che non può essere considerata come un genere ma come un training. La dimensione biomeccanica si vede anche in quegli spettacoli da un assetto complessivo non necessariamente fondato da un uso intensivo del corpo. Spettacolo particolarmente importante che si caratterizza anche sulla base di una ripresa di una certo numero di stili recitativi fondati su una marcata stilizzazione della recitazione degli attori e sulla capacità di Mejerchol’d di creare scene quadro (↙), estremamente costruite. ← Mejerchol’d durante le prove della pieces Altri 3 importanti teorici e registi 3 parole chiave che costituiscono i seguenti personaggi: ➔ comunità - Jacques Copeau ➔ lotta politica - Berthold Brecht ➔ virtualità - Antonin Artaud. 3 grandi maestri del teatro del primo 900, 3 grandi punti di riferimento. Brecht lo è stato per lungo tempo un punto di riferimento per il teatro occidentale. Artaud è stato una specie di musa ispiratrice per tutte le neoavanguardie, le post avanguardie, teatri di sperimentazione che si sono sviluppati dagli anni 50 in poi nel campo dei teatri di ricerca.
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