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Storia del videoClip, Dispense di Comunicazione di Massa

storia e riflessioni sul fenomeno del videoclip

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 11/06/2019

simona-amato-2
simona-amato-2 🇮🇹

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Scarica Storia del videoClip e più Dispense in PDF di Comunicazione di Massa solo su Docsity! Capitolo primo Un fenomeno testuale tra sperimentazione e promozione Se vuoi una spiegazione più colta, diciamo che hai visto un fantasma semiotico. Tutte queste storie di visitatori e di Ufo, per fare un esempio, sono colle- gate a un certo tipo di immagini fantascientifiche che ormai sono diffusissime nella nostra cultura. (…) Un alieno può andarmi bene, ma non un alieno che assomiglia a un fumetto degli anni cin- quanta. Sono fantasmi semiotici, frammenti di questo immaginario collettivo che si sono staccati e hanno presa vita autonoma, come le aeronavi alla Jules Verne che quei vecchi contadini del Kansas continuavano a vedere. (William Gibson, Il Continuum di Gernsback, Mirrorshades) Introduzione Il videoclip è una forma breve della comunicazione audiovisiva il cui linguaggio nasce e si sviluppa in rela- zione all’esigenza di promuovere un bene di consumo effimero e immateriale, la musica. La durata ridotta e la funzione commerciale non con- dizionano negativamente il potenziale espressivo dei vi- deo musicali, certamente non in senso assoluto. Al con- trario queste costrizioni spesso si rivelano uno stimolo prezioso, un’occasione per andare oltre i limiti tracciati dalle forme di testualità audiovisiva più consolidate. Sebbene a una prima impressione il videoclip possa apparire come il prodotto di una sovrapposizione caoti- ca di suoni e immagini, una forma espressiva minore, “leggera”, uno sguardo approfondito può rilevare le tracce di una sperimentazione originale che coinvolge tanto la dimensione narrativa quanto quella propriamen- te discorsiva, ovvero le immagini, i suoni, i ritmi: in altri termini le modalità audiovisive che regolano la messa in scena di un plot. Per quanto riguarda il versante narrativo è interessan- te notare che i video musicali non si limitano a ripropor- re sempre in modo semplificato temi e storie elaborati in diversi ambiti comunicativi, ma valorizzano la pratica del bricolage, l’assemblaggio inedito di frammenti preesi- stenti. Questo intenso lavoro di riconfigurazione spesso si traduce a livello audiovisivo in una strategia di montag- gio che privilegia il frammento alla compiuta unità narra- tiva, le forme della ripetizione alla successione regolare delle sequenze, l’esibizione delle qualità “imperfette” della sostanza sonora e visiva (immagini sfocate e sgrana- te, sonorità “sporche”) alla perfezione compositiva del- l’immagine cinematografica, la de-sicronizzazione alla coincidenza di suoni e immagini. A partire da queste premesse il volume esplora con un impianto teorico e metodologico sociosemiotico le ra- gioni del successo crescente di questi fenomeni audiovi- sivi, soffermandosi in particolare sul legame tra speri- mentazione espressiva, routine di produzione/distribu- zione e stili di consumo. La prima parte della ricerca è dedicata a una riflessio- ne sulla nascita e l’evoluzione dei videoclip. In un paragrafo viene ricostruito il dibattito sul valore che i diversi orientamenti critici hanno attribuito a que- ste forme testuali, in seguito anche ai tentativi di classifi- cazione proposti nell’ambito di diversi approcci discipli- nari (semiotica, cultural studies, sociologia dei consumi, musicologia, critica cinematografica). Il capitolo si conclude con la proposta di ripensare il videoclip come fenomeno esemplare delle culture giovani- li, fonte di stili e tendenze che contribuiscono a rinnovare,  PAOLO PEVERINI ni-film la cui durata era compresa tra tre e otto minuti, avevano come protagonisti, tra gli altri, Bessie Smith, Bil- lie Holiday, Duke Ellington, Cab Calloway e Bing Cro- sby. Commissionati dai proprietari dei teatri per intratte- nere i clienti, i soundies erano anche utilizzati come for- me interstiziali all’interno della programmazione televisi- va. Poiché erano oggetto di un controllo minore da parte degli organi di censura, i soundies spesso si dimostravano più irriverenti degli stessi film nei confronti dei quali svolgevano una funzione di supporto. Precorrendo una tendenza che avrebbe segnato profondamente la realizza- zione di videoclip per molti anni, la maggior parte della produzione dei soundies documentava performance arti- stiche su un palco o all’interno di un set. In alcuni casi particolarmente ambiziosi l’efficacia di queste forme bre- vi si fondava sull’abilità a mettere in forma un plot, una piccola storia realizzata con ironia e rivolta alla realtà so- cio economica e politica. Negli studi dedicati alla storia del videoclip viene spesso menzionato lo Scopitone, video jukebox realizza- to in Francia negli anni Sessanta. I clip, selezionabili a pagamento dall’utente, erano realizzati a colori e mostra- vano le performance di artisti pop come Johnny Halli- day, Petula Clark, Dionne Warwick, Neil Sedaka. Tra i fattori che hanno influenzato profondamente la produzione videomusicale vengono spesso citati i musi- cal hollywoodiani degli anni Cinquanta interpretati da Elvis Presley e dedicati alle culture giovanili e alla scena rock and roll (The Blackboard Jungle, Rock around the clock, Blue Hawaii), e le serie televisive di successo degli anni Sessanta come The Monkees, una rock sit-com pro- dotta dalla NBC i cui protagonisti interpretavano sul pic- colo schermo le avventure surreali di una band musicale. Il produttore Don Kirshner reclutò i membri della “band” Davj Jones, Mike Nesmith, Peter Tork e Mickey Dolenz af- fidandosi unicamente al potenziale telegenico piuttosto che alle abilità musicali (…). Gli interpreti non suonavano i lo- UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE…  ro strumenti (lo facevano musicisti professionisti), né rea- lizzavano i testi (era compito di Neil Diamond e del team di Tommy Boyce e Bobby Hart). I Monkees ha un ruolo im- portante nella storia del video rock anche perché la stessa band venne formata dai produttori esecutivi del canale pri- ma di realizzare le musiche, e uno dei membri, Mike Ne- smith, sarebbe in seguito divenuto un pioniere dei video rock alla fine degli anni Settanta (Shore 1984, pp. 34-35). Secondo i critici musicali le radici del videoclip affon- dano anche nei primi film dei Beatles (A Hard Day’s Ni- ght, Help), nei successivi clip promozionali (Penny Lane, Strawberry Fields Forever) e negli speciali televisivi (The Magical Mistery Tour). Tuttavia come sostiene ironica- mente Andrew Goodwin (1992, p. 30) in Dancing in the distraction factory. Music, television and popular culture, uno dei saggi più articolati condotti in ambito anglosas- sone sulle dinamiche esistenti tra etichette discografiche, emittenti musicali e culture giovanili “il candidato più popolare per il titolo di ‘primo video musicale’ è il clip di sei minuti realizzato da Bruce Gowers nel 1975 per Bohemian Rapsody, il singolo di maggior successo dei Queen”. Goodwin assume una posizione fortemente polemica nei confronti di un dibattito che spesso si riduce a una vera e propria “caccia” alle origini del videoclip, affer- mando che per ricostruire l’evoluzione del fenomeno è necessario innanzitutto analizzare alcuni fondamentali fattori extratestuali. Certamente la maggior parte di questi primi tentativi di riu- nificare suoni e immagini sono molto importanti e fornisco- no indicazioni molto utili per comprendere i fenomeni pop, ma se vogliamo identificare le origini del videoclip, consi- derato nelle sue forme più attuali, è necessario prendere in considerazione anche il contesto. Se i suoni e le immagini pop su pellicola e videocassetta risalgono a Bill Haley e El- vis Presley, ai Monkees e ai Beatles, agli Abba e ai Sex Pi- stols, allora perché è solo a partire dal 1980 che i critici  PAOLO PEVERINI musicali e gli addetti ai lavori dell’industria discografica iniziano a discutere di qualcosa che si chiama video musica- le? (p. 30). Le premesse per la nascita e l’evoluzione dei video musicali si sviluppano in Inghilterra negli anni Ottanta, a partire dalla profonda trasformazione che investe le stra- tegie di promozione dei singoli pop nel mercato disco- grafico. In particolare esiste una stretta correlazione tra le strategie commerciali delle televisioni musicali inglesi e l’affermazione sulla scena musicale del New Pop, e in particolare delle band che hanno dato vita al movimento New Romantic. Il New Pop si impone come un fenomeno segnato da una concezione del tutto inedita delle relazioni tra musi- ca, immagini e mercato discografico, spiegabile in parte come una reazione alla conclusione repentina del movi- mento punk rock. Le premesse dell’evoluzione del linguaggio audiovisi- vo a scopo promozionale risalgono proprio agli anni Set- tanta, in particolare all’utilizzo della tecnologia elettroni- ca da parte di gruppi come Cabaret Voltaire e Human League che impiegano in maniera sperimentale i primi sintetizzatori, sequencers e drum machines. Durante gli anni del trionfo punk la performance live non prevede tuttavia in alcun modo l’utilizzo degli stru- menti elettronici come sostituti dei musicisti nell’esecu- zione del brano. È solo con la fine del movimento e con la nascita di un rinnovato interesse per il mercato main- stream e in particolare per la musica dance che la tecno- logia elettronica si diffonde rapidamente sia nelle fasi di produzione che durante le esibizioni live. Nel corso degli anni Ottanta l’impiego degli strumen- ti elettronici diviene rapidamente una routine, brani mu- sicali e intere session vengono pre-registrati in studio. Progressivamente prende forma un fenomeno inedito. Il successo crescente della moderna tecnologia digitale nel- UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE…  manalmente della presenza di gruppi musicali di richia- mo. Le band, tuttavia, sono spesso impegnate in tour pro- mozionali particolarmente impegnativi, e dunque difficil- mente riescono a garantire la loro presenza all’interno dello spettacolo televisivo. Le case discografiche per otti- mizzare le routine produttive e limitare i costi iniziano dunque a commissionare dei piccoli film promozionali che generalmente si limitano a documentare la perfor- mance delle band di maggior successo durante i concerti, e solo occasionalmente deviano da questa impostazione. Questa soluzione innesca una solida sinergia tra indu- stria discografica ed emittenti televisive, tuttavia fino alla metà degli anni Settanta il numero di videoclip prodotti esclusivamente per il piccolo schermo è ancora estrema- mente ridotto. È a partire dalla seconda metà degli anni Settanta che si assiste a una vera e propria svolta nel panorama della produzione videomusicale inglese. Nel 1975 la band dei Queen affida a Bruce Gowers, un giovane regista, il compito di realizzare il videoclip del brano musicale Bohemian Rhapsody, considerato tal- mente complesso da un punto di vista strutturale, che si riteneva fosse impossibile suonarlo dal vivo. Il successo del videoclip di Bohemian Rapsody spinge le case disco- grafiche a realizzare un numero maggiore di quelli che vengono definiti promo clips. Contemporaneamente, a Londra iniziano a nascere le prima case di produzione specializzate nella realizzazione di video musicali. Movimenti come il glam o il punk hanno ormai aper- to la strada a un modo completamente nuovo di usare e consumare le immagini e la musica. I video iniziano a svincolarsi dalla dimensione micro-documentaristica va- lorizzando una sperimentazione praticata soprattutto da giovani filmakers. Progressivamente emergono i primi se- gnali di una cultura del videoclip. Mentre in Inghilterra sono ormai chiaramente visibili i segnali di un’inedita convergenza tra le strategie di marketing dell’industria discografica e le esigenze di rin-  PAOLO PEVERINI novamento delle emittenti televisive, negli Stati Uniti la situazione è molto diversa. Nel 1975 la Sony introduce sul mercato il primo vi- deoregistratore Betamax e vengono pubblicati i primi re- soconti sulla nascente tecnologia del laser disc. In con- temporanea con l’introduzione della tecnologia dell’ho- me video, le televisioni via cavo iniziano a nascere su tut- to il territorio. Tuttavia, l’affermazione del videoclip co- me forma originale di promozione musicale viene ostaco- lata dalla diffidenza che gli autori televisivi e i responsa- bili di produzione nutrono nei confronti della possibilità di offrire alla musica rock uno spazio sul piccolo scher- mo. Questa sfiducia viene motivata dai risultati di vaste ricerche demografiche che dimostrano come, durante il prime time, la tradizionale fascia di consumatori di que- sto genere musicale non guardi la televisione. Ma c’è un altro fattore che incide profondamente sul- la diffusione dei videoclip nelle emittenti televisive statu- nitensi. Mentre in Inghilterra le televisioni, i club e la stampa specializzata contribuiscono in modo sostanziale a innalzare il livello di competenza e di interesse delle nuove generazioni nei confronti della dimensione visiva della musica rock e pop, e numerose band sono ormai in grado di valorizzare con le immagini il potenziale com- merciale dei loro singoli, negli Stati Uniti le case disco- grafiche si dimostrano estremamente restie a produrre videoclip che escano almeno parzialmente dalla rigida lo- gica del “reportage live”. Lo stesso Bruce Gowers afferma: la situazione realmente difficile di quel periodo era che le case discografiche utilizzavano ancora i propri video princi- palmente per le televisioni europee, di conseguenza conti- nuavano a insistere nel mostrare le performance live delle band e nient’altro. Credo che questo dipendesse dal fatto che le band non raggiungevano spesso in tour l’Europa e le etichette si preoccupavano esclusivamente di ricordare ai consumatori chi era chi, e chi faceva cosa nel gruppo musi- cale (Shore 1984, p. 57). UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE…  Di conseguenza negli Stati Uniti il fenomeno dei video- clip inizia a imporsi effettivamente solo a partire dal 1977. In quest’anno «Billboard», il magazine musicale per eccel- lenza che con le sue classifiche dichiara i successi o i falli- menti di qulsiasi impresa discografica, inserisce una rubrica chiamata Starstream che si occupa proprio di video. Alcune compagnie discografiche, tra cui la Warner Records, co- minciano a creare divisioni di ricerca e sviluppo per studia- re le potenzialità del videoclip. Probabilmente la pressione maggiore negli USA viene dai musicisti. Michael Nesmith, David Bowie, i Devo, Blondie, l’avanguardia del videoclip per quanto riguardava, in quel momento, l’universo rock che investiva l’America, intensificarono la loro produzione (Baldini 2000, p. 61). Alla fine del 1979 ad Atlanta nasce Video Concert Hall, un canale musicale via cavo che trasmette molti dei video prodotti dalle case discografiche. Contemporanea- mente Casey Kasem, un dj, inaugura in una syndicate un programma della durata di mezz’ora chiamato America’s Top 10 che propone al pubblico la classifica americana dei dischi più venduti affidandosi esclusivamente ai vi- deoclip. Il 31 luglio 1981 infine iniziano le trasmissioni di MTV che attingono da una library estremamente ridotta, com- posta di duecentocinquanta videoclip che vengono utiliz- zati secondo una strategia di palinsesto che prevede tre tipologie di trasmissione. Nella heavy rotation sono in- clusi i video di maggior successo trasmessi con una fre- quenza di sei o sette passaggi televisivi, nella medium ro- tation i passaggi scendono a tre o quattro al giorno, infi- ne nella light rotation vengono inseriti i video che non superano uno o due passaggi giornalieri. In questa prima fase i vertici di MTV tentano di con- vincere le case discografiche che la produzione e la mes- sa in onda dei video costituiscono lo strumento migliore per la promozione su larga scala dei nuovi artisti. A que- sto scopo vengono commissionate da Robert Pittman,  PAOLO PEVERINI tistica, questi piccoli testi promozionali contribuiscono a rinnovare profondamente i canoni estetici di espressioni artistiche ben più consolidate come il cinema. In questo complesso panorama prevale da parte degli studiosi la tendenza a sistematizzare il fenomeno, a esplorarne le principali forme espressive in vista della co- struzione di modelli esplicativi generali. Come osserva acutamente Andrew Goodwin, queste forme brevi sono state di volta in volta considerate come: - genere cinematografico (Holdstein 1984; Mercer 1986); - pubblicità (Aufderheide 1986; Fry, Fry 1986); - nuove forme televisive (Fiske 1984); - arte visiva (Walker 1987); - carta da parati elettronica (Gehr 1983); - sogni (Kinder 1984); - testi postmoderni (Fiske 1986; Kaplan 1987, Tetzlaff 1986; Wollen 1986); - propaganda nichilista e neofascista (Bloom 1987); - poesia metafisica (Lorch 1988); - shopping mall culture (Lewis 1987a; 1987b; 1990); - lsd (Powers 1991); - pornografia semiotica (Marcus 1987). Una prima tipologia dei videoclip è proposta da Ar- nold S. Wolfe già nel 1983, in «Popular music and so- ciety» una rivista accademica americana che raccoglie ri- flessioni e analisi sulle diverse forme di popular music, estremamente diversificati sia per quanto riguarda l’im- pianto teorico che l’apparato metodologico. Nel saggio intitolato Rock on cable. On Mtv: Music television, the first music video channel, l’autore distingue i videoclip performance, caratterizzati dalla semplice esibizione della band, dai videoclip concettuali, nei quali prevale la messa in scena di una breve storia. Questo primo tentativo di classificazione dei video- clip viene ulteriormente elaborato nel 1984 da Joan D. Lynch in un saggio pubblicato in «The Journal of popu- UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE…  lar music» periodico dedicato allo studio interdisciplina- re delle comunicazioni di massa. L’autore in Music video from performance to dada surrealism individua tre model- li generali, i videoclip performance, i videoclip narrativi e i videoclip non narrativi. Una classificazione simile viene proposta inizialmente anche nell’ambito della critica musicale. Michael Shore (1985, p. 99) distingue i videoclip- performance, realizzati con la tecnica del lyp sinch che permette di sincronizzare le parole con i movimenti delle labbra del performer, dai videoclip altamente concettuali, “sovraccarichi di immagini e narrativamente ambigui, al punto da raggiungere solo occasionalmente la parvenza di un plot”. Tra queste due categorie si situano varie for- me ibride: video che combinano performance con plot concettuali, o video che associano l’esecuzione del brano musicale con frammenti di immagini evocative. Le tecni- che impiegate nella produzione videomusicale sono nu- merose, vengono inoltre ampiamente utilizzati gli effetti speciali, come solarizzazioni, negativizzazioni e il frazio- namento dello schermo in riquadri. John A. Walker, noto critico musicale e autore di Crossovers: art into pop/pop into art (1987), un saggio de- dicato alle forme di contaminazione tra le arti visive e la musica pop, ribadisce che non è possibile tracciare rigide linee di demarcazione nel panorama videomusicale inter- nazionale. Anch’egli, tuttavia, propone di distinguere due diverse forme espressive, i video musicali dal vivo e quelli a soggetto, in cui prevale la messa in scena di un’i- dea o di un tema attraverso una concezione olistica di suono e immagine. Questi primi tentativi di classificazione distinguono dunque tre tipologie generali. Nei video live la pop star o il gruppo musicale vengo- no ripresi durante l’esecuzione sul palco o in studio. Nei video concettuali viene privilegiata un’idea o un tema, tramite una libera visualizzazione delle emozioni evocate dalla musica.  PAOLO PEVERINI I video narrativi infine, condensano le forme canoni- che del racconto audiovisivo nel breve spazio di un bra- no musicale. A questo proposito, analizzando lo scenario attuale degli studi sui videoclip, è interessante rilevare come nuove classificazioni proposte si basino ancora sulla stes- sa matrice. Ad esempio, su un versante semiotico Gianni Sibilla (1999) afferma che da un punto di vista formale è possibile individuare tre tipologie generali di testi, la performance, il narrativo e il concettuale. Questi tre gene- ri non sarebbero mai impiegati in una forma “pura”, piuttosto andrebbero considerati come macro codici di rappresentazione, modelli flessibili di riferimento da cui sviluppare videoclip differenti. Bruno di Marino, in un saggio che ripercorre alcune tappe essenziali della storia di queste forme brevi, indivi- dua tre categorie di clip narrativo, elaborate in funzione del grado di coinvolgimento del performer rispetto agli eventi narrati. Nella prima tipologia il performer appare come inter- prete assoluto, non si limita a eseguire il brano, ma recita nei panni di un personaggio fittizio. Nella seconda tipologia di videoclip narrativo il performer interpreta semplicemente il ruolo di un testi- mone degli eventi, assistendo alla vicenda dal di fuori o in una posizione sfumata, se non esplicitamente ambi- gua. Nell’ultima tipologia infine, il performer è del tutto assente, la sua identità si segnala all’interno del testo esclusivamente tramite la colonna audio. Di Marino individua inoltre un particolare tipo di vi- deoclip, il clip trailer, basato sulla canzone-tema di un film. Generalmente nei clip-trailer si assiste a un’alternanza tra la performance del cantante e le sequenze tratte dalla pellicola. Questo genere di video manifesta una certa flessibilità nel combinare queste due componenti: - il performer si esibisce in uno spazio neutrale, inter- vallato da momenti salienti del film; UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE…  In effetti i videoclip sembrano sottrarsi a qualsiasi ten- tativo di classificazione, forse anche a causa della tendenza diffusa a concepire l’analisi del fenomeno in termini astrat- ti, prescindendo completamente dallo studio delle dinami- che di consumo e dalle relazioni che intercorrono tra il te- sto e gli apparati che presiedono alla sua produzione. Uno degli studiosi maggiormente consapevoli di que- sti limiti teorici e metodologici è senz’altro Goodwin (1992) che propone di indagare il modo in cui gli stan- dard di produzione degli apparati televisivi influenzano le forme del videoclip, per delineare in seguito delle pos- sibili linee di analisi in grado di mettere in evidenza le implicazioni estetiche e politiche del fenomeno. L’autore si prefigge dunque di analizzare l’evoluzione delle emittenti musicali e dei videoclip praticando - una sintesi interdisciplinare di analisi storiche, eco- nomiche, istituzionali; - un’analisi testuale fondata sulla sociologia della pop music e sulla musicologia; - uno studio della componente musicale dei video, in relazione alla cultura rock e alle strategie commerciali delle televisioni musicali. Nella parte conclusiva del suo saggio, Goodwin pro- pone dunque un’ulteriore classificazione dei videoclip - Social criticism: videoclip in cui viene valorizzata la rappresentazione delle diverse forme di conflitto sociale; - Self-reflexive parody: videoclip la cui struttura te- stuale è il prodotto di una parodia del videoclip stesso; - Parody: videoclip costruiti sulla parodia di un testo- fonte diverso (esempio citato: Neil Young, Bad New Beat, in cui il musicista interpreta il ruolo di un cronista televisivo sul luogo di un incidente); - Pastiche: videoclip realizzati a partire dall’assem- blaggio di sequenze preesistenti selezionate da fonti e ge- neri molteplici (esempio citato: Queen, Radio Ga Ga (Metropolis); Ozzy Osbourne, The Ultimate Sin (Dallas); - Promotion: videoclip che promuovono film (esem- pio citato: Duran Duran, A View To A Kill).  PAOLO PEVERINI - Homage: videoclip che abbandonano del tutto la pa- rodia in funzione di un tributo a un particolare regista, a uno show televisivo, o a una forma culturale (esempio ci- tato: Big Audio Dinamite, E=MC2, in cui vengono utiliz- zate sequenze tratte da Don’t Look Now, The Man Who Fall to Earth, Insignificance, di Nicolas Roeg). Anche questa tipologia si presta tuttavia ad alcune os- servazioni critiche. Innanzitutto essa rivela un’incoerenza strutturale. Le categorie Social criticism e Promotion sono ricavate a par- tire da considerazioni relative alle funzioni politiche e commerciali che un video può ricoprire, mentre valuta- zioni critiche e considerazioni risultanti da analisi testuali caratterizzano le categorie Self-reflexive parody, Parody, Pastiche, Homage. Inoltre la premessa iniziale secondo cui i videoclip andrebbero analizzati prendendone in con- siderazione lo scopo promozionale e la relazione tra suo- no e immagine, pur essendo estremamente pertinente, non si concretizza nella proposta di una classificazione in grado di fornire un’efficace sintesi formale del fenomeno. Complessivamente il dibattito sul videoclip da un lato ha avuto il merito di rivendicare il valore di queste forme brevi nell’ambito della produzione audiovisiva, dall’altro ne ha prevalentemente circoscritto la portata alla sola di- mensione narrativa. In effetti tutti i tentativi di classificazione proposti per sistematizzare le diverse forme espressive di questi audiovisivi oppongono i testi narrativi o argomentativi a quelli concettuali e “frammentati”. Questo genere di distinzioni assumerebbe un valore operativo ed estetico soprattutto se si fondasse su criteri analitici comuni, su un comune filtro metalinguistico che distinguesse la narratività intesa come principio organiz- zatore di ogni discorso (Greimas, Courtés, a cura, 1979, pp. 236-237) dalla narrazione, considerata come genere discorsivo fortemente codificato, il prodotto di una suc- cessione orientata di stati e trasformazioni. UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE…  Come conseguenza dell’applicazione impropria di ca- tegorie concettuali complesse come quelle di narratività e narrazione, le diverse tipologie proposte nel dibattito sulle forme del videoclip si sono spesso rivelate inadatte a rendere conto della ricchezza espressiva di questi mi- cro-testi. In particolare la distinzione tra video-performance, video-narrativi e video-non narrativi, in tutte le sue decli- nazioni, non restituisce la complessità di una forma te- stuale la cui efficacia si fonda innanzitutto sulle peculiari modalità di articolazione del livello discorsivo. Infatti, come si tenterà di dimostrare nei capitoli suc- cessivi, il successo di un videoclip si costruisce non tanto sull’adesione o sul rifiuto di formule narrative più o me- no consolidate quanto piuttosto sulla capacità di sfrutta- re pienamente le potenzialità seduttive del sincretismo linguistico, valorizzando la melodia e il ritmo di un bra- no musicale con la composizione di un’inquadratura, i movimenti di macchina, la grana delle immagini. I videoclip. Micro-testi esemplari delle culture giovanili La star è una divinità, ed è il pubblico che la rende tale. Ma lo star system la prepara, la allestisce, la modella, la propo- ne, la costruisce. La star è la risposta a un bisogno affettivo o mitico che non è prodotto dallo star system, ma che senza lo star system non troverebbe le sue forme, i suoi supporti e i suoi afrodisiaci (Morin 1972, p. 122). Come accennato in precedenza, all’inizio degli anni Ottanta le dinamiche di produzione e di fruizione dei linguaggi visivo e musicale subiscono una trasformazione radicale con l’affacciarsi di nuovi gruppi sociali che defi- niscono spazi di cultura, di stile e mercato prevalente- mente inediti. Le nuove culture giovanili si definiscono progressiva- mente come “avanguardia di massa” dando vita a un  PAOLO PEVERINI I videoclip, oltre a svolgere una funzione strategica di supporto promozionale all’album musicale e al performer, condensano alcune caratteristiche essenziali dell’espressi- vità contemporanea che si manifesta innanzitutto con un linguaggio che nasce da profonde contaminazioni spazio- temporali, da un uso intensivo delle citazioni – come era evidente ad esempio già nell’eclettismo e sincretismo archi- tettonico realizzato nelle grandi esposizioni – e si sviluppa in modo specifico nel tempo delle risorse immateriali, della riduzione al presente dei flussi televisivi di ogni tradizione e contesto storico (Abruzzese, Borrelli 2000, p. 185). Innanzitutto, pur essendo brevi dal punto di vista del- la quantità di informazione, rivelano una densità seman- tica spesso sorprendente. A partire dal sincretismo di differenti linguaggi (immagi- ni, musica, testo) sviluppano una propria estetica, risultato di una pratica costante di rielaborazione espressiva che si esercita sulle forme canoniche del linguaggio audiovisivo. Sfruttano limiti strutturali, come la durata ridotta e la collocazione ripetuta e randomica all’interno di un flusso per esplorare nuove figure del ritmo audiovisivo che contribuiscono a ridefinire profondamente i canoni este- tici del linguaggio televisivo e cinematografico. Infine i video musicali sono forme testuali felicemente compromesse con il circuito della moda. Da un lato ne subi- scono l’influenza, sottoponendo le diverse figure dello stile a una pratica di selezione e rielaborazione costante, in un gio- co di bricolage raffinato e consapevole. Dall’altro utilizzano il potenziale espressivo del sincretismo audio-visivo per ri- lanciare l’appeal di tutto quanto fa tendenza, sfruttando co- me veicolo privilegiato di questo “contagio stilistico” il cor- po della star, supporto flessibile su cui inscrivere i segni di una pratica di manipolazione ri-creativa fortemente onnivo- ra, rivolta esplicitamente al pubblico multiforme dei fan1. Non sorprende dunque che questa capacità di recepi- re, metabolizzare, rinnovare peculiarità espressive di for- UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE…  me testuali preesistenti renda il videoclip uno degli stru- menti privilegiati di costruzione delle nuove star2. La star è una merce totale: non c’è centimetro del suo cor- po, fibra della sua anima, ricordo della sua vita che non possa essere messo sul mercato. Questa merce totale ha an- che altri pregi: è la merce-tipo del grande capitalismo e quindi gli enormi investimenti, le tecniche industriali di realizzazione e di standardizzazione del sistema ne fanno un prodotto destinato al consumo di massa. La star ha tutti i pregi del prodotto di serie adottato dal mercato mondiale, come il chewing-gum, il frigorifero, il sapone da bucato, il rasoio, e così via. La diffusione di massa è assicurata dai più grandi moltiplicatori del mondo moderno: stampa, radio e naturalmente cinema (Morin 1972, pp. 124-125). L’efficacia del video musicale si rivela anche nella capa- cità di riproporsi costantemente nel panorama della testua- lità televisiva come laboratorio avanzato per la produzione di forme di culto originali, che investono prepotentemente l’immaginario collettivo delle nuove generazioni3. Sottoposto a un repertorio di figure della manipola- zione in costante evoluzione, il corpo della star assume innanzitutto un alone simbolico, la figura del perfomer si carica di un eccesso di significazione, una potenzialità connotativa che diviene veicolo di una seduzione irresi- stibile, dando avvio a forme rinnovate di feticismo4. Sfruttando l’appeal e la pervasività del videoclip, il performer nel suo divenire icona musicale assume un ca- rattere fortemente mitico, dunque sostanzialmente narra- tivo. Star assolute della musica pop e rock come David Bowie hanno fondato buona parte del proprio successo artistico e commerciale sulla commistione di realtà e fin- zione, sulla costruzione della propria storia d’artista, sul backstage di una carriera rapidamente trasfigurata in “leggenda”. Il culto della star musicale esprime infine un carattere fortemente identitario, divenendo il territorio elettivo dell’aggregazione di soggetti diversi in gruppo di culto.  PAOLO PEVERINI La collettività dei fan si configura quindi come un soggetto attivo nel successo planetario delle icone del pop, un attante collettivo fondato sulla condivisione di un sapere articolato e sul rispetto di norme complesse, talvolta estremamente vincolanti, che si esprimono in- nanzitutto nell’accumulo e nella rielaborazione (spesso sul proprio corpo) di segni che rinviano al simulacro ir- raggiunibile dell’idolo5. 1 Cfr. in particolare Pezzini 2003, in cui vengono analizzate le caratteristi- che che rendono queste forme brevi dei fenomeni testuali di moda. In parti- colare nel saggio vengono esplorate le complesse strategie testuali che per- mettono ai videoclip di recuperare e rielaborare frammenti di immaginario architettonico, mettendo in scena lo spazio costruito non tanto come testo che produce significazione, quanto piuttosto come territorio “sensibile”, in cui le diverse figure dell’abitare contemporaneo vengono filtrate da uno sguardo volutamente deformante, spesso visionario, che mira a colpire la sen- sibilità dello spettatore, a condizionarne la percezione. 2 “Nel sempre più rapido consumarsi del tempo (…), lo statuto di star gioca o per lo meno sino a oggi ha giocato sul meccanismo della nostalgia, quasi che fosse ormai chiaro a tutti che il tempo delle stelle è finito. I divi rock sfruttano la citazione, manipolando il tempo perduto della metropoli, sperimentano l’estetica della sopravvivenza tipica della fantascienza, simulano al presente o al futuro tutte le possibili figurazioni del passato” (Abruzzese 1989, pp. 60-61). 3 “Il piccolo schermo incoraggia e sostiene le estetiche della bellezza e della prestanza fisica, attraverso un’alchimia del suggerimento, che coinvolge il nostro sguardo e la nostra memoria in un gioco circolare e irriducibile di scambio tra apparenza e verità, che rimbalza dai “fantasmi di corpo in carne ed ossa” del teleschermo alla nostra personale e idiosincratica esperienza del- la corporeità” (Bolla, Cardini 1999, p. 15). 4 Sul tema delle nuove forme di culto catodico cfr. Volli, a cura, 2002. In particolare l’introduzione in cui Volli analizza i requisiti formali che costituisco- no la premessa di un consumo di culto della produzione televisiva, proponendo di ripensare il culto televisivo come forma originale di dipendenza attiva. 5 “Fra la solitudine del singolo spettatore e la grandiosità del media sy- stem, si pone un gradino intermedio, un luogo di interazione sociale e di scambio simbolico, che ritaglia sullo sfondo confuso e magmatico dell’au- dience spazi di comunicazione e sociabilità” (Tedeschi 2003, p. 15). UN FENOMENO TESTUALE TRA SPERIMENTAZIONE… 
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