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Storia dell’architettura e del territorio pt.6, Sbobinature di Storia Dell'architettura

Storia dell’architettura e del territorio, lezioni 17 e 18

Tipologia: Sbobinature

2022/2023
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Scarica Storia dell’architettura e del territorio pt.6 e più Sbobinature in PDF di Storia Dell'architettura solo su Docsity! Lezione n.17 25/05/2023 Frank Gehry Entriamo nell’ambito degli architetti che non solo hanno realizzato opere di architettura ma hanno messo in atto degli sforzi per costruire un’immagine pubblica come personaggi. Gehry e Hadid non inventori di nuovi forme e pionieri nell’utilizzo della tecnologia, in particolare col computer, non solo inteso come strumento di disegno ma come strumento di progettazione, ossia senza di esso alcuni dei loro edifici non sarebbe stato possibile progettarli. Vediamo un architetto che è ancora vivo ed è diventato così famoso che la sua storia la si può raccontare a partire da un libro per bambini: I tre porcellini, rappresentati come tre architetti. Quello a sinistra è Philippe Johnson, quello a destra è Wright e al centro abbiamo Gehry. Nella storia il porcellino Gehry vuole costruire una casa dai materiali di scarto di un cantiere. Il problema è che se fai una casa di scarti, quando arriva il lupo non fa fatica a soffiarla via. Vogliamo dimostrare come se un architetto è diventato il protagonista di un libro per bambini vuol dire che la sua figura è diventata alla portata di tutti. Hotel Marqués de Rascal, 1998-2006, Spagna. Costruita in una zona viticola, portando così a molto turismo. Se guardiamo l’edificio vediamo che non c’è relazione con il contesto come la chiesa seicentesca, o il paesino. È una sorta di edificio spettacolare in cui facciamo fatica a pensare come l’uomo possa viverci. È una sorta di performance tecnologica, è fatta per stupire il pubblico. Guardiamo ad esempio gli accartocciamenti metallici o le finestre. È ancora architettura? È una domanda alla quale Gehry stesso risponde col dito medio e poi aggiunge che al giorno d’oggi il 98% di quello che si costruisce è pura merda. Anche la gergalità e gestualità fa parte della recitazione del personaggio. Nasce in Canada da una famiglia ebrea e infatti il suo vero nome è Frank Owen Goldberg. A 18 anni si trasferisce a Los Angeles e lavora come autista di camion. Successivamente studia architettura e si vuole specializzare ad Harvard, ma lascia la scuola e poi negli anni 60 apre il proprio studio e cambia nome. Il cambiamento del nome pare essere suggerito dalla prima moglie ed è un altro dei passi della strategia di promozione di sé. Nel 1977 realizza la sua abitazione a Santa Monica e che diventa il primo momento in cui da architetto locale inizia a farsi notare in tutto il paese e oltre, tanto è cero che nel 1980 viene invitato alla prima biennale di Venezia e poi nel 1988 in un’importante mostra tenutasi al MoMa. Dopo la vincita di un premio la sua fama si sviluppa e cresce esponenzialmente fino a quando raggiunge l’apice nel 1997 quando viene inaugurato il museo di Bilbao. Una delle performance che sono importanti per capire quale è stato il suo rapporto con l’arte è questa che lui ha organizzato insieme allo sculture Oldenburg, intitolata The course of the knife, 1985, in cui si traveste da tempio greco e in testa mette un cappello a forma di pesce. Durante la performance che si sviluppa in parte sui ponti e in altri luoghi Gerhy maneggia un grande coltello col quale distrugge edifici di cartone esprimendo la sua polemica contro il post-moderno, il ricorrere agli stili del passato in maniera spregiudicata e ironica. Si firma con Frank P. Toronto e con la P vuole indicare Palladio, crede che sia necessario inscenare una polemica contro i canoni dell’architettura classica e quindi proietta sulla parete delle diapositive con le tavole dai libri di Palladio e su queste fa degli scarabocchi che se guardiamo bene sono in realtà delle forme come un serpente e un pesce. Gehry è interessato al tema del pesce, ma non sappiamo esattamente a che cosa si riferisca questo simbolo. Lui racconta che quando era bambino la nonna secondo la tradizione ebraica il giovedì comprava un pesce che poi il sabato cucinava. Nei due giorni in cui il pesce era vivo Frank ci poteva giocare. Oppure il pesce è il simbolo della relazione con la natura anche per la perfezione della sua forma e la sua funzione. Inoltre torna ad essere una polemica contro il post-moderno che vedeva nel mondo greco e romano il supermercato a cui attingere le forme e rivisitarle in forma ironica. Dunque Gehry si chiede perché bisogna fermarsi solo ai greci e proporne di tornare indietro agli albori della vita quando solo i pesci popolavano la terra. Infine il pesce suggerisce il senso di movimento, tema che Gehry cerca di trasferire alla sua architettura. La presenza di pesce è abbastanza pervasiva, perché la troviamo come motivo per delle lampade commissionate nel 1980, oppure progetta un pesce enorme per le olimpiadi di Barcellona del 1992, scultura di oltre 50m di lunghezza che funziona come tettoia per i locali lungo il mare. Aveva spiegato la forma dicendo che voleva capire se privando il pesce delle parti più riconoscibile, la forma rimaneva tale. Tra l’altro è fatta di una rete metallica che gli permette di cambiare colore a seconda della giornata. Qui per la prima volta Gehry utilizza un programma a computer per la progettazione e la manifattura dei pezzi, perché la scultura è interamente modellata in 3D e spedita ai costruttori sotto forma di modello 3D. Ancora il pesce lo troviamo in alcuni oggetti di design come il bollitore per Alessi o nei gioielli di Tiffany. L’idea che l’architettura si ispiri al mondo animale non è nuova, veniva usata fin dal Rinascimento. Il punto di svolta arriva con la mostra del MoMa dove Johnson convoca sette architetti ancora non famosa e li consacra come i talenti più promettenti del mondo. Lui li chiama decostruttivisti per indicare quella che secondo lui è la caratteristica che accomuna questi architetti, ossia il senso di frammentazione che pervade le loro opere. Nel 1989 vince il Pritzker e uno dei motivi per cui lo vince è il fatto che Gehry mette in atto un atteggiamento di grande sperimentazione e attenzione verso il futuro, atteggiamento che viene paragonato a Picasso. Questo paragone gli sta a cuore perché introduce il tema del rapporto con l’arte. È lui stesso che spiega quanto è importante l’arte e spiega che ha molti amici artisti con cui collabora, ha più amici artisti che architetti e in una frase sottolinea che quello che gli interessa è come poter trasferire alcuni caratteri nella pittura all’architettura. Gehry a un certo punto alla fine degli anni 70 disegna dei mobili realizzati in cartone e colla, quindi l’idea di usare materiali molto semplici che vengono nobilitati. È un tipo di cartone che Gehry utilizzava per fare i modelli delle sue architetture, anche se il progetto nasce da un’iniziativa promossa dalla NASA, che ha chiesto in quegli anni di lavorare sul tema di vivere nello spazio. Il risultato p questa sequenza di forme molto fluide e dinamiche. Forme che siano molto facili da produrre e allo stesso tempo resistenti. Iniziamo a capire l’importanza della pubblicità nella creazione del muto che Gehry inizia a costruire intorno a se stesso. Lo vediamo che salta sulla scrivania di cartone per vedere quanto sia resistente e due sedie che riescono a sostenere un maggiolino. Questo lavoro sull’immagine di se stesso raggiunge l’apice con la costruzione della sua casa, realizzata tra il 1977-78. Questa fotografia ci mostra quanto lui abbia capito dell’importanza dei mezzi di comunicazione come strumento di costruzione dell’immagine di sé. L’edificio diventa iconico e finisce in un episodio dei Simpson. Le caratteristiche che contraddistinguono il progetto sono l’uso dei materiali di scarto, materiali che generalmente sono usati nella fase di canterizzazione, poi la presenza di queste forme spigolose e infine il fatto che questo intervento è un restauro, perché esisteva una casa precedente. Uno degli schizzi iniziali ci mostra il vecchio edificio e poi lo studio della relazione tra le forme e le superfici ottenute con i diversi materiali. Dal modello capiamo che questo intervento si sviluppa su tre lati della casa preesistente. Al piano terra si accede attraverso una piccola scala, si passa al soggiorno e alla cucina costruita nello spazio dove c’era il giardino. La facciata presenta un ingresso appena riconoscibile sommerso da pezzi di scarto come compensato e lamiere. La presenza di questa casa precedente ci fa capire che Gehry stia cercando di mostrare la casa come se fosse ancora in costruzione. La vista dal marciapiede con il recinto e la zona della cucina con questo recinto di lamiere che da una parte protegge ma lascia intravedere quello che c’è all’interno. Gli interni ci mostrano quel lavoro sul balloon frame, l’operazione principale è stata quella di distruggere i tamponamenti e lasciare a vista lo scheletro di legno. La cucina è la parte più interessante della casa, è la parte che in origine era l’esterno, il muro a sinistra è il muro originario della casa. Costruisce peròà un altro muro e un lucernario di vetro. Il piano superiore è evidente la scarnificazione della pelle dell’edificio precedente per lasciare a vista lo scheletro di legno. Museo e fabbrica Vitra, 1987-89, Germania . Primo edifico che realizza in Europa. Nel 1981 in questa ditta di mobili scoppia un incendio che distrugge gran parte delle officine e quindi la ditta decide di ricostruire la sede trasformandola in un vero e proprio parco architettonico. In questo progetto tutti i grandi nomi dell’architettura sono presenti. Gehry deve disegnare una delle fabbriche e un museo che consenta l’esposizione di sedie del committente. La fabbrica è una scatola da scarpe dove però gli angoli vengono colonizzati da altri oggetti e fanno da forme mediatrici del museo. Il fondatore della ditta compie 70 anni e il figlio regala al padre una scultura che rappresenta gli strumenti di lavoro del falegname e Gehry vuole entrare in risonanza con questa scultura quando realizza il museo. Anche il museo è concepito come una sorta di scultura, non c’è niente che torna con la simmetria e l’armonia, è come se fosse una collezione di torri che si assemblano uno sopra l’altro. Mentre vediamo le rampe esterne che consentono di salire al secondo livello. In pianta abbiamo una forma semplice, ossia un nucleo centrale di sale tradizionali attorno alle quali ci sono delle rampe di scale che prendono vita conformandosi con queste forme strane. Quindi gli spazi principali sono stanze tradizionali. L’illuminazione viene dall’alto dai lucernari. Un altro passaggio nelle modalità di progettazione di Gehry è quando utilizza il computer non come strumento di disegno ma come strumento di progettazione., quando Gehry inizia ad immaginare forme più complesse che le imprese non capiscono come costruire. Quindi Gehry inizia ad utilizzare CATIA. Lo impiega anche per la progettazione di edifici veri e propri e non solo per oggetti, come ad esempio per la Lewis Residence, 1989-95. Qui vediamo un’altra cosa: lui iniz a a lavorare cond ei modelli di vari materiali e concepisce il modello come una scultura tridimensionale, arriva al modello più o meno definitivo che viene fotografato e passato al computer e attraverso software potenti si ricavano i modelli definitivi. Uno dei progetti che realizza con CATIA è la Walt Disney Concert Hall, 1988-2003. Gehry viene scelto per progettare l’opera, che però aprirà solo nel 2003. Il risultato è questo oggetto strano che da una parte con queste vele ricorda la passiamo per il mare ma assomiglia anche a un fiore con i petali d’acciaio. Nel frattempo ha maturato una grande esperienza con i pannelli metallici. I primi schizzi ci mostrano l’importanza della gestualità della mano che è un’abilità che Gehry riesce a trasmettere nell’edificio completato. Alle pareti abbiamo i modelli progressivi in sequenza, inizialmente Gehry aveva pensato di rivestire l’edificio interamente di pietra, ma non era fattibile, così alla fine si è scelto un materiale più malleabile, cioè l’acciaio che dà origine a questa composizione astratta di forme curve e taglienti che si sviluppano nell’aria e che qualcuno ha paragonato ai movimenti della musica. La superficie è riflettente e quindi la vera protagonista è la luce che è sempre cangiante in ogni momento della giornata. La sala interna è progettata come un volume unico che ha la parte dedicata all’orchestra in condivisione con il pubblico, cioè non c’è un palco separato e staccato dalla platea ma il pubblico Qui ci sono circa 30.000 pannelli di titanio e ognuno di essi è progettato esattamente per essere in quella posizione, perché ogni curvatura è diversa. L’interno ci mostra la differenza tra le gallerie professionali, la galleria Barca, che va sotto il ponte e infine uno di quegli spazi in cui ci sono delle grandi sculture che occupano tuto lo spazio. L’illuminazione per le sale tradizionali è artificiale, mentre le altre sale presentano lucernari. Possiamo dire che il museo di Bilbao è stato un grande successo, costruito in un arco di tempo molto breve, il cantiere inoltre è stato un campo di ricerca e sperimentazione tecnologica e tipologica. Si parla di rivoluzione nella concezione di museo e dello spazio architettonico. È stato un successo dal punto di vista economico, milioni di turisti vanno a Bilbao per vedere il museo. Questo è un museo che ha fagocitato l’arte; io vado a Bilbao per vedere l’edificio e non l’arte. Il successo di Bilbao è stato tale che addirittura i sociologi hanno coniato l’espressione Bilbao effect, per indicare il fenomeno di trasformazione che si innesca nel momento in cui un architetto progetta un’architettura importante e diventa lo spunto per far nascere un nuovo luogo. Foundation Louis Vuitton, 2005-2013, Parigi. Intervento importante per diversi punti, a partire dal fatto che è stato realizzato all’interno del parco importante dal punto di vista storico e dal punto di vista ecologico-naturalistico perché c’è molta biodiversità, con delle serre che ospitano piante rare. La vicenda è iniziata all’inizio del millennio nel 2001 quando il presidente della fondazione incarica Gehry di fare il progetto, ma i lavori iniziano nel 2008. Gehry prende in considerazione vari spunti, a partire dal tipo di luminosità delle serre, che Gehry deve interpretare in chiave moderna, quindi utilizzando il metallo ma anche vetro e legno. Altri spunti sono l’amore per la barca a vela e infatti questo edificio presenta dodici elementi che sembrano delle vele realizzate in vetro. C’è inoltre un altro richiamo all’opera del pittore Friedrick che presenta questo mare di ghiaccio e viene richiamato da Gehry anche dal punto di vista del nome. Siamo all’inizio del 2000 e ancora Gehry utilizza l’arte come fonte di ispirazione. Vediamo uno dei dettagli dell’iceberg fatto usando il ductal, calcestruzzo bianco rinforzato con delle fibre e che consente di avere delle prestazioni statiche altissime. Nei primi schizzi Gehry comincia a lavorare su queste forme quadrate come se fossero delle piramidi a cui ha mozzato il vertice, ma poo ritorna sul tema del movimento e vediamo queste vele scosse dal vento. Il lavoro si sviluppa attraverso la realizzazione di molti modelli in vari materiali e in queste fasi il progetto era stato paragonato anche a una nuvola di vetro e infatti l’idea principale è che ci sia questo rivestimento di vetro che protegge il nucleo centrale dell’edificio. Già dalle fasi iniziali del progetto, Gehry aveva capito che CATIA non era più sufficiente, c’era bisogno di un nuovo software. Digital Project rende possibile la creazione di forme ancora più complesse e rende possibile la realizzazione delle modalità secondo le quali i pezzi dovranno essere messe in opera. È stato necessario aprire una fornace apposita che producesse lastre di vetro incurvate nel modo giusto. Dalle piante e dalle sezioni capiamo la complessità degli spazi ma campiamo anche la tradizionalità del concetto di museo: nucleo centrale e cose strane che si sviluppano intorno e sopra. Uno degli aspetti più interessanti è il fatto che Gehry sia riuscito a creare uno spazio che si sviluppa tra le vele e gli icerberg, che ci fa percepire come se fossimo ancora all’interno. È una dimensione che ci consente di essere contemporaneamente dentro e fuori. Lezione n.18 26/05/2023 Zaha Hadid Anche per lei non poteva mancare un libro per bambini che la vede protagonista e indica una visione sintetica della sua architettura, il titolo infatti è “Il mondo non è un rettangolo”. La strategia della costruzione dell’immagine di sé ha avuto successo perché nel 2017 Google le ha dedicato un doodle che la ritrae con un vestito che richiama alla sua architettura. Zaha Hadid proviene da una famiglia dell’alta società iraquena e inizialmente si laurea in matematica e questo sarà un punto id partenza fondamentale. L’approccio con l’architettura avviene a Londra quando si iscrive alla scuola di architettura dove ci sono in quel momento alcuni architetti molto importanti. Dopo la laurea lavora col suo professore per due anni e dopo apre il proprio studio a Londra e comincia a insegnare in’università prestigiose. Significativamente il suo approccio all’architettura è ancora teorico e didattico, è un architetto che per i primi 20 anni della sua carriera non costruisce nemmeno un edificio. Dovrà aspettare fino a 43 anni per costruire il suo primo edificio. Anche lei fa parte di quel gruppo di architetti che Philippe Johnson aveva convocato alla mostra del MoMa sul decostruttivismo e anche lei era considerata uan giovane promessa. Se consideriamo che muore a 65 anni significa che la sua carriera di architetto costruttore dura una ventina d’anni quindi è compressa nel tempo. È stato un percorso molto brillante, tanto è vero che nel 2004 è la prima donna che riceve il Pritzker price. Altro aspetto interessante del premio, tra i giurati c’è anche Gehry, con il quale Zaha condivide la passione dell’arte e infatti fin dagli anni dell’università Hadid è attratta dal movimento russo del suprematismo, basato su composizioni che sfruttano forme geometriche molto semplici e colori stesi in maniera piatta a creare un linguaggio astratto ma di un astrattismo puramente geometrico. In effetti già dagli anni della laurea a fine anni 70, Hadid lavora sull’opera di Malevic. Zaha Hadid parte da questo oggetto e nella tesi di laurea propone di elebaorare quest’opera per trasformarla in un hotel di 15 piani che scavalchi il Tamigi. In questa tavola possiamo già vedere le caratteristiche tipiche, intanto vediamo tutti questi elementi non sono altro che le piante ai diversi piani dello stesso edificio, ma sparse sul terreno come se fossero edifici diversi. L’altra caratteristica fondamentale è il fatto che proprio partendo dall’interesse per Malevic Hadid scopre la pittura come strumento per rendere visualizzabile le sue visioni dell’architettura. A un certo punto questo processo si deve trasformare in qualcosa di concreto e quindi anche lei fa degli elaborati più tradizionali, come ad esempio questa assonometria dall’alto verso il basso e i pilastri sarebbero i pilastri di fondazione che vanno nel fiume. Non è semplicemente una visione utopica, ma dimostra che può diventare un progetto realizzabile. La pittura come chiave del suo lavoro può essere capita anche leggendo una dichiarazione che ha fatto:… sono importanti le parole distorsione e frammentazione. Zaha Hadid come uno scienziato intraprende un percorso di ricerca e i suoi primi lavori iniziano sul tema della macro scala urbana, quindi che coinvolgono grandi parti della città. Per esempio in questo dipinto intitolato “Il mondo 89gradi” propone una visione astratta del mondo, ci sono angoli esclusivamente acuti che suggeriscono grande senso di distorsione e di movimento. Oppure un altro disegno che è un progetto per Madrid in cui non capiamo esattamente cosa voglia dire dal punto di vista architettonico, sembra più una composizione artistica, ma ha sempre specificato di non essere pittrice. Si verifica però una contraddizione, nel senso che i suoi quadri sono stati considerati degni di essere esposti nei musei, ma contemporaneamente si pensava che questi progetti fossero troppo all’avanguardia per essere trasformati in architettura reale. Il primo progetto che porta Hadid all’attenzione internazionale è questo che realizza per un concorso in cui si doveva progettare un centro ricreativo con appartamenti di lusso a Hong Kong. Il progetto si chiamava The peak leisure club, 1982-83. Doveva essere isolato ma allo stesso tempo integrato al paesaggio e in queste tavole infatti vediamo due rappresentazioni diverse dello stesso oggetto: Hong Kong di giorno e di notte. È un dettaglio interessante perché si nota che gran parte degli edifici sono fotografati di sera o di notte. Queste sono alcune tavole del progetto di Hong Kong dove si prevede di scavare la collina per avere diversi livelli e avere una linea di confine sfumata tra la natura e l’architettura. I due disegni sopra sono più o meno dei diagrammi, non danno informazioni utili sul’edifcio. gioco del puzzle. La logica che ha portato Hadid a fare questo tipo di spazi si basa sull’idea che l’arte contemporanea assumo molte forme diverse e quindi è necessario avere degli spazi il più adattabili possibili a seconda delle opere che devono esssre esposte. Abbiamo delle scale lanciate nel vuoto che tagliano lo spazio a zig zag e ci danno la percezione della profondità e dell’altezza che è illuminato grazie ad un lucernario. Un progetto molto interessante che ha influenzato il paesaggio urbano è questo Phaeno Science Center in Germani, 2000-2005. È stata fondata come città operaia per dare casa agli operai della Wolkswagen. La città sente il bisogno di realizzare un museo dedicato alle scienze naturali e che sia in grado di attrarre i giovani. Questa iniziativa è parte di un programma che la città di Wolkburg aveva iniziato a promuovere negli anni 50. Il museo perciò deve mitigare la vocazione industriale della città e l’edificio che Hadid pensa è questo: soprannominato la scatola magica, edificio che risveglia la curiosità. All’interno si trova uno spazio espositivo ma è un volume apparentemente pesante, ha una presenza consistente ma poi gli spigoli affilati e il fatto che sia sollevato sopra i piloni crea questa specie di aggetto che lo fa sembrare sopraelevato. La forma di questo edificio ricorda una navicella spaziale di cemento, vetro e acciaio. Questa grande piastra appoggia su dei coni di calcestruzzo che hanno al funzione di sollevare la piastra, ma ospitano anche delle funzioni, come le scale, i bookshop… La pianta è una specie di triangolo, o meglio quadrilatero e questo è il lato verso il fiume e il vertice è la parte sulla piazza. All’interno lo spazio espositivo è organizzato come un unico open space. Se guardiamo il soffitto vediamo una griglia di acciaio ortogonale ma in certi punti si distorce dandoci l’impressione che il soffitto si muova a causa della distorsione prospettica. L’area sotto la piastra è un nuovo tipo di spazio urbano, un paesaggio artificiale creato da colline, avvallamenti e rientranze. In relazione all’idea di paesaggio Hadid ha detto che nessuno si stupisce del paesaggio naturale ma quando lo fa lei dicono che è strano. Questa osservazione ci fa capire il suo obiettivo di creare spazi e realtà che prima non esistevano. Anche dal punto di vista strutturale è stata una sperimentazione eccezionale, perché per la prima volta è stato usato il calcestruzzo autocompattante. Dalla macrostruttura facciamo un salto di scala verso il piccolo e vediamo un progetto molto piccolo per la funicolare di una cittadina in Austria, 2004-07 che si articola in 4 diverse stazione, architettonicamente trattate come progetti diversi, che devono collocare la città a 300m di dislivello. Se volessimo trovare una parola chiave che descrive la caratteristica principale di questo, dovremmo pensare alla fluidità. Per affrontare il progetto hanno dovuto studiare i fenomeni nelle montagne e i movimenti dei ghiacciai per cercare di realizzare delle architetture che ricordassero la conformazione naturale del ghiaccio. Ciò che è risultato dallo studio sono delle strutture fluide in vetro che creano una specie di paesaggio artificiale, che è in stretto dialogo col paesaggio naturale. È come se Hadid creasse un’altra natura che però dialoga strettamente con la natura naturale. Maxxi, Museo Nazionale delle Aeri del XXI secolo, 1998-2009, Roma. Prima museo statale costruito in Italia. Il committente è il ministero della cultura e nonostante il committente sia lo stato sono stati necessari 11 anni per la costruzione. Il problema principale del museo era dal punto di vista di Hadid come associare il tema della fluidità, tipico della sua architettura, con una città che è la rappresentazione dell’immobilismo da ogni punto di vista. Il museo si trova nel quartiere Flaminio ad alta densità architettonica contemporanea. È un quartiere di architettura contemporanea. Il progetto iniziale mostra l’idea di creare un edificio fluido che evitasse di proporre la solita sequenza di sale una dopo l’altra. Insieme a ciò Hadid vuole rompere la rigida distinzione tra spazio interno ed esterno, quindi l’edificio risulta una specie di sequenza di tubi che vista dall’alto ci ricorda un’infrastruttura. L’immagine mostra una parte del progetto, perché in realtà si sarebbero dovute costruire altre gallerie, andando a occupare la piazza che invece si è automaticamente creata, piazza molto vissuta. A destra vediamo la zona dell’ingresso dove capiamo bene che il Maxxi ha mangiato in parte l’edificio preesistente. La pianta ha una forma grossomodo a L, che si sviluppa secondo una geometria molto complessa e che Hadid ha diviso in due correnti: quella maggiore (gallerie espositive) e quella minore (interconnessioni dei passaggi e delle passerelle). Gli ultimi due si configurano spesso come ponti sospesi nell’aria. Vediamo l’interno dove si vede ancora che non ci sono muri rettilinei, tutto è curvato e poi le passerelle sono sospese nel vuoto e i lucernari catturano la luce naturale. Con questi elementi Hadid riesce a creare una nuova fluidità spaziale, creata su queste visioni multiple e frammentate che rappresentano la caoticità della vita moderna. Caoticità già indagata nel 1700 da Piranesi, che ha realizzato una serie di tavole in cui lo spazio è plausibile ma nel momento in cui si cerca di capirne l’origine il nostro tentativo è vanificato. Questa idea delle scale di vario tipo che tagliano lo spazio Hadid la mette in pratica. Hadid pensava che il museo non dovesse essere un contenitore di oggetti ma un luogo dove si produca arte e dove l’interazione tra le persone e le opere crei uno spazio dinamico. Quindi l’obiettivo principale è il fatto che il museo sia flessibile e gli spazi espostivi. Ci sono delle travi in cemento che costituiscono il soffitto che creano una maglia aperta in cui ci sono lucernari di vetro e lamelle che possono essere spostate. Queste linee sul soffitto sono l’elemento che guidano il visitatore nel suo percorso. Il museo è stato fortemente critica a partire dalla collocazione perché troppo fuori dal centro, ma è stato anche sottolineato che i muri curvi non sono adatti per esporre opere e quadri di grandi dimensioni.
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