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Storia dell'Architettura Moderna - Opere 1500 1600 1700 - Prof. Augusto Roca De Amicis, Appunti di Storia Dell'architettura

Sintesi degli appunti del corso di Storia dell'Architettura Moderna del Prof. Augusto Roca De Amicis (adatti anche agli altri corsi). Schede e riassunti delle opere del 1500, 1600 e 1700.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 10/04/2020

nicolabrucoli
nicolabrucoli 🇮🇹

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Scarica Storia dell'Architettura Moderna - Opere 1500 1600 1700 - Prof. Augusto Roca De Amicis e più Appunti in PDF di Storia Dell'architettura solo su Docsity! STORIA DELL’ARCHITETTURA MODERNA Schede delle principali opere INDICE 1) BRAMANTE – TEMPIETTO DI SAN PIETRO IN MONTORIO 
 2) BRAMANTE – CHIOSTRO DI SANTA MARIA DELLA PACE 
 3) BRAMANTE – CORTILE DEL BELVEDERE 
 4) BRAMANTE - SAN PIETRO 
 5) RAFFAELLO – SAN PIETRO 
 6) PERUZZI – SAN PIETRO 
 7) PERUZZI – DUOMO DI CARPI 
 8) SAN GIOVANNI DEI FIORENTINI 
 9) PERUZZI – SAN DOMENICO A SIENA 
 10) BRAMANTE – PALAZZO CAPRINI 
 11) GIULIO ROMANO – PALAZZO MACCARANI A MANTOVA 
 12) GIULIO ROMANO – PALAZZO THIENE A VICENZA 
 13) JACOPO SANSOVINO – PALAZZO GADDI A ROMA 
 14) JACOPO SANSOVINO – PALAZZO CORNER A VENEZIA 
 15) MICHELE SANMICHELI – PALAZZO BEVILACQUA A VERONA 
 16) ANDREA PALLADIO – PALAZZO PORTO A VICENZA 
 17) ANDREA PALLADIO – PALAZZO CHIERICATI A VICENZA 
 18) ANDREA PALLADIO – PALAZZO VALMARANA A VICENZA 
 19) GALEAZZO ALESSI – PALAZZO MARINO A MILANO 
 20) JACOPO SANSOVINO – LIBRERIA MARCIANA A VENEZIA 
 21) ANDREA PALLADIO – LOGGIA DEL CAPITANIO A VICENZA 
 22) ANDREA PALLADIO – LA BASILICA 
 23) RAFFAELLO – PALAZZO BRANCONIO 
 24) MICHELANGELO – BIBLIOTECA LAURENZIANA 
 25) GIULIO ROMANO – PALAZZO TE A MANTOVA 
 26) ANTONIO DA SANGALLO – PALAZZO BALDASSINI 1516-1519 
 27) ANTONIO DA SANGALLO – PALAZZO FARNESE 
 28) ANTONIO DA SANGALLO – SANTA MARIA IN MONSERRATO 
 29) ANTONIO DA SANGALLO – LA FACCIATA DI S. SPIRITO IN SAXIA 
 30) ANTONIO DA SANGALLO – SAN PIETRO 
 31) MICHELANGELO – SAN PIETRO 
 32) MICHELANGELO – SAN GIOVANNI DEI FIORENTINI 
 33) MICHELANGELO – CAPPELLA SFORZA IN SANTA MARIA MAGGIORE 
 34) MICHELANGELO – PORTA PIA 
 35) MICHELANGELO – SANTA MARIA DEGLI ANGELI 
 36) GIACOMO DEL DUCA– TOMBA SAVELLI IN S. GIOVANNI 
 37) GIACOMO DEL DUCA– PORTA SAN GIOVANNI 
 38) GIACOMO DEL DUCA– CUPOLA DI S. MARIA DI LORETO 
 39) GIACOMO DEL DUCA - SAN MARIA IN TRIVIO 
 40) GIACOMO DEL DUCA – PALAZZO CORNARO 
 41) PIRRO LIGORIO – VILLA D’ESTE 
 42) PIRRO LIGORIO – CASINO DI PIO V 
 43) PALAZZO SPADA 
 44) VIGNOLA – IL GESU’ A ROMA 
 45) PALLADIO – CHIESA DEL REDENTORE 
 46) ALESSI – SANTI PAOLO E BARNABA A MILANO 
 47) TIBALDO PELLEGRINO – SAN FEDELE A MILANO 
 48) COLLEGIO ROMANO 
 49) DOMENICO FONTANA – CAPPELLA SISTINA 
 50) MARTINO LONGHI IL VECCHIO – CAPPELLA ALTEMPS IN S. MARIA IN TRASTEVERE 
 51) FRANCESCO DA VOLTERRA – CAPPELLA CAETANI IN SANTA PUDENZIANA 
 52) FRANCESCO DA VOLTERRA – SAN GIACOMO DEGLI INCURABILI 
 53) GIACOMO DELLA PORTA – MADONNA DEI MONTI 
 54) GIACOMO DELLA PORTA – SAN PAOLO ALLE TRE FONTANE 
 55) DOMENICO FONTANA – PALAZZO LATERANENSE 
 56) GIOVANNI FONTANA – MOSTRA DELL’ACQUA FELICE 
 57) MARTINO LONGHI IL VECCHIO – PALAZZO CESI IN BORGO 
 58) BRAMANTE – CORO DI SANTA MARIA DEL POPOLO 
 59) RAFFAELLO – CAPPELLA CHIGI 
 60) RAFFAELLO – VILLA MADAMA 
 61) PERUZZI – LA FARNESINA E LA VILLA RINASCIMENTALE 
 62) PERUZZI – PALAZZO MASSIMO ALLE COLONNE 
 63) SANGALLO – PALAZZO REGIS 
 64) MICHELANGELO – CAMPIDOGLIO 
 65) VIGNOLA – VILLA GIULIA 
 66) VIGNOLA – SANT’ANDREA SULLA FLAMINIA 
 67) VIGNOLA – SANT’ANNA DEI PALAFRENIERI 
 68) VIGNOLA – PALAZZO FARNESE A CAPRAROLA 
 69) GIACOMO DELLA PORTA – PALAZZO MAFFEI 
 70) GIACOMO DELLA PORTA – PALAZZO CRESCENZI 
 71) GIOVANNI AMBROGIO MAGENTA – CHIESA DI SAN SALVATORE 
 72) FRANCESCO MARIA RICCHINO – SAN GIUSEPPE A MILANO 
 73) FRANCESCO MARIA RICCHINO – PALAZZO DI BRERA A MILANO 
 74) BARTOLOMEO BIANCO – UNIVERSITA’ DI GENOVA E I PALAZZI DELLA CITTA’ 
 75) CARLO MADERNO – BASILICA DI S. PIETRO 
 76) PALAZZO BORGHESE 
 77) CARLO MADERNO - PALAZZO BARBERINI 
 78) BASILICA DI SAN SEBASTIANO FUORI LE MURA 
 79) SANTA BIBIANA 
 80) BALDACCHINO DI SAN PIETRO 
 81) CAPPELLA CORNARO IN SANTA MARIA DELLA VITTORIA 82) PALAZZO LUDOVISI (MONTECITORIO) 
 83) PALAZZO CHIGI 
 84) PROGETTI PER IL LOUVRE 
 85) SAN TOMMASO A CASTELGANDOLFO 
 86) SANTA MARIA DELL’ASSUNZIONE AD ARICCIA 
 87) SANT’ANDREA AL QUIRINALE 
 88) PIAZZA A SAN PIETRO 
 89) LA SCALA REGIA 
 90) LA CATTEDRA DI SAN PIETRO 
 91) SAN CARLO ALLE QUATTRO FONTANE 
 92) SANT’IVO ALLA SAPIENZA 
 93) ORATORIO DI SAN FILIPPO NERI (DEI FILIPPINI) 
 94) SANTA MARIA DEI SETTE DOLORI 
 95) SAN GIOVANNI IN LATERANO 
 96) PALAZZO CARPEGNA 
 progettazione a lungo termine. 5) RAFFAELLO – SAN PIETRO Antonio da Sangallo il Giovane venne scelto per supportare Raffaello e divenne primo architetto alla morte di quest’ultimo. Rappresentazione in alzato. Progetto di Raffaello: forma a T (chiesa per pellegrini), paraste uniformi, pilastri simili per ogni parte, navata centrale ristretta per rinforzare i piloni; cupole minori; deambulatori. Esterno non rispecchia l’interno. Abbandona sistema arcuato a favore di quello trabeato. 6) PERUZZI – SAN PIETRO Prima proposta 1527, durante pontificato di Clemente VII. Impianto a 7 navate. Navatelle laterali avevano schema A/B/A con le due laterali strette, quelle intermedie invece erano più larghe e possedevano le cupolette. Coppie di colonne a delimitare gli spazi. Dopo sacco di Roma si ridimensionano grandi progetti. Le navate da 7 diventano 3. Fila di colonne accoppiate fino alla cupola principale. Più avanti coppie di colonne eliminate. Con Paolo III Farnese nuovo input alla costruzione. Nuova proposta di Peruzzi, con schema che ricorda Bramante. Colonne doppie nei deambulatori e portico in facciata, con colonne che definivano spazi regolari. Sostituì le colonne angolari dei vani interni con dei pilastri, simili a columane quadrangulae, incastrate ad angolo ed architravati. Colonnato del Bernini per ritrovare un tema in qualche modo accostabile all’idea del Peruzzi. 7) PERUZZI – DUOMO DI CARPI Disegni, tentativo di ricostruzione dell’opera “preistorica” e il valore che l’opera possedeva. 3 elementi principali: la cupola, la navata centrale e quella laterale, tra i quali spunta il pilastro a sbarra, cioè un accostamento sull’angolo di due pilastri quadrati. Nel terzo disegno il progetto si avvicina più alla fase costruttiva. Avventurosa ricerca formale dei supporti verticali centrali spinse Peruzzi ad oltrepassare il limite che portò ad una qualità espressiva formidabile. 8) SAN GIOVANNI DEI FIORENTINI Concorso vinto da Jacopo Sansovino. Pianta centrica con un vano ottagonale centrale, con pilastri angolari annessi. Progetto complesso = Antonio da Sangallo chiamato a sostituire Sansovino. Antonio da Sangallo avrebbe voluto essere unico protagonista della scena architettonica romana. Due ipotesi: centrica e longitudinale. Centrica = perimetro cilindrico, intersecato da una cappella maggiore circolare, dominato da una grande cupola commentata da cappelle. Confronto con il Pantheon, che è pero contestazione. Ad ogni lato dell’arco d’ingresso, pilastri e semicolonne sono intervallati da nicchie. Nel prospetto le nervature della cupola si concludevano nelle volute del lanternino e in contrafforti. Verticalismo. Concorso per San Giovanni dei Fiorentini era diventato un conflitto di interpretazioni. Disegni di Peruzzi simili a quelli di Sangallo. Impianto centrico contornato da cappelle; deforma le cappelle richiamando i vani termali. Cappella ovale. Forma di base dello spazio centrale è l’esagono. Confronto tra progetto di Sangallo e Peruzzi. La rotonda di Sangallo evoca una perfetta e statica cosmogonia, nel lavoro di Peruzzi invece la critica del Pantheon viene unita ad una lettura fenomenica dell’antico, rendendo così il linguaggio frutto di un arrischio. Secondo progetto di Sangallo: pianta a 3 navate con una serie di campate che terminano grazie a delle cappelle absidate. Tema del tempio etrusco. Transetto + cappelle radiali (deambulatorio e cappelle radiali schema medievale). Ultimo progetto Sangallo: abbandona le absidi delle navatelle; tutte le navate terminano in tre absidi. Giacomo della Porta ripensò a Sangallo. 9) PERUZZI – SAN DOMENICO A SIENA 3 possibilità: una forma ovale, una pianta centrica o longitudinale, un’aggregazione policentrica. Il primo progetto prevedeva una navata unica perimetrata da superfici murarie di spessore variabile. Nel secondo progetto inserisce corpo che va oltre la semplice navata, elemento centrico articolata da nicchie posizionate sui vertici delle diagonali. Allontana inoltre colonne perimetrali dalle pareti murarie. In altri schizzi nella navata centrale rappresenta delle coperture a crociera. In altri schizzi inserisce dei pilastri diagonali in prossimità della crociera. Il progetto riguarda l’intera navata e il transetto; il modello proposto è un organismo policentrico; l’edificio è voltato. Pilastro bramantesco nasce da 2 triangoli isosceli accostati lungo un lato con la mediazione dello spessore dell’arco con i lati in rapporto 1:2. San Domenico appartiene alla tarda attività del Peruzzi, con una ricerca di nuovi organismi che accentuano la dissociazione nell’edificio fra interno ed esterno e fra le singole parti di esso. 10) BRAMANTE – PALAZZO CAPRINI Facciata punto di inizio per l’architettura residenziale. 2 grandi fasce orizzontali: zoccolo bugnato e livello superiore con ordinanza architettonica. Piano terra (bugnato riprodotto con stucco) doveva accogliere le botteghe. Le aperture delle botteghe erano schiacciate, quadrate. Piano superiore era il piano nobile, corrisponde al piano di residenza. Aveva delle semicolonne doriche raddoppiate che rendono il muro un semplice sfondo e balaustre. Aperture snelle e definite da una cornice perimetrale e concluse con un timpano. Esempio per Bramante furono i mercati di Traiano. Questo palazzo non ha una piata ma nasce come facciata. 11) GIULIO ROMANO – PALAZZO MACCARANI A MANTOVA 5 campate con piano terra bugnato ed un piano superiore nobile, che prevede due libelli di aperture: il primo è definito da ampie finestrature verticali, incorniciate e concluse con timpani alternati; il secondo scandito da finestre minori, compatte e terminanti in archi ribassati. Piano bugnato, aperture botteghe più schiacciate; le aperture del mezzanino sono allontanate e uniformi. Superficie bugnata manca sulla verticale delle aperture. Poca importanza alla pianta. 12) GIULIO ROMANO – PALAZZO THIENE A VICENZA Doveva essere palazzo più bello della città. Progetto di Giulio Romano fu poi portato avanti da Palladio, con alcune modifiche. Riferimenti ad altri palazzi: portico d’ingresso riprende Palazzo Te; bugnato e finestre riprendono casa di Giulio Romano; sale allungate attorno ad un cortile quadrato (Palazzo Te). La facciata divisa in due fasce principali: inferiore per le botteghe e superiore che sembra caratterizzata da Palladio. Botteghe quasi quadrate; fascia lineare all’apertura del mezzanino, sotto una composizione ad arco. Parte centrale avanzata, senza botteghe ma con tre grandi accessi arcuati. Da questi si accede all’atrio (coperto da volta a crociera) a 8 colonne, 4 per parte in direzione longitudinale. Il piano superiore è costituito dall’ordine: sugli estremi della facciata è in maniera binata, nel centro perde la coppia e si costituisce di colonne singole. Balaustre come nel Palazzo Caprini, mentre i basamenti delle colonne sottolineati dalla massa indipendente. Nella parte centrale appare un grande timpano triangolare. Planimetria: cortile centrale era snodo per giungere alle stanze, filtrate da un portico a due piani. Statue sopra piano superiore. 13) JACOPO SANSOVINO – PALAZZO GADDI A ROMA Balcone aggiunto nel 800. Facciata con equilibrio di forze verticali e orizzontali. Piano terra botteghe, con bugnato che appare a cornice del blocco sottostante e del portone d’ingresso. Disposizione orizzontale: botteghe, mezzanino, piano nobile, mezzanino servitù e attico. Sansovino suddivide i ruoli della residenza, scompattando i piani principali da quelli subordinati. Lotto stretto e lungo, la scala viene fatta girare su se stessa. 14) JACOPO SANSOVINO – PALAZZO CORNER A VENEZIA Riferimento Bramante con Palazzo Caprini. Partizione della zona rustica dello zoccolo basamentale, con bugnato, e piano superiore, dove ritroviamo il piano nobile. Novità per Venezia. Nel piano superiore riprende l’ordine binato e i parapetti che isolano le singole aperture, con fusti più tozzi. Sul piano basamentale ci sono comuni stanze, illuminate da finestre ad edicola e con finestrature superiori che acquistano importanza. I 3 portali d’accesso richiamano Giulio Romano. L’ordine superiore binato come il basamento, la trabeazione, le decorazioni, risultano molto marcati. Una differenza con Bramante è l’altezza dell’impianto, infatti l’attico ha dimensioni simili al piano superiore. Pianta: cortile appare come obiettivo conclusivo del passaggio centrale, definito come un grande corridoio al quale si affacciano gli ambienti del piano terra. Scelta giustificata dalla mancata abitudine veneziana di utilizzare le corti centriche. Pareti tutte eguali e bugnato predominante. 15) MICHELE SANMICHELI – PALAZZO BEVILACQUA A VERONA Riferimento Bramante con Palazzo Caprini. Schema tipico con bugnato al piano terra e piano nobile superiore con ordine architettonico. Prospetto asimmetrico: mancata costruzione di 4 campate sulla sinistra. Piano basamentale: una serie di finestre affondate nel basamento secondo un ritmo ben definito, con finestre inquadrate da paraste e finestre inquadrate e posizionate all’interno di un vano arcuato in rilievo. Il davanzale decorato con un motivo a meandri, si posa su mensole a sfingi alate. Triangolo scultoreo. Trabeazione + balaustra, interrotta dalle masse dei basamenti delle colone corinzie. Nel piano nobile c’è un sistema di archi trionfali che si intrecciano tra loro, con colonne a scanalature verticali o diagonali alternate. L’edificio presenta un duplice ritmo dinamico, delle singole finestre e degli archi. Sopra il piano nobile sono presenti sculture. 16) ANDREA PALLADIO – PALAZZO PORTO A VICENZA Antichità classica punto di riferimento per Palladio. La facciata è bramantesca, con zoccolo di bugnato rustico e parete liscia sul piano nobile. Novità nella planimetria. La facciata presenta bugnato caratterizzato da finestre rettangolari, sottostanti ad archi in rilievo sulla cui chiave di volta c’era una scultura a forma di volto. Fascia marcapiano. Piano nobile con ordine singolo di colonne ioniche, più snelle e raffinate. Le finestre presentavano timpani alternati, sculture umane riposanti su di essi e delle liane floreali lungo l’altezza dell’apertura; la balaustra era mondo artigianale. Semicolonne doriche emergenti, inquadranti un sistema di campate ad arco. Alle bucature quadrate ai aggiunge un’apertura superiore del mezzanino, inserita nella lunetta d’arco. Trabeazione dell’ordine dorico maggiore e cornice fanno da base al primo piano. Finestre ad edicola legate da numerose fasce orizzontali, si ha infatti un sistema di fasce superiori e un sistema a basamento inferiore, spezzato dalle basi delle edicole, caratterizzate da un’alternanza di timpani triangolari e arcuati. Tra le finestre sono inserite delle nicchie, con autonomo basamento, che interrompono il sistema serrato di balconi. Un tessuto continuo di decorazioni si staglia al di sopra dei timpani, assorbendo una serie di finestrine alte, ripetute su ogni campata fatta eccezione per quella centrale con lo stemma del palazzo. Il terzo strato, ad un solo livello, dominato da un sistema a fasciature che incorniciano le singole finestre e si ripetono anche nelle superfici murarie generando delle figure geometriche. Sembra che Raffaello non fosse in grado di unificare il sistema in un unico e solido elemento. Egli sapeva attuare tale operazione, ma vuole realizzare una vera alternativa al palazzo disegnato dal suo maestro. Al piano terra il rapporto tra le parti è dato da una scansione a semicolonne doriche, al primo piano tutto si confonde. Dove al piano terra emerge la semicolonna, al primo piano si insacca una nicchia nel muro; al di sopra della colonna scatta un sistema a contrasto: piedistallo (emergente), nicchia (introflessa). 24) MICHELANGELO – BIBLIOTECA LAURENZIANA Edificio frutto di ricerca formale e strutturale. Idea innovativa di costruire una sala lettura aperta al pubblico. Planimetria: due corpi, rettangolo + quadrato. Triangolo non è stato costruito. Edificio non doveva turbare gli alloggiamenti inferiori dei religiosi: problemi statici. Inserisce contrafforti esterni che dettano le dimensioni massime delle campate. Soffitto: scomparti decorativi come se racchiusi in una rete di travi trasversali e longitudinali. Nella sala lettura finestre abbassate al minimo consentito dalla copertura del chiostro. Regola del contrasto: sala lettura è rettangolare, bassa e profonda, con senso di orizzontalità – vestibolo è quadrato, alto e legato alla verticalità. Idea iniziale delle finestre allo stesso livello, altra idea di coperture unificate, bocciate entrambe. Nel vestibolo si vede l’estro di Michelangelo: supporti verticali, le colonne, all’interno affogate nella muratura. La struttura muraria sembra avere il ruolo di supporto principale; le colonne poggiano su un sistema di elementi a doppia mensola. Rovesciamento di significati. Finestre cieche decorate con riquadratura del vano, contenuta a sua volta entro un’edicola timpanata. La porta ha una mostra che fascia il vano e sale fino a sorreggere un timpano, spezzato da un blocco orizzontale. Scalinata centrale ha motivi plastici e curvilinei, libero da regole compositive, riempie l’ambiente e dà senso di oppressione. Gradini sembrano scivolare verso il basso allargandosi, la balaustra sembra vincolare tale espansione. Spettatore turbato. Mentre nella sala lettura senso di calma e pacatezza. 25) GIULIO ROMANO – PALAZZO TE A MANTOVA Pianta quadrata con cortile centrale e utilizzo dell’ordine dorico. Romano varia le regole della composizione. L’edificio è molto basso e contratto, altezza è 1⁄4 della larghezza. Facciata principale ha nell’angolo un doppio binato di paraste che cessa già dalla seconda campata, dove viene riproposto con un interasse allargato. Dalla coppia di paraste si passa agli elementi singoli, sino ad arrivare alle tre fornici di dimensioni indipendenti da tutto il resto della struttura. 3 tipi di bugnato: bugnato liscio, a grana larga e a grana fine. Contrasto. Loggiati, uno verso il giardino costituito da una sala tetrastila, uno verso il cortile, da tre navate con colonne rustiche. L’architrave dello stesso portico ha un concio, a spezzarla, illusione spaccatura. All’interno del cortile il triglifo scende, illusione di caduta. Facciata sul giardino non ha ordine dorico né bugnato. Sala dei Cavalli: Romano avrebbe voluto un meccanismo di intrecci sovrapposti, alla fine semplice illusione. 26) ANTONIO DA SANGALLO – PALAZZO BALDASSINI 1516-1519 Differenze con modelli precedenti (Bramante e Raffaello). Sangallo genera un sistema a fasce orizzontale riproducibile in serie. La facciata presenta una contrazione verticale nelle dimensioni dei singoli elementi, scelta legata a percezione prospettica. Alle estremità troviamo un bugnato rastremato che si modifica passando dalla prima fascia principale alla seconda, mutando da rustico a liscio. Le finestre hanno cornici perimetrali. Al piano terra il linguaggio è più articolato: 7 campate, quella centrale ingresso e quelle laterali stanze. Le singole finestre sono a edicola, senza timpano, poggiate su mensole (Michelangelo a Bib. Laurenzian). L’ordine architettonico appare solo nel portale d’ingresso, ma è deforme: semicolonne doriche, con trabeazione, inquadra un arco, decorato in chiave e impostato su una cornice. Il palazzo ha linee costanti che lo attraversano, il portale non può cambiare proporzioni. Ordine deve rispettare allineamenti. Risultato goffo, ma tema importante. Cortile: ordine pilastrato parastato, cioè pilastri fanno da piedritti e paraste, addossate, lo incorniciano. Balaustre prese dal Bramante (San Pietro in Montorio). Pianta: impianto all’antica (Palazzo Medici a Firenze), asse principale dall’ingresso fino ad apertura su lato opposto, nel centro cortile su cui affacciano le stanze laterali. Scale impostate ad angolo e una scala a chiocciola è posta sull’angolo del cortile. 27) ANTONIO DA SANGALLO – PALAZZO FARNESE Costruzione dal 1517 in poi. Idea di due appartamenti per i figli di Alessandro Farnese, che poi viene eletto pontefice nel 1534. Progetto sottoposto a numerose modifiche, testimoniate dai disegni. Nel 1540 dovevano demolirsi le vecchie volte, modificarsi le modanature e rimaneggiarsi le fondazioni. Nel marzo del 1547 l’edificio era quasi concluso. Del progetto del 1517 rimaneva solo il vestibolo, due stanze sulla destra e 3 arcate nel cortile sul lato verso la facciata. Facciata: costruita secondo il progetto del 1541, ha 13 campate. Impianto è un blocco rettangolare, libero su tutti e 4 i lati, con un cortile interno e un prospetto non lontano da quello Baldassini. Pianterreno + 2 fasce orizzontali superiori che appaiono molto simili. Non vi è ordine, né bugnato (se non ai lati, dove va rastremandosi dal basso verso l’alto). Evidenti sono le cornici marcapiano, lungo tutta la superficie, decorate; unica interruzione è nel portone d’ingresso, al quale corrisponde un balcone balaustrato. Piano nobile con finestre ad edicola (con ordine architettonico, corinzio e ionico in alto) con timpani alternati; al piano superiore invece mantiene il timpano triangolare spezzato nel punto in cui si poneva l’arco. La facciata fu completata da Michelangelo, che dovette rielaborare l’idea del cornicione. Nel 1546 concorso a cui parteciparono artisti e pittori. Il cornicione eseguito crea un grande solco che l’ombra dello stesso produce sulla facciata, rendendola meno piatta. Aggiunto anche scudo centrale. La facciata presenta una forte dicotomia, con i mattoni nella parte superiore assenti nel piano terra. Vestibolo tripartito: dettagli abbondanti ma non eccessivi, elementi antichi adattati alla funzione dell’atrio. La forma e i particolari del soffitto ricordano palazzo Massimo di Peruzzi, ma mentre questo separa volta a botte e soffitto piano, Sangallo li unisce in un sistema coerente di navate. Posizione della scala, impostata sul lato sinistro dell’impianto, comportava la chiusura di molte finestre sul fianco ma dava modo di utilizzare un notevole spazio sull’ala principale. Nel 1546 Sangallo morì. Il fronte verso il giardino è lontano dal suo progetto: questo lato fu chiuso per far posto alla falleria decorata dai Carracci, ma in compenso furono aperti il pianterreno e il piano più elevato, con la tecnica della loggia. Il progetto fu continuato da Vignola e Giacomo Della Porta. 3 generazioni della famiglia Farnese e di architetti, un’opera collettiva. 28) ANTONIO DA SANGALLO – SANTA MARIA IN MONSERRATO Chiesa vicino via Giulia, per una comunità religiosa di catalani. Propone alternative molto nette, proposta longitudinale oppure centrale. Alla fine soluzione dimessa: una navata unica circondata da cappelle e un’abside profonda sul fondo. Tipologia semplice che risponde a richieste della committenza. Rappresenta un modello a Roma che già aveva dei precedenti altrove. Questa chiesa, concepita per congregazione rigorista, sarà la linea guida con cui si progetteranno le chiese della controriforma. 29) ANTONIO DA SANGALLO – LA FACCIATA DI S. SPIRITO IN SAXIA Facciata diventa tema fondamentale. Sangallo elabora connessione concettuale con lo spazio a navata singola interno, per mostrarlo sul prospetto. Parte inferiore: 5 interassi, centrale più ampio con portale, circondato da una piccola cornice e concluso con un timpano triangolare supportato da mensole laterali. 2 interassi per lato, caratterizzati da nicchie semicircolari e da rilievi quadrati sopra e sotto di esse; a suddividere le porzioni ci sono delle paraste corinzie, poggiate su un basamento contino. Suddivisione rispecchia la struttura interna, con i 3 interassi centrali che erano pari alla navata, mentre gli ultimi agli estremi erano pari alla profondità delle cappelle. Parte superiore: 3 interessi, a coprire colmo e soffitto, e conclusi con un timpano classico. Nicchie e decorazioni sono presenti sugli interassi laterali, quello centrale è sede del rosone e dello stemma chiesastico delle chiavi incrociate. Il raccordo tra parte inferiore e superiore viene risolto con due volute di grandi dimensioni. 30) ANTONIO DA SANGALLO – SAN PIETRO Dopo il Sacco di Roma la fabbrica di San Pietro aveva vissuto un periodo di pausa. Una massa di rovine. Due nuovi interventi: il modello in legno e l’innalzamento del pavimento. Il modello era importante perché rappresentava un’idea che il Papa aveva approvato; l’innalzamento del pavimento rispetto alla basilica costantiniana provocò numerose modifiche alle idee progettuali. Si abolì il plinto di Bramante e i piloni subirono una manipolazione, le nicchie disegnate sul loro lato esterno vennero tamponate e la struttura stessa cominciò a prevalere sull’idea di spazialità. Progetto di Sangallo è compromesso tra pianta centrale e quella basilicale: cupola, croce greca e 4 torri sono riprese dai progetti precedenti. La facciata è allontanata verso est di un braccio che è pari a due volte quelli della croce greca. L’allontanamento produce un’ingiusta indipendenza della facciata e non poteva essere realizzato. Nell’alzato le torri vengono alzate per comunicare con la cupola, quelle del lato opposto dell’osservatore appaiono come pezzi troncati. L’inadeguatezza è presente nei bracci della croce dove le colonne, le logge e le edicole vengono connesse tra loro con deboli e sottili modanature orizzontali. Cupola: elaborò un sistema doppio di arcate. Quella inferiore utile all’illuminazione dell’interno; quella superiore a nascondere le reni dell’arco e rendere più sferica la forma cupolare. In sezione era pensata a cassettoni, come il Pantheon, e i contrario di P. Pia). Ciò simboleggia lo stretto contatto tra Frascati e Roma. 2 schemi intrecciati: una raggera di bugne a denti e una fascio di paraste, chiuso in alto da un’ordinanza architettonica e da un deciso attico. Le bugne sono differenti, affilate e smussate. Il fornice superiore si incastra con le parti verticali disegnate dalle paraste, con il bugnato come ordinanza, mentre il deciso attico, si sviluppa con blocchi laterali, balaustre di sicurezza e grande lastra centrale con iscrizioni decorative. 38) GIACOMO DEL DUCA– CUPOLA DI S. MARIA DI LORETO Iniziata da Sangallo e costruita fino al blocco basamentale, Del Duca inserì il sistema cupolare e il campanile. La struttura di base della cupola è un sistema ad ingranaggio espanso nello spazio: si hanno una serie di forme ingranate l’una dentro l’altra a partire dall’ottagono del tamburo fino alla piccola sfera conclusiva. Dal tamburo ottagono germina l’attico che unisce ottagono e circolare della cupola; dalla cupola superiore fiorisce un nuovo sistema ottagono, che sostiene la lanterna bassa; da questa si passa al sistema circolare del basso attico precedente la cuspide per poi ritornare al sistema ottagono finale. Il cerchio e l’ottagono si inscrivono tra loro fino al culmine e per far combaciare le parti Della Porta risolse inserendo elementi diagonali tra le parti. La differenza con la cupola di Michelangelo è la struttura ad ingranaggio, perché M. ideò la sua pensando alla sezione di base e quella di culmine, congiunte seguendo la direzione di un asse verticale. Le scelte differenti sono legate al contesto: S. Pietro aveva valenza urbana, S. Maria di Loreto doveva costituire un elemento visibile in modo soddisfacente da distanza ridotta. Sistema tettonico: S. Pietro ha travi curvilinee che supportano il corpo della cupola, Del Duca invece definisce un sistema che si regge grazie all’imposizione di 2 calotte ottagone, appoggiate sul tamburo sottostante. Tra di loro si genera uno spazio interessante con un collegamento verticale definito dalla sovrapposizione di 3 lanterne: una lanterna interna, una intermedia e una finale esterna. Sistema ternario è una delle caratteristiche della cupola delduchesca. Le finestre a edicola sono passionali e grezze. Rimane poco dello schema canonico, presentano due mensoloni che supportano un timpano curvo; la soluzione arcuata è negata dalla conclusione rettangolare bassa, dove una scultura riporta la finestra alla tradizionale forma rettangolare. Due geometrie, la finestra arcuata e quella rettangolare, che si fondono. Tutte le modifiche di Del Duca erano sconvolgenti a Roma. La lanterna finale è un pullulare di proposte particolari, ogni setto è infatti composto da un pannello, entro cui è incisa una porta ed un vuoto circolare soprastante, a cui è anteposta una colonna e chiuso in alto da una voluta che lo raccorda alla cuspide. 39) GIACOMO DEL DUCA - SAN MARIA IN TRIVIO Passaggio importante nella sua architettura: semplificazione formale. Attenzione sullo studio volumetrico. La chiesa presenta un ordine gigante di semicolonne corinzie, che dividono la facciata in 3 campate, tra cui quella centrale mostra l’accesso. Sulle laterali troviamo un’edicola, una lastra rettangolare incisa e una finestratura. Una trabeazione decorata si staglia orizzontale per supportare la parte terminale dell’impianto, costituita dal ritmo ripreso delle campate. Al culmine appare un timpano classico triangolare. Il portale è costituito da una grande cornice perimetrale decorata lateralmente da volute e ghirlande, sormontato da un timpano di 2 parti: la triangolare classica, supportata da una mensola centrale, e la curvilinea spezzata al centro e rinchiusa da due volute. Planimetricamente una grande aula prepara lo spazio dell’altare maggiore. Allontanamento di Del Duca dalla lezione di Michelangelo. 40) GIACOMO DEL DUCA – PALAZZO CORNARO Del Duca si occupa solo del prospetto, diviso in 5 interassi verticali. Abbandona la netta divisione orizzontale per favorire quella verticale. Non è presente il bugnato ma l’ordine: al primo piano dorico, al secondo ionico, mentre nell’attico la decorazione scultorea prende il sopravvento. Piano terra: finestrature rettangolari, con davanzale e connesse alle finestrature del piano superiore (verticalismo). Primo piano: finestre ad edicola con timpani che le concludono, alternativamente curvi e triangolari, con un piccolo volto scolpito. Su quella centrale avanza un balcone balaustrato costituito da due semicolonne doriche laterali di incorniciamento. Attico: 5 aperture quadrate incorniciate, con volti scolpiti nello spazio tra una e l’altra. Trabeazione ritmicamente aggettante e vigorosa, caratterizzata da decorazioni a lancetta e ovuli. 41) PIRRO LIGORIO – VILLA D’ESTE Ligorio al servizio di Ippolito d’Este nel 1549, incaricato di realizzare la sua reggia personale, ricca di significati. Progetto che segna il rilancio del mondo antico, finendo per essere un insieme di riferimenti. Il giardino possiede 4 strati di significati: la villa come giardino delle Esperidi, come bosco sacro ove scegliere tra vizi e virtù, la villa come area consacrata alla memoria di Ippolito e come immagine del territorio romano. Il giardino è formato da un sistema di terrazze modellate sul terreno ove sono disposte fontane, sculture, verde, tutti posizionati in modo da ricreare un filone logico simbolico alla celebrazione della Natura. La penetrazione avviene lungo un asse rettilineo centrale e continuo, intersecata da assi trasversali. Il perno principale era la struttura dell’edificio che si stagliava sul fondo. La logica compositiva è quella del Cardo e Decumano. I viali di intersezioni più importanti erano quello delle fontane e la passeggiata del Cardinale, con la fontana dell’Ovato e quella della Rometta. Il sistema ortogonale regolare era privilegiato rispetto ai percorsi che non rientravano in questa logica. 42) PIRRO LIGORIO – CASINO DI PIO V Si stabilisce a Firenze e diventa un architetto di prestigio della città. Il Casino è composto da 2 parti: una loggia e un palazzo costituito da vari ambienti e situato a monte. Tra i 2 è presente uno spazio aperto ovale. La penetrazione al complesso avviene tramite l’asse lungo la piazza, attraverso due spazi coperti si accede allo spazio ovale e sul suo lato corto sono connessi visivamente i due edifici. Per raggiungere edificio a monte si attraversa un portico basso. Nella facciata principale di questo palazzo a monte regna un sistema a riquadri ed incorniciature con statue e bassorilievi, distribuito in una tripla scansione a 3 livelli. Il tessuto decorativo è assente nel primo livello mentre è fittissimo nel terzo. La decorazione della loggia si muove in autonomia rispetto alla struttura. In questa loggia a valle uno degli elementi visibili è la dissonanza tra timpano triangolare e timpano curvilineo laterale. Altra sconnessione evidente è quella tra lato lungo e lato corto inerenti alla sequenza decorativa. Ligorio ha un atteggiamento manierista nel momento in cui cerca di produrre meccanismi di invenzione, tesi alla variazione dei rapporti usuali. È diverso da Michelangelo perché questo voleva concentrarsi sulla creatività rigogliosa del nuovo, dove l’antico è stimolo; Ligorio si concentra sull’antico con il quale il moderno deve dialogare. 43) PALAZZO SPADA Edificio alla cui decorazione lavorò il Mazzoni, ma su cui intervenne anche Ligorio. Basamento bugnato + una fascia di 2 piani ricondotta a unità decorativa attraverso un ricco motivo di decorazioni; infine una parte con semplici finestre e riquadri. La struttura è stata modificata nel tempo, come con l’intervento di Borromini. Piano terra: bugnato, con finestre ad edicola inginocchiata, e al di sotto di esse delle piccole aperture lungo tutte le 9 campate, tranne nel centro dove è situato il portone d’ingresso. Primo piano: le finestre appaiono rettangolari, tra esse e quelle del mezzanino superiore si stagliano una serie innumerevole di decorazioni. 8 nicchie concluse con un timpano triangolare contengono busti scolpiti di vari personaggi storici, di cui sono narrate le imprese sugli altrettanti riquadri che si osservano all’attico. Al primo piano e nell’attico il bugnato si ripete esclusivamente agli estremi; è interrotto da una cornice lineare netta. L’edificio si conclude con un cornicione caratterizzato da dentelli e mensole decorative. 44) VIGNOLA – IL GESU’ A ROMA Esempio di collaborazione tra architetto, committente e ordine chiesastico (Padre Tristano). Questo volevo un impianto semplice ad aula che avrebbe assicurato funzionalismo adeguato; non voleva copertura a volte che avrebbe causato il riverbero della voce. Farnese accettò le sue richieste, tranne per la copertura che sarà una volta a botte. L’assorbimento delle tante istanze portò ad un corpo misto di due parti: la prima derivante dalla richiesta gesuitica del corpo a navata longitudinale, la seconda è un vero e proprio secondo elemento giustapposto al primo, la crociera centrale (cappelle del transetto, abside, cappelle secondarie e cupola). Così il Vignola fonde due sottoparti, una definibile “controriformista” e una alla “rinascimentale”, che costituiranno un corpo conclusivo. La giustapposizione di corpi deve trovare nei rapporti determinazione unitaria fondante il nuovo. In questa chiesa l’unità fondante è data dai rapporti prospettico-luminosi; il transetto gerarchizza e gerarchizzava lo spazio dell’aula. È la cornice orizzontale interna che collega i due corpi così distinti, lega la navata alla cupola. La navata è relativamente poco luminosa, mentre grande luce deriva dalla cupola. Lo spazio centrico era per la messa, quello longitudinale per la predicazione. Vignola si occupò di rendere l’ambiente più semplice e povero possibile, ma fu poi nel 600 che le modifiche e le variazioni portarono ad un risultato tale da far nascere errati giudizi sull’architettura gesuitica. FACCIATA: concorso da parte del Farnese perché non era soddisfatto della proposta di Vignola. Vince Giacomo della Porta. Nella facciata del primo c’era una forte distinzione tra corpo centrale e cappelle laterali, quasi poste sul retro e raccordate all’elemento centrale con due volute concave; nel progetto di Della Porta si tesa ad una fusione del sistema parietale, disinteressandosi alla corrispondenza con lo spazio interno e mettendo in movimento graduato i sottosistemi (piccolo avanzamento del blocco centrale). Le nicchie del Vignola vengono eliminate e anche il primo timpano è articolato in maniera diversa, fondendo quello triangolare e quello curvilineo. Anche le volute cambiano d’aspetto, si configurano come una curva sinusoidale con due grandi occhi che si appoggiano sul corpo inferiore e che si riducono nel giungere sulla parte elevata. Della Porta assume un valore centrale il rapporto tra facciata e contesto urbano, si prova a far comunicare la facciata con esse. Il linguaggio di Della Porta è molto meno interessante dell’altro e priva gli elementi della loro individualità. Nella campata centrale, dove sono installati anche l’emblema dei gesuiti, lo scudo con le armi del Farnese e la Santa Croce. Vignola voleva mantenere attivo l’equilibrio del tempio antico, mentre Della Porta abbandona questa ricerca, fino a definire portale e finestra superiore come un corpo dominante e fuso in un unico insieme verticale. 45) PALLADIO – CHIESA DEL REDENTORE “frammentazione” ad intarsi; le pareti sono disegnate con paraste, campi marmorei e nicchie. Questa cappella segna uno sviluppo orientato verso un maggior coordinamento del mix tra le arti messe in gioco. 52) FRANCESCO DA VOLTERRA – SAN GIACOMO DEGLI INCURABILI L’opera romana più importante del Volterra. Per la prima volta si utilizza una pianta ovale in un edificio ecclesiastico a grande scala. Le spinte laterali della cupola, coperta da tetto ligneo, sono rette da volute, mentre manca il guscio esterno. La trabeazione interna è interrotta dall’ingresso e da due archi rialzati che si elevano fino alla volta nella zona del coro. L’asse principale è quello longitudinale. L’edificio si differenzia dai disegni del Volterra del 1590. Le paraste binate che articolano tutti i pilastri, si ritrovano nell’edificio realizzato, solo come incorniciatura dell’ingresso e del coro, mentre le aperture che conducono alle cappelle laterali sono affiancate da singole paraste. In questo modo i pilastri perdono parte del loro vigore plastico e dell’espressione strutturale e il ritmo della parete è determinato dal raggruppamento delle paraste. Trasformazione simile è visibile all’esterno: ora troviamo pareti disadorne, in cui l’esterno è solo pure involucro dell’interno. Altri disegni mostrano soluzioni non eseguite, ma dimostrano un aperto rifiuto dell’ideale classico e una ripresa di alcuni dettagli bramanteschi del progetto per S. Pietro. 53) GIACOMO DELLA PORTA – MADONNA DEI MONTI Sorge su un vecchio monastero di Clarisse, struttura residenziale e fienile. Nell’Aprile del 1579 venne ritrovato l’affresco rappresentante la “Vergine con il Bambino”. Nel 1580 Gregorio XIII incaricò Della Porta di progettare la chiesa. Questa, raro esempio di architettura della controriforma intatta, si presenta con una facciata assai armonica, a due ordini, con paraste a capitelli corinzi, ampie cornici, nicchie simmetriche e un portale classico con edicola superiore colonnata e conclusa con un timpano curvilineo. Nel piano inferiore si contano 5 interassi, mentre in quello superiore esclusivamente i 3 centrali, che si raccordano grazie a delle volute sinusoidali con occhi di dimensioni differenti. A chiudere tutta la facciata è poi un grande timpano triangolare sovrastato dall’emblema rionale (3 monti) e una croce. Particolarità della parasta che suddivide l’interasse nicchiato da quello all’estremità, presenta una copia di poco scostata alle sue spalle, a ribadirne la presenza e fondendo i due capitelli. L’interno è a croce latina e a navata unica nella quale si aprono cappelle laterali, mentre il transetto, non sporgente, è ben visibile soprattutto all’esterno, grazie al volume evidente. Interessante la cupola superiore, ottagonale e poggiante su un alto tamburo anch’esso ottagonale nel quale si aprono ampie finestre ad edicola. La volta è affrescata e l’altare maggiore, opera di Della Porta, è costituito da una fastosa edicola sormontata da statue sul doppio timpano. 54) GIACOMO DELLA PORTA – SAN PAOLO ALLE TRE FONTANE Nel quartiere Ardeatino, luogo dove venne decapitato San Paolo. La sua testa rimbalzò tre volte, inizialmente sorgevano tre edicole nel punto ove la sua testa era caduta, dopo si decise di stabilirci una chiesa, di cui autore doveva essere Giacomo Della Porta. La facciata si presenta come un corpo avanzato in cui regnano il portale tradizionalmente timpanato, due paraste binate ai suoi estremi a sorreggere un architrave inciso e un grosso timpano classico, e infine due statue ai vertici bassi del triangolo superiore a rappresentare gli apostoli Pietro e Paolo. Al centro della facciata una lastra commemorativa. Con un vestibolo si arriva all’interno; da qui una navata unica con due cappelle laterali accoglie il visitatore, il quale può osservare le famose tre fontane in delle nicchie. Tali nicchie hanno colonne di porfido nero sulla cui sommità è collocata una conchiglia su cui si erge la testa in marmo di San Paolo. 55) DOMENICO FONTANA – PALAZZO LATERANENSE Iniziato per volontà di Sisto V, progettato da Domenico Fontana che scelse 3 piani per l’impianto. Una facciata era addossata alla Basilica. Sulle facciate prevale un importante portale bugnato affiancato da maestose colonne, sormontate a loro volta da balconi, su due dei quali compare lo stemma di Sisto IV, mentre sull’ultimo quello appartenente a Clemente XIII. Al piano terra si aprono finestre architravate con inferriate e sottostanti finestrelle per i piani sotterranei; ai piani sovrastanti spuntano edicole con timpani alterni. A coronamento è posto un potente cornicione decorato da un fregio a motivi araldici e, al di sopra, all’angolo, una loggetta del belvedere. Dal portale d’ingresso si accede ad un cortile circondato da un portico a 3 ordini sovrapposti; a pianterreno 28 archi, 7 per lato sorretti da pilastri con addossate lesene doriche; al piano superiore le arcate solo su 3 lati hanno vetrate a tamponamento scandite da lesene ioniche; il terzo, accecato, ha talamoni che sorreggono il cornicione terminale. Attraverso l’ingresso si accede da un lato alla loggia delle benedizioni, dall’altro agli appartamenti pontifici e alle stanze del piano nobile. La Scala Santa si trova all’interno di Palazzo Lateranense. Essa si compone di 28 gradini e la loro messa in opera venne realizzata partendo da quello più elevato, sì da evitare che gli operari potessero calpestarla. Ancora oggi vige la regola che la scala può essere percorsa in ginocchio dai fedeli in preghiesa. 56) GIOVANNI FONTANA – MOSTRA DELL’ACQUA FELICE In onore di Papa Sisto V, Felice Peretti. L’obiettivo era quello di rifornire d’acqua i rioni presenti ai colli Viminale e Quirinale e quindi la sua maestosa villa estesa su ambedue. Fu ripristinato l’acquedotto alessandrino e il progetto venne affidato a Giovanni Fontana, fratello del più noto Domenico. Nel 1587 la Mostra fu inaugurata: essa era composta da 3 fornici chiusi scanditi da 4 colonne ioniche, due di marmo cipollino e due di breccia grigia, in asse con altrettanti busti leonini all’egiziana che gettavano acqua dal muso verso le 3 vasche sottostanti. La struttura sorregge un architrave inciso su cui posa l’attico commemorativo sormontato da una larga edicola contenente lo stemma papale. Due angeli lo sorreggono, mentre agli estremi si innalzano due obelischi in miniatura. La balaustra visibile a livello delle vasche fu installata per sicurezza reperita da un altro edificio dello stesso periodo. 57) MARTINO LONGHI IL VECCHIO – PALAZZO CESI IN BORGO Il nucleo originario risale alla prima metà del ‘500 come dimora del Cardinale Francesco Armellini e la sua famiglia, ma venne venduto subito dopo al casato dei Cesi. Il palazzo venne costruito con superba architettura da Martino Longhi, che inglobò il vecchio edificio Armellini (forse di Sangallo). I lavori durarono dal 1550 al 1557. La facciata è a due piani e si affaccia oggi su via della Conciliazione. Il pianterreno è caratterizzato da un bugnato con portale a lesene e trabeazione dorica, il quale si eleva anche oltre la cornice marcapiano che segna la differenziazione di materia. Qui delle aperture per botteghe sono in asse con le finestre superiori che si ripetono verticalmente per 3 volte, ma con dimensioni variabili, infatti si passa da una finestra piccola del secondo piano ad una più grande del terzo per poi tornare ad una ridotto dell’attico. I marcapiani a rilievo sono ben evidenti insieme alle paraste stilizzate in cotto che, a coppia di 2, incorniciano le singole aperture. Le cornici delle finestre sono tutte simili fatta eccezione per quelle del piano centrale nobile, dove oltre alla riquadratura semplice è presente un piccolo architrave di maggior rilievo. Una grande maschera leonina in marmo statuario bianco spicca all’angolo destro del palazzo. Superato il portale invece, si entra nel gradevole cortile con a destra un interessante porticato ad arcate conseguenza dell’apertura di nuove strade. 58) BRAMANTE – CORO DI SANTA MARIA DEL POPOLO L’incarico gli venne affidato da Giulio II. Vi era da rinnovare il vecchio coro della chiesa del tempo di Sisto IV, ingrandendolo per ospitare i monumenti sepolcrali di Ascanio Sforza e Basso della Rovere. Bramante elabora uno spazio nuovo, costituito da un vano quadrato coperto a vela, preceduto e seguito da due volte a botte. La scelta di Bramante era quella di esaltare la profondità dell’impianto, utilizzando illusioni ottiche affinché lo spazio risulti più profondo di quello che realmente è: l’attuale posizione del grande altare non ci rende partecipi di questa ricerca. L’architetto aumentò la profondità dell’abside conchigliata terminale ed insieme accentuò la spazialità del vano centrale allargandolo; diminuisce lo spazio di quello più lontano, sì da accelerare la prospettiva verso il punto nevralgico della composizione. La caratterizzazione di questo spazio vede protagoniste anche le lesene murarie, prive di capitello, vengono interrotte esclusivamente da una trabeazione lineare e continua, oltre la quale esse continuano comunque in modo slanciato ed energico sulle arcate delle volte. La scelta del colore unico rende lo spazio un involucro unico, modellato a seconda della necessità. Bramante è regista degli interventi degli altri grandi artisti del tempo, tra cui troviamo Sansovino, Pinturicchio e Guglielmo di Marcillar. La superficie sferica della vela, decorata dal Pinturicchio, è scompartita geometricamente mediante l’inserzione diagonale di un quadrato ad angoli smussati, mentre agli angoli, come posate su pennacchi, s’innalzano le rappresentazioni di 4 edicole classiche con figure di santi che marcano con forza gli assi diagonali. Come elemento di mediazione tra semplicità monocromatica e volta policroma si inseriscono le vetrate elaborate dal Marcillar, installate nelle serliane di Bramante conferiscono all’interno un gioco colorato di luce che però non ha lo scopo di essere il più “intenso”; Bramante infatti vuole che grande attenzione visiva venga posta al punto finale della prospettiva, cioè il coro e l’abside; è qui che la luce dovrà avere un valore maggiore. Il massimo “lume” arriva dall’alto, ma solo da un lato, a catturare i raggi solari, attraverso la superfice forata di uno dei grandi lacunari della volta a botte. Produce uno spazio scavato verso la profondità, nel quale l’illuminazione rompe e contrasta la simmetria dell’impianto calando la coerenza di quest’ultimo nella viva concretezza del mondo dei fenomeni. 59) RAFFAELLO – CAPPELLA CHIGI Unico edificio religioso di Raffaello arrivato a noi; fa parte di Santa Maria del Popolo. Si accede tramite un arco aperto nella navata laterale della chiesa e l’interno è composto da 3 arcate cieche, basato su pianta quadrata con angoli smussati. Raffaello, a differenza di Bramante, inserisce il decoro. Le tra arcate sorreggono una cupola su pennacchi, che come in S. Pietro ha un diametro più ampio dell’arcata d’ingresso, consentendo una visione completa dello spazio solo una volta entrato nel vano. Sembra San Pietro in miniatura, perché Bramante aveva raggiunto soluzioni talmente soddisfacenti a cui non era possibile non riferirsi. La cupola è dai caratteri vitruviani e che si adatta alle singole necessità. Lo stesso ordine si leggeva nel cortile, dove appariva più tozzo, meno alto, ancora più distante dal classico. Il grande portale di accesso, con fregio convesso e mensole laterali, è vicino allo stile ionico, a staccare rispetto al resto e ad esprimere il concetto di passaggio dalla strada all’interno. Scegliere una discontinuità tra gli ordini di facciata, portico, cortile ed esterno dello stesso. In palazzo Farnese Sangallo fece di tutto per mantenere una corrispondenza di ordini, mentre qui Peruzzi, mantenendo l’ordinanza, la stravolge Anche la doppia ordinanza del cortile è significativa, con ionico al piano superiore e dorico al pianoterra. Peruzzi era curioso del lavoro di Giulio Romano, con elementi antichi in contesti differenti. Il tardo Peruzzi di Palazzo Massimo non contesta la regola o l’esempio dell’antico, ma cerca sempre di integrare le sue innovazioni nel contesto estetico. Egli evita la sistematicità e lo schematismo e lo fa anche nell’uso degli assi. L’attuale palazzo obbedisce soltanto parzialmente alla supremazia assiale L’asse urbanistico che coincide con quello dell’opposta “via del Paradiso”, non corrisponde con quello longitudinale del palazzo. Oltre al portico-vestibolo anche una parte delle stanze non corrisponde alle coordinate assiali principali ma si orienta in modo quasi radiale alla curvatura della facciata; ambedue i muri del grande triclinio sono cuneiformi, per dar ad essi posizione radiale. Questa flessibilità degli ambienti fu utilizzata anche da Raffaello, con il principio che ogni ambiente aveva una sua vita autonoma. Facciata: le finestre e gli intercolumni sono in rapporto con le edicole del piano Nobile, ma anche le colonne e le paraste. Il Peruzzi pone le coppie di colonne e paraste visibilmente sotto il peso delle corpose e sporgenti edicole, come se fossero realmente sostenute da esse. La ricerca è finalizzata al rapporto tettonico tra peso e sostegno; pianterreno corposo e muscoloso, piano Nobile altissimo e passivo, privo di ordini, chiuso e ritmizzato solo dalle tre file di finestre. Nessun altro architetto aveva osato abbandonare la suddivisione orizzontale e ridonare all’ordine la sua funzione di “portare” la facciata. Ogni fila di finestrature è diversa, quella inferiore mostra una decorazione maggiore ma risulta più piatta, mentre quella superiore è più tesa e ha più spicco, a preparare la strada verso il termine della grande cornice. Il Peruzzi non vuole contrapporre forze verticali e orizzontali, bensì perseguire l’equilibrio tra le due, e la tensione della facciata si legge nella sua curvatura e quindi nella leggera espansione della campata centrale. La luce riveste un ruolo fondamentale, in maniera drammatica nel portico e lungo l’asse longitudinale. L’ombra sembra mangiare il corpo delle colonne, dei dettagli decorativi, che spiccano grazie ai forti aggetti. Peruzzi è stato il maggior architetto di Roma nel 1530, fedele a Bramante e Raffaello ma incuriosito da Giulio Romano, che conosceva meglio l’antico. Sotto alcuni aspetti aveva una mentalità più quattrocentesca, che lo aiutava ad avvicinarsi all’antico: cercava lo splendore dell’entità autonoma e statica, l’armonia dell’individuale e non del sistema. 63) SANGALLO – PALAZZO REGIS Edificio fatto edificare dal prelato bretone Le Roy nel 1524. Un blocco regolare, con una piccola rientranza laterale dove sono posizionate due finestrature, una a serliana e una rettangolare. Sulla facciata principale, al pianterreno, appare un bugnato elevato, che si sviluppa solo nella parte sinistra, mentre a destra vi è una loggia con ingresso a serliana. Le tre finestre che governano questo livello sono arcuate, e al di sotto si posizionano quelle del piano sotterraneo. Lungo l’asse verticale della prima serliana se ne sviluppa una seconda al livello superiore, con balaustra, mentre al livello più alto la loggia è articolata da una coppia di colonne, con intercolumnio centrale più ampio dei laterali. Superiormente si sviluppano altre 6 finestre, 3 per piano, dove quelle al piano centrale sono edicole con timpani alternati, quelle superiori invece appaiono come “timide” edicole senza timpano e con un lieve ricordo di mensola delle finestre inginocchiate. Dopo apertura Corso Vittorio e abbassamento del terreno in via Baullari, fu necessario restaurare la facciata del palazzo sul Corso: con l’occasione venne costruito l’ingresso attuale con gradinata esterna. 64) MICHELANGELO – CAMPIDOGLIO Fin dal Medioevo la Piazza del Campidoglio era la sede del governo di Roma. Sulla parte orientale vi era il turrito Palazzo Senatorio, a nord si trovava il fianco della chiesa gotica dei francescani, S. Maria in Aracoeli, mentre di fronte ad essa il Palazzo dei Conservatori, con al piano terra gli uffici delle magistrature; infine un ripido sentiero ad ovest conduceva alla città. Michelangelo decise di mantenere le posizioni originali, ma modificò le facciate di palazzo Senatorio e quello dei Conservatori, raddoppiandolo anche sul lato opposto. Il progetto prevedeva al centro la statua di Marco Aurelio. Un muro di sostegno venne costruito sotto la chiesa e una rampa di scale, insieme a una loggia a tre campate, vennero addossate al suo transetto. Subito dopo vennero iniziati i lavori per la doppia scala del Palazzo Senatorio e nel 1550 un’ulteriore rampa di scale e un’altra loggia a tre campate furono aggiunte accanto al palazzo dei Conservatori. Il sistema delle 3 scalinate era frutto di un progetto unitario, che prevedesse anche la ristrutturazione delle facciate sopra citate. L’ultima campagna dei lavori fu iniziata nel 1561. Fu costruita la balaustra lungo il lato occidentale della piazza, mentre nel 1563 cominciò la trasformazione dei Conservatori, affidato a Tommaso dei Cavalieri; mentre i disegni furono eseguiti da Guidetto Guidetti. I successori di Michelangelo dovettero completare le parti mancanti utilizzando il giudizio personale perché non c’erano disegni. La facciata dei Conservatori fu completata nel 1584, mentre quella del Senatorio nel 1600. L’architetto che la eseguì fu Giacomo Della Porta. La torre che si osserva dal Palazzo Senatorio era in realtà posizionata diversamente. Della Porta terminò i lavori per la cordonata, la rampa che conduce alla piazza, con la sua balaustra. Il doppione del palazzo dei Conservatori fu concluso nel 1654. È nei palazzi del Campidoglio che appare l’ordine gigante per la prima volta a Roma. Le 8 grandi paraste si innalzano infatti a sorreggere l’alta trabeazione del piano conclusivo. Le paraste rappresentavano la parte frontale dell’intero pilastro ed erano accompagnate da una coppia di colonne di ordine minore che definiva le singole campate del pianterreno. Erano presenti soffitti piani che sfruttavano tutte e 4 le colonne, due frontali e due identiche sul fondo della loggia. Veniva a costituirsi uno scheletro strutturale. Le paraste e il cornicione sommitale sono su un primo piano avanzato, subito dopo intervengono le fasce dei pilastri su un piano intermedio, infine le modanature del piano terra e le superfici murarie rimangono arretrate. La cornice dell’ordine minore stringe la fascia del pilastro in modo che esso assorba l’architrave del piano terra a partire da tale altezza. L’uso dei materiali del progetto serve a distinguere le parti: travertino per paraste, colonne, trabeazione e fasce; laterizio per il resto. Nel Palazzo Senatorio a 3 piani, il piano terra ha basamento bugnato su cui si posano le paraste giganti, reggenti un cornicione sommitale. Questo edificio aveva rango più elevato e non sarebbe potuto stare a terra. L’ampia doppia scalinata ad esso frontale fu sviluppata per far si che non superasse l’altezza della parete bugnata. La planimetria dell’impianto: Michelangelo lasciò invariato l’allineamento degli edifici esistenti che conferivano alla piazza forma trapezoidale; per cui fu un errore di Duperac avere entrambi gli edifici laterali paralleli. Erano simmetrici e questa è una innovazione del progetto. Inoltre, nell’incisione, il centro della piazza appare sollevato tramite tre anelli ovali; questo era un vero spunto dell’architetto che poi inserì nella forma anche un disegno stellato, irradiantesi dal piedistallo della statua. Grazie alle combinazione di ovale e trapezio gli spazi sugli angoli di quest’ultimo danno illusione di essere di dimensioni eguali. Inoltre poiché l’asse longitudinale dell’ovale è ad angolo retto rispetto al Senatorio e alla balaustra della cordonata, l’osservatore assume l’asse trasversale ad angolo retto per i due palazzi doppioni: perciò appaiono paralleli e ritorna la visione della piazza configurata regolarmente. La decorazione del pavimento ha la funzione di far apparire la statua equestre molto più grande secondo un ingrandimento illusorio. La statua è il perno della composizione. La piazza del Campidoglio fa storia a sé, è priva di paragoni ed è uno degli esempi più belli di piazza municipale. 65) VIGNOLA – VILLA GIULIA Villa appartenente a Giulio III, difficilmente paragonabile al Casino di Pio IV o a Villa Madama, tuttavia le differenze di livello costituiscono un elemento fondamentale. La facciata traspare come insieme innovativo: il portale d’ingresso, dove una composizione ad arco di trionfo, con la sua conformazione in pietra, ricorda la posizione della villa fuori dalle murare cittadine. Al di sopra di esso si pone una balaustra tradizionale, e il motivo ad arco di trionfo viene ripetuto imponendo nelle nicchie laterali anche una piccola finestra. Gli accenni all’ordine appaiono esclusivamente nei pressi di questi due archi e negli estremi della facciata, dove delle paraste, in blocchi di pietra al pianterreno e lisce al piano superiore, coprono l’angolo. Accedendo dal portale si giunge ad una zona recintata da muri. L’edificio ha visto come progettisti anche Vasari e Ammannati, che cambiarono alcuni aspetti. Il vestibolo della palazzina a due piani dell’architetto conduce poi nella loggia di un cortile semicircolare, mentre gli altri tre lati della corte sono ad un piano. Su questi lati lunghi sono impostate anche delle nicchie che contenevano delle statue molto antiche. Si prosegue vero una facciata secondaria ornata riccamente di stucchi e oltre la quale in origine si arrivava ad una loggia aperta su un ninfeo inferiore riccamente decorato. Qui scorre l’Acqua Vergine, l’antico acquedotto che Giulio III aveva restaurato e portato alla sua villa. La fontana segreta dell’Acqua Vergine è raggiungibile da due rampe di scale semicircolari nascoste nel muro, soluzione manipolata poi dall’Ammannati. Il Vasari sottolinea che Giulio III fu molto partecipe della progettazione. 66) VIGNOLA – SANT’ANDREA SULLA FLAMINIA Datata 1550-1553. Primo edificio ecclesiastico di Vignola a Roma. La facciata a pronao classicheggiante con portale centrico e nicchie laterali. Il sintagma classico di corpo quadrato sormontato da calotta circolare viene qui trasformato dal Vignola in corpo quadrato sormontato da una calotta ovale. Questa scelta vuole sottolineare in maniera più evidente l’asse longitudinale dell’impianto. Vignola si trovava in un periodo artistico interessante. La piccolissima cella dove viene inserito l’altare maggiore entra a far parte della progettazione scenografica elaborata dal Vignola nell’impianto, illuminato da due piccole finestre laterali che il visitatore non coglie immediatamente, perché incassate nella superficie muraria; questa attenzione posta dall’architetto alla scena e alle relative luci ci offre una primissima anteprima di quello che sarà un uso comune nell’architettura barocca. L’interno è sobrio, con piccoli rincassi, lunette variabili e pennacchi che vanno asimmetricamente rispetto l’asse principale e non toccano l’imposta della cupola. La verticalità delle fasciature interne è ribadita nella zona dell’architrave, e l’architetto non inserisce la trabeazione. Il fregio, apparentemente assente, è rappresentato nella zona di mediazione geometrica dei pennacchi e delle lunette, per cui Vignola usa l’ordine diverse, ovvero altezze pari a primo e secondo piano e un’altezza maggiore sull’ultimo, dove si fonde terzo livello e mezzanino. La griglia proporzionale è presente anche nella loggia interna, con la particolare soluzione del terzo piano, espresso da un ordine a fasce. Della Porta definisce le singole parti della composizione. La facciata è costituita da doppi orizzontamenti, i parapetti, doppi al piano nobile, sono poi rimarcati da rinquadrare, mentre le finestre presentano intense creazioni. Tutte simili sul piano nobile con timpani alterni retti da mensole, tranne quella in asse con il portone, più slanciata delle laterali e priva di parapetto ma con balaustra. Al pianterreno sono più semplici, non hanno timpano ma un supporto più articolato, che oltre le mensole mostra un blocco riquadrato che fa da cornice superiore alle finestre sotterranee. Al livello più alto rinasce il timpano curvilineo. Il portale è fuori dal comune; la fascia orizzontale del primo riquadro risuona in una seconda chiusa orizzontale, portata da mensole emergenti dalla fascia esterna di riquadro del portone. Altro orizzontamento è il balcone, sorretta da emergenza centrale, fuso con il marcapiano superiore. 71) GIOVANNI AMBROGIO MAGENTA – CHIESA DI SAN SALVATORE Nel XVII secolo Bologna era una delle città più importanti. La progettazione del San Salvatore la si deve ad Ambrogio Magenta. È un organismo non semplicissimo, da collocare nella produzione della controriforma. Si ritrovano gli aspetti compositivi tradizionali, tra cui le corte cappelle passanti, il transetto non sporgente, inglobato nel perimetro murario e un'unica navata longitudinale. Dei grandi piloni angolari definiscono la distinzione tra presbiterio e aula, dove quest’ultima presenta un ritmo visibile in pianta pari a A-B-A, con un asse di simmetria tradizionalmente mediano. La cappella maggiore il transetto hanno pari misura e anche la loro altezza non differisce mentre la copertura è a crociera nella cappella e cupolata nel transetto. La punteggiatura delle colonne riprende S. Maria degli Angeli di Michelangelo e S. Fedele di Tibaldi, ovvero a ripresa del tema classico basilicale con un ritmo che posiziona tali supporti verticali in fronte ad un muro e articola l’intera aula. Lo spazio può definirsi a triplo involucro, e questo perché nel progetto sussistono le già citate colonne, i pilastri, e le mura perimetrali, a creare quindi un insieme di elementi compressi reciprocamente. La facciata, più povera, segue il modello delle facciate romane e il tema è quello delle coppie di paraste ripetute anche sul piano superiore. Tale scelta viene ripresa anche nella superficie laterale della chiesa. 72) FRANCESCO MARIA RICCHINO – SAN GIUSEPPE A MILANO A Milano Francesco Maria Ricchino domina la scena e probabilmente Borromini aveva collaborato con lui. L’architettura milanese entrò in una nuova fase e si può affermare che fosse l’architetto più fantasioso di inizio secolo. Egli fu inviato a Roma, da Federico Borromeo, per fare esperienza. Francesco progettò la sua prima costruzione da solo nel 1607: la chiesa di San Giuseppe, un capolavoro di prim’ordine. Planimetricamente combina due unità a croce greca; l’ampio spazio congregazionale è una croce greca con braccia rimpicciolite e pilastri sghembi, con nicchie incorniciate da 3/4 di colonna; il piccolo santuario quadrato ha invece basse cappelle che sostituiscono i bracci della croce. Lo stesso ordine composito unifica in alzato i due spazi, ma anche l’altro arco tra di loro sembra appartenere ad entrambi. La nuova fusione di semplici unità fu un tema perseguito e ripetuto nell’Italia del Nord ma in questo caso Ricchino aveva già risolto il problema. L’impianto fu completato nel 1616, la facciata nel 1630. L’architetto cercò di dare alla facciata un’unità fino ad allora sconosciuta e di legarla con lo spazio interno, con la struttura. Ricchino decise di regolarne l’altezza considerando il corpo quadrato inferiore e quello ottagonale superiore ma nonostante questo l’architetto non potè ottenere un corretto rapporto dinamico tra interno ed esterno. Per quanto riguarda l’unità complessiva egli elaborò un corpo costituito dall’importanza dei legami verticali, in modo che la facciata può essere vista come composta di due alte edicole, una inserita nell’altra. Questo tipo di facciata divenne popolare durante il Barocco. 73) FRANCESCO MARIA RICCHINO – PALAZZO DI BRERA A MILANO Trasformazione dell’antico convento trecentesco appartenuto agli Umiliati e dopo ai Gesuiti. Nel 1773 il palazzo divenne proprietà dello Stato e accolse gli istituti culturali della città. Permarini partecipò alla realizzazione del portale d’ingresso di Via Brera e il cortile interno, arricchito con la statua di Napoleone. Questo è il più importante cortile milanese, il quale grazie agli archi su colonne doppie in due ordini segna un ritorno al Palazzo Marino dell’Alessi. Questa composizione dell’ordine ricorda da vicino la composizione della finestra a serliana, la quale corre continua su tutti i lati. Lo scalone interno conduceva alle aule superiori dedicate all’insegnamento ed è elemento innovativo. L’assenza del muro di spina intermedio lo differenzia dagli scaloni romani, che in questi separa le due rampe. Tale elemento sarà uno tra quelli fondamentali per la cultura architettonica del barocco italiano. 74) BARTOLOMEO BIANCO – UNIVERSITA’ DI GENOVA E I PALAZZI DELLA CITTA’ Genova ha vissuto un momento di sviluppo nella seconda metà del XVI secolo; mentre il più grande architetto barocco fu Bianco. La sua costruzione migliore è l’attuale università, prima collegio dei Gesuiti lungo la via Balbi. L’edificio rappresenta un insieme di incomparabile splendore, egli unificò architettonicamente il vestibolo al cortile, nonostante i diversi livelli; nel cortile introdusse due ordini di alte arcate sostenute da binati di colonne, mentre sul lato opposto portò la scala, che si divide due volte per tutta l’altezza dell’edificio. I piani sono 4, l’occhio è portato ad osservarli tutti. L’esterno presenta un disegno semplice i soliti motivi idiomatici genovesi. Confrontati con essa, i Palazzi Durazzo-Pallavicini del Bianco, e Balbi- Senarega rappresentano quasi una fase discendente. Mentre il secondo fu finito da Pier Antonio Corradi, il primo fu considerevolmente alterato nel corso del XVIII secolo da Tagliafichi. I palazzi sono privi di decorazione, eccezion fatta per i balconi sporgenti. Forse questi prospetti erano dipinti con motivi architettonici illusionistici, secondo l’uso vigente nel tardo XVI secolo a Genova. 75) CARLO MADERNO – BASILICA DI S. PIETRO Maderno proveniva dal Nord, a Roma prima del pontificato di Sisto V. Cominciò a lavorare subordinato a Domenico Fontana, ma già prima del 1600 si era fatto un nome. Nel 1603 venne nominato architetto di S. Pietro e finì la facciata di S. Susanna. Nella Basilica romana si trovò a dover interferire con le idee e le intenzioni di Michelangelo. Maderno doveva trasformare in maniera adeguata il corpo centrico michelangiolesco in un corpo a pianta longitudinale, ovvero prolungare il braccio orientale della pianta del maestro. Voleva urtare il meno possibile l’eredità che gli era stata concessa, ma naturalmente il lungo spazio rovinava per sempre la vista della cupola dalla piazza, con conseguenze che si trascinarono sino ai nostri giorni. Per la facciata fu legato alla proposta di Michelangelo del coro e dei transetti, inoltre, le proporzioni originali da lui ideate, venero stravolte dalla decisione del Papa nel 1612 di aggiunger due torri. La rappresentazione iniziale era più equilibrata di quella che sarebbe divenuta aggiungendo i due corpi richiesti; Maderno aveva disposto su una superficie parietale tutti gli elementi che Michelangelo avevo incluso in San Pietro. L’architetto non fece costruire le due torri, ma ciò portò a successive ripercussioni. 76) PALAZZO BORGHESE Maestoso impianto che forma un grande isolato frontale a Piazza Borghese, in asse con la scalinata di Piazza di Spagna. Nel 1560 il cardinale Poggio vendette la sua proprietà al monsignor Tommaso del Giglio, che subito volle un palazzo del Vignola. Verso la fine del 500 il palazzo venne venduto al cardinale Pietro Deza, il quale incaricò Martino Longhi di completare l’opera. Il cortile interno è costituito da una serie di arcate supportate da colonne binate, che mai si erano viste a Roma. Nel 1596 il nuovo proprietario Camillo Borghese chiamò Flaminio Ponzio a gestire i lavori. L’opera comportò tempi lunghi ed è considerata una delle quattro meraviglie della città. La facciata principale si affaccia su largo di Fontanella Borghese con un maestoso portale tra due colonne, sulle quali poggia un ampio balcone balaustrato con finestra a edicola e timpano superiore. I piani sono 3, ognuno con finestrella superiore di dimensioni inferiori, ad ospitare un mezzanino. I timpani nel piano intermedio sono alternati, negli altri due livelli non sono presenti e sono sostituiti solamente da un piccolo architrave piano. La facciata secondaria, verso piazza Borghese, presenta un imponente portale, decorato con lo stemma di famiglia. Le fasce orizzontali sono 3, anche se i marcapiani appaiono come lisce e lievi fasciature. Al pianterreno si distribuiscono una serie di finestre ad edicola, prive di timpano, inginocchiate, le quali mensole fanno anche da cornice ad una piccola bucatura inferiore probabilmente utile per le stanze sottostanti. Le finestre del mezzanino qui presenti vengono ripetute anche al piano intermedio, dove delle edicole alternano il loro timpano tra quello curvilineo e quello triangolare. L’ultimo livello è l’attico, con una singola fila di aperture. Su via Ripetta infine si affaccia l’ultima parte del complesso, ovvero la cosiddetta “tastiera del cembalo”, caratterizzata da due balconate: la prima coperta da ballatoio e sostenuta da pilastri e colonne doriche, la seconda che la sovrasta è un terrazzo a giardino pensile. Questo palazzo ospitò la famosa collezione della famiglia, poi spostata a Villa Borghese. 77) CARLO MADERNO - PALAZZO BARBERINI Nel 1625 il cardinale Francesco Barberini comprò da Alessandro Sforza Santafiora il palazzo alle 4 fontane e un anno più tardi lo regalò al fratello Tadeo. Il Papa Urbano VIII incaricò Maderno di ridisegnare il palazzo e ingrandirlo. L’architetto morì nel 1629 e fu nominato Bernini come suo successore. Lavori conclusi nel 1633, ma si protrassero per altri 5 anni. Progetto di Maderno: iniziale proposta di 19 intercolumni sul modello di Palazzo Farnese; inoltre c’era la volontà di ripetere questo schema anche sui lati; blocco semplice e regolare, con cortile ad arcate all’interno. L’attuale struttura ha forma di H, il tradizionale cortile è abolito e sostituito da un lungo cortile antistante il palazzo. La facciata principale consiste di 7 intercolumni di arcate in 3 piani, collegati al sistema differente delle ali aggettanti da un intercolumnio di transizione leggermente retrocesso. Questo modello era innovativo a Roma, probabilmente pensato da una mente giovane come quella del Bernini, ma nessuna testimonianza è a favore di questa tesi, infatti da un alzato dello stesso Maderno, sembra aver già previsto un corpo che corrisponde Disegnò il progetto nel 1650 per la famiglia di Papa Innocenzo X; nel 1694 Carlo Fontana riprese la costruzione per Innocenzo XII. La facciata del Bernini era avanzata che impediva ogni distorsione. L’intera fila di 25 finestre è suddivisa in unità separate da 3-6-7-6-3 vani, che si incontrano ad angoli ottusi. Ogni singola unità è delimitata da giganteschi pilastri (due piani superiori) ai quali fa da base il pianterreno con formazioni di rocce naturalistiche sotto i pilastri e i davanzali. Il palazzo è legato alla tradizione romana derivante da Palazzo Farnese e mostra un portale monumentale accompagnato da due piccoli vani laterali e caratterizzato da un ordine gigante sormontato da trabeazione e mensole a sorreggere un balcone balaustrato. 83) PALAZZO CHIGI Bernini disegnò, nel 1664, il palazzo per Flavio Chigi. Mise una parte centrale di 7 contrafforti tra due semplici ali arretrate e bugnate, di tre vani ciascuna. Il basamento funge da base per i piani superiori. Tale facciata fu sciupata nel 1745 da Nicolò Savi e Luigi Vanvitelli. Essi raddoppiarono la parte centrale che ora conta 16 pilastri e 2 portali invece di uno. Questa scelta comporta però un allungamento sproporzionale dell’edificio, che non lega più altezza e lunghezza. Egli mise in decisiva rottura con la facciata tradizionale dei palazzi romani e infatti pochi edifici a Roma hanno un ordine colossale sopra il pianterreno; l’artista inoltre contrappone la ricchezza della parte centrale con l’incompletezza delle ali laterali e aumenta il rilievo del portone. Bernini aveva trovato una formula per il palazzo barocco aristocratico e l’immensa influenza di questo si estese oltre i confini. 84) PROGETTI PER IL LOUVRE La progettazione dell’ala est del palazzo parigino non andò a buon fine. La sua particolare personalità e i gusti nazionali non portarono ai risultati sperati. Primo: creò un rettangolo aperto con due ali aggettanti, tra loro collocò un lungo colonnato con centro convesso fra due braccia concave. Nella facciata di tale edificio seguì il sistema di palazzo Barberini, un centro ad archi contornato da ali semplici. Era un palazzo leggero, non romano. Secondo: ordine gigantesco applicato al muro sopra un pianterreno a bugnato, può considerarsi una nuova applicazione del disegno di Palazzo Chigi e del progetto di Pietro da Cortona per Palazzo Colonna. Terzo: disegnato a Parigi si presenta come un ritorno al tema del Palazzo romano; per aumentare la monumentalità perse di originalità. Bernini, per armonizzare lunghezza e altezza di facciata, suddivise la tradizionale forma a blocco in cinque unità distinte. La sporgenza centrale è messa in risalto non solo dagli undici vani, ma anche per la decorazione a semicolonne giganti, motivo ripreso uguale nei pilastri delle ali. Al contrario nelle parti arretrate non compare alcun tipo di ordine. Per sottolineare il punto di accesso alla struttura monumentale ha concentrando 4 semicolonne sul punto centrale. Il palazzo doveva ergersi come una fortezza, con il grosso blocco basamentale presente nell’incisione. Bernini entrò in contrasto con i professionisti francesi che erano contrari al progetto, mentre il Re era d’accordo. Per Bernini la facciata era un tutto al quale venivano subordinate le singole parti, mentre per i francesi essa era un agglomerato di elementi strutturali. Bernini insistette sullo spostamento della corte sul lato est e di impostare il carrè alla maniera italiana, quindi porticato e di realizzare le scale nei 4 angoli, racchiuse in trombe geometriche. Venne posizionata la prima pietra, quando tornò in Italia elaborò una nuova proposta, ma ormai le condizioni erano cambiate, con il Re più interessato a Versailles. Per quanto splendido, quella mole austera sarebbe rimasta per sempre come un prodotto estraneo allea serena atmosfera di Parigi e non avrebbe avuto alcun tipo di risonanza. 85) SAN TOMMASO A CASTELGANDOLFO Tra il 1658 e il 1661, questa chiesa è una semplice croce greca come la Madonna delle Carceri di Giuliano da Sangallo a Prato. Le proporzioni sono della massima semplicità, la lunghezza delle braccia della croce è la metà della loro ampiezza. Modifica lo schema delle chiese rinascimentali, aumentando l’altezza dell’impianto e donando alla cupola un predominio assoluto. L’esterno è limitato, con semplici doppi pilastri tuscanici ed elementi secondari, come il pesante frontone e la modanatura ininterrotta che congiunge la facciata principale con quelle laterali. Qui si ha un effetto “a cannocchiale”, perché le due facciate laterali sono caratterizzate da restringimenti progressivi dell’ordine semplificato a fasce e perché sono presenti due sagrestie a riempire i due spigoli concavi nella zona posteriore. La cupola a costoloni deriva da quella di San Pietro, ma qui il tamburo è costituito da un basso cilindro disadorno, ed è distinto dalla cupola con un anello di cornicione sporgente. Ogni parte di questa costruzione è chiara, precisa, definita e sottomessa ad una disciplina classica. Nella zona della volta Bernini inserisce decorazioni molto articolate tipiche della corrente barocca: putti che reggono medaglioni collocati su frontoni spezzati sopra le finestre del tamburo, ghirlande formano legami tra questi, e la fascia animata così creata pare come un intenzionale inversione della geometria pura dell’anello sotto il tamburo. Sui medaglioni sono scolpiti 8 eventi della vita di San Tommaso e tali appaiono quasi sospesi data la continuità visiva dei cassettoni sul fondo. Ogni volta che il Bernini aveva decorato nicchie o semicupole aveva seguito la tradizione di usare i costoloni, e nelle zone neutre tra uno e l’altro medaglione decorativo. Qui conservò i costoloni, ma li combinò con i cassettoni, i quali sembrano indicare una spinta uniformemente distribuita. 86) SANTA MARIA DELL’ASSUNZIONE AD ARICCIA Si decise di modernizzare il palazzo già presente e realizzare una chiesa di fronte alla sua entrata. Commissionata a Bernini nel 1662, due anni dopo era già finita. La forma base fa riferimento a due elementi geometrici semplici, una cupola semisferica con ampia lanterna a sovrastare un cilindro tradizionale. Sul fronte della rotonda è posizionato un portico ad arcate. Qui Bernini riprende il progetto per liberare il Pantheon dalle aggiunte posteriori che lo deturpavano. Egli interpretò l’esterno con un unione delle forme base di un cilindro con volta e di un portico, ed è questa combinazione che egli realizzò qui. Colonnati dritti fiancheggiano la chiesa. All’interno vi sono 3 cappelle di uguali dimensioni, mentre l’entrata e la nicchia dell’altare sono più larghe: esiste dunque una dimensione assiale predominante. Nella zona della cupola Bernini mostra nuovamente la combinazione di cassettoni e costoloni. Decorazioni simili a Castelgandolfo: putti e angeli tengono ghirlande. Gli angeli sono presenti perché secondo la leggenda spandevano fiori nel giorno dell’assunzione della vergine. Nelle chiese del Bernini l’architettura è la scena dove si svolge un miracolo emozionante. Il Bernini non vedeva alcuna contraddizione tra architettura classica e sculture barocche, come sottolineato da alcuni critici. 87) SANT’ANDREA AL QUIRINALE Commissionata dal cardinale Camillo Panfili. La costruzione iniziò insieme a quella di Castel Gandolfo ma si protrasse per più tempo. Pianta ovale con l’asse trasversale più lungo dell’asse principale, schema usato da Bernini nella chiesa del palazzo di Propaganda Fide. Qui però i pilastri si trovano su entrambe le estremità dell’asse trasversale. Lo sguardo dello spettatore, dunque, tende a seguire la serie ininterrotta di pilastri giganti, i quali sono sovrastati dal massiccio anello della trabeazione. Nell’apertura concava opposta al portale è presente un’edicola a colonne con al culmine la scultura di Sant’Andrea. Il colore e la luce collaborano all’ascensione miracolosa. In basso c’è prezioso marmo scuro, in alto i colori sono bianco e oro. Lo spazio è uniformemente illuminato da finestre tra i costoloni tagliate in profondità nei cassettoni della cupola e una luce brillante entra dalla lanterna, nella quale si trovano teste scolpite di cherubini e la colomba dello Spirito Santo. Le cappelle grandi sul fianco dell’asse trasversale hanno una luce diffusa, mentre quelle quattro sussidiarie negli assi diagonali sono sprofondate nell’ombra; adiacenti all’edicola ci sono zone scure che rafforzano l’impatto drammatico della luce radiosa sull’altare. Due centri nella chiesa: lo spazio ovale per i fedeli e il recesso dell’altare, non raggiungibile. All’esterno il Bernini utilizzò la lezione di San Giacomo degli incurabili di Volterra: la cupola è racchiusa in un involucro cilindrico e la spinta è sostenuta da grandi volute che simulano la funzione dei contrafforti gotici: queste poggiano sopra il robusto anello ovale che racchiude le cappelle. Il cornicione sembra proseguire sotto i pilastri corinzi della facciata e si estende in avanti nel portico semicircolare dove a sostenerlo sono due colonne ioniche. Questo portico è un elemento dinamico. Il motivo dell’edicola che lo incornicia è ripreso all’interno dall’edicola dell’altare. Si crea un sistema di positivo e negativo nei confronti del visitatore: se all’esterno il cornicione sembra andare verso il visitatore, all’interno la fasciatura orizzontale si conclude nel punto più lontano. Paragone con San Giacomo degli incurabili: quest’ultimo mostra una facciata derivante dalle chiese romane a croce latina, ma all’interno presenta un corpo ovale; Sant’Andrea mostra subito il carattere del vano retrostante e quindi interno ed esterno formano un’entità omogenea. 88) PIAZZA A SAN PIETRO Dal 1656 papa Alessandro Chigi voleva realizzare una monumentale piazza al posto dell’irregolare slargo di fronte alla basilica. La piazza doveva accogliere i fedeli, i portici ospitare cerimonie e offrire riparo; inoltre avrebbe creato occupazione. La proposta di monsignor Virgilio Spada prevedeva la demolizione degli isolati compresi tra le due principali strade di Borgo; la proposta venne respinta ma apprezzata. Una seconda linea favoriva invece uno spazio direttamente, delimitato, connesso alla basilica. Bernini, a cui era stata commissionata l’opera nel 1656, seppe definire una sintesi tra percorso tradizionale porticato e piazza conclusa, un luogo pensato per la sosta e per il movimento. La prima proposta prevedeva la forma trapezoidale dell’impianto: richiamava l’andamento divergente delle vie di Borgo vecchio e nuovo e riecheggiava la piazza del Campidoglio. Questa soluzione avrebbe avvicinato otticamente la facciata della basilica in una posizione troppo emergente. La Congregazione dunque invitò Bernini a rendere la pianta più rettangolare. Alessandro VIII annotava che i portici dovevano stabilirsi come elementi autonomi e senza un secondo livello superiore. L’idea del nuovo impianto ovale venne concordata tra Bernini e il Papa senza passare per la Congregazione. Il progetto venne approvato il 17 marzo 1657. Il passaggio da 1 a + porticati è una delle ragione dei mutamenti progettuali. La proposta a singola corsia era caratterizzata da un’ordinanza di paraste doriche inquadrante archi, criticata dallo Spada. Uno dei problemi era l0interasse dei singoli archi. Bernini decise di articolare le colonne sotto una trabeazione lineare impiegando un ritmo di colonne abbinate. 89) LA SCALA REGIA nel 1650 tutto era completato. Maruscelli aveva pensato una sistemazione con lunghe assi e una logica disposizione della sagrestia dei cortili. Borromini accettò l'essenziale di questo progetto ma perfezionò alcuni elementi. La facciata rammenta quella di una chiesa, ma le file di finestre da casa di abitazione sembrano contraddire questo effetto; Borromini la disegnò come un preludio all'oratorio e a tutto il monastero. L'architetto elabora una tecnica in mattone, che consentiva le più fini equazioni un'assoluta precisione di dettaglio. La parte principale è divisa in cinque settori, divisi da pilastri sistemati sulla pianta concava. Il settore centrale della fila inferiore è però curvo verso l'esterno, mentre la fila superiore si apre in una nicchia di notevole profondità. A coronare la facciata è impotente frontone, Che te la prima volta, combino momento curvilineo e uno angolare. Notevoli sono le nicchie sottostanti gettano ombre profonde e danno al muro profondità e volume. Le finestre di sopra con i loro frontoni premono contro il fregio del cornicione. Quelle della seconda fila hanno ampio spazio sopra sotto. L'interno dell'oratorio è articolato da semicolonne sulla parete dell'altare e un complicato ritmo di pilastri lungo le altre tre pareti. Borromini arrotonda gli angoli dell'edificio rendendo apparente l’unità degli elementi strutturali racchiudenti lo spazio. Le facciate ovest e nord del convento presentano motivi semplici: corsi dritti a fascia dividono i piani e larghi solchi orizzontali e verticali sostituiscono i cornicioni e gli angoli. 94) SANTA MARIA DEI SETTE DOLORI L'incarico Venne affidato nel 1642. Bonini però dovette rinunciare a completare il progetto, perciò quello che seguiamo è il risultato di numerosi rifacimenti successivi. Nel 1643 vennero edificati il vestibolo ottagonale della Chiesa fino all'attacco della volta. Le maestranze non erano evidentemente all'altezza delle ambiziose intenzioni di Borromini. L'esterno è rimasto incompiuto. Nel 1658 fino al 1667 venne aggiunta nel vestibolo una piccola cappella che ha corrotto l'originaria percezione spaziale. Dal 1668 si rimaneggiò anche il fronte del convento. Il centro dell'attuale facciata è costituito da un corpo concavo che sporge fortemente grazie a contrafforti obliqui. L'interno della chiesa arrotondato sui lati corti si sviluppa in senso longitudinale; Che entrava però, aveva l’impressione di un forte orientamento trasversale. Questo doppio orientamento ha spinto Borromini ad utilizzare come elemento base un colonnato che corre tutto intorno, addossato alla parete e dotato di una trabeazione del tutto priva di risalti; le triadi ad arco si conformano all'andamento della parete ora dritta ora e ellissoidale. Autonomi sono i tratti di parete degli intercolumni e tra questi nicchie semicircolari contraddistinguono interessi laterali delle serliane. Su uno dei lati corti si apre il presbiterio, mentre quello posto verso la porta del convento risulta chiuso. Marconi ha fatto per primo notare come il colonnato ricordi della sua struttura l’euripo del Canapo di Villa Adriana a Tivoli. Questa opera mostra gli influssi derivanti dei modelli antichi. 95) SAN GIOVANNI IN LATERANO Nel 1646 Innocenzo X incarica Borromini di provvedere al restauro della basilica. L'impresa mirava a riqualificare il monumento in vista dell'anno Santo 1650, che aveva come punti focali del percorso celebrativo le basiliche e prevedeva il rinnovo di San Paolo fuori le mura, su progetto di Borromini. Virgilio Spada fu nominato soprintendente ai lavori, per controllare che non si distruggesse la parte restante della basilica antica. Borromini aveva pensato ad un rifacimento integrale ma nelle tre versioni progettuali l'intervento appare incentrato sul solo corpo longitudinale. La prima versione è composta da tre arconi centrali e cinque aperture minori. A livello statico era la proposta meno realistica. Il ritmo delle paraste è poco marcato, tanto che le finestre nel livello superiore non sono differenziate tra loro. Le zone estreme, invece, dovevano inglobare gli antichi setti murari e presentava un incasso in basso e un'incorniciatura in alto. Il secondo progetto presenta un ordine di paraste equidistanti, l'ampiezza degli arconi viene ridotta e le bucature minori ridimensionate con la nuova forma ad edicola. Gli interessi estremi inglobano gli antichi setti murari. Le finestre presentano mostre con frontespizio triangolare e arcuato che fa da contrappunto al succedersi di edicole e arconi in basso. L'ultima versione, scelta da Innocenzo X, prevede il restringimento degli interessi minori favorendo una chiara leggibilità della travata ritmica assieme alla possibilità di definire cinque aperture maggiori al posto delle tre degli altri progetti. I sei setti murari degli interessi minori, abolita l'idea delle aperture secondarie, appaiono più solidi doni a garantire il supporto delle antiche pareti. La scansione è modulata su un rapporto di due terzi tra arconi e setti murari: Agli interessi maggiori viene associata all'apertura arcata e le finestre; a quelli minori il tabernacolo e la cornice ovale in stucco che lasciava vedere il muro antico, le campate estreme sono assimilate agli interessi minori. Iniziati i lavori sorsero problemi, risolti da Borromini con il procedere del cantiere. L'architetto penso di fare rigirare le paraste della navata centrale sul lato d'ingresso, questa proposta è un mezzo per estendere la logica della travata ritmica anche ad una parte di risulta. Nel 1648 Borromini blocca i lavori per ridurre le paraste della navata centrale creando una trabeazione interrotta, la quale conferiva slancio verticale all'ordinanza e al contempo una maggiore apertura delle finestre superiori. San Giovanni chiedeva il rispetto della struttura preesistente, Per cui Borromini ebbe a che fare con diversi problemi di natura tecnica. Il corpo longitudinale si presentava ed eterogeneo: Nella navata centrale succedevano i bassi pilastri in mattoni con archi della rifacimento trecentesco; sulle pareti gli affreschi erano incompiuti; il pavimento cosmatesco e il ciborio trecentesco erano invece conclusi. Le doppie navate laterali erano separate da file di colonne di marmo verde antico, ma degradate. Borromini smantellò le navate rimuovendo le colonne per ornare i progettati tabernacoli. Le pareti della navata centrale vennero prima inserite e consolidate entro la nuova struttura e solo poi rimosse dai vani degli arconi. Borromini propose di creare una volta per questa navata ma ricevette il rifiuto della committenza. Nel disegno della proposta la volta prevedeva dei lacunari forati all'altezza della trabeazione. Per il progetto della controfacciata l’architetto pensa ad una sezione centrale piana, ma successivamente la piega con una convessità che coinvolge anche l'ingresso, Le cui pareti diventano oblique. Nel disegno il muro antico è distinto con la punteggiatura e appare inserito nella nuova muratura. Il carattere scelto per la volta richiamava l'impianto romano e basilicale dell'antichità. Per l'organismo a cinque navate, Borromini decide di ricavare le navate estreme come per proiezione orizzontale dagli allineamenti delle navi intermedie. Da qui la formulazione di campate concluse da trabeazione piana e la difficoltà che derivava dalla realizzazione di piattabande in muratura di grande luce. Apparato decorativo: teste di cherubini che punteggiavano le navate laterali esprimendo in forma scultorea i nessi architettonici delle mensole e delle chiavi di volta. Fonti di luce: le navate laterali estreme erano illuminate da grandi finestre a lunette ovali, ora tamponate per la costruzione di cappelle; elabora inoltre le camere di luce, corpi sovrapposti alle navate estreme che convogliano la luce verso le navi intermedie; l'aula centrale è illuminata dai finestroni che evidenziano al massimo il gioco delle membrature. Questa basilica ha come riferimenti il tempio di Salomone e la Gerusalemme celeste. 96) PALAZZO CARPEGNA Nel 1641 si creò una splendida opportunità urbanistica, quando urbano ottavo raddoppiò l'ampiezza della vecchia piazza di Trevi, chiedendo Bernini di progettare la fontana. Borromini e Bernini quindi avrebbero messo da parte delle rivalità per coordinare la progettazione del palazzo della fontana. Il conte Ambrogio Carpegna però morì giovane, la fontana fu vittima dei disastri politici. Borromini presentò progetti. Borromini abbandona il modo di operare adottato nel Rinascimento e concepì progetto in funzione dell'osservatore in movimento. La corte prima rettangolare e dopo ovale era centrata sull'incrocio degli assi. Il primo progetto prevedeva un corridoio sull'asse mediano mentre il corpo scala ottagonale rimpiazzava la scala a doppia rampa. La corte rettangolare era contornata da una loggia sorretta da 16 coppie di colonne. Il secondo disegno prevede un ingresso volto a creare un asse unico che percorre l'intero isolato; una scala a ferro di cavallo rimpiazza la vecchia scala a doppia rampa e una sequenza di nicchie di fronte ad essa ricorda l'architettura romana imperiale. La corte ovale è articolata da 12 coppie di colonne, mentre 20 colonne vengono impiegate nel vestibolo ottagonale. Su ulteriori disegni letterale l'asse maggiore di questa dunque poteva coincidere con la visione della fontana. Il cardinale Ulderico commissionò a Borromini un progetto di minore portata. Il cardinale aggiunse un’ala che raddoppiava le dimensioni del palazzo; episodio di spicco fu la scelta di creare una rampa elicoidale che da tempo non era più utilizzata nei palazzi. All’ingresso di questa rampa troviamo una decorazione a stucco: un festone di fiori proclama la fecondità, 2 colonne invitano ad addentrarsi, un palladio con una maschera di medusa dichiara che questo palazzo appartieni a Pallade e due cornucopie simboleggiano l’abbondanza. Ulderico morì nel 1679 e successivamente il nipote di Borromini insistette per riprendere in esame i progetti dello zio. Il palazzo Carpegna passò all'Accademia di San Luca e venne rimaneggiato da Gustavo Giovannoni. 97) SANT’AGNESE A PIAZZA NAVONA Papa Innocenzo X voleva trasformare la piazza nella più grandiosa di Roma. Doveva essere dominata dalla Chiesa di Sant'Agnese, per la quale fu nominato Carlo Rinaldi. Egli disegnò una pianta a croce greca con braccia corte e pilastri agli incroci con ampi angoli sghembi che si aprivano in larghe nicchie. Nacquero però le prime critiche, soprattutto nei riguardi della scala che si estendeva troppo avanti nella piazza. Al posto di Rinaldi fu chiamato Borromini. Egli avrebbe dovuto continuare la costruzione, ma applicò delle modifiche. Abolite le rientranze preparate per le colonne e smussato i pilastri in modo che le colonne sembrassero staccate dal muro. L'incrocio appare come un ottagono regolare. Verticalismo è ottenuto dal cornicione aggettante sopra le colonne che unifica l'arco con le colonne di sostegno; l'alto attico aumenta il movimento verticale. Borromini crea una tensione dando alle braccia della croce una lunghezza maggiore rispetto a quella prevista da Rinaldi. Il verticalismo fu accentuato da un alto tamburo e una cupola dalla curvatura molto accentuata. La facciata venne elaborata con il profilo concavo. Camillo Pamphili richiamò Carlo Rinaldi che applicò delle modifiche all'esterno, che appare comunque Borrominiano. Carlo inserì un alto attico sopra la facciata, il frontone triangolare nel centro e semplificazioni nel disegno delle torri. Questa chiesa va considerata come la revisione barocca della pianta centrale per San Pietro qui infatti il sistema di torri venne costruito. 98) SANT’ANDREA DELLE FRATTE Nel 1653 Borromini fu incaricato di finire la Chiesa. Il suo intervento più importante fu all'esterno mediana tra portico e le ali concave. L’azione reciproca di forme convesse e concave nella stessa costruzione è un tema tipico del barocco romano. Questa chiesa contiene molte idee ricche di di influssi: il portico è una delle invenzioni di Cortona. Facendolo sporgere si crea un motivo plastico e allo stesso tempo di effetto cromatico che si interpone tra esterno e interno. Bernini lo incorporò nella facciata di Sant’Andrea. Inoltre nel 1657 Bernini fece un progetto intermedio con doppie colonne per i colonnati di San Pietro usando l’ordine dorico con trabeazione ionica, anticipato qui da Cortona. La facciata termina con un frontone triangolare che ne contiene uno segmentato, espediente già usato da Michelangelo. Cortona lavora su un muro duttile, impiegando gli ordini architettonici come motivo rafforzante piuttosto che per delimitare gli spazi. La forma a vite del frontone aumenta il carattere poco ortodosso della facciata. 103) SANTA MARIA IN VIA LATA Costruita tra il 1658 e il 1662 è simbolo dell’evoluzione del Cortona. Tendenze classicheggianti vengono rafforzate, la complessità sembra ridotta ad una chiarezza cristallina. L’allineamento della strada non consentiva una facciata curva. Il prospetto consiste di due piani completi, invertendo il precedente sistema. La porzione centrale è spalancata e affiancata da pilastri rientranti anziché sporgenti. Al piano inferiore si apre un portico, mentre al piano superiore una loggia; queste sono unite e concluse da un grande frontone triangolare nel quale è stato inserito un elemento segmentato. Si tratta di un arco che collega le due metà della trabeazione diritta interrotta. Tale motivo è derivato dal tardo classicissimo. Il disegno dell’interno del portico, con la sua volta a botte a cassettoni retta da due file di colonne, una delle quali corre lungo il muro della chiesa, rivela la sua derivazione dal vestibolo della sagrestia in Santo Spirito a Firenze, a differenza di quest’ultima il muro è schermato dalle colonne e sembra proseguire dietro le terminazioni absidali. Cortona era riuscito a produrre l’illusione che le absidi fossero state messe in uno spazio più ampio, la cui estensione era nascosta agli occhi del visitatore. Ognuna delle tre parti componenti (colonne, absidi e volta) ha la propria completamente definita ragione d’essere strutturale. 104) VILLA SACCHETTI AL PIGNETO Sopravvive poco di quest’opera. Non è chiaro chi fosse il committente, se il cardinale Giulio o il marchese Marcello Sacchetti. Il progetto è datato 1626-36 ma per ragioni stilistiche sembra indicata una data non precedente alla fine degli anni 20. Idea era quella di sfruttare i corsi d’acqua e definire una residenza sulla cascata (motivo per il quale le fondamenta cedettero). Il pianterreno rivela uno studio accurato delle piante del Palladio. Possibile che Cortona fosse rimasto impressionato dalle rovine del tempio di Palestrina. Le grandi nicchie divisorie delle facciate laterali ricordano le terme romane. La sistemazione delle terrazze con fontane e grotte è una reminiscenza delle ville antiche; le scale ricordano il manierismo del Buontalenti. Manierista era il contrasto tra la facciata d’ingresso e la decorativissima facciata sul giardino. 105) CAPPELLA GAVOTTI La nuova chiesa di San Nicola da Tolentino doveva essere a navata unica coperta a botte, con coro rettangolare e tre cappelle per lato. L’impianto appena iniziato contava su 2 cappelle, ma poi i Padri ne decisero la trasformazione per tornare all’impianto tradizionale. Il padre Giuseppe Agostino salvò da una gravidanza Olimpia Aldobrandini, moglie di Camillo Pamphili, il quale si impegnò a donare una statua alla chiesa. Innocenzo X si impegnò ad ingrandire la chiesa conferendogli un’adeguata facciata. La sistemazione finale introduce un dualismo tra pianta, con cappelle egeuali, e alzato. La cappella mediana infatti è evidenziata da paraste e da un architrave rettilineo, al contrario quelle laterali sono caratterizzate da aperture arcuate, con pari profondità ma con sviluppi verticali differenti con conseguente sproporzione dello spazio. Diverse famiglie donarono un contributo. I Gavotti decisero di portare a compimento una cappella per la madonna di Savona. La richiesta fu osteggiata da Pamphili che assegnò una disposizione di ripiego, attigua alla cappella del Crocifisso, la terza a sinistra. Dopo la morte del Gavotti, i figli riuscirono a spostare la destinazione dell’opera nella cappella mediana di sinistra. Il progetto fu elaborato nel 1662: Cortona fu ad occuparsi del proseguimento del progetto. L’altare maggiore era la figura principale dell’impianto, avanzava con le sue colonne libere, mentre lateralmente si attestavano due tombe incassate nel muro. Elemento unificante era l’ordine maggiore, dove le paraste che scandiscono la navata rigirano e innervano lo spazio interno, rimarcando il verticalismo dell’invaso. La quota alla quale sono poste le colonne, allineata a quella dell’altare maggiore, a dar luogo a un’inedita soluzione: la formulazione di una trabeazione multipla, dove la conclusione dell’ordine minore viene addossata al sobrio architrave delle paraste giganti. Altra soluzione nuove del Cortona è il raccordo concavo offerto alle paraste: in questo caso questa soluzione riceve pari dignità dell’ordine. Viene quindi immediato il rapporto con la composizione borrominiana, mentre Borromini utilizza le paraste curvate come conseguenza della curvatura della superficie piana, in questo episodio è la sola ordinanza a trasformarsi assumendo una nitida distinzione rispetto alle altre articolazioni. Cortona abolisce il piano parietale in favore di un confronto diretto tra membrature. Borromini aveva esaltato la struttura dei sostegni in uno spazio traforato; Cortona comprimendo le membrature e gli ordini fino a un punto di massima saturazione. 106) CUPOLA DI SAN CARLO E SANT’AMBROGIO AL CORSO Massima opera tarda del Cortona. Il tamburo mostra una brillante versione del motivo delle colonne divisorie. Il ritmo dei contrafforti predomina e sembra essere accompagnato da quello degli spazi aperti divisi. Una delle cupole con tamburo maggiormente traforato del periodo. Cortona inoltre inserisce un’altra serie di finestre al di sopra di quelle principali, di forma ovale, conferendo allo spazio interno una luminosità elevata. Lavori di restauro modificarono l’aspetto delle colonne, differenziandone il materiale. Cortona voleva lasciare i supporti bianchi. 107) GRAN SALONE DI PALAZZO BARBERINI Durante gli anni 1633-39 Cortona portò a termine il soffitto del salone di Palazzo Barberini. Vi fu solo un’interruzione nel 1637 durante una sua visita a Firenze e Venezia. Cortona una volta tornato decise di applicare modifiche alla sua opera e cancellare alcune parti già compiute. Cortona creò una struttura architettonicamente illusionistica, che egli in parte celò sotto una profusione di portatori di ghirlande, conchiglie, maschere e delfini. La struttura architettonica non ha lo scopo di ampliare la forma reale della volta; i finti stucchi riprendono e trasformano una tradizione locale romana. La struttura divide l’intero soffitto in 5 aree separate, ogni scena a sestante. Lo stesso cielo unisce le varie scene dietro la struttura di stucco dipinto. L’esistenza della struttura rende possibile avere sensazione dell’illusionistico ampliare e contrarsi dello spazio. L’elaborata sistemazione porta l’attenzione verso il chiaroscuro e la luminosa aureola della Divina Provvidenza. L’autore di tutto lo schema fu Francesco Bracciolini. Egli aveva inventato un0intricata storia in termini di allegoria, mitologia e concetti emblematici. La Divina Provvidenza chiede all’immortalità di aggiungere la corona di stelle alle api dei Barberini. Nell’angolo a sinistra in alto, un putto mostra la corona del poeta, allusione alle doti letterarie di Urbano. Il Papa scelto dalla Provvidenza, è egli stesso voce della Divina Provvidenza, ed è quindi degno di immortalità. Le 4 scene nella parte concava sono un commento all’opera temporale del Papa: la sua coraggiosa battaglia contro l’eresia (Pallade distrugge Insolenza e Orgoglio); la sua pietà che supera la lussuria e l’interperanza (Sileo e i satiri), la sua giustizia (Ercole) e la sua prudenza che garantisce la benedizione della pace (Tempio di Giano). 108) PALAZZO PITTI E GLI AFFRESCHI Nel 1637 persuaso dal granduca Ferdinando II a rimanere a Firenze per dipingere una piccola camera con le “quattro età”. Nel 1640 tornò per finire le Età e poi si occupò dei soffitti dell’appartamento granducale (Palazzo Pitti) in stanze denominate come pianeti, con decorazioni a stucco: ghirlande, trofei, cornucopie. Il carattere delle decorazioni rinuncia all’illusionismo ma diventa evidente che la decorazione è messa davanti all’architettura e non fusa con essa, che ogni elemento del disegno è autonomo. Lo schema dei colori mira ad ottenere contrasti netti e decisi. 109) SANTA MARIA IN VALICELLA Chiesa a croce latina con tre navate, modificata dopo la morte di Filippo Neri. Tra il 1594 e il 1617, secondo un progetto di Della Porta, la pianta fu modificata con la creazione di due strette navate laterali. Si aggiunsero su cappelle per lato e il campanile elaborato da Camillo Arcucci (1666). Nel 1650 Cortona mise le ani alla cupola, equipaggiandola di una lanterna sormontata da un capolino per l’illuminazione. La volta, la cupola e l’abside furono affrescati da Cortona tra il 1647 e il 1666. Sulla cupola c’è “il trionfo della trinità”, sui pennacchi ci sono i profeti biblici. Sulla volta l’afferro raffigura la “Madonna e San Filippo Neri”. Mentre la delicatezza e l’eleganza del soffitto Pamphili attrae il gusto raffinato di pochi, l’opera nella chiesa parla alle masse con il movimento ampio, l’abbagliante moltitudine di figure. Affreschi che formano un insieme ipnotizzante. Cortona insiste in una divisione netta tra zone dipinte e zone decorative. 110) CAPPELLA DI SANTA CECILIA IN SAN CARLO AI CATINARI - ANTONIO GHERARDI Antonio Gherardi unisce la ricerca dei maestri con una personale affermazione di un gusto per lo spettacolo popolare. Questa cappella è un omaggio a Bernini, con spunti di Borromini. L’organismo è convenzionale, originale è la decorazione: sembra calare dall’alto e la posizione degli angeli è la più vari: ora sorreggono le cornici, ora distendono drappi, sorreggono lapidi, scrivono o suonano. Cecilia è degnamente celebrata Ruolo trasfigurante lo assume la luce dall’alto, filtrando da una lanterna che occupa l’intera larghezza della cupola. Sopra l’ovale della lanterna c’è una camera luminosa sul soffitto, dove appare al centro la colomba dello Spirito Santo. Sul bordo della lanterna siedono angeli sonatori, che sono tre e al quarto posto è braccio, ma subì numerose modifiche che infine portarono alla mancata costruzione. Fontana decise di ampliare l’impianto e completare la piazza installando una replicazione del tratto rettilineo oltre le braccia disegnate dal maestro. Qui voleva inserire il 3° braccio come ingresso principale all’impianto. I progetti di Fontana tendevano a una geometrizzazione chiara, basata su criteri di simmetria, ciò dimostra che Fontana non comprese la lezione del Bernini sulla progettazione, che era elaborata seguendo la percezione visiva della via di Borgo nuovo, ma il Fontana la ignoro completamente. 117) INTERVENTO A PALAZZO LUDOVISI - CARLO FONTANA Decise di inserire nel settore centrale una torre con alloggio e in basso di modificare il portale d’ingresso con un arco. Fontana pensò di inserire una piazza a forma d’esedra davanti al palazzo, per poi seguire un invaso rettificato dovuto alla demolizione di alcuni palazzi. 118) PALAZZO D’ASTE - GIOVANNI ANTONIO DE ROSSI La costruzione è iniziata nel 1658 per conto dei fratelli D’Aste, che erano proprietari di alcune case in un’area infelice, che costituì la principale difficoltà per l’architetto e la contempo il dato oggettivo del tema. De Rossi seppe risolvere tutto brillantemente tanto da creare un prototipo planimetrico tra i palazzi romani. L’area, di forma lunga e stretta, con il lato minore prospiciente piazza San Marco. Di qui la necessità di rinunciare al tipo di palazzo tradizionale con cortile centrico. Venne adottato l’androne stretto e lungo, illuminato nel mezzo da una chiostra e cui si accedeva dalla viuzza laterale. Lo scalone era posto in fondo al lunghissimo atrio; più largo grazie a un sapiente gioco chiaroscurale. Sviluppo longitudinale e nuova posizione della scala sono le due grandi novità. Sia questa che l’androne divengono 2 episodi separati; l’atrio con una forma più stretta verso l’ingresso per poi allargarsi verso la chiostrina, si conclude con una nuova strozzatura, dalla quale si accede alla scala isolata. L’atrio è la somma di 3 elementi caratteristici: ingresso, porticato e vano di accesso alla scala. L’accesso alla rampa viene direttamente visto dal portone d’ingresso e in maniera tale da non prolungare all’infinito la prospettiva con la vista delle rampe. Queste vengono denunciate da una volta a botte ribassata, che in corrispondenza dell’atrio, dà origine a un arco quasi piatto incorniciato da archi a tutto sesto. Le tre diverse funzioni evidenziate dalle forme architettoniche e dai tipi di volte utilizzate. Lo scalone deve la sua preziosità soprattutto nei dettagli utilizzati dall’architetto. Qui molte volte a botte sono ribassate creando dei rapporti dimensionali notevoli e la decorazione geometrica stucco impreziosiscono le pareti quasi continue. Nel piano nobile i saloni sono orientati verso via del Corso. La dimensione longitudinale dell’atrio risulta tuttavia più limitata rispetto al piano inferiore. Edificio che non cambia il tipo di “palazzo residenziale”, ma utilizzando la forma del lotto sul quale l’edificio deve essere costruito; infatti a forme diverse corrispondono soluzioni diverse. Va sottolineata la duttilità nell’adeguarsi alle circostanze da parte dell’architetto, che con spirito barocco non ricercò la perfezione ma cercò di adeguarsi. 119) CAPPELLA LANCELLOTTI IN SAN GIOVANNI IN LATERANO - DE ROSSI De Rossi era solito far uso di un barocco ammorbidito. La cappella è costruita su una pianta ovale e con colonne aggettanti, che indicano una reinterpretazione barocca del disegno di Michelangelo per la cappella Sforza a Santa Maria Maggiore. Decorazione interna ricca nelle zone della volta e dell’altare, dove le sculture variamente posizionate, circondano la cornice ovale dell’affresco principale. La trabeazione è concava a seguire la curvatura della superficie muraria di sfondo. La volta è suddivisa in 4 parti: con costole che proseguono la verticalità dei pilastri di supporto angolari e che sono caratterizzate da una decorazione scultorea minuziosa. Su ogni settore è posizionato un duo di putti a sorregger quatto grandi medaglioni contornati di alloro. 120) CHIESA DELLA SALUTE A VENEZIA - BALDASSARRE LONGHENA Quest’opera lo occupò per la maggior parte della sua vita. Durante la peste del 1630 si decise la costruzione di una chiesa come ex voto. Longhena vinse e la costruzione iniziò nel 1631 per completarsi 20 anni dopo. Domina l’entrata del Canal Grande, è una delle più importanti strutture del XVII secolo. La pianta si basa su un ottagono circondato da n ambulacro, tipo con ascendenze tardo antiche ed è comune negli edifici medievali. Lo studio delle colonne differisce dai modelli rinascimentali: queste invece di continuare nell’architettura del tamburo sono sovrastate da grandi figure che si posano sulla trabeazione aggettante. Queste sculture trasformano ogni colonna in una entità isolata. Viene ripreso Palladio, dal quale deriva anche il trattamento coloristico: pietra grigia per le parti strutturali e intonaco per le pareti e tamponature. Questa specialità era antecedente a Palladio; gli architetti del barocco romano non osarono mai questo metodo di differenziazione, perché avrebbe interferito con i ritmi dinamici delle loro opere. Per il Longhena il colore era un elemento per distinguere le parti più importanti. Altri dettagli della chiesa riprendono Palladio, come gli ordini, le colonne su alti piedistalli e le finestre segmentate con montanti nella cappella. Uno dei problemi era conservare la forma ottagonale all’esterno senza sacrificare la luminosità dell’interno. Egli lo risolse rendendo i lati di due pilastri consecutivi paralleli tra loro e dando all’unità otticamente importanti dell’ambulacro e alle cappelle, regolari forme geometriche. Dal centro dell’ottagono allo spettatore appaiono sempre quadri omogenei. Il Longhena decise di distinguere nettamente l’ambiente principale e il santuario, definito da 2 grandi absidi e coperto a cupola. Egli usò pilastri giganti invece di colonne e sostituì le finestre a montanti con normali finestre su due ordini. Il coro rettangolare è a sua volta separato dal santuario da un arco che poggia su coppie di colonne isolate. All’interno del coro il sistema architettonico cambia di nuovo: due piccoli ordini di pilastri sono collocati uno sopra l’altro. Longhena riuscì a raggruppare unità spaziali creando connessioni sceniche. Dall’entrata della chiesa le colonne gli archi che incorniciano l’altare guidano lo spettatore verso il centro spirituale attraverso una sequenza di archi, uno dietro l’altro. Si crea una progressione scenica lungo l’asse longitudinale, paragonabile a quella di un teatro, con la sequenza relativa alle quinte sulla scena. All’esterno la spinta della cupola è deviata su coppie di contrafforti (volute) che poggiano sugli archi dell’ambulacro, mentre le pareti laterali delle cappelle fanno da piedritti per la cupola, che è costituita da una volta interna e una esterna; la prima è posizionata sopra un semplice tamburo circolare di mattoni e affiancata da due campanili, la seconda deriva da quella di San Pietro ed è costituita da piombo sul legno, secondo il costume veneziano. Dal Canal Grande le cappelle a destra e sinistra dell’entrata sono cospicue, sono state trattate come piccole facciate di chiese indipendenti e il loro piccolo ordine è ripreso nel gigantesco motivo dell’arco trionfale d’ingresso. La facciata è come una “scenae frons” e con la porta principale spalancata la sequenza consecutiva di archi all’interno, conclusa dall’arco trionfale, rievoca una vera e propria disposizione scenica. 121) CERTOSA DI SAN MARTINO A NAPOLI - COSIMO FANZAGO Architettura di Napoli simile a quella di Firenze. Fonzago si occupò del chiostro e della facciata dell’impianto. L’architetto decise di agire cromaticamente con il bianco e il nero, creando un effetto “negativo fotografico”; il materiale più scuro era applicato alle colonne e quello più chiaro alle tamponature. Stessa tonalità per le pavimentazioni. 122) FACCIATA DELLA CHIESA DELLA SAPIENZA A NAPOLI - COSIMO FANZAGO Facciata condizionata dalle condizioni territoriali di Napoli. Costituita da dislivelli che obbligarono l’architetto a creare una facciata equipaggiata con una scalinata diretta verso il portico principale. Il cromatismo dei materiali separa i grandi interassi con ordinanza minore. Alla chiave dei singoli archi sono inseriti degli elementi scultorei. Sul fregio appare la dedica incisa, mentre al di sopra si sviluppa una balaustra di sicurezza. I lati corti riprendono lo schema frontale degli archi, con un elemento singolo. 123) SAN GIUSEPPE A PONTECORVO - COSIMO FANZAGO Progetto ex novo di Fanzago, che decise di creare uno spazio a doppia simmetria. Abside aperta per creare una connessione tra la chiesa il coro delle monache retrostante, mentre in facciata viene disegnata una controabside, simmetrica alla prima. Caratteristica della facciata è la presenza di uno scalone iniziale, senza il quale non si arriva all’ingresso. Fonzago si rifà al trattato sull’architettura religiosa scritto dall’Arcivescovo Borromeo: i monasteri femminili avevano bisogno di 2 cappelle laterali mediane, che permettessero di osservare l’altare. A conclusione della struttura c’è una copertura a volta. 124) SANTA MARIA DELLA DIVINA PROVVIDENZA A LISBONA- GUARINO GUARINI La chiesa, distrutta nel terremoto (1755), aveva una pianta longitudinale che derivava dal tipo tradizione del Nord Italia e mostrava una sequenza di unità a cupola, con pareti ondulate e i punti salienti caratterizzati da finestre inserite nelle lunette. Intricata combinazione di forme spaziali. Questa architettura richiedeva un nuovo modo di studiare la matematica. Dai documenti si evince un corpo a navata a due campate e cappelle laterali passanti. Nello spessore murario dei singoli piloni sono scavate delle nicchie circolari, il quale accesso è incorniciato da paraste sinusoidali che conferiscono a tutta la struttura un continuo movimento. La copertura per ciascun vano viene dotata di una piccola lanterna, che aumenta dimensioni nell’incrocio tra navata e transetto. 125) CAPPELLA DELLA SACRA SINDONE - GUARINO GUARINI La casa Savoia possedeva il sacro sudario E decise di costruire una cappella all'estremità orientale del Duomo, Congiunta con il palazzo. Nel 1655 Carlo Emanuele II diede l'incarico ad Amedeo di Castellamonte. Guarini subentrò 10 anni dopo quando la costruzione arrivava al cornicione del piano più basso punto secondo Castellamonte il corpo cilindrico doveva essere concluso con una cupola sferica E, ma Guarini decise di sconvolgere il disegno e introdusse tre anditi circolari, Guarini fa seguire alla scala davanti al portale mediano una curvatura che parte da una altro centro. Per il presbiterio Guarini usa un arco di cerchio più ribassato che parte da un punto interno alla campata centrale. L’architetto utilizza aggiustamenti empirici in determinati punti dell’opera, ma questo atteggiamento veniva giustificato nel trattato, dove afferma che la matematica è la prima regola per definire gli spazi, ma questa deve essere corretta quando impone delle viste poco piacevoli. Differenze tra questo progetto e quello successivo: mutamento investe la struttura spaziale della chiesa. Nel disegno i 4 spazi ovali sembrano quasi resecati dalla campata centrale e dagli Marconi, mentre nell’incisione gli ovali invadono lo spazio centrale con la loro convessità. Nella versione stampa si passa ad una più pulsante osmosi tra cellule spaziali. L’attacco della cupola sembra poggiare in falso, toccando quasi la sommità delle volte degli spazi ovali; in realtà l’anello esterno doveva essere sorretto da 4 barconi che corrono, nascosti, sopra le volte. Guarini riesce a creare una strettoia visiva che cela l’attacco della cupola dipinta e anche le bucature che illuminano l’affresco. Le lanterne negli spazi subordinati non vengono considerate, in favore di un drammatico contrasto spaziale tra le campate perimetrali. Guarini abolisce la tripartizione del presbiterio, lasciando spazio libero per la pala di altare. Gli ingressi del retro vengono occlusi per realizzare due cappelle ai lati del presbiterio, così da passare ad una soluzione più conclusa e simmetrica. Le coppie di colonne vengono ravvicinate e rese equivalenti alle colonne sul lato dei pilastri centrali. Inoltre il vibrante perimetro murario proietta all’esterno la concatenazione delle cellule spaziali circolari, mentre la facciata viene completate da due colonne laterali e da un’ulteriore curvatura. Guarini riesce a estrinsecare la legge del progetto originario, in vista della sua pubblicazione. In questo modo l’accento si sposta su l’ars combinatoria e investe il tema della pianta a quincunx. 129) SANTA SUSANNA - CARLO MADERNO Composizione basata su una concentrazione progressiva verso il centro. La triplice proiezione del muro è coordinata con il numero degli spazi tra le colonne; ampiezza aumenta verso il centro e la superficie del muro viene eliminata, in un processo che capovolge lo spessore del muro, dai cartigli manieristi alle nicchie con figure e la porta d0entrata che riempie l’intero intercolunnio centrale. L’ordine superiore sotto il semplice frontone triangolare è una realizzazione più leggera della fila inferiore. Nella facciata le tradizioni dell’Italia settentrionale e quelle di Roma sono mescolate. Sia il portone che la finestra superiore hanno un timpano minore curvilineo, mentre le nicchie del pianterreno ne hanno uno tradizionale e quelle del piano superiore un accenno di quello curvilineo spezzato centralmente. In nessuna dei suoi altri interventi Maderno ottenne una facciata con lo stesso grado di dinamismo e logica integrazione. 130) FONTANA DEL TRITONE - BERNINI Approfittando del fatto che un ramo secondario dell’Acqua Felice era stato fatto passare nelle immediate vicinanze, nel 1642 il Papa decise di realizzare una fontana, per decoro e utilità. La fontana fu realizzata nel 1643 in contemporanea con la conclusione del palazzo. Costruita interamente in travertino, rappresenta un Tritone dal tronco possente e le gambe coperte di squame, inginocchiato su una grande conchiglia aperta, sorretta da quattro delfini, nell’atto di soffiare in una conchiglia, da cui zampilla l’acqua che si raccoglie in un ampio cerchio della vasca bassa. Le code dei delfini fanno da piedistallo per la conchiglia, tra le code sono sistemate le chiavi e lo stemma pontificio, con le api. Caratteristica innovativa: la base cava del gruppo scultoreo principale. Il gruppo centrale non poggiava su un balaustro o un pilastro centrale, ma su una struttura che lasciava un vuoto nel centro. Le colonnine e le inferriate risalgono al XIX secolo. 131) PIAZZA NAVONA Nell’antica Roma era lo stadio di Domiziano, lungo 236 metri, largo 106 e ospita 30 mila persone. Lo stadio era decorato con statue, tra cui quella di Pasquino. Era tutto libero ed utilizzato per le gare degli atleti, non avvenivano invece le battaglie navali. La pizza veniva riempita d’acqua solo per lenire il caldo. Questa piazza presenta elementi architettonici e scultore dei maestri del barocco; doveva celebrare la grandezza del casato Pamphili. Innocenzo X volle che si erigesse il palazzo omonimo. Si ricorse perciò a demolizioni di isolati. Ruolo di rilievo fu assunto da Olimpia Maidalchini, che influiva sulla scelta degli architetti. La chiesa, realizzata da Borromini, ricorda il martirio che la Santa avrebbe subito proprio in quel punto della piazza. La chiesa sorge dove sin dal Medioevo era già stata eretta una chiesetta parrocchiale. La leggenda sulla fontana del Bernini, cioè che il Nilo ha una benda sugli occhi per sottrarsi alla visione della chiesa del Borromini e il Rio che si protegge con una mano da eventuali crolli, è infondata perché la fontana fu realizzata prima della chiesa. Vero invece che l’espressione della statua di Sant’Agnese sia segno di sconcerto. La competizione tra i due si risolse in tono scherzoso. 132) FONTANA DEI QUATTRO FIUMI - BERNINI Nel centro di Piazza Navona, plasmata da Bernini tra 1648 e 1651 su commissione di Innocenzo X. L’architetto regalò un modello in argento dell’opera alla cognata del papa, Olimpia Maidalchini, la quale convinse il pontefice soggiogando Borromini. L’opera doveva essere differente, con dimensioni ridotte e figure in bronzo. La scelta del travertino comportò l’aumento delle dimensioni. Le spese furono alte e il Papa dovette tassare il pane. Alla base della fonte c’è una grande vasca ellittica, sormontata da un gruppo marmoreo, sulla cui sommità si innalza l’obelisco egizio rinvenuto nel 1647 nel circo di Massenzio. La posizione centrale dell’obelisco ribadiva la validità dell’invenzione di Bernini di poggiare su una struttura cava. Le statue rappresentano i 4 fiumi, uno per ogni continente. La grande abilità del Bernini rese questi giganti pieni di vita e con un’incontenibile esuberanza espressiva. Il Danubio indica uno degli stemmi dei Pamphili; il Nilo si copre il volto in riferimento all’oscurità delle sue sorgenti; il Rio è vicino a delle monete che simboleggiano il colore argenteo delle acque e il Gange tiene per mano un lungo ramo ad indicarne la navigabilità. 133) PALAZZO GAMBIRASI - DE ROSSI Arciconfraternita di San Giacomo degli Spagnoli affidò nel 1659 a De Rossi l’incarico di un nuovo palazzo. L’architetto tenne conto del progetto per la piazza antistante Santa Maria della Pace di Cortona per creare una scenografia. Al piano terra botteghe, quindi le piccole finestre del mezzanino. Al centro, il portale rettangolare incorniciato con architrave, mensole laterali e lo stemma Gambirasi è di legno e sovrastato da una rosta in ferro. Seguono le 9 finestre del piano nobile e una portafinestra con balcone angolare, con i timpani decorati di mascheroni; all’ultimo piano le 10 finestre sulla cornice marcapiano sono decorate con volute e cartiglio. L’attico è articolato con finestrelle con cornice modanata e conclusa con un netto cornicione. 134) SANTA MARIA IN CAMPITELLI - CARLO RAINALDI Opera principale di Rainaldi. Agli inizi del 600 venne demolita una delle chiese della piazza omonima, al suo posto venne realizzata una chiesa dedicata a Santa Maria in portico. Sotto Paolo V venne ridisegnata la piazza usufruendo della demolizione di strutture. Durante Alessandro VII si decise di ampliare la chiesa. La prima modifica fu quella di aggiungere all’abside un santuario; Successivamente si decise di demolire la struttura e di sostituirla con una nuova grande chiesa. Il primo progetto elaborato da Rainaldi era una chiesa ovale longitudinale. Il santuario si presentava di forma circolare nella parte conclusiva della pianta. Il corpo ovale era dotato di sei cappelle, tre per lato; sull’asse trasversale si avevano vani ovali, mentre sugli assi diagonali si installavano cappelle rettangolari. L’architetto voleva sfruttare le colonne per 3/4 della loro forma, le quali diventavano intere nella forcipe della facciata convessa. La copertura era una calotta incisa di nette finestrature. Rainaldi modificò le sue proposte arrivando ad un impianto rettificato frutto del confronto tra due spazi quadrangolari; la filosofia è longitudinale e viene migliorata l’idea di articolare i due invasi con colonne intere e libere. Quattro di esse si disponevano nell’interspazio tra i due grandi vani. L’ispirazione principale per questi spazi pieni di colonne deriva dalle terme antiche. Gli archi trasversali raccordano la navata con il santuario, a tutta altezza nelle cappelle centrali e più ridotti, sotto le balconate decorative nelle cappelle laterali. Organismo a croce greca che si distingue dal santuario, semplicemente quadrangolare. La facciata è definita da due edicole, una dentro l’altra ed entrambe a tener due piani, tipologia tradizionale in Nord Italia. Il carattere barocco romano è espresso nelle forti sporgenze dei frontoni, nelle forme pesanti e nell’ampio uso delle colonne. Romani sono gli intercolumni all’estremità che derivano dai palazzi capitolini. 135) SAN MARCELLO AL CORSO - CARLO FONTANA Pietra miliare del classicismo tardo barocco. L’architetto lavora con sporgenze del muro che dividono l’intera facciata in singoli settori incorniciati da ordini, con ogni ordine che ha il suo complemento. La sporgenza del muro corrisponde al diametro delle colonne, sicché la colonna incastrata forma un motivo isolato. L’edicola che incornicia questo vano è staccabile e dietro le coppie di colonne isolate vi sono pilastri doppi che hanno corrispondenza al piano superiore. Gli ordini si ripetono, ma ciò risulta confuso dall’edicola che li nasconde. Possibile rimozione è tema che rimanda alle quinte teatrali.
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