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Storia dell'Arte comparata in Età Moderna - Seconda Traccia (Irene Graziani), Appunti di Storia dell'Arte Moderna

Appunti delle lezioni integrati da riassunti

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 12/05/2023

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_giulia1101 🇮🇹

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Scarica Storia dell'Arte comparata in Età Moderna - Seconda Traccia (Irene Graziani) e più Appunti in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! 1 STORIA COMPARATA DELL’ARTE EUROPEA IN ETA’ MODERNA Seconda Traccia Il quotidiano nella pittura europea della seconda metà del Cinquecento APPUNTI Fiandre Nelle Fiandre (ad Anversa principalmente) nasce un nuovo genere = racconto del quotidiano, il racconto della “vita popolare”, della vita comune, della vita bassa. È un genere artistico che nasce intorno alla metà del 500 e le ragioni sono svariate. Eugenio Battisti ha pubblicato vari saggi a riguardo = L’altra faccia del Rinascimento. Il diffondersi del racconto del quotidiano è strettamente legato ai cambiamenti religiosi che in quel periodo stavano avvenendo = riformisti. Dove si è radicata un tipo di forma religiosa che si avvicina all’iconoclastia = in quei luoghi la scena di vita popolare prende piede = la storia del racconto sacro non è più legittimato a comparire nelle immagini, poiché tali scene hanno creato fenomeni di iconoclastia. Quando nasce questo racconto del quotidiano prende piede, Anversa è un luogo abbastanza tollerante e diviene una città mercantile importantissima (successivamente alla scoperta dell’America). Pieter Aertsen, olandese ma trasferitosi ad Anversa, è un artista importantissimo nella pittura del quotidiano. La sua Macelleria del 1551 è una delle sue prime opere in tal senso. Scena di vita quotidiana + scena religiosa in secondo piano (fuga in Egitto e Madonna che porge un pezzo di pane ad un bambino) = iconografia inusuale. In primo piano ci sono invece degli oggetti bassi, oggetti di un quotidiano feriale = oggetti non più di corredo, ma veri protagonisti. In primo piano c’è una bancarella di un macellaio = abilità mimetica incredibile. In primo piano è come se ci fosse una natura morta, genere che si genera in relazione a questo tipo di pittore. In secondo piano vi è un macellaio intento al lavoro. Sul suolo, attorno a quest’ultimo, vi sono gusci di cozze, pezzi d’uovo e ostriche abbandonate al suolo = elementi considerati afrodisiaci + uovo anche legato al tema del matrimonio e alla fragilità della verginità. Sul fondo, sempre a destra, vi sono delle coppie di uomini e donne intenti a trascorrere con gioia il tempo = locanda con connotazione erotica/ bordello. Soddisfazione di due dei peccati capitali: gola, lussuria. Verso sinistra invece abbiamo delle religiose. Nell’ultima finestrella sulla sinistra: edificio con una torre = cattedrale di Anversa = verso cui sta andando quella che sembra essere una processione, in secondo piano, dietro la natura morta in primo piano. Dalla vita attiva alla vita contemplativa = da dx → bordello; a sx → scena religiosa con processione che va verso la cattedrale. La scelta degli elementi in primo piano non è casuale: cibo grasso e cibo magro, come il pesce (= invito a moderare i propri istinti) + testa del bue (= allusione al tema della morte) → elementi che sono di carattere religioso. La gilda dei Macellai, che ospitava i luoghi ove venivano vendute e preparate le carni, nel 1551 festeggiava il cinquantenario della fondazione della nuova sede, dunque probabilmente furono loro i committenti. Immagini come questa sono immagini invertite / rovesciate = ciò che dovrebbe essere marginale diventa il protagonista principale. Altra Macelleria (con Cristo in casa di Marta e Maria), sempre di Aertsen, del 1552. Anche qui ci troviamo davanti ad una rappresentazione di natura morta, di umilia, come gli antichi chiamavano tali rappresentazioni = occupazioni abituali e oggetti umili si rappresentavano anche in antichità (è Plinio a parlarci di tale genere = autore che probabilmente Aerten aveva letto, essendo stato un 2 grande intellettuale). In secondo piano, in una concatenazione di ambienti, vediamo incorniciato dalla porta, una scena tratta dalle sacre scritture = Cristo in casa di Marta e Maria. Qui siamo di fronte ad una scena nella scena, ad un dipinto nel dipinto. In primo piano ci sono inoltre degli elementi che rinviano ad una riflessione religiosa: agnello (sacrificio di Cristo), garofano piantato nel lievito (incarnazione). Aertsen, Scena di cucina (con Cristo in casa di Marta e Maria), del 1553. Come al solito: natura morta in primo piano + scena religiosa sullo sfondo/ in secondo piano. Joachim Beuckelaer, nipote di Aertsen, continua la tradizione dello zio ad Anversa. Pensiamo in tal senso al suo dipinto Scena di cucina (con Cristo in casa di Marta e Maria), del 1566. In questo momento la tolleranza presente ad Anversa stava venendo meno (forse per questo Aertsen se ne torna in Olanda) = in quel periodo un tipografo era stato infatti decapitato per aver stampato delle cose considerate eretiche = tolleranza religiosa sta venendo meno. In questo contesto Beuckelaer rimane ad Anversa, e continua come prima accennato la tradizione cara allo zio. Vocazione per una pittura legata al reale, al comune. La quotidianità è protagonista, l’umanità è quella popolare, bassa. La gestualità molto spesso è inoltre caricata a volte, così come anche le fisionomie = volti non nobilitati, quasi comici = registro basso per narrare le cose. Mercato (con Ecce Homo) è un altro dipinto di questo artista ed è sempre del 66. Qui sul fondo c’è il racconto dell’Ecce omo + presenza di vita reale e popolare in primo piano. Italia Campi e Passerotti Questa cultura che nasce ad Anversa, e che ha come ideatore la macelleria di Aertsen, quando e dove arriva in Italia? Arriva nella seconda metà del 500 e in Lombardia, a Cremona in particolare. Vincenzo Campi fu uno dei primi nomi a sperimentare questo genere. Egli, insieme anche a Passerotti, parteciperanno ad un bando per il completamento di una Assunta nel duomo cremonese = occasione in comune che può aver indotto anche il Passerotti a conoscere e praticare questa cultura del nord Europa. Vincenzo Campi, Pollivendoli (Pinacoteca di Brera, 1575). Scena di vita quotidiana + volti caricaturali + atteggiamenti allusivi e erotici (donna scollacciata) + richiamo, nella gestualità, della scultura antica classica (es. Vecchia ubriaca dei Musei capitolini o Fanciullo che strozza l’oca del Louvre). Discorso non nobile, riferimenti gergali, battute oscene, registro comico (comico e anche didascalico ovviamente), umanità deforme e diversa da quella che sa contenersi e che sa fare esercizio di virtù. Sempre di Campi: Pescivendoli (Pinacoteca di Brera, 1575). Personaggi grotteschi e a volte fissi (donna lasciva, vecchio molesto ecc.), che rappresentano la dimensione del comico che si carica anche con valori morali/ didascalici. Il contenuto è sempre dunque moraleggiante. Queste di Campi, fanno parte di una serie di 5 dipinti: 4 a Brera + 1 a Cremona. Nell’opera dei Pescivendoli è palese questo connubio caricatura + morale → si guardi alla donna con il bambino in braccio sulla sx → qui lei, sguaiata e caricaturalmente sorridente, mangia (peccato della gola = ecco perché è rappresentata in modo animalesco) ed è completamente distratta rispetto a quello che sta accadendo al bambino che ha in braccio → bambino piangente poiché morso da un granchio. Bambino morso da granchio = iconografia che non si inventa Campi ma che ritroviamo (prima) nelle opere di Sofonisba Anguissola, anche lei cremonese. Questa grande attenzione per le espressioni, le espressioni caricaturali = ha un grande modello in Leonardo. Mangiatori di ricotta (altra serie di Campi molto bella), 1580 ca. Climax = progressione come in una scala, una gradazione di comportamenti che vanno da dx fino all’estrema sx. Figure molto 5 La Macelleria più importante di Annibale è quella di Oxford, compiuta nell’82-83. Il dipinto è grandissimo = questo conferisce monumentalità e dignità ai personaggi. Confronto con il Raffaello degli arazzi della Sistina = Pesca miracolosa = la gestualità, l’attenzione per il dato naturale, confronto con la resa naturale (ovviamente Raffaello poi dalla natura operava una selezione = selezione che poi opererà anche Annibale nella sua produzione successiva), ponderatezza dei corpi, chiarezza sintattica → tutte queste caratteristiche si ritrovano nella Macelleria di Oxford di Annibale = recupero di Raffaello, scavalcando il cadavere del Manierismo. Nella Macelleria di Oxford viene rappresentata la scena di un negozio, una scena quotidiana. I personaggi sono caratterizzati da una mobilità lieve, pacata. Qui si riporta l’attenzione su TUTTE le attività del macellaio: c’è chi confeziona le carni, chi taglia le carni ecc. Sulla sx abbiamo un compratore. Annibale dunque ci racconta tutta l’attività lavorativa del macellaio: dalla produzione alla vendita = racconto di una cronaca. Qui siamo inoltre nella Bologna di Paleotti, quindi il significato dell’opera è sicuramente legato con la volontà di riforma sociale e religiosa. In effetti, proprio in quel periodo (= fine anni 70) venne emanato un editto, nel quale si prescriveva cosa si poteva consumare in età di quaresima = per questo motivo molto probabilmente nel dipinto sono rappresentate solo le carni che si potevano mangiare in quel dato periodo = in effetti, in questa Macelleria non sono rappresentate le carni di maiale = valore molare ed educativo = dipinto con funzione pedagogica = Annibale rinnova l’arte, rimanendo comunque dentro una tradizione/ consuetudine (Paleotti, Raffaello). Benati, parlando della pittura di Annibale, la definisce un “laboratorio del vivo” → espressione efficace che Benati adotta nel suo saggio = più che il vero, il vivo = volontà di ripresa della vita, della realtà mutabile = non è un riprodurre è un raffigurare il vivo. Riprodurre = azione meccanica; raffigurare = confronto con una realtà naturale viva e con una sensibilità che risveglia i suggerimenti di Raffaello. Sempre negli anni 80, ad Annibale viene commissionata una Crocifissione con la Vergine per la Chiesa bolognese di Santa Maria della Carità = opera non salutata felicemente dai suoi contemporanei: - Malvasia = scarsa abilità del comporre (= es. Madonna quasi nascosta dalla presenza di San Francesco in primo piano); “un modo triviale troppo” (= accusa di linguaggio basso, di linguaggio ignobile); “operazioni basse e plebee […] prive di decoro e nobiltà” (= accuse che verranno rivolte anche a Caravaggio); - Artisti contemporanei bolognesi = “quel ragazzaccio di Annibale avea dirato giù con quel suo modo impaziente e poco pulito; onde quelle storie in tal guisa non ben terminate e finite tenessero più allo schizzo e forma di primo sbozzo, che di veri quadri aggiustati e compiti”. Passerotti, il Villano → Annibale, il Mangiafagioli = scarto di novità non indifferente. Le fisionomie di Annibale non sono assolutamente caricaturali come quelle del Passerotti. In Annibale c’è un’indagine di una espressività vera e reale del volto. Come in altri dipinti di tema feriale del Carracci – e segnatamente le sue macellerie – il Mangiafagioli mostra affinità stilistiche e formali con opere di altri maestri attivi nello stesso campo, discostandosene però, in modo decisivo, quanto al significato complessivo dell'opera. Con ogni probabilità, infatti, si coglie nel Mangiafagioli l'influenza di alcuni precedenti del Passarotti. Anche l'esempio di Vincenzo Campi, e in particolare dei suoi Pescivendoli intenti a consumare con gusto il loro pasto è stato avvicinato al dipinto di Annibale. Ma pur nella continuità figurativa con questi precedenti, l'innovazione introdotta da Annibale è profonda. Egli non edulcora il tema – anche il suo è un rozzo contadino che trangugia un pasto umile – ma è del tutto assente nel suo Mangiafagioli (al pari di quanto osservabile nella quasi contemporanea Grande Macelleria) 6 ogni deformazione grottesca e triviale che invece è parossistica nei protagonisti delle scene di osteria del Passarotti e del Campi (per quest'ultimo si pensi anche ai suoi Mangiatori di ricotta), talora non priva anche di grevi allusioni sessuali e postribolari (come nell’Allegra compagnia). Il Mangiafagioli di Annibale, invece, restituisce, quale essa appariva nella realtà, una scena di vita quotidiana. Marca questa differenza anche l'atteggiamento ben diverso del villano di Annibale rispetto ai protagonisti dei dipinti di Passarotti e di Campi. Questi si protendono esplicitamente e quasi sguaiatamente verso il riguardante che evidentemente vogliono impressionare e divertire. Il Mangiafagioli di Annibale, viceversa, è chiaramente sorpreso dalla comparsa dell'osservatore, come dimostrano lo sguardo attonito e la sospensione del gesto di portarsi il cucchiaio alla bocca, che rimane spalancata mentre alcune gocce della zuppa ricadono nella scodella. Ragazzo che beve di Cleveland (1584). Varie versioni. Gestire pausato, naturalezza, studio dal vivo ma già addomesticato. Caravaggio Sempre nell’ambito della scena di vita popolare dobbiamo ovviamente parlare del Caravaggio. Longhi è colui che “scopre” Caravaggio, vedendolo come una persona non isolata nel suo ambito, la sua non è stata un’operazione così romantica, ma si inserisce in un contesto comune. Ragazzo con canestra (1594). Intorno a questi anni (92-93) Caravaggio arriva a Roma = bottega del Cavalier d’Arpino = qui l’artista esegue questi piccoli dipinti, con garzoni + nature morte, che avranno moltissima fortuna. Giovanni Baglione (che sarà in contrasto con Caravaggio) sottolinea quella che è una novità inaudita dell’operare del Caravaggio = “Caravaggio dipinge alcuni quadretti nello specchio ritratti” = Caravaggio dipinge servendosi dello specchio. Cosa significa questo? La realtà tridimensionale, riflessa sullo specchio, diventa bidimensionale = è già pittura → questo significa che, nello specchio, la realtà si riflette senza nulla omettere = lo specchio riflette cioè il vero, senza alcun tipo di correzione = l’artista dunque ricalca ciò che trova nello specchio aderendo perfettamente, senza filtri, alle verità di natura = strumento che incrementa il senso della vista. In questo l’operato di Caravaggio si intreccia con quello di Galileo Galilei = uso del cannocchiale = mediante uno strumento si studia meglio la realtà, mediante uno strumento faccio divenire più reale/ concreta la realtà. Chi è il buon pittore secondo Caravaggio? [Info che sappiamo dagli atti del processo del 1603, contro Baglione] → il buon pittore è, secondo il Merisi, colui “che sappi dipinger bene et imitar bene le cose naturali”. Tutto quello che non è seguire e copiare la natura è, secondo Caravaggio, “bagatella, fanciullaggine”. Mancini ci dice che Caravaggio dipingeva in una stanza “tinta di nero, con una luce spiovente dall’alto, senza riflessi”. Giustiniani inoltre, ci dice che per Caravaggio tutti i generi avevano pari dignità: la pittura di storia non è più elevata della pittura con scene di vita popolare. Ragazzo morso da un ramarro (1593). La radice lombarda della pittura di Caravaggio qui è ben ravvisabile = pittura di valori, pittura attenta ai dati di oggettività, volontà di maggior concretezza. Quest'opera raffigura un ragazzo morso da un ramarro che sbuca dai fiori e dai frutti in cui era nascosto → monito = anche tra le cose più belle (fiori, frutta) può nascondersi il male, l’insidia (uno dei significati della natura morta). La buona ventura (1593-94), versione della Galleria Capitolina. Scena di vita popolare, quotidiana. In che rapporto sta questa rappresentazione quotidiana con la trattatistica di età di 7 Controriforma? Certamente queste appena citate sono immagini che hanno una funzione ANCHE moraleggiante = mai pensare ad un’abilità artistica che cresce su se stessa = la produzione artistica è sempre in funzione del pubblico/ del contesto in cui è nata. Queste sono immagini pensate per una funzione, una funzione pedagogica. Nella Buona ventura questo c’è = la fanciulla, invece di leggere la mano al giovane, gli sta rubando l’anello = la bellezza nasconde l’inganno, le insidie possono essere ovunque, anche quando non ce le aspettiamo. I Bari. Anche qui: il giovanotto ricco e ingenuo, viene derubato. Anche il gioco/ il divertimento nascondono insidie. Intento morale/ pedagogico + capacità lenticolare mirabile. Maddalena (1594-95). Di questa opera ne parla il Bellori, che la descrive + ne palesa la novità → prese una fanciulla, la finse per Maddalena e la ritrasse = fenomeno riscostruito in laboratorio. Elementi emblematici, come i gioielli, ci fanno capire che ella è Maddalena, altrimenti potrebbe sembrare una semplice ragazza seduta. MAI una Maddalena era stata rappresentata così. Questo è lo scarto da quello che la trattatistica di età post-tridentina raccomandava. Madonna dei pellegrini/ Madonna della serpe/ Morte della Vergine. al verosimile si sostituisce il vero = il principio del decoro va in cristi = non c’è “ciò che si addice”. Realtà bassa, realtà dei plebei. Si contravviene alle consuetudini di una iconografia. DISPENSE Olmi, Prodi. Gabriele Paleotti, Ulisse Aldrovandi e la cultura a Bologna nel secondo Cinquecento Giuseppe Olmi - Paolo Prodi (1932-2016) → professori di storia moderna all’UNIBO e nelle principali università italiane. Riforma protestante (o scisma protestante) → nelle sue correnti principali della Riforma luterana e della Riforma calvinista, è il movimento religioso di separazione (Scisma) dalla Chiesa Cattolica avvenuto nel XVI secolo, con risvolti politici di tipo rivoluzionario, che ha portato alla nascita del cosiddetto "cristianesimo evangelico". Figura centrale alla quale si attribuisce la nascita del movimento protestante è l'ex-frate agostiniano Martin Lutero. Concilio di Trento (1545-1563) → il concilio di Trento o concilio Tridentino fu il XIX concilio ecumenico della Chiesa cattolica, convocato per reagire alla diffusione della riforma protestante in Europa. L'opera svolta dalla Chiesa per porre argine al dilagare della diffusione della dottrina di Martin Lutero produsse la controriforma. Il concilio di Trento si svolse in tre momenti separati dal 1545 al 1563 e durante le sue sessioni a Roma si succedettero cinque papi (Paolo III, Giulio III, Marcello II, Paolo IV e Pio IV). Produsse una serie di affermazioni a sostegno della dottrina cattolica che Lutero contestava. Con questo concilio la Chiesa cattolica rispose alle dottrine del calvinismo e del luteranesimo. Il concilio non riuscì nel compito di ricomporre lo scisma protestante e di ripristinare l'unità della Chiesa, ma fornì una risposta dottrinale in ambito cattolico alle questioni sollevate da Lutero e dai riformatori. Venne fornita una dottrina organica e completa sui sacramenti e si specificò l'importanza della cooperazione umana e del libero arbitrio nel disegno di salvezza. Riforma Cattolica → per Riforma Cattolica si intende quell'insieme di misure di rinnovamento spirituale, teologico, liturgico con le quali la Chiesa cattolica riformò le proprie istituzioni dopo il Concilio di Trento. Furono in particolare i pontefici successivi al concilio ad attuare e portare a compimento il processo di riorganizzazione della Chiesa. Il primo di essi è papa Pio V, eletto nel 10 animatore/ direttore scientifico della creazione di una “Società topografica bolognese” (idea sostenuta da molte personalità, tra cui il senatore Camillo Paleotti, fratello di Gabriele e datata 1572). La ricerca in campo scientifico è comunque il pezzo forte dell’Università bolognese. L’anatomia e la chirurgia erano materie predilette nella città felsinea e caratterizzate da continui progressi e continue scoperte, anche grazie a personalità quali Berengario da Carpi (professore di anatomia e celebre chirurgo). È però nel campo dell’investigazione del mondo animale/ vegetale che l’osservazione diretta della realtà e il ricorso massiccio alla raffigurazione delle forme studiate – operazioni che ovviamente avvenivano anche per anatomia e chirurgia – diventano prassi talmente comune da infondere quasi una sorta di marchio caratterizzante all’intera cultura bolognese. Campione in questo tipo di attività fu ovviamente l’Aldrovandi. Quest’ultimo – dopo studi di logica, diritto, matematica, medicina nelle università di Bologna e Padova – viene processato dall’Inquisizione nel 1549 quale presunto seguace delle dottrine antitrinitarie di Camillo Renato. Superato tale inconveniente, egli orienta i suoi interessi verso le scienze naturali e inizia una lunga attività di studioso, destinata a durare circa mezzo secolo, nel corso della quale imposta una sistematica indagine della realtà naturale. Dal 1556 egli divenne inoltre docente universitario, e, nel corso del suo lungo insegnamento, lo scienziato bolognese non venne mai meno al principio ispiratore della sua instancabile attività di osservazione della realtà: la continua utilizzazione in chiave pubblica dei risultati della sua ricerca scientifica, la finalizzazione del proprio lavoro al miglioramento delle condizioni dell’uomo → egli rifiutò sempre infatti quel metodo di indagine basato su segretezza e isolamento. Il settore in cui Aldrovandi si impegnò particolarmente fu infatti quello dell’assistenza pubblica, nonché quello della riqualificazione dell’arte medica e farmaceutica. Inoltre, appoggiò moltissimo la riforma dello Studio tentata dal Paleotti, come emerge anche da un memoriale a lui inviato in cui si richiede maggiore spazio all’insegnamento universitario delle scienze naturali. Altra iniziativa importante: la fondazione del (primo) orto botanico della città, tramite il quale l’Aldrovandi dotò studenti, medici e speziali di un laboratorio di istruzione/ ricerca. Qui si potevano coltivare molteplici specie di piante provenienti da tutto il mondo = strumento di aiuto agli studi botanici + fonte di prodotti terapeutici. L’Aldrovandi fu poi autore di un’opera molto importante: l’Antidotarii Bononiensis … epitome = prima farmacopea del centro emiliano, mediante la quale si potevano stabilire i farmaci legittimi e i criteri della loro preparazione. Comunque, la più vera e grande impresa dello scienziato bolognese, fu sicuramente la stesura di un completo e dettagliato catalogo dell’intera realtà naturale. Per fare questo, ovviamente non si accontentò dello studio di manuali o di informazioni che numerosi studiosi gli comunicavano, questo perché la sua voleva essere un’innovativa ricerca, all’insegna della continua osservazione della realtà. Per riuscire bene in questo intento = orto botanico + il suo “teatro di natura”. Per “teatro di natura” si intende il suo personale studio, caratterizzato da una enciclopedica commistione di artificialia e naturalia, una sorta di “campo di gara” fra arte e natura, all’interno del quale è possibile approdare alla conoscenza universale. Gli esemplari che colleziona, tra minerali, animali e piante, arrivano al numero di 18.000 pezzi e costituiscono uno strumento di ricerca/ di semplificazione didattica. Questa funzione pubblica del suo personale museo, viene da lui costantemente ricordata e ulteriormente ribadita nel testamento = rifiuto della segretezza del sapere, volontà di operare al fine di migliorare l’effettivo patrimonio del genere umano. Conoscere la natura per lui significa non solo vederla di continuo, ma anche FARLA VEDERE. Le difficoltà relative al suo ambizioso progetto furono molte. Sappiamo che, per arricchire di continuo il suo museo, egli poteva contare sull’aiuto di moltissimi studiosi e principi appassionati 11 alla storia naturale. Nonostante ciò, ottenere esemplari dalle terre lontane (ed in particolare dalle Americhe) era sempre molto difficile. Per poter conoscere tutte le forme dei regni della natura e per poterle documentare anche visivamente, lo scienziato raccolse, ma soprattutto fece direttamente eseguire circa 8000 figure di animali, piante e minerali. Solo in tal modo riuscì a raggiungere lo scopo di formare un immenso archivio della natura. Alla realizzazione del dettagliatissimo corpus iconografico aldrovandiano contribuirono parecchi artisti = pittori, disegnatori, incisori = formazione di una vera e propria bottega artistica specializzata nella produzione di soggetti naturalistici = tali artisti ebbero un notevole ruolo quando si trattò di mandare alle stampe la Storia Naturale dell’Aldrovandi, corredata ovviamente da immagini. Artisti che strettamente si legarono allo scienziato: Giovanni de’ Neri, Cornelio Schwindt, Cristoforo Coriolano. Questo stretto contatto con gli artisti, fecero nascere in lui riflessioni sul significato e sul valore delle arti. Le raffigurazioni delle “cose di natura” rappresenta per lo scienziato bolognese un mezzo estremamente idoneo per raggiungere la loro conoscenza e per poterne poi effettuare un’esatta descrizione. Egli aveva quindi bisogno di copie assolutamente fedeli della realtà, eseguite cioè da artisti disposti a lavorare “dal vero” e a lasciarsi guidare da lui, rinunciando ad ogni velleità di tipo estetico. La conseguenza di ciò = mortificazione delle capacità creative degli artisti alle sue dipendenze + adozione di un metro di giudizio, nelle sue teorizzazioni sulle espressioni figurative, tutto all’insegna di un realismo quasi ossessivo. Certamente il suo giudizio circa la pittura era positivissimo: “arte nobilissima, la più bella, la più honorata” = tuttavia, tale giudizio entusiasta viene da lui dato esclusivamente perché la pittura offriva ottime possibilità nella riproduzione “al vivo il prodotto della natura” = il vero significato della pittura risiede nella sua utilità, nell’aiuto che essa offre per documentare l’intera realtà naturale. Tale visione strumentale dell’arte rende difficile l’attribuzione di un influsso troppo diretto circa lo sviluppo della pittura bolognese del secondo Cinquecento all’Aldrovandi. Tuttavia, se l’analisi scientifica del naturalista viene considerata semplicemente come uno dei fenomeni inseriti nella vita culturale bolognese, essa finirà per apparirci non del tutto estranea a taluni orientamenti pittorici che si stavano manifestando in quel periodo nella città emiliana. In tal senso il primo concreto elemento da tenere in considerazione è quello costituito dalla fitta rete di rapporti intrattenuti dall’Aldrovandi con l’ambiente artistico bolognese. Infatti, se molti artisti gli “servirono” per le sue immagini naturalistiche, altri pittori furono da lui ingaggiati per l’esecuzione di opere normali, a carattere sia sacro che profano = Camillo Procaccini, Cesare Aretusi, Mario Sabatini (figlio di Lorenzo). Vari altri artisti poi avevano una diretta conoscenza dello studio-museo dell’Aldrovandi: Bartolomeo Passerotti, Prospero e Lavinia Fontana, Lorenzo Sabatini. Ovviamente le occasioni di incontro con questi artisti non si limitavano all’ambiente del suo studio-museo = sappiamo ad esempio che il naturalista era amico e frequentatore delle case dei Fontana (Malvasia). Probabilmente, fu anche grazie a tali contatti che l’Aldrovandi riuscì ad acquisire le giuste credenziali per entrare a far parte di quel gruppo di esperti ai quali il Cardinale Paleotti era solito sottoporre i singoli capitoli in via di stesura del suo Discorso intorno alla immagini sacre e profane. Oltre a questo, si ricordi ovviamente che Aldrovandi-Paleotti erano molto amici = questa forte amicizia deriva, tra le altre cose, anche dal loro comune interesse per le cose naturali. L’indagine naturalistica in Paleotti non era solo frutto di un proprio interesse personale, anzi, era anche molto legata al suo impegno religioso → su esortazione dell’Aldrovandi infatti, egli iniziò a comporre il Theatrum biblicum naturale = ossia una historia naturalis del mondo biblico che, come tale, rappresentava un mirabile tentativo di penetrare nella Scrittura con il nuovo metodo classificatorio delle scienze della natura. Interessanti sono delle epistole fra questi due eruditi circa l’origine e l’essenza della pittura: anche in tal caso l’Aldrovandi cade in una serie di luoghi comuni, assegnando alla pittura l’unico compito di fornire immagini fedeli alla realtà. 12 Il forte rapporto Aldrovandi-Paleotti, emerge moltissimo nel trattato paleottiano, ove emergono echi della quotidiana consuetudine dell’Aldrovandi con il mondo naturale: • Capitolo XII, primo libro (dedicato alle immagini profane) → qui si affida alla pittura (anche) il compito di favorire l’esplorazione sistematica dei tre regni della natura, poiché è solo grazie ad essa che diventa possibile avere la vera notizia di piante, uccelli, pesci ecc.; • Passi in cui Paleotti rivendica alla pittura la capacità di rendere “le cose presenti agli uomini, se bene sono lontane”. = i due quindi, pur partendo da motivazioni diverse (scientifiche nell’uno, religiose e morali nell’altro), finiscono per esprimere giudizi e proposte assai convergenti. Quale fu l’impatto del Discorso sull’ambiente artistico bolognese nel suo complesso [si tralascerà in questa sede il complesso problema dell’influsso sui Carracci e del naturalismo di Ludovico]? Certamente ricca di implicazioni e sostenuta da prove inconfutabili, è la costatazione che il trattato paleottiano non rappresentava un prodotto intellettuale isolato, spuntato dal nulla. Il Cardinale infatti, non solo intendeva rivolgersi in modo specifico alla sua città, ma aveva anche cercato, come si è detto, l’approvazione di vari personaggi (Sigonio, Aldrovandi, Fontana, Tibaldi). Inoltre, si verificarono a Bologna, in un periodo limitato di tempo, tre avvenimenti che a stento possono esser considerati isolati/ casuali: 1) 1582 → Discorso di Paleotti; 2) Fine 1583 → affreschi dei Carracci a Palazzo Fava = opera che avrebbe rivelato il loro valore e il loro distacco dalla vecchia scuola locale; 3) In quegli stessi anni → Aldrovandi conclude la fase più complessa del censimento iconografico della natura e si appresta a raccogliere i frutti del suo lavoro facendo ricavare dalle migliaia di tempere di cui è entrato in possesso le xilografie da inserire nelle sue opere a stampa. In tale fermento di iniziative che scuotono le fondamenta dell’ambiente artistico = i pittori più all’avanguardia iniziano a prendere coscienza del loro ruolo sociale. A Bologna, questo processo di emancipazione prende piede con un certo ritardo rispetto ad altri contesti. Vari segni di evoluzione si possono annoverare in tal senso: • Apertura dell’Accademia dei Desiderosi (1583-84) → con essa, una nuova atmosfera, una maggiore spregiudicatezza nell’insegnamento iniziano ad affiorare. Non più l’attenzione esclusiva per l’antico o la tradizione: il mondo intero entra nell’Accademia, come già, pur con altre motivazioni, era penetrato nello studio aldrovandiano. • Gli sforzi compiuti dai pittori per raggiungere una posizione corporativa autonoma → questo perché, consapevoli del loro valore, essi volevano con forza proclamare la nobiltà della loro arte e, per via di essa, rifiutare qualsiasi tipo di associazione con coloro che esercitavano una mera arte meccanica. Conseguenza di ciò: l’istituzione di un’Arte composta di soli Pittori (1600). = L’Accademia carraccesca e la Compagnia dei Pittori furono il risultato di una medesima temperie culturale. Questo è dimostrato chiaramente nell’atteggiamento di Ludovico, che, alla morte di Agostino e con Annibale oramai stabilitosi a Roma, vede nella fusione con la Compagnia l’unica possibilità di sopravvivenza per l’istituzione da lui fondata con i cugini venti anni prima. L’azione e il pensiero di Paleotti, sono rintracciabili nello stile rigoroso e severo di Bartolomeo Cesi. Oltre a questo, bisognerà inoltre ammettere che, quella quotidianità e contenuta religiosità che 15 Benati. Annibale Carracci e il vero Nell’Autoritratto di Annibale alle Pinacoteca di Brera, l’artista si raffigura entro uno spazio del quale riusciamo solamente a percepire una parete grigia. Contro di essa: due tele, quella che l’artista sta dipingendo e quella sulla sinistra, non ancora dipinta. Insieme a lui ci sono altre persone: un giovane, un uomo adulto, una persona anziana. Dei quattro personaggi dipinti, solo Annibale guarda lo spettatore: lo guarda, ma non lo vede, perché in realtà sta controllando la propria fisionomia e la propria posa allo specchio. Il dipinto è infatti un autoritratto allo specchio, o meglio, è lo specchio stesso ad esser dipinto. Annibale sembra dunque dirci che l’arte è lo specchio del vero, ma che rispetto allo specchio, ove le immagini si formano per la durata di un istante, essa ha il potere di “fermarle” eternamente (= Annibale entra in concorrenza con lo specchio). Il dipinto di Brera cade in un momento in cui Annibale è reduce da un soggiorno a Venezia (1578), ove il vecchio Jacopo Bassano si era divertito ad ingannarlo dipingendo dei libri su un cartone, libri che il pittore, erroneamente, aveva tentato di afferrare = no topos letterario ma evento che Annibale aveva sperimentato sulla sua pelle e che molto lo aveva colpito. Secondo i suoi primi biografi, lo stesso artista si era divertito ad eseguire simili burle. L’aspetto teorico non lo appassiona. La sua è una riflessione sul MODO di praticare arte, ossia sugli aspetti tecnici della professione sua. Inoltre, la riflessione sull’importanza dell’arte è il significato che sta a cuore ad Annibale. In una occasione, l’artista si era volto a disegnare su un muro il famoso gruppo statuario del Laocoonte con un pezzo di carbone e aveva spiegato che: “noi altri Dipintori habbiamo da parlare con le mani”. Questa frase, rende palesi varie questioni: • La convinzione dell’eccellenza della propria arte; • La sicurezza del proprio ruolo nella società → con i mezzi che gli sono propri il pittore svolge il suo compito e si guadagna da vivere; • “Noi altri dipintori” = senso di appartenenza molto forte ad una precisa categoria professionale. I dipintori a cui Annibale si riferisce non sono certo i Manieristi, tutti intenti ad emulare modelli consacrati. Gli artisti a cui il pittore si riferisce = quelli che sanno “depingere bene et imitar bene le cose naturali”. Movente “lombardo” Fu Roberto Longhi a notare che: “il movente dei Carracci fu sin dall’inizio un movente lombardo, inteso a scavalcare il cadavere del manierismo e a comunicare direttamente ad ‘apertura di finestra’ con lo spettacolo mutevole della natura, con la pelle del paese, con la grana delle cose sotto la luce vera”. È “l’aspetto solito” di ogni rivoluzione artistica → il ritorno alla natura. Da questa prospettiva si è potuto affrontare su basi nuove la fase iniziale dei tre cugini, soprattutto di Annibale, nato nel 1560, del quale si è potuto ad esempio individuare la fortissima carica realistica che anima opere di cui la letteratura antica taceva del tutto. Si pensi in tal senso alla Grande macelleria di Oxford → quest’opera, che oggi appare come una grande pala laica ma che non poteva rientrare negli stereotipi critici di una storiografia volta a porre i Carracci, e Annibale in particolare, tra i maestri dell’ideale classico. essa era di fatto entrata nelle raccolte reali inglesi già nel 1627 con il nome di Annibale, ma venne ben presto dirottata su quello di Agostino, e tale era ancora ai tempi di Wittkower. È poi il caso del cosiddetto Mangiafagioli della Galleria Colonna di Roma, ancora di Passerotti per lo stesso Longhi. Per entrambi i dipinti – che ora per noi sono il manifesto della novità carraccesca – sarà solo la grande mostra bolognese del 1956 a consacrarne l’appartenenza ad Annibale. 16 Importante è poi ricordare il contenuto delle cosiddette “postille vasariane”, scritte da Annibale su un’edizione delle Vite che lo stesso possedeva (scritte o intorno al 1592-93, a ridosso della sua partenza per Roma, o durante i suoi primi anni romani e dunque alla fine del 95). Grazie ad esse possiamo comprendere la lucidità con cui i Carracci si opposero al “cadavere della Maniera”. Si tratta di un’opposizione molto articolata. La critica di Annibale muove soprattutto in difesa della tradizione “lombarda”, come allora si diceva, comprendendo tuttavia realtà tra loro molto diverse (da quella veneziana a quella parmense, del Correggio-Parmigianino). Comunque, ad esser messo in discussione è il principio stesso dell’imitazione su cui si basava il Manierismo, richiamando in opposizione ad esso una nozione, quella del vero, del vivo. Appare rivelatore in proposito il passo in cui Annibale dà del “chiarlone” (sbruffone) a Vasari, che si vantava di aver eseguito in soli quarantadue giorni un dipinto ricco di molte figure, osservando che quarantadue giorni sono in realtà fin troppi per eseguire “quelle gofferie”, in più, aggiunge che esse “non somigliano in niuna parte al vivo, ma sono piene d’affettationi e fatte senza giudizio”. La ripetizione entro contesti diversi di formule già sperimentate appariva dunque ad Annibale una sterile operazione di smontaggio e rimontaggio, buona per tutti gli usi e dunque per nessuno. Al contrario, il conseguimento del vivo richiede il massimo sforzo e la massima applicazione: tanto più immediato e vivo è il risultato, quanto più lunga è la strada per raggiungerlo. La nozione di un “vivo” non è solo mirata a demolire la categoria della prestezza esecutiva (= uno dei miti vasariani), ma muove nel senso di una nuova “moralità” che il pittore rivendica all’esercizio del suo mestiere, in un ritrovato rapporto di fiducia reciproca con il suo pubblico. È infatti il “vivo” la base d’intesa su cui, contro l’elitarismo manierista, l’artista e il destinatario della sua opera si incontrano. Su quali basi Annibale riuscì a maturare convinzioni così tanto lucide e coerenti? Forse non lo sapremo mai. Certo l’esercizio della pittura si era caricato in epoca di Controriforma di una straordinaria responsabilità, dal momento che nel 1563, in una delle sessioni del concilio di Trento, era stata riaffermata l’importanza della pittura come “libro per gli ignoranti”. Una tale affermazione sottoponeva ovviamente l’attività degli artisti ad un controllo fino a quel momento impensato; e se il destinatario dell’opera non era più, come avveniva in epoca manierista, una ristretta cerchia di aristocratici, tra l’artista e il suo pubblico si frapponeva ora la figura del censore: • La risposta dei pittori a tutto questo → chiusura nelle tradizionali associazioni di categoria = corporazioni delle arti e dei mestieri; • La risposta dei Carracci → assunzione di una “terza via”, né manierista né prona alle nuove esigenze dell’arte sacra, bensì, in vista di una più diretta intesa con il pubblico, rivolta al naturale. La pulsione popolare sottesa alla riforma carraccesca è stata evidenziata attraverso l’esame di alcune delle prime opere di Annibale, in cui il lavoro delle classi inferiori sembra trovare per la prima volta voce in pittura. Ci si riferisce alle due Macellerie di Oxford e di Fort Worth, per le quali il discorso deve farsi assai circospetto. Nessuna macelleria dei fiamminghi Beuckelaer o Aertsen o degli italiani Campi e Passerotti manifesta lo stesso impegno nell’evidenziare la dignità del lavoro che viceversa si commuove nel quadro di Annibale. Qualcosa che ricorda la serietà dei macellai di Annibale c’era semmai nelle tele dei Bassano, in cui però i personaggi affaccendati in primo piano partecipano ad un’azione sacra, e dunque più importante, che si svolge in fondo e che costituisce il vero soggetto del dipinto. Nulla di ciò figura nella Grande Macelleria, ove non sembra nemmeno perseguibile la pista del “travestimento” allegorico. In passato si era pensato 17 ad esempio che essa raffigurasse i tre Carracci in vesti di macellai, con allusione sia al mestiere del padre di Ludovico sia alla polemica da loro condotta contro la Maniera. Tuttavia, non si vedrebbe il senso esatto di una simile scelta figurativa ed inoltre resterebbe da spiegare perché nella Piccola macelleria di Fort Worth (dipinto che conferma gli indirizzi perseguiti nella Grande) compaiono personaggi con altre fisionomie. Il problema circa significato e funzione di un dipinto tanto singolare potrebbe trovare soluzione qualora avessimo notizie certe sulla sua primitiva destinazione; in assenza di una precisa documentazione, bisognerà partire dall’unico dato a nostra disposizione, e cioè dal fatto che già nel 1627 la Grande Macelleria faceva parte della collezione dei duchi di Mantova; e in proposito si potrà pure ricordare che quattro dipinti del Campi, simili nelle dimensioni e nel soggetto, vennero eseguiti verso il 1580 per il castello del banchiere Hans Fugger a Kirchheim. Chiunque ne fosse stato il primo committente, è chiaro che persino un dipinto come la Grande Macelleria era destinato a pervenire nelle mani di una committenza altolocata, committenza che avrebbe chiuso gli occhi davanti alla carica polemica ed eversiva di cui viceversa ai nostri oggi si colora. Lo spirito popolare e di classe che, almeno in prima battuta, anima l’attività di Annibale, figlio di un sarto così come Ludovico apparteneva ad una famiglia di macellai/ panettieri, si coglie anche nella confezione di dipinti con altri temi, per i quali è stato altresì possibile individuare una radice colta, che li situa nel pieno di un dibattito, nuovo per i tempi, sui generi “minori”. Già l’Agucchi richiamava, a proposito del genere della caricatura, i nomi di Pirreico e Calate, tramandati da Plinio, come esponenti della pittura di genere inferiore: un nesso che è stato rilanciato a proposito dei dipinti di Annibale raffiguranti giovani che bevono. È evidente che un simile spunto poté esserci e contribuì a render meglio accetto un tipo di esercizio al quale Annibale si dedicò per conto proprio, nell’intento di raggiungere il vero. Il problema che assilla il giovane Annibale, è dunque di ordine “tecnico” ed il soggetto è ad esso subordinato. D’altro canto, la carica realistica con cui l’artista affronta questi soggetti non risulta confrontabile con lo spirito irridente che connota le prove nello stesso genere di un pittore bolognese della vecchia guardia come il già citato Passerotti. Infatti, le aggettivazioni comico-grottesche a cui Annibale rinuncia, sono invece abbondanti nell’opera di Passerotti. Quindi, non si deve fare di tutta l’erba un fascio, appiattendo la ricerca del nostro artista su binari già battuti = il naturalismo di Annibale è di segno moderno, quello di Passerotti non lo è. Questo tipo di ricerca pone Annibale nella punta più avanzata della sperimentazione artistica italiana e le critiche di cui egli fu oggetto, partirono soprattutto dai colleghi pittori. Nel 1583, la Crocifissione di San Nicolò (ed ora nella Chiesa della Carità di Bolo) introduce nell’arte italiana una ventata di malgarbo, tale da sbaragliare in un colpo solo tutte le affettazioni di un secolo che aveva fatto della “grazia” la propria bandiera. La Crocifissione venne criticata dai pittori bolognesi per la trascuratezza delle pose, per la fattura trasandata ed “impiastricciata”. Queste critiche muovevano alla difesa dei propri interessi di casta, messi in pericolo dalla concorrenza di un dilettante-genio; mentre Annibale, scavalcando lo stesso concetto di scuola, andava compiendo in modo empirico/ personale una sua riflessione sulla liceità dei mezzi espressivi consegnatigli dalla tradizione, mettendoli a confronto e verificandone di persona l’utilità in vista dello scopo che si era prefisso. Annibale insomma, in tale opera, ANNULLA TUTTO, RIPARTE DA ZERO. Vicina alla Crocifissione è il Battesimo di Cristo tuttora in San Gregorio a Bologna, datato 1583- 85. La stesura pittorica è qui libera e si ricompone in superfici lucenti e compatte, sotto la carezza della luce. La novità più notabile del dipinto di San Gregorio è in effetti la restituzione del plein air, il senso della natura che fermenta e cresce, giungendo ad una sua colma maturazione. Ed è stato facile per la critica parlare ancora una volta di debiti nei confronti della tradizione veneziana, che potrebbero anche esserci, ad esempio nella parte bassa = personaggi inturbantati ricordano il 20 scalpitava, veniva però sempre rimandato e gli incarichi immediati erano altri, sempre diversi. La mostra sposa l’ipotesi di Silvia Ginzburg secondo la quale, una volta arrivato a Roma, Annibale avrebbe quasi subito intrapreso la decorazione della galleria, dove il cardinale intendeva esporre in bell’ordine la sua raccolta di statue antiche, e che, come già indicato da Bellori, il camerino si fosse “infraposto” alla sua conclusione. Si tratta comunque di due imprese, l’una (la galleria) giocata sul mito e sulla favola e l’altra (il camerino) sull’epos assunto in chiave allegorica, che non facevano che rendere più intollerabile il rinvio della decorazione del salone d’onore. Annibale, trasferendosi a Roma, pensava di trovarvi una libertà d’azione maggiore di quanta non ne avesse trovata in patria, mentre come testimoniano le fonti, il cardinale lo teneva al proprio servizio come un semplice stipendiato, affidandogli mansioni di pittore di corte che portavano la sua professionalità indietro di cento anni. La scelta come protettore del cardinale Farnese costituì un errore di valutazione che Annibale scontò duramente. Il cardinale condizionò negativamente la sua attività romana, portandolo al tracollo psicologico. La stessa Roma, individuata da Annibale come possibile teatro di un rinnovamento pittorico, era una città che opponeva a un simile progetto mille condizionamenti. Connotata in campo artistico da forti ansie di rinnovamento, era altresì percorsa da drammatiche tensioni sociali. Una storia come la nostra attuale, che dichiara di voler fare a meno degli eroi, deve saper fare i conti anche con le contraddizioni dei suoi protagonisti. È risaputo che su questa scelta Annibale si sarebbe giocato la simpatia degli storiografi bolognesi, primo fra tutti il Malvasia = pronto a riconoscere Ludovico come il suo preferito, che non aveva mai abbandonato la patria. Con Roma egli andò incontro a un duplice risultato: 1) di trionfo della sua arte, celebrata dai suoi contemporanei come quella di un nuovo Raffaello; 2) e di sconfitta personale, sancita dalla grave crisi depressiva che si gravò sul finire del 1604, conducendolo alla morte. Comunque, con Roma Annibale (Agucchi, Bellori) poté accedere al Bello ideale e conferire una dimensione davvero completa alla sua arte, tale da ridurre a mero preambolo ogni sua impresa precedente. Entrando in gara con Michelangelo e Raffaello, nella galleria Farnese, Annibale persegue diversi tipi di vero → il vero degli ignudi in carne ed ossa e dei putti, che si acquattano a fare pipì fra le statue; il vero delle erme di marmo e dei bassorilievi in bronzo e in oro; il vero degli affreschi e delle grandi tele sontuosamente incorniciate con la storie degli amori degli dei. È una sensibilità tutta padana per la materia che Annibale si porta dietro dagli anni bolognesi, ponendola al servizio di una finzione che ormai, più che al quadrato, è portata al cubo. E su tutto la luce estiva, bionda, circolante, di cui parlava Longhi. Pare incredibile che Annibale riuscisse a dipingere tutto questo sotto la pressione del suo mecenate. L’ultimo umanista. Trionfo e morte dell’eroe In un grande quadro conservato a Chantilly, commissionatagli da Gabriele Bombasi intorno al 1595 ed entrato in seguito nelle raccolte farnesiane, Annibale ha raffigurato l’arcangelo Gabriele, con giglio e cartiglio, nell’atto d’incedere verso l’esterno rivolgendo il proprio saluto alla Madonna che però non compare nel dipinto, in quanto gli sta di fronte, nello stesso spazio occupato dal fedele, che in questo modo ha l’impressione di essere partecipe dell’episodio sacro. Una situazione di questo tipo si verificava nel San Gregorio in preghiera, dipinto per la cappella del cardinale Antonio Maria Salviati (in San Gregorio al Celio) e poi in collezione a Londra, dove è stato distrutto con l’ultima guerra. Annibale dipinge il pontefice inginocchiato verso l’esterno: lo spazio reale è dunque attraversato dal suo sguardo, in contemplazione della stessa immagine che il fedele può venerare sull’altare. Mentre nella versione finale l’angelo indica il santo 21 alla Vergine, nel disegno preparatorio l’angelo mostra al pontefice l’antica icona, cosicché la sua mano fuoriesce dal quadro sovrapponendosi alla cornice = molto difficile immaginare come Annibale potesse mettere in pratica ciò che preannuncia Bernini e Baciccio. Sarebbe tuttavia sbagliato apprezzare questi aspetti solo per quanto sembrano aprire in direzione barocca. Del Barocco Annibale ignora il principio fondante, che è quello della “meraviglia”, dell’arte fine a sé stesa, dell’artificio. Per lui non esistono effetti senza causa, e IL BELLO E’ TALE SOLO IN QUANTO VERO. Il senso profondamente morale che egli attribuiva al fare pittura già nella sua prima attività bolognese si era rafforzato a Roma grazie ad una più attenta riflessione su Raffaello, il frutto più alto e complesso di quell’umanesimo che la polemica anti-manierista rischiava di trascinare verso la dissoluzione e col quale Annibale si sentiva viceversa solidale. Su questo piano si era giocato del resto il suo confronto col Caravaggio della cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. Per quanto macchinosa, l’Assunta Cerasi, con i movimenti della Vergine e degli apostoli che sembrano esplodere verso l’esterno, mira a restituire all’avvenimento una concretezza tangibile, accertandone le cause: lo spazio che gli apostoli occupavano attorno al sepolcro chiuso diviene troppo ristretto nel momento in cui Maria ne erompe con forza. È lo spazio, che consente di misurare le cose, ad accertarne la verità. In un primo momento anche il Caravaggio si era mosso in questa direzione e, nella versione della Crocifissione di San Paolo, da lui stesso ritenuta insoddisfacente, aveva sottolineato gli aspetti più tangibili del miracolo. Nella versione invece attuale egli interiorizza il miracolo, celandolo dietro le palpebre serrate del santo caduto a terra: il soggetto del dipinto diviene in questo modo la forza salvifica della grazia divina, che parla direttamente al cuore dell’uomo. Una soluzione che per Annibale, legato in un qualche modo alle premesse rinascimentali, sarebbe parsa irrazionale, non convincente. Ad Annibale manca infatti l’attesa fideistica che anima, tra dubbio/ abbandono al sacro, il collega. Per lui la retorica umanistica è uno strumento ancora persuasivo, ma non lo è più per Caravaggio, avviato ormai sulle strade di una modernità in cui l’uomo abdica alla propria razionalità e si consegna al divino. In un mondo che sta perdendo i propri punti di riferimento razionali, Annibale risponde riaffermando i valori della razionalità e compiendo uno sforzo per tenere un’ultima volta unito ciò che si sta appunto sgretolando. Raffaello non avrebbe mai dipinto un quadro di paesaggio puro, perché nessuno glielo avrebbe chiesto: il nuovo Raffaello invece, deve misurarsi con i generi, che hanno ormai uno statuto speciale e che pretendono nuove soluzioni. Se di solito si afferma che le Lunette Aldobrandini costituiscono l’atto di nascita del paesaggio come genere autonomo, è piuttosto vero il contrario e cioè che, dopo aver a sua volta contribuito alla nascita del paesaggio come genere, nelle lunette di Annibale il paesaggio torna ad essere il teatro entro il quale l’uomo recita il suo ruolo di protagonista, è un paesaggio a misura dell’azione dell’uomo. Il taglio definitivo con la tradizione umanistica sarà semmai compiuto dagli allievi di Annibale, per i quali la funzione decorativa del paesaggio sarà di fatto prevalente. A questo sforzo di sintesi operato dall’ultimo Annibale doveva in fondo pensare Mancini, quando ne ebbe a formulare la definizione, tanto pregnante quanto difficile da decifrare, di “pittore universale, sacro, ridicolo, grave”. È forse vano sperare di trovare quadri “ridicoli” dell’ultimo Annibale: le doti elogiate da Mancini dobbiamo ricercarle in ogni sua opera, come declinazioni di un unico linguaggio, che è sempre straordinariamente denso e stratificato. La compresenza dei diversi registri in Palazzo Farnese parlava già chiaro in tal senso; e in tutti i suoi quadri estremi si legge questa affascinante sovrapposizione di linguaggi, dove anche il parergon della tradizione cinquecentesca ritrova la sua dignità nell’insieme del fare pittura, non come parte separata ma come parte di un tutto (si ricordi per esempio l’angioletto che si punge con la corona di spine nella Pietà di Capodimonte = brano che ci fa riflettere sulle sofferenze di Cristo ma che ci induce al sorriso). Anche per tali aspetti Annibale resta un pittore umanista, neo-albertiano: forse l’ULTIMO 22 UMANISTA. Come Alberti, egli sa che il campo privilegiato del pittore è la storia, ma la storia si realizza attraverso la compresenza di registri, la simultaneità delle azioni; di qui la necessità di creare un linguaggio sia aulico che prosaico insieme. Queste posizioni, assicurarono ovviamente ad Annibale una sponda di consensi, giocati sulla sua figura di nuovo Raffaello. A tale immagine concorrevano vari fattori, come l’operazione di sintesi da lui attuata tra le varie lingue parlate dalle scuole regionali italiane, o come la capacità di fondere i valori della natura con quelli della storia. Il senso di frustrazione si fa preponderante nelle opere estreme dell’artista, affidate quasi interamente alla bottega, ma per le quali Annibale rivendica a sé il piacere dell’invenzione. Gli ultimi giorni di Annibale furono scanditi da assenze di pensiero e da depressione. In questi momenti di assenza, Annibale sembrava trovare una sorta di lucidità solo nei disegni di paesaggio, dove pochi segni di penna riuscivano a ricreare vertiginose lontananze e rapinosi effetti di luce. Tutto questo per via ovviamente del superlavoro a cui era sottoposto e soprattutto alla delusione di non aver trovato a Roma ciò che si aspettava = delusione, frustrazione, sconfitta esistenziale. In questa prospettiva acquistano un significato tristemente autobiografico le tre raffigurazioni della Pietà che scandiscono l’ultima attività del pittore e che si sono potute riunire a chiusura della mostra. MANUALE De Vecchi, Cerchiari. Arte nel Tempo 1) Il Rinascimento settentrionale Milano Nel 1500 il ducato degli Sforza viene conquistato dai francesi, fino alla battaglia di Pavia (1525), che sancisce il predominio spagnolo sulla Lombardia. L’attività artistica non si arresta in questi anni: il secondo soggiorno milanese di Leonardo (1507-13) è occasione anzi per nuove preziose opere (come la seconda versione della Vergine delle rocce). Conseguenza di ciò = i “leonardeschi” = no vera e propria scuola, ma artisti autonomi, con differenti esperienze culturali, accumunati dal riferimento alle opere lasciate da Leonardo. Tra loro ricordiamo: • Andrea Solario → attività = anni 80 del 1400, anni 20 del 1500. Formazione complessa, ricca di stimoli. Contatto con l’arte veneziana del primo Cinquecento (evidente in opere come il Riposo durante la fuga in Egitto). La sua attività da ritrattista, mette inoltre in evidenza l’attento studio dei dipinti di Antonello da Messina (si pensi al Ritratto di Charles d’Amboise) e, forse, di artisti d’oltralpe, conosciuti durante un soggiorno in Francia. • Cesare da Sesto → 1470-1520 ca. Trascorre lunghi periodi nell’Italia centro-meridionale, in particolare a Messina. Di lui ricordiamo un’Adorazione dei Magi (ad oggi a Napoli). Qui l’educazione leonardesca e la lezione di Raffaello/ la lezione classica sono ben presenti. • Bernardino Luini → il più noto dei “leonardeschi”. 1480-1530 ca. In particolare nei dipinti su tavola, egli mostra un’emulazione quasi pedissequa di Leonardo + contatto con opere venete. Con Luini la pratica leonardesca trova il suo massimo divulgatore e altresì il suo limite di stile cristallizzato, privo di significativi sviluppi. Suo famoso ciclo di affreschi = in S. Maria degli Angeli, a Lugano, episodi cristologici + in Villa Rabia alla Pelucca, a Monza, episodi cortesi, mitologici e sacri. Personalità del tutto appartata rispetto al gruppo dei leonardeschi: Bramantino (1460-1530 ca). Formatosi in rapporto con l’attività milanese di Bramante e la tradizione quattrocentesca lombarda, Bramantino predilige composizioni di grande austerità. In opere come Adorazione dei Magi della 25 atmosferico diverso da quello di Lotto. La luce di Bellini accarezza e plasma le figure, quella di Lotto è fredda, la qualità della sua luce è molto più alterata e non rasserenante. La luce di Lotto è metallica, le pieghe delle vesti sono insistite, come nelle incisioni dei nordici = Lotto come Durer in chiave domestica. *L’unico pittore in grado di confrontarsi con lui, fu il Pordenone (1480-1540 ca) → conoscenza diretta di Michelangelo e Raffaello; influenzato dal Mantegna, dal Durer e dai maestri nordici; equilibrio tra raffinati ricordi classici e temperamento narrativo di indole popolare. Di lui ricordiamo i mirabili affreschi nel Duomo di Treviso (Crocifissione, Deposizione) = stile magniloquente, inedita rappresentazione (spesso discorsiva e solenne insieme), scorci prospettici virtuosistici. SCHEDA 12, Il trittico delle Delizie e il Trittico del fieno di Bosch (1450-1520) → coetaneo di Leonardo. Parallelo significativo se consideriamo l’enorme distanza fra i due = Leonardo studia la figura umana, al fine di rappresentarne adeguatamente gesti/ emozioni, e i diversi aspetti del mondo naturale; Bosch sembra farsi interprete invece di un mondo grottesco e stravolto, dominato dal male e dalla follia. I dipinti di Bosch sono permeati di deformazione fantastica, visionaria invenzione. L’arte di Bosch in realtà, rappresenta un aspetto della cultura a cavallo tra 4 e 500. In tutta l’opera di Bosch, vengono poste in discussione le conquiste dell’Umanesimo antropocentrico, non senza una vera di amara ironia. Temi principali di Bosch = la libertà concessa all’uomo da Dio, il destino infernale che attente i peccatori, i vizi capitali, la follia umana incamminata verso la perdizione. Tecnica pittorica brillante, fantasia inventiva, molteplicità di fonti figurative. Ambientazione tipica di Bosch = vasti paesaggi gremiti di personaggi e di particolari fantastici. Forma prediletta dal maestro = il trittico. • Trittico delle Delizie → Esterno = il mondo prima del Diluvio; Interno = rappresentazione del Giardino delle Delizie, ove l’uomo si abbandona ai piaceri dei sensi + composizione caotica, gremita di personaggi + rigorosa coerenza e senso ritmico tra le tre tavole. • Trittico del Carro → Esterno = il cammino del figlio prodigo in quello del Fieno; Interno = il tema fondamentale è la condanna della cupidigia dei beni terreni + il tema deriva da un proverbio (“il mondo è un carro di fieno, ciascuno ne prende quanto può arraffare”) + nella tavola centrale vi è il carro, pieno di creature diaboliche al suo interno, che viene trascinato verso la città infernale. Bergamo e Brescia L’arrivo a Bergamo di Lotto è probabilmente legato alla commissione, nel 1513, di una grande pala d’altare per la chiesa dei SS. Stefano e Domenico. L’artista si era “rifugiato” nelle Marche dopo l’esperienza romana, ove poté ammirare le novità proposte da Raffaello e Michelangelo. Nelle opere immediatamente successive al suo soggiorno romano = volontà di adeguarsi alla Terza Maniera + reagisce con vivaci scarti “espressionistici”, sperimentando schemi compositivi complessi e pose macchinose (Trasfigurazione di Recanati, 1512). Con il trasferimento a Bergamo, Lotto entra in una nuova fase = “arte provinciale”, volontà cioè di rimanere ai margini del dibattito intellettuale prevalente nei centri maggiori, mediante lo sviluppo di forme alternative. Pensiamo in tal senso alla Pala Martinengo (1513-16) = eclettismo, composizione virtuosistica (cupola aperta verso il cielo), caratterizzazione psicologica dei personaggi. Agli inizi degli anni 20 = opere significative per l’arte di Lotto: Pala di S. Bernardino (capacità di 26 rendere presente la scena come esperienza istantanea, bruciante immediatezza, personaggi “in colloquio” fra loro, scorci incredibili, colore brillante e vicino alla tradizione nordica); Commiato di Cristo dalla madre (patetismo espressivo, stesura pittorica più larga e ondulata); Ritratto di Andrea Odoni (stessa stesura pittorica ondulata del Commiato, connotazione psicologica del personaggio, che qui appare pensieroso); Annunciazione di Recanati (dinamismo psicologico). Anni 30 = Pala di S. Lucia; anni 40 = Elemosina di S. Antonio. Nella prima metà del 500 inoltre, si svolge l’attività di tre maestri bresciani (anni 80 del 1400/ anni 50 del 1500), quasi coetanei: 1) Il Romanino → realismo lombardo, influenzato molto dall’opera di Tiziano. Pala dell’altare maggiore della Chiesa di S. Francesco, Brescia = qui fanno la loro comparsa i “tipi” fisici in seguito ricorrenti nella sua arte, naturalismo “rude”. Duomo di Cremona, affreschi, storie cristologiche = itinerario più complesso e tortuoso. 2) Il Moretto → richiami della pittura fiamminga (es. Elia e l’Angelo, si guardi allo sfondo). La meditazione su Tiziano è palese in alcune opere ma, attraverso le incisioni di Marcantonio Raimondi, il Moretto entra in contatto con l’arte di Raffaello, giungendo ad una “maniera” più morbida e composita (non a caso, la sua Santa Giustina e un devoto di Vienna era attribuita a Raffaello). Attivo anche come elegante ritrattista (es. Ritratto di gentiluomo), in contatto con Lotto e lodato da Vasari, il Moretto risulta altresì come uno dei primi e più efficaci interpreti delle istanze controriformistiche. Il suo linguaggio piano ed esplicito si presta infatti bene alla dimostrazione di concetti dottrinali (es. Cristo e l’Angelo). 3) Giovan Gerolamo Savoldo → legato alla matrice naturalistica dell’arte lombarda e ad una mimesis di ascendenza nordica. Maddalena della National Gallery di Londra = realismo, panneggio “palpitante”, curiosità lenticolare nella rappresentazione dei materiali. San Matteo e l’Angelo = il dipinto mostra una delle caratteristiche dell’arte del Savoldo, ossia l’ambientazione notturna con una fonte di luce interna al dipinto. Tentazione di S. Antonio = recupero di motivi caratteristici dell’arte fiamminga (gli “stregozzi” di Bosch). Ritratto di uomo in armatura = eccellenti doti ritrattistiche, serrato gioco di rispondenze, riflessi, bagliori, luci. SCHEDA 13, La Cappella Suardi a Trescore (Lombardia, Provincia di Bergamo) → Nel 1524 Lorenzo Lotto viene incaricato dal nobile Suardi di affrescare la cappella annessa alla villa di famiglia. La cappella è una semplice costruzione tardo-quattrocentesca, già dotata di modesti affreschi nell’abside. Lotto decora il soffitto, la parete interna in corrispondenza della facciata e le due pareti lungo la navata. Programma iconografico = vittoria di Cristo sul male + riferimenti esoterici ed alchemici. Soffitto e controfacciata = pessime condizioni. Le due pareti della navata = ben conservate = qui sono rappresentate le Storie delle SS. Brigida e Barbara. Qui è presente un mirabile ed illusionistico gioco di rappresentazione di interni ed esterni + una narrazione continua e scandita dall’alternarsi di edifici e squarci paesaggistici + un incredibile connubio tra temi sacri e vedute realistiche, quotidiane + una vivacità rappresentativa eccelsa + una palese lontananza rispetto alle ricerche di monumentalità o enfasi gestuale. Interessante è l’immagine, sulla prete di S. Brigida, del Cristo-vite, le cui dita si trasformano nei tralci entro cui s’inscrivono busti di Santi. L’Emilia Pittura emiliana a inizio Cinquecento = discontinua, frammentaria: • Bologna → presenza di importanti opere di Raffaello + grazia peruginesca del Francia = i pittori bolognesi sono spinti verso leziose riprese di motivi centro-italiani. Unico pittore capace di 27 trovare accenti di vibrante originalità = Amico Aspertini (1475-1552). Egli acquisisce solide basi classiche, ma le indirizza verso effetti di deformazione quasi grottesca e caricaturale (si guardi alla Pietà in S. Petronio). Aspertini (appunti) → La pittura di Durer arriva ad influenzare Bologna. Uno degli artisti che più risentirono dell’influenza nordica fu sicuramente l’Aspertini (“il Cranach bolognese” secondo Longhi). Aspertini ebbe una formazione iniziale presso il padre. Successivamente, a Roma, l’Aspertini si apre ad una cultura vastissima = Pinturicchio, fine decorazione Cappella Sistina, cultura dell’antico fortissima, decorazione della Domus neroniana. Aspertini si confronta con l’Antico con grande libertà. Egli imporrà la sua firma entro la Domus Aurea, sulla volta gialla = dunque sicuramente egli si calò nella villa interrata neroniana. Egli è curioso rispetto all’antico. Emblematico è il suo Ritratto in veste di Santa, ora a Baltimora. Datazione: 1506 (data dopo la quale il governo bentivolesco crolla, dunque data importante e significativa per Bologna). La figura non è in asse. Rispetto alla ritrattistica ufficiale, la grande novità è la posizione obliqua della donna. C’è la mobilità ma il capo non è eretto sulle spalle, è inclinato: non è dunque in asse. I lineamenti si affollano soprattutto in una metà del volto: volontà di accentuazione delle anomalie della figura (Leonardo = “in natura non esiste la regola, i volti non sono tutti uguali, non si deve normalizzare”). Sulla strada di Lenardo Aspertini va oltre, c’è esagerazione nella non normalizzazione dei volti. Le pupille della donna ruotano, lo sguardo è laterale = senso di animazione esasperata. A queste date la ritrattistica che si afferma è un’altra, pensiamo alla Maddalena Strozzi di Raffaello o alla Gioconda di Leonardo. Anche Aspertini è un bizzarro, Vasari = “imbrattatele”, “ciarlatano di piazza”, “opere fuori di squadra”. Espressione dell’artista folle, privo di contegno. • Ferrara → protagonista indiscusso è qui Dosso Dossi (1480-1540 ca). Allevato nell’ammirazione di Cosmè Tura (asprezze, pittura tagliente, colori metallici), Dosso entra presto in contatto con l’arte veneta, grazie ad un soggiorno a Venezia = Tiziano = accostamento alla tecnica tizianesca (vaste aperture di paesaggio, ricchezza cromatica) = creazione di immagini di tono favoloso, condotte con stile fluido, sicuro. Dossi si distingue in particolare per le sue opere a carattere mitologico/ letterario (Circe, La partenza degli Argonauti, Enea all’ingresso dei Campi Elisi). • Il Correggio a Parma e gli esordi del Parmigianino → Il Correggio (1489-1534) compie un lungo iter di formazione = ambito emiliano, Mantova (presso l’anziano Mantegna), alla ricerca di una libera reinterpretazione di Leonardo + meditazione su Raffaello e sull’arte centroitaliana. La sua produzione è scandita da tre cicli di affreschi, tutti a Parma: 1) la Camera della Badessa (Convento di S. Paolo) = qui egli riprende il motivo mantegnesco e leonardesco del soffitto che emula un pergolato, compiendo un passo ulteriore, inserendo cioè nella zona inferiore lunette a monocromo che evocano delicati bassorilievi antichi, e proponendo così una quieta simbiosi tra natura e mito classico; 2) la Chiesa di S. Giovanni Evangelista = conservato solo in parte, qui il Correggio sperimenta lo “sfondato”, l’affresco che simula un cielo aperto, contro cui si stagliano i personaggi (Mantegna, Camera picta). Caduta ogni preoccupazione di misurabilità geometrica dello spazio, una corona di monumentali figure di apostoli segue il perimetro della cupola, mentre al centro è sospesa a mezz’aria l’immagine di Cristo. 3) la Cupola del Duomo = gli affreschi che qui ornano pennacchi e cupola saranno importantissimi per la cultura seicentesca (modello per soffitti barocchi = Correggio pone i presupposti per il barocco). La scena dell’Assunzione viene concepita dal Correggio come un tripudio di angeli, che accompagnano la salita della Vergine verso il cielo nuvoloso. Il colore è steso in modo leggero e fluente, senza stacchi netti tra figura e figura. 30 imprevedibili. Pala con Cristo al Limbo = inediti effetti luministici, con bagliori improvvisi ed incandescenti; varietà di pose, gesti; corpi a “S”. Roma 1527 = Sacco di Roma = massacri, violenze, rapine, umiliazione senza precedenti della città e del papato. Papa in Carica durante il Sacco = Clemente VII (dal 1523 al 1534). Di lui ricordiamo un mirabile ritratto, ad oggi a Capodimonte, dipinto nel 26 da Sebastiano del Piombo. Uno dei primi atti ufficiali di Clemente VII = ripresa dei lavori nella Sala di Costantino (la cui decorazione era iniziata su progetto di Raffaello, sotto Leone X). Il ciclo comprendeva quattro Storie di Costantino e alla morte di R i suoi allievi/ collaboratori hanno in mano il programma generale della decorazione elaborato dal maestro e suo disegni per le prime scene. In considerazione di tale fatto Leone X affida l’opera a Giulio Romano e al Penni. Al Romano (1499-1546) spetta la Visione di Costantino e la Battaglia di Ponte Milvio = sfondo di vedute romane, citazioni classiche. A Roma, la supremazia del Romano – erede di R, che fin dal 21 aveva cercato di competere con la Trasfigurazione del maestro e con la Resurrezione di Lazzaro di Sebastiano mediante la grande pala raffigurante la Lapidazione di S. Stefano, quasi tentando una sintesi delle loro maniere – ha termine nel 1524, quando l’artista si trasferisce a Mantova presso i Gonzaga. Con tale partenza = diffusione della grande Maniera romana presso le corti italiane ed europee. A Roma cresce e si diffonde la passione archeologica, l’antico diviene moda ed in pittura si afferma la tendenza verso forme eleganti, ricercate, inconsuete, preziose. Protagonisti di ciò: Perin del Vaga, Polidoro da Caravaggio (allievi e legatissimi al Sanzio). Michelangelo a Firenze 1515 = Leone X si reca a Firenze = il pontefice indice un concorso per la facciata di S. Lorenzo, la chiesa patrocinata dai Medici = a vincere sarà Michelangelo (Disegno per la facciata, Modello ligneo per la facciata, entrambi in Casa Buonarroti, Firenze) = l’impresa tuttavia, naufragherà (difficoltà insorte, crescere dei costi) = aprendo la strada ad un nuovo incarico = costruzione, sempre nel complesso di S. Lorenzo, una seconda cappella funeraria per i Medici, la cosiddetta Sagrestia Nuova (braccio dx del transetto della Chiesa, in corrispondenza simmetrica rispetto alla Sagrestia Vecchia costruita dal Brunelleschi un secolo prima ca) = essa doveva ospitare, oltre alle tombe di Giuliano di Nemours (Giuliano di Lorenzo de Medici) e Lorenzo d’Urbino (Lorenzo di Piero de Medici), anche quelle dei “magnifici” (Lorenzo e Giuliano de Medici) = dopo svariati progetti, prevale quello delle “tombe a parete” (che non appaiono ad oggi semplicemente addossate alle pareti, ma ne fanno parte) = svariati eventi (come la morte di Leone X e la costituzione della Repubblica fiorentina) provocarono molteplici arresti del lavoro, fino alla definitiva partenza di Michelangelo per Roma, nel 34 = cappella rimarrà incompiuta. Le prime statue iniziate dall’artista = Allegorie del Tempo, distese sopra i coperchi delle tombe (Notte e Giorno, per Giuliano; Aurora e Crepuscolo, per Lorenzo) = membra poderose, abbandonate ad una angosciante inerzia, esse sembrano immagini della forza distruttrice del tempo + sembrano voler spezzare i prima citati coperchi, al fine di liberare le anime dei duchi alla contemplazione delle Vergine allattante il Bambino, simbolo di vita perenne. Alla Vergine, in effetti, sembrano rivolgersi le statue di Giuliano e Lorenzo (volti trasfigurati, che alludono alla contrapposizione/ complementarità della vita attiva/ contemplativa). Vicino alla Vergine, le Statue dei SS. Cosma e Damiano, protettori della famiglia Medici (realizzati su modello di Michelangelo, nel 1560 ca). I lavori della Sagrestia Nuova si intrecciano con i progetti per la Biblioteca Laurenziana = carteggi e disegni testimoniano la lunga elaborazione delle idee dell’artista, in un continuo scambio dialettico col committente (Clemente VII). All’interno = tripartizione longitudinale della sala; 31 delicata scansione dello spazio creata dalle membratura in pietra serena ed impreziosita dai toni caldi del legno; piastrelle in terracotta per il pavimento; eleganza lineare e ritmi regolari della scansione longitudinale contrastano con lo slancio verticale e con i contrasti plastici del vestibolo, creati dalle edicole e dalle colonne incassate nelle pareti che, tuttavia, assumono una precisa funzione strutturale. 1534 = partenza M per Roma = opera incompiuta e affidata a collaboratori. 1558 = M invia il modello in argilla dello scalone che avrebbe dovuto essere in legno, ma che invece l’Ammannati, per volere di Cosimo I, ha costruito in pietra serena. Durante i tragici eventi della seconda Repubblica Fiorentina = M pone la sua esperienza di architetto militare al servizio della città (ad oggi ci son pervenuti disegni vari in tal senso). SCHEDA 15, Michelangelo e il “non finito” → opere importanti in tal senso = Tondo Taddei, Tondo Pitti, il Crepuscolo, San Matteo/ i Prigioni della Galleria dell’Accademia. Spiegazioni di questo “non finito” = conseguenza di eventi che hanno costituito un impedimento per l’artista nel portare a compimento una data opera; non finito come volontà di far emergere indeterminatezza, indefinito psicologico, avvolgimento atmosferico nel rilievo/ scultura; volontà di non attenuare l’intensità dell’effetto espressivo raggiunto mediante questo non finito (si pensi ai volti del Crepuscolo e del Giorno). 2) La crisi della Maniera Maniera = questo termine sarà introdotto da Vasari nelle Vite = “Maniera Moderna”, “Grande Maniera” = Leonardo, Michelangelo, Raffaello come fautori di un culmine della progressione artistica, in loro vi è perfezione formale, vi è quell’ideale di bello in grado di superare gli antichi, ossia i mitici artefici dell’arte classica, e la natura stessa. Vasari si raccomandò dunque, ai nuovi artisti, di riferirsi a questi modelli per acquisire la bella Maniera: non si deve più guardare la natura, ma si devono guardare questi artisti, non meramente emulandoli, ma contraddicendoli elegantemente. ➢ Manierismo come mix di citazioni elevate, alte e virtuosistiche; ➢ Manierismo come stile che emula lo stile di altri, fenomeno questo inevitabile, poiché i protagonisti della Maniera Moderna erano già arrivati alla perfezione, non si poteva fare di meglio, non restava dunque altra alternativa che quella di rifarsi ai migliori; ➢ Manierismo come ricerca elegante, virtuosistica, tendente ad esaltare bellezza, bizzarria, concettosità; ➢ Manierismo come trionfo della Maniera, dello “STILE PER LO STILE”. Il termine “Maniera”, era già stato usato da autori quali Cennini, Ghiberti, Alberti: Maniera = Stile. Nelle Vite invece il Vasari, contrappone la Maniera Moderna della Terza Età, alle Maniere precedenti e vede in essa il punto culminante dell’evoluzione artistica. L’imitazione della buona Maniera dei grandi maestri diviene dunque imprescindibile, ma deve fondarsi anche sulla dinamica della contrapposizione di “regola” e “licenza” → padroneggiando cioè alla perfezione le regole della composizione, disegno e colore, l’artista deve anche sapersi districare dalle costrizioni di tali regole, contraddicendole raffinatamente. Esempio di ciò: la figura serpentinata, che rappresenta l’esasperazione del contrapposto, la “licenza” rispetto alla regola, in quanto le membra del corpo vengono piegate innaturalmente in un fluire del movimento paragonabile alla fiamma (si guardi alla Carità degli Uffizi del Salviati o al Mercurio del Giambologna, al Bargello). Elementi ricorrenti nell’opera dei cosiddetti “manieristi” → composizioni complesse, studiatissime, artificiose quasi (talvolta con distorsioni della prospettiva, talvolta con eccentricità); figure serpentinate, allungate; uso importante della luce, che sottolinea espressioni e movimenti, a 32 costo di essere a volte irrealistico; grande varietà di sguardi ed espressioni (talora intense, dolorose, a volte assenti, maestose, soprannaturali); grande varietà delle pose, che come quelle del Buonarroti intendono suggerire movimenti, stati d’animo; uso del drappeggio molto variegato, spesso esasperato e innaturale; coloriture artefatte ed insolite. Sacco di Roma = Clemente VII si ripara a Bologna, per far ritorno nell’Urbe solo nel 1528. A Roma egli cercherà di restituire dignità alla città. Alcuni artisti vengono richiamati per partecipare a tale opera di ricostruzione: Sebastiano del Piombo, Benvenuto Cellini. Del Piombo (1485-1547) era stato uno dei pittori più in vista durante i primi anni del pontificato di Clemente VII (di cui farà vari ritratti, si ricordi quello ad oggi nella Pinacoteca di Parma), ma dopo il Sacco rallenta la sua attività. A partire dagli anni 30 = elaborazioni di diverse versioni sul tema dell’Andata di Cristo al Calvario (si pensi a quella del Prado) = si richiama l’attenzione sul motivo di Cristo portacroce visto quasi frontalmente, a tre quarti, spogliando la composizione di ogni elemento descrittivo e superfluo, abbassando il tono dei colori e addensando larghe zone d’ombra, risultato = immagine vera, dolente, che ben si addice al nuovo clima spirituale post-Sacco. Artisti quali Parmigianino e Rosso invece, non faranno mai più ritorno a Roma; Baldassarre Peruzzi sceglie di rientrarvi, per restare fino alla morte, iniziando con il lavorare al Palazzo di Pietro Massimo, distrutto da un incendio durante il Sacco, basando il tutto sulla sua conoscenza delle regole classiche + dell’opera dei contemporanei. Ultima iniziativa in campo artistico di Clemente VII: commissione a Michelangelo del Giudizio Universale. Gerolamo Genga e Giulio Romano Le devastazioni seguite al Sacco non sono l’unico movente della diaspora degli artisti convenuti a Roma prima del 1527. Già in precedenza il mecenatismo di alcune corti (Urbino e Mantova) aveva richiamato alcuni artisti di grande esperienza, come Gerolamo Genga e Giulio Romano (le loro opere pesaresi-mantovane contribuiranno a diffondere il nuovo linguaggio elaborato nel corso dell’esperienza romana): • Genga // Pesaro → ristrutturazione della vecchia villa-fortezza Sforza di Pesaro (l’”Imperiale”) + costruzione di una nuova ala del palazzo. I suoi progetti pesaresi rivelano la conoscenza delle opere classiche e contemporanee (es. l’inserimento di arconi in facciata = architettura classica + nell’integrazione di architettura e scenografia naturale si riconoscono echi dal cortile del Belvedere di Bramante e dalla Villa Madama di Raffaello). • Romano // Mantova → su chiamata di Federico Gonzaga, in data 1524. Romano rimarrà qui fino alla morte. Mantova con lui divenne: “non più Mantova, ma nuova Roma” (Vasari). D’altronde lo scopo di Giulio e dei suoi committenti era proprio questo, ossia il rinnovamento all’antica della città. Romano qui realizza Palazzo Te + lavora all’ampliamento del Palazzo Ducale. In Palazzo Te lavora altresì come pittore. Qui i suoi affreschi segnano il definitivo superamento della razionale “misura” rinascimentale = la fantasia del pittore trova qui piena espressione valendosi di ogni mezzo, dalle muscolose torsioni delle figure, di ascendenza michelangiolesca, fino alla negazione dell’inquadramento prospettico. La più famosa sala, la Sala dei Giganti, è stata realizzata fra il 1531 e il 1536. È la sala maggiore dell'edificio, che si presenta a base quadrata sovrastata da un soffitto a cupola. Nella cupola è rappresentato Giove che, con un fascio di fulmini, sconfigge i Giganti, ritratti a partire dal pavimento mentre stanno cercando di ascendere alle stelle. La caratteristica più rilevante della sala è che la pittura copre completamente e ininterrottamente tutte le superfici disponibili: un unico affresco che pone lo spettatore al centro dell'evento narrato nel dipinto. Altra importante Sala è quella di Psiche, ove appare la rappresentazione della vicenda di Amore e Psiche narrata 35 *Cantieri architettonici romani → Antonio da San Gallo il Giovane (+ Michelangelo) = Palazzo Farnese; Michelangelo = Pavimentazione + Palazzo Senatorio + dei Conservatori in Campidoglio.* I grandi cantieri romani intorno alla metà del Secolo Nel 1537 Perino rientra a Roma dopo 10 anni di lontananza: è l’unico allievo di Raffaello a far ritorno in città. Torna aggiornato sulle novità decorative di Fontainebleau = schemi decorativi eleganti e complessi. Il pittore è chiamato da Paolo III per eseguire decorazioni in Vaticano e, quindi, è invitato ad allestire gli appartamenti privati del papa in Castel Sant’Angelo (con lui qui lavorarono artisti come Daniele da Volterra e Pellegrino Tibaldi). Nella Sala Paolina vengono illustrate le storie di Alessandro Magno e di San Paolo (in onore di Paolo III, il cui nome secolare era Alessandro), dipinte entro riquadri quasi del tutto privi di riferimenti prospettici o paesistici, animate da massicce figure. Intorno agli scomparti si dispiega una ricca decorazione dai vivaci toni cromatici. Negli anni del pontificato di Paolo III anche altri artisti riprendono ad affluire in città = qui gli artisti studiavano il passato e le testimonianze del presente = nascita di molteplici tendenze e nuovi orientamenti. Caratteristica di questo clima è la Villa Giulia (1550), opera del Vasari e dell’Ammannati (elementi classici e rinascimentali = cariatidi, ordine architettonico, arco siriaco). A Roma negli stessi anni vengono eretti edifici nei quali appaiono mirabili soluzioni (Palazzo Spada, Villa Medici al Pincio, Fontana dell’Organo nella Villa d’Este di Tivoli). Nel 1541 = scoprimento del Giudizio Universale = gli artisti reagiscono in maniera differente → Pellegrino Tibaldi = Adorazione dei pastori (forte risalto plastico delle figure); Jacopino del Conte = inizialmente molto attento alle figure michelangiolesche, in seguito, in opere come il Battesimo di Cristo, reinterpreta con classica e fredda eleganza, accanto a motivi raffaelleschi- michelangioleschi, spunti emiliani derivati da stampe; Daniele da Volterra = la stima e l’amicizia che legano quest’ultimo al Buonarroti, trovano riflesso nelle opere di Daniele. Quest’ultimo, nella Chiesa romana di Trinità dei Monti, affresca un mirabile ciclo raffigurante le Storie di Sant’Elena e una pala con la Deposizione di Cristo dalla Croce = accentuata profondità spaziale, virtuosismo prospettico, figure modellate con rigore geometrizzante, gestualità dei personaggi. Sempre nella stessa chiesa decora la Cappella Della Rovere = Presentazione della Vergine al tempio = risalto volumetrico, scansione rigorosa e geometrizzante. In questi anni, Francesco Salviati dipinge un emblematico ciclo di affreschi nel Palazzo Ricci Sacchetti (Sala delle Udienze) = anni 50 del 1500 = una delle più capricciose, varie e ornate decorazioni dipinte fino ad allora. Sulle pareti sono raffigurate storie di David + anticaglie/ oggetti preziosi collezionati dal committente (Giovanni Ricci, cardinale) sono immortalati dall’artista sulle pareti della sala, tra ornati architettonici, fiocchi e ghirlande. Numerose figure allegoriche si alternano ai riquadri e agli elementi ornamentali, complicando la comprensione intellettuale e spaziale dell’ambiente. In una delle scene, la scala serpentinata raffigurata, è esempio del raffinato virtuosismo del Salviati. Le figure qui sono inoltre muscolose e contorte, lontane dalla raffinata cultura dei manieristi degli inizi. Gli anni estremi di Michelangelo Fabbrica di San Pietro = cupola (dal 1546) + Porta Pia (dal 1561). Porta Pia è una delle porte delle mura aureliane di Roma. Situata nel quartiere Nomentano, è nota soprattutto per l'avvenimento risorgimentale della presa di Roma, in data 20 settembre 1870: quel giorno il tratto di mura attiguo alla porta urbica fu lo scenario del combattimento tra le truppe del Regno d'Italia e quelle dello Stato Pontificio. Tale battaglia segnò la fine dello Stato della Chiesa e l'annessione di Roma all'Italia, la quale poté così completare la sua unificazione. Si tratta di una delle ultime opere 36 di Michelangelo, nella quale l'artista, all'epoca già anziano, dispose gli elementi architettonici (di per sé una novità pregevole) in modo assai innovativo. Gli anni estremi di Michelangelo sono anche caratterizzati dalle famose “tre pietà”: - Pietà dell’Opera del Duomo → 1547-55 ca. Opera marmorea. Il tema è ovviamente quello della pietà, poiché l’opera doveva esser destinata alla sua stessa tomba. Rappresentazione drammatica, ricca di pathos. Composizione piramidale. Ricchezza compositiva, animazione spirituale, materia viva e pulsante. Drammaticità data non tanto dalle espressioni delle figure, che appaiono infatti serene, quanto dalla dinamica disposizione delle figure. - Pietà Rondanini → 1552-53. Nel gruppo si alternano parti condotte al termine e parti non finite. Rapporto madre-figlio morto. Se guardata di lato = la statua appare come ricurva in avanti. Questa curvatura sembra slanciare le figure verso l’alto = Cristo morto prossimo alla Resurrezione. - Pietà di Palestrina → 1555, Galleria dell’Accademia di Firenze. Dubbi circa la paternità, non è infatti ricordata da nessuna fonte + sproporzioni evidenti (nelle gambe di Cristo ad esempio) + insolita morbidezza del modellato + schiacciamento del rilievo. 4) La politica artistica dei Medici a Firenze Cosimo I de Medici = 1519-1574 = prima duca di Firenze, poi, dal 69, Granduca di Toscana. Al servizio di Cosimo I saranno molti artisti → Vasari gli dedica le sue Vite e Bronzino sarà il suo pittore prediletto. Il duca fiorentino chiamerà molti artisti per la trasformazione interna di Palazzo Vecchio: Salviati = Sala delle Udienze con un ciclo di affreschi sulle Storie di Furio Camillo; Bronzino = Cappella della Duchessa Eleonora di Toledo con affreschi con Storie di Mosè, patriarca biblico salvatore come “prefigurazione” di Cosimo. Il Bronzino (1500-70) fu allievo di Pontormo, specializzato soprattutto nella ritrattistica. Il suo stile è elegante e raffinato, ricchissimo di rimandi a Michelangelo, Pontormo e Rosso (oltre che alle sculture classiche). La molteplicità dei modelli appare assimilata in un linguaggio sintetico e prezioso che predilige forme tornite, colori freddi e smaltati ed esprime perfettamente l’ideale rinascita propugnata da Cosimo. Gli stilemi del Bronzino si connettono perfettamente a quegli degli artisti del “primo manierismo”. Si pensi in tal senso all’Allegoria del trionfo di Venere (corpi nitidamente definiti, anche grazie alla tonalità smaltata/ innaturale). Come prima accennato, la sua fama è prettamente legata ai ritratti, si pensi al Ritratto di Laura Battiferri (connotazione psicologica/ individuale, attenzione alla resa dei particolari di abiti/ oggetti). Il momento culminante della ristrutturazione di Palazzo Vecchio coincide con l’arrivo a Firenze del Vasari (1555). Egli asseconda ogni richiesta celebrativa ed encomiastica di Cosimo, producendo immagini o architetture adatte alle esigenze della corte. Sotto la sua direzione sono i lavori in Palazzo Vecchio del Salone dei Cinquecento. La decorazione di questo ambiente aveva già impegnato altri artisti toscani (cartoni di Leo, Battaglia di Anghiari; cartoni Michi, Battaglia di Cascina). Con Vasari-Cosimo l’ambiente viene dedicato alla celebrazione dei fasti e dei trionfi dei Medici. Anche il successore di Cosimo, Francesco I, si vale della collaborazione di Vasari, cui affida la realizzazione del suo Studiolo (luogo ove troveranno posto cammei, gioielli, vasi e molto altro, dalla collezione di Francesco). Il piccolo ambiente ha la forma di un forziere, con volta a botte, e presenta lungo le pareti e soffitto un succedersi di riquadri e nicchie contenenti statue di bronzo: la luce naturale non vi penetra da alcuna finestra. Il programma iconografico è frutto dell’invenzione di Vasari + Vincenzo Borghini, i quali coinvolgono vari artisti-collaboratori (tra cui Santi di Tito e Maso da San Friano). L’intento è quello di esaltare il rapporto Natura-Arte, incarnato dalla collezione di Francesco I (la natura crea la materia che l’uomo con la sua abilità trasforma ed imbellisce). Di lì a poco inoltre, nella chiesa- 37 mausoleo dei Medici, San Lorenzo, viene costruita una cappella funeraria interamente rivestita di pietre policrome dure (Matteo Nigetti). Tornando a Vasari-Comiso = costruzione degli Uffizi, concepiti come luogo unitario di residenza e rappresentanza delle maggiori magistrature fiorentine. Con questo edificio Vasari qualifica il centro simbolico ed antico di Firenze, inserendovi un nuovo complesso aderente ai canoni rinascimentali. Il lungo corridoio degli Uffizi si innesta su piazza della Signoria da un lato e dall’altro si apre mediante una loggia a serliana sull’Arno. L’ultimo piano degli Uffizi era destinato all’uso privato del duca, ma non ancora a ospitare le raccolte d’arte dei Medici, che vi furono trasportate solo dopo i rifacimenti a opera del Buontalenti, intorno al 1580. Ancora un altro intervento lega i nomi di Vasari-Cosimo, ossia il percorso sopraelevato segreto tra Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti, oltre l’Arno. Oltre al Vasari → anche l’Ammannati cambiò il volto architettonico di Firenze in quel periodo = Ponte di Santa Trinita (a tre arcate, armonia e proporzioni) e ristrutturazione di Palazzo Pitti + Bernardo Buontalenti = completamento degli Uffizi (Francesco I incarica il Buontalenti di riallestire l’ultimo piano del Palazzo degli Uffizi per ospitare le raccolte = il progetto prevede la costruzione di un nucleo centrale, la Tribuna, e l’adattamento dei corridoi per costruire altri oggetti = per allestire degnamente Tribuna e Galleria, Francesco decide di smontare addirittura lo studiolo di Palazzo Vecchio, per collocare i suoi tesori entro il nuovo cuore della collezione), costruzione della Grotta dei Beboli, il grande complesso di Pratolino, la scalinata-balaustra per il coro della Chiesa di Santa Trinita. In ambito prettamente scultoreo invece, possiamo dire che, dopo la collocazione del David di Michelangelo (1504) di fronte a Palazzo Vecchio, si era posto il problema di affiancargli una seconda statua → Baccio Bandinelli, gruppo con Ercole e Caco (1530 ca). Inoltre, Benvenuto Cellini, riesce a riceve l’incarico, da parte di Cosimo I, di eseguire un Perseo in bronzo da porre nella Loggia dei Lanzi. La fusione del Perseo (avvenuta tra il 1545 e il 54) viene raccontata dall’artista stesso nella sua Autobiografia. Il sinuoso corpo di Perseo si erge sui resti riversi di Medusa decapitata: il virtuosismo di Cellini si manifesta nella ricerca di molteplici punti di vista, come nella puntigliosa definizione da orafo dei dettagli dell’elmo e del viso di Medusa o nella ricchezza profusa nella base di bronzo e marmo. Sempre Cosimo I commissiona poi all’Ammannati una monumentale fontana per Piazza della Signoria: la fontana del Nettuno (anni 60-70 del 1500) = bacino di base sorreggente figure bronzee di divinità marine e coronata al centro da un carro sormontato dalla grande statua del dio del mare Nettuno. L’assetto della piazza diventa definitivo quando Giambologna (francese ma attivo prettamente a Firenze; manierismo = Michelangelo) vi colloca le sue opere: il Ratto della Sabina e Cosimo I a cavallo. La prima scultura citata è concepita dallo scultore per dimostrare la sua grande abilità nell’atteggiare drammaticamente un gruppo di tre personaggi: un vecchio, un giovane e una donna, e rappresenta un importante ponte tra la statuaria rinascimentale e barocca. L’attenzione dei Medici non si concentra solo nel riassetto di Firenze, ma si dirige anche sulle ville suburbane della famiglia → Buontalenti = grotte, fontane, giochi d’acqua per la Villa di Pratolino e la grande grotta per il Giardino dei Beboli, dietro Palazzo Pitti (incrostata di madreperla, pietre rimodellate, in ambiguo equilibrio tra citazione e ripresa del repertorio classico + qui Buontalenti fa murare i Prigioni di Michelangelo, giocando sull’aspetto non-finito delle statue, imprigionate nella viva materia appena dirozzata) + Giambologna = Appennino, sempre a Pratolino (grande antropomorfa massa rocciosa, dio montano generato dalla commistione di elementi naturali e artistici). SCHEDA 9, il “caso” Cellini → orafo e scultore acclamato, sappiamo molto di lui = Autobiografia. Attività di orafo scarsamente documentata, attività di scultore molto di più = numerose statue, ritratti = testimonianza della carriera di un artista del maturo Manierismo 40 natura lussureggiante della Fuga in Egitto. Un’orchestrazione luministica meravigliosa è invece palese nell’Ultima cena (1594, in San Giorgio Maggiore). Il Veronese Nasce nel 1528, muore nel 1588. Attivo a Venezia dal 53, la sua formazione si svolge a Verona. Orizzonte culturale del giovane guarda a Giulio Romano, Correggio, Parmigianino. Orchestrazione prospettico-costruttiva + “sentimento del colore” (= accensione cromatica, colorismo brillante, luminosità, ombre colorate, effetti cangianti). Tra le prime opere veneziane: il soffitto della stanza del Consiglio dei Dieci in Palazzo Ducale = Giunone che riversa su Venezia i suoi doni → larghe campiture cromatiche; “sentimento del colore”; il suo stile esalta fasto ed opulenza. Per la Chiesa di San Sebastiano a Venezia realizza opere come il Trionfo di Madocheo (Storie di Ester), anni 50. Qui sono palesi effetti illusionistici che collegano la sua figura con quella del Pordenone e del Romano = scorcio di un gigantesco edificio, che anticipa i fondali architettonici dipinti negli anni successivi = risultato altamente spettacolare, anche per il rapporto ritmico e dinamico con gli scomparti adiacenti. Lo slancio sperimentale delle prime opere veneziane si placa progressivamente, anche in conseguenza della frequentazione di circoli di patrizi e umanisti, come quello dei Barbaro, per i quali l’artista decora gli interni di villa di Maser del Palladio (anni 60) → pittura a calce (è infatti biancastra, spenta alla vista) + complesso gioco ritmico di rapporti tra strutture reali e architetture dipinte, talora aperte su ariosi paesaggi, e popolando nicchie, balconi, lunette di personaggi mitologici e ritratti dei membri della famiglia Barbaro + finte architetture emulano elementi classici, in linea con la struttura palladiana. A partire dagli anni 60 quindi, le scene dipinte dal Veronese si affollano di personaggi, sullo sfondo di grandiosi prospetti architettonici ed arricchite da una rappresentazione sempre più teatrale, pensiamo in questo senso a tre opere in particolare: Alessandro e la famiglia di Dario (National Gallery di Londra), Cena in Emmaus (Louvre), Nozze di Cana (Louvre). Stessa regia festosa è utilizzata nella Cena in casa Levi, degli anni 70. Qui la rappresentazione appare sontuosissima: un gigantesco porticato a tre fornici definisce lo spazio della lunga tavolata intorno alla quale siedono personaggi sacri e profani e si muovono cani e buffoni, soldati e garzoni. Sotto l’arcone centrale si svolge la scena principale. Il colore è vibrante, intenso, prezioso. Tale opera sarà censurata dall’Inquisizione = presenza di buffoni, ubriachi e altre scurrilità in un dipinto sacro → soluzione = scelta di altro soggetto = anziché Ultima cena come doveva essere all’inizio (per la Chiesa domenicana dei SS Giovanni e Paolo di Venezia) = Convitto in casa Levi. *Palladio = Basilica di Vicenza, Palazzo Chiericati, Villa Cornaro, Villa Rotonda, Loggia del Capitano, Teatro Olimpico → Vicenza; Chiesa di San Giorgio Maggiore, Chiesa del Redentore (Venezia).* Tradizione e Rinnovamento nella pittura veneta tra centro e periferia Alla base della diffusione di elementi di gusto manieristico in ambiente lagunare = soggiorni di Vasari e Salviati a Venezia. Lo Schiavone ad esempio (1510-60), rielabora i modelli derivati dalle stampe del Parmigianino, diffondendoli sia per mezzo di incisioni (come quella del Miracolo delle quaglie), sia attraverso opere pittoriche. Nell’Adorazione dei Magi (oggi a Milano), eseguita intorno al 1547, spazio e ritmo dei movimenti sembrano generati da una turbolenta torsione della colonna intorno alla quale si assiepano i personaggi; il colore è disteso con pennellate larghe e fluide; la luce è cangiante e vivace. In opere successive (come negli scomparti per il soffitto della Libreria Marciana), lo Schiavone si accosta maggiormente a opere di Tintoretto/Tiziano. Qui lavoreranno artisti accomunati dall’interesse per le eleganti sperimentazioni formali del Manierismo 41 tosco-romano. Veronese-Schiavone eseguono in gara i ventuno tondi allegorici da collocare negli scomparti del soffitto. Il panorama artistico veneziano si rinnova continuamente grazie allo sviluppo di nuove esperienze e a nuovi arrivi. Frequenti sono i soggiorni nella città del pittore Jacopo da Ponte (detto il Bassano). Egli guarda prettamente a Tiziano/Lotto/produzione grafica del Parmigianino. Irrequieto temperamento sperimentatore. Nei suoi dipinti i soggetti religiosi si trasformano spesso in temi “agresti”, con ricchezza di motivi naturalistici, inizialmente ripresi da stampe nordiche (Semina del grano). Paris Bordon fu invece allievo di Tiziano. Egli fu attivo prettamente a Milano e Fontainebleau. Interesse per complesse partiture scenografiche- architettoniche (Consegna dell’anello al doge). A Venezia giunge poi anche El Greco, che si era formato presso le botteghe cretesi dei “madonneri”. Immediato è il suo accostamento a Tiziano; tuttavia, le sue prime opere veneziane (Altarolo portatile, oggi a Modena) indicano anche un profondo interesse per il luminismo di Tintoretto + vibrante dinamismo della stesura cromatica + predilezione per moduli allungati e sinuosi. A Bergamo, dopo la partenza di Lotto, la situazione artistica locale tende a ristagnare in una tranquilla routine provinciale, scossa solo dall’attività di Giovan Battista Moroni = acutezza descrittiva + penetrante analisi di situazioni e dei tratti fisionomici dei suoi personaggi + verità ottica e immediatezza psicologica = il Sarto, Ritratto di Antonio Novagero = anni 60/70 del 500. Entrambi questi ritratti vengono definiti “ritratti in azione” = personaggi colti nell’attimo in cui stanno compiendo un gesto, evitando l’arida fissità del “ritratto ufficiale”. 6) Il rigorismo post-tridentino a Roma Il dilagare in Europa della Riforma protestante pone la Chiesa romana di fronte a problemi del tutto nuovi anche per quanto concerne le immagini sacre, contestate dai luterani che non ammettono lo sfarzo delle chiese e considerano il culto delle immagini religiose una pratica che esclude il diretto contratto tra l’uomo e Dio = conseguenza di questo = iconoclastia. La Chiesa cattolica riconosce invece il valore didattico e morale di tali immagini + le immagini sono viste come parte della storia della Chiesa, dunque non possono essere cancellate/ ripudiate. Come si sa poi = Riforma protestante = Concilio di Trento (1545-63) = per combattere/ arginare il pericolo della dottrina luterana + rendere più sistematica/ rigorosa la definizione della sua dottrina e dei suoi dogmi. Le indicazioni del Concilio circa le immagini = rendere comprensibili/ chiare/ accessibili a tutti le immagini sacre + Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane (1582). Conseguenza di questo = opere come = Noli me tangere, Marcello Venusti; Pietà, Taddeo Zuccari → modelli di devozione chiari, chiarezza espositiva, i particolari superflui sono tralasciati completamente, diretta/ semplice leggibilità dell’immagine. Taddeo, accanto all’arte sacra = mondo fastoso e mitologico = Palazzo Farnese a Caprarola. Anche Federico Zuccari, fratello di Taddeo, entra a far parte della stessa cerchia culturale = da un lato mitologia, classicismo ed eleganza, dall’altra arte sacra (= Affreschi con scene della Passione, nell’Oratorio di Santa Lucia al Gonfalone). Protagonisti del Concilio di Trento = i Gesuiti → Chiesa del Gesù a Roma (Vignola + facciata di Giacomo della Porta), anni 40 del 1500 → pianta longitudinale, una sola navata coperta da volta a botte, numerose cappelle laterali, grande cupola, transetto con cappelle laterali, sapiente gioco di luci. Decorazione interna della Chiesa → Assunzione della Vergine (Valeriano, Pulzone) + Cristo Bendato ed Ecce Homo (Valeriano, Celio) = tutti e tre = anni 80/90 del 1500. Opere in linea con le volontà della Controriforma = immagini semplici, dirette, cristallizzate in un arcaismo nitido, di intonazione pietistica e quotidiana. Altra opera emblematica in questo senso: l’Annunciazione di Pulzone, oggi al museo di Capodimonte. 42 SCHEDA 17, la committenza dei Farnese → Alessandro Farnese, poi papa con il nome di Paolo III = aveva un nipote cardinale, anche lui di nome Alessandro. La committenza dei Farnese sarà molto importante per il mondo storico artistico = palazzo Farnese a Roma + Palazzo Farnese a Caprarola = primo palazzo committenza del papa; secondo committenza di nipote del papa. Palazzo di Caprarola → PIANTA = Peruzzi, Anto da Sangallo; ARCHITETTO = Vignola; AFFRESCHI = Taddeo e Fede Zuccari; PROGRAMMA DEGLI AFFRESCHI = Annibale Caro. Fin da giovane Alessandro aveva avuto consuetudine con i grandi artisti = ritratto di Tiziano che lo ritrae insieme al fratello e al papa Paolo III + committenza di oggetti preziosi (Cassetta Farnese). Dalle ultime espressioni manieristiche al cauto sperimentalismo di inizio secolo nell’architettura e nella scultura Dalla metà del secolo l’ambiente architettonico romano è dominato dal Vignola (1500-70) → tempietto di Sant’Andrea sulla via Flaminia, Villa Lante a Bagnaia (interesse per integrazione architettura-ambiente + grande giardino all’italiana con terrazze, fontane, giochi d’acqua). L’artista si cimenta inoltre in sperimentazioni bizzarre e fantastiche → Sacro bosco di Bomarzo (grande parco voluto dagli Orsini, legati alla cerchia dei Farnese, e animato da mostri, giganti, fontane, templi ed altre capricciose costruzioni = intento è quello di suscitare stupore, meraviglia in coloro che si addentrano in questo emblematico ed onirico universo, naturale ed artificiale insieme = tipico giardino manieristico). Altre bizzarrie di gusto tardomanieristico = mascheroni progettati da Federico Zuccari per la facciata della sua casa (fine 1500). A Roma in quel periodo opera anche Carlo Maderno che, nel 1600 ca, è chiamato a dirigere la Fabbrica di San Pietro, vincendo nel 1607 il concorso per la realizzazione della FACCIATA della basilica petrina → unico ordine architettonico gigante (semicolonne + pilastri corinzi e trabeazione) + attico + timpano che sormonta la parte centrale della struttura. Nuovi fermenti in scultura → Stefano Maderno (fratello di Carlo) = Santa Cecilia Giacente; Francesco Mochi = Annunciazione oggi al Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto. Opere di inizio 1600. Linguaggio tardomanieristico = nuovi effetti dinamici e luministici + più diretto raccordo tra spazio e figure. SCHEDA 18, La nascita delle Accademie → prima Accademia = 1563, Firenze, Vasari-Cosimo De Medici = Accademia del Disegno. Scopo = sancire l’avvenuta emancipazione sociale degli artisti, sottoposti ormai solo al controllo del principe e liberamente riuniti in una istituzione culturale, concordi nell’affermare l’importanza del disegno come matrice comune di tutte le arti figurative. L’insegnamento accademico non è volto alla sostituzione dell’apprendistato in bottega ma si affianca ad esso. L’esperienza fiorentina trova seguito in quella romana di San Luca (nel 1593). Pluralità di indirizzi e di esperienze nell’area pontificia Dopo una feconda esperienza romana, Barocci (1535-1612) torna ad Urbino e vi rimane per decenni. Dopo il rientro nelle marche egli si avvicina alle correnti dei Francescani e Cappuccini, interpretandone nella sua opera i nuovi ideali di semplicità e comprensibilità. Suo primo capolavoro: Deposizione di Cristo (1569), ora a Perugia → affollata rappresentazione incentrata sul corpo morto di Cristo e sull’episodio dello svenimento della Vergine; tonalità patetica espressa nell’enfasi dei gesti; volumetria delle figure sfaldata, per via della vibrante e morbida stesura cromatica; gioco alterno di luci iridescenti e ombre profonde. In dipinti successivi, come la Fuga in 45 devozionalità locale e motivi codificanti il linguaggio manieristico europeo (Annunciazione, 1596- 97). In campo architettonico trovano sviluppo costruzioni militari destinate a difendere dalle incursioni dei Turchi: per iniziativa di governatori e viceré e controllati dal governo, vengono fatte costruire torri dotate di guarnigione e di artiglieria, o da cittadelle. Nuovi circuiti bastionati cingono le città, che subiscono importanti interventi di ripianificazione urbanistica: Napoli, capitale del Regno, viene dotata di nuove mura, nuovi assi viari e nuovi quartieri, così come anche a Palermo e a Messina (cardine delle difese contro i Turchi). La corte di Rodolfo II a Praga → Nel 1604, Karel van Mander, residente ad Harlem, raccoglie una storia degli artisti fiamminghi e italiani: nell’indicare la città europea più ricca di opere d’arte non cita Anversa, Roma o Firenze, ma Praga, la città boema divenuta capitale dell’Impero nel 1583, quando Rodolfo II abbandona Vienna minacciata dai Turchi. Discendeva da una famiglia di mecenati: suo nonno Ferdinando I (fratello di Carlo V) aveva creato il primo nucleo della collezione imperiale e suo padre Massimiliano II oltre ad incrementare le raccolte fa trasferire a Vienna artisti come il Palladio e Giambologna. Il castello di Rodolfo II diventa centro di raccolta di una notevole collezione, mentre schiere di artisti da tutta Europa si insediano nel suo interno e nelle sue vicinanze; fa ricercare e acquistare oggetti e opere preziose, tanto che fecero parte della sua collezione opere di Leonardo, Dürer, Correggio, Bruegel il Vecchio, Tintoretto, Veronese (di quest’ultimo, si ricordi la Venere e Marte legati da Amore).. per un totale di oltre mille quadri. L’imperatore coltivava anche contatti diretti con gli artisti del suo tempo, cui suggerisce soggetti da rappresentare. Tra i numerosi ad essere giunti a Praga, c’è il milanese GIUSEPPE ARCIMBOLDO (1527-93) che aveva già dipinto per suo pare ritratti allegorici, composti integrando oggetti diversi in sembianze antropomorfe, sebbene sia nella corte di Rodolfo II che questo genere incontra il massimo apprezzamento, in quanto la commistione tra naturale e artificiale incarna il clima naturale della capitale, frequentata in quel momento anche da astronomi, maghi, filosofi, alchimisti e artigiani, impegnati nei mutamenti più straordinari della materia naturale. Il Ritratto di Rodolfo II come Vertumno (1589, Svezia), eseguito dopo il suo ritorno a Milano e inviato a Praga nel 1590, restituisce le fattezze imperiali in una costruzione di fiori e frutti (Vertumno era il dio dell’abbondanza), innestando sul gusto nordico per la raffigurazione naturale degli oggetti lo spirito concettoso delle corti del tempo. Un altro importante pittore, proveniente da Anversa, è BARTHOLOMAEUS SPRANGER (1546-1611), che rimane al servizio di Rodolfo II per molti anni, elaborando uno stile raffinato ed elegante e dipingendo opere di soggetto sia sacro che profano le quali incontrano molta fortuna grazie alla circolazione delle stampe. Nella tela raffigurante Atena sconfigge l’Ignoranza e protegge le Arti e le Scienze (1591, Vienna) è chiara l’allusione al ruolo di Rodolfo II come mecenate. L’imperatore colleziona anche oggetti più raffinati e preziosi provenienti da tutta Europa: mentre a Praga nascono i primi laboratori di intaglio del vetro, da altri centri italiani affluiscono artisti come i MISERONI, incisori ed intagliatori di cristallo e pietre dure, veri produttori e diffusori di forme manieristiche. 8) Ludovico, Agostino e Annibale Carracci Lo stanco ripetersi di schemi manieristici nei dipinti degli ultimi decenni del Cinquecento genera insofferenza da parte di alcuni artisti. Caravaggio e i Carracci partono da una radice comune (= il naturalismo dei lombardi) e approdano a un rinnovamento della cultura figurativa, abbandonando la strada dell’artificio e del virtuosismo, per tornare alla natura e restituire verosimiglianza alle storie narrate. Il percorso di Caravaggio non presenta in realtà punti in comune con quello dei tre bolognesi (tranne l’emigrazione a Roma intorno allo scadere del secolo), MA CONDUCE COMUNQUE AL DEFINITIVO TRAMONTO DELLA LUNGA STAGIONE MANIERISTICA. 46 L’attività dei Carracci si svolge inizialmente a Bologna, ove i tre cugini fondano, nel 1582, l’Accademia dei Desiderosi (dal 90 Accademia degli Incamminati), con lo scopo di insegnare la buona pittura → “tornare” al VERO NATURALE. Quest’ultimo viene recuperato mediante un più stretto contatto con la realtà quotidiana e con lo studio-rimeditazione della tradizione rinascimentale, attingendo a modelli quali Raffaello, Correggio, Tiziano, Barocci. Alla luce di tali indirizzi, il DISEGNO torna ad essere strumento di indagine sulla realtà, che ripudia bizzarrie, concettosità, effetti virtuosistici, senza rinunciare alla grandiosità. Il disegno punta alla diretta comprensibilità e verosimiglianza (= in accordo con gli orientamenti scientifici della città e con le esigenze devozionali cui da voce il Paleotti). Vivi interessi naturalistici trovano riflesso in dipinti giovanili di Annibale → Ragazzo che beve, 1582 (NY); Macelleria, 1583 (Oxford). Nei cicli ad affresco dipinti nei palazzi bolognesi (il primo in Palazzo Fava, nell’82-83) l’attività dei tre artisti è volutamente corale. Nella biografia dei Carracci (Malvasia, 1678) è riportata una loro affermazione rivelatrice: alla richiesta di distinguere l’apporto personale lasciato da ciascuno nel ciclo delle Storie di Romolo in Palazzo Magnani, gli artisti rispondono che “l’opera è dei Carracci: l’abbiamo fatta tutti noi”. In realtà la maniera dei tre maestri viene diversificandosi notevolmente con il procedere degli anni, dando luogo a esperienze molto articolate. Se ci si sofferma ad esaminare tre opere a soggetto religioso dei tre artisti, tutte più o meno dello stesso periodo, si possono notare le differenze. • Ludovico → Annunciazione (Pinacoteca di Bolo, 1585) = sensibile alle richieste di chiarezza narrativa del Paleotti; rigore formale e prospettico definisce la scena; gli elementi superflui non sussistono; semplificazione; adatta ad una lettura devota; gamma cromatica contenuta; delicati effetti luminosi. In seguito le sue opere acquisiranno maggiore eloquenza narrativa/ compositiva. Ludovico sarà sempre un sensibile indagatore della sfera dei sentimenti, capace di commuovere e persuadere. • Agostino → La Comunione di S. Gerolamo (Pinacoteca di Bolo, 1583) = componente intellettuale ed erudita, che lo allontana dalla sensibilità sentimentale del cugino; riferimenti a Tiziano, Tintoretto, Correggio, Raffaello; attenzione analitica; calda intonazione cromatica di matrice veneta. • Annibale → Assunzione (Pinacoteca di Bolo, 1592) = le esperienze naturalistiche rifluiscono nella caratterizzazione dei singoli apostoli, che manifestano concitatamente il loro stupore di fronte al sepolcro vuoto; calda gamma cromatica; potente slancio ascensionale della composizione; forti contrasti luministici. Nel 95 Annibale raggiunge Roma. Dei tre membri dell’accademia solo Ludo rimane in patria. Annibale nella città eterna non rinnega il suo passato, ma propone piuttosto una sintesi di idealismo- naturalismo. Nella bottega romana di Annibale passano i maggiori artisti emiliani della nuova generazione = Reni, Domenichino, Albani. Opere del periodo romano di Annibale: • Pietà, 1600 (per i Farnese, ma ora a Napoli) → rapporto tra la Vergine e il figlio morto; la luce inonda le due figure; impianto monumentale; idealizzata bellezza del corpo di Cristo. • Fuga in Egitto, 1603 (Galleria Doria Pamphili) → (una delle lunette per il cardinale Aldobrandini, destinate alla cappella del suo palazzo di famiglia). Paesaggio ispirato all’ideale classico, aprendo la strada all’opera del Domenichino, dell’Albani e di Poussin; il “sentimento della natura” diviene protagonista; ambiente armonico ideale; profondità prospettica e atmosferica; sapienti tagli spaziali e luminosi. • La decorazione della Galleria Farnese → il palazzo romano dei Farnese, progettato da Antonio da Sangallo e successivamente compiuto da Michelangelo, da Vignola e da Della Porta, 47 passa in eredità, dopo la morte del cardinale Alessandro, al cardinale Odoardo. Egli intende completare la decorazione della residenza di famiglia, e per questo affida gli affreschi del Camerino e della Galleria del palazzo ad Annibale. 1) Il Camerino = occupa Annibale fino al 96-97. In un complesso intreccio di motivi mitologici, decorativi, araldici, Annibale fornisce una nuova, moderna interpretazione dell’universo classico, anche se ancora non raggiunge quella pienezza espressiva che mostrerà nella Galleria. 2) La Galleria = è concepita come fulcro del percorso interno del palazzo, luogo espressione della potenza della casata. Dopo un iniziale progetto che prevedeva l’esecuzione delle Gesta dei Farnese, Odoardo decide di far dipingere nella volta un ciclo mitologico raffigurante gli Amori degli Dei, e nelle fasce parietali le Virtù. Accanto ad Annibale giunge a Roma anche il fratello Agostino, chiamato a collaborare alla decorazione: il sodalizio si rivelerà difficile, e ben presto Ago tornerà in patria. Nella fase conclusiva sono accanto ad Ann molti collaboratori: Domenichino, Lanfranco. L’affresco della volta prende avvio nel 98 e si conclude nel 1600 ca e viene strutturato mediante una complessa intelaiatura architettonica, con medaglioni e figure di ignudi, ispirata alla volta della Sistina. Il riquadro centrale raffigura il Trionfo di Bacco e Arianna, mentre tutto intorno, entro scomparti minori, trovano posto gli altri dei dell’Olimpo e i fauni, le ninfe, i ciclopi. La narrazione mitologica, svilita nei decenni precedenti a puro gioco intellettualistico, ritrova nella visione di Annibale nuovo rigore. Lo studio del naturale continua ad essere una componente fondamentale e restituisce verosimiglianza a gesti e pose degli dei antichi. 9) Caravaggio Uno dei pittori naturalisti più famosi al mondo. Non fu un “pittore maledetto”, era già molto noto e famoso quando era in vita. Tra Sette e Ottocento però nessuno o quasi parlava di Caravaggio, autore negletto dalla critica, fino a che non si arriva a Roberto Longhi (1890-1970), che scrive una tesi di laurea su Caravaggio, occupandosi inoltre della rivalutazione di tale artista, egli ha resuscitato Caravaggio dall’oblio. Non si può parlare di Caravaggio senza parlare di Longhi. Fin dalla tesi di laurea egli ha iniziato ad occuparsi del Merisi. Perché questo interessamento? Perché avendo vissuto in un periodo di rivoluzione artistica (impressionismo, cubismo, espressionismo), collegò quei fenomeni all’avanguardia a Caravaggio e i Caravaggieschi (i quali costituivano per il loro tempo appunto, un elemento di innovazione). Rilegge i fatti del passato con tale ottica. L’idea di Longhi è quella di dimostrare che Caravaggio nasce come pittore lombardo, il suo realismo ha un’origine lombarda e resterà tale nel suo animo, nonostante cambiamenti/ influenze. Longhi nel 1917 scrive le Cose bresciane del Cinquecento, nel 29 i Quesiti caravaggeschi e nel 53, dopo aver prodotto una straordinaria mostra su Caravaggio, dedica un’altra mostra ai Pittori della realtà dal Moroni al Ceruti. In Lombardia c’è un movimento di avvicinamento alla realtà e di rapporto profondo con essa che non si riscontra in nessun’altra parte di Italia (diffusione di tale movimento avvenuta prettamente post Concilio di Trento). Biografi di Caravaggio → Giulio Mancini, Considerazioni sulla pittura (fonte neutra, non da giudizi); Gaspare Celio (artista tardo manierista contemporaneo a Caravaggio), Biografia di Caravaggio, lui in particolare ne esalta il colorismo e lo critica per il fatto che non disegnava (questa cosa era per lui indice di ignoranza); Karel van Mander (pittore e biografo fiammingo), che scriverà a lungo su Caravaggio; e ovviamente Giovanni Bellori.  Mancini afferma che Caravaggio è all’origine di una scuola pittorica, di un movimento pittorico. Elogia e ama Caravaggio ma fin da subito mette in evidenza anche i vari difetti del suo stile 50 l’Angelo (1602). Possedevamo con lo stesso soggetto un altro dipinto del Merisi, perito nell’incendio tedesco nel quale si trovava (abbiamo però delle foto in bianco e nero) originariamente del Giustiniani. Alcuni hanno ipotizzato che la versione ora perduta del San Matteo e l’angelo fosse originariamente la prima versione del dipinto per la chiesa, che, dovette esser rifatta, non tanto per via dello stile, quanto per via delle misure (il dipinto perduto è più piccolo di quello ancora oggi ai Francesi) e quanto per l’iconografia (Caravaggio rappresenta in entrambe la stessa scena ossia l’Angelo che, posto accanto al San Matteo seduto, lo guida nella scrittura del Vangelo.. L’iconografia è la stessa, ma il risultato è molto diverso: la seconda versione appare infatti più spirituale, intellettualmente alta, il San Matteo somiglia quasi ad un filosofo che idealmente viene guidato dall’angelo nella scrittura del suo testo; nella prima versione invece non c’è niente di ideale, il San Matteo sembra quasi un analfabeta guidato materialmente nella scrittura dalla mano dell’angelo, che, mentre muove la mano del Matteo, contemporaneamente gli detta un qualcosa. La prima composizione non aveva dunque un carattere austero e severo. A questo proposito aveva scritto Roberto Longhi che l'angelo, ben diverso dall'essere celeste «maggiore che il naturale», come voleva il programma, mostrava di essere un «ragazzaccio insolente, panneggiato in un lenzuolo a strascico come in una rappresentazione sacra da teatrino parrocchiale»). La composizione (seconda versione) comunque imprime alla raffigurazione un contrasto di chiaroscuri illuminato dall'alto, un carattere plastico, che fingeva in modo straordinario la scultura. La rappresentazione è più rigorosa e severa. È inoltre evidente in entrambe il tema della collaborazione tra Dio e gli Uomini. Quindi il rifiuto della Pala d’Altare di cui parlano Baglione e Bellori è una falsa notizia: l’ipotesi di Spezzaferro è invece quella più accreditata. Il Baglione e il Bellori per esempio raccontano che la prima versione venne rifiutata per “i piedi accavallati e nudi esposti al popolo”. Cosa senza fondamenti, perché Caravaggio lo aveva visto fare al cristianissimo maestro Peterzano (S Matteo e l’Angelo, Milano, Certosa di Garegnano). - Cappella Cerasi, Santa Maria del Popolo (stessi anni ca) → Ce ne parla Baglione. Per questa Chiesa Caravaggio dipinge la Crocefissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo. Prima della costruzione attuale preesisteva nello stesso luogo una cappella dedicata alla Vergine, commissionata dal cardinale di Venezia Pietro Foscari. Nel luglio 1600, la cappella fu acquistata dal monsignor Tiberio Cerasi, tesoriere della Camera apostolica. Cerasi incaricò l'architetto Carlo Maderno della risistemazione ed ampliamento della cappella, mentre le decorazioni del vano interno furono commissionate ad Annibale Carracci e a Caravaggio. Il contratto del Merisi prevedeva la realizzazione di due quadri su tavola (crocifissione e conversione) stabilendo anche le misure e il tempo limite di realizzazione (8 mesi). Poco dopo muore Tiberio Cerasi, lasciando erede l’Ospedale della Consolazione. Gli eredi però hanno certamente pagato due pitture su tela, non su tavola com’era previsto in origine, infatti i due quadri oggi a S M del Popolo sono su tela, non su tavola. Questi ultimi però vennero comunque realizzati e sono ancora oggi esistenti: Conversione di S Paolo, Collezione Privata (famiglia Odescalchi), esso è sicuramente il precedente della Conversione di S Paolo ora nella cappella Cerasi, poiché è delle stesse identiche dimensioni e perché raffigura il medesimo soggetto. C’è però tra le due versioni un abisso circa la concezione. Nella prima versione c’è un parapiglia, il cavallo si impenna, Paolo è a terra (personaggio con la barba lunga), qui Gesù è portato davanti a Paolo da un angelo. Scena concitata. Realizzazione agli antipodi della seconda, che Bellori definisce “senza azione”. La conversione di S. Paolo era tradizionalmente un episodio concitato, il pittore quando si cimentava nella sua realizzazione doveva da prova di saper rappresentare lo sconvolgimento di un fatto improvviso (nella prima versione cerca infatti di fare questo, molto vicina alla cappella Paolina di Michelangelo). Nella seconda non c’è niente di tutto ciò: 51 Caravaggio si stacca dalla tradizione creando qualcosa di nuovo, la conversione è ridotta ad un fatto interiore ed è segnalata solamente dalla luce sovrannaturale che colpisce Paolo. Lo scudiero da da mangiare al cavallo senza accorgersi di nulla. Gli eredi non avevano soldi come l’aveva prevista il Cerasi, per cui l’idea di Spezzaferro è quella che Caravaggio aveva consegnato in un primo tempo le tavole (quando ancora la cappella non era finita), il Cerasi muore, a quel punto arriva Sannesi che vuole comprare le tavole, perciò Caravaggio gliele vende, a questo punto il Merisi rifà queste realizzazioni su tela (la tela era meno costosa della tavola ovviamente), adattandole al nuovo ambiente (leggermente più piccolo di quello previsto dal Cerasi) senza però rimpicciolire le tele che sono delle medesime dimensioni. A S M del Popolo c’è anche la Madonna Assunta di Annibale Carracci che sembra molto schiacciata perché egli aveva evidentemente consegnato il dipinto prima del termine della cappella e quindi senza considerare le successive modifiche di essa. Le tele di Caravaggio sono invece perfettamente in linea con lo spazio a loro assegnato. Del 1603 è la magnifica Deposizione di Cristo della Pinacoteca vaticana. Copiato fino a Cezanne. L’opera ritrae il momento in cui Cristo sta per esser seppellito nel sepolcro: il punto di vista in cui si colloca il fruitore è pertanto basso, di modo che il fruito è come se guardasse da dentro la tomba, rendendo quindi partecipe lo spettatore. L'aspetto monumentale è attentamente ravvisabile nella scultorea drammatica anatomia di Cristo, che riporta alla Pietà di Michelangelo e che ne ribadisce la stessa drammaticità trasmessa agli spettatori che si trovano in direzione il taglio della pietra sepolcrale e il sospettoso sguardo di Niccodemo. La lastra tombale sembra fuoriuscire dal quadro. I ricordi lombardi e il riferimento alle opere di Simone Peterzano si uniscono, qui, ad elementi tratti dal repertorio antiquario. Del 1605 è la mirabile Madonna della Serpe (ora alla Galleria Borghese) e la Morte della Vergine del Louvre. Riguardo quest’ultima → Dipinta originariamente per i Carmelitani, i quali avevano una visione della Vergine che non poteva esser in linea con quella di Caravaggio. Lo acquista successivamente Vincenzo Gonzaga. Da lì ha un iter impressionante. Il quadro arriverà a Londra, poi con Cromwell esso verrà venduto al re di Francia ove tutt’ora è. La scena è inserita in un ambiente umile con al centro il corpo morto della Vergine, in primo piano la Maddalena, seduta su una semplice sedia, che piange con la testa tra le mani, e tutt'intorno gli Apostoli addolorati; l'intonazione cromatica molto scura è illuminata dal rosso della veste della morta e della tenda, elemento di una scenografia povera. Inoltre, la composizione degli apostoli, allineati davanti al feretro, forma, in linea col corpo e col braccio di Maria, una croce perfetta. Dolore umano degli apostoli. Non c’è la visione dell’assunzione della vergine (la quale secondo la tradizione non muore in maniera vera e propria, ma si addormenta in un sonno profondo, una dormitio, un transitus dalla terra al Cielo), ma c’è la visione della Vergine morta in maniera vera e propria, come una qualsiasi donna, attorniata da persone sofferenti. Mancini ci racconta inoltre che il corpo della modella è quello di una prostituta morta annegata. Due anni più tardi dipinge Le sette opere di misericordia, pala corale, ove mette insieme tante scene (seppellire i morti, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi ecc.), ossia rappresenta le sette opere di misericordia e la Vergine. Lo spazio si amplia + la tavolozza è più scura. Alcune delle sue ultime opere = Decollazione del Battista, Resurrezione di Lazaro (entrambe del 1608-09) + sua ultima opera = Davide con la testa del Golia (1610). Muore a Porto Ercole nel 1610. 52 Roma: la sfera di influenza di Caravaggio Il Caravaggio non ebbe una scuola né allievi diretti, differenziandosi anche in questo dalla consuetudine = conseguenza = assai eterogeneo il gruppo di pittori attratti dal suo naturalismo e dalle novità iconografiche e formali. Orazio Gentileschi (1563-1639) → toscano, ma giunto a Roma nel 76, ove lavora anch’egli per il Cavalier d’Arpino. La sua arte è permeata da un naturalismo caravaggesco incredibile = rappresentazioni nitide ed eleganti, in cui il colore acquista ricche modulazioni. Annunciazione (1623); Ritrovamento di Mosè (1633). Artemisia (1597-1652) → limpido rigore disegnativo ereditato dal padre, accenti drammatici derivati dai modelli caravaggeschi, effetti teatrali. Maddalena Penitente (1620). Carlo Saraceni → lo studio di Caravaggio sposta l’accento su più drammatici contrasti luministici e sulla resa realistica dei personaggi (Estasi di San Francesco, Morte della Vergine). Anche Orazio Borgianni → nonostante fosse stato nemico di Caravaggio: nella Sacra famiglia e Santi si accosta al suo stile, adottando una modulazione di luci e ombre che mette in risalto il gruppo di figure raccolte intorno al bambino; in primo piano invece una cesta di panni manifesta la sensibilità dell’artista per motivi naturalistici. Il mantovano Bartolomeo Manfredi (1582-1620) → realizza opere di stretta ortodossia caravaggesca, volte a sfruttare le invenzioni iconografiche in scene di genere (il Corcerto), in cui si perde la tensione che li caratterizzava originariamente: l’artista trasforma in pratica le invenzioni del Merisi in soggetti di genere resi con accentuato naturalismo. Un filone più “spirituale” è proposto dalla pittura del ticinese Giovanni Serodine, (1600-30) → che offre un’interpretazione passionale e fervida dei soggetti sacri, radicalizzando le scelte di Caravaggio e trasformando sempre più le scene religiose in accadimenti “quotidiani”, con umili personaggi, come nell’Incontro di san Pietro e san Paolo, in cui tra l’altro la tecnica manifesta rapide pennellate a tocco, intrise di luci e ombre profonde, che si allontanano dalla nitida definizione caravaggesca. Il francese De Boulogne, giunto a Roma nel 1612, si accosta al Merisi soprattutto attraverso Manfredi, ma conferisce alle scene uno spessore psicologico più profondo come in Scena di osteria, 1616. Anche lui approda ad una stesura pittorica di tocco, rapida e guizzante che troverà il favore dei committenti tra cui i Barberini che gli affideranno l’incarico di dipingere per la basilica di S. Pietro la grande pala con il Martirio dei Santi Processo e Martiniano. Un altro francese, Simon Vouet, 1590-1649, giunge a Roma nel 1612 e realizza importanti opere come La tentazione di San Francesco e S. Francesco rinuncia ai suoi averi, che tradisce studi caravaggeschi e lo studio del tonalismo veneto. Oltre ai francesi, a Roma operano anche i fiamminghi, che recuperano Caravaggio nell’interpretazione profana di Manfredi: Gerrit van Honthorst. Egli si specializza in scene di genere, spesso a lume di candela (San Giuseppe Falegname), riprendendo molto spesso puntualmente interi brani di composizioni caravaggesche, staccati dal loro originario contesto. La fortuna del caravaggismo a Roma va lentamente declinando per via del Classicismo dilagante + Barocco.
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