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Storia dell'arte contemporanea 1 - Dal Neoclassicismo al romanticismo, Appunti di Storia dell'arte contemporanea

Riassunto Cricco di Teodoro pt 1

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 26/06/2020

francesca_crescimone
francesca_crescimone 🇮🇹

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Scarica Storia dell'arte contemporanea 1 - Dal Neoclassicismo al romanticismo e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! Storia dell’arte contemporanea 1 RIASSUNTI — CRICCO DI TEODORO. Neoclassicismo. Nonostante la cultura artistica e letteraria della seconda metà del Settecento e dei primi anni dell’Ottocento sia attraversata da numerose sollecitazioni artistiche, quella prevalente fu quella classica. La passione per l’antico di fatti si era già accesa durante il periodo rinascimentale e durante l’epoca dei lumi diventò la caratteristica più significativa, non solo da un punto di vista artistico ma anche sociale e culturale nel panorama europeo. Grazie alla diffusione di stampe e libri, accompagnate dai grand tour si iniziò a conoscere la cultura degli antichi, il desiderio di possedere pezzi originali o calchi e riproduzioni delle sculture classiche e ellenistiche cresceva sempre di più tra i nobili e gli appassionati. Questa nuova tendenza viene ben rappresentata nel 1781 da Johann Zoffany che raffigura La biblioteca di Charles Towneley, dove il padrone di casa siede accompagnato da amici intenti in una discussione nella sua biblioteca ricca di arte antica, trasmettendo il piacere per lo studio, la formazione del conoscitore e del’’amatore. Il termine “Neoclassicismo” venne coniato alla fine dell’Ottocento con intendo dispregiativo per indicare un’arte non originale e accademica. Tuttavia il movimento nasceva con altri ideali, il ritorno all’antico e la volontà di dar vita ad un nuovo classicismo. La corrente è la logica conseguenza sulle arti del pensiero illuminista — il rifiuto degli eccessi del Barocco e del Rococò, che rappresentavano i sentimenti della classi dominanti e dei governi dispotici contrapposto alla cultura greca delle poleis, che si erano potute sviluppare proprio grazie alla libertà che le caratterizzava. Oltre l’influenza della cultura delle poleis, importante furono gli scavi di Ercolano e Pompei, iniziati nel 1738, scavi che offrirono ai contemporanei uno sguardo alle architetture, affreschi, statue, arredi e oggetti di uso quotidiano del 79 d.C. Winckelmann. Il movimento neoclassico ebbe come sede privilegiata Roma, fonte inesauribile di ispirazione classica ed il suo massimo teorico fu il tedesco Winckelmann, questi nella sua terra di origine aveva studiato teologia, medicina e matematica e proprio grazie ai suoi studi nel 1755 iniziò a lavorare come bibliotecario presso il cardinale Domenico Passionei, pubblicando nello stesso anno i Pensieri sull’imitazione dell’arte greca nella pittura e nella scultura, all’interno di quest’opera sono già presenti i principi chiave del Neoclassicismo. Winckelmann parte dal presupposto che il buongusto abbia avuto origine in Grecia e che “L’unica via per diventare grandi e, se possibile, inimitabili, è l’imitazione degli antichi”, l’imitazione è cosa diversa della copia, imitare, infatti, vuol dire ispirarsi a un modello che si cerca di uguagliare, copiare è limitativo in quanto prevede la realizzazione di un’opera identica in ogni parte all’originale. L’autore di fatti consiglia di imitare due opere scultorie, che sono l’Apollo del Belvedere e il gruppo del Laocoonte, due sculture che a suo parere esprimono il carattere principale della grandezza dell’arte greca cioè la nobile semplicità e la quieta grandezza e specifica: “La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che nell’espressione. Come la profondità dl mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata” Piranesi. Nel bel bezzo del Neoclassicismo quando la tesi prevalente era che la purezza dell’arte fosse stata raggiunta dagli antichi Greci e che i Romani l’avessero corrotta, Piranesi manifestava idee completamente diverse, di fatti era dell’opinione che i Romani non dovessero nulla ai Greci ai quali anzi erano superiori. Egli si trasferì a Roma dopo la sua formazione a Venezia, lì venne sin da subito riconosciuto il suo talento di incisore e disegnatore, tra le sue opere più importanti si ricorda la “Prima parte di architetture e prospettive”, un insieme di incisioni di fantasia. L’amore appassionato per le vicende artistiche romane e la prestanza continua a Roma fecero dell’architetto/disegnatore uno dei più profondi conoscitori delle vestigia classiche e della topografia romana. Piranesi per quanto fu il primo ad avvicinarsi all’arte classica e a prenderla come riferimento, ha fiducia nella creatività e nella libertà artistica perciò non si allontana del tutto dal Barocco e dal Rococò, non riuscendo ad accettare i principi del Neoclassicismo. David. Nato a Parigi nel 1748 David compì i primi studi nella capitale francese, frequentando l’accademia di belle arti e partecipando più volte al concorso per il premio di pittura che dava la possibilità ai vincitori di vivere per un lungo periodo a Roma. David soggiornò in Italia dal 1775 al 1780, successivamente dal 1784 al 1785, ebbe modo in questi due lassi di tempo di studiare la scultura e la pittura romana, in particolare quella di Raffaello, soggiornò inoltre a Napoli, Ercolano e Pompei e lì affermò di aver aperto gli occhi sull’Antico, affermando inoltre che “Operare come gli antichi e come Raffaello è essere veramente artisti”. Rientrato in Francia ebbe numerosi incarichi di lavoro e partecipò attivamente alla rivoluzione del 1789, fu deputato e poi presidente della Convenzione Nazionale, appoggiò Robespierre e i suoi ideali, alla morte di questi fu incarcerato. Come molti artisti del tempo fu affascinato di Napoleone, tanto da diventare suo sostenitore ma dopo la sua caduta e la restaurazione, nel 1816 fu costretto all’esilio in Belgio dove si spense nel 1825. Il giuramento degli Orazi. La presenza a Roma fu particolarmente proficua per David. Nelle Stanze Vaticane e nei dipinti di Raffaello, colse ciò che a suo avviso costituiva il grande carattere dell’artista: essere riuscito ad isolare ogni personaggio e averlo reso in tal modo autonomo all’interno di una narrazione con tante comparse e protagonisti. Canova. Canova nasce a Possagno nel 1757, figlio di uno scalpellino fece il suo apprendistato a Venezia dove aprì uno studio nel 1755, nel 1779 si trasferisce a Roma, presso l’ambasciatore della Repubblica Veneta, Girolamo Zulian. Visse nella capitale per tutta la vita, allontanandosi solo per alcuni soggiorni nei luoghi natii e per viaggi all’estero in particolare a Parigi su chiamata dello stesso Napoleone. Amato e ammirato dagli amici e dai potenti, ebbe incarichi di lavoro dalla nobiltà veneta e romana, da Napoleone e dai membri della sua famiglia, da aristocratici russi e dotti amici inglesi, dagli Asburgo d’Austria, dai Borboni di Napoli, dalla corte pontificia. Teseo sul minotauro. La prima opera scultorea che Canova realizzò a Roma fu Teseo sul Minotauro, su commissione dello stesso Zuliàn. Il soggetto e il modo in cui viene proposto indicano quanto Canova fosse vicino alle teorie di Winckelmann. L’eroe seduto sul corpo del Minotauro è rappresentato dopo la lotta, successivo all’azione: ogni passione è spenta, la rabbia e la furia del combattimento sono passate. Nella tranquillità della posizione di riposo Teseo mostra la sua anima grande, non è teso né contratto, non già in preda a passioni violente. I due corpi che costruiscono il gruppo formano una struttura piramidale sono perfetti secondo la concezione classica. Lo scopo di Canova rispecchia gli ideali greci cioè il raggiungimento della bellezza ideale, impossibile da trovare in natura e dunque realizzato dalle mani dello stesso artista. La tecnica scultorea. Canova prediligeva il marmo, riteneva al pari di Michelangelo che fosse l’unico materiale adatto alla scultura. Le sue prime opere vennero realizzate esclusivamente da lui, successivamente egli organizzò la propria bottega in modo da riservare a sé la lavorazione finale della superficie, cioè l’attività creativa, lasciando che gli aiutanti svolgessero le mansioni meno importanti. Tutte le sculture canoviane sono condotte fino al sommo grado di finitura, levigate sino a che il marmo opaco non diventa totalmente liscio, traslucido, cioè quasi trasparente. È in questa estrema finitura del marmo che risiede la poetica di Canova, attento ai particolari oltre che alla resa complessiva e agli effetti di grande luminosità e tenue ombreggiatura. Paolina Borghese. Un riferimento importante nel neoclassicismo è la statua di Arianna (sorella del Minotauro) che qui viene rappresentata nella disperazione, dopo essere stata abbandonata da Teseo, questa immagine diventerà un’iconografia e avremo riferimenti a quest’opera per tutto il neoclassicismo Ripresa innanzitutto dallo scultore Canova con la sua opera Paolina Borghese, sorella di Napoleone che l’artista rappresenta come Venere vincitrice, infatti con un gesto grazioso tiene in mano il pomo della vittoria offerto da Paride giudicata da lui come la più bella. Paolina è rappresentata al di fuori della realtà terrena, per le sue sembianze divine e il suo corpo idealizzato. Canova inoltre ricopre le parti della sua pelle esposta con della cera rosa per imitare l’incarnato. Il letto su cui è posizionata conteneva un’ingranaggio che consisteva alla scultura di ruotare, in modo che essa cambiasse in base alla direzione o alla quantità di luce che la colpiva. Ingres. Nato a Montauban nel 1780 il giovane Ingres dopo i suoi primi studi a Tolosa si trasferì a Parigi per frequentare l’atelier di David, diventò professore all’accademia di Francia per poi diventarne direttore. Si recò a Roma giovanissimo dopo aver vinto il Prix De Rome, rimanendovi fino al 1820, per poi trasferirsi a Firenze fino al 1824. La sua arte dovette gareggiare con le novità di Delacorix in una Francia in cui la spinta neoclassica andava spegnendosi per lasciare il passo alle espressioni romantiche. Edipo e la sfinge. Fra le più note opere si colloca l’Edipo e la sfinge, la cui prima versione risale al 1808 e l’ultima variante al 1864. Edipo è in piedi di fronte alla sfinge che, appollaiata su una roccia aveva portato il terrore e la morte a Tebe. Ogni elemento all’interno del dipinto risulta essere disposto secondo una rigida composizione geometrica. Edipo, figlio e futuro inconsapevole marito di Giocasta, è in nudità eroica e solo il mantello ripiegato sulla spalla destra, il cappello a falde larghe e due lance dalla punta rivolta in basso lo identificano come un viandante. Il giovane ricciuto guarda negli occhi la sfinge mentre scioglie l’enigma che essa pone alle vittime e al quale nessuno, prima di lui, ha saputo rispondere. La mostruosa creatura, un po’ leone e un po’ donna, guarda Edipo con viso arcigno e fissa torva verso l’esterno del dipinto, quasi a voler mostrare, a coloro che osservano, il proprio sconcerto e la rabbia di essere stata vinta. Non c’è, in questo dipinto di Ingres, nessun altro significato se non quello della ricerca della bellezza ideale e l’esecuzione di un corpo giovane e ben proporzionato, libero nello spazio. La grande Odalisca. Un clima intimo e conturbante è invece configurato nella Grande odalisca, suggestiva di contaminazioni romantiche per il giusto esotico. La Venere di Urbino di Tiziano sta alla base della composizione del dipinto, tuttavia la Venere Tizianesca è completamente rivolta verso lo spettatore, quella di Ingres è rappresentata di spalle. Le due tele con Maja vestida e desnuda sono senza dubbio tra le più celebri di Goya. Nonostante l’apparenza le modelle scelte sono diverse, quella della Maja vestida è più alta e più slanciata, quella della Maja desnuda è di statura inferiore e di corporatura più minuta. Entrambe adagiate su grandi cuscini, volutamente collocate nella stessa postura assumono un atteggiamento artefatto e innaturale. Tutto ciò è tuttavia riscattato con l’intensità profonda dello sguardo malizioso in entrambi i volti, dove i vividi occhi sono punti con decisione e sfrontatezza verso chi osserva il dipinto. Le fucilazioni del 3 maggio 1808. In questo grandioso dipinto storico Goya porta sulla tela il dramma della rivoluzione antinapoleonica vissuta in prima persona, quando agli inizi di maggio 1808, assistette all’eroica resistenza del popolo madrileno contro l’invasione delle truppe francesi. La tela viene dipinte dopo sei anni dopo, costituisce una straordinaria novità nel panorama artistico del tempo, infatti per la prima volta vengono riprodotti avvenimenti contemporanei nel vivo del cruento svolgimento. Il dipinto raffigura una delle tante esecuzioni effettuate dalle truppe napoleoniche, che non vengono viste in volto e i lineamenti sono inghiottiti dalla notte, con questo espediente Goya caratterizza i soldati come un gruppo compatto e minaccioso. A sinistra vi sono i patrioti ammassati in maniera scomposta gli uni contro gli altri, sono rappresentati come animali impauriti, e rappresentano un realismo carico di tragica pietà. Le macchie informi per terra si fanno sangue, carne e volume, plasmati dall’incerta luce della lanterna con sullo sfondo – lontano e pur incombente – il profilo della martoriata Madrid, addormentata nella notte della vendetta. Gericault. Nasce nel 1791, figlio di un’avvocato, si trasferisce a Parigi. Divenuto presto pittore indipendente dopo i suoi studi, nel 1816 si presenta per il Prix de Rome ma non ne risulta vincitore, progetta un viaggio indipendente a Roma dove si trattiene a proprie spese per circa un anno. La sua poetica è sospesa tra Neoclassicismo e Romanticismo con una maggiore propensione verso l’arte romantica. Dopo un breve periodo trascorso in Inghilterra, rientrato in patria, i suoi interessi per la tragica condizione umana aumentano. Risultato di questo atteggiamento è un’indagine pittorica del mondo della follia, esente da ogni morbosità e tesa soprattutto a rivelare la dignità di chi è prigioniero di una malattia mentale e del dolore, più o meno cosciente, che ne consegue. Un male non curato lo conduce a una morte precoce. Corazziere Ferito che abbandona il campo di battaglia. Gericault dipinse numerose volte il soggetto dei cavalli e tra questi è legato il dipinto del Corazziere ferito che abbandona il campo di battaglia. Esposto nel 1814 al Salon, esso è connesso alla disfatta napoleonica, tuttavia la lontananza del campo di battaglia, la mancanza di sofferenza nel volto del soldato ferito e l’attenzione rivolta alla perfezione formale denunciano ancora la dipendenza del neoclassicismo. Il soggetto, non ritratto quale vincitore, ma come vinto, non come un eroe, ma quale semplice uomo che cerca di aver salva la vita, è la rappresentazione della caduta delle certezze e delle grandi aspirazioni napoleoniche, il presagio della fine di un’epoca. La zattera della Medusa. Pochi anni dopo il suo ritorno a Parigi Gericault dette prova di aver assimilato e anche superato l’insegnamento neoclassico. Infatti nella Zattera della Medusa, un dipinto di grandi dimensioni il cui soggetto è ricavato da un fatto di cronaca, dove l’artista piega la perfezione formale classicista alla nuova sensibilità romantica preannunciando addirittura il realismo. Il dipinto mostra i pochi scampati al naufragio della name francese Medusa nel momento in cui avvistano in lontananza la nave che li porterà in salvo. Tutti gli uomini sono accalcati, creando con gli elementi della zattera una forma quadrangolare. I corpi sono modellati come se fossero statue e sono colpiti da una luce che da loro solidità. In primo piano troviamo i cadaveri, testimonianza della lunga sofferenza patita e a sinistra troviamo un giovane morto, quasi del tutto nudo sorretto da quello che sembra il padre, che ha un aspetto nobile e pensoso, simile a un eroe omerico. L’alienata. Un’uguale dignità si rivela anche nella solitudine dell’Alienata con monomania
 dipinto facente parte di una serie di dieci tele di cui solo cinque sono giunte fino a noi, eseguite fra il 1820 e il 1824. La pittura di Gericault, che negli anni precedenti aveva toccato molti temi, dalla mitologia alla documentazione, alla storia, con la serie dei Folli si fa definitivamente introspettiva. La vecchia è resa con gli occhi arrossati e la fronte attraversata da numerose rughe. Profondi solchi sottolineano gli zigomi. L’anziana donna ha la testa volta a sinistra e lievemente abbassata mentre il suo sguardo, assente e perso nel vuoto, sembra rincorrere un pensiero fisso ed estraniante. L’artista, però, non giudica, ma cerca solo di catturare il segreto della malattia. Presentando la donna vestita (al pari degli altri soggetti della stessa serie) e non nuda, come, al contrario, avevano fatto altri artisti che prima di lui avevano trattato il tema della follia, rivela la propria compassione e l’assoluto rispetto per il dolore. Particolarmente attratto dalla natura e dalla sua riproduzione pittorica, il giovane artista si interessa soprattutto al paesaggio che, essendo visto quale teatro dell’agire umano, assume per la prima volta la dignità di soggetto artistico autonomo. Il suo stile, infatti, predilige lo schizzo immediato, l’osservazione naturalistica e lo studio dal vero, mentre i suoi soggetti preferiti sono i paesaggi dell’infanzia, alla cui rappresentazione egli dedica spesso centinaia di bozzetti preparatori, ripetuti in giorni diversi e in diverse condizioni di luce. Studio di nuvole a Cirro. Uno dei temi principali della pittura di Constable è senza dubbio quello del cielo. A esso infatti, l’ideologia romantica tende ad attribuire l’espressione degli stati d’animo della natura stessa che a seconda dei casi sa essere dolcissima madre o terribile matrigna. Possono inserirsi infinite altre variazioni meteorologiche, climatiche e di stagione, cosicché un soggetto apparentemente banale e sempre uguale a se stesso si dimostra, in realtà, sempre diverso e meravigliosamente mutevole. Nel dipinto Studio di nuvole a cirro, un piccolo olio su carta del 1822, non diversamente dalle decine di altri di soggetto consimile realizzati all’aperto soprattutto tra il 1821 e il 1825, l’artista sperimenta una tecnica pittorica del tutto nuova. Il colore, infatti, è steso con poche e veloci pennellate, senza ritocchi né ripensamenti, quasi a voler congelare sulla tela la fresca irripetibilità dell’attimo fuggente. Questo testimonia come l’opera sia stata realizzata dal vero, direttamente sul posto, inaugurando la tecnica della pittura en plein air che, nella seconda metà del secolo, caratterizzerà tutta la produzione impressionista. La cattedrale di Salisbury. La tela del 1823 La cattedrale di Salisbury vista dai giardini del vescovo venne commissionata a Constable dall’allora arcivescovo di Salisbury, John Fisher, ed è una delle opere più celebri dell’artista. Rappresenta il trionfo indiscusso di quel naturalismo pittorico al quale egli non cesserà mai di ispirarsi. La chiara e imponente mole della cattedrale, incorniciata dagli alberi flessi che formano un’arcata gotica, si staglia limpida e maestosa su un cielo di un azzurro intenso. Turner. Nasce nel 1775 a Londra, a venti quattro anni è accettato all scuola d’arte della Royal Academy. Personalità estrosa e viaggiatore infaticabile, fin da giovane si sposta dal Galles alla Scozia, ricavandone impressioni ed emozioni che renderà poeticamente in paesaggi ad acquarello. Fra i pittori romantici inglesi Turner è senza dubbio l’interprete più appassionato e sensibile della poetica del sublime teorizzata e diffusa da Edmund Burke, secondo il quale, come si è visto, la natura, nella sua potenza e immensità, si impone grandiosamente sull’uomo fino a stordirne i sensi. Inizialmente l’artista è animato dalla volontà di fondere l’aderenza al soggetto con la possibilità di produrre nell’osservatore del dipinto la sensazione del probabile mutamento atmosferico. In seguito, invece, egli si indirizza soprattutto verso la più pura ricerca luministica, lungo il cammino già tracciato dai paesaggi di Claude Lorrain. L’approdo artistico finale di Turner è dunque il colore che, quasi svincolato da ogni riferimento naturalistico, si fa pura modulazione di luce. Ombra e tenebre. La sera del Diluvio. Al 1843 risale Ombra e tenebre, uno dei dipinti più raffinati nella ricerca artistica di Turner. L’opposizione fra i toni caldi e luminosi e le forti e cupe ombre che si addensano per descrivere lo stato della terra corrotta nel momento in cui le acque del diluvio si stanno per abbattere su di essa per purificarla. Una massa appena accennata e offuscata si libra in prossimità del centro della tela, a essa pare contrapporsi un leggero accenno di terra. Tutto pare trovarsi in una situazione calma, sospesa e innaturale, come avviene nell’occhio del ciclone. L’immensità del cielo è ridotta da uno spazio esiguo, la stessa volta celeste viene limitata in alto da un’incombente coltre di nubi scure. Il precipitare incessante dell’acqua infine è reso con tracce velate, come a simularne lo scorrere dinnanzi ai nostri occhi. Tramonto. La ricerca di Turner nel frattempo, in particolare nei paesaggi, era già approdata a forme di astrazione quasi totale, dove quest’ultime spariscono quasi del tutto e non resta che gli effetti del colore, che si fa luce. Il tramonto fa parte di una lunga serie di dipinti dell’artista, dedicati al calare del sole negli anni trenta dell’ottocento. La terra o il mare infuocato non è che una fascia marrone che in basso si addensa scurendosi nel margine superiore. In alto un’altra fascia è tinta di giallo con squarci di bianco e spolveri bruni. Il rosso e il nero giustapposti, uniscono la terra e il cielo e quasi li confondono, sfrangiando contemporaneamente il marrone e accentuando il giallo. Delacroix. Nato in Francia nel 1798, si ipotizza sia il figlio naturale del marchese di Talleyrand, studiò al Lycée Imperial di Parigi e dal 1815 fu allievo di Guerin, nello studio del quale conobbe Gericault. L’artista si staccò presto dall’estetica neoclassica e del romanticismo la sua arte incarna la malinconia, il desiderio di cambiamento, l’avversione per l’accademismo, la creatività, l’esotismo. Nella pratica pittorica di Delacroix ritroviamo tutte quelle linee che apriranno alle novità dell’Impressionismo. La barca di Dante. La barca di Dante è il dipinto d’esordio che Delacroix presenta al Salon. Il soggetto tragico e pieno di forza è tratto dall’ottavo canto dell’Inferno dantesco, dove si narra il passaggio dello Stile, la paluda infernale in cui sono immersi gli iracondi. La barca è pilotata da Flegias, il demone nocchiero, il cui torno, desume dallo studio del Torso del Belvedere. Durante la traversata il Poeta incontra l’anima di Filippo Argenti, un iroso e arrogante fiorentino che tenta di rovesciare la barca. Delacroix immerge tutti i personaggi in un ambiente tenebroso, dal cui fondo emergono fuoco e nuvole di fumo dai riflessi rossastri che delineano le possenti mura della città di Dite. Ogni corpo tuttavia sembra emanare bagliori di luce che lo modellano e lo fanno risaltare dallo sfondo. Già in questo dipinto l’artista mostra i germi della sua ricerca coloristica. Le goccioline d’acqua sul ventre della giovane donna dannata sulla destra e quelle sotto l’ascella dell’uomo di sinistra sono infatti formate da pennellate di colori puri giustapposti.
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