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Storia dell'arte contemporanea (Pinto), Appunti di Storia Dell'arte

Appunti completi del corso "Storia dell'arte contemporanea" (Laurea triennale) con Roberto Pinto

Tipologia: Appunti

2017/2018
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Caricato il 29/06/2018

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Scarica Storia dell'arte contemporanea (Pinto) e più Appunti in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! 29-01 Introduzione Francia. Nell’Ottocento vi sono Classicismo e Romanticismo. Ingres, Apoteosi d’Omero, 1827 Louvre Delacroix, L’entrata dei crociati a Costantinopoli, 1840 Louvre Ingres, Bagno turco, 1862 Louvre Delacroix, Donne in Algeri, 1834 Louvre Delacroix ed Ingres dominano la prima parte del secolo. Il Neoclassicismo esprime temi anche contemporanei, ma con forme allegoriche. Nel Romanticismo vi è una dimensione più emotiva, stilisticamente più movimentata. È ci si appropria di temi storici. Il Neoclassicismo diventa pittura accademica, privilegiata nei rapporti di forza. Così nel 900’ le dittature si appropriano di temi classici per rappresentare il proprio potere. Nascono una serie di motivi orientalisti. Il Neoclassicismo ha forte fiducia nella tradizione. Il Romanticismo mette in un certo senso in crisi ciò. Due pubblicazioni in Piccola Biblioteca Einaudi su Neoclassicismo e Romanticismo. Sono le due opposte visioni delle cose. Delacroix, Il 28 di luglio: la Libertà che guida il popolo, 1830 Louvre. Diventa emblema. Cosa mette in gioco il Romanticismo? È un dipinto allegorico quanto quelli neoclassici, ma c’è un misto tra elementi concreti, reali vissuti dai parigini ed elementi simbolici. Così la figura della Libertà è per metà una dea, una musa, per metà umana, ha elementi reali, simbolici di questo passaggio della rivoluzione. Alto elemento forte introdotto poi tema del realismo è la verità con cui si costruisce il quadro. La figura femminile non è realistica, ma i corpi sono corpi veri che la gente trovava per strada all’indomani delle rivolte. Cfr. Rosenblum. Amand Cambon, La République, 1848. Meissonier, The Barricade in Rue Martellerie, June 1848, 1849 Sono due allievi. Due letture diverse del 48. Il primo simbolico, il secondo realista. Realismo I protagonisti sono Courbet e Millet. Cfr. Linda Nochlin. La pittura è arte concreta, reale che ha nel suo vocabolario oggetti visibili. Oggi associati erano considerati molto diversi tra loro. Courbet è nato nella parte francese vicina alla Svizzera. Non è un parigino. Nasce nel 19. Millet è del 14. Hanno in comune la “partenza”. Legata alle persone umili, i contadini, gli operai. Coloro che non hanno ruolo decisivo nella storia. Millet era borghese, colto. Non viene dal basso, ma la lezione appresa accademicamente da Michelangelo, da Poussin è applicata ai contadini. I soggetti hanno aspetto idilliaco, ma sono persone umili, alle prese con un lavoro pesante. Millet, Le spigolatici, 1857 Sono le figure più umili dei contadini. Prendono gli avanzi della trebbiatura. Millet dagli anni 40 introduce una lettura del lavoro dei campi, degli umili, non più come figure sublimi o arcaiche ma reali. Millet. L’Angelus, 1858-59 C’è attenzione ai ritmi e ai sentimenti della vita reale. C’è ambientazione romantica. Le figure sono trascurate, vestite umilmente. Dimensione autobiografica: ricordo di quando da bambino dalla nonna il momento dell’Angelus interrompeva ogni attività. Courbet, Autoritratto con cane Courbet, Uomo disperato (autoritratto), 1843-45 Courbet, Autoritratto con pipa, 1848-49. È la figura più importante, più radicale, con maggior ricaduta sui posteri. Va a studiare a Parigi, fa anche lui parte di una borghesia. I primi anni sono un susseguirsi di autoritratti. Lo vediamo in una serie di stili diversi. Si rifletta sul ruolo che nell’Ottocento hanno gli artisti. È un ruolo cosciente della propria indipendenza. Diminuiscono le committenze stabilite a priori. Si afferma l’idea dell’artista che inizia a produrre i lavori e poi li immette sul mercato. Il ruolo della committenza è sempre meno determinante. Gli artisti propongono temi, quadri in Salon, gallerie. Per Courbet è importante l’impatto con la società parigina. Si fa un’idea. Ha stimoli. Baudelaire, Proudhon. Si confronta con l’0ambiente culturale del tempo. In letteratura si sta affermando il romanzo, tentativo di raccontare storie vissute, reali. Si tenga conto del riferimento tra arte e letteratura. Dopo cena a Ornans, 1849 Sono tre quadri (questo e i due successivi) tra 48 e 49 molto importanti. Di riferimento per la critica. A fine anni 40 è forte la vena realistica. Nel 49 con questo quadro prende la medaglia del Salon. Viene riconosciuto grazie alle sue grande abilità stilistiche pittoriche. La composizione, luci ombre. Viene accettato un po’ come quadro di genere, accademico. Può così presentare quadri al successivo Salon senza che nessuno possa porre un veto per non accettarli. Oltrepassa così il vaglio della giuria. Qui c’è un violinista ad una cena, in una vecchia taverna. Il cane seduto sotto la sedia. È un’esperienza quotidiana trascurata. Ardua per un quadro. Gli spaccapietre, 1849 Funerali a Ornans, 1849 Li espone al Salon successivo. Il primo lo abbiamo solo in riproduzione, è stato perso durante i bombardamenti di Dresda nel 45. È un’opera che a tradurre una scena familiare, spaccapietre che vanno a rompere la strada. Coinvolge generazioni diverse e umili. Se in Millet c’era ammirazione verso i contadini qui no. C’è occhio fotografico, coglie la camicia strappata del bambino, le scarpe consumate. È la fatica che abbruttisce. Non nasconde in nessun modo questo aspetto sociale. Quasi si erge a spettatore imparziale di queste cose. Millet, La spulatura del grano, 1848 A un confronto emerge come qui i tratti siano più morbidi rispetto a nudezze e crudezze di Courbet. Il contadino di Millet ha la sua dignità. Cfr. Lewes, “Realism in art”, 1858. Cfr. Nochlin. Se Classicismo, Barocco, Manierismo sono categorie che riconosciamo come uno stile il Realismo fa un po’ fatica ad essere accettato così se non legando la questione stilistica ad una “filosofica”. Non è solo dipingere correttamente a livello anatomico. C’è qualcosa in più. Ci saranno una serie di confusioni verso il suo rapporto con il concetto di realtà. Il Realismo è una nuova concezione della storia. È far collimare storia e impressione personale. Realtà quotidiana e concezione filosofica. Nei “Funerali a Ornans” non specifica di chi è il funerale, forse di un membro della sua famiglia, da lui vissuto da vicino. È un quadro molto grande. Le figure sono a dimensione reale. Fanno un semicerchio intorno a questo fosso. Li spettatori fanno l’altra parte del semicerchio. Non c’è idealizzazione nelle figure. Dai prelati al cane, ai popolani sono tutte figure credibili. Es. gote arrossate dal freddo del prete, scarpe più o meno consumate a seconda del grado sociale. Noi siamo come partecipi della morte, dello spazio a noi comune. L’idea della grande composizione non è totalmente nuova, ma comunque innovativa. Couture, I Romani della decadenza, 1847 È opera della seconda generazione di neoclassici. È l’artista più apprezzato e considerato dopo Ingres. Sono grandezze simili. Cosa è cambiato? I Courbet è un episodio qualunque, facce qualunque. In Couture c’è sì impegno politico. La decadenza dei costumi è un commentare la realtà contemporanea. Ci si riferisca alle “Nozze di Cana” del Veronese e alle “Stanze” di Raffaello. Courbet: “Mostratemi un angelo e io lo dipingerò”. Motto noto. È pittura di ciò che si può vedere. I “Funerali a Ornans” è accettato, è un quadro stilisticamente perfetto. L’unico elemento insolito sono i tagli laterali. Tagliano metà delle figure. Se ora è normale (abituati noi alla fotografia) ai tempi non lo era. Si accetta una continuità aldilà del quadro. 30-01 La tradizione spagnola (es. Velzquez, Goya) prevede un certo grado di verità e di non-idealizzazione. Si pensi ai ritratti dei reali. C’è nell’Ottocento un interesse come collezionistico verso l’arte spagnola e ciò influenzerà Courbet come Manet. Courbet, Le signorine del villaggio, 1851 Quadri da noi percepiti senza scandalo potevano essere nel loro contesto fortemente inconsueti. Nei “Funerali a Ornans” c’era troppa scientificità, troppa realtà nella rappresentazione di questo momento. Ne “Le signorine del villaggio” vi è il tema della carità, stanno donando del denaro. Cosa infastidiva? Non c’è idealismo, sono vestite in abiti quotidiani secondo la moda del tempo. Moda non parigina, ma periferica, scaduta. Sono provinciali. Altro elemento di fastidio in Courbet è il monumentalizzare le figure, qui minore che nei “Funerali a Ornans”. compariva in un suo quadro precedente. È replica. Tutto ciò che è il “messaggio” non sparisce, ma non è sempre al centro della tensione. Prevale l’attenzione alla composizione interna, l’equilibrio tra le figure, la sperimentazione pittorica. Tali attenzioni vengono al termine nel ’63, anno in cui al Salon la giuria fu particolarmente selettiva e ci fu una notevole protesta da parte degli artisti. Ben 3000 opere furono rifiutate. Napoleone permise che queste opere fossero esposte in un edificio a fianco (Salon de Refuses) senza alcuna selezione. Cabanel, La nascita di Venere, 1863 È l’opera che vince il Salon d’onore. Questa la moda dell’epoca, questa l’arte ufficiale. Gérome, Frine davanti all’Aeropago Altra opera in linea con i canoni. È rappresentazione del nudo, una bellezza seducente (così nella Venere). Frine, cortigiana che aveva introdotto una divinità nuova e quindi infranto le regole, viene come per disprezzo messa a nudo. Whistler, Symphony no 1 Non è accettato. Manet, Mademoiselle V… in the Custom of an Espada, 1862 Sono rifiutate tre opere di Manet. È la sua modella, presente anche nella “Olympia”. Qui nei costumi della persona che bada al toro prima dell’entrata del torero, rappresentata in grande, centrale. E lo sfondo è solo abbozzato. Sono due registri che disturbano lo spettatore. Manet, Giovane uomo, 1863 Seconda opera rifiutata. Manet, La corrida, 1864 Temi spagnoli. Manet, Cristo morto con angeli, 1864 È capace anche di temi religiosi Manet, paesaggio con pescatori, 186-63 Varietà di temi. Il tema è più un pretesto che interesse ai singoli argomenti. Dietro questo quadro vi è anche Rubens. Manet, La colazione sull’erba, 1863 È il più importante dei tre rifiutati. È opera scandalosa. Vi è la conversazione tra uomini vestite normalmente e le figure femminili nude. Non sono muse, sono donne normali. Una guarda noi. Se è una figura in conversazione con altre e non è una musa, allora è una prostituta. Lo spettatore è spiazzato. Ma ci sono riferimenti alla storia dell’arte. Si veda il riferimento all’incisione da Raffaello di Raimondi Marcantonio. È quasi la stessa scena (una scena laterale di Raimondi), ma qui attualizzata. Secondo grande problema è formale, stilistico. Il fondo sembra quasi accennato, non finito. Così parti del corpo e delle figure, mentre altre sono ricche di particolari. È un doppio registro. Es. natura morta molto dettagliata, pantalone e veste della donna in fondo poco dettagliati. Questo quadro fu bersaglio di numerosi attacchi e critiche. Fu preso ad emblema dai critici della necessità di selezione delle opere nel Salon. L’opera di Manet è spunto per artisti successivi. Il soggetto perde forza a favore dell’impatto pittorico. Così Tissot. Manet, Olympia, 1863 Farà scandalo al Salon successivo (1865). Qui braccialetto, fiore sui capelli, vezzosa collanina e scarpe riconducono ad una casa chiusa, alla prostituta che accoglie il cliente. E lo accoglie guardandolo negli occhi. Il pubblico è come compratore di questo corpo. Fu uno scandalo enorme. C’è una serva nera, lusso di prostitute di un certo livello. C’è un gatto nero. E il mazzo di fiori tenuto dalla serva come un dono. E non c’è vergogna in lei. La mano sul pube rinforza il suo ruolo predominante. È un nudo scandaloso. Anche se con precisi riferimenti in Tiziano, Goya e Velázquez. E il gatto è anche rimando letterario a Baudelaire Manet, Cristo deriso, 1865 Conformità a Tiziano. Manet non voleva essere rivoluzionario, voleva essere del proprio tempo. Monet alla morte di Manet riuscì a fare una sottoscrizione pubblica per donare la “Olympia” al Louvre. E fu accettato con fatica (siamo nel 1890). Cezanne, Una moderna Olympia, 1873-74 Manet è apprezzato dagli altri artisti. Influenza tutta la generazione successiva. Cezanne risponde a Manet aggiungendo lo spettatore. Svela un qualcuno che guarda la prostituta. Qui pennellata veloce, particolari solo accennati. Sono elementi che derivano da Manet. Manet, Il funerale, 1867 È il funerale di Baudelaire. La città alle spalle è tratteggiata, accennata in modo non accademico. Manet, Le fifre, 1866 Manet, L’esposizione universale, 1867 Già si coglie un clima perfettamente impressionista che da qui a poco si aggregherà nello studio di Nadar. Il paesaggio è all’aperto, i tratti veloci come a coglier l’impressione visiva, l’emozione data. E molti sono i particolari. Si noti a destra il pallone aerostatico. È il pallone che Nadar aveva affittato per fare le prime foto dall’alto. È il legame e la testimonianza storica del binomio pitturafotografia. Manet, Il balcone,1868-69 Qui il richiamo a Goya, riattualizzato, adattato. Manet, Ritratto di Berthe Morisot, 1872 È la sua modella. Influenza Manet. Qui pennellata chiara, evidente, il gioco compositivo di tocchi luminosi. Manet, Il riposo, 1870 Manet, La colazione nello studio, 1868 Temi famigliari. È la cognata, il figliastro Leon spesso rappresentato. Manet, Emile Zola, 1868 Zola è forte conoscitore dell’arte, fin dalla gioventù vicino a pittori. Zola prese le difese di Manet (che non conosceva, ma ammirava molto) quando fu attaccato per la “Olympia”. Manet per ringraziarlo si offre di ritrarlo. Si noti in alto a destra una piccola rappresentazione della “Olympia”, un riferimento a Velázquez, una stampa giapponese. Sono gli anni in cui una vittoria degli occidentali sul Giappone permette l’arrivo di stampe in Occidente. Molti artisti si innamorano dell’arte giapponese. Questa è un delle prime testimonianze di come questo gruppo di artisti inizia a guardare all’Oriente. Cfr. Castellani. Manet, L’esecuzione di Massimiliano, 1868 Debito verso Goya. Non fu mai esposto perché troppo politico, legato ad una ribellione in Messico. Manet, L’esecuzione di Massimiliano,1867 Torna su questo elemento. Manet, Ballo in maschera all’Opera, 1873 Il ballo è come una sezione del teatro stesso. Il taglio è fotografico. Manet, La famiglia Monet nel loro giardino all’Argenteuil, 1874 C’è familiarità tra questi artisti. Nello scambio di stile (pittura en plein air) come nella rappresentazione vicendevole. È come un’istantanea. Renoir, Madame Monet and her son, 1874 Analogo in Renoir. Manet, Nella serra, 1879 Ritorna a una pittura più accademica, fatta di particolari, borghese. C’è forte libertà in Manet. Tissot, Garden Bench, 1882 Artista nato dalle ultime esperienze neoclassiche. Qui un tema molto borghese. Manet, La ferrovia, 1873 Victorine Meurent, Palm Sunday, 1885 Influenza impressionista. Victorine è spesso sua modella. Manet, Alle corse, 1875 Manet, A Bar at the Folies-Bergére, 1881-82 Victorine è ritratta nei panni di barista. 05-02 Degas, Ritratto di Diego Martelli È un pittore, più noto come critico d’arte. Viveva gli anni dell’Impressionismo da coprotagonista. Pensava che Manet e Degas non fossero veri impressionisti, ma rappresentanti della modernità, che avessero introdotto i temi della modernità. Vedeva l’Impressionismo in Monet, Renoir e Pissarro. Quello che emerge dalla critica attuale è che l’Impressionismo è un’etichetta che difficilmente riusciamo a definire. Cos’è il Salon? Cfr. Francesca Castellani. È un’occasione pubblica. Si arriva all’apertura del Salon a tutti gli artisti. Ma quale modo per selezionare i pittori? L’alternativa parte dall’atelier di Nadar. Presta lo spazio ai suoi amici pittori. Si passera poi ad una galleria privata. È un salone alternativo. Primo catalogo: 135 opere di 30 artisti diversi. Era una mostra in cui ciascun artista partecipava con una quota per spese varie ed eventualmente poteva vendere i propri lavori. Abbiamo artisti anche molto diversi tra loro. Si vuole raccontare la propria realtà. Se prima l’artista rappresentava qualcosa che stava dall’altra parte si passa ora a ciò che per l’artista è importante, cosa lui percepisce della realtà. È uno sguardo che porta con sé forte rielaborazione. È il quadro deve essere qualcosa in cui immergersi, che appaga i nostri sensi, non che ci istruisce o ci dà la via della moralità o della religione. C’è spettacolarizzazione. Monet, Boulevard de Capucines, 1872-73 È il ritratto di Parigi con le sue persone. È la vita di Parigi. È una diversa idea del ritratto di città. Il punto di vista è da un balcone. Condividiamo il punto di vista dell’artista. A destra c’è addirittura una persona che entra leggermente nell’opera. Il taglio è fotografico. Qui cogliamo l’ambientazione, cogliamo ciò che sta succedendo. Ma la visione è da lontano, se ci avviciniamo al quadro sono solo macchie. È un cambiamento di prospettiva. Al pittore non interessa più la realtà naturalista, ma condividere il suo sguardo. E qui non è richiesto un bagaglio culturale per cogliere l’opera. Riceviamo comunque sensazioni. Di fatto siamo di fronte ad una scena che conosciamo tutti quanti. Siamo come alla pari. C’è appagamento dello spettatore sotto questo punto di vista. Anche la scienza si stava interrogando in questo periodo sui fenomeni ottici, sulla natura della luce, su come funziona il meccanismo del guardare. Berthe Morisot, Nascondino, 1873 Anche qui vediamo come la tecnica serva, ma non sia un qualcosa uguale per tutti. Conta il risultato sulla tela. Il soggetto è estremamente quotidiano, una giovane donna con la figlia che giocano a nascondino. Si veda la critica di Leroy all’impressionismo. PIssarro, Paesaggio a Pontoise, 1874 Non è un artista innovativo, decisivo come Monet o Degas, ma in qualche modo accompagna un po’ tutti i percorsi. All’inizio più realista, poi vicino all’Impressionismo. In quest’opera del 74 non si è così vicini all’Impressionismo. Da lì a poco il suo linguaggio si complica, l’esecuzione diventa più veloce. Renoir, Monet painting in his garden at Argenteuil, 1873 È la pittura “en plein air”. Cézanne, La casa dell’impiccato Man, in Auvers-sur-Oise, 1873 Pittura più geometrica, squadrata. Degas, L’orchestra dell’Opera, 1870 Degas non dipinge all’aperto, ma quasi sempre in luoghi chiusi. La luce è artificiale. Tema ricorrente è la vita notturna della città. Gustave Caillebotte, Les raboteurs de parquet, 1875 Anche qui è pittura d’interno. E il tema è in linea con il Realismo di metà Ottocento. Berthe Morisot, La culla, 1873 Rare le presenze femminili tra gli artisti. In questo momento le artiste ragionano anche su loro stesse. Qui Morisot racconta la maternità, il rapporto con i figli. È una dimensione più intima e quotidiana. In linea con l’Impressionismo. Sono artiste che faranno fatica ad affermarsi, anche a livello di mercato. Morisot, Dans la salle à manger, 1875 È lei in casa. Nadar, Claude Monet Fotografia. Monet l’artista più consapevole di tutti. Più di tutti prefigurerà ciò che sarebbe successo. Vive a lungo. In questa ultima parte del suo lavoro arriva a fare opere ambientali, quasi visioni a 360 gradi. Monet, Impression, soleil levant, 1872 Inizia da qua. “Impression” è in francese anche il lavoro degli imbianchini. Il pittore gioca su questa alternanza tra alto e basso, ma sarà anche l’arma usata da Leroy per screditare gli impressionisti. Daubigny, Le primtemps, 1862 Tra i precursori dell’impressionismo abbiamo artisti che iniziano già prima a dipingere all’esterno. Degas, Semiramide alla costruzione di Babilonia, 1861 Vediamo qui un’iniziale impostazione neoclassica, sia nel soggetto sia in parte nella tecnica (si tenga conto che è un quadro non finito). Monet è inizialmente pagato da giovanissimo per delle caricature. Monet, Studio per la colazione sull’erba, 1865 Giunto a Parigi inizia a dipingere da Manet. Lo vedeva come figura di riferimento. Qui il tema viene proprio da un tentare di ripetere un quadro di Manet anche se in chiave moralmente più accettabile. Monet, La colazione sull’erba, 1865-66 Ritaglio centrale dell’opera. Ma la versione originale doveva essere più grande. Se si osservano attentamente le due opere si nota come il protagonista maschile e femminile sono gli stessi in diversi atteggiamenti. La pittura en plein air è come stereotipo. I soggetti sono ricorrenti, non interessa la varietà di figure. Il soggetto diventa solo stimolo per creare un quadro. La composizione è la cosa più importante. Monet, Donne in giardino, 1867 Anche qui la donna è la stessa nelle tre pose, con tre abiti diversi, ma simili. Significativo il balzo cromatico tra il bianco delle vesti e i colori del giardino. Lo sguardo è attirato verso il centro di quadro e attraverso un gioco di equilibrio di masse di colore si spazia verso il resto. Monet, Camille, 1866 Estrema sensibilità per il colore, forza del verde. È un’opera accettata, si poneva in una dimensione più tradizionale. Monet, Saint-German l’Auxerrois, 1867 Monet, Quai du Louvre, 1867 Monet fa ritratti di città. Manet, L’esposizione universale, 1867 C’è rapporto, scambio reciproco tra Manet e Monet nell’affrontare certi temi. Monet, Terrace at Saint Adresse, 1867 Monet diventa pittore del colore. Lo vediamo nei fiori rossi, nelle bandiere al vento. La soglia di luminosità è molto alta. Monet, Le Grenouillere, 1869 Claude Monet, Bagnanti a La Grenouillere, 1869 Tre dipinte di tale tema, uno distrutto. È un luogo vicino Parigi, vicino il fiume. Un luogo di svago Renoir, La Grenouillere, 1869 Stesso tema. Anche lui sperimentatore è attento alla molteplicità della luce nel corso della giornata e ai riflessi della luce sull’acqua. Entrambi (Monet e Renoir) cercano di rappresentare la brillantezza dell’acqua. In Renoir i colori sono più pastellati, neutri. Più morbidi ed eleganti. Le figure di Monet sono più rigide, ma più vive. I contemporanei si interrogano su queste opere. Sono opere finite o solo studi? Nella visione dell’epoca sembravano studi, non si coglieva il valore delle impressioni. Monet, Natura morta con fiori e frutta, 1869 Renoir, Natura morta, 1869ca Qui opere più “concluse”. Monet, Hotel des Roches-Noires, Trouville, 1870 Si veda come la bandiera è evanescente, non finita, ma vera. Sembra veramente muoversi al vento. Monet lascia non finito elementi in quanto impressioni. Monet, The Thames below Westminster, 1871 Monet va a Londra. Guarda con attenzione Turner, pittore inglese che analizzava le manifestazioni estreme della natura: temporali, nebbia, fuoco. Monet, Impression, soleil levant, 19872 È l’opera che darà il nome all’Impressionismo. E vi è l’influenza di Turner. Monet, Carnival on the Boulevard des Capucines, 1873 Più evidenti le figure che si affacciano. Monet, Scaricatori di carbone, 1872-75 Qui un tema sociale, ma è scusa per dipingere, non intento morale. Qui c’è riflesso di un primo boom industriale. Monet, Papaveri, 1873 Tra i quadri più riprodotti. Semplicità del soggetto. Forza di trasmissione. Monet, Gare St. Lazare, 1877 Alternanza, varietà di temi. Qui osserva la città, il cambiamento. La ferrovia è il futuro, il cambiamento. Monet, Camille Monet sul letto di morte, 1879 Ritratta appena morta. Tentativo di fermare la morte. Monet dipinge stati emotivi Monet, Rue Montorgueil, 1878 Qui si torna in una dimensione di festa. Varietà e vividezza dei colori delle bandiere. Monet, Covoni, 1891 Da questi anni inizia a dipingere senza figure, senza soggetti. Qui contano i colori, abbiamo foto fatte da Monet per riuscire nella giusta rappresentazione. I covoni sono rappresentati come passano nei vari momenti dell’anno. Monet, Cattedrale di Rouen, 1894 Anche qui il soggetto è ripreso in momenti diversi. Monet, Ninfee, armonia in verde, 1899 Ci avviciniamo all’ultima parte della sua vita. Si rifugia in questo tema del giardino (influsso del giardino giapponese). Monet, Ninfee, 1920-26 Realizzate molto in là con il tempo. Le avanguardie storiche già si sono affermate. Non può essere avanguardista, ma porta all’estremo il suo modo di dipingere. Qui l’opera d’arte è a 360 gradi. Si veda l’esposizione all’Orangerie. L’arte diventa un qualcosa con cui interagire. Degas, Le stiratrici Permane attenzione verso il realismo. Così anche le ballerine viste nell’esercitarsi vanno a cogliere un sottoproletariato. Così gli “Scaricatori di carbone” di Monet. 07-02 Post-impressionismo Ci sono autori che partono dall’esperienza impressionista per prendere diverse direzioni che sono un po’ le quattro direzioni che prenderà l’arte del Novecento. Cezanne, Moint Sainte-Victoire, 1904 1° direzione. Diverse rappresentazioni di questa montagna. La struttura è in un certo senso impressionista, è identificabile in un certo periodo. Ma qui cerca di costruire una struttura. I suoi quadri partono in dimensione analitica. Una lettura per piani, per parti, per dimensioni. Avrà forte influenza su Picasso e Braque. Si arriverà ad un atteggiamento quasi matematico del leggere la realtà. Seurat, Un dimanche après-midi à l’Ile de la Grande Jatte, 1886 2° direzione. Scomposizione che si sofferma più sul problema ottico. Si parla di pointillisme. Piccolissime pennellate che a distanza sono lette come quasi uniformi. Van Gogh, La notte stellata, 1889 3° direzione. È esasperata l’idea di vedere la realtà in maniera soggettiva. Il cielo si muove come mosso da un’emotività che muove anche il paesaggio. Gauguin, To Matete (Jour de marché), 1892 4° direzione. Superamento del puro visibile in una rielaborazione anche qui a posteriori, concettuale. È forte è la fascinazione dell’altro, dell’esotico. Lui parte da Parigi e cerca di trovare una dimensione più consona alla sua volontà. Sarano le isole del Pacifico, Tahiti soprattutto. Gauguin, Il giardino di Pissarro, Pontois, 1881 Nasce nel 1848. Sono gli anni degli impressionisti. Gauguin ha in sé oltre alla cultura parigina anche quella peruviana di derivazione famigliare. Ha già spunti diversi. Si arruola in marina, vede posti diversi. Tornato a Parigi diventa agente di cambio e comincia a dipingere. Nell’81 comincia a presentare alcuni quadri. Gauguin, Emile Gauguin, 1877-78 Accanto al percorso pittore vi è quello scultoreo. Qui è opera molto classica, canonica. Gauguin si iscrive ad un’accademia privata. Compra quadri impressionisti. Frequenta Pissarro. Gauguin, Nafea faa ipoipo (quando ti sposi?), 1892 Nel 2015 ha il prezzo più alto mai visto per un quadro. Gauguin arriva dopo alla pittura, non può seguire i canoni dell’arte tradizionale. È segno di un cambiamento. La bravura perde importanza a scapito della genialità, dell’invenzione. Gauguin, Still life with portrait of Charles Laval, 1886 Molte similitudini con l’autoritratto fatto dallo stesso Laval. C’è tentativo di semplificare il quadro. Anche la scelta di andare in Britannia è sintomo di un non voler essere attrezzato, alla moda parigina. Cercava una sorta di purezza, semplificazione. Gauguin continua a fare altri lavori, lavorerà al canale di Panama. Viaggia moltissimo. Cerca come purezza, distanza dalle infrastrutture culturali per andare al nocciolo (anche della spiritualità). Gauguin, Veduta della costa in Martinique, 1887 Continua a dipingere. Qui è a Martinica. Si permette molte libertà. Non ci sono ombre, è una pittura compatta, quasi a riempimento. Un po’ deriva dal Giappone, ma è comunque unna scelta molto autonoma. Gauguin, Paesaggio bretone con guardiano dei maiali, Pont-Aven, 1888 Bernard, La Maisson Bernard, Le padron de Pont-Aven, 1888 Influenza su Gauguin. Bernard regala questa seconda opera a Gauguin. Van Gogh, Donne Bretoni, 1888 Altra testimonianza dell’importanza di Bernard. Van Gogh ne fa una copia. Gauguin, La visione dopo il sermone (Combattimento di Giacobbe con l’angelo), 1888 Quadro estremamente significativo. Le protagoniste sono le donne bretoni. La loro impressione del sermone è talmente forte che si fa visione reale. Come in una dimensione onirica. Il prato è rosso. C’è contrasto tra la dimensione reale delle donne e quella sproporzionata e onirica della visione. Sono due piani diversi. Gauguin sta attento a delle cose reali, ma che non si vedono. C’è attenzione all’immaginario fino a stravolgere il reale. Forte lo stacco tra le donne. Una è ancora intenta a pregare. Gauguin, “Les Miserables”, dedicato a Vincent Van Gogh, 1888 Gauguin, Ritratto di Vincent Van Gogh, 1888 Theo, fratello di Vincent, mercante, convince Gauguin a venire ad Arles. Van Gogh è entusiasta di incontrarlo. Gauguin, Café de Nuit, Arles, 1888 Ad Arles fa quadri molto importanti. Si allinea a quelli che sono i soggetti di Van Gogh. C’è forte dialogo tra i due. Van Gogh, Ritratto di Père Tanguy, 1887-88 È il proprietario del colorificio dove compravano i colori. Gauguin, Calvario Bretone, 1889 Si arriverà alla profonda lite tra i due. Gauguin torna in Bretagna. Gauguin, Cristo giallo, 1889 Emblematico. Vi è semplicità. È una situazione normale, quotidiana. E il Cristo è come apparizione in una quotidianità. Gauguin, La bella Angèle, 1889 Lo sfondo ci ricorda il Giappone. La piccola scultura anche ci fa ragionare. Gauguin, Natura morta con stampa giapponese, 1889 Di nuovo una sculturina, appare un autoritratto di Gauguin in forma di brocca. Proviene dalla conoscenza dell’arte peruviana. Gauguin, The Loss of Virginity, 1890-91 Si mischiano tradizione con elementi magici, esoterici provenienti da altri ambiti culturali. Gauguin. I raro te oviri, 1891 Nel marzo del 1891 parte. Prima a Marsiglia, poi verso Tahiti. Cerca mondi primitivi, ritorna alle origini. Questo tra i primi quadri. Gauguin, Vahine no te Tiare – Donna con fiore, 1891 Uso di scrivere il titolo nella lingua di Tahiti. Gauguin, La Orana Maria – Ave Maria, 1891 Porta con sé ciò che aveva fatto in Bretagna. È il luogo della purezza. Gauguin, Giorno del mercato, 1892 Le figure sono rappresentate in maniera schematica, semplice. Cosa ricorda? La pittura egiziana. È una scena che Gauguin si portava appresso. È un po’ la semplificazione Fatta dagli europei di culture non occidentali, una sorta di sintesi di tutto il diverso. Gauguin, Matamua – In olden times, 1892 Gauguin, Lo spirito dei morti veglia, 1892 Si vede un idolo della cultura tahitiana. È un po’ come l’apparizione dell’angelo alle donne bretoni. Così la donna di notte si sveglia in preda al panico per lo spirito dei morti. Richiamo a Manet (“Olympia”) e a una scultura di Ermafrodita al Louvre. Van Gogh, Autoritratto con l’orecchio bendato, 1889 Il taglio dell’orecchio è come un’autoumiliazione per sfogare la rabbia. Rimane ferito gravemente. Gauguin parte prima per la Bretagna, poi prosegue i suoi viaggi. Van Gogh va in un luogo di cura, si cura sia mentalmente che fisicamente. Van Gogh, Pietà (dopo Delacroix), 1889 Van Gogh, Due contadini che scavano (dopo Millet), 1889 La sua pittura si fa più esasperata, riprende i suoi modelli. Van Gogh, Gli ulivi, 1889 Si immerge nella natura, una natura come tutta collegata, i movimenti sono comuni. Tutto è mosso dalle stesse emozioni. Van Gogh, La notte stellata, 1889 È l’enfasi su una natura che rispecchia come il divino. Sia di giorno che di notte la natura segue la spiritualità. Van Gogh, Autoritratto, 1889 Sempre più deformato. Qui non mostra l’orecchio mancante. Van Gogh, Iris, 1889 Immersione nella natura. Van Gogh, Ritratto del dottor Gachet, 1890 Van Gogh, Ritratto del dottor Gachet, 1890 Figura che in un certo senso ha accudito e apprezzato Van Gogh come artista. Ne fa molti quadri. Van Gogh, Alla porta dell’eternità, 1890 Si riflette sugli altri la propria disperazione. Van Gogh, La ronda dei prigionieri, 1890 Ripresa da Gustave Dorè. Riflette la sua condizione. Camminano in tondo, senza trovare un’apertura. Contorni forti, linee morbide, pennellate espressive che costruiscono la struttura delle singole rendono sempre riconoscibile van Gogh anche quando riprende altri pittori. Van Gogh, L’église d’Auvers, 1890 Si trasferisce nel 1890. Van Gogh, Il giardino di Daubigny, 1890 Giardino dove stava, immerso nel verde. Van Gogh, Campo di grano sotto un cielo nuvoloso, 1890 Van Gogh, Campo di grano con volo di corvi, 1890 Come presagio del suicidio. Cezanne, Ritratto del padre dell’artista che legge l’Evénement, 1866 È il padre. Il riferimento è fortemente personale. Legge il giornale dove scriveva Zola. È omaggio doppio sia a Zola che al padre. Cfr. Rosenblum. Prospettiva scarna, semplificata. È necessario confrontarsi con il quadro più che con la realtà. La costruzione non corretta dà una scala di valori al quadro. La parte di destra è uniforme, frontale. La sedia a sinistra bilancia lo scuro a destra ed è storta. Cezanne è figura introversa, solitaria, grande lettore. Cezanne, Zio Dominique (Man in a cotton cap), 1866 Sono i primi anni. Sono soggetti intimi, personali. Cezanne, L’assassinio, 1867-70 Soggetto scomodo alla realtà del Salon parigino. Cfr. Rosenblum. Esordio provinciale di Cezanne. Cezanne, Una moderna Olympia, 1873-74 Risposta all’opera di Manet. Ne accetta tutti i caratteri che sono stati criticati. On c’è più dubbio sul fatto che lei sia una prostituta. Il punto di vista si sposta all’indietro e mostra degli spettatori nella stanza. Altra accusa riguardava lo stato di abbozzo dei quadri di Manet. In questo quadro questi aspetti sono come esasperati. Cezanne, la casa dell’impiccato Man, in Auvers-sur-Oise, 1873 Inquietudine in questo paesaggio. Influenza della pittura spagnola e influenza di Pissarro. Cezanne, Il cortile di una casa colonica ad Auvers, 1880ca Già qualche esito di una ricerca diversa. Ci sono stesure più compatte (si pensi a Gauguin). Il colore è a spatola o a coltello a lasciare queste tracce. 13-02 Chardin, Natura morta con fiasco di vetro e frutta, 1750 Maestro massimamente ammirato per il genere della natura morta Cezanne, Natura morta con amorino di gesso, 1895 Il gesso spezza come in due il quadro, ma le due parti non sono coerenti. Gli elementi “galleggiano” in questa posizione. È come se il punto di vista si fosse spostato. C’è una sintesi, una libertà di modificare punti di vista e di spostare gli oggetti. Gli oggetti stanno come sullo stesso piano. Cezanne non ha paura della bidimensionalità. Non sfida la realtà, ma fa qualcosa di diverso (influenza della libertà dei giapponesi in rapporto al realismo artistico). Oggetti distanti sono grandi come oggetti in primo piano. Cezanne, Natura morta con cipolla, 1896-98 Lavoro degli stessi anni, meno sperimentale. Ma si noti l’uniformità come a macchie della superficie di fondo. È sfondo neutro, non rappresenta nulla. Cezanne, Mele e arance, 1899c La superficie del tavolo su cui poggiano gli oggetti è molto mossa. Cezanne si disinteressa che questa superficie non sia comprensibile fino in fondo. Conta che emerga la natura morta. Cezanne, Gardanne, 1886-86 Cezanne insiste sugli stessi temi: stesse nature morte, stessi paesaggi. La composizione si adatta e finisce nel momento in cui trova un equilibrio. Anche se non tecnicamente finito, se vi sono spazi, vuoti tra una casa e l’altra. Vuoti funzionali all’equilibrio. In questa lettera a Bernard è una delle prime volte che un artista parla di un processo di “astrazione”. Cezanne oltre che progenitore del Cubismo lo è anche dell’Astrattismo. Cezanne, Tre bagnanti, 1879-82 Cezanne, Bagnanti, 1874-75 Temi tradizionali. C’è Rubens come progenitore. Più di Poussin o Michelangelo. Il pittore non è interessato a rappresentare persone, ma delle forme. Qui forme vive, le bagnanti. Il soggetto perde importanza. Qui colori freddi. Cezanne usa corpi femminili e maschili in maniera indifferente. Vediamo come la plasticità che Renoir riprende è abbandonata da Cezanne. 1907: grande retrospettiva con enorme impatto. Fa riflettere gli artisti del tempo su sperimentazioni viste non con particolare interesse. Cezanne, Bagnanti, 1899-1904 Tra gli ultimi lavori. Inizia ad essere anziano. Cezanne, Le grandi bagnanti, 1906 Qui c’è come un accomodamento geometrico delle figure (triangolo). Cezanne, I giocatori di carte, 1890-92 Qui un tema più di genere, più naif. Qui reinterpreta il tema in modo non tradizionale. Prevale una sorta di schematismo, interessano le forme. Le figure sono di fronte a noi come se fossimo invitati a giocare. Più versioni identiche. Cezanne, I giocatori di carte, 1893-96 Da una parte c’è l’intento di ripartire, di rifondare questa pittura di genere, dall’altra si allinea con l’uso spontaneo e “dialettale” della pittura di tali tematiche. Cezanne, Il fumatore, 1891-92 È un po’ il classico quadro di osteria di genere. L’idea di Cezanne è anche di riappropriarsi di questo. Cezanne, Mont Sainte-Victorie, 1887ca Soggetto ricorrente, sempre più scomposto, astratto. Prevale la ricomposizione intellettuale del monte. Ci sono oltre 60 dipinti ad olio più numerosissimi acquerelli e disegni di questo soggetto. Cezanne, Piramide di teschi, 1900ca Altro tipo di natura morta. Ci rimanda al problema della morte. Seurat, Contadine al lavoro, 1883 Nasce nel 59 e muore molto giovane, nel 91. Ha una parabola molto stretta. Da un’impostazione neoclassica subito passa a un tipo nuovo di pittura. Seurat, Une bagnaide à Asnieres, 1884 Comincia a lavorare sul rapporto simultaneo dei colori nella nostra visione. È ciò che sarà poi chiamato Pointillisme, l’accostamento di punti o brevi pennellate di colori anche complementari per dare più o meno luminosità. Seurat, Una dimanche aprés-midi à l’Ile de la Grande Jatte, 1884-86 Opera più conosciuta. L’influenza di questo sistema arriverà fino a Balla e Boccioni. Interessano le sagome più che la volumetria, come figure ritagliate applicate all’interno del quadro. Signac, Ritratto di Félix Fénéon, 1890 Vive più a lungo, divulgherà questa tecnica. Qui più esplicito, Non sono le figure a definire l’immagine, ma i comparti più decorativi. Seurat, Le modelle, 1888 Provocante, le rappresenta consone alla moda dell’epoca, dimostra di saper dipingere, ma il quadro sullo sfondo ricorda la sua volontà di fare un qualcosa di diverso. Seurat, La chahut (Can-can), 1889-90 Rappresentazione più stereotipata e legata ai meccanismi di produzione industriali dell’epoca, è come ci fosse la meccanizzazione dell’epoca in queste opere. Forte l’aspetto decorativo. Le figure non sono più corpi, ma come marionette. Seurat, La Tour Eiffel, 1889 C’è l’idea di cogliere l’aspetto meccanico e ingegneristico della società. Seurat, La parata del circo, 1888 Idea di creare forme quasi meccaniche dalle figure umane. Potrà essere ispirazione anche per artisti come De Chirico ed Ernst. C’è astrazione, meccanizzazione del corpo. E la tecnica pittorica è estremamente moderna, ma luminosa e cangiante. Prendeva cose dall’Impressionismo per trasformarle in un qualcosa di più codificato. Pissarro, La raccolta di fieno, 1887 Prenderà da Seurat. Seurat, Ritratto di Paul Signac, 1889-90 Forte la sperimentazione in bianco e nero, vediamo come essa funziona comunque. Signac, Sails and pine trees, 1896 Debito verso Gauguin il quale prende da Hokusai. Signac, Palais des Papes Avignon, 1890 Le pennellate diventano come rettangoli che seguono l’andamento degli oggetti. C’è uno schematismo, c’è scientificità. Toulouse Lautrec, La toilette, 1889 Linguaggio diverso, già decorativo. Va verso la divulgazione pubblicitaria. Ensor, Entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889, 1888-889 Sperimentazione diversa, più a Nord. Prende da Seurat e Signac. Ispirazione socialista legata ai moti del tempo. Maschere, figure terrificanti. Proviene dal Belgio, dalle Fiandre. Lo stampo è espressionistico. Ensor, La cattedrale, 1886 Idea di folla, di moltitudine. È un po’estremizzazione di quello che Manet e Monet facevano rappresentando gli affollati boulevards nei giorni di festa. Munch, La danza della vita, 1899-1900 Norvegese. Problemi analoghi a quelli incontrati da Van Gogh. Presenza inquietante della morte. Vita incerta, instabile. Anche lui parte da esperienze impressioniste. In quest’opera una danza in abiti anche nuziali (figura a sinistra) si fonde con il presagio della morte. Si fondono eros e thanatos. Munch, L’urlo, 1893 Versione più nota. Come in van Gogh la tensione del singolo si trasmette all’ambiente circostante. Van Gogh, Pubertà, 1894-95 Visione inquietante di questo momento di passaggio evidenziato anche dall’ombra gigantesca alle spalle della ragazza. Il non-detto è l’inquietudine che l’attende. Si ricordi la morte della giovane sorella di Munch. Munch, August Strindberg, 1892 Figura legata al teatro e alla musica, compagno di strada di Munch. La scultura Se per un quadro/disegno l’economia di cui necessita l’artista è ridotta per la scultura il costo è elevato. Serve in anticipo qualcuno che compri l’opera. In questo momento è molto più facile sperimentare in pittura Segantini, Le due Madri, 1899-1900 È un po’ il pittore della natura, ha intuizioni molto interessanti. Muore giovane, suicida. Segantini, Trittico delle Alpi. La vita, 1898-99 Segantini, Trittico delle Alpi. La natura, 1898-99 Segantini, Trittico delle Alpi. La morte, 1898-99 Corrispondenza a stagioni diverse. Da penare un po’ come unico lavoro. È un paesaggio svizzero. Il progetto iniziale voleva coinvolgere gli abitanti e gli albergatori di questa zona (zona di St. Moritz) per realizzare un enorme padiglione dipinto visibile a 360 gradi in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Parte dalla tradizione pittorica dei panorami. C’era una tradizione di padiglioni nell’expo rappresentanti tutto un paesaggio. Segantini pensa ciò più in grande. Picasso Picasso, Les Demoiselles d’Avignon, 1907 Quadro di svolta. Non sono più valide le caratteristiche pittoriche dell’epoca. È un po’ l’inizio delle avanguardie. Carattere fortemente alternativo alla società del tempo. Picasso, Prima comunione, 1895-96 Picasso a 14 anni. Sapeva dipingere, era tecnicamente capace. Poi cede dal virtuosismo e si incammina verso un altro tipo di valore. Il valore importante è la genialità, il cambiamento, il nuovo. I primi quadri non firmati “Pablo Ruiz Picasso”. Ruiz è cognome del padre, maestro all’accademia. Si firmerà poi solo Picasso a prendere le distanze dalla tradizione pittorica. Picasso, Scienza e carità, 1897 Picasso, Ritratto di Josep Cardonna, 1899 Vicinanza alla pittura di genere. Siamo in Spagna, distanti dalle sperimentazioni parigine. Picasso, Le Moulin de la Galette, 1900 A 18 anni va a Parigi. Qui altri riferimenti, si avvicina al linguaggio alternativo. Picasso, La bevitrice d’assenzio, 1901 Picasso, La bevitrice d’assenzio, 1902 Picasso, Prostitutes at a Bar, 1902 Qui quadri quasi monocromatici. Da qui il “periodo blu”. Si ispira alle figure più basse della società. C’è già una sorta di Primitivismo (la pittura prima di Masaccio, del Trecento, Duecento, prima della prospettiva strutturale ben formata). Primitivismo intenderà poi ciò che non veniva dall’Europa. In questi anni sta nel fondo, non prevale ancora. Picasso, Il vecchio chitarrista, 1903 Picasso, La tragedia, 1903 Tono blu. Sono persone in situazioni negative, cupe. Sono poveri. Picasso, La Celestina, 1904 Citazione al mondo culturale spagnolo. Qui a un drammaturgo spagnolo. La celestina è la figura che teneva le prostitute. Qui la rappresenta con piena crudezza, ha un occhio di vetro, o comunque non sano. Picasso, Woman ironing, 1904 Picasso, Family of saltimbanques, 1905 Sempre la fatica di vivere. Si inizia a parlare di “periodo rosa” (distinzione non totalmente valida). Con i saltimbanchi appaiono le figure di strada, i nomadi. Picasso, Les Demoiselles d’Avignon, 1907 Qui la volta. Se prima erano caricature o accentuazioni dell’arte dell’Ottocento, qui non c’entra niente. Sono come maschere africani. La prima esposizione sarà nel 1940. Nel 24 è comprato a bassissimo prezzo. Verrà rifiutato lasciato in eredità dal possessore al Louvre. Sarà difficilmente accettato. Nel 37 è venduto al MoMa. Per arrivare a questo quadro c’è un anno di passaggio. Il 1906 è anno di passaggio. Picasso, Ritratto di Gertrude Stein, 1906 Interesse per la semplificazione. Proprio nel 1906 al Louvre c’è un’importante mostra sui rilievi iberici classici. Avevano tratti classici, ma la distanza dal modello greco li fa essere più rozzi, essenziali. Gertrude Stein è grande intellettuale, scrittrice. Figura rivoluzionaria. Colleziona gli artisti più importanti. La sua casa è punto di incontro per gli artisti del tempo. Aveva un marito, ma anche molte amanti donne, esplicitava alquanto la sua omosessualità. La posa dell’opera di Picasso è tradizionale, ma si osservino i rilievi iberici. Picasso va all’essenziale. Picasso ricerca le origini “altre” del classico. In Spagna c’era questo tipo di classico. Picasso rifà gli occhi esattamente con quello stile. Picasso, Donne sedute, 1906-07 Importante la grande retrospettiva di Gauguin del 1906. Ritroviamo ciò anche nel “Ritratto di Gertrude Stein”. Picasso, The Harem, 1906 Picasso a molti dipinti di nudi femminili. Qui un uomo con cinque figure femminili. Tema simile anche in Ingres. Persino nel 68 continuerà a pensare all’opera di Ingres. Picasso, Les Demoiselles d’Avignon, 1907 Forse non è ancora il primo quadro cubista. Il Cubismo inizia qualche anno dopo. È ambiguo, incoerente. Cosa stiamo guardando? Inizialmente nel bozzetto vi è l’idea di un “bordello filosofico”. Come uno spettacolo teatrale una figura entra e apre una tenda. Inizialmente due figure maschili e cinque femminili. Un marinaio, poi una testa che si individuerà come uno studente di medicina. Mano a mano si costruisce questa immagine. Disposizione “barocca”: una figura apre la tenda. Questo gesto sparisce. Sparisce lo studioso di medicina. Picasso in quegli anni andava per ospedali, era come interessato alle malattie sessuali e alle loro conseguenze. Vuole narrare le donne che si prostituiscono in un bordello, il consumatore finale (il marinaio ben lo incarna). Ma anche lo studente di medicina, ovvero colui che è consapevole. Molti artisti muoiono di sifilide in quegli anni. Picasso racconta qui anche il suo rapporto con il sesso femminile, la sua dote da seduttore. Qui si mostra appassionato, ma anche intimidito. Si scinde nelle due figure del marinaio e dello studente. Ma nel giro di qualche mese ciò cambia e si arriva all’opera finale. 19-02 20-02 21-02 26-02 The Blind man Rivista dadaista. Le riviste costruivano dei discorsi intorno alle opere. È un discorso parallelo che toccava ambiti teorici e andava a completare l’opera stessa. Duchamp realizza “Fountain”. Nella rivista è spiegato come l’artista Mutt realizzi l’opera e paghi il costo per esporla, ma essa non è esposta. È oggetto quotidiano. Si spiega come esso possa contenere un Buddha nella sua forma interna. Un oggetto quotidiano può portare significato. Ma l’opera è comunque insolita, sconvolgente. Mutt: marchio di design di sanitari; richiamo a madre (la forma può ricordare l’organo femminile). Ma ciò che è messo in crisi è il concetto di autorialità, è un oggetto in serie. Non importa chi è l’autore del progetto. Il concetto di bellezza a poco a che fare con questo oggetto. Gli oggetti di Duchamp spiegano una certa indifferenza verso il concetto di bellezza o di bruttezza. Cfr. R. Krauss, Passaggi. Si interroga sul cambiamento nella scultura. Particolare snodo è il ready-made di Duchamp. La prima volta che espone un oggetto di questo tipo è negli Stati Uniti. Gioca con questo termine. “Retinal painting”: Duchamp usa questo termine per indicare come la pittura trasporti i soli contenuti dell’immagine visiva che si attacca alla nostra retina. Per Duchamp non interessa più quello che si vede (ci sono strumenti come la fotografia che lo permettono in modo migliore), ma vuole fare interagire l’aspetto visivo con quello intellettuale. Gli interessa ciò che dal visivo scaturisce. “Unnecessary admiration of art today”: atteggiamento dissacratorio di Duchamp verso l’arte. Va contro l’atteggiamento romantico, quasi religioso dell’arte. Duchamp cercherà sempre di evitare il consenso anche andando a smitizzare tutti i romanticismi e i miti dietro al mondo dell’arte. Non è un rivoluzionario combattiero, è contro l’eccessivo prendersi sul serio. Duchamp, The Box of 1914, 1913-14 È il primo “box” che lui fa. Sono appunti, note, fotografate e messe assieme in questi box. Duchamp crea delle vere e proprie opere. Sono i pensieri. Anche svianti, vi sono pensieri che non portano a nulla. Duchamp, francese, va in esilio in Svizzera. È estraneo alle insorgenze nazionaliste. Quando anche gli U.S.A. staranno per entrare in guerra lui va a Buenos Aires. Si estranea dal concetto di nazionalità. Rrose Sélavy: pseudonimo femminile con cui Duchamp si firmerà in alcune sue opere. Duchamp, Tu m’, 1918 Lo realizza per una sua sostenitrice (Katherine Dreier), per collocarlo sopra la sua libreria. Numerose stranezze. È un olio su tela con attaccati spazzolini per bottiglie, tre spille da balia e un bullone. La mano indica, cerca di dire qualcosa. Non la fa lui, la vuole tradizionale. La mano indica un finto squarcio nella tela che è però tenuto da spille da balia. Vi sono poi delle ombre che sono ombre dei suoi ready-made. Lui aveva già dato attenzione alle ombre dei suoi ready-made. Dei finti pezzi di carta sono tenuti da un bullone vero. C’è verità e finzione. Duchamp, Grande vetro, 1915-23 È complementare ai ready-made. Si conclude nel 23 perché lui si era annoiato, gli sembrava inutile finirlo. È un’opera aperta che non può essere finita. Ci sono una serie di disegni addirittura del 12 che saranno presenti. La parte alta è la parte femminile, quella bassa la parte femminile. Abbiamo studi preparatori. Sono come due mondi, unno superiore, dei cieli in cui non si arriva mai alla sposa, come sospesa. Ogni elemento ha precisa corrispondenza, come un racconto meticolosissimo di cui però non si riesce a cogliere il significato. Abbiamo la ricostruzione di come dovrebbe essere la parte che manca al quadro. Abbiamo gli appunti per finirlo e realizzarlo. Forte realismo e prospettiva negli oggetti. Paragone con la fotografia. Come la fotografia isola oggetti, così il ready-made isola oggetti reali. Noi vediamo la facciata, ma possiamo vedere anche il retro. Ha colori diversi, ossidati. È un oggetto mai appeso, ma ci si può girare intorno. Duchamp gioca sulla trasparenza. Se guardo quest’opera la vedo con tutto il suo contesto. Fa scattare una serie di processi di ragionamento. Non c’è punto di vista privilegiato. Il guardare è un processo. A tutto ciò si aggiunge il fatto che l’oggetto sia rotto. Rottosi durante il trasporto è lasciato così da Duchamp. Duchamp, Air de Paris, 1919/1964 Duchamp realizza altri oggetti vicino allo spirito dei ready-made, ma inserendo qualcosa di nuovo. Qui una boccetta per isolare composti chimici. Lo firma come “aria di Parigi”. È un gioco linguistico. Duchamp, L.H.O.O.Q. or La Jaconde, 1919/1964 Anche qui è un gioco di parole, in francese suona come “lei ha caldo al culo”. È la gioconda, a cui si aggiungono i baffi. È l’edizione del 64, rifatta. L’edizione originale era andata persa. Si faccia riferimento anche al saggio di Freud in cui si parla di una presunta omosessualità di Leonardo. Duchamp e Man Ray, Dust Breeding, 1920/1967 Fotografia di polvere sul “Grande Vetro”. Anche qui è un gioco sul “Grande Vetro”. Man Ray, Duchamp as Rrose Sélavy, 1920-21 Foto di Man Ray ritoccata da Duchamp. Gioco di parole: se letto alla francese suona come “eros è la vita”. Le mani sono di una sua amica e uscendo da dietro sembrano di Duchamp. È un gioco ambiguo sull’identità sessuale del soggetto. E anche a livello autoriale non è chiara la paternità al fotografo o a chi l’ha ritoccata. È una nuova idea di costruzione dell’immagine come costruzione intellettuale, finzione che si costruisce. Duchamp e Man Ray, Belle Haleine, Eau de Voilette, 1921 Gioco di parole, di ambiguità tra ciò che suona e ciò che è scritto. Duchamp e Man Ray, Tonsure, 1919 Qui una stella cometa. È c’è richiamo alla tonsura dei frati. Wanted Poster, 1921 Duchamp appare inserito in questo format precostituito. Monte Carlo Bond, 1924-38 Rappresenta qui un sistema per sbancare a Monte Carlo. Duchamp, The bride stripped bare by her bachelor, Even (The green box), 1934 Vero nome del “Grande Vetro”. Qui il box contiene pensieri e idee. Il titolo è lo stesso del “Grande Vetro”. Duchamp, Scatola-in-valigia, 1936-41 Raccoglie oggetti e oggettini del suo lavoro. È un’ulteriore falsificazione, imita in miniatura degli oggetti. Si pensi a “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” di Bejamin del 1935.Come un museo portatile. È come un campionario, una collezione. Mette in L’idea di cabaret di Zurigo avrà stagione più lunga a Parigi. C’era più libertà, leggerezza. Per molti critici il Dadaismo è la radice del Surrealismo (ma molti sono i punti di distacco). Se c’è una radice è la radice trasferitasi a Parigi. Man Ray, The Dada Group Man Ray viene da oltre oceano. Man Ray compare nella foto mettendo un ritratto di una sua fotografia nello scatto. Relache, 1924 Picabia realizza i costumi. Interessante in questo spettacolo il coinvolgimento del pubblico, elemento essenziale anche nel cabaret Voltaire. Delle lampade qui si accendevano talvolta tutte assieme andando ad illuminare il pubblico. C’è un capovolgimento di ruoli, di posizioni. Picabia, The Virgin Saint II, 1920 Trasgressione del titolo per questo schizzo di colore. L’idea di Picabia è quella di decostruire il poter tramite lo scherno, mettendo in gioco elementi terreni rispetto allo spirituale. Sono messi in discussione i valori. Per questo il Dadaismo è l’avanguardia per eccellenza. 0 3 0 0Arp, La Planche à oeufs, 1922 Man Ray, Le Cadeau, 1921 Qui il ferro da stiro diventa elemento distruttore. 28-02 Arte astratta: non nasce principalmente a Parigi. Nasce un po’ in giro per tutta l’Europa. Germania, Olanda, Italia. Germania forse più che altrove. Alla base due elementi: una cultura iconoclasta; spiritualismo e misticismo filosofico. Manifesto del Gruppo Brücke, 1906 Il gruppo nasce a Dresda. Brücke significa “ponte”. A ripresa di “Così parlò Zarathustra di Nietzsche”. La prima mostra di questo gruppo nel 1906 avviene in una fabbrica di lampade. Lampade che permangono nell’ambiente come oggetti decorativi e funzionali. Sempre più l’arte si confronta con gli spazi, con il contesto. Fino ad arrivare al site-specific negli anni 60. Kirchner, Strada a Dresda, 1908 La rappresentazione passa per una sorta di elemento espressivo, il disegno si carica dello stato d’animo dell’artista stesso. Cfr. Worringer, Astrazione ed empatia. Per il teorico l’astrazione è mezzo per alleviare lo shock della realtà. Testo di riferimento per la generazione degli astrattisti, tutti commenteranno il rapporto tra i due elementi di astrazione ed empatia: distanziamento e avvicinamento. Van Gogh non in sintonia con il mondo che lo circonda reagisce empaticamente ad esempio (Munch come Ensor e van Gogh saranno di riferimento per questa generazione di artisti). Dall’altra parte nell’Astrattismo c’è più una tendenza a reagire con l’evasione. Kandinskij: densa opera teorica, intellettuale. Numerosi scritti. Nolde, Danza intorno al vitello d’oro, 1910 Ricerca di primitivismo. C’è ragionamento teorico. Wassily Kandinskij, Il cavaliere blu, 1903 Kandinskij opera prima in Russia poi in Germania (a Monaco) ed è figura centrale di questo momento artistico. “Il cavaliere azzurro” parte dall’immagine del San Giorgio. È un Kandinskij ancora figurativo e vicino alle idee dell’Espressionismo. Inizialmente c’è vicinanza tra il suo lavoro e quello di Marc, si allontaneranno nel tempo. In Kandinskij c’è l’idea che l’astrazione tramite emotività, spiritualità possa anch’essa raggiungere l’empatia attraverso la possibilità di trasmettere le emozioni. Ciò in aggiunta al distanziamento. Franz Marc, Il cavallo blu, 1911 Marc spinge in una direzione diversa. Se Kandinskij va più verso la dimensione spirituale Marc si interessa al mondo animale. Marc, Il destino degli animali, 1913 Forte impatto emotivo. È u po’ il tentativo di raccontare un’emozione allo stato puro, come quello animale dove le emozioni sono sentite senza essere razionalizzate. Dal punto di vista stilistico sono forti le radici di Ensor, Munch mescolate con Cubismo e le altre correnti di questi anni. Marc, Cerbiatti nella foresta, 1914 Tramite gli animali si ricerca come un istinto primordiale. Kandinskij, Russian beauty in a landscape, 1904ca Capiamo da che cultura e formazione arriva. Da questi paesaggi va sempre più verso l’astrazione. Kandinskij, Untitled (First abstract watercolor), 1910 È il suo primo acquerello astratto. È il Kandinskij che conosciamo. Kandinskij, Sketch for Composition V., 1911 Kandinskij, Improvisation 28 (2nd version), 1912 Kandinskij vuole distanziarsi dalla casualità, vuole costruire una sorta di motivazione, analisi, significato di ciò che stava facendo. Anche per questo scrive molto. Scritti principali: “Lo spirituale nell’arte”, “Punto linea superficie”. È una meditazione sull’arte a partire dalle sue esperienze. Ha insegnato per molto tempo alla Bauhaus. “Punto linea superficie” nasce dall’esigenza di insegnare, è la metodologia che serve per lavorare come fa lui. Francis Picabia, Udnie (Young American girl, the dance), 1913 Figura importante nella Parigi di quel tempo. Qui si rivolge all’astratto. Delauny, Simultaneous windows, 1912 Forte sperimentalismo. Delauny, Rhythm, 1912 Idea di fare un’arte che come la musica segue forme e non contenuti. Sonia Terk Delauny, La prose du Transsiberian et de la petite Jehanne de France, 1913 Moglie di Delauny. Piet Mondrian, Mulino assolato. Il mulino Winkel, 1908 Mondrian, Veduta delle dune con spiaggia e moli, Domburg, 1909 L’Olanda è altro luogo dove si possono ritrovare le radici dell’arte astratta. Qui c’è questa idea della progressiva semplificazione del paesaggio. Mondrian, Lighthouse in Westkapelle, 1909 Elemento ricorrente. È un quadro che era vicino casa sua. Mondrian, Evoluzione, 1910-11 Qui invece vicino al Liberty e al floreale. È un artista vario. Mondrian, Tableau No. 2/Composition No. VII, 1913 Qui il discorso cambia. Sono “composizioni”. È la svolta che va verso l’astratto. Mondrian, Composizione A, 1919-20 Serie più nota. Mondrian, Composizione con grande piano rosso, giallo, nero, grigio blu, 1921 È l’unico in una collezione italiana, uno dei primi di questa serie. Questa “griglia2 caratterizzerà un po’ tutti i suoi lavori fino alla morte. Paul klee, Matif of Hammamet, 1914 Klee, Highway-byways, 1929 Anche Klee sarà chiamato alla Bauhaus. Scrive molto. Rimane più attaccato agli elementi di stimolo rispetto a Kandinskij che cercava di tagliare completamente la provenienza fin dai titoli, mai descrittivi. Klee qui rappresenta paesaggi che aveva visto durante un viaggio in Egitto. Frantisek Kupka, Study for Amorpha, warm chromatic and for fugue in two colors, 1910-11 Artista boemo, della Repubblica Ceca. Frequenta la casa dei fratelli Duchamp. Fernand Léger, Les fumeurs, 1911-12 Quadro ancora cubista. La sua ricerca si dedica solo per breve tempo all’astrazione per poi tornare a dedicarsi a temi figurativi. Léger, Contrasto di forme, 1913 Qui più vicino all’astratto. Numerosi artisti in questi anni inseriscono elementi astratti nella loro arte. Morgan Russel, Cosmic Synchrony, 1913-14 Artista americano. Fonda il Sincronismo, movimento che vuole rappresentare una costruzione della realtà parallela. Anche lui gioca sull’analogia tra musica e pittura. Kazimir Malevich, Solar eclipse with Mona Lisa, 1914 Da ricordare anche la sperimentazione russa. Bauhaus Dura dal 19 al 33. Nel 33 è chiusa dal nazismo. È una scuola che prende origine dall’idea di mettere assieme scuola d’artigianato e accademia d’artista. Si vuole creare un luogo dove scambiare saperi. Dal 19 al 28 Gropius opera nella Bauhaus. È luogo di condivisione, il lavoro si fa insieme. E non c’è gerarchia verticale se non iniziale e per innescare i meccanismi produttivi. Slogan del 1923: si gioca sulla circolarità. Sembra una struttura meccanica. Si veda la forma circolare del modello di workshop. Inizialmente l’edificio e costruito a Weimar, ma per questioni politiche si sposta a Dessau. L’idea è di creare aule aperte, luoghi comuni. Le strutture dovevano permettere lo scambio. Tra il 22 e il 23 arrivano alla Bauhaus una serie di artisti, i più importanti sperimentatori dell’epoca. Paul Klee, Angel-novus, 1920 Lo compra Benjamin. 06-03 Bauhaus è incrocio di saperi, c’è collaborazione e incrocio di discipline. Ogni collaborazione diventa utile per costruire una società migliore. Il 25 è l’anno di maturazione di questa scuola. Ci si sposta dall’idea di artigianato (seppur complesso ed elaborato) ad un’idea di industriale. Si può da qui parlare di vero e proprio design. László Moholy-Nagy, Nickel construction, 1921 Moholy-Nagy, Yellow Circle, 1921 Moholy-Nagy, Untitled (Positive), 1922-24 Artista ungherese dal background diverso. Aveva studiato legge. Sperimenta con i materiali e sperimenta a livello astratto nelle forme. E sperimenta anche a livello fotografico. Moholy-Nagy, Light-Space Modulator, 1930 Verso il 30 la sua sperimentazione diventa sempre più orientata verso il tridimensionale. Qui una scultura, ma non ferma. Crea come un’azione teatrale. È un oggetto a metà strada tra ambiti diversi. Moholy-Nagy riutilizzerà potenzialità di quest’opera proprio all’interno del teatro. Si notino i giochi di luce, di specchi. Madam Butterfly, 1931 La scenografia che realizza Moholy-Nagy per questa rappresentazione è basata su giochi di ombre. Oskar Schlemmer, Decorazione parietale, 1923 Oskar Schlemmer, Figura astratta, 1921 Altra figura chiave di questo momento, chiamato al Bauhaus per insegnare decorazione. Noto per questi interventi a muro. Ma sperimenterà anche in pittura e scultura. Interesse anche per la scenografia. Numerose sperimentazioni applicate in oggetti di uso quotidiano. Si pensi alle sedie Brauer, design ancora oggi in uso e fonte di ispirazione. Klee, Maschera di paura, 1932 Opera figlia della sperimentazione e figlia di una situazione politica che andava verso il degenero. Si stava riflettendo verso la percezione della paura. Non c’è valore politico. Le Corbusier, Villa Savoye at Poissy, 1928-29 Esempio di come nonostante la chiusura del Bauhaus la tendenza non era isolata. Gropius, Harvard graduate center, 1950 Nel momento in cui il Nazismo prende il potere e chiude la scuola numerosi membri vanno negli Stati Uniti. Negli U.S.A. negli anni 20-30 accolgono numerose figure di riferimento che in Europa non potevano più operare. Degenerate Art Exhibition, 1937 Con la dittatura si ha come una caccia alle streghe alla sperimentazione culturale. Nel giugno del 1937 si apre questa mostra a Monaco di Baviera con un discorso di 1.30 h del Führer. Accanto una mostra in cui si faceva vedere invece la vera arte tedesca con l’esaltazione di valori famigliari etc. La mostra di arte degenerata è stata tra le più viste del Novecento (più di 3 milioni di spettatori). In cosa consisteva? Vi era tutto ciò che il regime vedeva come degenerazione. Vi è un po’ rispecchiata la caoticità nella sistemazione delle mostre dadaiste. Picasso, Guernica Un po’ un simbolo di tutti gli orrori della guerra. Ma aveva un tema ben preciso: il primo bombardamento a tappeto fatto in suolo europeo, la distruzione di Guernica durante la guerra civile spagnola. Appare a un’expo del 37. Quando nel 36 è commissionato il progetto vi era ancora la Repubblica spagnola. Poi la vittoria di Franco per cui questo quadro girerà il mondo. Resta al MoMa e tornerà poi in Spagna. René Magritte, The treachery of images, 1928-29 Magritte, La condition humaine, 1933 Figura ben riconoscibile. Qui due delle immagini più conosciute. Emerge la rappresentazione effettiva del limite tra realtà e rappresentazione. Gioca con ciò. Magritte, Golconda, 1953 Qui è autoritratto, gioca con la rappresentazione di sé. Alberto Giacometti, Oggetto invisibile, 1934 Ulteriore chiave di lettura, più scultorea. È svizzero, la legami forti con la pittura italiana, ma dopo aver studiato a Ginevra si trasferisce a Parigi. All’inizio è anche lui un artista che arrivando negli anni 20 a Parigi è frastornato dalle numerose sperimentazioni. Già negli anni 30 appare molto più affascinato da una serie di incontri con l’arte non occidentale. Giacometti, La coppia, 1926 Rapporto forte con la scultura africana o oceanica. Qui richiama i totem. Giacometti, Donna cucchiaio, 1926-7 Giacometti, Palla sospesa, 1930-31 Qui più maturo, gioca con l’ambiguità, con le forme del Surrealismo. La palla sospesa è citazione cinematografica, ma anche ribaltamento tra maschile e femminile (l’oggetto fallico è fermo). Giacometti, Il naso, 1947 Si va verso la stilizzazione della figura. Nel periodo post-bellico Giacometti arriverà agli omini stilizzati ben noti. C’è come morte, fossilizzazione delle figure rappresentate. Dal 47 ricomincia a dipingere, a disegnare. Le forme esterne sono non rifinite, rozze, le proporzioni irate. Cerca di rappresentare l’essenza umana in questa situazione post-bellica particolarmente dolorosa. L’opera di Giacometti diventa simbolica di questi anni. È una generazione che si trova a fare i conti con lo strascico della guerra. Wilfredo Lam, La giungla, 1943 Ci porta in una direzione un po’ diversa. La sua opera ha a che fare con la cultura africana. È cubano, unisce cultura afrocaraibica e spagnola. Il suo rapporto con il primitivo deriva dai rapporti con la sua madrina (sacerdotessa locale). Attinge alle sue origini spontaneamente. Primo esempio di artista di cultura non europea. Esposizione internazionale del Surrealismo, Parigi, 1938 Organizzata da Breton ed Eluard. Tenutasi nel 38. Inizia prima della mostra stessa. Fuori c’è un oggetto artistico che è il taxi. È un mondo alla rovescia ribaltato. Nel taxi c’è un manichino, degli animali (lumache) e piove dentro. Il luogo preposto al movimento si blocca. Si invertono i ruoli. Così l’erba ci fa pensare che il taxi sia lì da molto tempo. È l’idea di immobilizzazione. Entrando nella mostra l’effetto è accentuato. Tutto l’allestimento e l’ideazione è fatta da Marchel Duchamp (generatore-arbitro). Generatore perché con le sue installazioni ha aperto la strada al Surrealismo. Arbitro. Perché non era mai stato interno a nessun movimento. Costruisce la mostra come grande unica installazione in cui lo spettatore è chiamato a fare un’esperienza. Qui ad esempio delle porte girevoli bloccate con dentro i quadri. Poi piante che crescono dal pavimento, letti in cui lo spettatore poteva dormire, sognare. I quadri sono solo una parte dell’esperienza. Ipotizzano una illuminazione a sensori che si attiva quando lo spettatore è davanti al quadro, ma la soluzione sarà di munire lo spettatore di torcia. L’idea di entrare nel buio e cercare le opere è un po’ come un’esperienza onirica, un incubo. Notevole l’apertura con questa mostra ad importanti esperienze teatrali successive. I confini di questa mostra sono estesi. Al soffitto ci sono 1200 sacchi di carbone. L’impressione è quella di porre le cose pesanti in alto come a minacciarci. E le cose leggere, le foglie, in basso. È un mondo alla rovescia. Al centro della stanza principale un braciere a dare luce. Hélène Vanel, The unconsummated act E avvenivano delle specie di performance. Manichini venivano trasformati dagli artisti in qualcos’altro. Diventavano oggetti di sessualità, di trasgressione anche violenta. È specchio della prostituzione e mercificazione del corpo. Ma si gioca anche con la trascrizione morale della società. L’artista riflette sulla condizione singola dello spettatore e sull’esperienza che lo spettatore fa della mostra. Il rapporto con l’oggetto artistico non passa solo più per la contemplazione. L’esperienza si fa più attiva o attiva in modo diverso. Lo spettatore diventa anche oggetto dello sguardo. Le persone lo guardano. E prevale l’idea collettiva di lavoro. I lavori degli artisti sono a servizio di un’idea più generale. Nel 40 la Francia è invasa dai tedeschi, è la fine di questo periodo. First paper of Surrealism, New York, 1942 Prima mostra (realizzata da Breton e Duchamp) a New York. È una sala qui adibita a mostra. Partecipano un po’ tutti gli artisti surrealisti più artisti che apriranno la strada al surrealismo astratto americano. Anche qui Duchamp è arbitro. Qui l’istallazione è data dalle 16 miglia di corda che costruisce come una ragnatela. Ci si deve sforzare per attraversare la mossa. Anche qui il modo di esporre le cose diventa importante quanto le cose esposte. Art of this century, 1942 Siamo nell’ottobre del 1942. Muri arrotondati nella sala surrealista, senza spigoli vivi. Nella sala astratta vi sono corde a cui appendere le opere. I basamenti diventano quasi opere. Abbiamo due ambienti: surrealista e astratto. È l’ingresso dell’arte europea negli Stati Uniti. È l’idea che da lì a pochi anni condurrà al Guggenheim Museum. Progetto globale che si estenderà in altre sedi. Anche il MoMa a metà degli anni 30 penserà a strade alternative. Adolph Gottlieb, Untitled (box and sea objects), 1940ca È una nuova generazione che molto prenderà dall’esperienza europea surrealista, punto di riferimento nella fase iniziale. Ma prenderanno poi le distanze. Quest’opera è calata nell’atmosfera del Surrealismo europeo. Gottlieb, Pictograph – Symbol, 1942 Gli artisti americani conosceranno anche l’arte delle culture locali, gli indiani d’America (arte del Nord America). Ruolo forte nella promozione di tale arte con mostre lo avrà il MoMa. In quest’opera vi è l’influsso dei tappeti degli indiani del Nord America. Con valore mistico-sacro. Importante la riscoperta e il ruolo di Jung. 12-03 In questi anni la capitale dell’arte contemporanea passa da Parigi a New York. Dagli Stati Uniti si ha una critica d’arte forte, combattiva. È il caso ad esempio di Clement Greenberg. Gottlieb, Untitled (box and sea objects), 1940ca Gottlieb, Pictograph – Symbol, 1942 Siamo agli esordi del Surrealismo astratto americano. Gottlieb è figura di riferimento. Importante l’origine autoctona dell’autore e la ricerca dell’America nell’arte precolombiana. Nella seconda opera da una parte emergono elementi surrealisti, dall’altra vi è richiamo ai tappeti degli indiani d’America. Ha valore mistico/sacrale. Si passa dall’elemento freudiano dell’opera surrealista all’archetipo junghiano. Figure come accennate, di cui escono solo gli occhi e delle zanne. C’è commistione tra pulsioni primitivistiche quali la paura. L’ispirazione all’arte precolombiana porta con sé la ricerca di una chiave interpretativa che possa essere colta da tutti. Vogliono farsi capire. Diventa importante portare il conflitto all’interno del quadro e trovare una dimensione spirituale. Si ricercano espressioni sentimentali primitive (paura, terrore). Arshile Gorky, Portrait of the artist and his mother, 1926-36 Originario della Russia. È una generazione di artisti che nasce o arriva bambina negli Stati Uniti. Su questa diversità di culture e provenienze si va a fondare l’identità americana. L’arte contemporanea e i nuovi linguaggi servono così per rappresentare una sorta di territorio comune. Alle spalle di questo lavoro c’è Picasso, Mirò. Gorky, Garden in Sochi, 1941 Gorky, The liver is the cock’s comb, 1944 Gorky, The Betrothal, 1947 Mano a mano si stacca dal territorio surrealista contaminandosi del primitivo e sviluppando linguaggio autonomo. Muore suicida nel 48. Similmente morirà Pollock. È una generazione che ha attraversato la guerra. Così Rothko muore suicida. È una generazione che cercherà il tutt’uno di arte e vita esprimendo questo contrasto di sentimenti ed emotività nelle loro opere. Mark Rothko, Slow swirl by the edge of the sea, 1944 Rothko, Untitled, 1945 Nasce in Russia e si sposta negli Stati Uniti. Rothko, No. 13 (white, red on yellow), 1958 Rothko, Untitled (Seagram mural), 1959 Qui già in una dimensione astratta. Prevale la dimensione emotiva del colore. Matisse è punto di riferimento per l’uso coloristico. Così i ragionamenti di Kandinskij intorno all’arte astratta. Rothko, Cappella de Menil Pensata come cappella per tutte le religioni, un luogo comune di spiritualità. È punto più alto del lavoro di Rothko. I colori inizialmente caldi vanno verso tonalità più cupe, preludio del suicidio. Sarà ultimata dopo la sua morte. Il colore puro dei pannelli diventa stimolo a riflettere sulla spiritualità all’interno della cappella, ad avere vita parallela a quella che era la realtà di quegli anni. Mark Tobey, Drums, indian and word of God, 1944 Rapporto stretto con gli indiani d’America. Nel 41-42 ci sono due mostre al MoMa, una di gran successo dedicata agli indiani d’America. Molti artisti che anche non avevano rapporti con l’arte autoctona americana prenderanno spunto da essi. Qui richiamo ai totem. Tobey, Eskimo Idiom, 1946 Richiamo a maschera eschimese. David Smith, Jurassic bird, 1945 David Smith, Royal incubator, 1949 David Smith, The letter, 1950 Tra i vertici scultorei del periodo. Vi troviamo una società primitiva. Barnett Newman, Untitled (The cry), 1946 Serie di elementi che richiamano una volontà di relazionarsi con un indefinito momento spirituale. Newman, Cathedra, 1951 Già appare un sistema di pittura senza cornice, è solo una rappresentazione di spazio, non dobbiamo inserire nel quadro un qualcosa di rappresentativo. Il colore condensato in questi quadri (spesso molto grandi) è come si espandesse nello spazio. Lo spettatore si immerge. Il colore dà tono e indirizzo spirituale, indica una strada e lo spettatore elabora dentro di sé questi elementi. Lo spettatore è lasciato libero di interpretare. Jean Dubuffet, View of Paris, life of pleasure, 1944 Negli stessi anni in Francia. Reazione molto diversa alla tragedia della guerra. Qui è come tentativo di tornare all’infanzia. Come se non ci fosse l’elaborazione della persona adulta. E le persone vestite di nero sulla destra non sono altro che soldati nazisti. È una sorta di incubo rappresentato come momento infantile. Dubuffet, Archetypes, 1945 Dubuffet, The villager with close-cropped hair, 1947 Relazione con gli archetipi, con le culture primitive. Si evade dalla realtà. Tornando bambino, mischiandosi con persone malate di mente. Dubuffet, The cellarman, 1946 I quadri di Dubuffet diventano sempre più superfici scultoree. Materiali diversi si uniscono al colore sopra la tela. Dubuffet, The magician, 1954 Forte aspetto materico. Il materiale stesso diventa oggetto. Jean Fautrier, Head of hostage No. 23 Fautrier, Sarah, 1942 Le superfici portano con sé uno spessore, non sono precise, sono come prodotto del caso. Affermano emozioni primitive. Jackson Pollock, Birth, 1941 È l’artista più identificato del momento. Proviene da tradizione surrealista. Procedura rituale e uso dei colori saranno essenziali in Pollock. Sono opere che partono da un accenno alla dimensione primitiva. Pollock, Guardians of the secret, 1943 Come un tappeto, in basso una figura di lupo e a destra il “guardiano”, come un tramite per entrare nella spiritualità dell’opera. Pollock, The she-wolf, 1943 Pollock, There were seven in eight, 1945 Si va verso la linea continua che unisce ogni immagine del quadro. È importante la situazione emotiva comune che fa vivere il quadro stesso. Pollock, War, 1947 Qui una rappresentazione della guerra ancora legata a modi picassiani. Allude al “Guernica” Pollock, Number 1°, 1948 Qui già il dripping. L’artista interagisce con il quadro a terra girandoci intorno, come una sorta di rituale. Come gli indiani d’America ufficia un rito. Non una religione esistente, ma una sorta di presa di coscienza. Ed è realizzato tramite il gocciolamento del colore sulla terra, non tocca la tela. Compare la mano stessa dell’artista. È una ritualità propria di varie espressioni primitive. Anche nelle opere di Mirò vi saranno delle mani. Parallelamente a ciò Fontana faceva gli ambienti. Piero Manzoni, Pinze, 1956-57 Manzoni, Igitur, 1957 Quasi due generazioni più giovane di Fontana, muore giovanissimo. Conosce Fontana nelle sue vacanze ad Albissola dove c’è una famosa scuola di ceramica dove andava Fontana a realizzare i suoi lavori. Manzoni partecipa alle mostre d’Arte Nucleare (es. Baj). Si voleva proporre qualcosa di più concreto, volendo anche ironico. Manzoni, Achrome, 1958 Primi suoi lavori, partono dall’idea di monocromo, ma lui usa materiali che di per sé sono bianchi. Qui usa il caolino, materia prima per fare la ceramica (come una citazione a Fontana). Qui pezzi di tela imbevuti nel caolino sono attaccati alla superficie del quadro. Manzoni, Achrome, 1960 Diversi modi. Manzoni vuole un po’ rispondere ai buchi di Fontana. Qui non c’è il pathos, si vuole ripartire da Dadaismo e avanguardie storiche andando oltre le proposte di Fontana e Burri. Manzoni, Linea 18.82 m, 1959 Forme anche ironiche in Manzoni. Qui l’idea che la linea è la base dell’arte si concretizza in 18.82 m di linea tracciati in un rotolo. Fonda in questi anni la rivista con Castellani e “Azimuth” e apre una galleria, “Azimut”. Si vuole rispondere al sistema che aveva messo al centro l’ego dell’artista e il gesto. Gesto che è come espiazione e ricucitura delle ferite (Si pensi a Fontana, Burri, Pollock). Manzoni vuole ripartire, azzerare ciò. Manzoni, Linea, 7200 metri, 1960 Dalle avanguardie prende la trasgressione e l’ironia. Qui è di fatto un piedistallo di una statua. Manzoni, Base del mondo, 1961 Altra provocazione. Ci sarà una produzione di queste basi. È rovesciato, è dichiarazione del fatto che tutta la realtà è artistica, non c’è differenza tra realtà e finzione. E c’è capovolgimento. Manzoni, Fiato d’artista, 1960 Altro lavoro di scandalo. Se deve raccontare sé senza mediazioni allora racconta il suo fiato. Qui dei palloncini sono appoggiati su un treppiedi. Ed è una scultura che si evolve nel corso del tempo, si sgonfia. Si pone l’interrogativo: come lo conserviamo? Manzoni, Impronta, 1960 Uovo con impronta dell’artista, come firmato. Manzoni, Achrome, 1961-62 Gli Achrome si trasformano, qui le michette sono imbevute nel caolino e appese. Manzoni, Base magica, 1961 Perché? Chi sale lì sopra diventa una scultura. Manzoni firma anche le persone che vi salivano con tanto di firma e di certificazione di autenticità. Manzoni, Merde d’Artiste nr. 33, 1961 Risvolti concettuali. Ancora una volta si ragiona su ciò che l’artista produce. Qui è merda, ma merda d’artista. E costa quanto l’oro. La produzione artistica vale quindi per il suo valore simbolico. La scatoletta di merda è ancorata a un prezzo fisso che è il prezzo dell’oro. Enrico Castellani, Superficie Bianca, 1963 Castellani, Superficie Bianca, 1963 Vicino a Manzoni, anche qui la superficie si azzera nel bianco. Dadamaino, Volume, 1958 Dadamaino, La ricerca del colore, 100 pezzi, 1966-68 Donna, parte da una tabula rasa, sperimenta col colore. Francesco Lo Savio, Metallo nero opaco uniforme, 1960 Francesco Lo Savio, Articolazione totale, 1962 Scompare come Manzoni nel 62. 21-03 This is tomorrow, Londra, 1956 Mostra del 56 alla White Chapel a Londra. Ha una genesi che parte dal 51-52 quando si forma l’Independent Group. Vi sono critici, artisti, architetti, figure miste. Fondano questo gruppo anche per una ricerca di territorio comune. Curata da Richard Hamilton. Indipendent Group, Londra, 1952 Mostra del 52 che anticipa “This is tomorrow”, si analizza il processo generativo. Lo stesso nella mostra “Parallel of Life and Art”, questa curata da un numero di persone. SI inizia a mettere in dubbio il fatto che la mostra debba esporre solo oggetti artistici. UN po’ come era successo nella Bauhaus si cercano di mettere assieme i saperi. “This is tomorrow” prevede dodici stanze, dodici team al lavoro. Numerosi manifesti pubblicitari. Nascono nuovi approcci visivi al mondo non necessariamente artistici, non realizzati razionalmente per essere esposti come oggetti d’arte. Qui sono utilizzati come immagine interrogante. Sembra quasi un principio di collaborazione. Si punta a produrre qualcosa insieme. Un qualcosa non per forza da definire arte. Nella Sala 6 su una superficie sabbiosa una pietra con sopra disegni infantili e altri oggetti in linea con il tema della sabbia. E alla base l’interrogarsi sul futuro. Forti echi della contemporanea guerra fredda tra Stati Uniti e Russia, della bomba atomica, arma di distruzione e di autodistruzione. Così l’immaginario spaziale, i viaggi lunari. Richard Hamilton, Just what is it that makes today’s homes so different, so appealing?, 1956 L’idea del fotomontaggio e del collage fa da ponte con il Dadaismo. C’è una società di massa, cominciano ad apparire gli oggetti di consumo. Il termine “Pop art” richiama proprio all’importanza degli oggetti di consumo, il popolare. Qui pubblicità, richiami al cinema. Sopra il tavolino un barattolo di carne in scatola diventa una scultura. E le figure umane. Mercificano il loro corpo. Richiamo sessuale nel leccalecca con su scritto “pop” tenuto dall’uomo. Tutto è merce, tutto è in vendita. Il tappeto assomiglia a un’opera di Pollock. Dietro un magnetofono, un primo registratore. E il soffitto è Marte, il pianeta rosso, richiamo all’alieno al marziano. Si mischiano ambiti diversi e si cerca di raccontare il futuro come proiezione di ciò a cui stiamo andando incontro. Questo lavoro è dichiarazione, il processo di mercificazione a cui stiamo assistendo rappresenta decisione e gabbia. Decisione nella scelta di cosa comprare, consumare. Gabbia in quanto omologazione. L’artista da qui si pone come antropologo che analizza le strutture culturali della società e le cerca di condensare tramite le opere. E vi è indifferenza verso i mezzi. Non cambia che si usi grafica, collage, architettura o pittura. Hamilton, Hommage à Chrysler corp, 1957 Hamilton, $he, 1958-61 Hamilton, Towards a definitive statement on the coming trends in men's wear and accessories (a) Together let us explore the stars, 1962 Capacità di passare da una cosa all’altra. Qui prende immagini dalla politica. Come dentro uno scafandro vi è la faccia del presidente Kennedy. È un’artista molto interessato a Duchamp. Duchamp commissionerà ad Hamilton di rifare il suo “Grande vetro”. Hamilton, Swingeing London 67, 1967/1968-9 Foto molto famosa. Quando arrestarono Mick Jagger per droga. Hamilton fece il suo collage riproponendo quest’immagine. Eduardo Paolozzi, I was a rich man’s plaything, 1947 Eduardo Paolozzi, Meet the people, 1948 Artista scozzese, qui vediamo lavori che già dagli anni 40 partivano da elementi della cultura mediale. L’arte pop sembra nascere in Inghilterra nei primi anni 50 e rinascere in modo diverso negli Stati Uniti negli anni 60. L’approccio statunitense è apparentemente meno problematico. In Hamilton, come in Paolozzi c’è cultura di opposizione, si cerca di andare contro corrente. Hamilton prende la parte di Mick Jagger, prende la parte di Duchamp (all’epoca poco considerato). L’atteggiamento inglese nasce anche un po’ come recupero dell’immagine reale, naturalista. Un’immagine che ha un rapporto diretto con la realtà. Una realtà nata in questi anni (Pollock, Rothko, Barnett Newmann). Qui ci si occupa profondamente di realtà. Ma grande spazio resta per la cultura informale (come in molte stanze di “This is tomorrrow”). Nouveau Réalisme Anche a Parigi si stavano preannunciando svolte diverse dall’arte francese in quel momento legata all’arte dell’informale di Fautrier o Dubuffet. Proprio nel 70 il critico francese Restany convince una serie di artisti a creare un manifesto. È il “Nouveau Réalisme”. C’è richiamo alle avanguardie. In Inghilterra e Francia si cerca di colmare il gap dell’informale e di ritornare alla sperimentazione. Come nuove avanguardie. Qui si riutilizzano un po’ le pratiche delle avanguardie storiche. Yves Klein, Monochrome blue sans titre (IKB 82) P. T-T, 1959 Spesso presenta I suoi lavori in questa sua tonalità di blu. Difficile lettura. Può essere letto come artista concettuale e allo stesso tempo emergono arti esoteriche, culto delle discipline orientali. Klein, Anthropométrie sans titre Qui il gioco si fa ironico. Erano come performance. I quadri erano realizzati imbevendo modelle di questo colore e facendole aderire alle tele. È performance, c’è ritualità. Rispetto alla performance privata di Pollock qui il processo di creazione dell’opera coincide con l’opera stessa. Il processo di realizzazione è reso visibile, è uno spettacolo. Qui è esplicitato il calco del corpo, è come presa letterale del mito di Plinio della pittura come ombra della realtà. E il tono è come di metafora spirituale. C’è ambiguità. Klein, Le peintre de l’espace se jette dans la vide Qui l’artista si lancia nel vuoto, senza freni. Klein gioca con una propria mitologia. Jean Tinguely, Homage to New York, 1960 Tinguely, The sorceress, 1961 Il gioco di richiami alle avanguardie storiche è ancora più netto, efficace. In Tinguely si creano macchine (richiamo al Futurismo), macchine che fanno rumore, che funzionano con gesti automatici. È l’idea che l’artista non debba a tutti i costi guardare dentro di sé ed esprimere il proprio intimo. L’artista crea situazioni. Macchine anche inutili, non hanno funzione razionale. Come un affannarsi delle persone per il produrre cose, può avere valore politico. Arman, Le plein, 1960 Mostra fatta sul tema del pieno in risposta alla mostra di Klein sul vuoto. Nella mostra di Arman raccoglie oggetti presi per strada, spazzatura. La scatola di sardine era l’invito a tale mostra. Era un tropo pieno. Arman, Violoncelle dans l’espace, 1967-8 Costruzioni di oggetti distrutti dentro questo poliestere che fa come a resina che blocca questi oggetti. Un po’ come Tinguely gioca sulla distruzione dell’oggetto più che sull’oggetto mercificato. Daniel Spoerri, Kichka's Breakfast I, 1960 Tra anni 50 e 60 inizia a bloccare i piatti nel momento in cui uno finiva il pasto. Cos’ bloccava le scatole di colori sulla tavolozza, come fotografasse ciò che era appena avvenuto. Jacques de la Villeglé, Jazzmen, 1961 Ragiona sulla startificazione del nostro immaginario rappresentando la stratificazione dei manifesti affissi. Mimmo Rotella, Marylin, 1963 Gioca sulla nostra identità con il cinema. Christo, Packed cans, Part of inventory, 1959-60 Christo, Packed armchair, 1964-65 Artista bulgaro, partecipa al Nuovo realismo. Crea involucri agli oggetti stessi. Qui contenitori, o una poltrona impacchettati. Christo, Wall of oil barrels, 1962 Muro di barili di petrolio. Eco con avvenimenti del suo tempo quale ad esempio la costruzione del muro di Berlino. Così la guerra per l’energia, per il petrolio. Niki de Saint Phalle, Tir (Old master), 1961 Prende strutture, tele, mette su esse palloncini di colore e spara su questi oggetti. Crea opere vere e proprie. È un po’ una risposta al dripping. Lavora sul corpo femminile. De Saint Phalle, Ham, 1966 De Saint Phalle, Nanas, 1974 Lavoro sul corpo femminile, statue di dea madre. Gioco sul corpo femminile. Jasper Johns, White flag, 1955 Robert Rauschenberg, Bed, 1955 Opere come parallele a ciò che succedeva in quegli anni in Europa. Siamo nel 55, agli inizi di questa trasformazione negli Stati Uniti. Rauschenberg, White Painting, 1951 Proviene dal mitico Black Mountain College americano, luogo di formazione. Vi aveva studiato John Cage. Con questi Dipinti bianchi cerca di cancellare l’egocentrismo degli artisti. Polittico. Rauschenberg, Impronta di pneumatico di automobile, 1951 È un disegno automatico non di un uomo, ma di una macchina. Rauschenberg, Erased De Kooning drawings, 1953 Come atto edipico decide di distruggere il disegno di De Kooning, maestro. È un quadro di De Kooning cancellato. americana del mercato, dell’uguaglianza e democrazia di prodotti consumabili da tutti. Ma è così anche un grande pubblicità alla società dei consumi. Andy Warhol, Self-portrait, 1967 È la figura più conosciuta della corrente. Qui in un autoritratto la tecnica ricorrente della serigrafia su cui interveniva con pittura su tela. È un artista di origine slovacca. I genitori erano emigrati. Inizia non come artista vero e proprio, ma come designer. Warhol, À la recherche du shoe perdu by Ralph Pomeroy, 1955 Qui una serie di scarpe, ciascuna dedicata ad una singola donna. Si trasferisce a new York cercando di lavorare come designer per una rivista di moda. Vede una mostra di Jasper Johns e si avvicina all’arte. Nel 56-57 c’è questa crisi, nel 58 con la mostra di Johns inizia il suo percorso parallelo. Warhol, Before and after, 1960 Gioca con l’immagine di sé, si è davvero rifatto il naso. Indossa una parrucca bionda che poi diverrà bianca. Warhol, Saturday’s Popeye, 1960 Gioca con l’immagine pubblicitaria e fumetto. Qui Braccio di ferro. Warhol, A boy for Meg, 1961 Utilizza ogni immagine mediale, in formato medio-grande. Ripropone le prime pagine di giornale. Warhol, Nancy, 1960 Elemento del dialogo con i fumetti ei giornali. Warhol, Do-it-yourself (Flowers), 1962 Warhol, Do it yourself (Landscape), 1962 Altro lavoro di passaggio dove riprende alcuni giochi dell’enigmistica, qui i numeri corrispondenti ai colori. E il lavoro è in esecuzione. Warhol, One hundred cans, 1962 È un po’ la svolta. Inizia ad occuparsi dei prodotti singoli. Warhol, Close cover before striking (Pepsi-Cola), 1962 Altro marchio con cui lavora. Warhol, Brillo Box, 1964 Negli stessi anni realizza anche tridimensionalmente questi oggetti. Non sono ready-made, ma come versioni aggiornate del ready-made, sculture in legno in cui l’intervento da parte dell’artista vuole creare serigrafie sulla superficie di legno. Non gli interessava l’oggetto in sé, non portare l’oggetto in galleria. Il problema era proprio la possibilità di produrre industrialmente immagini, la serialità delle immagini stesse. L’artista diventa una sorta di produttore, ma a partire da oggetti preesistenti. Warhol, Kellogg’s Boxes (Corn Flakes), 1971 Installazione di sculture di legno serigrafate, da lontano uguale alle scatole che possiamo trovare al supermercato. L’immagine e moltiplicata. Warhol, Gold Marylin, 1962 Una delle prime Marylin. Warhol, Turquoise Marylin, 1962 Nel 62 Marylin si suicida. Il sottofondo all’arte di Warhol è ciò che la società dei consumi non ci fa vedere: la morte. Nell’anno in cui lei si suicida viene lasciata come icona, immagine che ha poco a che fare con la reale Marylin che non riuscendo a tenere testa più alla vita della star si suicida. Ma di ciò Warhol non ci dice nulla. Noi conosciamo solo la sua immagine, non lei. Warhol, Marylin, Diptych, 1962 L’immagine si moltiplica, ci dà una Marylin a colori e una in bianco e nero. Non si preoccupa dei difetti meccanici della serigrafia per cui alcune immagini vengono meno nitide delle altre. Una riga di Marylin troppo nera o colorata. Gli interessa il processo industriale che moltiplica le immagini fino a trasformarle. Non sono immagini ben fatte, c’è sovrapposizione di colori. L’immagine di Warhol è un prodotto industriale. Puntava all’anonimato, con esiti però di enorme fama (le sue mostre erano visitatissime). Warhol, Triple Elvis, 1962 Anche Elvis è morto. Warhol, Double Marlon, 1966 Altra figura pop. Warhol, Tunafish disaster, 1963 Disastro per cui per colpa di del tonno cotto male morirono delle persone. Di nuovo richiamo alla morte. Warhol, Optical car crash, 1962 Warhol, Ambulance disaster, 1963 Qui fa vedere una figura di persona morta che esce da una macchina. Sono immagine che i giornali scartavano perché troppo crude. Warhol è anche questo. Warhol, Orange disaster, 1963 Immagine ancora più cruda, macabra. Ciò si innesta su una cultura che è palesemente gay, Warhol fa anche di questa diversità un simbolo. Ma una diversità che tende all’università. Beve la Coca Cola che è la stessa della regina Elisabetta, la stessa del presidente degli Stati Uniti. Warhol, Most wanted man, 1964 Invitato a fare il manifesto dell’Expo del 64 propone un progetto bizzarro, vuole esporre i ricercati, gli uomini più pericolosi. Come una esaltazione di queste figure. Il cattivo diventa figura seducente. Il progetto è subito censurato, non realizzato. Come contropartita propone un unico ritratto del capo della polizia di New York (al tempo indagato per rapporti con la malavita). Warhol, Red race riot, 1963 Qui sono replicate immagini degli scontri con i nativi americani. Qui non la stessa immagine, ma scatti diversi in sequenza. Warhol, Atom bomb, 1965 Altre immagini in sequenza. Interesse verso questi test nucleari. Warhol, Lavender disaster, 1964 Altro tema sono le sedie elettriche che diventano come elementi simbolici anche della punizione, di come una società si confronta con la morte come evento legato all’idea di ingiustizia. 27-03 Warhol, Electric chair, 1967 Warhol, Skull, 1967 Di nuovo una rappresentazione della morte. Un'altra lettura all’ossessione di Warhol per immagini della morte o figure straziate dal dolore parla della fascinazione della società di massa per un artista come Warhol. Warhol vuole rappresentare la massa del popolo americano. Un modo per evocarla è ritraendo i suoi rappresentanti, gli oggetti di consumo, gli oggetti di gusto (es. dipinti di fiori, carte da parati). Ma solo la spettacolarizzazione del soggetto di massa può rappresentarla. Warhol rappresenta il soggetto di massa nel suo anonimato, nella morte. “Non penso che l’arte debba essere riservata a pochi eletti”. Da qui anche quest’arte semplice, facile da consumare. Per raggiungere quei 15 minuti di celebrità. Warhol, Silver clouds, 1965-66 Ci sono anche lavori molto differenti nella sua produzione. Qui veri e propri palloncini gonfiati argentati che galleggiavano in mezza alla galleria accogliendo le persone un po’ come i sacchi di carbone in Duchamp nel 38 a Parigi. Warhol, Empire, 1964 Altra sperimentazione di questi anni. È un’immagine da un film di 8 ore e 6 minuti dove si vede l’alba arrivare. È u o’ uno specchio di ciò che stava facendo nel suo lavoro pittorico: le serigrafie. Qui camera fissa senza sonoro né niente con una proiezione fissa, che non cambia. Nasce un territorio di confine tra cinema e arte. Il mezzo è cinematografico, ma è come un’installazione, si può entrare nello spazio dove è proiettato, guardare un minuto, uscire, tornare. Non c’è sviluppo temporale, non c’è narrazione. Factory. È l’altra opera di Warhol, lo strumento dove incontrare persone che si occupavano anche di ambiti diversi. “Interview”, rivista culturale fu anche braccio armato di questa arte. Sostituiva ai testi critici le interviste. Il dialogo, non più la critica. È una discussione teorica per tutti. Decker Building. Dove c’era la factory, dove Warhol lavorava. Warhol, Chelsea girl Due film in parallelo dove accadevano cose connesse. Warhol voleva cercare di raccogliere l’esperienza delle persone in maniera spontanea, le persone dopo ore si scordano della telecamera (fissa) ed emerge lo spontaneo. Si vuole prelevare un pezzo di realtà ed esporlo. Nel 68 Valerie Solanas spara ad Andy Warhol, cerca di ucciderlo. Riescono a salvarlo in tempo. Lei è una delle frequentatrici della factory, la accusava di averle sottratto sceneggiature, di non averla pagata. Lei aveva scritto un manifesto contro il maschio. Si andava ad intaccare quello che era la società patriarcale. In lui vedeva tutto il potere della sfera maschile e lo attaccò anche uscita di prigione. È una figura però di maschio che non ripercorre il modello machista. Anche lei fa parte di un modello di protesta e ridiscussione del mondo. Warhol, Maquettes for the Portfolio “Mick Jagger”, 1975 Warhol, Mao, 1973 Anche qui è curiosa la rielaborazione dei personaggi politici. Un po’ ironica, polemica. Anche Mao si presenta con abito militare, come timoniere di una nazione, come eroe maschile. Lui lo trucca, vi mette il rossetto. Lo mette in discussione. Warhol, Beuys, 1980 Tutti questi personaggi sono i tasselli di una soggettività di massa. Qui un artista che andava in una direzione molto diversa dalla sua. Warhol, Merce, 1963 Lavoro fatto su questo danzatore. Figura che ha un po’ rivoluzionato la danza. Warhol, Last supper, 1986 E poi l’arte stessa. Anch’essa parte della soggettività di massa. Del 1986, ultima mostra fatta prima di tornare negli Stati Uniti per un’operazione medica che lo portò inaspettatamente alla morte. Warhol, The last supper, 1986 Warhol, Four Mona Lisas, 1963 Warhol, Oxidation painting, 1978 Warhl più nascosto, meno conosciuto. Così le “Time capsules”. Nelle “Oxidation painting” urinando sul quadro la corrosione portava a questi motivi. È un po’ un dialogo con Pollock, con l’espressione di sé. Anche in maniera ironica. Le “Time capsules” sono invece celle in cui lui poneva ogni sera gli oggetti raccolti nel giorno. Conservava tutto, era un accumulatore seriale. Mai esposti, non ha mai dichiarato di considerarle come un qualcosa di artistico, ma fa capire il processo alla base dei suoi lavori. Prende un pezzo di realtà e lo congela. Warhol, Self-Portrait (in Drag), 1981 Warhol, Self-Portrait, 1986 Autoritratti. Nel primo come Drag queen. Si traveste, cerca di personificare altri ruoli. Se Duchamp lo faceva come scelta concettuale di messa in discussione del sistema per Warhol diventa necessità per l’espressione del sé per il non accettare in sé un personaggio definito. Andy Warhol e Basquiat, Untitled, 1984 Apertura alle contaminazioni. Qui Basquiat è giovanissimo, lui l’artista più importante al mondo. Forte apertura a ridiscutere sé. Chiare le parti dell’uno e dell’altro. Ma notevole la voglia di mettersi in gioco. Lavora anche con Francesco Clemente, artista giovanissimo che va in America, parte della transavanguardia. Andy Warhol, The Velvet Anderground Copertina del disco. Ma Warhol li produce anche, promuove questa musica. Lou Reed e John Cale si riuniranno per fare questo disco dedicato a “Rella” (soprannome di Warhol, un po’ “Cindarella”, un po’ “Dracula”). Negli stessi anni altri modi di mettere in discussione la generazione precedente (Pollock, Rotchko) e lo stesso sistema artistico. È una generazione che parte da presupposti simili alla Pop art, ma con esiti diversi. Sono gli artisti che si riconoscono nell’etichetta del Minimalismo che negli anni 70 si trasformerà da un lato nella generazione che porta al Concettuale, dall’altra alla Land art, etc. È la messa in discussione dell’arte tridimensionale, della scultura. Barnet Newmann, Cathedra, 1951 Ad Reinhardt, Black Paintings, 1954-58 Questa completa astrazione è preludio a questa scelta degli artisti minimal. Un preludio pittorico. I “Black Paintings” sono rettangoli/ quadrati dello stesso colore che si sovrappongono. Ad Reinhardt, Abstract Paintings, 1960-66 Interessanti le sue dichiarazione. C’è idea di azzeramento, se l’arte vuole staccarsi dagli elementi emotivi la direzione è di chiusura. Josef Albers, Homage to the square: Apparition, 1959 Qui nel 59. Anche qui da preludio. Agnes martin, White flower, 1960 Generazione che risponde ai precedenti artisti europei. Qui gioca con la trama, la tessitura. LeWitt, Drawings #146, 1972 Il gioco si complica su costruzioni più complesse. Costruisce i lavori serialmente, con un numero progressivo. LeWitt, Wall drawings, 2000 Pitture murali. Ma contano le istruzioni per l‘uso, il progetto. Joseph Kosuth, Titled (Art as idea as idea) [Water], 1966 Vediamo una definizione di un vocabolario. I colori sono invertiti, ribaltati. Kosuth si concentra sul processo di definire. L’arte è la definizione di se stessa. È semplificazione, ma implica una serie di questioni filosofiche. La definizione è sufficiente per identificare una cosa? Sono gli anni di riflessione meta-artistica. È un’interrogazione più grande che parte anche da come noi definiamo la realtà. Kosuth crea come un’arte di farsi domande. Kosuth, Titled (Art as idea as idea), 1967 Qui l’interrogativo è più forte. Cos’è l’arte? Cfr. Art after philosophy. Kosuth, White and black, 1966 Mette in campo il problema di equivalenze tra linguaggi. Qui le definizioni di bianco e nero. Richiamano una serie di concetti estremamente diversi. Si polarizzano nelle definizioni una serie di significati opposti. Kosuth, one and three chair, 1966 Sono tre oggetti uguali, tre sedie. Ma coincidono? Non sono la stessa cosa. Kosuth, One and eight – a description, 1967 Scritta in neon. Descrive se stessa. Kosuth, La materia dell’ornamento, 1997 Kosuth, These visible things, 2002 Opere pubbliche. Nel primo caso le scritte diventano ornamento stesso delle case. On Kawara, The date paintings of 1967 Serie importante. Una serie di quadri è qui solo espressione del giorno in cui sono stati fatti. Vediamo queste date, non altre. L’interno di questi quadri sono i quotidiani, i fatti del giorno stesso. Una testimonianza. Ma di base è sola dichiarazione. On Kawara, Today series (Date paintings) Rifatto a Kassel. Per tutto il tempo dell’esposizione due persone riproducevano una sorta di mantra dall’apparizione dell’uomo fino ad oggi. Robert Barry, Untitled, 1969 Robert Barry, Closed Gallery, 1969 Tutte le sue mostre sono legate a delle dichiarazioni. Nel secondo caso vi è il solo annuncio che la galleria sarebbe rimasta chiusa durante l’exhibition. Lawrence Weiner, Installation, 1968-79 Hans Haacke, Condensation cube, 1963-65 L’arte concettuale diventa anche strumento politico. Qui un artista tedesco vissuto a New York. È un cubo di plexiglas con all’interno una minima quantità di acqua che reagisce all’ambiente. Condensa. Crea una sorta di risposta alla forma perfetta del cubo mettendoci dentro irregolarità. Come una risposta umana, vitale a quella che è una forma astratta. Hans Haacke, Blue Sail, 1965 Hans Haacke, Icestick, 1966 Serpentina di ghiaccio. Han Haacke, Grass grown, 1969 Qui la crescita di piante in una stanza di galleria. È una struttura piramidale minimalista, ma cresce, contraddice la definizione di partenza. Hans Haacke, Mountain of beach pollution, 1970 Qui la struttura è di materiali di scarto. Hans Haacke, Shapolski, 1971 Haacke è invitato da giovanissimo a fare una personale al Guggenheim. Crea un progetto contraddittorio. Alle pareti edifici della città con la storia. Crea una sequenza di nomi proprietari degli edifici. Collega questi nomi con chi finanzia il museo. Crea una sorta di mappa concettuale tra chi finanzia il museo e chi specula sugli edifici di Manhattan. È un finanziamento che non è mecenatismo, crea affari. È un lavoro su ciò che c’è dietro al business dell’arte. Haacke, Helmsboro country, 1990 Critica alla Philiph Morris. Haacke, Germania 1993 È il padiglione tedesco alla Biennale di Venezia. Non rappresenta la nazione attraverso le sue opere, ma gioca su cosa era stato il padiglione nazionale fino a quel momento. Dentro un pavimento divelto che continuava a rompersi. All’ingresso il deutsche mark con Hitler e Mussolini che entrano in questo edifico per rappresentare la Germania. È un’installazione che mano a mano si trasformava. C’è un’estetizzazione della politica. Gery Schum, Land art È un’uscita definitiva dal Minimalismo. Da parte di artisti che di esso facevano parte. Cos’è la Land art? Il nome viene da questo film di Schum per la televisione tedesca in cui una serie di artisti tra 68-69 hanno realizzato opere in esterno. In luoghi lontani dall’abitato. Michael Heizer, Double Negative, 1969-70 È uno sbancamento di terra, un canale fatto nel Nevada. In cosa consiste questo lavoro? È una sorta id evoluzione del minimalismo dove non è più importante l’oggetto, ma un intervento complessivo sulla realtà. Su paesaggi non antropizzati. Grazie a questo intervento umano diventa come chiara la percezione dello spazio per lo spettatore. E mano a mano le pareti si vanno a sbriciolare, a riempirsi. Heizer, Displaced‑Replaced Mass no 113, 1969 Sorta di trasloco di pietra. Heizer, Monumental “City” from different perspectives, 1999 Interventi ancora più strutturali, architettonici. Heizer era archeologo. I grandi disegni nella valle di Nazca costituiscono interventi simili, non visti dall’uomo, impossibilitati. È una procedura di dialogo con il cielo, figure leggibili solo se viste dall’alto. Heizer, Water Strider, of the Effigy Tumuli Sculptures, 1983-85 Sculture ancora più vicine alle immagini prodotte dalle società precolombiane. Walter De Maria, Mile long drawings, 1968 Performance, l’artista camminando un miglio crea una sorta di disegno. Walter De Maria, Lightining field, 1973-9 Crea una scultura minimal fatta da una serie di pali metallici disposti a distanza regolare per un territorio di 2-3 km. Visibile prenotando restando lì 24 ore. I pali sono come amplificatori degli effetti luminosi del luogo. La mattina si illuminano, di giorno si fa fatica a vederli. In un giorno di temporale attirano i fulmini. È un’esperienza da fare in un certo lasso di tempo. De Maria, 1 Meter Long De Maria, Earth Sorta di metafora di ciò che succede lì nel deserto. Robert Smithson, A non site, 1968 È il teorico del gruppo, ragiona su cosa debba fare l’artista, in che direzione sperimentare. Sono anni di pieno rivolgimento di valori morali e culturali. Qui i “site” sono quelli fatti nei deserti, i “non site” sono il riportare l’esperienza nella galleria. C’è una sorta di divulgazione di questi esperimenti, opere partecipate. Esiste un dialogo tra la costruzione che possiamo fare nel museo e ciò che succede fuori. Robert Smithson, A non site (Essen, Soil, and Mirrors), 1969 Gioco di specchi che invita lo spettatore a immaginare come vaste distese di rocce. Smithson, Asphalt, 1969 Intervento a Roma, buttando asfalto da una collina. Smithson, Spiral jetty, 1970 È un lago salato. È costruita con materiali del luogo. Si crea un modo, una struttura a spirale vicina anche a modi di sviluppo naturali. L’uso di materiali del luogo vuole favorire come il luogo se ne riappropri, lo riuniformi, lo faccia diventare simile al resto. Il lago salato dello Utah cresce a seconda del momento. Quando fu fatto non c’erano indicazioni. Era una zona desertica. Smithson ha inoltre realizzato una documentazione video su come fruire di quest’opera. Non è più un oggetto da guardare, ma si crea una relazione con la gente. Si sposta il punto di vista. Con materiali del luogo costruisce un molo a spirale, oggetto non funzionale. Filma la realizzazione fino alla versione finale. Poi l’esperienza vera e propria, il camminare in questo percorso. E poi la visione dall’alto. È un’esperienza. Leggenda indiana del lago salato: ogni anno si formerebbe un vortice che collega il lago al mare. Vortice a spirale. Ci sono una serie di elementi legati al luogo stesso. È un intervento che ha poi come scopo quello di essere riassorbito. È anche un capovolgimento di senso. L’oggetto artistico è esperienza ed è testimoniato qui nella sua realizzazione, nella sua visione da vicino e nella sua visione dall’alto. Si legga una metafora del mito americano del trovare nuovi spazi, nuove frontiere, ma qui l’unico scopo è creare questa esperienza, autonoma. Non c’è intento scientifico, ma è esperienza pura. Smithson, Broken Struttura in parte speculare. C’è un togliere e un rimettere. Sono forme geometriche che ci ricordano questa partenza minimalista, ma vanno oltre. 04-04 Smithson, Amarillo ramp, 1973 Spirale che sale verso l’alto. Smithson, Mirror Specchi che riflettono la luce del sole e si riflettono sull’acqua. Gioca con la specularità. James Turrel, Roden Crater, 2000 Compra un cratere in una distesa elettrica. E lo adatta e sta adattando ad una sorta di luogo per osservare i cambiamenti del tempo. Una sorta di osservatorio astronomico. Stanze in cui la luce è visibile in un unico momento. Turrel, Night passage, 1987 Turrel fa una serie di opere legate proprio alla luce, a questi fenomeni di passaggio. Crea stanze buie con effetti luminosi di spiazzamento. Luoghi che cercano di ingannare la percezione. Turrel, Afrum I, 1967 Dennis Oppenheim, Annual ring Lavori effimeri. Qui anelli nel ghiaccio. Ma l’opera svanirà, sarà riassorbita. Dennis Oppenheim, Whirpool Di nuovo effimero. Spirale fatta da un aereo. Richard Long, Circolo di pietre in Nepal Crea questi circoli di pietre. Fa anche percorsi rettilinei. Così questo cerchio è fatto solo con le mani. Lavora con forme base. Costruite anche su spazi geografici. Senza documentazione se non fotografica e geografica (le coordinate). Christo, Packed Cans, Part of Inventory, 1959-60 Christo, Packed armchair, 1964-65 Deriva artistica della Land art che va in direzione diversa. Sono impacchettamenti, cela l’oggetto. Un po’ simbolo cardine di una società dei consumi che crea una confezione per ogni oggetto. Christo, Green Storefront, 1964 Primi lavori di impacchettamento. Christo, Hunsthalle Bern, 1968 Realizzazioni in forme giganti. Qui una mostra. Inizio di una serie di lavori che giocano sull’impacchettamento di parti anche cospicue della città per poi rivelarla. E sono lavori che funzionano in base alla breve durata del lavoro. Christo, Wrapped coast, 1968-69 Anche con oggetti naturali. Qui è la costa di Sidney. Si avvicina alla Land art. Christo, Valley Courtain, Rifle Colorado, 1970-72 Qui una chiusura. Christo, The Pont Neuf Wrapped, 1985 Qui con monumenti storici. Questa esperienza è anche una sorta di evento. Christo e Jeanne-Claude, Water Projects, 2016 Ultimo intervento. Christo non chiede nulla al pubblico. È tutto autofinanziato. Li finanzia chiedendo una mostra in cui possa esporre i pezzi e i progetti della realizzazione. A prezzo di mercato fa pagare questi progetti, ritocchi sulle fotografie. È una sorta di rito collettivo quello che lui chiede. Serve quindi un autofinanziamento. Lui trova una sorta di meccanismo per cui le sue bozze sono acquistate. Autofinanziandosi l’artista ha piene libertà. In quest’ultimo lavoro si firma con la moglie. Fluxus Gruppo tra i più innovativi degli anni 70. Hanno lasciato pochissime tracce. È movimento internazionale. Il termine è usato da Maciunas nel 61. È termine latino che rimanda a Bergson per il percorso di vitalità e temporaneità e ad Eraclito, al “tutto scorre”. Pistoletto, Quadri specchianti, 1990 Forse la sua prima grande retrospettiva alla Galleria Nazionale di Arte Moderna. Pistoletto, Tempio dello specchio Al Magasin Grenoble. Pistoletto fa altri lavori. Anche lo spazio stesso ha ruolo importantissimo. Qui tutte le pareti sono come sporcate a frottage. Interviene persino sulle finestre. Pistoletto, Love difference, 2003 L’idea di scultura sociale e di coinvolgimento lo porta a fare una serie di lavori di accoglienza. Qui la forma del tavolo è il Mediterraneo, la forma dell’acqua. Diventa luogo dello scambio, delle differenze. Qui la gente parla discute. Come un laboratorio permanente. Cittadellarte Da qui l’idea di una fondazione, a Biella nella sua città. A fine anni 90-2000 prende vera forma. Diventa luogo di residenze d’artista, progetti permanenti per curatori. È un laboratorio. A creare una sorta di vita comune per lo scambio. Alighiero Boetti, Senza titolo, 1965 Inizia con queste opere quasi pop. Qui un ingrandimento di una reflex top di gamma all’epoca. Boetti, Rotolo di cartone, 1966 Cartone per imballaggi che diventa scultura per la firma che gli si dà. Boetti, Rotolo di cartone, 1966 Boetti non lascia mai l’ironia (si legga qui richiamo al Duchamp indicato da Celant). Lui ha creato un meccanismo per cui la lampada si accendeva per pochi secondi. Vero o no non importa, pochi l’avrebbero vista per pochi secondi. Boetti, Ping pong, 1966 Opera che si accendeva e spegneva, imitazione pubblicitaria. E sottili e ironici i riferimenti politici. C’era stata un’interruzione dei rapporti tra Stati Uniti e Cina per fazioni opposte nel conflitto vietnamita. I primi contatti si avranno nelle partite a ping pong tra Cina e Stati Uniti. Da qui come una riapertura. Boetti, 12 forme a partire dal 10 giugno 1967, 1967 Sono pagine di giornale dove l’artista elimina tutto tranne la forma geografica del posto dove c’era in quel momento la guerra. Le cartine che identificavano luoghi specifici dove c’era in quel momento la guerra. Boetti, Pavimento, 1967 Lavoro assolutamente vicino al Minimalismo, ma è storto, non c’è l’oggettività rigida del Minimal. Boetti, Un metro cubo, 1967 Fatto con tutti i materiali che servono per trasportare le opere d’arte. Effettivamente pezzi industriali. Boetti, Colonne, 1968 Sono fatte con i fazzolettini leggerissimi da barba. Boetti, I vedenti, 1969 Gioco con l’idea di collegare i sensi. Qui come a imitazione del onguaggio braile. Boetti, Io che prendo il Sole a Torino, 1969 Ironico. Sul cuore c’è una farfalla. Tutto è realizzato in argilla. Argilla stratta dalle sue mani, Mette le sue impronte digitali. Fa veramente un autoritratto. D’altra parte la diceria che il cuore di una persona è grande come un pugno, un pugno d’argilla. Boetti, Strumento musicale, 1970 Nel 1972 cambia il proprio nome in “Alighiero e Boetti”. Come a sdoppiarsi, Fa anche scritte da due mani dal centro in direzioni opposte, coordinate. Boetti, Planisfero politico, 1969 L’eclettismo di Boetti va qui verso la carta geografica. Questa una delle prime con al posto dei normali colori le bandiere nazionali. La macchia rossa dell’Urss non è più così. Boetti, Mappa, 1971 Anche con i tappeti. Aveva comprato un albergo a Kabul. Lì aveva costruito come un secondo luogo e commissionava tappeti alle donne afghane. Boetti, Mettere al mondo il mondo, 1972 Lavoro fatto tutto a penna, biro, ma compaiono virgole che possiamo leggere dall’alto. Botti, Ordine e disordine, 1973 Arazzi. Lettura verticale. Boetti, I miei fiumi, 1979 Aveva provato a catalogare i mille fiumi più lunghi del mondo. Boetti, Ottobre, 1983 Interessante qui il lavoro di copiatura delle copertine delle riviste italiane per alcuni mesi. E convivono tutte nello stesso foglio. È di nuovo gioco tra ordine e disordine. Le copertine non sono però copiate, ma rifatte a mano. È un lavoro paziente. Boetti, Tutto, 1987 Arazzo. Sono tutte forme che hanno un senso se viste da vicino. C’è tutto, un tutto che si mischia e interagisce. Boetti, Autoritratto, 1993 Lui che si innaffiava da solo tramite una serpentina calda per cui sulla sua testa fumava vapore. Morto di tumore. Luciano Fabro, Habitat, 1962-81 L’Arte povera ha una città principale che è Torino e città secondaria che è Roma (Boetti, Pascali, Kounnelis, area un po’ meno uniforme). Luciano Fabro a Milano. Qui queste linea che sembrano squadrate, ma irregolari delimitano lo spazio. Fabro, In-cubo, 1966 Fatto sulle misure di Fabro, è una struttura che ci si può entrare dentro. Ne fa una per sé e una per Carla Lonzi, donna che darà molto alla promozione dell’Arte povera e si convertirà poi all’attivismo politico di stampo femminista. Chiude il suo rapporto con l’arte. Tutti questi artisti rivendicano un’autenticità con lo spettatore. Fabro, Allestimento teatrale, 1967 Fabro, Italia, 1968 Idea politica di ribaltamento dell’Italia, delle forme. Fabro, Piedi, 1968-72 Più sofisticato con le forme. Per questo non ha molto senso identificare l’Arte povera con la povertà. Lavora anche con il marmo Fabro, La Dialettica, 1985 Distanziamento netto con le forme americane e dialogo con forme della storia dell’arte anche classiche. Dialoga con la classicità. Piero Gilardi, Campo di grano, 1967 Tra chi ha preso più sul serio l’aspetto politico. Parte da forme più vicine all’arte Pop. Gilardi, Spiaggia, 1967 Sono i tappeti natura. Dal 69 all’80 Gilardi lascia l’arte. Scrive per Flash Art. Teorizza un’arte microemotiva. I tappeti natura sono luoghi dove ci si poteva stare, camminare sopra. Gilardi, Girasoli caduti, 1967 Torna all’arte con opere interattive. Costruisce grandi forme in gommapiuma (es. Andreotti con sembianze di dinosauro). Ha aperto un parco di opere interattive a Torino. Jannis Kounellis, Senza titolo, 1959 Greco, Viene in Italia. Sempre nei suoi lavori rivendica questa sua doppia anima. Kounellis, Senza titolo, 1967 Usa il carbone, il feltro, il caffè. Kounellis, Senza titolo, 1967 Usa il fuoco, fa queste margherite di fuoco. Kounellis, Senza titolo, 1969 Espone questa idea di natura, di energia ponendo gli animali nello spazio. Gioca con la luce, con il fuoco. Gioca con elementi negativi, che mettono in difficoltà lo spettatore, porte chiuse, blocchi. Il sistema del bloccare e dell’impedire è importante in Kounellis. Cerca effetti clastrofobici. Kounellis, Senza titolo “scena per uscite”, 1982 Distesa di bottiglie sopra e di bicchieri come sipario. Gilberto Zorio, Crogiuoli, 1981 Lavori giocati sull’energia, sulla forza. Forte l’elemento alchemico legato alla trasformazione. Zorio, Stella incandescente, 1972 Mario Merz, Igloo, 1971 Struttura a igloo, a casa. Richiamo alla cupola. È un po’ il primo stadio del luogo costruito dall’uomo. Merz utilizza i materiali del luogo. Merz, Volo dei numeri Sequenza di Fibonacci sulla Mole Antonelliana. Giulio Paolini, Disegno geometrico, 1960 È gesto simbolico e significativo. È il primo passo che si fa per realizzare il quadro. È omaggio alla potenzialità che offre il quadro, a ciò che si può ancora fare. Paolini, Senza titolo, 1962-63 Parte anche qui dal livello 0. Prende gli elementi base. Paolini, 1421965, 1965 Il titolo è una data. È l’artista che mette il quadro sul cavalletto. Paolini, Delfo, 1965 Anche qui fotografia su tela. È l’artista però coperto dalla sua opera. È richiamo all’oracolo. Palini, D867, 1967 È lui che porta una tela. È del 67. Fotografia dentro una fotografia. Paolini, Autoritratto, 1968 Non c’è lui, ma tutte le persone che gli sono vicine. Paolini, Giovane che guarda Lorenzo Lotto, 1967 È un ritratto di Lorenzo Lotto, ma lui sposta l’attenzione su ciò che guarda il giovane mentre verrebbe ritratto da Lorenzo Lotto. Paolini, L’invenzione di Ingres, 1968 Rifacimento dell’autoritratto di Raffaello, si sovrappone. Paolini, Idem, 1972 Tutti i quadri sono squadrature che si specchiano tra loro. Paolini, Mimesi, 1975 Rispecchiamento. A tutto ciò sottostà una volontà di rompere con il sistema dell’arte, di ripensare la tradizione. Paolini, Comedie italienne, 1983 Proietta questa scena su questa attrice che indossa questo mantello. Pino Pascali, Labbra rosse, 1964 Viveva lavorando per la RAI. Ma è scultore, muore giovane di incidente d’auto. Qui è una tela estroflessa. Pascali, Cannone Bella Ciao, 1965 Costruisce con pezzi trovati oggetti diversi. Qui un cannone. Pascali, Bachi da setola, 1968 Pezzi di scope avvicinate. Pascali, Ponte, 1968 Sono le spugnette per pulire di metallo. Pascali, Vedova blu, 1968 Altro lavoro ironico. Pericolosa, diventa elemento di divertimento per i bambini. 10-04 Maurizio Cattelan, L.O.V.E., 2010 Dito medio. Le altre dita sono erose, tagliate a trasformare un saluto romano in un dito medio. È collocato nella piazza della borsa, in posizione simmetrica, rivolto ai palazzi degli affari di epoca fascista. Un richiamo alla classicità romana e un gioco ironico accentuato dal titolo. Cattelan lavora sulla continuità del gesto che si trasforma in dito medio. È la continuità economica. È sì una provocazione, ma anche altro. Ci sono state proteste. Siamo in uno spazio pubblico. Maurizio Cattelan, Senza titolo, 2004 Lavoro finanziato dalla Fondazione Trussardi. Non ci sono collegamenti precisi con i fatti contemporanei seppur certe letture sono andate in questa direzione. Questi fantocci sono appesi (non impiccati) come marionette. Non c’è niente al collo. Da lontano sembrano effettivamente impiccati. È un albero in cui sono stati impiccati molti partigiani, ma sono passati 60 anni da quel momento. Non c’è legame diretto. Piedi sporchi, richiamo alla crocifissione di Cristo e i ladroni. L’albero è ciò che più dava l’effetto dell’impiccagione. E la morte è come spettacolarizzata, il fatto che siano bambini rafforza il cortocircuito, l’inaccettabilità della morte. Ed emerge il tema dell’infanticidio, della violenza. Emergono in questi anni i casi di violenza della Chiesa cattolica. L’opera portò ad un cortocircuito mediatico a livello internazionale, fece un enorme scandalo. È un po’ un meccanismo che si instaura in tutte le opere di Cattelan. Cooperativa romagnola scienziati: Finta cooperativa. Sono gli anni in cui vive a Forlì. Compra un inserto su giornale su cui scrive: “Il voto è prezioso, tienitelo”. Ognuno di essi ha numero progressivo. Sono di dimensione modesta. C’è sempre un personaggio femminile nelle immagini come colto all’interno di un film e preso un fotogramma che possa essere significativo. Sono autoritratti, lei che si trucca, si trasforma, si adatta. Cerca di prendere i ruoli. E sono film in generale, non importa il titolo. È una posizione senza etichette del femminismo. E continua con questi lavori, ne fa numerosissimi, anche con quadri della storia dell’arte. Barbara Kruger, Untitled (You construct intricate rituals), 1981 Utilizza delle fotografie e il linguaggio della pubblicità. Ha lavorato nella pubblicità, gioca con l’accostamento di immagine scritta in senso contraddittorio, facendo riflettere. Qui fa riferimento alla caratteristica principalmente anglosassone di non toccarsi. Come scongiuro all’omosessualità. E ci si può toccare tra uomini a un matrimonio o quando si gioca a pallone, se no non è previsto contatto, la società lo nega. Barbara Kruger, Untitled (I will not become what I mean to you), 1983 La figura femminile è coperta da pelo di belva feroce BarbaraKruger, We don’t need another hero, 1987 Slogan per ribaltare gli stereotipi. L’eroismo è parte di una costruzione patriarcale della società. Barbara Kruger, You are not ourself, 1984 Gioco sulla questione identitaria. Barbara Kruger, Untitled (Your body is a battleground), 1989 Qui entra la questione politica. Utilizzato per una battaglia per l’aborto. Si vuole la riappropriazione della decisione sul proprio corpo. Barbara Kruger, I shop therefore I am, 1990 Gioco continuo sulle modalità del colore, bianco e nero lo sfondo e le scritte in rosso e bianco (o nero). Qui il gesto della mano è il gesto del biglietto da visita. O il gesto di dare la carta di credit. Qui si ribalta il “cogito ergo sum”. Barbara Kruger, Exhibition, 1991 Qui si passa ad un lavoro sullo spazio percepito a 360 gradi. Barbara Kruger, Installation at Whitney Museum of American Art Qui una vera e propria installazione in movimento, le scritte scorrono. Louise Lawler, Is she Ours?, 1990 Crea una serie di immagini appropriandosi di altre immagini. Qui la domanda esce fuori da un dialogo a distanza tra Degas e Monet. È un gioco di appropriazione in cui si esplicita anche il luogo dove si è sostenuta questa appropriazione. Jenny Holzer, A survival Times Square, 1985-86 Estremizza questa idea di tempo. Qui un lavoro su un cartellone pubblicitario in Times Square, vi pubblica una serie di realtà, frasi ovvie. Jenny Holzer, Untitled (Selections from Truisms, Inflammatory Essays, The Living Series, The Survival Series, Under a Rock, Laments, and Child Text), 1989 Al Guggenheim una serie di immagini che salivano e a terra spazi su cui sedersi. Spesso utilizzerà scritte pubblicitarie. Guerrilla girls Gruppo d’azione americano. In pubblico travestite da gorilla. Lavorano con immagini simili a slogan pubblicitari in cui mettono in evidenza dati riguardo il minore ruolo dato alla donna ad esempio nel mondo dell’arte. 17-04 Nuove geografie Magiciens de la Terre, 1989 Al Centre Pompidou. Tra le prime mostre istituzionali che fanno portano con forza il tema della globalizzazione. Budget elevato. Per la prima volta ci sono metà artisti dall’Occidente e metà no. Si riflette, anche sul concerto d’arte stesso. Si parla dei “maghi della terra”. Il centre Pompidou è il museo nazionale, un edificio che risponde anche un po’alle spinte del 68, in direzione di una cultura trasparente. Nasce con l’idea di apertura, come parte della città stessa e luogo aperto a tutti. Era un museo innovativo. È uno spazio tra i cinque e i sei milioni di visitatori l’anno. Questa mostra era anche celebrazione dei 200 anni della rivoluzione francese. E la Francia si celebra non solo come nazione nell’atto fondante di un senso comune europeo, ma celebra se stessa attraverso una mostra multiculturale. La critica mossagli più volte riguarda il fatto che la lettura dell’arte esposta partiva da un punto di vista occidentale. Rappresentava come l’Occidente leggeva le cose. Una sorta di strategia da Nazioni Unite, di messa l’uno accanto all’altro. Gli artisti erano allineati non tenendo conto della provenienza, l’Europa non è al centro della carta geografica di questa esposizione. SI cercano all’interno della tradizione dei singoli luoghi autori che cercano di modificare le tradizioni. Dossou Amidou, 10 maschere Gelede, 1988 Qui le maschere sono modificate rispetto alle costanti del suo luogo d’origine. Christian Boltanski, Les Bougies, 1987 Accanto ad un artista africano possiamo trovare un artista francese. Qui le ombre amplificate dalle candele si muovono al muoversi degli spettatori. Richiamano la morte. È un lavoro sulla memoria. Artista da famiglia di origine ucraina. Toccato da eventi da lui non vissuti (è nato nel 44), spesso ricorda nei suoi lavori le morti della seconda guerra mondiale e il tentativo di costruzione raziale fatto dai nazisti. Spesso presente l’elemento claustrofobico. Boltanski, Teatro d’ombre, 1984 Come nel lavoro a “Magiciens de al Terre” gioca con le ombre. Boltanski, Museo della memoria di Ustica, 2007 Aereo di linea italiano colpito per errore. Qui ricostruito. È monumento a quella storia, ricordo del terrorismo e delle guerre successive alla seconda guerra mondiale. Erik Boulatov, Printemps dans une maison de repos des travailleurs, 1988 Qui riflessione sull’Unione Sovietica, su ciò che stava accadendo. Dagli anni 20-30 in poi l’arte sovietica è sempre stata di regime, funzionale alla propaganda. Ma anche tentativi di creare un qualcosa di diverso. Apartment art: Boulatov come altri artisti realizzavano mostre dentro casa, fuori non si poteva fare. Sono una sorta di feste-mostre. Gli alberi sono metà bianchi e metà no, una primavera che arriva a metà. Erik Boulatov, Perestroika, 1989 La scritta “PERESTROIKA” a grandi lettere richiama L’Unione Sovietica e le riforme di quegli anni. Richard Long, Red earth circle, 1989 Accostamento insolito. Richard Long a parete e a terra un’opera che ha poco a che fare. Yuendumu, Yam dreaming, 1989 È l’opera sotto Long. È una come una mappa di sogni. È l’arte aborigena australiana. Il riferimento ai maghi della terra richiama l’idea di un’arte poco definibile. L’arte nelle culture primitive è legata alla trascendenza, al divino, a qualcosa che va oltre. C’è un forte aspetto sciamanico legato all’irrazionalità. Esther Mahlangu, Maison, 1989 Vicinanza alla decorazione. Artista donna (non ha grande carriera al di fuori di questa opera). È ancora arte o forme di una particolare decorazione? La mostra poneva questo limite di rottura. Apre ad un’arte che non ha a che fare con l’Occidente. Alfredo Jaar, La géographie, ça sert d'abord à faire la guerre, 1989 Artista importante nel panorama internazionale. Alfredo Jaar, Gold in the morning, 1985 Nell’85 affitta la pubblicità in una stazione della metropolitana di New York (lui cileno fuggito alle persecuzioni di Pinochet) vicino a Wall Street. Lui fa questa installazioni di fotografie provenienti dalle miniere d’oro brasiliane, richiamo all’oro quotato in borsa, usato come moneta di scambio. Vediamo i volti, i dettagli di questa miniera. Alfredo Jaar, La Nube/The Cloud, 2000 Doppio titolo spagnolo e inglese, faceva parte di una biennale che si svolgeva tra Messico e Stati Uniti. Alfredo Jaar ha raccolto inomi delle persone scomparse o uccise nell’attraversare questa zona. Lega il nome della persona scomparsa ad un palloncino che fa si che la persona possa attraversare il muro in modo libero. Dalle due parti un concerto tra orchestra da un lato e singola voce (violino) dall’altro. Un concerto tra due nazioni. Alfreo Jaar, Rwanda Genocidio in questa regione. C’è stata una strage etnica (1 milione di morti). Solo sei mesi dopo la notizia si è diffusa. Cerca di raccontare questa strage in maniera diversa, senza enfasi o spettacolarizzazione. Alfredo Jaar, Caritas. Real pictures, 1995 Qui un insieme di scatole nere con sopra descrizione e foto all’interno. Louis Bourgeois, Articulated Lair, 1986 Altra artista esposta. Voleva un po’ raccontare i propri fantasmi interiori, il rapporto con il padre, la difficoltà di essere donna in una società maschile. Tentava di rileggere la realtà con altri occhi. Bowa Devi, King and Queen Story and river inside, 1989 Indiano. Claes Oldenburg e Coosje Van Bruggen, From the entropic library, 1988-89 Artista molto famoso. Qui ingigantimenti di oggetti comuni che diventano oggetti scultorei. Marina Abramovic, Boat emptying stream entering, 1989 Aspetti mistici nel suo lavoro. Qui il quarzo rosa è visto come attivatore di energia, le persone potevano appoggiarvisi. Tradizione dei mandala. S. J. Akpan, Undici sculture funerarie, 1989 Artista dalla Nigeria. Rappresentate le persone importanti del villaggio, messi affianco. Fatti col cemento e dipinti. Tecnica sicuramente non africana. Nera Jambruk, Fronton de Maison des hommes, 1988 Dalla Nuova Guinea, strutture difficilmente inquadrabili. Questa mostra non voleva essere racconto delle culture del mondo, ma delle persone che vengono dal mondo. Chéri Samba, Marche de soutien à la campagne sur le SIDA, 1988 Vive a Parigi, pittore. I suoi quadri riflettono alcune delle aspettative che noi occidentali abbiamo rispetto a quel tipo di cultura. Qui il tema è l’AIDS, i numerosi morti. Racconta elementi legati alla sessualità, alla sua cultura. C’è una grande tradizione di tutta quella zona dell’Africa di artisti decoratori. Stefano Arienti dichiara di aver deciso di fare l’artista dopo aver visto questa mostra. Mario Merz, Sans Titre, 1989 Cildo Meireiles, Missão/Missões (How to Build Cathedrals), 1987 Artista brasiliano. Qui è una storia dell’America. Il pavimento sono monete da 1 centesimo brasiliane. Il soffitto sono ossa. Il collegamento è una serie di ostie. È un po’ il racconto della storia della penetrazione spagnola all’interno dell’America latina. Da un lato si cercava l’oro (monete a terra) dall’altra di convertire (ostie) o uccidere (ossa). Nancy Spiro, Codex Artaud, 1971-72 Artaux come figura essenziale della nostra cultura, che ha evidenziato l’aspetto della sofferenza. Samuel Kane Kwei, Mercedes, 1993 Sculture, sono bare. Nella tradizione di alcune parti dell’Africa sono costruite bare che in qualche modo raccontino la storia della persona. Qui ciò è esasperato. 18-04 Documenta Realizzata ogni cinque anni a Kassel. Fa il doppio di visitatori della Biennale di Venezia. Il curatore vi lavora per quattro anni. Documenta del 1997 è stata la prima a occuparsi di globalizzazione, a lavorare sulle forme della modernità. Riflette sulle radici del modernismo (inteso in senso lato). Rem Koolhas, New Urbanism, 1996 L’idea era di coinvolgere gli artisti attraverso declinazioni di opere d’arte in un certo senso legati ad aspetti politici. Pistoletto vede una funzione sociale dell’arte (es. il rispecchiamento dello spettatore, il suo coinvolgimento). critiche, tanto che il fotografo si suicidò. Nell’opera di Jaar non si vede la fotografia, appare solo per alcuni istanti e poi scompare. Il fotografo è il costruttore d’immagini, oscillando tra la denuncia di un fatto il suo uso per fini di lucro e successo. C’è un difficile equilibrio etico tra le due cose, aspetti positivi e negativi. Kentridge, Confessions of Zeno, 2002 Yinka Shonibare, Gallantry and Criminal Conversation, 2002 Altri elementi che danno una diversa interpretazione postcoloniale al racconto della storia. Qui abiti con forme europee, ma colori e motivi africani. Yang Fudong, An estranged paradise, 1997-2002 Figura chiave per l’uso del cinema in certi sensi sperimentale, ma sempre molto legato alla struttura tradizionale cinese. Frederich Bruly Bouabré, Alphabet bété, 1990-91 Artista africano molto famoso. Costruisce un vero e proprio vocabolario, immagini seriali. Sono stanze e stanze riempite di piccoli disegni. Parte da elementi base sia di fonetici che di senso. Immagini dall’Africa, tribali, ma anche dalla cultura occidentale. Crea in ambito africano un immaginario fatto dal disegno. Lavora sulla concretizzazione di un immaginario. Bodys Isek Kingelez, Ville Fantome, 1996 Altro artista affermatosi in Occidente. Cerca di reinterpretare la realtà attraverso urbanistica e architettura. Sono città moderne con tratti africani. Damien Hirst, Treasures from the wreck of the unbelievable, 2017 Palazzo Grassi e Punta della Dogana. Ai due spazi della Fondazione Pinault (grande industriale francese del lusso e della moda). La mostra di Hirst è un unico progetto che coinvolgeva i due spazi. Ogni oggetto realizzato in due copie (pensando ad una mostra itinerante e alla possibilità di vendita ai protagonisti). Dieci anni fa Hirst si staccò dalle gallerie e vendette numerose sue opere in un’asta arrivando a 100-150 milioni di euro. Tutta l’operazione della mostra è da lui finanziata. È come un delirio di onnipotenza, ma un’idea di trasformazione di tutto un sistema, è la storia si racconta, ha costruito un’intera macchina spettacolare. Pazzesca la falsificazione della realtà in questi oggetti. Costruisce un museo ideale. Diversi elementi hanno affascinato anche gli addetti ai lavori, mette in questione il presupposto che tutti i musei ci raccontano una storia che propongono come vera, reale e indiscutibile. Lui ne ha presentata un’altra e messa sullo stesso piano di veridicità, con forte convalida scientifica. È metafora del nostro momento, della fake- news. E la storia è di un liberto arricchito, la metafora del self-made man della cultura occidentale. Estrema la precisione di particolari. Abbandono del tema funebre che pervadeva i suoi lavori precedenti. 24-04 Christo, The pont Neuf Non qualcosa di celebrativo, ma di estremamente temporaneo per mettere in discussione la struttura esistente. Vi sono tendenze che in un certo senso privatizzano lo spazio pubblico che diventa dell’artista. Esther Shalev-Gerz, Hamburg monument against Fascism, 1986 Dal primo Novecento in poi c’è stato inoltre il problema di celebrare delle memorie ponendo qualcosa in spazi pubblici. Così è per la Seconda Guerra mondiale. Questi due artisti, di origine ebraica si chiedono come raccontare il fascismo ad Amburgo, ai tedeschi. Sono gli anni 80, ancora il muro non è caduto. Questo monumento è una gigantesca colonna. La colonna come l’obelisco è data come elemento storico, la storia che si erge sulla natura. Questa colonna veniva lasciata libera, le persone hanno cominciato a scriverci sopra, a graffiarla, a scriverci sopra (svastiche comprese). Aveva creato anche dissapori. La memoria è comunque qualcosa di pesante, controversa. Questo ammonimento è stato offeso, è stata colpita la porta del luogo che dava informazioni su di esso. Ma la particolarità è che ogni anno questa colonna si abbassava fino a che è stata interrata. Oggi resta solo una piastrella e delle informazioni che spiegano il lento abbassamento della colonna. Vi è inoltre l’invito ai cittadini a scrivere i propri nomi su di esso, a condividere questa memoria. In un altro progetto cerca di fare la mappatura dei 2146 cimiteri ebraici che non vi sono più. Ogni sera incidevano un nome di un luogo su una pietra di porfido (sanpietrino) e lo rimettevano al suo posto. La voce ha girato, seppur nessuno vedeva i segni di questa operazione. È un’operazione che racconta molto di certe procedure dell’arte contemporanea, un racconto che nono dice nulla, ma diventa importante per le persone a cui giunge questo racconto. È molto è il progetto, che lo si fa solo in condivisione. E spiega molto di ciò che è definito Arte relazionale. Ha senso solo come progetto in comune, relazionale. Peter Eisenman, Memoriale per gli ebrei assassinati d'Europa, 2005 In Germania ci sono stati molti esempi. Qui il progetto di Eisenman. Una serie di lastre di cemento che coprono una piazza. È un’esperienza, si cammina tra le lastre. Maya Lin, Vietnam Veterans Memorial, 1981-82 Giovanissima quando realizza quest’opera. Comune con Eisenman l’idea di scendere nella terra e alle pareti i nomi delle persone morte. Non un monumento alla guerra, ma alle persone. È un monumento che non porta in alto, sul piedistallo dell’eroe, ma in basso, verso l’eroe che è morto. Racel Whiteread, Memorial Artista inglese. Spesso lavora sulla cementizzazione del luogo. Qui è lo spazio dei libri che esce in fuori, una libreria che mostra i libri all’esterno. La Bibbia come libro esemplare. All’interno una sorta di piccolissimo museo. Racel Whiteread, The house È un progetto fortemente voluto dall’artista. Collabora con una società privata. Qui è una sorta di fantasma, l’interno di una casa abbattuta per fare spazio alla ristrutturazione urbanistica. Questa era una zona di Londra povera, degradata. È stato distrutto tutto è ricostruito. Whiteread prima di fare distruggere questa casa l’ha cementificata all’interno. Poi è stata distrutta, resta un vuoto, lo spazio abitato, non l’architettura. È segno di un’Inghilterra industriale. Questa casa era un po’ una sorta di memoria storica, un passato di povertà, di un momento difficile che solitamente le persone non amano ricordare. Un passato operaio complicato da ricordare. Questo lavoro vince un premio, è apprezzato. Ma una raccolta di firme vorrà levarlo. L’opera viene abbattuta e non esiste più. Serra, Titled arc Altra opera rimossa. Maurizio Cattelan, L.O.V.E. Quest’opera ha avuto invece il pregio di essere capito, la gente se ne è appropriata. Alberto Garutti, artista milanese ha lavorato molto sull’aspetto pubblico dell’arte. Nei suoi lavori museali è molto concettuale, geometrico. Chiamato nel pubblico fa progetti diversi. Il progetto nasce a Bergamo, poi riproposto. Il sistema di illuminazione viene collegato ad un altro pulsante collegato nella maternità dell’ospedale. Quando nasce un bambino l’illuminazione della piazza inizia a pulsare, per un minuto, per festeggiare il nuovo nato. Tocca un po’ il tasto debole di questo processo. Cosa si può condividere? Pochissimo, una delle poche cose è la gioia della vita. Qualsiasi altro simbolo è discutibile. In un altro progetto a Bolzano, per le periferie porta un pezzo di museo, una stanza di museo lì per un’unica opera a rotazione. Gillian Wearing, Family Monument Artista della generazione di Hirst. È chiamata a fare una mostra, lei vuole fare un moumento pubblico. Realizza u monumento alla famiglia tipica trentina, in bronzo, su piedistallo in marmo. Bronzo fatto fare in Cina attraverso una macchia che leggeva le persone e le riproduceva. Vuole parlare di cos’è il cittadino medio, della medietà. Lei ha fatto una ricerca coinvolgendo sociologia e statistica all’università, intervistando le persone su caratteristiche della famiglia media. In mostra i dati statistici. È anche un po’ un’esaltazione della visualizzazione statistica. E alle spalle un workshop dove le famiglie si candidavano, parlavano di sé, la troupe televisiva andava in casa loro e posavano sul piedistallo. Poi scelta la famiglia vincitrice. E proteste delle “Invisible families”. In un altro lavoro chiedeva qui ai passanti di scrivere qualcosa su dei fogli ed esporli alle persone. C’è contraddizione tra le figure e ciò che vi viene scritto. Poi foto in grande esposte in galleria. Lara Favaretto, Momentary Monument Lavoro comparso nella stessa piazza del precedente. È un monumento momentaneo. Il monumento a Dante è ricoperto da questi sacchi di sabbia che fanno da protezione. Nella memoria storica sono messia protezione dei monumenti per i bombardamenti. Nascondere il simbolo per apprezzarlo meglio. Questo monumento nasce a fine Ottocento quando Trento era ancora sotto la Germania. Nasce quando Natter fa un monumento a Walther von der Vogelweide (uno dei padri fondatori della lingua tedesca) a Bolzano. Questo monumento pagato dalle persone guardava verso Sud per “bloccare” l’avanzata italiana nel Sudtirol. La popolazione trentina fa allora un monumento a Dante (idea del patriota Guglielmo Ranzi). Cesare Zocchi vince l’appalto e realizza il monumento. Le persone stesse lo finanziano, c’è forte coinvolgimento e una grande inaugurazione. Lara Favaretto crea un muro intorno al monumento. Applica un discorso generico e condivisibile di scomparsa del monumento per l’unico monumento ben conosciuto da tutti i trentini che si lamenteranno. C’è un crollo statico dei sacchi. Il presidente della fondazione parla di boicottaggio (ma niente c’è stato). Caos mediatico. Per difendere Dante e l’italianità i separatisti iniziano ad andare contro all’artista, parlando in dialetto. “Artforum” la descrive una delle dieci migliori opere dell’anno. In un altro lavoro vuole fare un monumento temporaneo per figura di interesse scomparse che non hanno avuto monumento. Persone con progetti forti che si sono persi.
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