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Storia dell'Arte - Cricco di Teodoro versione gialla - Parte 4, Dispense di Storia Dell'arte

Autori del Cinquecento, da Bramante a Michelangelo.

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 18/01/2021

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Scarica Storia dell'Arte - Cricco di Teodoro versione gialla - Parte 4 e più Dispense in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! IL CINQUECENTO Storia: In questo secolo molti Stati italiani persero la loro indipendenza con il sopraggiungere delle potenze straniere come, ad esempio, il Ducato di Milano che crollò sotto la potenza francese o il Regno di Napoli dominato dagli spagnoli. Nel 1559 con la pace di Cateau Cambresìs venne riconosciuto il dominio della Spagna in Italia da parte dei francesi. A livello religioso, dopo un periodo in cui la chiesa era dominata dalla ricchezza sfrenata, dai costumi corrotti dei suoi membri e dalla dissolutezza, dal lusso e dal desiderio di potere ci fu la Riforma Protestante. Martin Lutero (da lui il termine riforma luterana) creò la sua Tesi sulla vera penitenza in cui esponeva in pochi punti le sue teorie: la libera interpretazione delle Sacre Scritture da parte di ogni singolo uomo e la salvezza ottenibile per sola fede, a prescindere dalle opere che gli uomini hanno compiuto, data solo da Dio. Nacquero così le Guerre di religione e nuovi ordini religiosi come quello dei Gesuiti guidati da Ignazio da Loyòla, con il compito di evangelizzare e istruire le masse, basato su un grande livello culturale dei suoi membri. La reazione della chiesa fu la Controriforma, nel Concilio di Trento del 1545. Al degrado politico però si affianca uno sviluppo artistico che ha il suo centro a Roma nel primo ‘500, e che si espande in tutta Europa. Arte: Nel 1550 Giorgio Vasari pubblica a Firenze le “Vite de’più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani da Cimabue insino a’tempi nostri”, divise in 3 parti di cui ognuna corrispondeva ad un’età cioè ai secoli XIV, XV, XVI. Vasari riteneva che a partire da Cimabue ci fosse stato poi un continuo crescere dell’arte fino ad arrivare a Michelangelo, punto più alto, dopo il quale si poteva fare solo peggio. Ogni età corrisponde ad una maniera, cioè a un modo diverso di intendere e fare l’arte. Ribadisce che lo scopo dell’arte è la mimesi cioè l’imitazione della natura, che si trova per lui nella terza maniera, nella terza età, detta anche moderna perché a lui vicina e contemporanea. Viene fatta partire da Leonardo da Vinci che modificò il mondo dell’arte superando anche tutti i suoi predecessori. Gli esponenti maggiori di questa maniera sono Bramante, Raffaello e Michelangelo. Questi uomini furono realmente speciali perché incarnavano l’idea che si aveva a quel tempo dell’artista, cioè non una persona brava nel suo campo, solo pittura o solo scultura, ma abile in ogni campo artistico, eclettico, così doveva essere l’ARTISTA MODERNO. La condizione sociale dell’artista stava cambiando perché da semplice artigiano, che lavorava con le mani, diventa un intellettuale. La pittura viene messa al pari delle arti liberali tra cui la poesia, la retorica, musica, filosofia. Proprio Leonardo da Vinci crea un vero e proprio paragone tra la pittura e la poesia, entrambe capaci di descrivere la realtà, di creare emozioni liete o terribili. Nel primo ventennio del Cinquecento, Roma fu la culla dell’arte moderna, grazie all’impegno di Papa Giulio II e Leone X (raffinato figlio di Lorenzo il Magnifico) che furono promotori delle arti. Questa crescita si blocca però con il Sacco di Roma del 1527, in cui le truppe di Carlo V distrussero e saccheggiarono l’intera città. Roma arrestò la sua corsa così però tutti gli artisti formatisi sotto i 4 grandi del secolo scapparono e trovarono asilo nelle varie corti italiane, dove portarono le innovazioni, le tecniche e la nuova maniera, seguendo le orme dei maestri e distaccandosene per seguire la propria strada. Per questo e per la presenza lì quasi per tutta la sua vita di Michelangelo, considerato il più grande artista, Roma divenne nel ‘500 la città-guida a livello artistico di tutte le altre. In questo periodo l’interesse verso l’antichità sviluppatosi nel secolo precedente, si afferma sotto la forma del collezionismo, che diventa un’attività capace di influenzare il gusto e le scelte. Uomini molto ricchi, soprattutto Papi avevano delle collezioni grandissime di statue, capitelli, colonne antiche, nei loro palazzi e giardini. Giulio II ad esempio aveva nella sua collezione il Laocoonte e molte altre statue della stessa importanza. Possiamo concludere dicendo che il XVI secolo è il secolo di Roma, sia per le collezioni, per le lettere, per gli studi antiquari, per la grandezza degli artisti che la popolarono (Bramante, Michelangelo, Raffaello), ed anche il periodo della massima diffusione dell’arte italiana in Europa, in opposizione ad una situazione politica non così florida come quella artistica della Penisola. DONATO BRAMANTE (1444/1514) Nato a Monte Asdrualdo, un paese nei pressi di Urbino, dovette formarsi nella scuola dal cantiere urbinate. Nel 1478 era già attivo a Milano, dove intreccio rapporti di amicizia con Leonardo da Vinci. Dopo questo periodo, nel 1499 andò a Roma, dove i rapporti con il da Vinci e le riflessioni artistiche del periodo milanese diedero i loro frutti. Sotto il pontificato di Giulio II iniziò grandi imprese architettoniche che cambiarono il volto della città. Paragonato dal Vasari a ciò che era stato nel secolo precedente Filippo Brunelleschi, e considerato “inventore e luce della buona architettura” (trattatista S.Serlio). Morì a Roma. 1) DISEGNO: Nel disegno del Nudo maschile vediamo la grande attenzione verso la prospettiva, la proporzione e la resa anatomica. L’uomo nell’atto di alzarsi ha le gambe una piegata e l’altra no, un braccio sollevato, l’altro appoggiato a qualcosa. I muscoli e l’anatomia sono resi in maniera meticolosa e risaltano grazie alla biacca. 2) CRISTO ALLA COLONNA (1490, Abbazia di Chiaravalle Milanese, ora Pinacoteca di Brera): Importante in quest’opera il realismo con cui viene dipinto il Cristo. Il ritratto del volto è alla maniera fiamminga, dettagliato nei minimi particolari, dai capelli lucidi e inanellati, così come la barba, agli occhi lucidi e tristi. Il corpo è di una perfezione classica, proporzionato e anatomicamente perfetto, realistico soprattutto nel braccio stretto dalla corda, nelle vene che si intravedono nell’altro. Anche la corda che ha al collo è realistica, così come l’incarnato. L’ambiente è un interno classico, con un pilastro decorato con motivi floreali dorati, da una finestra si vede il paesaggio esterno ed entra la luce che si infrange per prima su un calice posto sul davanzale. 3) STAMPA PREDEVàRI (1481): Eseguita dall’incisore milanese Bernardo Predevàri su un disegno di Donato Bramante, si ricorda la paternità nel basamento del candelabro al centro. Aspetti importanti sono: -somiglianza dell’ambiente con la Sacra conversazione di Piero della Francesca a partire dall’abside preceduto da volta a botte con catino a forma di conchiglia; - conoscenza dei principi architettonici dell’Alberti, ci sono pilastri sorretti da piedistalli invece delle colonne; - somiglianza con Brunelleschi, arco sostenuto dall’ordine e inquadrato in un ordine più grande che regola la crescita in altezza. 4) CHIESA DI SANTA MARIA PRESSO SAN SATIRO (1482, Milano): sappiamo che era stata progettata una divisione in tre parti su tre livelli. L’organizzazione dello spazio è prospetticamente perfetta ed è volta a far si che il tutto posa esseri visto dal pontefice quando si trova nel suo studio privato. Il livello più basso serviva alle rappresentazioni teatrali ed era affiancato da edifici a tre piani quindi con un loggiato a tre livelli; attraverso una scala centrale si accedeva al secondo piano, organizzato come giardino, affiancato da loggiati a due livelli; attraverso due scale laterali, divise al centro da un ninfeo centrale, si accedeva al terzo livello, affiancato da edifici a un solo loggiato, tenuto a giardino e con il piano in salita, che termina con un edificio con un’esedra centrale maestosa introdotta da una spettacolare scala. Tutti i particolari sono volti alla dilatazione dello spazio e all’illusione dell’allontanamento dei tre piani, come il giardino in salito o l’ordine dei loggiati decrescente e sempre uguale, così da creare una travata ritmica che da lontano è percepita come regolarità. Oggi questo spazio è molto diverso. 9) NUOVA BASILICA DI SAN PIETRO (1506, Roma): Abbiamo soltanto dei fogli di lavoro. Le ipotesi sono due: o un edificio longitudinale con una cupola circondata da altre 4 cupole minori, o uno a pianta centrale. Nel foglio di lavoro il progetto è diviso a metà quindi non sappiamo cosa ci fosse. Forse una seconda metà identica o un corpo longitudinale come in un secondo progetto di Bramante e Raffaello. LEONARDO DA VINCI (1452/1519) Nasce a Vinci, Firenze, e qui si forma nella bottega del Verrocchio. Nel 1472 diventa indipendente e nel 1482 si trasferisce a Milano. Con l’invasione del Ducato di Milano da parte dei francesi è costretto a ritornare a Firenze dopo piccole soste a Mantova e Venezia. Nel 1506 ritorna a Milano fino a quado non si trasferisce definitivamente in Francia, dove Francesco I gli dà la residenza di Cloux, dove poi morirà (è infatti sepolto in Francia). Da Vinci non fu soltanto un artista ma un vero e proprio studioso sebbene non conoscesse né il Greco né il Latino (lingua di trattati antichi e divulgazione scientifica del tempo). A differenza di tanti medici del tempo che si basavano sui trattati studiati lui volle indagare la natura tramite l’esperienza, così per l’anatomia umana dissezionò e studiò veri cadaveri per poi crearne disegni perfetti e dettagliati tra cui l’Uomo Vitruviano, così in botanica e in zoologia. Come ce lo descrive il Vasari fu un uomo dalla personalità mutevole, incline al cambiamento, cominciava molte cose che poi abbandonava strada facendo, ma tra tutte non abbandonò mai il disegno e tutto ciò che comportasse disegnare. 1) DISEGNO: Leonardo non abbandonò mai il disegno e abbiamo testimonianze di tutti i periodi della sua vita. Il disegno con Testa Femminile appartiene al periodo della bottega del Verrocchio, infatti il volto ricorda quelli del Botticelli, ma la particolarità sta nei capelli e nel diadema che ne incorniciano il volto, sottilissimi e con effetti di luce ed ombre che evidenziano il viso (appartenente alla tradizione fiorentina di volti di donna). Il disegno del Cavaliere su cavallo impennato appartiene invece al periodo milanese, infatti è una bozza per un monumento Sforza su cui stava lavorando ma che non fu mai realizzato. Si nota il tratto scuro che crea l’ombra da sinistra in alto a destra in basso, tipico dei mancini. Leonardo, infatti era mancino e lo testimonia anche la sua scrittura speculare da destra verso sinistra. Infine, il cartone con Sant’Anna, la Vergine, il Bambino e San Giovannino, appartenente al secondo periodo lombardo e disegno preparatorio per una sua opera omonima. In questo disegno è narrato l’incontro tra Gesù e Giovanni Battista bambino (che nell’opera diventa un agnello). Sono presenti 3 generazioni: Sant’Anna, la Vergine e il Bambino, concatenati tra loro in un insieme indissolubile fatto sia dai corpi che dagli sguardi. Sant’Anna regge sulle gambe sua figlia e la guarda amorevolmente, la Vergine a sua volta regge in grembo il Bambino guardandolo e il Bambino guarda il Battista (nell’opera però è volto verso la madre, in un intreccio di sguardi che torna indietro). Elementi fondamentali della pittura di Da Vinci e palesi in queste opere sono:  Il CONTRAPPOSTO: bilanciamento delle masse corporee che subiscono una rotazione intorno ad un asse, cioè una rotazione in senso opposto delle due parti del corpo. Sant’Anna ha le gambe rivolte verso destra e il volto verso la parte opposta, così la Vergine ha le gambe verso sinistra e il busto verso destra e anche il Bambino ha le gambe verso lo spettatore e il busto inarcato verso Giovannino.  Lo SFUMATO: passaggio graduale e impercettibile tra zone di luce ed ombra ottenuto sfumando il segno del carboncino e perdita graduale della nettezza delle linee e dei contorni verso il paesaggio, che diventano spezzate e non più continue. 2) ANNUNCIAZIONE (1472, Uffizi, Firenze): Opera del periodo dell’esordio fiorentino. In uno spazio aperto, l’angelo con le ali ancora spiegate si inginocchia difronte alla Vergine a portarle la novella, lei seduta davanti alla porta della sua abitazione, dietro ad un leggio, con una mano aperta accenna allo stupore ma il suo volto è imperturbabile, l’altra mano invece è ancora sul libro che stava leggendo. I drappeggi dei manti dei personaggi, uno rosso e l’altro blu, sono resi in maniera realistica, e dimostrano il grande studio nel creare drappeggi, tipico dei pittori fiorentini di quel periodo. Il prato su cui si posa l’angelo presenta una ricca varietà di erbe e fiori che dimostrano la grande attenzione e lo studio di botanica dell’artista. La base su cui poggia il leggio ricorda molto il sarcofago del Verrocchio, con girali e foglie che racchiudono gli spigoli e piedi a forma di zampa di leone. La scena è divisa in due da un muretto che separa l’evento dal paesaggio retrostante, a dividere ancora di più le due cose e per creare un ambiente più intimo in cui si svolge la conversazione, quasi come una tenda, dei cipressi e altri alberi. Al di là di essi c’è un paesaggio fluviale a sinistra e marino a destra e i cipressi si aprono lasciando intravedere un monte con le nuvole sulla vetta, per simboleggiare la sua altezza, dimostrazione di studi geografici e geologici. Abbiamo sempre il contrapposto e lo sfumato, essenziali per le opere di Leonardo. Notiamo anche alcune imperfezioni come un cipresso uguale agli altri anche se in posizione più avanzata e il braccio destro della Vergine teso in maniera innaturale verso il libro, forse però non sono imperfezioni anzi delle correzioni ottiche progettate per una visione in tralice (di traverso, obliquamente) dell’opera. La luce si diffonde in maniera morbida ed uniforme. Le regole prospettiche sono quelle quattrocentesche ma Leonardo rinnova e perfeziona, aggiunge la PROSPETTIVA AEREA (O DEL PERDIMENTO): basata sul fatto che le cose più lontane non possono essere chiare e distinte come quelle in primo piano, lui tiene conto dell’aria, dell’atmosfera, e va a creare nel paesaggio lo sfumato. Quindi gli oggetti più lontani non sono solo più piccoli ma anche meno definiti e impercettibili, la linea di contorno si sfuma. Tutto ciò deriva e dimostra lo studio scientifico che egli fa della realtà. 3) ADORAZIONE DEI MAGI (1481, Uffizi Firenze): Opera incompiuta (sostituita da Filippo Lippi), per la prima volta in uno spazio aperto, la Vergine al centro con il Bambino in braccio, attorniata da pastori e angeli nella parte posteriore. Sullo sfondo le rovine che si riferiscono alla distruzione del tempio di Gerusalemme e una capanna appena accennata, fanciulle e uomini a cavallo che si azzuffano in un moto tumultuoso sta a indicare il mondo pagano che non ha ancora conosciuto Cristo. La prospettiva è data dai due alberi che hanno anche significato simbolico di vittoria sulla morte (alloro) e martirio sulla croce (palma). La prevalenza delle ombre mette in risalto le parti colpite dalla luce. Importante è l’espressività dei personaggi che compare per la prima volta e anticipa il Cenacolo, tutti gli spettatori manifestano infatti meraviglia e incanto. 4) DISEGNI DI CHIESE A PIANTA CENTRALE (1484, ora a Parigi): Risalgono al primo periodo Milanese, in una lettera allo Sforza lo stesso Leonardo, elencando tutto ciò che sapeva fare, parla di edifici religiosi e civili. Ci sono numerosi disegni di chiese a pianta centrale, coperti da cupole, volte a botte e contorniate di piccole absidi, che rendono la struttura compatta e solida. 5) LA VERGINE DELLE ROCCE (una 1483, oggi al Louvre, l’altra 1491, oggi al National Gallery di Londra): Una prima tavola destinata alla chiesa di San Francesco Grande (ora distrutta), ma probabilmente mai consegnata per un’ulteriore richiesta di denaro dell’artista e perciò venduta. Iniziata poco dopo il suo arrivo a Milano. Rappresenta la Vergine con il Bambino, un angelo e San Giovanni Battista bambino. La Vergine al centro della composizione cinge con un braccio Giovannino che è nell’atto di adorazione di Gesù e l’altra è sollevata al centro dell’opera, aperta sul capo di Gesù come in un atto di protezione (richiama la Sant’Anna Matterza di Masaccio). L’angelo guarda verso lo spettatore e indica Giovannino con un dito, mentre con l’altra mano regge il Bambino. L’ambientazione è all’aperto, il tutto si svolge su contrapposta, il busto volto a sinistra mentre il capo leggermente a destra. Sullo sfondo un paesaggio primordiale, fatto di rocce, colline, boschi e due laghi di azzurri diversi su due diverse altezze, il tutto reso con la prospettiva aerea (o del perdimento). Unico elemento umano nell’ambiente è un ponte all’altezza delle spalle della donna, forse a indicare il superamento degli ostacoli naturali, la fiducia dei dotti e degli artisti del Rinascimento nella volontà dell’uomo e nella sua capacità di capire e modificare il mondo. Paesaggio e personaggio sono due comprimari. L’espressione della donna (che ha reso l’opera così famosa) è enigmatica e indecifrabile, tra sereno e malinconico. Gli occhi e il sorriso sembrano seguire lo spettatore dovunque esso si muova, effetto reso grazie allo sfumato, sfumando gli angoli della bocca e degli occhi, tenendoli in ombra, impedisce di afferrare i contorni reali e di avere di lei un’immagine sicura e definitiva, obbligando chi la guarda a tornare più e più volte sul suo volto. Il volto enigmatico ed ambiguo presenta una divisione in due parti, se guardiamo solo la parte destra quello che vediamo è il volto di una giovane donna sorridente, se guardiamo solo quella sinistra vedremo il volto di una persona seria ed anziana. È tutto frutto di indagine scientifica dei moti mentali. RAFFAELLO SANZIO (1483/1520) Nasce ad Urbino da padre pittore, Giovanni Santi, si forma nella bottega del padre e nel 1504 si reca a Firenze attratto dalla presenza di Leonardo e Michelangelo. Nel 1508 su invito di Giulio II si reca a Roma, entrando a contatto con l’architettura di Bramante, dove resterà fino alla sua prematura morte. Vasari lo descrive come un uomo ricco di doti e delle più rare virtù, definendo gli uomini come lui “Dèi mortali”, e suggerisce come causa della morte i piaceri amorosi, ponendo così le basi per la mitizzazione dell’artista, insieme divino e carnale. 1) DISEGNO: Caratteri fondamentali sono: linea di contorno non continua e volumi resi con dei tratti ad archetti tipici del disegno di Raffaello. Inoltre, l’artista è il primo a disegnare modelli di nudo per poi vestirli, solo per studiarne l’anatomia. Nel San Giorgio a cavallo abbiamo degli elementi leonardeschi come il lungo collo dell’uomo e la lunga coda a spirale del drago, il chiaroscuro a tratteggio. Nello Studio di due teste di Apostoli vediamo un Raffaello maturo, è un cartone ausiliario, usato come una sorta di piano B se l’artista in corso d’opera cambiava idea e si usava soprattutto per le teste, più soggette a pentimenti. È un disegno completo. 2) LO SPOSALIZIO DELLA VERGINE (1504, ora Pinacoteca di Brera, Milano): L’opera dimostra l’influsso del Perugino sull’artista, è un chiaro richiamo alla tavola di stesso soggetto dipinta dal Perugino in quegli anni e all’affresco riguardante la consegna delle chiavi dipinto nella Cappella Sistina molti anni prima.  Elementi in comune: soggetto, vicenda trattata; ambientazione nella piazza con tempio sullo sfondo; impianto prospettico reso dalla pavimentazione della piazza; disposizione dei personaggi su una fascia in basso e del tempio su un’altra nella parte alta; forma centinata della tavola; porte aperte del tempio che lasciano vedere il paesaggio dietro.  Elementi diversi: il tempio non è più a base ottagonale ma ha 16 lati, il che lo rende più simile a un cilindro che a un prisma, dandogli moto rotatorio, inoltre la cupola non è tagliata dalla forma della tavola, il che gli conferisce movimento verso l’alto, al contrario di quello del Perugino che costituisce un limite visivo; il sacerdote al centro della composizione non è dritto e immobile, rigido e costituisce l’asse di simmetria della tavola, Perugino infatti è più simmetrico, ma si china verso destra con il capo, creando movimento e ariosità nella composizione; c’è più movimento anche nei personaggi a destra, il ragazzo che spezza la verga con il ginocchio e San Giuseppe che avanza rompono la rigidità presente invece nell’opera del Perugino; contrapposizione tra movimento a destra e pacatezza delle figure femminili a sinistra; le persone sullo sfondo usate per rendere il tempio misurabile, mentre nel Perugino il tempio sembra incombere in maniera innaturale, fuori scala; la linea dell’orizzonte è più alta e dilata lo spazio. Gli ultimi restauri hanno portato alla luce i colori naturali dell’opera, l’azzurro brillante e il verde scuro dei mantelli delle donne, il contrasto tra il rosso e il bianco della pavimentazione. Inoltre, osserviamo che il tempio è stato disegnato come un vero e proprio progetto architettonico, con colonne ioniche, paraste che riflettono le colonne sul corpo centrale, volute che rinforzano gli spigoli del tamburo, scandito da finestre timpanate, la cupola e la lanterna. Sulla parte frontale risalta la firma dell’autore e la data di realizzazione. 3) RITRATTI DI AGNOLO DONI E MADDALENA STROZZI (1505, ora Galleria Palatina, Firenze): Essendo un ritratto di coniugi riprende la tradizione iniziata da Piero della Francesca con il ritratto del Duca di Montefeltro e consorte, ricorda inoltre, nella figura maschile Francesco delle Opere del Perugino e in quella femminile la Monna Lisa leonardiana. Il paesaggio pur riprendendo le colline umbre e partecipando della dolcezza delle figure non ha la potenza evocatrice di quello di Leonardo. L’uomo disposto di tre quarti volge il busto a destra e il capo a sinistra, il volto è incorniciato da capelli ricci e scuri e da un cappello scuro. Le mani quasi si toccano, una appoggiata sulle gambe, l’altra che cade dal bracciolo della sedia mostrando ricchi anelli e venature blu. La donna ha la stessa disposizione della Gioconda ma non ha la stessa potenza espressiva, il volto ha un’aria malinconica, incorniciato da capelli intrecciati e alcune ciocche ribelli. Il corpo della dama molto abbondante è addolcito dai gioielli e dagli abiti di colori brillanti. 4) MADONNA DEL PRATO (1506, ora Vienna): Una delle Madonne di Raffaello del periodo fiorentino, detta anche Madonna del Belvedere perché è stata conservata al Belvedere di Vienna nelle collezioni imperiali. Riprende molte caratteristiche leonardesche come la composizione piramidale, la posa contrapposta, l’intreccio di corpi e sguardi indissolubile, che crea una concatenazione tra i personaggi. In un prato con dei simboli che richiamano il sangue della Passione, le fragole in primo piano e i papaveri a destra, la Vergine che ha il capo che sembra un sole raggiante stagliato sull’azzurro del cielo, con una gamba Pe Pietro Perugino verso destra che segue una diagonale e il busto rivolto verso sinistra, regge il Bambino ancora incapace di camminare e guarda amorevolmente il piccolo Giovanni Battista. I due bambini si guardano tra loro e mantengono insieme una croce. L’intreccio di sguardi e gesti rende solida la composizione piramidale. 5) PALA BAGLIONI o DEPOSIZIONE (1507, ora Galleria Borghese, Roma): Commissionata da Atalanta Baglioni nel 1504 per ricordare il figlio morto, Federico detto Griffonetto e il dolore suo e della nuora Zenobia Sforza. Vari disegni preparatori precedono l’opera, inizialmente ideata come compianto sul Cristo morto, poi diventata deposizione. In un paesaggio profondo dominato a destra dal Golgota, i personaggi si dispongono su due fasce lungo le diagonali dell’opera. A sinistra Giuseppe d’Arimatea con un turbante in testa e il volto che esprime lo sforzo, regge la parte superiore del corpo di Cristo, al suo fianco San Pietro e San Giovanni. La parte inferiore è retta invece da Nicodemo, che secondo la tradizione avrebbe i lineamenti del Griffonetto, e le sue gambe incrociano diagonalmente quelle del giovane. Al centro Maria Maddalena regge una mano del Figlio morto e fa da collegamento tra il gruppo di personaggi di destra e di sinistra. A destra la Vergine, che raffigura Atalanta, sviene per il dolore ed è retta da tre donne, di cui una seduta per terra ricorda il Tondo Doni di Michelangelo. I personaggi, sempre concatenati tra loro tramite sguardi e gesti, esprimono attraverso il volto le emozioni che provano, dal dolore alla commozione. Soltanto con l’ultimo restauro si è riuscito a ristabilire forse la bellezza dell’opera originale. 6) STANZE VATICANE (dal 1508 al 1520, Roma): Sotto il pontificato di Giulio II e anche di Leone X, fu incaricato di affrescare le pareti di 4 stanze:  STANZA DELLA SEGNATURA (chiamata così perché era dove il pontefice firmava “signava” i documenti, una biblioteca del papa). Il tema degli affreschi, scelto ovviamente dal papa, è il concetto di Vero cioè Dio, la filosofia e il diritto civile e canonico, di Bene cioè la teologia, e di Bello cioè la poesia, tutto rappresentato anche da 4 figure femminili in tondi corrispondenti agli affreschi. Uno degli affreschi è quello della Scuola di Atene, creato tra il 1509 e il 1510. In un edificio classico che ricorda la Basilica di Massenzio, le terme romane e il progetto di Bramante di San Pietro, con due bracci collegati da uno spazio cupolato e coperti con una vola a botte a cassettoni alternati, rombi e esagoni, al quale si accede tramite una scalinata, sono collocati tutti i personaggi in maniera semicircolare intorno alle figure dei due più grandi filosofi: Aristotele e Platone. Il significato simbolico è quello di una delle vie attraverso le quali si raggiunge Dio, cioè la filosofia. Tutti i personaggi rappresentano filosofi antichi ma le sembianze di alcuni sono quelle di artisti e dotti riflettono anche nel pomello della sedia, insieme ad una finestra che si trova dalla parte opposta. Lo scrittoio e il braccio del papa accompagnano una delle linee di fuga che convergono in un punto fuori dall’opera. Il papa è affiancato da due cardinali (inseriti in corso d’opera), a sinistra Giulio de’Medici, futuro papa Clemente VII, a destra il cardinale Luigi de’Rossi. Il colore dominante dell’opera è il rosso, in varie tonalità per distinguere la diversità delle stoffe, che raggiunge la sua massima espressione negli abiti e nel cappello del papa, in velluto, a contrasto con la veste bianca damascata. Lo sfondo inizialmente era monocromo verde scuro, infatti l’opera era stata pensata come un ritratto di Stato, in corso d’opera sostituito dall’architettura nascosta però dall’ombra. 9) CAPPELLA CHIGI (1511, Chiesa di Santa Maria del Popolo, Roma): Ispirata nella fastosità delle decorazioni e degli elementi alla Roma Imperiale. Ha una pianta quadrata con spigoli smussati (ricorda il progetto di Bramante per San Pietro), sormontata da un tamburo con una cupola (ricorda il Tempietto di San Pietro in Montorio, Bramante), l’arco d’accesso alla cappella, la ricca decorazione, la policromia dei marmi e i monumenti funerari piramidali, fanno pieno riferimento al Pantheon. Tutto volge uno sguardo alla grandezza degli Antichi, che l’artista emulò e superò in ricchezza di ornamenti. La cupola è decorata con cornici dorate e un oculo affrescato con la figura di Dio, che sembra affacciarsi dall’alto. Raffaello qui riporta in auge anche la tecnica del mosaico, che insieme alle statue, i dipinti, l’oro, i marmi, producono uno sfarzo che non fa rimpiangere la Roma Imperiale. 10) VILLA MADAMA (1519-1521, Roma): Il progetto iniziale comprendeva una grande scalinata di accesso a un ambiente a tre navate, un giardino centrale circondato da un loggiato attorno al quale sviluppare le stanze più intime. Progettata come dimora del cardinale Giulio de’Medici, è stata costruita solo una parte del progetto originale. Una metà del cortile centrale, il loggiato che doveva circondare il giardino da un lato ora è diventata la facciata, scandita da paraste doriche. All’interno decorata con l’equilibrio tra pittura, architettura e scultura, colori chiari e forti, decorazioni a grottesche è quanto di più prossimo agli edifici degli Antichi. 11) LETTERA A LEONE X (1519): Leone X affida a Raffaello il compito di disegnare una pianta della Roma imperiale, nel farlo l’autore vuole allegare anche le piante di edifici più significativi e ne spiega l tecnica. In una lettera di prefazione inviata al committente però c’è una critica importante di Raffaello nei confronti dell’attività dei nobili e anche dei papi precedenti, che non avevano tutelato i beni antichi, rubando, tenendo per sè e usandone pezzi per le nuove costruzioni. La volontà dell’artista è quella di tutelare i beni e lasciare qualcosa ai posteri. È importante perché è la base della tutela dei beni culturali che abbiamo oggi e anche testamento culturale di Raffaello che morì poco dopo senza poter completare l’opera. 12) TRASFIGURAZIONE (1518, Pinacoteca Vaticana): Racconta un evento evangelico, Gesù trasfigura davanti agli Apostoli Giovanni, Giacomo e Pietro, in una nube risplendente di luce, dopo, scendendo dal monte guarisce un bambino indemoniato. Sono narrate entrambe le scene ma in maniera divisa, in alto l’ascensione di Cristo, in un’atmosfera luminosa, calma e ovattata; in basso il bambino indemoniato con la sua famiglia e gli Apostoli che lo guardano a sinistra, in un’atmosfera concitata e tempestata dalla luce che si infrange in maniera violenta. Accomunano però tutta l’opera i collegamenti di sguardi e gesti che ci sono tra i personaggi, di ispirazione leonardesca, e la sperimentazione del moto torsionale delle figure, ripreso da Michelangelo. La tavola non fu finita a causa della morte dell’autore e venne posta sul suo letto di morte. 13) ARAZZI PER LA CAPPELLA SISTINA (1515, cartoni preparatori ora a Londra, Victoria and Albert Museum): Raffaello creò i cartoni preparatori che vennero mandati a Bruxelles per essere trasformati in arazzi preziosi. Dunque, i disegni sono vere e proprie opere dell’artista. Ci sono pervenuti solo 7 su 10 cartoni raffiguranti la vita di San Paolo e San Pietro, nelle bordure inferiori invece riguardanti il papa Medici. MICHELANGELO BUONARROTI (1475/1564) Nasce a Caprese, una città dell’aretino, di cui il padre era podestà. Si trasferiscono a Firenze e lui si forma nella bottega del Ghirlandaio. Vasari lo considera uno spirito mandato direttamente da Dio, un dono, un artista che mirabilmente operava in tutti i campi dell’arte, ma lui si definì sempre uno scultore. Si sposta a Roma nel 1496 e, nel 1505, ormai famoso, torna a Firenze, fino al 1536, anno in cui si trasferirà definitivamente a Roma. Comunque, il suo lavoro lo obbliga a spostarsi spesso tra le due città. Michelangelo, come gli artisti a lui contemporanei, credeva che l’arte dovesse essere imitazione della natura che ci circonda e che la prospettiva fosse lo strumento perfetto per poterlo fare, ma credeva anche che l’immaginazione dell’artista potesse attribuire alla natura delle caratteristiche che la rendono più bella, dare vita ad una bellezza superiore a quella esistente. Così il corpo umano perfetto diventa per lui la cosa più bella del creato. Ogni artista ha nella sua mente una bellezza ideale alla quale conformare le proprie opere. La Controriforma e la caduta dei valori religiosi però portano un cambiamento in questa idea, infatti la bellezza esteriore diventa per lui solo secondaria a quella interiore, essa non era che un mezzo per esprimere la bellezza spirituale, così Michelangelo comincia a vedere il lavoro dell’artista al servizio della Chiesa. Verso la fine della sua vita comincia a pensare addirittura che in realtà la bellezza esteriore distolga l’attenzione dai veri valori e dalla vera bellezza spirituale, a tal punto da credere che forse lui sarebbe stato dannato a causa delle sue opere, teme che la propria arte e la propria fantasia gli abbiano fatto meritare il castigo eterno. 1) DISEGNI: Per Michelangelo il disegno era la concretizzazione dell’idea dell’artista. Vediamo diversi stili nei suoi disegni: in età giovanile le figure sono rese tramite tratteggi incrociati che le danno un’aria scultorea come in Due astanti; in un secondo periodo invece il tratteggio incrociato viene abbandonato a favore dello sfumato come quello nello studio di un Ignudo della Cappella Sistina o nel busto del Cristo morto; la Testa ideale invece è un disegno di presentazione o omaggio, fatto per essere regalato, da ciò deriva la minuzia e la precisione nei particolari e nelle rifiniture, è un disegno completo. 2) LA PIETà VATICANA o DI SAN PIETRO (1498, Basilica di San Pietro, Vaticano): Commissionata da u cardinale, Jean Bilhères, prima di lasciare Roma, per lasciarvi un suo ricordo, fu terminata in meno i un anno. Il soggetto, molto usato nel Nord- Europa ma non in Italia, è la Vergine che tiene tra le braccia suo Figlio deposto dalla croce, una sorta di sintesi del Compianto su Cristo morto, invece molto frequente in Italia già nel Medioevo. Qui sia la Vergine che Gesù hanno un aspetto giovane, senza imperfezioni, a simboleggiare la bellezza di Dio e l’altezza spirituale, la giovinezza della donna è accentuata dalla fascia che porta la firma dell’artista che le evidenzia le forme. Il suo abito dal fitto panneggio e quindi dal fitto chiaroscuro è lo strumento usato per contrastare la liscezza e la luminosità del corpo del Cristo, che così risalta. Il volto della Vergine esprime una leggera malinconia e con la mano sinistra invita gli spettatori a partecipare al dolore, portato da piccolo in grembo, ora il Cristo giace morto nello stesso posto, sulle sue gambe, con la testa che cade all’indietro. Vasari commenta l’opera definendola un miracolo, una creazione di così tanta bellezza che la stessa natura non potrà mai raggiungere. Michelangelo crede che il blocco di marmo contenga già potenzialmente l’opera che lo scultore sarà capace di creare, la scultura quindi è ciò che si fa “per via di levare”, togliere il superfluo con lo scalpello. Lavora il marmo per sottrazione, fino a renderlo trasparente sotto la luce. 3) DAVID (1501, Firenze, Galleria dell’Accademia): Commissionata per la Cattedrale di Santa Maria del Fiore di Firenze, fu fornito all’artista un blocco di marmo già in parte scolpito circa 40 anni prima. Michelangelo accettò la sfida e creò una statua considerata da Vasari un miracolo di perfezione, una statua ritenuta superiore ad ogni scultura moderna ed antica. David, destinato ad essere futuro re d’Israele, rappresentato nudo, con in mano la fionda, la fronte corrugata e gli occhi pensosi che studiano l’avversario. La posizione segue il Chiamo Classico, ma ciò che viene espresso è un DINAMISMO POTENZIALE e NON EFFETTIVO, i muscoli sono tesi le vene traspaiono dalle mani, è tutto pronto per dare luogo all’azione ma l’azione non è rappresentata, non eseguita. La superficie è perfettamente levigata. I valori morali che incarna questa scultura rappresentano perfettamente quelli fiorentini del periodo, libertà e indipendenza, per cui fu scelto di posizionarla davanti a Palazzo Vecchio, sede del potere cittadino, di cui il David divenne il simbolo. La piccola Firenze sapeva tener testa alle grandi potenze nazionali, così come David, armato della sola fionda, tenne testa al gigante Golia. sconcertante, essa è attraversata in maniera trasversale da arconi che poggiano su una cornice che corre poco più sopra delle vele triangolari, sorretti da pilastrini che affiancano i troni di Sette profeti e cinque Sibille.  La superficie centrale è divisa in 9 riquadri dei quali 5 sono più piccoli perché affiancati dai famosi Ignudi che reggono medaglioni. Qui sono narrate le storie della Genesi.  Alla base dei riquadri piccoli tra i pilastrini che reggono gli arconi ci sono 7 Profeti e 5 Sibille.  Nelle vele e lunette sono raffigurate le quaranta generazioni degli Antenati di Cristo.  Nei pennacchi angolari ci sono 4 eventi miracolosi fondamentali per la salvezza di Israele. Il tempo e il fumo delle candele avevano annerito i disegni, riportati allo splendore originale solo nel 1990. I colori sono gli stessi del Tondo Doni, cangianti, splendenti, le linee sono nette e decise, i corpi sono resi in maniera plastica, con una precisa e forte volumetria, inoltre la perfezione del corpo umano è sempre presente. Figure dipinte come se fossero sculture. Presentano dunque tutti i caratteri distintivi della pittura di Michelangelo e che influenzarono tuta la generazione successiva (manierismo). La scena più famosa dei grandi riquadri è La creazione di Adamo: a destra c’è Dio sorretto da molti angeli in una stoffa violacea che si gonfia con il vento e prende la forma di un cervello, simbolo di sapienza e razionalità, sede del pensiero. Lui con la mano destra allungata protende verso quella di Adamo, disteso su una roccia nella parte opposta dell’opera. I due non si sfiorano, le dita al centro dell’opera sono soltanto molto vicine, si stagliano su un cielo azzurro chiarissimo. Ancora una volta Michelangelo esprime il suo concetto di bellezza creando dei corpi perfetti nei quali si riflette la bellezza stessa del divino, il Vasari afferma che Adamo sembra realmente creato da Dio e non dalla mano dell’artista. I corpi sono modellati alla maniera classica, sembrano statue viventi, con torsioni muscolari, dinamismo titanico e idealizzazione che conferiscono loro un significato spirituale e universale: l’uomo diventa l’esempio più alto della creazione di Dio. Stesso concetto è espresso nei corpi degli Ignudi e nelle Sibille delle quali massimo esempio è la Sibilla libica in cui Michelangelo sa fondere il colore con la forma e il movimento, un andamento serpentino coniugato con colori forti e cangianti, ricchi di cromature luminose. La donna girata all’indietro, con la schiena nuda e il corpetto sbottonato di lato che ci lascia immaginare un corpo prosperoso, prende con le braccia semidistese il libro degli oracoli e volge la testa in avanti. Tutto il corpo è sostenuto dai piedi in punta che contribuiscono alla tensione muscolare del corpo della donna. 8) GIUDIZIO UNIVERSALE (1536-41, Cappella Sistina): Quasi 20 anni dopo gli venne commissionata da papa Clemente VII de’Medici l’affresco della parete d’altare della stessa Cappella Sistina. Ciò che vediamo però è diverso dalla volta, la parete dipinta interamente senza l’uso di divisioni architettoniche, a parete intera e su fondo azzurro marino, si accalca una miriade di corpi. Qui i corpi non sono espressione di bellezza ideale, anzi sono tozzi e pesanti. Ciò he interessa all’artista è il senso tragico del destino dell’uomo. A sinistra i salvati attoniti e tramortiti, su una sponda verdeggiante, cercano di salire al cielo aggrappandosi alle nuvole che sembrano rocce, a volte tirati su da altri come foglie portate dal vento, a destra invece il gruppo dei dannati, gettati in basso da creature diaboliche, respinti da angeli, percossi da Caronte con il remo della barca (Caronte è raffigurato come lo descrive Dante e non secondo l’iconografia pagana precedente). L’ascesa dei salvati ai quali volge lo sguardo dolce e materno la Vergine e la discesa dei dannati sono accompagnati dal gesto impetuoso delle braccia di Cristo-giudice. Al centro, infatti c’è Gesù accerchiato dai Santi e con sopra angeli senza ali che portano i simboli della Passione, la croce, la colonna e la corona di spine. Non c’è gioia nei volti dei salvati ma forte tormento in quelli dei dannati. Quest’opera è lo specchio del tormento dell’anima di Michelangelo che, nella seconda fase della sua vita, crede di essere destinato alla dannazione eterna, per lui non c’è speranza di salvezza. Successivamente i nudi furono considerati osceni e per salvare l’affresco dalla distruzione vennero coperti da Daniele da Volterra (che si guadagnò il soprannome di braghettone). 9) SAGRESTIA NUOVA (1519- 34, Basilica di San Lorenzo, Firenze): Progettata e in parte realizzata dall’artista nell’arco di tempo tra i due affreschi alla Cappella Sistina. Come nella sagrestia vecchia progettata da Brunelleschi, la pianta consiste in due quadrati di diverse dimensioni, entrambi sormontati da cupola, quella più grande all’interno ricorda quella del Pantheon con fasce concentriche a cassettoni, all’esterno decorata con squame di terracotta e terminante con una lanterna. Le pareti sono divise in due ordini e la parte superiore sembra non avere appoggio, quasi fluttuare nel vuoto a causa del fregio che appoggia sulle paraste del primo ordine. Le proporzioni della sagrestia di Brunelleschi sono alterate a favore di un maggiore slancio verso l’alto, per il quale viene introdotto un attico tra il primo ordine e le lunette sottostanti la cupola. Tale spinta è favorita dalla rastrematura dei finestroni verso l’alto (si restringono verso l’alto). I colori sono il bianco dell’intonaco e il grigio della pietra serena, di cui sono fatte le paraste scanalate della parte inferiore e le membrature architettoniche della parte superiore. La sagrestia era destinata ad accogliere le tombe dei Medici, vennero realizzati però solo due sarcofagi, per Giuliano duca di Nemours e Lorenzo duca di Urbino (nipote e fratello di Leone X). I sarcofagi sono stretti, quasi compressi, tra le paraste in pietra serena. Essi sono plastici, con coperchi ellittici sui quali si appoggiano le allegorie del Giorno e della Notte su uno, e sull’altro dell’Aurora e del Crepuscolo. Nelle nicchie al centro della composizione le statue idealizzate dei due Medici. Particolare è il Giorno, un nudo virile girato di spalle, che presenta nel volto la tecnica, appositamente voluta dall’artista e non dovuta ad altri motivi, del “non finito”, di cui l’artista si seve per creare un contrasto con le parti rifinite e dare fascino e intensità espressiva alle opere. Le edicole sulle porte sono progetti successivi, con il timpano interrotto che lascia lo spazio al vano della nicchia, che penetra e si espande al suo interno, e il basamento che sporge all’esterno, sono i motivi del nuovo panorama architettonico. Qui Michelangelo taglia il legame con le regole degli ordini di Vitruvio, proclamando la sua libertà creativa e inventiva. 10) BIBLIOTECA LAURENZIANA (1524, Complesso della Basilica di San Lorenzo, Firenze):
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