Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

storia dell’arte medievale, appunti completi del modulo 2, Appunti di Storia dell'arte medievale

appunti completi del modulo 2.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 08/05/2023

erica-peiretti
erica-peiretti 🇮🇹

5

(2)

1 documento

1 / 44

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica storia dell’arte medievale, appunti completi del modulo 2 e più Appunti in PDF di Storia dell'arte medievale solo su Docsity! STORIA DELL’ARTE MEDIEVALE MODULO 2 PROF. FABRIZIO CRIVELLO IL RUOLO DELL’ARTISTA NEL MEDIOEVO • Il nome dell’artista si lega alla volontà di testimoniare l’artista in un contesto che non è necessariamente il proprio. → Croce di Sarzana, Guglielmo: è presente un titulus, che rappresenta la volontà di far ricordare il proprio nome anche in un contesto religioso. → Altare d’oro di Sant’Ambrogio: autoritratto di Vuolvinio magister phaber, che viene incoronato dal patrono della basilica; non si conosce nulla di lui, ma gli spetta una posizione apicale nel processo realizzativo. • importanti sono i cantieri, che ci fanno comprendere le fasi costruttive di un edificio: → Duomo di Monreale: è presente un mosaico bizantino che vede la presenza di costruttori in procinto di creare la Torre di Babele → emergono degli elementi che ci fanno comprendere le tecniche costruttive del tempo, ad esempio, la malta preparatoria. • punti di riferimento sono anche i libri di modelli; da ricordare sono quelli di Giovannino de’ Grassi e Villard de Honnecourt. • Nel corso del Medioevo i termini con cui gli artisti vengono indicati o con cui essi stessi siglano le proprie opere sono artifex e magister; essi infatti sono considerati 'artefici', cioè esecutori delle arti meccaniche e non di quelle liberali, caratterizzate da un'applicazione essenzialmente intellettuale. POSIZIONE DELL’ARTISTA IN EPOCA ANTICA • L'artista realizza opere importanti e inestimabili, ma al contempo la sua figura è subordinata a altre forme del sapere ed è considerata vile, dal momento che si tratta di un lavoro manuale, meno importante delle arti liberali. Infatti, l’artista è in questo momento una figura ammirevole, non per il lavoro che svolge, ma per le opere che produce. Solo la figura dell’architetto gode di un prestigio diverso, perché è chiamato a conoscere le arti liberali, necessarie per il suo lavoro. A Sparta e nelle repubbliche aristocratiche, un artigiano non poteva essere cittadino; le arti erano lasciate agli schiavi o ai meteci. Anche laddove le arti erano incoraggiate e i mestieri aperti a tutti i cittadini, come ad Atene, la posizione sociale dell'artista non era diversa. Mentre le città greche dell'età classica spendevano somme assai rilevanti per monumenti architettonici e opere d'arte, il guadagno degli artisti non era superiore a quello della giornata di un artigiano. → questi dati si possono ricavare da dati epigrafici. • In tarda epoca greca compaiono, poi, collegi o associazioni delle varie arti, tra cui la più famosa, per la sua attività di carattere letterario, fu quella degli attori tragici e comici. • Un certo mutamento nel concetto dell'artista si ha con l'età ellenistica, in cui si ebbe una forte concentrazione di ricchezza e l'arte divenne un mezzo di espressione della potenza del sovrano; Su iscrizioni di questo tempo si trovano artisti partecipi di cariche cittadine religiose e, probabilmente, anche civili. Si fanno più frequenti i casi di artisti in possesso di una cultura filosofica e scrittori di cose d'arte. Si deve, quindi, essere giunti alla scoperta del valore della personalità dell'artista, e alla sua valutazione come elemento decisivo per la qualità dell'opera d'arte. L'artista verrà, adesso, equiparato al poeta, che crea sotto ispirazione divina. Ma una netta formulazione di questo concetto non si avrà che nel III sec. d. C., quando l'artista verrà detto "demiurgo della verità", e la sua opera verrà considerata, quindi, non più soltanto frutto di una pratica manuale, ma opera di creazione. • Pochissime sono le iscrizioni, ritrovabili solo nella Grecia arcaica negli ambiti della ceramografia e della pittura vascolare. → Exekias, ceramografo greco del 6 sec a.c. Ha realizzato un vaso, noto come vaso del Louvre, con la raffigurazione di Achille, giunto a noi grazie a una tomba longobarda. FIGURA DELL’ARTISTA NELL'ALTO MEDIOEVO • ambito insulare → Evangeliario di Lindisfarne: nel 10 secolo, Aldred effettua una traduzione interlineare, grazie alla quale oggi siamo in grado di riconoscere una sottoscrizione lungo il colofone, che ci riporta coloro che, secondo la tradizione, hanno dato origine all’evangeliario, tra cui l’abate vescovo Eadfrith per la legatura, il successore Aethelwold e Wilfrid l’eremita, che aggiunse elementi in oreficeria. Le pagine sono caratterizzate da una coerenza artistica, da far presupporre che si tratti della creazione di un unico artista, il quale ha impiegato per l’opera un lunghissimo tempo di realizzazione (forse 5/ 6 anni). Si presuppone, inoltre, che Eadfrith avesse competenze artistiche eccezionali, a tal punto da metterlo a capo di una diocesi. → Evangeliario di Echternach: appartiene alla corrente umanistica, riporta una rarissima rappresentazione del tetramorfo, ovvero i quattro evangelisti in un unico essere. Anche questo evangeliario riporta l’iscrizione Thomas scripsit, e proprio per questo motivo può anche essere chiamato evangeliario di Thomas. • ambito merovingio: → Eligio, vescovo di Noyon: personalità con capacità artistiche eccezionali, attivo nel 7 sec, di cui è presente un racconto agiografico → nel quinto capitolo, Sant’Eligio conosce il re Clotario, il quale voleva una sella; Eligio ne realizza due in maniera eccezionale, tanto da diventare uomo fedelissimo della corte merovingia. Realizza anche una croce dipinta per la chiesa abbaziale di Saint Denis, di cui ne rimane solo un frammento, realizzato con la tecnica del cloisonné, così come il Calice di Chelles. → Altare dell’abbazia di Ferentillo: grazie a una lunga iscrizione che rimanda ad Ilderico, duca di Spoleto, possiamo datarlo al 740 circa. L’iscrizione, inoltre, reca anche la scritta Ursus magister fecit. L’altare è suddiviso in due fasce e un corpo centrale, su cui si trovano figure stante non riconoscibili visivamente, ma grazie a sottoscrizioni: si può, infatti, comprendere che l’artista è stato attivo in ambito longobardo. → Tempietto di Santa Maria in Valle: è presente un’iscrizione nell'intradosso dell’apertura centrale tra le figure in stucco delle sante, realizzato sulla superficie ancora fresco dello stucco; riporta il nome di Paganus. • ambito carolingio: → Evangeliario di Godescalco: prende il nome da colui che sovrintese alla realizzazione dell’opera. → Cappella palatina di Aquisgrana: parteciparono alla creazione Odo di Metz e Eginardo, il quale realizzò le porte della cappella e l’arco di Einhardi, una copia in miniatura, realizzata in argento lavorato a sbalzo, di un arco di trionfo romano, destinata a fungere da base, con iscrizione dedicatoria, di una croce reliquiario, della quale peraltro non si è conservata traccia. L'oggetto doveva essere destinato a San Servazio di Maastricht, dove Eginardo era abate laico. La chiesa presenta un gusto antiquario, in particolare per l’arte romana e tardoantica. → Terentius Vaticanus: copia delle Commedie di Terenzio (2/ 4 9 sec): reca una cripto firma, ovvero una firma nascosta, che riporta il nome di Alderico, il quale avrebbe eseguito tuttavia soltanto il frontespizio dell'Andria, il ritratto dell'autore e le poche miniature del primo fascicolo, dove, su una traccia rimasta incompiuta, sarebbe intervenuto il primo dei due maestri che conclusero il ciclo illustrato. → Altare d’oro di Sant’Ambrogio: Vuolvinio magister phaber • scuola di corte di Carlo il Calvo → Tavole dei canoni: recano una cripto firma in caratteri tironiani, una scrittura utilizzata dai grandi autori dell’antichità, che si servivano di queste abbreviazioni per dettare le loro opere. Questa scrittura compare anche nel Salterio di Carlo il Calvo e nel Codice Aureo di Sant’Emmerano, da cui deriva il nome del gruppo di Liutardo. • A partire dalla metà del 11 secolo, abbiamo maggiori info sugli artisti e cambia il sistema all’interno del quale l’artista agisce. Si moltiplicano, infatti, le occasioni per attività e imprese artistiche, che fanno sì che l’artista guadagni più spazio. • Si infittiscono le rappresentazioni degli artisti=autoritratti → artista che prende coscienza del proprio ruolo. • Si abbandona l’idea che le arti meccaniche siano subordinate e siano esempi da non imitare, anche se Teofilo ne riconosce un ruolo importante nella vita monastica già nei secoli precedenti. • Duomo di Modena: Lanfranco e Wiligelmo → l’epigrafe di Lanfranco è caratterizzata da termini elogiativi, perciò possiamo comprendere come cambino i riconoscimenti nei confronti dell’artista. Lanfranco è presente anche nel manoscritto della traslazione di san Gimignano: in particolare viene rappresentato quando dà avvio ai lavori, cioè nei primi decenni 13 sec → Si vuole ricordare l’artista e l’opera da lui compiuta L’architetto lo si riconosce per l’atteggiamento, il manto blu, il bastone e il copricapo; vengono distinti gli artifices (chi trasforma i materiali in opera) e gli operai (coloro che trasportano solo i materiali da costruzione). → L’iscrizione di Wiligelmo non solo ricorda il nome dell’artista, non si elogiano le virtù morali come Tuotilo nel monastero di San Gallo, ma si fa un chiaro riferimento alle opere. Appare chiaramente un atelier ricco di personalità, che si esprime chiaramente attraverso il Maestro delle metope, che realizza i rilievi delle paraste dei contrafforti esterni. Attorno all'attività di Wiligelmo, prende luogo un fervore artistico, che è ben esplicabile attraverso i due portali: la Porta della Pescheria, realizzata dal cosiddetto Maestro di Artù, e la Porta dei Principi, di particolare interesse, perché emerge una delle più antiche raffigurazioni di uno scultore romanico: all’interno dei racemi compaiono le raffigurazioni dei lavori dell’uomo → es: fabro, musico, scultore impegnato a realizzare un capitello, forse corinzio, di fronte a sé, ribaltato, con la base verso l’alto… • La figura dell’architetto si riconosce nel cantiere → Mosaici di san Marco: costruzione della Torre di Babele: l’architetto dà indicazioni e guida il lavoro. • In ambito pisano, da una parte viene preso come prototipo quello occidentale, ovvero Roma, ma dall’altra parte viene presa in considerazione anche Bisanzio. → Duomo di Pisa: nel riquadro in basso a sinistra della facciata è presente l’iscrizione (epigrafe e tomba) di Buscheto, architetto del cantiere, che si trova in un contesto particolare, perché abbiamo una serie di epigrafi, tra cui la fondazione del duomo e un riferimento all’espansione di Pisa in ambito mediterraneo. L’iscrizione celebra l’artista, che viene messo in relazione con personaggi della mitologia: Dulichio e Dedalo. ← l’artista medievale è in competizione con le opere dell’antichità; deve dare prova di saper realizzare ciò che hanno fatto i suoi predecessori e di superarli. C’è poi un’iscrizione relativa a Rainaldo e un’altra di Bonanno Pisano nella porta principale, trascritta prima della sua distruzione. Quest’ultima ci dice anche per quanto i lavori andarono avanti, ovvero un anno. Bonanno Pisano realizza anche la porta di San Raineri, riservata al vescovo e al clero pisano, che ci può dare un’idea di come i battenti della porta principale potessero essere. Un’altra porta di Pisano che ci è rimasta è anche quella del Duomo di Monreale. All’interno del Duomo è presente il pulpito di Giovanni Pisano, che rimpiazzò quello precedente, la cui iscrizione riporta il nome di Guglielmo e il quale fu successivamente esiliato a Cagliari. Nella stessa iscrizione è riportata la dimensione temporale (4 anni, 1162). E’ presente poi un’iscrizione di Biduino su uno dei sarcofagi destinato al giudice Giratto, il quale si rifà ai modelli antichi, attraverso uno dei simboli imperiali: il leone che mangia la gazzella, prendendo un’accezione classico-pagana. A Biduino sono state ricondotte altre sculture, ad esempio gli architravi della pieve di San Casciano a Settimo, così come molto probabilmente anche gli eleganti capitelli della chiesa, la cui linearità stilistica e il cui stretto rapporto con l’architettura hanno fatto supporre un coinvolgimento di Beduino stesso nella costruzione dell’edificio, e dei fregi nella parte basamentale della Torre di Pisa. Egli appare sensibile ai suggerimenti iconografici delle miniature bizantine, oltre che perfettamente inseribile nell’ambito culturale della Toscana occidentale della seconda metà del 12 secolo, caratterizzato da un coerente senso plastico e sperimentali effetti di pittoricismo. Alla Sacra di san Michele, collaborano altre due personalità accanto a Niccolò: il Maestro di Rivalta (capitello con storie di Sansone) e un altro maestro, che ha realizzato un altare che si conserva nella sagrestia maggiore di Susa, in cui si legge Pietro di Lione. A ciò si aggiunge un testo, in cui è presente il nome Niccolaus. → Cattedrale di Monreale: sono presenti delle iscrizioni lapidarie, che ricordano il nome dello scultore, e in questo caso aggiungono il nome del figlio: Romano, figlio di Costantino, marmorario. • Nell’ambito dell’oreficeria possiamo ricordare: → Ruggero di Helmarshausen: altare portatile → Magister Guillelmus: croce di Sarzana (1138), la cui iscrizione ci dice che l’artista avrebbe composto anche i versi. → Alberto Sozio: croce di Spoleto. • Per quanto riguarda i miniatori, i più importanti sono: → Hugo pictor, di cui abbiamo una delle più antiche raffigurazioni di un minatore al lavoro → Frater Rufillus: presente nel tardo 12 sec in Svevia, nel monastero di Weingarten, ci è noto attraverso un'auto raffigurazione, all’interno della lettera D. Compare poi in una lettera R di un altro manoscritto, però non sembra essere stata fatta da lui. → Maestro vetraio di nome Gerlacus, che si raffigura sotto all’apparizione del Signore davanti a Mosè (vetrata della teofania). → Hildebertus: si rappresenta in un manoscritto contenente l’opera di Sant’Agostino, mentre impugna un qualche oggetto che sta per scaraventare su qualcosa. Per comprenderlo, bisogna leggere ciò che è scritto di fianco: vuole cacciare un topo, che spesso lo interrompe nel suo lavoro e che mangia il formaggio. Viene rappresentato anche un leone, come se si trattasse dell’evangelista Marco. L’aiutante, che appartiene a un livello inferiore, si sta esercitando su una tavoletta a eseguire un racemo. → Orologio di Olmutz: qui ritroviamo Hildeberto con il suo aiutante. Il monaco è probabilmente uno scriba: H Pictor —> CFR Aliptes K • In ambito italiano, i miniatori che ci lasciano una propria testimonianza sono di meno. → Evangelistario festivo del duomo di Padova: riprende un manoscritto tardo ottoniano. Alla fine del manoscritto si legge una lunga iscrizione, che ricorda la datazione dell’opera e il nome di colui che avrebbe decorato il manoscritto, Isidoro, che raffigura se stesso nell’atto di scrivere il testo: siamo davanti, dunque, a calligrafo e miniatore. → Reliquiario di Sant’Alessandro: il committente è stato l’abate Bibaldo di Stavelot, mentre l’artista (forse) Godefroy de Huy. Ciò si può comprendere attraverso una lettera, dove l’abate chiede all’artista di rispondere alle sue esigenze, tralasciando gli altri impegni. Alla committenza di Bibaldo si legano anche delle cassette reliquiario. • Il 12 secolo ci restituisce un’immagine dell’artista, anche attraverso libri di modelli. → Foglio di Friburgo: dona come modello la figura di San Matteo ad un manoscritto bizantino di ambito imperiale. → Libro di modelli di iniziali: disegnate ordinatamente, alcune ne prevedono anche il completamento con i colori, quasi come se si trattasse di un eserciziario. → Matthew Paris, monaco del monastero di Saint Albans; la sua principale attività era quella di cronachista; non fu soltanto un importante scrittore, capace di infondere nelle sue cronache un forte sentimento personale e un grande senso drammatico, ma fu anche un artista eccellente, come dimostrano sia i vivaci disegni marginali di cui corredò i suoi testi storici, sia le più formali immagini comprese nelle vite dei santi, sia infine alcune più grandi illustrazioni isolate, attualmente legate in altre sue opere, e carte geografiche di vario genere. È molto probabile che Matthew fosse un dilettante autodidatta e che lavorasse per lo più da solo, ai margini del vero e proprio scriptorium di St. Albans. Egli comunque usò come modelli quelle opere prodotte nella stessa abbazia all'inizio del secolo, che mostrano uno stile gotico più imponente, quali per es. la Bibbia ora conservata a Cambridge. • Per trovare delle raffigurazioni di artisti del 13 sec, dobbiamo spostarci nell’impero, in particolare nella regione turingo- sassone. → Stalli lignei, presenti ad Hannover: su una compartizione lignea è presente la raffigurazione di un intagliatore. • Duomo di Parma: si lega alla figura di Benedetto Antelami. → Lastra con la Deposizione: l’iscrizione che l’accompagna riporta l’anno (1178) e definisce l’artista “scultor”. Secondo alcune ipotesi, questa lastra doveva appartenere a un pergamo. • Battistero di Parma: riporta un’iscrizione, che, con un artificio retorico, ci riporta all’anno 1496. Si tratta dell’avvio di un importante cantiere, che sta nelle mani di uno scultore (Benedetto Antelami), che ha diretto tutti i lavori di costruzione. • Portale della Basilica di San Marco, a Venezia: tra le corporazioni che vengono raffigurate negli intradossi degli archi, compaiono quelle a cui si deve la realizzazione del portale, accompagnate da virtù e personificazioni. In particolare, vediamo le figure intente a lavorare in un atelier. Importante è anche la rappresentazione di una figura ammantata, con un copricapo: potrebbe essere lo scultore o l’architetto che ha sovrinteso alla creazione del portale o agli interventi della basilica marciana. • Nicola Pisano → Battistero di Pisa: all’interno è presente il pergamo (1260), anch’esso accompagnato da un'iscrizione nella scena del Giudizio Finale, che riporta termini elogiativi nei confronti dell’artista. → Fontana maggiore di Perugia: costituita da due vasche, una sopraelevata grazie a un sistema di sostegni verticali che consistono in pilastri e colonne. Nella vasca più bassa sono presenti personificazioni delle arti liberali, mentre nell’altra sono presenti figure che personificano virtù e personaggi dell’Antico Testamento, così come l’ecclesia romana. Sulla cornice della seconda vasca è, poi, presente una lunga iscrizione, oggetto di studio di archeologi e filologi, che celebra Nicola, dal momento che dice che l’artista fu apprezzato per ogni sua opera. La parte conclusiva è in bronzo, realizzata da Rubeus. • Anche in ambito romano emergono nel 13 secolo iscrizioni relative a marmorari. → Chiostro di San Paolo → Rinnovamento del Sancta Sanctorum, sotto Nicolò 3; l’artista è un discendente della famiglia dei Cosmati, che si definisce magister. → Calice di Guccio di Mannaia: si tratta di una committenza papale; Guccio realizza quest’opera con una nuova tecnica, ovvero lo smalto traslucido, che si è continuato ad utilizzare anche nel 14 sec da artisti senesi, che hanno imparato l’utilizzo di questa tecnica dallo stesso Guccio. • In Francia a partire dal ¼ del 13 secolo, in particolare in ambito reale, si sviluppano le cosiddette bibbie moralizzate, dove il testo ha una funzione subordinata. Il manoscritto comincia quindi a laicizzarsi, non è qualcosa legato solamente all’ambito ecclesiastico → Bibbia di Vienna → Bibbia di Amburgo: caratterizzata dalla presenza di iniziali, al cui interno sono state disegnate personalità, che hanno partecipato alla sua realizzazione, e raffigurazioni di attività che hanno caratterizzato la creazione del codice miniato. Hanno collaborato a questo testo anche miniatori laici, uno dei quali viene rappresentato mentre si sta dedicando alla raffigurazione di un volto. • Dalla metà del 13 secolo, l’artista va incontro a un’evoluzione, in particolar modo nel momento in cui la posizione dell’artista è fotografata in ambito letterario: nella Divina Commedia di Dante, l’autore dona una nuova immagine degli artisti, i quali, però, sono posizionati nella cerchia dei superbi, sottoposti alla pena di portare un macigno e invitati a recitare il Padre Nostro. → Dante Urbinate: si tratta di un’illustrazione rinascimentale della commedia; nel X canto del Purgatorio, Dante si trova davanti ai marmi che rappresentano l’umiltà, tra i quali soggetti troviamo l’Annunciazione. L’artista che si rivolge a Dante è probabilmente uno degli artisti con i quali Dante intrattenne dei rapporti amicali, dal momento che entrambi condividevano l’ambito librario: si tratta di Oderisi da Gubbio, miniatore attivo a Bologna, con formazione in Umbria. Oderisi cita poi Franco Bolognese, un autore che l’artista ritiene che lo ha superato subito dopo la sua morte. Le ultime terzine sono celeberrime, con allusione alla stessa vita di Dante, circondata dalle figure di Guido Guinizzelli e Guido Cavalcanti. In ogni caso, Dante fa anche riferimento a Cimabue e Giotto. Dante, fin da subito, ebbe un grande successo tra i grandi letterati del tempo, perciò tutto questo avrà conseguenze importanti nella considerazione dell’artista. • Oderisi da Gubbio: → Bibbia di Corradino: miniatura sveva, l’artista, in realtà, è anonimo, ma agli occhi di Roberto Longhi si tratta di un’opera di Oderisi, dal momento che ritiene che questo manoscritto (anni 60/70) mostrerebbe collegamenti con il linguaggio figurativo umbro, che Oderisi portava nella sua pittura su tavola. • De Origine, di Filippo Villani: si tratta di una cronaca fiorentina, costituita da due arti: la leggendaria fondazione di Fiesole e Firenze, e gli uomini illustri; la narrazione è improntata su modelli classici, in cui troviamo anche pittori, i quali non vengono considerati di ingegno minore rispetto a tutti coloro che eseguono arti liberali. Tra gli artisti cita Maso di Banco, Stefano (enigmatico), Taddeo Gaddi. Ritiene, inoltre, che a partire dal ¾ del 13 secolo, l’arte ha conosciuto un declino. • Per ciò che riguarda le sottoscrizioni di artisti nel 14 secolo, ce ne saremmo aspettati di più. • In relazione a Giotto, le testimonianze che la sua bottega lascia, sono piuttosto circoscritte. In ogni caso, in quasi tutte le opere giottesche, possiamo reperire delle iscrizioni, in cui il maestro si firma con l’espressione Opus Iocti Fiorentini: con l’utilizzo del genitivo, Giotto fa riferimento a molte sottoscrizioni antiche e dimostra di voler competere con gli artisti dell’antichità: → Francesco che riceve le stimmate: si collega al ciclo assisiate per la scelta iconografica, non solo della scena centrale, ma anche delle predelle, che sembrano delle trasposizioni del ciclo francescano. Sulla cornice si legge, appunto, il nome dell’artista. → Polittico Baroncelli: Giotto ha voluto legare il suo nome al polittico, mettendo all’interno degli esagoni presenti sopra la cornice inferiore la scritta Opus magister Iocti. → Polittico di Bologna (anni 30 del 14 sec): l’iscrizione ne riporta il nome e si trova sull’alzata del primo scalino, sul quale si posa il trono marmoreo della Vergine col Bambino. La presenza del genitivo potrebbe anche significare la conoscenza dell’artista di due opere classiche, ovvero i monumentali Dioscuri: essi erano copie di originali in bronzo, realizzate a Roma e fin dalle origine accompagnate da iscrizioni che ne attribuivano la realizzazione a Fidia e Prassitele (Opus Fidiae e Opus Praxitelis). In questa scelta, Giotto intende ricollegarsi direttamente ai fasti dell’antichità, a quella monumentalità che bisognava riscoprire, poiché bisognava guardare alla natura. • Tra i primissimi che riflettono sulle novità di Giotto ci sono: → Neri da Rimini, miniatore che realizza un’antifonario (ne rimane un foglio), sottoscritto dal miniatore, che riflette anche le novità di Giotto, tra cui la ripresa della stessa sottoscrizione: Opus Neri minatoris. Questo foglio miniato ci fa, quindi, comprendere che già nei primi anni del 1300 ci sarebbero dovute essere delle opere giottesche che riportavano la sottoscrizione con il genitivo, ma che purtroppo non sono giunte fino a noi. La figura del Cristo benedicente e delle figure rappresentate insieme riprendono lo stile della Croce di Rimini, presente nel Tempio Malatestiano, la cui terminazione superiore reca la figura di Cristo, che è la stessa proposta da Neri da Rimini. Si può pensare che anche quest’opera recasse la stessa sottoscrizione giottesca del San Francesco del Louvre. → Tomba di Antonio dell’Orso, Tino di Camaino: ritiene che non può chiamarsi maestro, finché il padre è ancora in vita. • Nel 1300 esistono anche personalità di cui non sappiamo niente dal punto di vista storico: → Maestro del 1310: artista attivo in ambito pistoiese, vicino a personalità che spiccano in ambito senese, fiorentino e bolognese. Riprende alcune scelte giottesche, ma allo stesso tempo potrebbe essere considerato un dissidente giottesco. → Maestro del Codice di San Giorgio: artista che deve aver appreso la pittura in ambito fiorentino, imbevuto delle novità di Giotto, e successivamente, trasferitosi ad Avignone, realizza manoscritti, legandosi alla figura del committente Stefaneschi. Presenta una raffinatissima attenzione per la natura e per il linearismo gotico. Raffigurazione di San Girolamo: squisitamente ornamentale, ma allo stesso tempo plastico e tridimensionale. → Frontespizio per il Virgilio di Petrarca, Simone Martini: sono presenti scene che alludono a temi bucolici ed é raffigurata anche la figura di Virgilio disteso, che viene svelato, per renderlo accessibile. La pittura é estremamente raffinata e ciò ci fa comprendere come Martini avesse familiarità con la pittura su pergamena, sebbene noi non abbiamo altre testimonianze. Martini utilizza, inoltre, la tecnica a risparmio, che consiste nell’usare il colore di pergamena per il colore, ad esempio, dell’incarnato, per evitare un intervento decorativo eccessivo. Nell’iscrizione, dichiara di voler competere con Virgilio. → Madonna dell’Umiltà, Bartolomeo da Camogli: l’iscrizione riporta il nome dell’artista e la datazione, ma allo stesso tempo ci restituisce un tema iconografico. → Formelle per il Duomo Fiorentino, Andrea Pisano: si tratta di uno dei più antichi cicli dedicati all’arte meccanica. Andrea Pisano dedica alcune formelle ad alcuni degli artisti che resero illustre quest’arte: Fidia è rappresentato come uno scultore moderno, mentre sta realizzando un satiro; Apelle è intento a realizzare un dipinto su tavola. Vitruvio (forse) o Euclide rappresenta l’architettura. POSIZIONE DELL’ARTISTA NEL GOTICO INTERNAZIONALE • Duomo di Milano: sono presenti degli annali della fabbrica, riuniti e compilati raccogliendo il materiale che proveniva da documenti diversi. Essi registrano anche l'incontro tra un architetto e il consiglio dell’opera del duomo e a questo proposito l’architetto riferisce la sua attività e una perizia condotta nei confronti del duomo. L’architetto è francese e sostiene che la costruzione dei contrafforti non sia stata studiata abbastanza a fondo e crede che possano cedere. Inoltre, ritiene che il Duomo di Milano sia costruito secondo una valenza estetica e non strutturale, basandosi sulla geometria. Da queste accuse, i maestri sostengono esattamente il contrario, dicendo che, rispetto a molte chiese gotiche francesi, i materiali utilizzati per l’edificio italiano siano migliori, e per questo motivo non c’è bisogno di preoccuparsi di un possibile cedimento delle torri del duomo. Ciò che si voleva costruire non era una copia passiva francese, ma un edificio strutturalmente diverso, che non doveva essere caratterizzato da strutture completamente gotiche, ma che prendeva elementi anche appartenenti a stili precedenti, come ad esempio le nicchie contenenti scene dell’Antico Testamento. • Della stagione orafa sveva rimane il nome di Perrone Malamorte, orafo che viene ricompensato da Federico 2 con un feudo, ma non ci rimane molto altro. • Reliquiario di Santa Gertrude (13 sec): realizzato da Jacques de Nivelles e Nicolas de Douai, sulla base del progetto del maestro Jacques de Anchin. Purtroppo è stata distrutta da un bombardamento nella seconda guerra mondiale, ma ne rimangono frammenti di squisita fattura. • Orafi di corte: l’orafo copre un ruolo elitario nella corte, a volte ottenendo il titolo nobiliare. → 1269: alla corte di Enrico 3 è presente William of Gloucester, detto King’s goldsmith. → 1280: Venceslao 2 nomina Konrad orafo del re → Carlo 2 d’Angiò nomina i suoi orafi familiari del re → Guillaume Julliani, realizza il busto reliquiario di San Luigi 9, di cui però ci rimane solo un frammento in smalto. • A Parigi era presente il quartiere degli orafi, in cui lavorano molti orafi di prestigio, tra cui Simon de Lille, il quale lavora per molti sovrani e incarica Joan de Motte di comporre due poesie. • Per quanto riguarda l’oreficeria senese, un ruolo di spicco è occupato da Guccio di Mannaia, che si ispira alla pittura parigina per la realizzazione delle figure negli smalti. Lando di Pietro → realizza la corona imperiale di Enrico 7 e il reliquiario del braccio del Louvre. Toro di Siena → orafo del Papa a Roma e ad Avignone Duccio di Siena → orafo presso Giacomo 2 d’Aragona Pietro di Simone → orafo presso la corte di Napoli e in Ungheria • Nel 1400 l'oreficeria raggiunge anche la borghesia con piccoli gioielli e suppellettili in materiale prezioso. LEZIONE A PALAZZO MADAMA • Fibula d’oro con ansa: rientra nella tipologia definita Zwibelknopffibel. Forma e motivi decorativi rimandano alla produzione di artefici romani del V secolo d. C.. L'oggetto è stato confrontato con una fibula simile riscoperta in Algeria e firmata Herr (Herrius). Questa, assegnata ad un artefice romano fornitore della corte, è decorata sulla staffa da teste di anatra stilizzata, motivo che compare anche sulla fibula proveniente da Tunisi. Questo tipo di fibula d'oro era il segno distintivo, insieme alla clamide, degli alti funzionari. • Capitelli dell’abbazia di Rivalta: realizzati da una personalità senza nome, che ricordiamo come Maestro di Rivalta, affiancò Nicolò durante l'esecuzione della porta dello Zodiaco alla Sacra di San Michele. Il contatto con il grande artista, formatosi forse al seguito di Wiligelmo a Modena, dovette arricchire con l'apporto dei modelli classici il linguaggio di questo maestro, cresciuto sugli esempi lombardi, consentendogli di affrontare la tematica narrativa prima di allora mai sperimentata nella scultura romanica piemontese. I capitelli in considerazione, infatti, sono istoriati e mostrano delle scene cavalleresche. • Mosaici: Il mosaico fu riportato alla luce nel 1845, durante i lavori per la nuova pavimentazione della cattedrale di Acqui. Molto probabilmente esso ricopriva, in origine, tutto il presbiterio della chiesa, sistemazione che rimase intoccata per quattro secoli. L'eleganza delle figure, la chiarezza geometrica della loro disposizione sui fondi, l'omogeneità dei materiali (nella stragrande maggioranza tessere in marmo recuperate da monumenti antichi) e l'uso ragionato degli inserti coloristici in pietra dura e pasta vitrea ne fanno un'opera di grande equilibrio, che presuppone l'esistenza di una bottega organizzata e dotata di una certa esperienza. Il mosaico di Acqui ha una datazione tradizionale al 1067, che si è appoggiata, sin dall'Ottocento, alla testimonianza dell'iscrizione che narra della ricostruzione della cattedrale ad opera del vescovo Guido. • Madonna col Bambino, Tino di Camaino: l'attribuzione è concordemente accolta nella critica, con il rimando agli anni giovanili del soggiorno a Pisa, tra il 1312 e il 1315. Se l'impostazione della figura deriva da esempi di Giovanni Pisano, Tino mostra in quest'opera il progressivo distacco dal pathos espressivo del suo maestro, per un'adesione a ritmi più pacati, volumi più torniti e panneggi lineari non lontani dagli esiti della contemporanea pittura senese. L'iscrizione, di controversa lettura, presenta diverse sgrammaticature, tratto insolito in Tino, mentre il richiamo elogiativo al padre Camaino trova riscontro nell'iscrizione che accompagna la tomba del vescovo d'Orso nel Duomo di Firenze. • Lastra con Madonna col Bambino, San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, Lorenzo Monaco: l'opera, sulla quale è riconoscibile lo stemma della famiglia Costabili di Ferrara, è uno dei frutti più belli dell'interesse dell'artista per la tecnica del vetro a oro graffito. Lo stile può essere accostato ad una serie di Madonne realizzate da Lorenzo Monaco nel primo decennio del Quattrocento, ancora caratterizzate dall’esperienza fiorentina del pittore, a contatto con le opere dei seguaci di Giotto ma già informate dei nuovi elementi stilistici del Gotico, introdotte a Firenze da Lorenzo Ghiberti. • Trittico, Jacopino Cietario: l'opera si lega alla cultura tardogotica lombarda, nell'ambito della quale le arti suntuarie, e tra queste la tecnica dei vetri dorati, raggiungono espressioni di eccellenza. L'artista, che si firma su un cartiglio sotto il Calvario centrale, guarda ai modelli della pittura del primo Quattrocento, muovendosi nella tarda orbita di Michelino da Besozzo, attivo a Pavia e nella Fabbrica del Duomo di Milano, e dei fratelli Zavattari per quanto riguarda il panneggio delle vesti e l'accentuata espressività dei volti, mentre la ricerca spaziale guarda ai maestri oltremontani. • materiale eburneo= materiale di origine organica, proveniente da grandi mammiferi: es. denti di tricheco, zanna di elefante, ossa di cetaceo o di mammiferi, tra i quali bovini (soprattutto usata nel tardo medioevo). → Manico di un coltello intagliato in osso: appaiono due figure, una maschile e una femminile; l'impugnatura ha conservato il nome dell’artista Sawalo, lo stesso nome che compare in un manoscritto francese. • In alcuni contesti, la lavorazione del materiale eburneo poteva ricorrere a dei surrogati, in particolare un denso, compatto legno. Ciò avviene nel monastero di Weingarten→ Placca lignea lavorata a giorno e decorata (1217-1232): appaiono tre figure: intagliatore, committente e destinataria= la Vergine. • Apocalisse Lambert (¾ 13 sec): nella miniatura che apre il manoscritto è presente la figura di un monaco, di fronte a una statuetta della Vergine col Bambino, il quale è intento a completarne la policromia. Presumibilmente si tratta di una statuetta in avorio, da come si può comprendere dalla forma sbilanciata, che si deve dalla forma arcuata della zanna. • L’avorio era spesso rigidamente controllato dai sovrani, perché era un materiale pregiato e raro. • Si tratta di un’arte da sempre legata alla regalità, in particolare a partire dall’8 sec a.c. • La parte della zanna dell’elefante che si utilizza è la dentina, perciò si possono utilizzare solo ⅔ della zanna, anche perchè si va, inoltre, a eliminare la parte più vicina alla cavità pulpare e l’estremità più vecchia, perchè più rovinata. Talvolta, l’artista era costretto a utilizzare anche altre sezioni della zanna, affinché la parte fosse abbastanza spessa da poter intagliare in una maniera più profonda. • Nell’olifante vengono utilizzate le caratteristiche della zanna: si mantiene la forma e lunghezza. • Gruppo di avori di Salerno e Amalfi (anni 80 11 sec): si ritiene costituisca un paliotto, ossia quel rivestimento che copre la parte anteriore dell’altare. • Nell'alto medioevo, l’avorio è difficile da reperire, perciò si fa ricorso a placche più antiche: sul verso rimangono tracce di una lavorazione del 7 secolo, arte copta. • Scacchi dell’isola di Lewis: intagli in avorio di tricheco. • Croce dei Cloisters: date le dimensioni ristrette delle lamelle, si lavorava per incastro. • Cassetta di Brioude: osso di cetaceo (balena); interessante programma iconografico, che unisce tradizione romanica e romana. In origine non sembra fosse destinata a essere una cassetta reliquiario, ma quando giunse in Francia venne utilizzata per quello scopo. • Per quanto riguarda la lavorazione dell'avorio, abbiamo, invece, informazioni scarse prima del 17 secolo: → Cynegetica: si ha la rappresentazione di una prima lavorazione dell’avorio, dove la figura ha in mano una sorta di accetta. Un’altra miniatura, ci mostra l'utilizzo di altri oggetti per la lavorazione, realizzato sotto la supervisione di Alfonso 10 di Castiglia verso la fine del 13 sec, per un libro di giochi. • ambito gotico: → Vergine della Sainte Chapelle: presenza di oro, si ritiene sia stata donata dal sovrano Carlo 5. → Dittico Barberini: sono presenti delle parti a tutto tondo anche in una placca. FIGURA DEL MINIATORE NEL 14 E 15 SECOLO intervento di Alessia Marzo • Per ciò che riguarda il metodo di lavoro, disponiamo di importanti trattati tecnici, tra cui il Libro dell’arte di Cennino Cennini: alcune parti sono dedicate alla miniatura, in particolare su come si disegna su pergamena e come si colora con l’acquerello, così come su come si realizza la carta tinta, cioè una carta che si può colorare con diversi colori, il più diffuso dei quali è il colore verde. Un’altra parte importante dell’opera è quella riguardante la stesura dell’oro, di cui ci riporta due ricette in particolare: doratura a guazzo, cioè con una base gessosa, oppure a bolo, una specie di terra argillosa. Ciò ci fa comprendere che Cennini non era solo un pittore, ma anche un miniatore, perché sostiene che tutte le ricette che riporta sono state da lui utilizzate. Un altro trattato importante è il De arte illuminandi, un piccolo trattatello che si ritiene sia stato scritto in ambito napoletano da un anonimo miniatore, probabilmente un monaco del 14 secolo che copiò un testo originale, ormai andato perduto. Esso comprende un insieme organizzato e coerente di ricette riguardanti le miniature. Un’altra fonte per comprendere i metodi di lavoro sono gli statuti delle corporazioni: associazioni di artigiani che si formano allo scopo di fornire assistenza reciproca e donarsi delle regole. • Per quanto riguarda l’ambito della produzione, si afferma la presenza di botteghe laiche all'interno della città, spesso regolamentate dalle corporazioni, all’interno delle quali sono presenti anche miniatori ecclesiastici. • Si sviluppa anche la produzione del manoscritto universitario: si tratta di manoscritti realizzati su commissione di studenti o librai, che si specializzano nel loro commercio. Fondamentalmente, erano copie di un testo (exemplar), controllato dai magistri e consegnato agli stationarii che lo “davano in prestito”. Il testo era consegnato in pecie al cliente (copista o studente) dietro a un prezzo di locazione (taxatio); lo studente effettuava, poi, la copia, che veniva decorata, e, successivamente, la pecie veniva di nuovo riconsegnata. Nel 1300 si sviluppa una vera produzione in serie, soprattutto a Parigi e Bologna, dove i codici avevano una decorazione estremamente raffinata. Uno degli artisti più noti è l’Illustratore, un miniatore di ambito bolognese, con grande capacità in disporre le scene negli spazi lasciati dal testo o nei margini. • Nasce anche la figura dell’artista di corte: si tratta di una forma di reclutamento degli artisti, che si sviluppa soprattutto in Inghilterra e in Francia a partire dal 14 secolo. La prima attestazione si ritrova nel 1304 presso la corte di Francia. Nasce la figura del valletto, ovvero un artista alle spese del sovrano, che generalmente è stipendiato e riceve una casa e delle rendite. Il fatto di essere stipendiato, prevedeva anche dei lavori all’interno della corte: es. pulitura dell’argenteria, restauro di alcune opere, pittura di stendardi.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved