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Storia dell'Arte Moderna, Appunti di Storia dell'Arte Moderna

appunti di storia dell'arte moderna

Tipologia: Appunti

2020/2021
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Caricato il 23/05/2021

Tsamu.cas
Tsamu.cas 🇮🇹

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Scarica Storia dell'Arte Moderna e più Appunti in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! 1 Lezione I: Introduzione al Rinascimento e al ritorno dei modelli antichi “Italiani eredi del mondo antico” Il Rinascimento recupera la classicità greca e romana in maniera sostanziale e radicale rispetto al passato, al preciso scopo di rifondare la società e creare un uomo nuovo. Si riscopre l’arte antica, che offre una miriade di modelli agli artisti moderni, riprendendone due principi essenziali, riscontrabili in maniera evidente nella scultura: MIMESIS: l’arte si configura come imitazione del vero (dal quale deve risultare indistinguibile, come afferma Plinio Il Vecchio nella Naturalis Historia), ovvero l’artista studia ciò che vede e lo replica. Non è un aspetto scontato, risulta assente ad esempio nell’arte egizia e in quella orientale. Da questo principio scaturiscono una serie di elementi identificativi dell’arte greca: rappresentazione dinamica dei corpi (raffigurati in posizione gradiente ad esempio, come nell’Apollo del Belvedere, leggermente in movimento) per conferire un aspetto possibile e credibile, diversamente dei kuroi arcaici, raffigurati in posizione stante e statica; ponderatio (da pondus, “peso”), tutto ha un peso, la materia scultorea si adegua alle leggi della gravità del corpo umano (es: mantelli che scendono a falde larghe o il peso scaricato su una sola gamba); pathos, espressione degli affetti (es. espressività del Laocoonte e i suoi figli). I modelli antichi potevano essere originali in marmo (come Laocoonte e i suoi figli o Il Torso del Belvedere) o copie in marmo di sculture in bronzo. Le sculture bronzee erano ampiamente diffuse nel mondo greco, erano realizzate con la tecnica della fusione a cera persa – che segnò il passaggio da piccoli bronzi pieni a grandi sculture vuote all’interno – e permettevano di conferire corpi grande dinamicità senza necessità di puntelli che li rendessero stabili (a differenza delle opere in marmo, come si può ben vedere nell’Apollo del Belvedere, copia romana di un originale bronzeo); spesso risultavano ancor più verosimili grazie anche alla presenza di denti in argento, occhi in pasta vitrea, labbra e capezzoli in rame. La tecnica della fusione a cera persa fu riscoperta in età rinascimentale. IDEALIZZAZIONE DEL BELLO: l’arte non è solo imitazione passiva della realtà, i corpi effigiati sono naturali ma non del tutto. L’artista astrae la realtà adeguandola ai propri canoni di perfezione, raffigurando un corpo esageratamente bello, epurandolo da eventuali difetti. Un esempio calzante è il Laocoonte e i suoi figli (gruppo scultoreo originale scoperto nel 1506, restaurato e derestaurato nel corso negli anni, ripreso da Michelangelo nel Tondo Doni), dove la muscolatura, fortemente indagata, è quella di un atleta nel pieno della giovinezza, ad indicare l’eroicità del personaggio, ma è associata ad un volto anziano, segnato da rughe, che ne denunciano la vera età. Perché c’è questo accanimento nei confronti della bellezza? È conseguenza della kalokagathìa (da kalòs kai agathòs, “bello e buono”), valore assoluto della cultura greca, che prevede la coincidenza fra perfezione fisica e morale dell’uomo. Il bello non è solo edonistico, non ha significato in sé stesso, ma si carica di costruzioni simboliche. La realizzazione di un’opera (in senso lato, non soltanto artistica, pensiamoall’edificazione di una città) è un procedimento profondamente etico (riprendendo l’esempio della città: vivere in una città bella significa vivere in una città giusta). Altra applicazione evidente della kalokagathìa è il Doriforo di Policleto opera in cui è perfettamente leggibile la sua teoria espressa nel Canone, tema centrale dell’arte antica: la bellezza ideale consiste nel perfetto equilibrio delle parti. Stabilisce una serie di importanti relazioni fra le varie parti del corpo, in primis il fatto che la misura totale dovesse corrispondere a nove volte quella della testa e la struttura chiastica della figura. Un altro modello antico imitatissimo è Il Torso del Belvedere: differentemente dalla tendenza integrativa dell’epoca, questa scultura è rimasta mutila, conservando comunque una straordinaria forza ed energia scultorea. Probabilmente la presenza della firma in greco dell’opera (caso eccezionale, le opere dell’antichità non venivano firmate) ha intimorito i possibili restauratori. Anche questa scultura è stata ripresa in pittura da Michelangelo. “Leggiamo il nome di Apelle sui libri, mentre Fidia lo vediamo nel marmo” -Petrarca Nell’antichità esisteva la pittura, in particolare su tavola e in rari casi su tela, tuttavia la deperibilità dei materiali di supporto e delle tecniche impiegate ne ha decretato il naufragio, soprattutto per quanto riguarda i grandi autori, come Apelle. Alcune opere ora non disponibili probabilmente lo erano ancora in periodo rinascimentale, ma è possibile farsi un’idea guardando gli affreschi e mosaici delle città vesuviane (Pompei ed Ercolano) e pochi altri casi superstiti a Roma, dove riscontriamo alcune caratteristiche già viste in ambito scultoreo e non solo: -figure convincenti dal punto di vista anatomico;  giochi cromatici (es. nell’affresco di Perseo e Andromeda a Pompei è evidente diversità delle carnagioni: idealmente l’eroe, in nudo integrale, esercitandosi all’aperto aveva la pelle abbronzata, in contrasto con il pallore della donna); -plasticità dei corpi, suggerita dal chiaroscuro (es. naso di Andromeda, panneggio bagnato in Perseo e Andromeda; Musici ambulanti)  ponderatio 2  raffigurazione dei volti mai frontale (es. pinax Irene, dove il volto è raffigurato di tre quarti), per conferire maggiore naturalezza  indagine dei dettagli (riccioli in Irene)  costruzione dello spazio mediante artifici illusori: scorci e giochi prospettici per suggerire il senso di profondità (es. Perseo e Andromeda un piede che sporge leggermente dalla superficie o licenze anamorfiche come il braccio sproporzionato di Andromeda; torrione nell’affresco di Teseo ha ucciso il Minotauro, dove il cuneo sembra bucare l’opera; baldacchino in Ifigenia in Tauride; Portico della Casa di Livia che crea l’illusione di un giardino profumato)  ombre (es. le riparografie, rappresentazioni degli scarti dei banchetti: lische, gelsi, ossa, acini d’uva proiettano la loro ombra sul pavimento), grandi assenti nell’arte medievale, sarà Masaccio a riportarle nuovamente in pittura  varietà delle pose, gestualità (Teseo, Ifigenia, Musici ambulanti, Ritratto di Paquio Proculo)  riscoperta di alcuni generi come il ritratto (casi romani sono Irene e il Ritratto di Paquio Proculo e sua moglie, connotati da una gestualità spontanea e vivace) o la pittura di storia (come il mosaico della Battaglia di Isso)  nature morte (più propriamente xenia, ovvero i cibi offerti come doni agli ospiti)  temi mitici che saranno ricorrenti nella successiva pittura italiana (es. Tre Grazie)  temi paesaggistici (la cosiddetta pittura compendiaria/impressionista evidente in Mosaico Barberini, dove tra l’altro si può osservare come le singole scene risultino convincenti se prese da sole, ma non nel complesso, poiché sovrapposte una all’altra); Storia dell’Odissea; Rissa tra Nocerini e Pompeiani)  motivi decorativi della pittura grottesca  rappresentazione naturalistica, ma che si piega all’esigenze raffigurative dell’autore: esempio fra tutti la prospettiva ribaltata (es. Natura morta con pesche, dove tra l’altro possiamo apprezzare un caso di lustro: è raffigurata la rifrazione luce riflessa sul vetro della caraffa, cosa che ammireremo solo più avanti con Leonardo; Rissa tra Nocerini e Pompeiani, dove è possibile osservare contemporaneamente l’interno e l’esterno dell’arena) Molti di questi elementi scompaiono nella pittura medievale, che aveva come focus il trascendente e l’eccessivo naturalismo non trovava spazio, e vengono ripresi in maniera puntuale in età rinascimentale. 5 la cupola risulta diversa dalla “finta cupola” del Battistero, dove ci sono spicchi che appoggiano uno contro l’altro. Non sarà lui a completarla, la parte terminale sarà realizzata da altri. Altro esempio di architettura razionale è la Basilica di San Lorenzo, (1418-1461) anch’essa completata non da Brunelleschi ma da un collaboratore, Antonio Manetti. L’edificio è progettato come uno spazio perfettamente misurabile, costruito con modelli regolari (cerchi ad esempio, come ben evidente nelle finestre) e e caratterizzato dagli elementi tipici dell’architettura romana: pianta basilicale, colonne, capitelli, paraste, archi a tutto sesto, soffitto a cassettoni, volte a vela. La geometricità è ribadita dal disegno del pavimento e del soffitto, le linee orizzontali delle trabeazioni, delle cornici e delle porzioni di trabeazione sopra i capitelli. Sono assenti gli affreschi, che rendono l’architettura luminosa e ariosa; utilizza la pietra serena. Rovescia completamente gli stilemi della chiesa gotica. Considerazioni analoghe si fanno per la Cappella Pazzi (1429) e la Sagrestia Vecchia (1419-1428): pavimento diviso geometricamente, volta tonda, spazio quadrato, assenza di affreschi, paraste, lesene, pietra serena, lacunari. Sono tutti elementi ripresi dall’antico. La produzione di Donatello si caratterizza per il recupero delle tecniche antiche, come il bronzo, si pensi alla statua di San Giovanni Battista [lezione precedente], è stato infatti importante il soggiorno a Roma [vedi sopra]. Un esempio è il Banchetto di Erode: (1423-1427) formella in bronzo dorato nella quale possiamo ammirare, a suggerire la profondità, tre tipi di rilievo dal più alto in primo piano fino ad arrivare lo stiacciato in fondo (novità assoluta di Donatello già riscontrabile nella pretella di San Giorgio e il drago del 1417, primo esempio in assoluto di stiacciato); il pavimento in prospettiva (a dimostrazione dell’acquisizione della lezione di Brunelleschi); idea di movimento (evidente nel servo che offre ad Erode la testa del Battista, in Salomè, raffigurata come una Menade danzante e nel gruppo concitato di persone) ed espressività drammatica degli affetti (di derivazione classica e tratto ricorrente dei suoi personaggi). Dopo la straordinaria esecuzione della seconda porta del Battistero, a Ghiberti viene commissionata anche la porta est, senza alcun concorso. Per la mirabile fattura, la porta prende il soprannome di Porta del Paradiso. Le formelle sono in numero minore e regolari (non più polilobate) e realizzate in bronzo dorato. Un esempio può essere la Storia di San Giuseppe dove possiamo notare: lo stiacciato, lo scorcio che suggerisce la prospettiva centrale, architetture di stile bruneschelliano (pianta tonda, finestre timpanate, archi tutto sesto: questo testimonia la sua esecuzione successiva, 1425-1452, allo Spedale degli Innocenti di Brunelleschi del 1419). I personaggi raffigurati, allungati nello stile di Ghiberti, sono in antitesi con quelli di Donatello: non c’è pathos, ma una forte eleganza ritmica (anche se non più di tipo gotico). Scultura e architettura sono le prime arti rinascimentali a partire, perché la pittura parte dopo? Negli anni ’20 del Rinascimento sono ancora attivi i pittori di vecchia scuola, come Lorenzo Monaco che presenta nei suoi dipinti ancora tratti spiccatamente gotici, per esempio nell’ Adorazione dei Magi del 1422: figure allungate, andamento serpentino e svirgolato, panneggio avvolgente ed elegante (non bagnato, che non costruisce potentemente la figura), colori madreperlati, aspetti bizantini (le rocce scheggiate ne sono un esempio), assenza di plasticità e prospettiva (l’architettura non convince da un punto di vista spaziale, troppo piccola rispetto alle figure), utilizzo massiccio dell’oro (tipicamente gotico, ma che resta fino alla metà del Quattrocento anche nei pittori umanisti), attenzione ai dettagli ornamentali (merletti etc.), figure fiabesche e fantasiose. Ancora, altra via battuta dagli artisti dell’epoca è l’ultima propaggine del Gotico, ossia il Gotico internazionale (poiché diffuso in Italia Settentrionale Oltralpe), detto anche Gotico cortese (era infatti molto apprezzato fra le corti in quanto particolarmente ornato, legato al lusso e allo sfarzo). Spesso si parla di Gotico fiorito per il suo spiccato gusto naturalistico (quasi un’attenzione scientifica e analitica di flora e fauna, differente dall’attenzione al naturale che avrà invece l’arte rinascimentale). Chi percorre questa via a Firenze è Gentile da Fabriano nella sua Adorazione dei Magi del 1423, proveniente dalla Cappella Strozzi nella Chiesa della Santa Trinità, dove è assente la prospettiva, i magi sono raffigurati come cortigiani, sono presenti diversi animali (tra cui il falco, la caccia al falcone era un’attività popolare nelle corti), figure allungate (il bambino appare gracile) ed elegantissime i cui abiti sono ricchi di dettagli ornamentali (spesso anche in oro), assenza di azione ma abbondano di personaggi e scene secondarie (es: il paggio che sistema i calzari ad uno dei magi; varietà di pose del lungo corteo). Nelle colonnine laterale raffigurazione di elementi botanici fortemente indagate, mentre nella pretella una delle prime scene di notturno. La differenza con un gotico tradizionale è proprio legato agli elementi legate al gusto delle corti (capelli un po’ gonfi, il costume) e l’indagine minuziosa su tutti gli aspetti della natura. Chi rivoluziona questo assetto è Masaccio, che pur avendo avuto una vita e periodo di attività breve (muore nel 1428), compie in pittura la stessa operazione di Brunelleschi in architettura: spazza via ogni elemento gotico. Palese in Sant’Anna Metterza, opera del 1424 realizzata quasi sicuramente in collaborazione con Masolino (che si occupa 6 della figura della madre della Madonna), dove dimostra di essere un pittore “sanza ornamento”, virile, sintetico: sono presenti la prospettiva, la costruzione plastica del panneggio con forte senso della forma e del peso (intravediamo l’anatomia del corpo, in particolare il ginocchio, differentemente da quanto accadeva nelle raffigurazioni gotiche) e del corpo attraverso tagli netti di chiaroscuro. La Vergine sembra quasi una struttura architettonica o una figura eroica, che sorregge il bambino che appare scolpito (un ercolino, ripreso da bronzetti antichi) con forza, come se quest’ultima fosse riflesso della sua forza morale: ella conosce il suo destino, offrirà suo figlio senza cedimenti per la salvezza dell’umanità. Secondo l’ipotesi di Luciano Verti, il suo esordio risalirebbe verosimilmente al 1422 con il Trittico di San Giovenale, tavola non firmata, ma datata in lettere capitali romani, rivenuta a Reggello (nelle vicinanze del luogo di origine di Masaccio). L’attribuzione del direttore degli Uffizi, sulla quale non tutti concordano, alcuni pensano sia opera del fratello, dell’opera si basa sulla presenza del bambino erculeo, il panneggio costruito ma ancora gotico, e della prospettiva, ravvisabile nel pavimento, seppur ribaltato, per cui sarebbe il primo esempio di pittura prospettica. Gli angeli tentano uno scorcio secondo un profilo perduto (ovvero sono leggermente voltati ma non si vedono né occhi né naso). Le novità del più giovane Masaccio influenzeranno Masolino, inizialmente pittore di stampo gotico (figure serpentinate, colori madreperlati, panneggi svolazzanti, piano ribaltato etc). I due collaborano per la Cappella Brancacci (realizzata per Felice Brancacci tra il 1424-28 nella Chiesa del Carmine, decorata da affreschi sulle pareti. Masolino realizza anche la volta, andata perduta in un grave incendio del Settecento. Sulle pareti la divisione dei registri avviene mediante finti elementi architettonici (lesene di tipo brunelleschiano). Come si faceva un affresco? Si dipingeva dall’alto verso il basso (per evitare che il colore colasse sul disegno già fatto) e dall’abside verso la controfacciata. Si dipingeva a “giornate” (termine con cui si definisce i tempi di asciugatura dell’intonaco) sull’intonaco fresco, umido, così il colore si secca con il muro e penetrando diventa più resistente, a secco si aggiungevano dei dettagli. Si usava un disegno preparatorio realizzato su un supporto in cartone bucherellato appiccicato al muro e spolverato con cartoncino una volta rimosso sono visibili dei puntini che definiscono il contorno della figura e il disegno può essere trasferito. L’attacco delle giornate non dovrebbe essere visibile, ma la mal conservazione può compromettere questo come ad esempio nella Cacciata dei progenitori di Masaccio (tre giornate: prima Eva, poi Adamo, infine la porta e l’angelo). Nella Cappella l’episodio della Cacciata dei progenitori è raffigurato da entrambi i pittori, che realizzano due affreschi antitetici. Masolino è poetico, idillico, privo di pathos: le sue figure sono allungate e senza consistenza fisica come se galleggiassero, i passaggi chiaroscurali sono dolci e sfumati (unica nota di gusto rinascimentale è il nudo integrale, recupero dell’eroe antico), non c’è espressione degli affetti. I personaggi non sono presaghi di nulla, a differenza della Madonna di Sant’Anna Metterza realizzato da Masaccio. Contrariamente, Masaccio è virile, duro, crudo, non risparmia nulla e non concede nulla alla bellezza: i passaggi chiaroscurali sono netti tanto da far sembrare le figure delle sculture, i dettagli non sono indagati e lasciano spazio ad una forte sinteticità, si evidenza una forte espressione drammatica (il volto di Eva è simile a una maschera tragica), i corpi sono ben saldi al terreno, le figure hanno un fisico naturalistico (il modello della donna è la Venere de’ Medici che si copre le grazie). Sempre nella Cappella, nel Pagamento del Tributo, ad opera di Masaccio, si notano invece i seguenti aspetti: pittura prospettica di forte solennità, dove il fulcro coincide con Cristo, fortemente simbolico; recupero della plasticità attraversi panneggi volumetrici; volti severi (i personaggi sembrano filosofi antichi, caratterizzati proprio dalla severitas, che ricordano di Santi coronati della Chiesa di Orsanmichele); abiti all’antica, ad eccezione del gabelliere raffigurato con abito corto; disinteresse per i dettagli del paesaggio che appare quasi lunare, perché centrale è la storia profana o sacra che sia; reintroduzione delle nuvole a rendere il cielo atmosferico; presenza di ombre che conferiscono solidità alle figure, rendendole ben salde al terreno. Coesistono tre scene: al centro la scena principale, a sinistra Pietro che recupera miracolosamente la moneta dalla bocca del pesce e destra la consegna al gabelliere. È rigoroso e radicale, non lascia nulla al caso, difatti anche le aureole sono in prospettiva, trattate come oggetti veri, differentemente dal passato, come lo saranno anche i chiodi nella Crocifissione. Proseguendo nella Cappella, nella Guarigione dello Storpio, Masolino da Masaccio riprende la prospettiva e i panneggi pieni -seppur assenti forti tagli chiaroscurali-, ma presenta ancora una certa analiticità: sono presenti dettagli marginali madre con il bambino, scimmietta... Al centro non troviamo come in Masaccio la storia, che invece è laterale, ma i “due elegantoni” (secondo la definizione del critico Roberto Longhi) due personaggi paludati alla moderna. Infatti dal punto di vista archeologico Masolino (così come altri pittori, si pensi alle raffigurazioni dell’Ultima cena) non è attendibile: gli abiti sono moderni per alcuni personaggi e all’antica per altri. Non c’è il pathos e la crudezza di Masaccio nella raffigurazione dello storpio, di cui viene nascosta la deformità, si ricerca la bellezza. 7 Anche in San Pietro risana gli infermi con la sua ombra di Masaccio non è attendibile archeologicamente, la scena appare infatti collocata in un vicolo fiorentino, evidente dai tipici sporti e elementi aggettanti dove i commercianti esponevano le merci. Il vicolo è in prospettiva. L’ombra di San Pietro (contraddistinto dalla solita severitas e affiancato da Giovanni, l’apostolo giovane), che ha potere guaritore è estremamente fisica, ma allusiva metaforica. La raffigurazione è efficace sul piano narrativo: alcuni degli storpi, dove comprensibilmente il Santo è già passato, sono in piedi, guariti. Masaccio non risparmia la deformità fisica dello storpio, rappresentato in maniera cruda. In San Pietro battezza i neofiti Masaccio continua la linea avviata da Giotto (il primo grande umanista, che probabilmente aveva guardato) di mimesi del vero: i nudi dei neofiti –il battesimo avveniva infatti ancora per abluzione- sono evidentemente studiati da modelli naturali. Anche qui non c’è spazio per la bellezza, gli uomini sono infreddoliti con le braccia alle spalle nel tentativo di scaldarsi, il paesaggio è poco indagato, i panneggi sono volumetrici. Infine, nella Cappella Brancacci, Masaccio inizia e lascia a metà la Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra, che fu proseguito nel 1480 da Filippino Lippi, allievo di Botticelli. Lo stile è diverso da quello del suo maestro, si avvicina a quello di Masaccio ma non completamente, come a destra dove cambiano i passaggi chiaroscurali, decisamente dolci, e le dimensioni delle teste rispetto a quelle di Masaccio. I volti di Lippi sono più particolareggiati, il che denuncia la generazione differente dell’artista: gli artisti fiorentini avevano già conosciuto l’arte fiamminga e la tendenza alla ritrattistica. Di Masaccio sono i tre personaggi a destra: sé stesso (l’autoritratto si riconosce perché il personaggio sembra guardare verso l’osservatore, in realtà per raffigurarsi l’artista si guardava allo specchio), Brunelleschi e Leon Battista Alberti. Nella cimasa Crocifissione, (1426) che doveva far parte del Polittico di Pisa, il punto di fuga è alto, la croce è raffigurata dal sotto in su (infatti il collo di Cristo appare tagliato). Masolino avrà un attività più lunga di Masaccio, infatti negli anni Trenta lavora ad un affresco al Battistero di Castiglione Olona. Seppur ancora presenti l’allungamento delle figure, gli elegantoni, l’influenza di Masaccio è evidente (prospettiva, paesaggio lunare). Sono presenti anche temi rinascimentali sviluppati dopo la morte di Masaccio, come ghirlande, loggiato di tipo brunelleschiano, cornice marcapiano, capitelli corinzi e ionici. 10 l’Annunciazione. Nel primo si può notare un paesaggio lunare, di ispirazione masaccesca, nel quale si gioca sui contrasti cromatici (rosso del mantello); nel secondo si osserva una forte geometrizzazione della architettura brunelleschiana (evidente ad esempio nel pavimento e nelle finestre), sapiente uso della prospettiva (infilata prospettica che dà su un hortus conclusus), reinvenzione del sintetismo di Masaccio in una visione fortemente coloristica (costruisce per “zone di colore”), grazie alla luce chiara. Domenico Veneziano lavora assieme a Piero della Francesca alla Chiesa di Sant’Egidio per uno dei cicli pittorici più importanti del Rinascimento, purtroppo andato perduto. Sono protagonisti di uno straordinario momento di sperimentazione e di studio della prospettiva, la quale diventerà talvolta particolarmente illusionistica e artificiosa con scorci arditi; a Firenze si “normalizzerà” diventando meno architettonica e azzardata. Per Longhi questo sviluppo progressivo della prospettiva di Masaccio, a cui ogni autore darà il proprio contributo innovativo, diventerà l’eredità di Piero della Francesca. Ne dà prova ad esempio nel Battesimo di Cristo (1440), minimo comune denominatore dello stile dell'artista: colori squillanti illuminati una luce diafana, tersa (ripresa da Beato Angelico e Domenico Veneziano); prospettiva e plasticità delle figure (Masaccio) fortemente geometrizzate e regolarizzate, che risultano addirittura colonnari e ferme (Paolo Uccello); tendenza a “zonare” il colore, come Paolo Uccello, creando “laghi” cromatici che emergono e risaltano reciprocamente (es: cielo vs verde della chioma dell’albero, torso bianco del Cristo vs veste marrone di San Giovanni, manto blu vs bianco); assenza di ornato come Masaccio. Longhi, nel descrivere Piero della Francesca, conia la formula “sintesi prospettica di forma e colore”: questo artista si può definire il primo vero e proprio colorista, poiché conferisce al colore plasticità e prospettiva. Nella tavola, si evidenzia anche uno stretto rapporto con il paesaggio, geometrizzato e analitico. Quest’ultimo aspetto si riscontra anche nel dittico raffigurante i coniugi di Urbino, Doppio ritratto dei Duchi di Urbino (1467-1472), dove Piero della Francesca dipinge i due personaggi di profilo (uso tipico del Rinascimento, evidente richiamo ai profili delle monete antiche). Si osservano geometrizzazione e sintetizzazione delle forme; paesaggio a volo d’uccello; regolarizza le forme plastiche (il volto e il corpetto della donna sembrano realizzati col compasso, richiamo a Paolo Uccello); indagine sui particolari, dipinti con meticolosità, specialmente negli ornamenti della donna (sono resi con attenzione gli effetti di luce sulle perle). C’è forte senso del colore, steso a grandi campiture, come si può notare nello stacco tra il rosso dell’abito di Federico da Montefeltro e il colore della pelle mediante il colletto bianco, artificio attraverso il quale i colori si esaltano vicendevolmente oppure il contrasto tra i capelli, il volto e il corpetto nero di Battista Sforza. Il retro presenta scene di trionfo alla fiamminga, corredato da iscrizioni latine: il paesaggio, con punto di fuga alto è raffigurato a volo d’uccello, analitico ma geometrico, c’è un forte senso di sospensione. Quest’ultimo aspetto, evidentemente ripreso da Paolo Uccello, si può ben osservare nella Battaglia di Eraclio contro Cosroè (1458-1466) afferente al Ciclo di Arezzo (Le Storie della Vera Croce): le bandiere che sventolano e il cavallo rampante risultano immobili, congelati. Le figure geometrizzate sono poste in uno sfondo fermo, illuminato da luce diafana, che esalta i colori, affiancati per contrasti tonali (bandiere con araldi; cavalli), elemento che lo distingue da Paolo Uccello. L’assenza di movimento contribuisce a ridurre gli oggetti a zone di colore. Altro dipinto importante è la Flagellazione di Cristo (1455-1460) costituito da due scene distinte, una all’esterno in primo piano dove degli uomini vestiti in maniera rinascimentale colloquiano, la cui identità è oggetto di dibattito, l’altra in un interno misurato, dove si svolge la scena biblica. Si possono notare: figure immobili; regolarizzazione dei volti, molto ovali; impianto architettonico costruito per zone di colore che tendono a risaltarsi vicendevolmente; geometrizzazione del pavimento e della colonna su cui si staglia Cristo; contrasti cromatici (Pilato rosa). Veloce carrellata di opere pierfrancescane: Incontro tra la regina di Saba e re Salomone: (1452-1458) regolarizzazione delle figure (ovali, profili perfetti) e architetture luminosissime e di gusto antiquario; marmi colorati e panneggi ripresi da Andrea Del Castagno; figure senza ornato. Sogno di Costantino: (1458-1466) una delle prime scena di notturno della pittura italiana, dove c'è un uso intenso della luce; regolarizzazione della tenda e delle armature dei personaggi; costruzione per grandi campate di colore. Ritrovamento della vera croce: (1452-1459) geometrizzazione delle architetture (citazione a Masaccio nella Morte di Anania nelle finestre), figure plastiche; bianco molto brillante. Madonna con Bambino: (1475-1482) forme monumentali e maestose; interno alla fiamminga finestra da cui filtra la luce trasparente; geometrizzazione delle forme; bambino erculeo di matrice fiorentina; pieghe volumetriche; giochi di colore (rosso e blu). Sacra Conversazione (Pala di Brera): (1472-1474) le figure sono disposte in semicerchio, il duca di Urbino è in armatura (si noti il riflesso della luce sull’armatura alla fiamminga); costruzione per colore; specchiature di luce; marmi colorati (Andrea Del Castagno); architetture bianche terse (che riprenderanno i ferraresi); sintesi prospettica; magnificenza della forma plastica; Madonna dal volto ovale, richiamato dall’uovo appeso simbolicamente sopra di lei (è simbolo di fertilità). 11 Nella seconda parte del saggio Longhi si chiede dove vada l’eredità di questo autore alla sua morte. I canali sono differenti:  i maestri legnaioli (intarsi in legno di Urbino fortemente prospettici)  ”Officina ferrarese”, come la definirà in un saggio successivo: artisti come Francesco del Cossa, Cosmè Tura e Ercole de’ Roberti riprendono vari aspetti dell’artista, che lavorò a Ferrara ad un ciclo andato perduto, di importanza presumibilmente pari a quello che la Cappella Brancacci di Masaccio e Masolino aveva a Firenze I tre artisti realizzano il Ciclo dei Mesi di Palazzo Schifanoia, di cui in particolare l’affresco raffigurante il mese di Marzo è opera di Cossa: la sezione superiore è nota anche come Trionfo di Minerva, dove abbiamo figure colonnari, sintetiche illuminate da luce chiara. Di De Roberti invece è la Pala di Santa Maria in Porto, in cui si possono notare architetture bianchissime ed un bassorilievo antico, di ispirazione mantegnesca. Antonello da Messina: vero grande erede della prospettiva e della plasticità masaccesca. Antonello da Messina a livello storiografico risulta un enigma, ben poco è noto della sua biografia, per cui risulta difficile ricostruire e comprendere la sua formazione artistica. Messina era infatti un piccolo centro, dunque presumibilmente si forma a Napoli, dove l’arte fiamminga è molto diffusa (Colantonio, copista di Van Eyk, a cui Antonello guarda, copiava opere dei fiamminghi). Antonello però è fin da subito è un pittore prospettico, da dove ha imparato la prospettiva? Ci sono diverse teorie: secondo Longhi da Piero della Francesca, di cui avrebbe osservato qualcosa in Italia centrale; altri pensano ad un viaggio diretto a Venezia, ipotesi dubbia viste le imbarcazioni dell’epoca. Nel 1475 (unica data certa della sua biografia) arriva a Venezia. Diamo uno sguardo alle sue opere: San Girolamo nello studio (1474-1475) riprende il tema da Jan Van Eyck così come le dimensioni del dipinto, non monumentale come le opere italiane. Il santo è raffigurato di profilo, come un vero umanista nel suo studiolo; il panneggio e la massa volumetrica sono caratteristiche italiane; lo spazio è geometrizzato e converge verso unico punto di fuga centrale secondo la prospettiva fiorentina; sono presenti vari elementi di ispirazione fiamminga come la luce che filtra dalla finestra, l’attenzione minuziosa ai dettagli e il paesaggio all’orizzonte. Opposta la versione di Colantonio dello stesso soggetto: San Girolamo austero è raffigurato di tre quarti; per consentire la visione degli oggetti nei vari ripiani sono presenti più punti di fuga e la prospettiva ribaltata; pone attenzione ai i dettagli, analizzati in maniera meticolosa. Questo dimostra come sicuramente Antonello ha guardato Colantonio, ma non abbia appreso di certo da lui la prospettiva o l’aspetto umanistico. San Sebastiano: (1478-1479) grandi dimensioni, figura colonnare (ricorda il Cristo della Flagellazione di Piero della Francesca in particolare nei piedi scorciati); punto di fuga molto basso; geometrizzazione delle architetture e del pavimento (anche questo pierfrancescano); infilata prospettica; regolarizzazione del volto; muscoli rilassati; assenza di dolore e sangue scarsa insistenza sulle frecce (diverso da Mantegna che, nel trattare lo stesso tema sarà molto più patetico). Ritratto Trivulzio: (1476) luce trasparente, non molto chiara; grandi campiture di colore (Piero della Francesca); geometrizzazione del panneggio; luce calda; viso geometrico raffigurato di tre quarti (alla fiamminga, gli italiani ritraggono di profilo); forma monumentale; grandiosità plastica dell’anatomia umana; forma organica ripresa dalle sculture antiche. È analitico, vero come i fiamminghi (si noti l’occhio leggermente chiuso, barba che si intravede, piccole asperità della pelle) e sintetico allo stesso tempo (cappello che si posa sulla fronte, pieghe del colletto). Se confrontato con L'uomo dal garofano di Jan Van Eyck (come propone Longhi in Breve ma veridica storia delle pittura italiana del 1914), notiamo la grande distanza di Antonello dai fiamminghi: luce bianca; figura minuta per niente monumentale; indagine lenticolare (vene, segni della vecchiaia, macchie della pelle, dettagli della pelliccia). Pala di San Cassiano: (1475-1476) mano prospettica; costruzione semplice dei panneggi; regolarizzazione; sintesi prospettica; buca il quadro verso di noi. Crocifissione: (1475) interesse per il paesaggio a volo di uccello orizzonte basso. Giovanni Bellini: riprende da Piero della Francesa l’aspetto del paesaggio (“poeta del paesaggio”) e della luce, del colore, si ispira ai fiamminghi ed è da intendersi come il primo vero iniziatore del colorismo veneziano e del paesaggio. È Longhi ad attribuire alla fase giovanile di Bellini il Polittico di San Vincenzo Ferrer (1464-1470), (ritenuto precedentemente di Varini, collocato nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, detta anche Basilica di San Zanipolo), sulla base di un'attribuzione dell'anno precedente (1913) della tavola di Santa Giustina Borromei (1470) da parte di Bergson. La geometrizzazione, la semplificazione della figura e del panneggio, le contrapposizioni di colore sono aspetti comuni a Santa Giustina e San Vincenzo Ferrer, resi come figure colonnari. Due figure in particolare del polittico denunciano le influenze di Bellini: 12  L’arcangelo Gabriele, caratterizzato dal profilo classico, si staglia su uno sfondo diviso in due mediante contrasti tonali, che ritroviamo anche sulle ali, dove vediamo veri giochi di colore, frutto appunto dello sviluppo del colorismo di Piero della Francesca  San Sebastiano, che risulta meno colonnare e più secco rispetto a quello di Antonello da Messina e vede una maggiore insistenza di frecce Ricorda molto il San Sebastiano di Mantegna (da cui riprende il patetismo e l’anatomia tirata, allungata, ispirata a Lisippo), cognato di Bellini, punto di riferimento per la fase giovanile dell'artista. In Mantegna le frecce trapassano il corpo, il sangue scorre, la figura è estremamente patetica; l’anatomia è scultorea, quasi come facesse parte delle rovine stesse; il paesaggio è antico e denota un interesse di carattere archeologico (si noti in particolare la candelabra, una decorazione di tipo antico); le nuvole non sono atmosferiche, ma sembrano ritagliate, scolpite. Dall’antico riprende soprattutto l’aspetto drammatico. La firma dell'autore è in greco: Mantegna si forma infatti a Padova nella bottega di Squarcione, uno dei pochi all'epoca a compiere un viaggio non a Roma, ma in Grecia, dov'è poté ammirare in prima persona l'arte antica. Inoltre, conosceva il greco e leggeva i testi antichi. Bellini ha dunque, in un primo momento, questa formazione. Analogie e differenze si possono notare nel modo in cui entrambi trattano lo stesso soggetto: Orazione nell'orto, (Bellini, 1459) In Mantegna il paesaggio è austero, roccioso, di tipo bizantino (era caduto da poco, nel 1453, l'impero romano d'Oriente), con un forte interesse archeologico (edifici orientali, mezzaluna turca); il cielo appare costruito quasi artificialmente, illuminato da una luce universale come possiamo notare nelle nuvole; le figure sono scorciate, in anamorfosi, anch’esse ritagliate. Bellini pone le figure in scorcio come Mantegna, ma la versa differenza risiede nel paesaggio: esso risulta meno archeologico, si “scioglie” in un sentiero più dolce e il cielo sembra “visto”, vero e poetico al contempo. Riprende infatti alla lettera il passo del vangelo legato a questa scena, “il cielo divenne scuro”, collocandola atmosfericamente al tramonto, quando le nuvole diventano affocate. Il grande stacco da Mantegna si ha con l'arrivo di Antonello da Messina a Venezia nel 1475 (si guardi Crocifissione), come si può vedere nella Pala di Pesaro (1471-1483) dove si ha la svolta coloristica di Bellini. Si nota infatti un gioco di tarsie colorate di ispirazione di Piero della Francesca (i tondi messi a nastro sono invece una ripresa di Donatello); le figure appaiono distese, le anatomie non sono dure; il panneggio è più morbido, dalla costruzione più larga; la costruzione prospettica è ineccepibile; il trono, contraddistinto da un'architettura bianca pierfrancescana, si apre verso il paesaggio realistico. Sarà il primo a raffigurare scene sacre (in questo caso una Sacra Conversazione) all’esterno, scelta che gli permette di giocare con il paesaggio: poetico (visioni collinari, non c’è interesse archeologico) e fortemente indagato (dalle crepe dei torrione fino alle striature del cielo, tutto reso col color, diverso da nuvola a nuvole); la luce è trasparente, tocca tutte le cose. Innovativo è la Trasfigurazione di Cristo (1487) dove per la prima volta il paesaggio, lirico e illuminato da luce tersa, ha lo stesso spazio dei personaggi (è a Venezia che si inaugura il rapporto paritetico tra uomo e natura; a Firenze prevale l'uomo, la storia). Costruisce il paesaggio per zone di colore (bianco del Cristo che si staglia sul paesaggio, i colori dei santi contrastano fra loro), di cui scoprono le possibilità mimetiche: tipi diversi di marrone possono ricreare diversi tipi di legno e conferire un aspetto più verosimile. Anticipa l’autonomia del genere del paesaggio, alla quale si arriverà soltanto alla fine del Cinquecento. Il paesaggio domina anche in un'altra tavola degli inizi del Cinquecento, San Francesco in estasi (1480): qui è prevalente rispetto alla figura del santo ed è costruito per grandi campiture di colore a contrasto (verde, grigio, marrone del saio); si nota una grande attenzione all'aspetto naturalistico (rocce più morbide; asino; città italiana); la luce è vera, diffusa. Anche qui tre colori diversi indicano tre diversi tipi di legno, a rendere le vere tonalità della natura, dove nessun tronco è uguale all’altro. Pala di San Giobbe: (1487) il nudo non è statuino, ma è plasmato da una luce vera che tocca le cose e le ammorbidisce. Allegoria degli Uffizi: (1490-1500) profondità prospettica; figure colonnari senza pathos; giochi coloristici, tarsie colorate in contrasto tonale (bianco e nero nel trono), contrasti fra i colori dei corpi (San Sebastiano, giovane pallido e dai capelli scuri vs San Gioralmo, anziano dalle carni scure per l’età e per la sua vita eremitica); ruolo importante del paesaggio, costruito per contrasti tonali e indagato nei suoi aspetti minuziosi (ad esempio la rifrazione della luce sull’acqua). Da Piero della Francesca riprende e sviluppa l'aspetto del colore. Secondo Longhi questa strada troverà il suo culmine con Giorgione e la Pala di Pesaro di Tiziano (bandierone rosso, lago di giallo e di blu, luce vera atmosferica che macchia le cose). 15 Nelle altre opere del Ghirlandaio (Conferma della regola francescana, Annuncio a Zaccaria, Nascita della Vergine) ritroviamo: ritrattistica; citazioni antiche; ninfa danzanti; gusto antiquario; panneggi ornati. È una pittura colta, diversa da quella di Masaccio, Firenze presenta ora una società di mercanti molto ricchi, che aspirano a un grado di nobiltà, amano lo sfarzo e ornato, come testimoniano tarsie dietro il letto della partoriente nella Nascita della Vergine. Anche nell’Adorazione dei magi di Sandro Botticelli (1476) si vede una pittura raffinata e colta, di commissione medicea. Warburg individua un rapporto puntuale tra le opere dell’artista e i testi prodotti nella corte, in particolare di Lorenzo il Magnifico e Marsilio Ficino. Senza dubbio i suoi dipinti più famosi sono la Primavera (1477) e la Nascita di Venere (1485). Nel primo dipinto Al centro della scena della Primavera è la dea dell’amore Venere, che si erge in mezzo a un bosco di aranci verdeggiante di infinite specie vegatali, accompagnata in alto da Cupido bendato; alla sua sinistra il vento di primavera Zefiro rapisce per amore la ninfa Clori. Unitasi al vento, Clori rinasce nelle forme di Flora: personificazione della Primavera, che veste un abito ricamato di piante e incede spargendo fiori. A destra di Venere danzano le tre Grazie, mentre Mercurio scaccia le nubi; Nell’altro dipinto è rappresenta la nascita di Venere, con la dea che, al di sopra di una conchiglia, approda sull’isola di Cipro, sospinto dal vento di Ponente (Zefiro) e accolta da un’ancella nelle vesti della Primavera, che le porge un manto fiorito per coprirla. Sono opere della maturità di un Botticelli che rinuncia alle predilizioni prospettiche della pittura fiorentina del Quattrocento e propone grandi scene in cui la resa spaziale viene elusa. Alla stregua di un pittore cortese di spirito gotico, Botticelli si diletta a riprodurre dettagliatamente le specie botaniche del prato fiorito o a dipingere le onde del mare ripetendo un segno grafico di senso decorativo. Disegnate nei contorni, le figure appaiono bidimensionali e prove di vigore plastico: Botticelli rinuncia alla materialià, proponendo la visione di un paradiso divino ed ideale. Le Grazie sono viste come ninfe danzanti dalla bellezza angelicata e vestite con panneggi trasparenti (come quelli dipinti dal suo maestro, Filippo Lippi). In entrambe le opere è presente la figura di Zefiro che soffia (nel caso della Venere è questo a creare movimento nei capelli) fu auspicata da Alberti nel De Pictura, che desiderava una rappresentazione antropomorfa. Accentua la bellezze delle figure femminili allungandone le forme su gusto della corte. Tra il 1481-82 Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Cosimo Rosselli, Perugino e altri pittori si trovano a Roma per la prima decorazione della Cappella Sistina, voluta da Sisto IV. Si tratta di una sorta di équipe, inviata da Lorenzo il Magnifico da Firenze a Roma (per ingraziarsi il papa, suo principale competitore sullo scacchiere politico italiano), che si indirizza alla decorazione delle storie nel registro superiore delle pareti, sovrastate dalla famosa volta che sarà affrescata successivamente da Michelangelo (prima blu con le stelle). Artisti umbri e toscana lavorano in sinergia, si crea uno scambio culturale fra questi snodi artistici. Inoltre, questa per gli artisti è un’occasione imperdibile per guardare direttamente l’antico a Roma. Ghirlandaio realizza la Vocazione di Pietro e Andrea; Botticelli affresca tre storie: Prove di Mosè, Prove di Cristo e Punizione dei Ribelli; Quest’ultima aveva grande significato, poiché voleva sottolineare quale fosse la pena riservata l’autorità ecclesiastica derivata da Dio, attraverso un episodio dell’Antico Testamento, ambientato in un paesaggio italiano, dominato da un arco antico. Tre figure guidano la rivolta degli Israeliti contro la guida di Mosè, con l’abito verde e la lunga barba grigia, mentre Giosuè lo difende dagli assalitori armati di sassi. Al centro, una volta che Dio ha mostrato benevolenza a Mosè, egli disperde i ribelli che finiscono per essere cacciati agli inferi dallo stesso Mosè. È una storia concitata, dove le figure tendono a essere più bidimensonali che volumetriche, spesso lumeggiate d’oro. Notevole è la differenza con le scene del Perugino. Perugino realizza due storie insieme al Pinturicchio, ovvero Viaggio di Mosè verso l’Egitto e Battesimo di Cristo, ma senza dubbio il suo affresco più famoso è la Consegna delle Chiavi. Così come Mosè ricevette da Dio le tavole della legge, san Pietro ebbe da Cristo le chiavi del Paradiso; a entrambi fu riconosciuto un primato di autorità sul loro popolo, che nel caso di Pietro (Papa e primo vescovo di Roma), fu ereditato da ogni pontefice successivo. Scena ben ordinata: in primo piano, Pietro al centro si inginocchia per ricevere le chiavi dal giovane Gesù, sotto lo sguardo degli altri apostoli (contrassegnati con aureole) e di qualche ulteriore astante in abiti quattrocenteschi. Tra di questi si riconosce Baccio Pontelli e Giovannino de’Dolci. Il gruppo di attori è disposto sulla ribalta di un’ampia piazza, pavimentata con grandi lastre di candido marmo che individuano con chiarezza la fuga prospettica indirizzata sull’edificio a pianta centrale, allude al Tempio di Salomone. Ai lati due archi antichi che richiamano le forme di quello di Costantino e in lontananza un quieto paesaggio. In secondo piano si muovono eleganti figure a narrare il tributo della moneta e la lapidazione di Cristo. Nella Consegna delle Chiavi risaltano infatti l’ordine e la precisione di una composizione prospettica, scandita su piani diversi e illuminata da una luce nitida e chiarissima, che risalta la tridimensionalità dei protagonisti e delle architetture. L’equilibrio prospettico e la nitidezza della Consegna delle chiavi si spiegano tuttavia con una formazione a Firenze. Le figure del Cristo e degli apostoli sembrano ispirati al gruppo verrocchiesco dell’Incredulità di San Tommaso di Orsanmichele. Deriva dal Verrocchio anche il modo di accartocciare i lunghi mantelli in ampie pieghe, messe in evidenza dalla luce cristallina; lo si vede nel Cristo ma anche nell’apostolo di spalle. In questo dipinto si riconosce una variante del personaggio dal bizzarro copricapo che occcupa una posizione analoga in una tavola della Galleria di Perugia, San Bernardino risana una fanciulla. L’opera è una parte di una serie, dipinte per l’oratorio. Vi si riconosce per luce e prospettiva, un impianto verrocchiesco, che nonostante le ridotte dimensioni rappresenta un buon precedente per i caratteri della Consegna delle Chiavi. 16 Alla morte di Lorenzo il Magnifico si instaura una Repubblica detta di Savonarola, che condanna il “paganesimo” e il lusso fiorentino: tutto è mandato tutto al rogo, si torna ad una severità dei costumi. Anche gli artisti sono coinvolti in questo cambiamento di mentalità. A questa fase risale La Calunnia di Apelle, quadro fortemente drammatico. Riprende Calunnia, un dipinto allegorico che Luciano di Samosata citava tra le opere del pittore antico Apelle, realizzato per denunciare un'accusa calunniosa che lo aveva riguardato, quella di aver cospirato contro Tolomeo. L’ekphrasis di Luciano è vivida, suggestiva e minuziosa. Ci sono diverse figure allegoriche, Re Mida, la Verità nuda, l’invidia, temi che Alberti addita agli artisti citandoli testualmente, assieme alla mitologia. Nel bassorilievo sul basamento del trono è presente un’altra citazione antica, il tema Centauri, affrontato secondo le fonti antiche da un certo Zeusi. Il linguaggio del Donatello tardo è sublimato nella scultura lignea Santa Maria Maddalena: la figura appare come sciolta nella cera; la magrezza incide le sue carni; pathos prevale sulla bellezza. Donatello supera l’antico, dove si manteneva sempre un certo equilibrio, e la bellezza e l’idealizzazione sono sacrificati a favore della drammaticità. Il tema è ripreso in maniera quasi letterale in pittura da Filippino Lippi. 17 Lezione VI: I centri dell’umanesimo nel Nord Italia. Donatello nel 1443 lascia Firenze e va a Padova per dieci anni, sarà soggiorno importantissimo per tutto il Nord, perché esportano importanti elaborazioni fiorentine. La sua bottega a Firenze viene lasciata in mano ai Rossellini, mentre a Padova ne aprirà un'altra con i suoi collaboratori. Qui vengono prodotte opere impegnative come il Monumento equestre al Gattamelata (1453) situato in Piazza del Santo. I modelli di riferimento sono il Marco Aurelio, i cavalli della collezione medicea o i cavalli della Chiesa di San Marco a Venezia (bottino di guerra delle Crociate inserite inizialmente nella darsena, fu un corrispondente fiorentino a segnalarne l’importanza ai Veneziani che le posero nel 1204 sulla facciata, ad indicare la grande vittoria sui Turchi; ora si trovano all’interno per motivi di conservazione). Il tema del monumento equestre era presente anche nel Medioevo come si può osservare in una raffigurazione di Carlo Magno a cavallo, la quale aveva soltanto scopo celebrativo, non di recupero dell’antico, come testimonia anche l’uso della prospettiva gerarchica e le scarse solennità e verità della figura. Donatello, al contrario, è umanista sia nel recupero della tecnica antica (fusione a cera persa) sia del modello che nel modo di trattarlo, aprendo una strada che avrà grande fortuna in tutta Italia. Le differenze col Marco Aurelio riguardano soltanto i cambiamenti nella pratica equestre, in particolare nell’introduzione delle staffe. Anche Andrea del Verrocchio si cimenta nel monumento equestre con il Statua di Bartolomeo Colleoni (1480), dove la testa è rivolta verso un lato perché viene tirata una cinghia, mentre il cavaliere sfreccia la lancia. Le Fonderie a Nord furono fondate da Donatello e Verrocchio. Altra grande commissione di Donatello fu l’Altare di Sant’Antonio (1446-1453) per la Basilica della città, il quale fu in epoche successive scomposto e poi riassemblato secondo uno schema diverso dall’originale. La decorazione presentava lastre con i putti e rilievi bronzei, in particolare nella Presentazione dell’ostia alla mula si notano aspetti assolutamente fiorentini come una visione dinamica, plasticità delle figure, architettura prospettica con tre grandi arconi e di gusto antiquario (lacunari, paraste e decorazioni con vittorie come angeli con la tromba), punto di fuga centrale. Al centro si colloca un altare che si ipotizza essere quello originale della Chiesa. A Padova era attiva la bottega di Francesco Squarcione, particolarmente ambita dagli aspiranti artisti locali: egli era infatti uno dei pochi ad aver compiuto un viaggio non a Roma ma direttamente in Grecia, dalla quale probabilmente aveva portato calchi, frammenti originali, disegni. Notiamo, quindi, due modi diversi di conoscere l'antico tra il Nord (principalmente Veneto) e il Centro (Firenze): il primo lo recupera direttamente dalla Grecia, tramite traffici con l'Oriente – possibili grazie a Venezia, allora grande potenza commerciale-; il secondo, invece, attraverso Roma. Il marchio di fabbrica della sua bottega sono proprio i vari elementi antiquari citati letteralmente, come festoni e candelabri. Questo si vede ad esempio nella Madonna con il Bambino (1455), caratterizzato da una prospettiva balconata, dove, inoltre, Squarcione è evidentemente influenzato da Donatello, come si vede dal bambino simile a un putto e dal profilo perfetto della Vergine da cammeo antico, come l’artista fiorentino faceva nelle madonne in terracotta di profilo. Nel Polittico de Lazara (1449-1452) di Squarcione le espressioni torve e patetiche, come in San Girolamo e Sant'Antonio abate, testimoniano uno stretto rapporto con l’antico; la carpenteria e l’allungamento delle figure e dei panneggi e di gusto gotico. L’opera del suo allievo Carlo Crivelli, Madonna con Bambino, vede un’impaginazione squarcionesca nel paesaggio aperto, il tendaggio e il parapetto antico (l'antichità suggerita dal fregio e da una crepa), sul quale siede un bambino simile a un puttino donatellesco. La spazialità è resa da alcuni artifici illusori, come l’ombra mosca e la targhetta con la firma dell'artista; la Madonna e il bambino sono sovrastati da frutta; la prospettiva è ribaltata. Il maggiore artista squarcionesco è Andrea Mantegna, il più antiquario fra tutti (anche perché influenzato da Gentile Bellini, padre del cognato), stimatore di Donatello. Tra il 1448-1457, fase giovanile appena uscito dall’apprendistato squarcionesco, affresca la Cappella Ovetari, presso la Chiesa degli Eremitani, di cui fa parte San Girolamo condotto al martirio (attualmente illeggibile a causa di un bombardamento della seconda guerra mondiale, danno più ingente della pittura rinascimentale al nord). Qui dimostra di essere un forte sperimentatore prospettico, compie un avanzamento rispetto al percorso fiorentino: il soldato in primo piano sporge leggermente il piede in bilico oltre il pavimento; i piedi delle figure sono tagliati (licenza che rende visione quasi cinematografica, che rispetta il campo visivo umano). I fiorentini, ad esempio Paolo Uccello e Andrea del Castagno, fanno queste arditezze prospettiche solo inizialmente per poi abbandonarle a favore della correttezza della figura. Mantegna imposta la scena su una sorta di pavimento; la visione è dal basso all'alto, che rende le figure piuttosto allungate; c'è una riproduzione totalizzante dell'antico, sembra infatti di camminare in una città antica, dall'architettura alle insegne, dalle armature al pavimento (il gusto archeologico appartiene al Nord piuttosto che a Firenze). Il soldato con lo scudo è una citazione a San Giorgio e il Drago di Donatello (sarà andato a Firenze o avrà visto dei disegni?). Gli scorci e le anamorfosi sono sempre una ripresa dell’antico, Plinio il Vecchio infatti diceva “La pittura deve essere un inganno degli occhi.”. 20 Lezione VI-VII: Maniera Moderna *testo in verde: aggiunte dal manuale o frutto di ricerche personali relative al contesto storico. *testo in blu: aggiunte dal manuale o frutto di ricerche personali relative alle opere. Vasari: artista di corte di Cosimo I a Firenze nella prima metà del Cinquecento, scrive le Vite, un'opera dedicata alle biografie dei grandi artisti, uscita in due edizioni: 1550 edizione torrentiniana; 1568 edizione giuntina, più ampia rispetto alla precedente, nella quale risponde ad alcune critiche. Tale edizione è stata arricchita con le note di Gaetano Milanese nell'Ottocento. Qui identifica tre grandi momenti della storia dell'arte:  Trecento fiorentino, momento in cui nasce l’arte assolutamente fiorentina con Cimabue e Giotto (Vasari ha una visione toscano centrica);  Maniera (= stile) antica quattrocentesca;  Maniera moderna cinquecentesca, inaugurata da Leonardo, che costituirà il punto di svolta dell’arte fiorentina. All’interno della maniera moderna si trova anche la corrente del Manierismo (termine introdotto in età contemporanea). I protagonisti della maniera moderna, che appunto si apre con Leonardo e Bramante, sono Michelangelo, Raffaello, Giorgione, Fra Bartolomeo, Andrea del Sarto, Correggio, Parmigianino, Rosso Fiorentino, Sebastiano del Piombo e diversi seguaci di Raffaello. Vasari specifica quali siano le cause che hanno portato a questo progresso nel Cinquecento, in particolare la riscoperta di alcune opere antiche, dalle quali si è ripresa la naturalezza e la giustezza dei corpi, e il contributo Leonardesco, con il quale la pittura diventa sempre più espressiva e realistica. Cita diverse opere che avrebbero influenzato questo progresso, alcune già scoperte in passato come la Venere de’ Medici (ripresa da Masaccio e Botticelli) e l’Apollo del Belvedere, e alcune rinvenute proprio in quel periodo come il Laocoonte o il Torso del Belvedere. L’idea che esistesse un “progresso dell’arte” circola negli ambienti fiorentini prima di Vasari, alimentata dalla conoscenza degli scritti di Plinio il Vecchio, Cicerone. Tale concezione trovava fondamento nella possibilità di riconoscere una linea di sviluppo delle tecniche e delle convenzioni di rappresentazione in direzione della mimesis della natura sempre più accurata e convincente. L’arte dunque non era più considerata solo un’attività manuale, ma fondata sull’acquisizione di principi teorici e scientifici. Gli artisti condividono il gusto e la cultura dell’élite intellettuale, per cui si trasformano in cortigiani, assimilando il nuovo stile di vita delle corti. La maniera moderna nasce a Firenze e si irradia per tutta Italia, grazie agli spostamenti dei suoi iniziatori. Alla discesa di Carlo VIII in Francia, che segna la rottura dell’equilibrio politico degli stati italiani, fanno seguito le sommosse fiorentine, la caduta del ducato milanese e la crisi Veneziana di inizio Cinquecento. Anche la restauratio politica di Roma voluta da Giulio II non ha vita lunga e trova realizzazione solo nelle opere degli artisti. Le incertezze politiche incrinano definitivamente le certezze dell’uomo nel mondo e nella storia, presupposto principale dell’arte del Rinascimento. Leonardo da Vinci è legato sia a Firenze sia al Nord Italia in particolare a Milano, dove inaugurerà la maniera moderna. I suoi esordi fiorentini vedono la formazione presso la bottega di Verrocchio (scultore, orafo e pittore), operativa tra gli anni Sessanta e Settanta del Quattrocento, che offriva una formazione poliedrica e dove si sono formati i più grandi maestri di questa fase, come Perugino. La bottega di Verrocchio era una fra le centinaia di botteghe attive a Firenze a fine secolo, data l’enorme richiesta di prodotti fiorentini da parte degli altri centri della penisola. La formazione in bottega, che abbracciava gli anni dall’infanzia fino al raggiungimento della maggiore età (ovvero nel momento in cui si poteva intraprendere una carriera autonoma), determinava i fondamenti del fare artistico, le nozioni che l’artista portava con sé per tutta la vita. Nel caso di Leonardo questi fondamenti sono quelli tipici dell’arte fiorentina: il disegno, la monumentalità della figura, la prospettiva. Leonardo collabora con Verrocchio il Battesimo di Cristo tra 1470-1475, dove realizza sicuramente l'angelo con il panneggio e, probabilmente, anche il paesaggio. Qui rovescia lo stile antico di Verrocchio, molto profilato (si vede la linea di contorno) e poco realistico (la palma è corretta nello scorcio, ma tende all'astratto), compiendo due operazioni: -sfuma e ammorbidisce i contorni, le figure così non sembrano ritagliate e appaiono al contrario morbide e immerse nello sfondo; introduce un nuovo tipo di prospettiva: la prospettiva dei perdimenti. Da scienziato e conoscitore degli studi di ottica capisce che la percezione di un oggetto distante è meno nitida quella di uno più vicino, a causa dell'aria, che crea un filtro visivo, impedendo di mettere a fuoco e svaporando l'immagine. La prospettiva dei perdimenti si basa su un'osservazione naturalistica e scientifica resa poi in pittura attraverso lo sfumato. Annunciazione: (1472) la prospettiva è di tipo brunelleschiano, lineare, con punto di fuga centrale (pavimento, casa); le figure non sono molto profilate, anche se è evidente l’uso del disegno; tutti gli elementi sono in scorcio; c'è un'indagine analitica di tipo fiammingo del prato e del paesaggio (lo stile finito e minuzioso era tipico della bottega di Verrocchio); c’è la prospettiva aerea, le lontananze sono sfocate, come annebbiate; sono presenti citazioni 21 antiquarie nello stile di Verrocchio, come il leggio con ara ripreso da un'opera scultorea del maestro; la natura è in movimento (vitalismo), come si nota nelle foglie che sembrano avere un certo andamento, quasi come se stessero crescendo; la potatura delle piante indica simbolicamente il potere dell'uomo, che domina la natura ed imprime in essa la propria razionalità; nel tipo femminile è verrocchieso, le mani sono nervose. Verrocchio sviluppa alcuni temi come quello della ritrattistica in busto, ripreso a sua volta da Desiderio da Settignano, come si può ben vedere nella Dama col mazzolino, (1475) nel quale sembra evocare dal marmo morbidi e delicatissimi effetti di avvolgimento atmosferico, oltre che a rendere perfettamente le trasparente; introduzione del Verrocchio sono le mani, allungate e nervose. Il dialogo fra Verrocchio e Leonardo è evidente nella Ritratto della Ginevra dei Benci, (1474-1478) soprattutto se si considera che il dipinto è stato tagliato in antico (il formato quadrato era piuttosto inusuale): l’ipotesi è che fossero presenti le mani in stile verrocchiesco (come suggerisce un disegno di Studio di mani conservato al Windsor Castle) e che presentasse un andamento simile a quello della Gioconda; il vestito è simile a quello della Dama col mazzolino. Evidenti nei capelli i le ultime pennellate che “rialzano di luce”, con un’indagine degli effetti della luce molto fiamminga. E’ un pittore che disegna, secondo la tecnica imparata in bottega, con cartoni preparatori trasferendo il disegno su tavola. Nella mole di disegni che ci sono pervenuti osserviamo:  anatomie per studi espressivi (es. Testa di giovane di profilo, di cui notiamo la circumscrizione dei segni, la linea di contorno, i capelli maggiore vaporosità, modo tenue)  studi della natura come ne La Valle dell’Arno, raffigurante un paesaggio a volo d’uccello disegnato con un punto di fuga alto, o nella Stella di Betlemme, una sorta di giglio dalle foglie scompigliate che Leonardo allunga ed esaspera, creando movimento come se la pianta si muovesse con energia, come fosse in crescita (aspetto che si può effettivamente notare nella vegetazione della Annunciazione);  studi di motivi antichi e del movimento, come in Nettuno A Firenze tra il 1481-82 realizza e lascia incompiuta l’Adorazione dei Magi (per i monaci di San Donato a Scopeto), abbandonandola ad uno stato di abbozzo. Sono varie le ipotesi in merito: forse perché va a Milano per sistemazione idraulica dei Navigli; forse perché nelle fonti antiche, come in Plinio, si elogiava la bellezza delle opere incompiute; forse perché sperimentale. Nel corso degli anni sullo strato pittorico si sono accumulati strati di vernice, colla e patinature, eliminate con un complesso intervento di restauro in anni recenti (2016), reso necessario dal distacco delle tre tavole che sostenevano la tela. La pulitura ha restituito il celeste del cielo e figure prima poco leggibili. L’incompletezza dell’opera ha permesso di svelare come Leonardo costruisse le proprie opere: alcune parti risultano ancora a disegno (trasportati dai cartoni preparatori come evidente nelle rocce dello sfondo e nel panneggio della Vergine), sullo sfondo è già abbozzata la prospettiva dei perdimenti, nei panneggi di alcune figure si osservano delle rialzature di bianco e avrebbe dato il colore. La struttura compositiva appare piuttosto complessa, ma allo stesso unitaria, per la varietà e intensità espressive: è evidente infatti lo studio degli affetti, evidente in particolare nelle fisionomie, nei gesti, nelle attitudini dei Magi che manifestano il senso di terribile sconvolgimento interiore, che rende il significato profondo dell’Epifania. Alcuni elementi avrebbero un valore simbolico, come l’edificio in rovina a sinistra alluderebbe al crollo del tempio di Gerusalemme. L’arrivo di Bramante da Urbino e di Leonardo da Firenze a Milano segna una profonda trasformazione della cultura figurativa del ducato, caratterizzata fino a quel momento da una grande tendenza allo sfarzo. Leonardo, in particolare, indirizza a Ludovico il Moro una lettera di presentazione dove, tenendo conto delle aspirazioni politiche del destinatario, enuncia in dieci punti le sue capacità di ingegneria militare in caso di guerra e artistiche in tempo di pace. L’ambiente milanese stimolerà infatti, interessi tecnici e scientifici, che danno origine ad un vasto corpus di annotazioni e disegni. Le sue prime commissioni provengono dalla corte sforzesca, come la Vergine delle Rocce: (1483-1485, Louvre) Raffigura la leggenda dell’incontro tra il Battista e Gesù entrambi bambini, sfuggiti alla strage degli Innocenti. La Vergine siede a terra, su un paesaggio roccioso, dove crescono le più differenti piante. Ella allarga la destra, a proteggere sotto il mantello il piccolo Giovannino, inginocchiato a mani giunte e rivolto verso il Cristo fanciullo. Nudo in primo piano con le gambe incrociate benedice il compagno di giochi, mentre la mano sinistra di Maria si apre su di lui. La composizione si regge, non solo sulla disposizione piramidale dei personaggi, ma anche della calcolata rispondenza de loro gesti. La singolare ambientazione in una grotta rappresenta una soluzione rivoluzionaria in cui Leonardo si mostra in grado di ricreare la natura attraverso un’indagine approfondita: rocce e vegetazione sono riprodotti con una precisione da botanico e geologo. Le figure appaiono palpitanti, grazie allo “sfumato” (tecnica che attenua i contorni). Ne risulta un immagine intima incantata, anche per la scelta di disporre gli attori al di sotto di un tetto di rocce e sulla ribalta di un fondale dove si intravede uno specchio d’acqua, circondato da montagne rocciose e nebbiose. Leonardo ne creò una seconda variante, oggi esposta alla National Gallery. Qui l’atmosfera è più limpida, grazie agli intensi toni dell’azzurro del manto della Vergine e delle montagne lontane. Tutto è più definito: l’angelo evita di indicare e leaureole sono sospese sulle teste di Maria, Cristo e Giovanni. Leonardo completò questa seconda opera intorno al 1494. 22 Dama con l’Ermellino: (1490) Dal fondo scuro emerge una giovane ben vestita, con il perfetto ovale del volto sottolineato dai capelli lisci, raccolti in un velo e uniti sulla nuca in una lunga treccia, secondo la moda dell’epoca. Tra le mani il candido animale: elemento di natura eletto a simbolo di purezza e possibile richiamo all’ordine cavelleresco dell’Ermellino. Nel dipinto si riconosce Cecilia Gallerani, la donna amata dal signore di Milano, ed è a questa immagine che dovette dedicare un sonetto il poeta di corte Bellincioni. Cecilia e l’animale sono rivolti verso sinistra, come se stessero ad ascoltare. Il contrasto tra l’oscurità del fondo e le figure di tre quarti, messe in evidenza da una luce intensa, ricorda i ritratti alla fiamminga di Antonello da Messina,confermando la fortuna in terra milanese della pittura nordica. Leonardo sa rinnovare quei modelli, giacchè la donna e l’animale fuggono da una posa rigida mentre le loro teste scartano rispetto ai corpi. Tra le opere commissionate da Ludovico il Moro: Utima cena. (1495-1498) La scena è costruita seguendo la prospettiva fiorentina con punto di fuga centrale (individuato dalle linee di fuga definite dalle linee delle pareti laterali e del soffitto), collocato sulla testa di Cristo. Ad essere raffigurato, anziché l’atto della consacrazione del pane e del vino, è il momento esatto in cui Egli pronuncia “In verità, in verità vi dico, di voi mi tradirà.”, scatenando negli apostoli, divisi a gruppi di tre, varie reazioni emotive: la gestualità evidente rende in maniera straordinaria il momento di sconvolgimento. Il movimento ondeggiante si propaga verso l’esterno verso la figura centrale di Cristo, che si stagli contro il chiarore della trifora aperta. Giuda è seduto fra i sodali, non isolato come nell’opera omonima di Andrea del Castagno. Sul tavolo si osservano nature morte indagate, bicchieri trasparenti e piatti di metallo sui quali si rinfrange la luce; la tovaglia presenta addirittura le pieghe. Sullo sfondo tre finestre aprono sul paesaggio. L’opera spesso è erroneamente ricordata come il primo esperimento di pittura a olio su muro: la tecnica, infatti, era già attestata da circa un secolo, come testimonia un trattato di Cellini di inizio Quattrocento, dove un intero capitolo è dedicato alla pittura a secco. Probabilmente Leonardo adottò una miscela di tempera e olio perché gli consentiva di procedere più lentamente alla stesura del colore e tale aspetto ne ha compromesso la conservazione. L'opera necessita di una buona climatizzazione ed è sotto costante restauro. Pitture murali della Sala delle Asse del Castello Sforzesco (non in buone condizioni, molto ridipinta): simula un pergolato di gelsi sfruttando i peducci dell’architettura gotica. Addirittura sulle pareti alla base parti frammentarie in cui aveva rappresenta le radici dei gelsi che si insinuano in una parte architettonica. Abbandonata Milano alla caduta di Ludovico di Moro nel 1499, Leonardo sosta per qualche tempo a Mantova, presso Isabella d’Este, e quindi a Venezia, prima di far ritorno a Firenze, dove la sua presenza è attestata dall’agosto del 1500. Dopo la morte di Lorenzo il Magnifico e la cacciata dei Medici, il breve periodo della repubblica Savonaroliana ne aveva provocato una frattura anche nel campo delle attività artistiche, facendo repentinamente affiorare una crisi da tempo latente, con effetti molto sensibili sugli artisti. Dopo il rogo del Savonarola, l’instaurarsi di un governo oligarchico del gonfaloniere Pier Sodarini (che aveva tra i suoi più stretti collaboratori Niccolò Macchiavelli) pone le premesse favorevoli per una vivacissima ripresa delle committenze pubbliche e private. I maggiori artisti vengono richiamati in patria con l’offerta di importanti incarichi, questo è il caso della Battaglia di Anghiari: Opera commissionata da Pier Soderini nel 1503 per decorare il Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, Firenze. Leonardo era incaricato di dipingere appunto la Battaglia di Anghiari (combattuta tra Firenze e Milano), mentre Michelangelo si occupò della Battaglia di Cascina. Il cartone era preparatorio per la pittura definitiva, e Leonardo decise di provare una nuova tecnica nota come “tecnica ad encausto”, ispirata alla pittura romana. Fu tuttavia un fallimento poiché l’olio cominciò a colare, rovinando l’affresco. Nei disegni preparatori originali di Leonardo, di cui abbiamo le copie di Rubens, si osserva come la composizione si staccasse dalle precedenti raffigurazioni di battaglia: è immaginata come un vortice travolgente, come lo scatenarsi di una bufera, con una varietà e violenza di moti e attitudini. I volti infatti sono caricati, ossia fortemente espressivi, le cui emozioni risultano quasi estremizzate Tra le opere che realizza a Firenze ci sono: Sant’Anna, con la Vergine, Il Bambino e San Giovannino: (1501-1505) Leonardo prima realizza un cartone preparatorio, disegno che destò molta ammirazione tra gli artisti per la monumentalità delle figure e per la complessa interazione psicologica dei personaggi. Leonardo si sforzò di riprodurre un senso policentrico di movimento, facendo in modo che i due personaggi principali, le donne, si fondessero in un unico gruppo. La struttura piramidale conferisce loro monumentalità plastica e ne sottolinea l’organicità. Esito del cartone fu il dipinto vero e proprio, in cui ricorrono i caratteri tipici leonardeschi: il paesaggio montano e roccioso, la disposizione piramidale delle figure, la loro resa sfumata e la gestualità accentuata, ad alludere ai moti dell’animo. In entrambe le opere ricorre la stessa intensità dell’espressione degli affetti, la stessa esplorazione di nuove modalità compositive. Gioconda. Il ritratto realizzato tra il 1475 e il 1480, probabilmente raffigurante monna Lisa sposa di Francesco del Giocondo, nel quale riprende il modello statuino di Verrocchio della Dama col mazzolino. La figura è rappresentata di tre quarti alla maniera fiamminga con le mani giunte (che la rendono più naturalistica). I capelli sono tipici di Leonardo, vaporosi con passaggi di luce e d’ombra con il volto. L’espressione è intensa, vivace, grazie ad uno studio intenso dei muscoli facciali, addirittura quelli dei cadaveri. Leonardo ha tolto al soggetto ogni rigidità, conferendogli una naturalezza e un’animazione senza precedenti nella storia rinascimentale. 25 di dimensioni varie. Con la morte di Giulio II, l’artista e gli eredi elaborarono un secondo progetto di dimensioni minori, tuttavia l’arenarsi dell’impresa ridimensionarono ulteriormente la decorazione della tomba, la quale divenne più ridotta nel numero di statue fino ad arrivare alla realizzazione attuale della tomba a muro di San Pietro in Vincoli. Risale al progetto del 1513 e la figura del Mosè, si staglia rispetto alle altre due statue della tomba, più piccole, è alta due volte la grandezza naturale, stando ai primi disegni doveva essere di circa 15 metri accanto ad altre cinque delle stesse dimensioni. Sotto il braccio destro ha le tavole della legge consegnategli da Dio, le corna appartenenti al linguaggio medievale che ha travisato il testo ebraico, dovrebbe avere in realtà raggi di luce che fuoriescono dalla sua testa. Il contrapposto si arricchisce del moto rotatorio della veste, la barba è simbolo di saggezza. Per quest’opera Michelangelo si rifece a modelli quattrocenteschi, come il San Giovanni Evangelista di Donatello e antichi come il Torso Belvedere. Sempre risalenti al 1513 sono le figure delle Prigioni, previsti per il registro inferiore e che si trovano al Louvre. Quello “morente” è un giovane atletico, studiatissimo nell’anatomia e dal volto aggraziato; la posa è contorta, per la flessione della gamba sinistra e il soprastante braccio alzato e piegat, che omaggia il Laooconte. Tombe di Giuliano e Lorenzo de Medici: Commissionato dal Papa Leone X nel 1519 per realizzare il monumento sepolcrale di Lorenzo e Giovanni de Medici, rispettivamente padre e zio del Papa, costruendo un ambiente gemello alla Sagrestia Vecchia di Brunelleschi. Michelangelo rompe con la tradizione dei monumenti funerari precedenti, costruendo strutture massicce per profondità e altezza, nelle quali riprende il tema architettonico della facciata di San Lorenzo. In alto tre nicchie in forma di finestre, due vuote e quella centrale occupata dalla statua del defunto, vivo e seduto; in basso il sarcofago, contraddistinto nel coperchio da due volute decisamente anticlassiche, sulle quali sono adagiate una figura maschile e una femminile. Nei sarcofagi, da un lato le personificazioni di Giorno e Notte, dall’altro quelle dell’Aurora e del Crepuscolo; riflessione sul trascorrere del tempo e sul destino umano. Pietà Rondanini: (1560) Si tratta di un’opera alla quale Michelangelo lavora durante gli ultimi anni della sua vita, e che non porterà a termine; si tratta di un esempio del modo di lavorare dell’artista e un ottimo esempio del non finito di Michelangelo. E’ il vertice dell’espressività emotiva di Michelangelo, realizzata tra 1552-1564: le figure sono sempre più scabre (lascia i segni dello scalpello sul marmo) e scolpite a partire da un unico blocco. La parte del non finito prende il sopravvento. Giudizio Universale: (1536-1541) Commissionato dal Papa Clemente VII per affrescare un Giudizio Universale nella parete principale della Cappella Sistina, tuttavia pochi giorni dopo la commissione il Papa morì, quindi il Giudizio venne eseguito per Papa Paolo III. L’idea di dipingere un Giudizio Universale andava a distruggere il ciclo quattrocentesco di Perugino e delle lunette che Michelangelo aveva già affrescato nel 1512. Il Giudizio porta alle estreme conseguenze il linguaggio giocato sullo studio di nudi possenti e articolati che qui ripropone con inaudita libertà. Le figure, libere da ogni coscrizione di partizioni architettoniche, sono le protagoniste della rappresentazione. Tutto ruota attorno al nudo Cristo giudice, che, illuminato alle spalle da un bivo bagliore, alza il braccio; alla sua destra la Madre velata e intorno una moltitudine di santi. In alto, nelle lunette, sono gruppi di angeli effigiati senza le ali con gli strumenti della Passione; mentre al di sotto di Cristo altri angeli suonano le campane del Giudizio e si occupano di salvare le anime dei beati o cacciare all’inferno i dannati. Nella parte inferiore un desolato paesaggio con a sinistra la resurrezione dei corpi dalle viscere della terra e a destra l’infuocato inferno con il tormento dei dannati. In mezzo un fiume solcato da una barca con sopra Caronte. Cappella Paolina: (1537-1540) Ultima opera di Michelangelo, commissionata da Papa Paolo III e affrescata all’interno del Palazzo Apostolico, dove il Papa aveva fatto costruire una nuova cappella. Michelangelo affresca due episodi della vita di Pietro e Paolo, rispettivamente la Crocifissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo. La narrazione si gioca sul movimento e sullo studio delle grandiose figure, in un paesaggio scabro e con i colori dai toni abbassati, dove risalta il vivo contrasto fra il vivido cielo sovrastante il martirio di Pietro e la folgorante apparizione che disarciona Paolo sulla via di Damasco. Gli esordi Raffaello avvengono nella sua città natale, Urbino, dove si forma presso la bottega del padre; si avvicina poi allo stile di Perugino, artista umbro dallo stile protoclassico, attento all’equilibrio compositivo. Agli inizi del Cinquecento era già menzionato come “maestro” nei documenti dell’epoca. Tra il 1504 e il 1505 passa a Firenze per osservare Leonardo e Michelangelo all’opera nella realizzazione dei cartoni preparatori per gli affreschi del Salone dei Cinquecento, preparandosi ad una svolta ben riconoscibile nelle sue opere. Da Perugino riprende Lo Sposalizio della Vergine (1504) (che a sua volta aveva riproposto dalla Consegna delle chiavi a San Pietro affrescata nella Cappella Sistina) rispetto al quale introduce alcune novità, specialmente dal punto di vista prospettico: cambia il battistero in un edificio a pianta rotonda, spostandolo sul fondo facendolo apparire più grande e monumentale e rovesciandone il rapporto con le figure, che appaiono molto più piccole in confronto al tempietto, del quale non sono state invece cambiate le misure. L’architettura risulta più complessa e aggiornata rispetto a quella del vecchio maestro. I personaggi non sono allineati in pose bilanciate e simmetriche, ma disposti con maggiore naturalità e varietà di attitudini e comportamenti. Il paesaggio di Perugino è di tipo umbro, con gli alberi stilizzati, mentre quello di Raffaello è sullo stile di Leonardo, poco ritagliato. 26 Perché l’edificio è a pianta tonda? L’edificio a pianta tonda è l’edificio umanistico per eccellenza e dunque aspirazione costante del Rinascimento, pensiero architettonico dell’antichità (si pensi al Pantheon dei romani e alla cupola di Brunelleschi). I ritratti giovanili di Raffaello ricordano molto i volti di Piero della Francesca sia per l’uso dei colori che per la geometrizzazione delle forme e, in generale, i ritratti fiamminghi. La svolta si ha quando va a Firenze, con lo studio di Michelangelo e Leonardo: probabilmente se fosse rimasto ad Urbino non sarebbe diventato un pittore della maniera moderna. Decide di soggiornare nel più vivace centro di elaborazione di una nuova cultura figura garantendosi l’accesso alle opere che potevano interessarlo tramite la protezione dei Montefeltro. Qui opera una sistematica esplorazione della tradizione rinascimentale fiorentina, dalle fonti quattrocentesche fino ai più recenti Leonardo e Michelangelo. Alle immagini leonardesche Raffaello guarda cogliendone i principi di strutturazione plastico spaziale, lasciandone però in ombra le complesse allusioni e implicazioni simboliche. Questo procedimento è evidente nel Ritratto dei coniugi Doni (1505-1506) talmente diverso dai ritratti giovanili. dove possiamo evidenziare alcuni aspetti: paesaggio di tipo leonardesco nel quale la figura si inserisce perfettamente; fisionomia tutt’altro che gracile (nei ritratti precedenti i personaggi avevano visi smunti e braccia corte, come in quelli fiamminghi), ma potente e monumentale all’antica; capelli vaporosi come quelli di Leonardo; passaggi di luce ed ombra che rendono la plasticità. Nei dipinti e disegni raffiguranti la Madonna col Bambino o la Sacra Famiglia, Raffaello crea continue variazioni sul tema, saggiando diversi schemi di moti, raggruppamenti e legamenti ritmici, sempre con una grande attenzione alla naturalità dell’immagine, alla corrispondenza tra attitudini e stati affettivi ed emozionali e all’immersioni in limpidi paesaggi. Tra questi: Madonna del Cardellino: (1506) la composizione triangolare è ripresa da Leonardo; la posizione del bambino è una citazione michelangiolesca alla Madonna di Bruges del 1504 (dove il bambino è collocato, per la prima, tra le gambe della Madonna) ed è estremamente plastica, secondo la linea fiorentina; monumentalità di Michelangelo, ma passaggi chiaroscurali di Leonardo, che ammorbidiscono il nudo. Madonna del Belvedere: (1506) c’è quasi un rapporto paritetico tra figura e paesaggio, che nel primo Raffaello è calmo, razionale e dominabile dall’occhio, antiteticamente alla maniera in cui lo tratta Leonardo a partire da La Vergine delle Rocce: Leonardo guarda e indaga la natura da scienziato, capendo che essa ha un margine di non conoscibilità, ci sfugge). La posizione di San Giovannino cita quella dell’opera leonardesca. In questo dipinto, come ne La Bella Giardiniera domina la composizione triangolare, la fluidità del movimento è di gusto leonardesco; la posizione dei piedi di Gesù nel secondo dipinto richiama ancora una volta quella della Madonna di Bruges di Michelangelo. Madonna del Granduca (Palazzo Pitti): (1505) La distribuzione della luce e lo sfumato sono di derivazione leonardesca. Si è discusso sull’autobiografia dello sfondo nero: recenti studi hanno infatti svelato un diverso fondale originario, con un paesaggio di tipo leonardesco. Madonna della Seggiola: (1514) tutto si muove attorno ad un punto della sedia camerale, che corrisponde matematicamente al gomito del bambino che buca il dipinto (che sembrerebbe un richiamo a Tondo Doni di Michelangelo). Lo sguardo del bambino sembra guardarci da ogni punto di visto. Raffaello sintetizza in un’unica opera diverse correnti artistiche: si può notare il dispiegamento del colore, il panneggio raffinata di derivazione veneta; la composizione perfetta, costruzione plastica della figura, resa con particolare naturalismo, di derivazione fiorentina. Sull’elemento della spalliera è indagata rifrazione della luce. Inoltre Raffaello era considerato dai contemporanei il “nuovo Apelle” perché più di tutti si era avvicinato agli antichi per idealizzazione ed equilibrio formale. Le iniziative artistiche romane dei primi decenni del Cinquecento nascono in massima parte dall’impulso e mecenatismo di due pontefici, Giulio II (1503-1513) e Leone X (1513-1521), diversi per cultura, temperamento e programmi politici, ma accumunati nel perseguire la rinascita e il rinnovamento della Roma papale sul piano monumentale e artistico, seguendo il mito della restauratio imperii. Giluio II, consapevole del significato e del valore politico delle immagini e imprese artistiche, si vale dell’opera di Bramante, Michelangelo e Raffaello, affidando loro compiti di grande impegno e prestigio. La decorazione della Cappella Sistina vede diverse fasi:  prima fase 1481-82: Papa Sisto IV, inizialmente, chiama per la decorazione Perugino e Piermatteo d’Amelia (che realizza la volta a cielo stellato). Lorenzo il Magnifico invia da Firenze a Roma un’équipe di artisti che si indirizza alla decorazione delle storie nel registro superiore delle pareti, per ingraziarsi il papa, suo principale competitore sullo scacchiere politico italiano. Tra questi artisti figurano Botticelli, Ghirlandaio, Signorelli, Pinturicchio  seconda fase 1508-1512: Papa Giulio II fa buttare giù la volta preesistente e affida la sua decorazione a Michelangelo. Contemporaneamente Raffaello affresca le Stanze Vaticane. Michelangelo inizialmente chiede 27 aiuto da collaboratori fiorentini nell’affrescazione, poi decide di lavorare da solo. Mediante finti cornicioni divide episodi biblici e figure. Le figure centrali non sono scorciate, in quelle sui lati si osserva un leggero sotto in su che non altera il nudo (si ricordi che comunque l’unico precedente in tal senso era stato Mantegna al nord). Il disegno permette di raggiungere una correttezza grafica. Gli episodi sono ripresi dalla Genesi e affiancati da venti giovani detti “Ignudi” (viene ripresa l’anatomia dell’antico, del Torso del belvedere sia avanti che dietro). Nelle vele triangolari sono riprese altre scene bibliche. Utilizza la tecnica del buon fresco: dipinge tutto a muro fresco, soltanto alcune parti sono realizzate a secco, portate via in fase di restauro a causa di solventi molto aggressivi che, tra l’altro, hanno messo in evidenza gli attacchi delle giornate  terza fase 1514: Papa Leone X Medici chiama Raffaello per realizzare degli arazzi, da inserire nel registro inferiore, ora andati perduti. Costituiscono il contributo di Leone X alla decorazione della Sistina, in quegli anni sede delle più solenni cerimonie liturgiche anche a causa dell’inagibilità della Basilica di San Pietro allora in costruzione. I soggetti scelti derivano in gran parte dagli Atti degli Apostoli, a voler indicare simbolicamente il pontefice regnante come autentico successore dei primi “architecti” della Chiesa, Pietro e Paolo. Le difficoltà di Raffaello consistevano nella elaborazione delle scene dei cartoni in vista della loro traduzione in una tecnica diversa (che prevedeva l’inversione speculare), nell’evitare schematizzazioni chiaroscurali e nell’affrontare il confronto con la volta della Cappella Sistina, affrescata pochi anni prima da Michelangelo. Le composizioni vengono semplificate, l’azione è scandita in contrapposizioni in gruppi o singole figure, puntando al massimo dell’eloquenza. Sono dunque esempi del completo classicismo di Raffaello, dove l’imitazione della natura si univa alla idealizzazione e all’equilibrio formale. Si può osservare nella Pesca miracolosa (1515-1516) uno dei cartoni per gli arazzi della Cappella Sistina. Cristo e gli apostoli sono inseriti in un paesaggio molto indagato, dove gli elementi faunistici e botanici sono realizzati con grande minuzia da Giovanni da Udine Come si facevano gli arazzi? I disegni erano realizzato da un’artista (in questo caso Raffaello affiancato da Giovanni da Udine) su grandi cartoni preparatori e su questi lavoravano gli arazzieri che procedevano alla tessitura, sotto lo sguardo dell’artista o di un suo collaboratore di fiducia. Nel caso degli arazzi della Sistina questi vennero inviati a Bruxelles nella bottega di Pieter van Aelst.  quarta fase 1536-1541: papa Clemente VII commissiona a Michelangelo tardo l’esecuzione del Giudizio Universale. La seconda grande commissione papale sono le Stanze Vaticane (1508-1524), ovvero gli ambienti al piano superiori dei palazzi Vaticani scelti dal papa come nuovo appartamento ufficiale, di cui progetta la decorazione dei soffitti delle pareti, affidando il lavoro a Raffello. Qui porta al massimo grado l’equilibrio, armonia, realtà e idealizzazione, compostezza negli affetti, nei gesti, apice del Rinascimento. Raffaello, diversamente da Michelangelo che nell’esecuzione delle sue opere preferisce lavorare da solo, poiché attivo su più cantieri contemporaneamente, organizza la propria bottega con tantissimi collaboratori, ciascuno dei quali si specializza in un tipo di produzione differente (paesaggio, storia…). Sua è sempre l’invenzione e spesso la raffigurazione centrale. La Stanza della Segnatura (1509-1511) riprende lo schema decorativo tradizionale delle biblioteche medioevali e rinascimentali (era infatti questa la destinazione d’uso dell’ambiente) che rispecchiava l’ordinamento in facoltà: Teologia, Filosofia, Poesia e Giurisprudenza, celebrando il sincretismo tra mondo cristiano e mondo antico, sia nel sapere che nelle arti, un’idea tipicamente rinascimentale. Disputa del sacramento: inventa una composizione che vede la divisione orizzontale tra mondo terreno (padri, dottori della chiesa) e ultraterreno (Cristo in gloria, San Giovanni Battista e vari santi); non cerca scorci arditi, la prospettiva è centrale e coincide con Cristo, ai cui fianchi si dispiega simmetricamente una teoria di santi disposti; i movimenti, specialmente dei personaggi del registro inferiore sono pausati, ben equilibrati, all’apice della maniera moderna. I caratteri della pittura murale sono lontani da quelli di Michelangelo, che annulla la decorazione a favore della stori: Raffaello inserisce decorazioni e ornamenti all’antica festoni, candelabri e motivi a monocromo, ovvero un tipo di pittura che finge il bassorilievo, di cui parlava già Plinio nella sua opera. La pittura gareggia con la scultura. La Scuola di Atene rappresenta il tema del grande sapere antico naturalistico e filosofico a partire dai due personaggi raffigurati al centro, Platone e Aristotele in posizione eminente al termine di una gradinata, che avanzano in una architettura maestosa di gusto antiquario (la volta a lacunari ricorda il Pantheon) ispirata ai progetti per la Basilica di San Pietro del Bramante (il gusto antico si stava riproponendo infatti nelle architetture commissionate da Giulio II nel Vaticano). L’aprirsi della profonda navata verso l’osservatore, come in una sorta di vasto proscenio, favorisce la dinamica articolazione in gruppi e insieme il loro disporsi secondo principi di gerarchia simbolica, senza compromettere l’assoluta naturalità della rappresentazione, i movimenti infatti risultano pausati. Platone è 30 preparatori superstiti testimoniano la complessa elaborazione del dipinto e la molteplicità delle fonti figurative, tra cui le opere di Leonardo. Probabilmente sia Raffaello che Leonardo cercavano di ottenere l’atramentum di Apelle, una sorta di patina (di cui ci parla Plinio ma non conosciamo la ricetta) che serviva ad attutire la brillantezza dei colori, legando le figure con una tonalità di colore. 31 Lezione VIII: Evoluzione della Maniera Moderna e Manierismo *testo in verde: aggiunte dal manuale o frutto di ricerche personali relative al contesto storico. *testo in blu: aggiunte dal manuale o frutto di ricerche personali relative alle opere. Tra il Quattrocento e il Cinquecento, come descritto da Vasari nelle Vite, nasce con Leonardo la maniera moderna (basata sulla razionalità, l’equilibrio, il recupero dell’antico, la bellezza naturale idealizzata, attenzione al paesaggio), accolta da Michelangelo e Raffaello, per poi raggiungere una vasta diffusione che vede coinvolto anche il Nord Italia: Giorgione, Tiziano giovane, Lorenzo Lotto, Sebastiano Del Piombo, Correggio, i quali pongono particolare attenzione sull’aspetto del paesaggio e del colore. Si ricordi infatti il passaggio di Leonardo a Venezia nel 1500. All’inizio del XVI secolo la città lagunare si presenta come uno dei più prosperi centri europei: ben organizzata potenza mercantile, grande emporio commerciale di carattere cosmopolita, lentamente si trasforma da impero marittimo, ancorato alla penisola ma proiettato verso Oriente, a potenza di terraferma, coinvolta, dalla metà del Quattrocento, nello scacchiere politico italiani. Venezia si afferma come centro di studi ellenistici e di pubblicazione dei classici, in un fervore di studi che investe la ricerca archeologica e si accompagna sovente a un appassionato interesse per la raccolta di dati scientifici (esempio botanica). Ad animare il dibattito culturale veneto vi è la contrapposizione tra la vita contemplativa (contemplazione intellettuale e religiosa nel distacco delle vicende mondane) e la vita attiva (l’impegno civile a servizio dello Stato), la cui mancata conciliazione causava gravi crisi negli umanisti veneti. Lo spazio riservato alla vita contemplativa da parte degli intellettuali veneti, unitamente agli interessi antiquari, archeologici e nel campo delle scienze naturali, favorisce forme particolari di collezionismo, dando vita a raccolte patrizie dove sono presenti codici e incunaboli, ma anche dipinti, disegni, incisioni, legati alla cultura e alla personalità del committente. Il profondo rinnovamento del linguaggio figurativo lagunare si coglie principalmente nell’opera di Giorgione, di cui si hanno scarse notizie biografiche, se non le poche informazioni raccolte da Vasari: sappiamo che fu allievo di Giovanni Bellini e che fosse perfettamente integrato nella cultura di una cerchia ristretta di aristocratici intellettuali, per i quali dipinse soprattutto ritratti e opere di formato ridotto e di inconsueta iconografia, destinate agli studioli. Per quanto riguarda il linguaggio figurativo e i mezzi di rappresentazione, la meditazione sui modelli leonardeschi (che lo impressionarono particolarmente) lo conduce a tradure gli effetti chiaroscurali di avvolgimento atmosferico del maestro fiorentino in variazioni cromatiche in rapporto alle variazioni di intensità della luce e alla conseguente ricerca di unità e visione dei campi colore locale in un accordo tonale dominante. Non c’è più un rigoroso impianto prospettico disegnativo, la mimesis riguarda l’evocazione della morbidezza e del rilievo delle figure, attraverso tinte crude e dolci. Tutto questo si può ben osservare nella Pala di Castelfranco (1503) nel quale il paesaggio ha un rapporto paritetico con le figure. Riprende l’aspetto coloristico, tipico del Nord Italia, da Bellini, evidente in particolar modo nella bandiera e nelle vesti, creando delle zone cromatiche a contrasto. La prospettiva aerea e l’effetto atmosferico della luce sono di ispirazione leonardesca (le montagne sullo sfondo sembrano perdersi), le figure appaiono infatti meno ritagliate, la luce uniforma e lega le cose, aspetto che segna la differenza sostanziale con Bellini. Anche la scalatura tenera degli affetti è ripresa da Leonardo. La Tempesta: (1508) rispetto al soggetto raffigurato non si conosce nessuna informazione e, probabilmente, doveva affascinare già i contemporanei dell’artista per l’inconsueta iconografia. Tra gli studiosi, diversi sostengono si tratti di un caso “precoce” di immagine senza soggetto: Giorgione avrebbe creato l’opera indipendentemente da qualsiasi suggerimento esterno, come espressione di un suo personale stato d’animo. S. Settis ha identificato un precedente iconografico nel rilievo dell’Amadeo sulla facciata della Cappella Colleoni a Bergamo, raffigurante la cacciata dei progenitori, dove Eva è seduta a destra con in braccio Caino, mentre Adamo, in piedi a sinistra, appoggiato a una vanga; fra i due irrompe la figura di Dio. Questo schema iconografico (che sostituisce a Dio la tempesta che squarcia le nubi, metafora della condizione umana dopo il peccato) è chiaramente riconoscibile nella tempesta. Sembra quasi una rappresentazione di paesaggio puro, che manifesta un interesse di tipo atmosferico (lampo). Si imitano i colori della natura attraverso soltanto libere pennellate, senza disegno, al contrario di Leonardo: c’è una scalatura di colore vero, dal bianco della cicogna sul tetto fino al fulmine che crea effetti di luce sui muri sbrecciati, per effetto della luce resa attraverso una verità di osservazione. La luce dagli artisti del Nord è realizzata en plein air , appare estremamente naturalistica; mentre nel Centro Italia è diffusa, c’è un lume universale. Nei veneti c’è l’uso del colore in modo mimetico (che sarà proprio anche di Caravaggio) per ricreare la varietà dei colori della natura, si avvicina ai suoi colori. Si possono quindi delineare due strade differenti: nel Centro Italia è importante la correttezza 32 del disegno e la prospettiva; nel Nord invece domina la “civiltà del colore”. Il colore è costruito per contrasti tonali, messo a zone, molto libero nella stesura (Tiziano, ad esempio, si diceva stendesse con i polpastrelli). La differenza tra fiorentini e veneti circa l’importanza del disegno, è evidente nel Cartone della Sant’Anna di Leonardo: l’artista usa le linee di contorno nei panneggi, nelle rocce, nei bambini, ma la sfuma in maniera morbida in modo tale da rendere meno visibili questi contorni netti. In Leonardo c’è la natura ma, da pittore centro italiano, la figura risulta sempre preponderante rispetto al paesaggio, seguendo un rapporto inverso rispetto a Venezia. Inoltre, mentre i fiorentini trasportano il cartone, per Giorgione e altri viene sempre meno la parte disegnativa, a favore della verità cromatica (“Scimmia della natura”), si dipinge con il colore. I tre filosofi (1508, stesso anno in cui Michelangelo dipinge la volta della Cappella Sistina): la natura torna ad essere l’elemento preponderante, diversamente dal Centro Italia. Qui il paesaggio è vero e lirico (Bellini), con il sole che tramonta ad occidente illuminando con una luce calda e soffusa la sommità delle colline, mentre un chiarore proveniente da oriente ripercuote il fondo della caverna. L’aria tenebrosa e l’ambiente roccioso (dark manner) sono ripresi da Leonardo. I macchioni di colore in contrasto tonale sono tipici del Nord. L’identità delle figure ha suscitato varie interpretazioni e, in particolare è stata letta come una rappresentazione delle tre età del sapere umano (filosofia antica, medioevale e rinascimentale), ma le varianti individuate nella radiografia inducono a identificarli come Magi. La scelta di un’immagine di ardua interpretazione è tipica di Giorgione: di fronte alla caverna ci sono un fico e un tralcio d’edera (che alludono al legno della croce) e una sorgente (allusiva del battesimo); la grotta è quella dove Adamo ed Eva, cacciati dall’Eden, avevano deposto i loro tesori ed è lo stesso luogo dove avviene la reincarnazione di Cristo. Venere: (1507-1510) non tutti gli studiosi sono concordi nell’attribuire l’opera a Giorgione, alcuni ritengono ci sia la collaborazione di Tiziano giovane, soprattutto nel panneggio strutturato oppure nel paesaggio. Anche in questo caso si osserva un rapporto paritetico tra la figura e il paesaggio in cui è immersa. Il nudo è ripreso dall’antico, studiato tuttavia dal naturale: la Venere sembra fatta di vera carne, grazie ad un chiaroscuro morbido che addolcisce il nudo, resi grazie alla stesura libera del colore (pelle più bianca, punti più rossa), per nulla statuino. Anche in questo caso il paesaggio idillico è preponderante; sono presenti striature di ombra e di luce, che appare vera, atmosferica, che incide sulle cose in modo realistico. Nella fase giovanile Tiziano Vecellio è evidente l’assimilazione puntuale del linguaggio giorgionesco, al punto da risultare talvolta indistinguibili le sue opere e quelle del suo maestro, come nel caso della Venere di Dresda. Noli me tangere: ( 1511-1512) si tratta di un esempio di “classicismo cromatico”: colori vivi, luce vera, nudo morbido, equilibro compositivo, paesaggio lirico e presente, tratti tipici del Venetismo (aveva avuto contatti anche con Bellini). Altro seguace di Giorgione è Lorenzo Lotto (veneziano), che ne accentua gli aspetti criptici e ne mitiga l’aspetto idillico, su influenza di Dürer. Nei primi anni di attività opera a Treviso al servizio del vescovo Bernardo de’ Rossi, di cui dipinge un Ritratto (dove si osserva un saldo impianto plastico e acuta definizione fisiognomica, su suggestioni antonellesche e nordiche) e ne realizza la custodia, sul quale sono realizzate due Allegoria della Prudenza. (1565- 1570) L’esecuzione è sicuramente successiva a La Tempesta di Giorgione, al quale evidentemente si ispira sia nel rapporto squilibrato tra personaggi e paesaggio sia nei colori messi a contrasto. La scena non è per niente idillica: questo è particolarmente evidente nell’albero anamorfo (spezzato, ricurvo da una parte, grottesco) di gusto nordico. Lorenzo Lotto riprende la poetica di Dürer in maniera puntuale. Chi è Dürer? È un artista tedesco attivo a Venezia prima di Leonardo tra il 1494 e il 1495 e dopo Leonardo tra il 1505 e il 1507, il quale insegna agli italiani la pittura libera, schizzi senza disegno. Nelle incisioni ed acquerelli a soggetto paesaggistico, ad esempio della boscaglia, dunque alberi spezzati, storti: dimostra una capacità di osservazione diretta dal vero, importantissima degli italiani. È interessato al paesaggio, ma guarda anche agli aspetti più bizzarri. Per gli italiani costruire il paesaggio è quasi un’operazione matematica, a causa della forma mentis classica e armonica, equilibrio. Alcuni anni più tardi a Roma, dopo aver lavorato nelle Marche, realizza San Girolamo penitente (1490-1552) a decorazione dell’appartamento Giulio II in Vaticano. Ripropone l’immagine del santo eremita in contemplazione ascetica, in un ambiente più solare, meno nordico dei dipinti precedente, reso tuttavia inquietante dal carattere ambiguo della natura: dirupi incombenti, cortecce, natura selvatica, alberi spezzati, radici antropomorfe secondo un tipo di rappresentazione nordico. Il rapporto figura paesaggio è di tipo giorgionesco. Le prime opere di Sebastiano del Piombo (veneziano) sviluppano suggestioni giorgionesche in senso vigorosamente plastico e monumentale, come evidente nella Pala di San Giovanni Crisostomo (1510-1511). Da Giorgione, infatti, riprende la Sacra Conversazione all’aperto, il pavimento bicromo, chiaroscuro morbido. Tuttavia, la resa della carne appare leggermente diversa: l’incarnato è caldo, tipico del veneto (diverso da quanto accadeva a Firenze dove i volti 35 (putto imbronciato; madonna ridente), creando un legame autentico tra figura e figura. La luce è dorata. La monumentalità delle figure e dei panneggi è ripresa dalla maniera moderna. Nel Cinquecento Firenze cede il primato artistico a Roma, che vede la presenza di Raffaello e Michelangelo. A Firenze restano gli altri pittori minori della maniera moderna, che si piega alla severità morale della Repubblica di Savonarola, tra cui  Fra Bartolomeo, la cui formazione artistica ed esperienze spirituali lo orientano fin dagli inizi verso una concezione severa ed essenziale dell’immagine sacra, con una predilezione per composizioni solenni e chiaramente pausate. Le sue prime opere testimoniano l’adesione alla cerchia del Ghirlandaio e di Cosimo Rosselli (del quale è allievo); ma in seguito egli si apre alla suggestione dei grandi eventi artistici contemporanei, attratto dallo sfumato leonardesco e dell’energia plastica di Michelangelo, e in diretto contatto con Raffaello che, a detta del Vasari, sviluppa le sue cognizioni in campo prospettico. Realizza nel 1508 Apparizione dell’Eterno a Maddalena e Caterina da Siena che sintetizza il nuovo stile dei maestri della maniera moderna (sul quale si erano informati tutti) con quello degli artisti del Nord: passaggi di luce ed ombra morbidi, paesaggio leonardesco, putti danzanti e composizione regolare, ritmica e solenne di derivazione raffaellesca, le figure sono michelangiolesche nelle figure; il paesaggio è leonardesc  Mariotto Albertinelli, Visitazione: (1503) austerità, attenzione per l’aspetto naturalistico di derivazione leonardesca, severità degli affetti, architetture moderne  Andrea del Sarto, considerato “pittore senza errori”, poiché ineccepibile dal punto di vista compositivo. Eccellente disegnatore, grazie ad un’esecuzione impeccabile e nello stesso tempo molto libera e sciolta nella modellazione. Andrea riesce a contemperare elementi di difficile conciliazione come il chiaroscuro atmosferico di Leonardo, il risalto plastico di Michelangelo, il classicismo compositivo. Fondamentali per la sua formazione furono le opere fiorentine di Leonardo, Raffaello e Michelangelo. L’educazione ricevuta nella bottega di Piero di Cosimo lo spinge però a cimentarsi nelle diverse tecniche pittoriche. Era il più presente nelle Gallerie Fiorentine, considerato il Raffaello che mancava a Firenze. Compianto del Cristo morto (1524- 1527): nudo non patetico, composto, attorniato dai santi, dalla Madonna e dalla Maddalena, che funge da contraltare compositivo. La grande bravura nel disegno gli permette di realizzare scorci corretti, i panneggi sono strutturati. Studia i maestri e dal vero Nella sua concezione più ampia, il termine Manierismo è utilizzato per indicare i fenomeni artistici occorsi tra la morte di Raffaello (1520) e l’inizio del periodo Barocco (1620), nel quale coesistono fenomeni espressivi diversi. L’eredità formale lasciata da Raffaello ai suoi allievi, la fioritura delle loro opere e della stagione clementina avevano condotto Roma, alla fine del pontificato di Leone X e Clemente VII, in un clima di vivo fervore sperimentale, favorito dalla presenza nella città di numerosi artisti e grandi cantieri aperti. Sotto la spinta di giovani pittori, come il Parmigianino o il Rosso Fiorentino, e di personalità mature come Giulio Romano o Polidoro da Caravaggio, le certezze del linguaggio figurativo elaborato dai grandi maestri dell’inizio del secolo inizia a sfaldarsi, lasciando posto a nuove modulazioni formali, sempre più orientate attraverso l’elegante “contaminazione” di elementi classici, citazioni moderne e variazioni personali, a un estremo perfezionamento della maniera. Possiamo distinguere principalmente due fasi:  La prima tra 1518-20 e il 1527, che si potrebbe definire, usando un’espressione di Pinelli, “sperimentalismo anticlassico”: si riprendono gli aspetti inquieti di alcuni artisti precedenti (ad esempio la Maddalena dell’ultimo Donatello, la cui bellezza è distrutta dal patetismo), si perde l’equilibrio e la razionalità per imboccare una strada più artificiosa e inquieta. (“Arie crudeli e disperate”). Sono anni, infatti, di grandi incertezze dal punto di vista religioso e politico, che causano una crisi delle coscienze. Questa fase è fiorentina. Rosso Fiorentino, discepolo di Andrea del Sarto, è animato da un desiderio di profondo rinnovamento e cerca un’alternativa alla “forma chiusa” della tradizione toscana. La sua scelta è caratteristica: senza dimenticare i riferimenti ai grandi contemporanei, come Michelangelo, avvia un singolare recupero della deformazione espressiva, spinta quasi a effetti caricaturali accennati in artisti precedenti. Questo si può osservare nella Madonna con bambino e santi (Pala dello Spedalingo), (1518) dove si perde lo spirito di solarità per uno più cupo e inquieto: san Girolamo appare scheletrico, le facce dei personaggi allucinate. Progressivo abbandono degli aspetti più naturalistici della pittura. Deposizione di Volterra: (1521) l’impianto compositivo presenta soluzioni prospettiche paradossali, come la croce e le tre scale, dove le figure appaiono in equilibrio instabile in posizioni improbabili. Il naturalismo è sostituito dall’artificiosità: la luce non rispetta l’ora del giorno (blu metafisico), non c’è verità spazio temporale; i panneggi delle figure femminili sono geometrizzati, irrealistici (non fanno capire come è strutturato il corpo); i gesti appaiono bloccati e meccanici. Il clima espressivo, di matrice nordica, è sottolineato in modo patetico: la vergine sembra morta, Cristo appare senza peso, il nudo è tirato. I colori sono smaltati e gelidi, accentuano il carattere irreale della composizione. Si sperimenta negli affetti e nelle pose. 36 Pontormo, artista saturnino e bizzarro, allievo di Andrea del Sarto, entrerà in una grave crisi che investirà la sua produzione artistica, a partire dagli anni Trenta, quando il confronto con Michelangelo e il desiderio di Superarlo diventeranno un ossessione. La base dell’arte di Pontormo è il disegno, come dimostra l’imponente corpus grafico pervenuteci, le opere nascono da una lunga e paziente meditazione intellettuale, scandita dalla verifica disegnativa . Un punto di lacerante rottura con il passato coincide con la decorazione della cappella Capponi in Santa Felicita, dove realizza la pala d’altare Deposizione (Trasporto di Cristo al Sepolcro): (1528) la composizione è irreale, la visione è ribaltata, figure in posizioni improbabili sembrano galleggiare in uno spazio indefinito, in un grigio metafisico, come se le certezze spazio-temporali fossero state cancellate. Le undici figure appaiono ripetute come in uno specchio, sempre uguali. I colori sono michelangioleschi, chiari come quelli della cappella sistina; i panneggi gonfiati sono antinaturalistici; i volti e i gesti enfatici, carici di tensione espressiva. Si passa il limite della misura e della razionalità. Lo stesso effetto suscita la Visitazione: (1514-1516) figure identiche fra loro giganteggiano in uno spazio sproporzionato, poco reale, avvolte in panneggi vaporosi, dai colori invertiti, che fanno perdere il senso del volume. A Siena, che vive fino alla prima metà del Cinquecento l’ultima stagione della indipendenza politica ma anche di autonomia artistica, è attivo Domenico Beccafumi. Non mostra l’avversione nei confronti della tradizione del Quattrocento come il Pontormo, benché il suo linguaggio risulti aggiornato grazie ai ripetuti viaggi e soggiorni a Roma. Lavora principalmente per committenti senesi, con interventi di vario genere . La nuova strada espressiva intrapresa è ben evidente nelle due versioni di San Michele si scaglia contro gli angeli ribelli, (1524) di cui una venne rifiutata perché troppo cruda, inquieta, eccentrica nella raffigurazione delle pose e degli affetti, anche se di ripresa michelangiolesca, i nudi sono troppo esibiti, c’è troppa agitazione. Aspertini, Natività: (1508-1509) lo sfondo è anticheggiante, esprime una visione pittoresca dell’antichità che cade a pezzi, visione decadente (studia le grottesche della domus aurea, come testimoniano i suoi taccuini). I genitori guardano il bambino affranti, esprimono un clima inquieto.  La seconda fase è successiva al 1527, al Sacco di Roma, quando la città è abbandonata dal papa, mentre gli artisti che vi operano si disperdono in tutta Italia: Polidoro da Caravaggio si reca al Sud , Giulio Romano a Mantova, Perin del Varga a Genova. Anche Rosso Fiorentino vaga per l’Italia prima di raggiungere la Francia negli anni Trenta. Molti fanno ritorno in Patria come Sebastiano del Piombo, che torna a Venezia. Il nuovo stile, elaborato a Roma durante gli anni clementini, viene così posto al servizio delle corti e, assumendo di volta in volta accenti diversi, si diffonde in tutta la penisola, non senza suscitare reazioni o resistenze; nasceva così quel fenomeno di trasformazione del linguaggio artistico denominato “Manierismo internazionale delle corti”. L’imitazione della buona maniera dei grandi maestri diventa una necessità imprescindibile, ma deve fondarsi anche sulla contrapposizione tra “regola” e “licenza”. Padroneggiando le regole della composizione, del disegno e del colore, l’artista deve sapersi districare dalle costrizioni di tali regole, contraddicendole elegantemente e perseguendo la licenza consapevolmente (s i parla dunque di stylish style). La maniera moderna sfocia così in esiti di grazia, non riscontrabili in natura, ma non sovverte le norme mutuate dall’antico, considerate comunque la misura su cui fondarsi. Parmigianino, allievo di Correggio esordisce precocemente, dimostrando fin da piccolo spiccati interessi per gli effetti percettivi, come dimostra Autoritratto allo specchio: (1524) un bambino gioca a ritrarsi su uno specchio tondo che lo deforma (sorta di grandangolo). Eserciterà per tutta la vita la passione per l’alchimia, aspetto che ne fa comprendere le scelte stilistiche. Trascorrerà un breve periodo nella piccola corte di Galeazzo Sanvitale nella Reggia di Fontanellato, dove dipinge gli affreschi che decorano la Stufetta, (1524) ovvero il bagno personale della moglie. Come Correggio nella Camera della badessa, realizza un pergolato di verzura in cui si inseriscono nudi allungati, come fossero di cera, che seguono una prospettiva e una resa raffaellesca: insiste sul bel nudo, sull’equilibrio, è meno inquieto. Rispetto a Correggio, infatti, predilige forme levigate, affusolate, con un colore steso in modo compatto, quasi smaltato. La decorazione vede conchiglie, elementi marini, vegetali, rondini, come una sorta di citazionismo scientifico. Dall’Emilia si trasferirà nell’Italia centrale, a Roma e poi a Firenze, divenendo uno dei più originali protagonisti della maniera. Madonna dal collo lungoi (1534-1540): è l’opera paradigmatica che segna il passaggio dalla misurata razionalità del primo Rinascimento e lo sperimentalismo formale virtuosistico, che contraddistingue la fase manieristica. Le figure sono eleganti e sinuose, dalle lunghe proporzioni. L’andamento verticale è accentuato dalla presenza del colonnato a destra, dove il fusto è una rielaborazione classica. Le figure sono costrette in uno stretto spazio a sinistra, lasciando aperto un asimmetrico vuoto dalla parte opposta. La definizione dello spazio è ambigua. La composizione è imperniata sul fluire delle linee curve, la cui importanza è ribadito dal perfetto ovale dell’anfora a sinistra. La Vergine regge il corpo del Bambino come se fosse un cristo morto, deposto sulle ginocchia. La luce è dorata. Perin del Vaga, allievo di Raffaello, dopo il Sacco di Roma, ripara a Genova. Nel 1528 la città ligure entra nell’orbita di influenza spagnola grazie ad una accorta manovra politica ammiraglio Andrea Doria, che affida a Perin del Vaga l’incarico di coordinare la ristrutturazione e della villa-fortezza dei Doria situata alla periferia della città. Nonostante l’ubicazione suburbana, Andrea Doria intendeva installare qui la residenza ufficiale della famiglia, prestigiosa sede di una vera e propria corte. I principali interventi di Perino e del gruppo di artisti da lui diretto nel palazzo Doria, 37 conservati solo in parte, come il Progetto per la facciata nord di Palazzo Doria e l’affresco La Caduta dei Giganti: grande eleganza, raffinatezza nei volti, pose artificiose, divisione orizzontale, agitato, inquieto ma elegante, nudo raffaellesco, corretto, indagato nei muscoli, correttezza della figura. Poco prima del Sacco di Roma, nel 1526, Giulio Romano si sposta a Mantova, dove diventa pittore di corte dei Gonzaga e prefetto generale delle fabbriche e sovraintendente alle strade ed edifici. Aveva appreso da Raffaello a organizzare imprenditorialmente grandi cantieri artistici e poteva quindi far fronte a molti incarichi, comprese la costruzione e la decorazione di Palazzo Te, (1531-1546) ispirandosi alle residenze classiche romane (bugnato, lesene, teschi di bovino ed altri elementi ornamentali dell’antichità); il cortile interno vede un fronte di tipo classico. La bottega si occuperà della decorazione del palazzo, simile a quella della Villa della Farnesina a Roma, dove aveva lavorato alcuni anni prima. Nella Sala di Psiche reimmagina l’antico: triclini; una sorta di credenza moderna dove si collocano vasi anticheggianti; triclini; nature morte in narrazioni storiche; soggetti erotici. Le figure allungate denunciano lo stile manierista. La decorazione differisce da quella della Farnesina, Giulio Romano si inserisce nella tradizione dei grandi scorci di Mantova, muovendosi verso una raffigurazione illusiva. Sala dei Giganti: riprende lo stucco antico di Giovanni da Udine. La decorazione unisce pavimento (dove è raffigurato un vortice), pareti e soffitto, impianto compositivo inusuale. Le pareti crollano davanti allo spettatore, sono eliminati gli angoli, sul soffitto fra le nuvole si apre un raduno degli dei che si estende fino ad una lanterna vista in scorcio, dove alcune figure si affacciano (citazione mantegnesca). Dalle nuvole e nitidezza dei muscoli si capisce che disegna. C’è senso del movimento, della concitazione, potenza michelangiolesca negli affetti dei giganti che soccombono. Già stile manierista, c’è l’aspetto di artificio. Giulio Romano porta al nord lo stile di Michelangelo e Raffaello in senso manierista. A Nord è attivo anche Pordenone, nella cui formazione, oltre a richiami a Mantegna e alle incisioni di Dürer e dei maestri nordici, è fondamentale il periodo trascorso a Roma tra il 1514-1515. La conoscenza delle opere di Raffaello e Michelangelo in Vaticano stimola l’elaborazione di uno stile magniloquente, in equilibrio fra classicismo e temperamento narrativo di indole popolare. Lavora in particolare a grandi cicli di affreschi, tra cui quelli della cattedrale di Cremona, dove sviluppa un’inedita forma di rappresentazione discorsiva e solenne insieme, caratterizzata da scorci prospettici virtuosistici. Un esempio è Crocifissione del Duomo di Cremona: (1520-1521) i corpi sono michelangioleschi, ma artificiosi, così come le pose, che appaiono tirate (esempio figure sulla croce). Dipinge da colorista veneziano: il colore è mimetico (i grigi risplendenti delle armature; il cavallo ha delle parti rosate) è steso liberamente e senza disegno (nuvole atmosferiche) e per contrasti tonali; la luce accarezza le cose. Il Manierismo da fenomeno centro italiano e settentrionale (con Pordenone, Giulio Romano e Tiziano), diventa un linguaggio sempre più internazionale, assumendo una caratterizzazione sempre più elitaria e cerebrale in grado di appagare le oligarchie di potere e i circoli delle corti europee nella ricerca dello sfarzo, eleganza, autocelebrazione e raffinatezza. Si favorisce la circolazione di opere e artisti, oltre allo scambio di manufatti nobili come la grafica, le miniature, gli oggetti preziosi e rari, i quadri da stanza, sempre più ricercati dal recente collezionismo. Il linguaggio tosco-romano (magniloquente, molto ricco di colpi d scena ed invenzioni) si irradia anche nei luoghi dove la tradizione locale era molto forte (come nel caso di Venezia). I viaggi degli artisti contribuiscono a internazionalizzare il gusto per l’enfasi e l’artificio. Rosso Fiorentino e Primaticcio vengono chiamati a Fontainebleu a decorare la galleria con stucchi e pitture. I due divergono nello stile, seppur sempre manierista: Rosso Fiorentino realizza pose artificiose ma il nudo fiorentino è fiorentino, muscoloso e definito; Primaticcio realizza invece un nudo tenero di vera carne, allungato, come quello di Parmigianino (proveniva da Parma). Alla caduta della Repubblica Fiorentina (1530), coincide l’inizio del lungo ducato di Cosimo I Medici, caratterizzato in campo artistico da iniziative destinate a incidere profondamente sulla città e sul suo territorio. Inoltre la volontà di legittimare e celebrare il potere spinge il duca ad incentivare la produzione di oggetti di pregio, non limitandosi alle commissioni nel campo della architettura, della scultura e della pittura. Firenze diventa centro di produzione artistica globale: tutte le arti (dalla pittura alla oreficeria alla tessitura degli arazzi, dalla scultura all’intaglio delle pietre dure) vengono considerate applicazione del disegno come principio ordinatore e sostrato qualificante la realizzazione materiale, in una visione unitaria di grande interesse. Il principale teorizzatore del “valore” del disegno come principio ordinatore e sostrato qualificante la realizzazione materiale, in una visione unitaria di grande interesse. Il principale teorizzatore del valore del disegno è Giorgio Vasari, che si pone al servizio di Cosimo come artista e come organizzatore culturale dedicandogli le Vite. Non a caso, i Medici patrocineranno l’Accademia del Disegno (1562). Vasari è pittore, architetto, scrittore, collezionista, ma soprattutto è un grande divulgatore del linguaggio manieristico e diviene il maggiore interprete dei programmi artistici di Cosimo I, per il quale impianta numerosi cantieri modellati su quelli romani. Sarà lui a dirigere i lavori per Palazzo Vecchio. Deposizione dalla Croce di Vasari (1540): il linguaggio è manieristico ed artificioso; il paesaggio storicizzabile e naturale (diverso da quello di Rosso Fiorentino); l’atteggiamento è meno inquieto e composizione artificiosa, segue piuttosto un linguaggio sofisticato (l’artificio che diventa eleganza); la Vergine è posata in terra, posa elegante come 40 prospettico-costruttivo si manifesta fin dai suoi primi dipinti, caratterizzati però soprattutto da un forte “sentimento del colore”. Si trasferisce a Venezia, dove matura una nuova accensione cromatica tradotta in un colorismo brillante, timbrico, basato sulla giustapposizione di colori puri, senza mediazioni tonali, con intuitivi accostamenti di complementari che esaltano la luminosità con ombre colorate ed effetti straordinariamente cangianti. Veronese si vale di effetti illusionistici che rivelano la sua dimestichezza con l’opera dell’orizzonte con lo scorcio di un gigantesco edificio, che anticipa i fondali architettonici dipinti negli anni successivi. Il risultato è altamente spettacolare anche per il rapporto ritmico e dinamico istituito con gli scomparti adiacenti. Lo slancio sperimentale delle prime opere veneziane si placa però progressivamente nel corso degli anni stemperandosi in ricerche di maggiore compostezza, anche in conseguenza della frequentazione di circoli di patrizi umanisti come i Barbaro, per i quali dipinge la Villa di Maser, (1560-1561) costruita da Palladio e particolarmente innovativa. La villa è costruita su un unico piano, ma presenta un corpo centrale più elevato, coronato da un timpano su colonne di ordine gigante, affiancato da due ali laterali porticate. La lunga facciata maschera una pianta compatta ma articolata. L’architettura è classica luminosa e chiara, aperta sul paesaggio (elemento già presente nella tradizione pittorica veneta). La decorazione dell’interno ad opera di Veronese, che interessa tutti gli ambienti principali, intesse un complesso ritmo tra strutture reali e architetture dipinte, talora aperte su ariosi paesaggi, e popolando nicchie, balconi e lunette di personaggi mitologici e ritratti dei membri della famiglia Barbaro. Elementi mitologici, astrologici e religiosi si fondono in un unico complesso, che le immagini dipinte di Veronese fanno fluire armoniosamente. I paesaggi, spesso ispirati a stampe nordiche, combinano riferimenti e allusioni alla campagna circostante e alle regioni del mito. Grande protagonista dell’arte di Veronese è il colore, disteso a larghe e luminose campiture, ancora più evidenziate dalle cornici architettoniche dipinte. Gli ambienti si presentano quindi chiari, definiti dalla luce naturale e dalle armonie cromatiche veronesiane, con un esito di composta classicità e rara integrazione di architettura e affreschi, di ambiente interno ed esterno. Esempi di affreschi sono: Giustiniana Giustiniani Barbaro e la nutrice: matrona con servente, cane bianco e rosso che si staglia sul vestito della vecchia scura, le carnagioni sono contrasto tonali. Viste dal sotto in su grande prospettico da un parapetto. Bambina che si affacciata alla finta porta: illusionismo prospettico. A partire dagli anni Sessanta, le scene dipinte dal Veronese si affollano di figure stagliate sullo sfondo di grandiosi prospetti architettonici (che con la loro massa chiara si trasformano in validi supporti cromatici) mentre l’impianto della rappresentazione diventa sempre più teatrale e gli episodi, sacri o mitologici, trascendono in luminose rappresentazioni profane, come in Alessandro e la famiglia di Dario, dove personaggi in costumi antichi e moderni si scalano contro un fondale classicheggiante, che ricorda i contatti dell’artista con Palladio. Questo si osserva anche nella grande tela (i veneziani sono primi a fare opere su tela, forse perché città lagunare, forse per ragioni conservative) Convito in casa di Levi: (1573) una cena inserita su uno sfondo di città realistico (la tradizione della città reale da Carpaccio ai Vedutisti). È attento agli aspetti coloristici, la pittura molto chiara. Un gigantesco porticato a tre fornici definisce lo spazio della tavola intorno alla quale siedono personaggi sacri e profani, mentre la scena principale, di soggetto eucaristico, si svolge isolata al centro. Il colore è steso timbricamente e fa risaltare il fasto mondano della composizione. Venere e Marte uniti da Amore : (1570) pittura chiara, luce atmosferica e trasparente, effetti coloristici, natura autunnale, pose artificiose ed eleganti, effetti di veri diversi, nudo morbidissimo, tenero tondeggiante con macchiature che sono effetti di verità indagine della natura fico con colori autunnali, pittura mitologica, antico visto con tenerezza di stesura. 41 Scuola di Praga (Pittori rudolfini): APPROFONDIMENTO FORNITO DALLA DOCENTE COME APPROFONDIMENTO DEL MANIERISMO FUORI DALL’ITALIA Con il nome di scuola di Praga si designa la particolare produzione artistica sviluppatasi nella città cecoslovacca durante il regno di Rodolfo II d'Asburgo, re d'Ungheria e di Boemia e imperatore del sacro romano impero germanico dal 1576 al 1612. Indicato da Karel van Mander come modello contemporaneo per eccellenza di mecenatismo e collezionismo, egli lega indissolubilmente il suo nome alla copiosa fioritura culturale e artistica di Praga, divenuta residenza imperiale nel 1583. Rodolfo diviene imperatore a ventiquattro anni dopo la morte improvvisa di Massimiliano II, di cui eredita la maggior parte dei consiglieri. Inizialmente mantiene un legame culturale con il regno di suo padre, ma ben presto l'indole malinconica ricordata dalla fonti che lo porta a condurre una vita sedentaria tra le mura del suo castello praghese di Hradschin, l'abbandono di ogni progetto matrimoniale, la tolleranza e permissività religiosa e la predilezione per le scienze occulte rendono la sua corte fortemente caratterizzata rispetto a quella del predecessore. A ciò si aggiunga una vera e propria ossessione per il possesso di opere d'arte e "oggetti strani" e la grande magnanimità nel mantenere a corte artisti e studiosi, tra i quali spiccano i nomi di Tycho Brahe e Keplero, presenti in vesti non solo di astronomi, ma anche di astrologi. La collezione imperiale, costruita appassionatamente negli anni con accurate missioni diplomatiche rispecchiava dunque il gusto personale di Rodolfo che fa cercare in Italia opere di Leonardo, Raffaello e Michelangelo, ama immensamente Dosso, Correggio e Parmigianino e ammira inoltre la pittura tedesca di inizio Cinquecento, in particolare Dürer, del quale fa giungere da Venezia la Madonna del Rosario, oggi ancora a Praga. Quando Rodolfo non riesce ad ottenere il quadro desiderato ne fa eseguire una copia, e ciò spiega la grande quantità di quadri di derivazione dalle composizioni dei famosi artisti rinascimentali, italiani e non, presenti ancora oggi a Praga. Della collezione rimane ben poco nella città che originariamente la ospitava: sotto il regno di Mattia, fratello e successore di Rodolfo, un cospicuo nucleo di quadri viene trasferito a Vienna, dove in parte è ancora conservato. Intorno al 1615 un altro nucleo di dipinti viene smembrato tra diversi membri della famiglia Asburgo, tra cui l'arciduca Albrecht, risiedente a Bruxelles. In questa città, pochi anni dopo alcuni dipinti appartenuti a Rodolfo appaiono sul mercato e gli stessi Asburgo procedono ad ulteriori vendite nel 1623 e nel 1635. Infine nel 1648 le truppe svedesi ammassate in Boemia prima della firma del trattato di Westfalia, che doveva metter fine alla guerra dei trent'anni mettono a sacco la zona di Praga e saccheggiano quel che resta dei tesori rudolfini. Ma l'impegno artistico della corte praghese non è volto unicamente alla formazione delle collezione, per scuola di Praga si intende infatti la produzione artistica contemporanea, conosciuta anche come pittura rudolfina. Quest'ultima definizione mette chiaramente in luce l'iniziale tratto unificante: la committenza. Invitati direttamente dall'imperatore o attirati dallo splendore della corte giungono da varie parti d'Europa artisti di ogni genere, spesso con una solida formazione alle spalle. Solo nell'ultimo periodo del regno di Rodolfo si crea infatti un certo tipo di linguaggio stilistico ben caratterizzato. Il nucleo originale del circolo originario dei pittori rudolfini è inoltre una sopravvivenza della cerchia coagulata dal padre di Rodolfo, Massimiliano II, tra cui spiccano Jacopo Strada, antiquario e organizzatore delle grandiosi feste di corte e il milanese Giuseppe Arcimboldo, che, ritrattista di corte per Ferdinando I nonno di Rodolfo II, crea per quest'ultimo e per il suo predecessore Massimiliano II le famosissime "teste allegoriche" basate sul processo logico del "sistema delle corrispondenze", le più famose delle quali sono le Quattro Stagioni e i Quattro Elementi. Nel 1587immediatamente la pittura rudolfina sono senza dubbio quelli di Bartholomeus Spranger , presentato all'imperatore dal Giambologna, Joseph Heintz e Hans van Aachen. Il primo nato ad Anversa è quello che resta più a lungo al servizio dell'imperatore, chiamato ufficialmente nel 1580 vi rimane infatti fino alla morte, nel 1611. Spranger, reduce da un lungo viaggio in Italia gioca infatti un ruolo chiave nelle formazione del particolare stile rudolfino nella sua posizione privilegiata a corte: egli mantiene infatti stretti rapporti con Rodolfo II che lo invia come emissario all'estero per l'acquisto di oggetti artistici a lui particolarmente cari, ruolo già rivestito dall'Arcimboldo. Joseph Heintz, svizzero, è nominato pittore imperiale nel 1591 e viene inviato a Roma per acquisire pezzi di antichità per la collezione. Nel 1592 anche Hans von Aachen originario di Colonia riveste lo stesso ruolo a corte. I tre lavorano spesso insieme e subiscono col tempo reciproche influenze, fatto che ha portato gli studiosi a definire dei caratteri stilistici peculiari comuni ai tre artisti di figura e allo scultore Adrian de Vries, soprattutto nella resa dei volti femminili che, dopo il 1605 divengono molto somiglianti tra loro, e nella resa del chiaroscuro, che diviene più accentuato alle soglie del nuovo secolo. Ma le opere dei tre pittori di figura si imparentano anche per la scelta dei soggetti trattati. La pittura rudolfina predilige infatti i soggetti profani piuttosto che quelli religiosi, il cui numero appare abbastanza limitato. Oltre alle numerose allegorie dipinte in allusione al regno di Rodolfo appaiono moltissimi quadri a soggetto mitologico le cui fonti sono molto spesso i testi di Ovidio, Omero e Apuleio. Frequente è l'illustrazione del famoso motto terenziano «sine Baccho et Cerere friget Venus». La predilezione per questo genere di soggetti è rispecchiata anche nella collezione di dipinti rinascimentali di Rodolfo, tra cui spiccano i quadri con gli Amori di Correggio. Purtroppo non si sa nulla dell'originale disposizione dei dipinti fatti eseguire da Rodolfo e del loro numero, se cioè facessero o meno parte di una serie, come sembrerebbe visto il ricorrere delle stesse fonti per i soggetti, anche se 42 non esiste alcuna prova dell'esistenza di specifici programmi iconografici alla base dei dipinti. I dipinti praghesi, costellati di citazioni delle antichità viste dai tre principali pittori a Roma, mostrano spesso coppie di mitici amanti o divinità femminili nude rese in maniera estremamente sensuale, fatto che ha fatto ipotizzare un interesse puramente erotico alla loro base. La scuola e la sua sensuale pittura dura solamente quanto il regno di Rodolfo II. Come la meravigliosa collezione, gli artisti muoiono con l'imperatore: Heintz nel 1609, Spranger nel 1611 e van Aachen nel 1615, dopo aver lavorato per Mattia a Vienna. Gli altri pittori continuano in parte a lavorare a Vienna ma la vedute meno tolleranti, soprattutto in campo religioso e gli incarichi non frequenti e meno remunerati della nuova corte disperdono la cerchia in pochi anni. La capitale viene infine trasferita a Vienna e la pittura rudolfina viene considerata una splendida parentesi "internazionale" che non prolifica all'interno di una ben diversa tradizione boema. 45 Sempre di Annibale è Ragazzo che beve, (1582-1583) che può essere confrontato con un soggetto simile di Caravaggio, il Fruttaiolo. Si tratta di una presa d’atto di un giovane che beve, portandosi il bicchiere alla bocca, ritratto dall’artista in una posa e in una gestualità normale. Sono indagate le trasparenze del vetro, i riflessi di luce sul vetro della brocca e sul bicchiere, che lascia vedere il volto. I bianchi sono impastati, disegna e dipinge alla veneta. Caravaggio invece a Roma dipinge un allievo di bottega atteggiato a portarolo di frutta, ancora una volta un soggetto non soggetto, preso dalla realtà quotidiana. I bianchi sono diversi da quelli di Carracci: sono “reattivi” partono dai grigi (bianchi in controluce) messi in luce con veemenza e forza di pennellata, avvicinandosi al bianco puro per pennellate sovrapposte, più evidente. Caravaggio è attento al colore che macchia il muro, il fondo di è grigio alla lombarda, e non disegna, evidente da alcuni errori (ad esempio il muscolo si innesta sul collo nel punto sbagliato, gli occhi sono occhi storti). Anche nel tema sacro si guarda alla realtà Annunciazione di Ludovico Carracci (1584) realizzata per la chiesa di San Giorgio a Bologna. Un severo rigore formale e prospettico definisce la scena che viene sfrondata di ogni elemento superfluo e semplificata adattarsi a una lettura devota: le figure sono distinguibili, i vestiti e l’ambiente sono quotidiani (il cesto appoggiato per terra, i libri o il volto stesso della Vergine rivelano il recupero del "vero" quotidiano), l’atteggiamento è umile, le pose realistiche. Non c’è nessun artificio, ispira la devozione. Nell’Annunciazione fra l’angelo e la vergine c’è sempre un elemento che separa mondo terreno e divino, come il giglio, oltre ad essere un omaggio. La gamma cromatica è contenuta, i delicati effetti luministici esplicitano gli aspetti naturali e sovrannaturali della rappresentazione. Annibale Carracci, Crocifissione e santi: (1583) equilibrio compositivo raffaellesco, figure vestite e riconoscibili, non idealizzate, sguardo al naturale (piedi sporchi, aspetti rustici di ispirazione caravaggesca). Nelle opere riformate spesso c’è una figura che osserva il riguardante e indicandoci il fatto sacro introduce alla devozione. Giovan Battista Paggi è un pittore tenero, che guarda a Correggio, studia la pittura veneta. Lavora in Liguria. Altri pittori riformati fiorentini: Passignano, San Sebastiano condotto al sepolcro: (1602) il colore è steso con libertà; studia dall’antico e dal naturale che, seppur fiorentino, risulta molto macchiato e morbido, grazie ad influenze venete; gli scorci sono corretti; non ci sono scorci esagerati. Venezia diventa la nuova meta obbligata per imparare a dipingere in maniera diretta: i veneti dipingevano, infatti, in maniera meno astrattiva, senza disegno e sfruttando tutte le potenzialità del colore, usato in modo mimetico, avvicinandosi alle tonalità della natura. Il tema raffigurato è quello delle pie donne che sorreggono il corpo morto di San Sebastiano dopo il secondo martirio (martirizzato due volte: con le frecce; buttato nella cloaca massima). Federico Barocci, Madonna del Popolo: (1575-1579)recupera Correggio nello scorcio di empireo che sovrasta le figure, le pose sono concitate ma naturali, recupera i maestri ma non in senso manierista. La donna che indica al bambino il fatto sacro è tipico della pittura riformata. Cigoli, Martirio di san Giacomo Maggiore: (1605) le pose plausibili; studio degli affetti su una diversa scalatura; il nudo vero, studiato dal naturale; colori a contrasto cromatico, passaggio di morbidezze del colore. Studio di figura: i disegni si ammorbidiscono grazie all’utilizzo dei pastelli, che permettono di studiare scorci particolari, utilizza la biacca per rialzare i bianchi (la carta infatti è azzurra). Bagnanti a san Niccolò : (1600) il naturalismo porta anche a soggetti divertenti, come questa scena d’estate su un ponte di Firenze, dove i ragazzi fanno il bagno e giocano. Jacopo da Empoli, Sant’Ivo protettore delle vedove e degli orfani: pose equilibrate, i personaggi sono vestiti alla moderna, c’è verità di pose. Per il volto della donna a destra c’è uno studio precedente su carta, dove è raffigurato un ragazzino di bottega. Realizza anche nature morte primitive come Dispensa con pollame, lepre, selvaggina e testa di porco (1624) dove osserviamo presentazioni semplici, una sorta di mostra di oggetti appesi o su un piano leggermente ribaltato, disposti simmetricamenti. C’è una verità straordinaria di osservazione non solo per le figure. Commodi, è inventore dell’Autoritratto a pastello, dove si osservano passaggi realistici di colore tra capelli e barba. Nudo di donna giacente: disegni molto moderni, non idealizzati, la donna addormentata è ritratta in una posa molto. Un nudo così per un fiorentino è strano, è molto sperimentale. A Bologna si osserva uno stile più sostenuto, Annibale Carracci viaggia a Parma per studiare Correggio recuperando lo stile del primo Cinquecento: non c’è più clima rustico. Un esempio è la Madonna in trono con San Matteo (1588) o gli Affreschi di Palazzo Fava (1584). Nel 1595 Annibale si trasferisce a Roma (passerà anche Ludovico, ma tornerà ben presto a Bologna) su invito del cardinale Odoardo Farnese, che gli affida la decorazione del Camerino e poi della galleria di palazzo. Nella capitale pontificia il suo stile avrà una grande svolta: l'artista matura ulteriormente le opere di Michelangelo e soprattutto di Raffaello, dando corpo ad un classicismo che si radica in una sintesi di idealismo (di matrice romana) e naturalismo (assorbito negli anni giovanili), diventando l’iniziatore del classicismo seicentesco, lontano dal naturalismo delle 46 prime opere. Ne scaturisce uno stile carico di energia e di slancio creativo, lontano da archeologismi o aulicità. Decora Galleria Farnese tra il (1599-1600) dove inventa un soffitto di grande magnificenza con quadri riportati fingendo che siano appesi, con le cornici dorate o di stucco. Elimina gli scorci (diversamente dagli affreschi, dove si osservava invece lo studio di Correggio, sia per scorci e morbidezze), studia Michelangelo e Raffaello, non in senso manierista. Composizione equilibrate. Nei disegni si osserva lo studio della luce, intensa, come in Atlante. 47 Lezione XI – Caravaggio *testo in verde: aggiunte dal manuale o frutto di ricerche personali relative al contesto storico. *testo in blu: aggiunte dal manuale o frutto di ricerche personali relative alle opere. Gli anni della formazione di Caravaggio sono difficili da ricostruire: tredicenne, è posto a bottega a Milano presso il pittore bergamasco Simone Peterzano, seguace di Tiziano, di cultura veneta, dove rimane per alcuni anni. [Venere e Cupido con due satiri: il nudo non è manierista, non troppo michelangiolesco; tipo femminile di ispirazione veneta, raffinato, macchiato, colorismo (blu rosa bianco); aspetto giorgionesco della natura, pezzi di naturalia in primo piano.] A Venezia il manierismo aveva spazzato la cultura giorgionesca, indirizzando l’attenzione verso la pittura Centro Italia; Giorgione resterà invece nelle province lombarde, come Bergamo, avviando il filone dei “pittori della realtà (come li definì Longhi) ininterrotto fino al Settecento. Infatti s embra comunque certo che fra le sue sollecitazioni andassero dal naturalismo dei cremonesi (Antonio e Vincenzo Campi) alla conoscenza di opere del Lotto, dei bresciani Savoldo e Moretto e del bergamasco Moroni, tutti artisti che tendevano a privilegiare una visione concreta, non idealizzata degli eventi. Non sono ancora stati individuati dipinti o eventuali disegno del Merisi anteriori al suo trasferimento a Roma. Un ritratto di Ottavio Leoni dell’epoca ci attesta la sua fisionomia, restituendoci un carattere non troppo mite, un viso intenso, una personalità poco facile, agli antipodi rispetto a Raffaello, personalità amabile, circondata di persone. Pochi furono gli allievi di Caravaggio, non amava circondarsi di persona Nel 1592 arriva a Roma, già in possesso di un solido bagaglio artistico ma assolutamente sconosciuto, per ottenere la grande affermazione che il Veneto non gli dava. Trascorre i primi tempi a Roma, non tanto per imparare ma per vendere, nella bottega di Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d'Arpino, grande pittore di storia e di affreschi dell’epoca, artista “alla moda" impegnato in prestigiose imprese, con un ampio raggio di conoscenze di mercanti (dal Cinquecento le collezioni diventano qualcosa di più largo). Dipinge per lui composizioni di fiori e frutta (nature morte), opere di un “genere” ritenuto minore ma richiesto dal mercato, praticato soprattutto da specialisti fiamminghi, ma il rapporto si interrompe rapidamente. A questa fase appartengono composizioni di argomento mitologico-allegorico (allusive alla caducità della vita o della giovinezza o al disinganno), dove figure di adolescenti atteggiati su modelli antichi o michelangioleschi, con fiori, frutta, canestri e caraffe di cristallo, come il Fanciullo con canestro di frutta. (1593-1594) Si tratta di in ritratto alla veneta di tre quarti, il modello è un ragazzo di bottega indossa una camicia da lavoro (si vede dal colletto) come fosse un manto all’antica e una corona di edera (come fosse una corona di alloro); non c’è correttezza disegnativa e anatomica: il collo è corto e l’omero troppo largo. L’osservazione dal naturale portentoso è portentosa, indagata in ogni dettaglio, come la luce che si riflette su ogni acino d’uva e le unghie nere. Punta a cogliere, per mezzo della luce che costruisce le forme e di studiati tagli compositivi, la dignità di ogni elemento naturale, allargando gli orizzonti della “grande” pittura, in polemica con una tradizione che relegava tra i generi inferiori la rappresentazione della realtà oggettuale. Considerazioni simili si possono fare per il Bacchino malato: (1593) la camicia è messa a mo di peplo, studio attento della natura (corona di foglia; uva studiata, mani sporche), i riccioli proiettano le ombre. Sul piano ribaltato si osserva una natura morta, i bianchi sono reattivi alla luce. **Parallelismo tra Annibale Carracci e Caravaggio: soggetti umili (ragazza che beve e fruttaiolo); oggetti studiati direttamente dal naturale, naturalismo senza idealizzazione. La differenza sta proprio nel bianco: Caravaggio parte dal grigio e con delle pennellate di luce fa bianchi alla lombarda. Non dà le ombre ma i bianchi. Capisce le facoltà mimetiche del colore. Imitare il vero da colorista. Toccature di luce, interesse luministico assoluto, anche nella natura morta occhio incredibile a guardare la natura resa in modo mimetico, nessun colore uguale all’altro I fiorentini sono disegnatori e così i bolognesi, mentre di Caravaggio non ci sono pervenuti disegni: metteva il modello naturale davanti a sé e dipingeva direttamente. Longhi dice che Caravaggio si caratterizza per il luminismo per formazione lombarda e naturalismo senza selezione (che faceva anche carraci) figure singole. La natura morte primitiva, non idealizzati, foglia rotta o appassito, aspetti naturali e simbolici di memento mori tutto finisce, anche la bellezza della natura. Per Carracci e Caravaggio, non si parla di realismo ma di naturalismo, perché nel Seicento la rappresentazione della natura ha sempre rimandi simbolici e concettuali, è calata in un contesto religioso. Longhi riteneva che i suoi aspetti identificativi, naturalismo e illuminismo, fossero lombardi perché se si guarda a Savoldo si notano proprio questi aspetti, in particolare nel Ritratto di un giovane, dove addirittura ogni ricciolo crea un ombra sul viso, così come fa Caravaggio. Con Ragazzo morso da un ramarro (1593-1594) inizia a studiare i moti dell’animo, come evidente nella reazione emotiva del ragazzo morso, evidente nel corrugarsi della fronte o la bocca aperta. Abbozza lo sfondo mantenendosi largo, lasciando lo spazio per la figura, in questo caso posta di tre quarti, per chiuderlo in un secondo momento. Ci 50 rendendo alcune parti poco leggibili. Dalle radiografie è emerso che inizialmente avesse scelto di raffigurare soltanto Cristo da solo, in atto di chiamare sé il prescelto San Matteo; più tardi avrebbe aggiunto la figura di san Pietro, alludendo probabilmente alla mediazione della Chiesa (incarnata appunto dal Santo) tra mondo divino e mondo terreno. Martirio di San Matteo: (1599-1600) si tratta di uno dei primi quadri sui quali è stata effettuata un radiografia, che attestato un sostanziale cambiamento in corso d’opera della composizione, in particolare la scala dei personaggi. La scena bloccata nell’acme delle figure, quando il carnefice colpisce il martire riverso, mentre una corona di astanti si ritrae inorridita. La presenza divina è rivelata dall’intervento dell’angelo, che porge a Matteo la palma del martirio. Studia il nudo dal naturale, il luminismo della fase giovanile cede il passo alla maniera scura. I due personaggi che sembrano identificarsi in primo piano sono ricorrenti nelle opere dell’artista. Si raffigura come uno degli astanti, partecipe del martirio. San Matteo e l’angelo, (1610) la tela principale collocato sull’altare, furono realizzate due versioni. La prima, andata perduta durante la seconda guerra mondiale, raffigura San Matteo come un contadino rustico con i piedi sporchi (insiste sulla povertà dei primi apostoli). Appare come un’analfabeta le cui dita sul libro sono guidate dell’un angelo, un ragazzino. Si suppone che questa fosse una pala provvisoria per arrivare alla versione definitiva oppure gli venne rifiutato: effettivamente il naturalismo estremo mal si adattava ad una pala sacra, andava contro principi umanistici e decoro. La seconda versione, presente nella cappella, vede un ripensamento completo del soggetto. Le figure sono poste a doverosa a distanza, il volto del Santo è più ispirato (guarda in alto come nelle statue antiche) e solenne, l’angelo è elegante, trasmette un messaggio spirituale, non fisico. Tutto questo comunque non compromette il grande realismo: il libro in scorcio, San Matteo in bilico fisicamente (ma anche spiritualmente fra l’umano e la verità del divino), pezzo di bravura prospettica. Nel 1600-1601 è attivo nella Cappella Cerasi (Tiberio C. tesoriere del papa) nella Chiesa di Santa Maria del Popolo. L'esecuzione della pala d'altare è invece affidata ad Annibale Carracci, confermando la compatibilità dei linguaggi dei due innovatori della cultura figurativa del tempo. Anche in questo caso si è di fronte a due versioni dello stesso soggetto per la Conversione di San Paolo, (1601) di cui il naturalismo appare troppo radicale. L’umanità di cristo (tema che ritorna sempre in Caravaggio) è sottolineata dall’irruzione violenta, come se non sapesse nemmeno e debba essere sorretto dall’angelo, addirittura rompe un ramo. L’irruzione fisica di un Cristo uomo che tocca con la luce, altrettanto fisica, San paolo che cade da cavallo. Il grande naturalismo interessa anche gli animali, la fauna, i nastri. Nella seconda versione è esclusa l'apparizione divina: la luce violenta che piove dall'alto scivola sul manto del cavallo e sulla fronte dello stalliere che lo trattiene, investendo infine il corpo riverso del santo che solleva le braccia spalancate. Non c’è un accecamento fisico. Il tema è meditativo, intimistico. Sembra una grande natura morta di un cavallo, caratteristica che va contro le regole della pittura di storia, dove la figura è centrale. Crocifissione di San Pietro: (1600) Come ha osservato Roberto Longhi, i gesti dei «serventi» sono più di «operai che si affaticano» che di «carnefici che incrudeliscono». A La terribile verità dell'evento "oggettuale”, messa in risalto dai contrasti luministici, cui peraltro è affidato di far risaltare anche il significato spirituale: la luce che abbaglia il peccatore rappresenta l'illuminazione della Grazia. L’unica figura che si osserva è Pietro, le altre sembrano condannate ad una sorta di damnatio memoriae. La scelta della scena, l’erezione della croce è significativa: è simbolo della fondazione e costruzione della Chiesa nella luce del martirio. Pietro si fa crocifiggere a testa in giù per non emulare il Cristo. Anche in questo caso il naturalismo estremo, come suggeriscono il piede in primo piano, l’indagine lenticolare sul legno della croce, le mani crudelmente trapassate dei chiodi, i dettagli del piede forato con i rivoli di sangue, la schiena scoperta di uno dei personaggi. Le commissioni pubbliche di Caravaggio aumentano: in questi anni realizza la Morte della Vergine (1604-1606) per la Cappella Cherubini di Santa Maria della Scala. Il dipinto fu rifiutato, ma subito acquistato dai Gonzaga su suggerimento di Rubens. Il motivo sicuramente fu la teatralità, umanità terrena degli apostoli in lacrime, secondo un’accezione laica, dove per la morte non c’è possibilità di riscatto. In un umile ambiente invaso dall'ombra, gli apostoli si raccolgono intorno al catafalco su cui giace la Vergine morta, con il volto terreo, il ventre rigonfio, un braccio inerte. In primo piano la Maddalena si abbandona al pianto. Le vesti sono dimesse come l'ambientazione, i personaggi umili. L'intonazione cromatica smorzata è vivacemente rialzata solo dal rosso della veste della Vergine e del pesante tendone, unico elemento scenografico residuo della composizione. Molti contemporanei giudicarono provocatoria l'ambientazione spoglia della scena, in realtà troppo vicina alle esigenze devozionali manifestate dalle correnti spirituali e pauperistiche della chiesa, cui la cultura di Caravaggio conferiva nuova, immediata concretezza. La rappresentazione della Vergine giovane (una immagine allegorica della Chiesa) fu letta allora come inosservanza della "verità” storica, mentre il risalto conferito al ventre rigonfio della Madonna stessa, che allude alla grazia divina di cui Maria è "gravida”, fu interpretato addirittura come un oltraggio (alcuni sostengono avesse addirittura come modello donna morta per affogamento). Il naturalismo troppo spinto (ad esempio i piedi della vergine in primo 51 piano) non era adatto per la pittura di storia. Nella popolana in primo piano si osservano i bianchi reattivi alla luce che partono dai grigi e rialzati di bianco puro. Nella Deposizione, (1602-1604) realizzata per la Cappella Vittrice nella Chiesa nuova degli Oratoriani, si osserva un pathos più contenuto ma solenne: gli affetti dall’ambito quotidiano sono trasfigurati ai toni della tragedia, in un’eleganza di gesti tipica della tradizione umanistica. C’è equilibrio compositivo e naturalismo. Si insiste sulla verità e crudeltà del martirio: la mano sulla ferita, le espressioni intense dei personaggi. Caravaggio tiene conto della posizione dell’osservatore, posto al livello della tomba che accoglierà il Cristo, come una sorta di memento mori. Mentre la fama di Caravaggio cresce, aumentano i problemi causati all’artista da gelosie artistiche e personali e da un carattere troppo irruente e rissoso anche per i parametri del tempo. La parabola romana di Caravaggio vede un declino nel 1606: uno degli avversari del pittore rimane ucciso e il Caravaggio, ferito al volto, fugge da Roma, subendo una condanna a morte in contumacia. Lascia la città grazie all’appoggio dei marchesi Colonna e, attraverso i loro feudi, arriva a Napoli, soggiornandovi un anno e realizzando opere importanti, come le Sette opere di Misericordia, (1607) dipinte per la chiesa del Pio Monte della Misericordia di Napoli. Le opere di misericordia (vestire gli ignudi, dare da bere agli assetati…) sono raffigurate come in un vicolo, dove è accentrata molto la composizione e i personaggi appaiono studiati dal naturale. Lo si osserva in particolare nell’angelo in alto, visto in modo molto ripido e scorciato, dove la mano sembra appoggiarsi a qualcosa che non c’è: questo perché i modelli, non potendo rimanere in queste posizioni a lungo, veniva concesso di reggersi a dei supporti. L’agitata gestualità dei personaggi e il frantumarsi dell'azione, sottolineato da contrasti luministici di drammatica intensità, danno vita a un'iconografia complessa, unica, dalla grandissima forza d'impatto. Si tratta dell’unico quadro in cui raffigura la fonte di luce, una lucerna, una citazione letterale da un’opera che aveva potuto vedere in Lombardia da giovane. Le opere napoletane si inscuriscono sempre di più. Napoli sarà centro importantissimo del caravaggismo (anche la Flagellazione è un’opera di questa fase). Da Napoli si sposta a Malta, dove entra nell’ordine dei Cavalieri di Malta, sperando così di poter tornare a Roma, ricevendo una grazia dal papa. Entra nelle benevolenze di Alof de Wignacourt, di cui realizza due Ritratti di Alof de Wignacourt: (1607-1608) uno di stato, l’altro a mezzo busto, più intimistico, in cui si possono osservare straordinari effetti di luce ed ombra, il naturalismo della seta applicata sul corpetto nero, che si piega e colpisce la luce. A Malta nella Co-cattedrale di San Giovanni lascia un grande quadro che occupa tutta la parete, la Decollazione di San Giovanni Battista: (1608) nel cortile di un carcere (due prigionieri osservano la scena dietro le sbarre di una finestra) immerso nella semioscurità, il carnefice si appresta a infliggere il colpo di grazia al santo. Una giovane reca un grande bacile per raccoglierne la testa; una vecchia si porta le mani al volto; il carceriere osserva la scena impartendo disposizioni. Nella pozza di sangue sgorgante dalla gola del santo decapitato si forma la firma. Lo stile ultimo di Caravaggio vede composizioni meno strette rispetto a Napoli e a Roma, dove riduce lo spazio al necessario, mentre a Malta e in Sicilia lo allarga, i personaggi non sono così addossati. I contrasti luministici si fanno meno serrati e violenti. Altra opera del periodo maltese è l’Amorino dormiente, (1608-1609) realizzata per Francesco Dell’Antella, un fiorentino che porterà con sé quest’opera che fu acquistata a Firenze dai Medici. Non è un bel putto all’antica, è ripreso come all’improvviso mentre i denti; le ali sono di rondine; la luce macchia il nudo A Malta si macchia di un nuovo crimine per cui viene condannato e imprigionato, riuscendo a fuggire, grazie all’appoggio di alti esponenti del clero, rifugiandosi in Sicilia. Il Cavadenti (1609) è l’unica opera di stampo profano della fase matura di Caravaggio. Questo ha scatenato svariate ipotesi in merito, anche l’erroneità di attribuzione, tuttavia da un’annotazione del 1630 circa dei cataloghi delle collezioni medicee risulterebbe opera del Merisi. L’ipotesi è plausibile: gli scorci sbagliati di braccia e mani (che sembrano quelle dei ritratti maltesi) sono tipici dell’artista, così come il modello della vecchia, che sembra quella di Giuditta e Oloferne. Le ombre macchiano l’incarnato, c’è un grande realismo. Pur essendo un soggetto di genere appare distante dalla produzione giovanile non soltanto per il fondo scuro, ma soprattutto per la serietà, drammaticità del Caravaggio tardo. Ritorna a Napoli nell’estate 1609 dove ha nuovamente problemi con la giustizia, ridotto in fin di vita da un'aggressione. Nello stesso anno Paolo V intende revocare la sua condanna, perciò l’artista risale verso, imbarcandosi su una nave da Napoli che arriva forse Porto Ercole, dove morirà di malanno in un ospedale nella confraternita di Santa Croce. Sulla nave dove viaggiava portava con sé alcune opere, probabilmente eseguite per ingraziarsi il papa, come Davide e Golia. Davide è malinconico, medita sulla morte. Golia ha invece le fattezze di Caravaggio: l’artista raffigura sé stesso come un martire, in atteggiamento drammatico che mostra i denti, gli occhi ”incaverniti” e il getto di sangue. Dimostra grande capacità prospettica, il braccio tenta lo spazio verso il riguardante. La stesura del colore diventa sempre più veemente. 52 Lezione XII – Caravaggeschi (NO PROGRAMMA MONOGRAFICO) Secondo Longhi, gli aspetti per riconoscere i caravaggeschi sono il luminismo e il naturalismo radicale. Caravaggio non fece scuola, dunque i caravaggeschi desumono la tecnica direttamente dalle opere, guardando a fasi differenti. Il caravaggismo, specie a Roma, sopravvive fino agli anni Trenta quando viene soppiantato dal barocco, per “ rimanere a passo ridotto nei bamboccianti”. Ad ispirarsi ai dipinti di nature morte del periodo romano sono diversi, anche se rispetto al maestro cambiano il tipo di fiori (prima fiori di campo, come nel Suonatore di liuto, poi coltivati) e le dimensioni (Caravaggio realizzava comunque trionfi molto minuti). • Tommaso Salini , Ragazzo con fiasca e cavoli: si osserva un pezzo di natura morta; la fiasca è una citazione frequente. • Maestro della natura morta Aquavella , Natura morta con violinista: oltre al genere della natura morta, riprende i temi musicali tipici della prima fase romana, la luce trasparente, lo scorcio della mano è corretto (Caravaggio non disegnava, quindi compieva degli errori di carattere anatomico). • Giovanni Baglione , San Sebastiano curato da un angelo: si tratta di un manierista convertito al caravaggismo, infatti qui il martirio è trattato con eleganza oltre che naturalismo, non c’è brutalità, come si nota nella leziosità del gesto di togliere la freccia. Gli scorci sono corretti, ha una formazione disegnativa. Arrivò anche a scontri con lo stesso Caravaggio che non amava essere imitato: nel 1603 ci fu un processo per la Resurrezione nella Chiesa del Gesù, Merisi in tale occasione fece una deposizione dove indicava chi fossero i valentuomini (ovvero coloro capace di imitare il naturale). Successivamente Baglione si allontanò dal caravaggismo. • Carlo Saraceni, Madonna con il bambino e Sant'Anna: la temperatura emotiva è idillica, il naturalismo è molto spinto (la colomba è presa in maniera brutale), l’ambientazione è rustica, i bianchi sono reattivi alla luce, la luce è trasparente (derivante dal primo Caravaggio a Roma). Da veneziano, crea grandi effetti coloristici, usando anche colori estranei a Caravaggio come l’oro e il blu (stonavano con il suo naturalismo). Utilizza sempre gli stessi modelli. Santa Cecilia e l’angelo: riprende i temi musicali, le mani e i gesti sono eleganti e idealizzati, le ali più lunghe rispetto a quelle di Caravaggio, è più corretto negli scorci, il dipinto è scuro ma leggibile. Riposo nella fuga in Egitto: si osserva il venetismo nei colori e il paesaggio, i gesti sono naturalistico, utilizza il blu. Lo stesso tema era stato trattato da Caravaggio: il vigoroso naturalismo caratterizza la rappresentazione degli umili oggetti dei viandanti (la fiasca tappata con un foglio arrotolato, il saccone rigonfio) riconducendo l'evento sacro alla gestualità quotidiana, riverberato anche dal motivo del sonno della Vergine con il Figlio, frutto di un'interpretazione intima e affettuosa del tema. Caravaggio evoca qui un'atmosfera autunnale in cui la luce che investe l'angelo musicante, raffigurato di spalle, fa risaltare la modellazione del corpo, le ali e il candido panno, diffondendosi poi smorzata sui piani arretrati. • Orazio Gentileschi è uno dei primi che segue Caravaggio a Roma, tratta anche lui il tema del Riposo dalla fuga in Egitto, contraddistinto luminismo e naturalismo (il saccone citato dall’opera di Caravaggio). È un pittore di formazione toscana, di un pittore che disegna, quindi gli scorci sono più corretti rispetto a quelli di Caravaggio. Ha una parabola particolare che segue il cambiamento di giusto di tanti pittori. Annunciazione: il tendone è di ripresa caravaggesca, è corretto negli scorci, utilizza il blu, disegna la fonte di luce (la finestra), definisce elegantemente i passaggi di ombra e luce. Davide e Golia: riprende la fase giovanile di Caravaggio dove le penombre sono poche e tutto è leggibile, non c’è violenza, piuttosto malinconia (non c’è sangue, la testa di Golia è collocata sul fondo), c’è interesse nei confronti del paesaggio. • Artemisia Gentileschi. Nel Cinquecento le donne si dedicano alle arte liberali, anche se resta comunque difficile mette su bottega con modelli e poter realizzare pitture di storia, perciò si adoperano piuttosto alla ritrattistica o alle nature morte. Artemisia, figlia di Orazio, ha la possibilità invece di accedere alla pittura di storia e capirne i temi cruenti, avere modelli maschili e femminili, nudi e panneggiati, studiandoli nella bottega paterna. Suonatrice: nelle prime opere si dedica a temi lievi come la musica. Giuditta e Oloferne. Violenza e teatralità caratterizza il tema delle eroine: fra il Cinquecento e il Seicento, con il sostegno di Cosimo II e la moglie, nasce il melodramma a Casa Bardi a Firenze, con lo scopo di riportare in vita la musica antica (che non aveva testi scritti), si parla infatti di “recitar cantando.” Alcuni rileggono l’opera in chiave psicanalitica e femminista, come vendetta della violenza subita da parte di un collaboratore del padre (Agostino Tassi), che lei denunciò. Confronto con il Giuditta con la testa di Oloferne di Cavalier d’Arpino, dove i volti sono generici, c’è eleganza e non patetismo. • Bartolomeo Manfredi, Le Quattro Stagioni: si tratta di natura morta ispirata al primo Caravaggio, connotata da naturalismo e leggibilità. Manfredi, differentemente dal Merisi, vuole fare scuola (si parla infatti di manfredianus metodus), specialmente rispetto ai temi di osteria e della musica, riprendendo modelli e vestiti di Caravaggio. Alla sua bottega fanno capo gli stranieri attivi a Roma per studiare il caravaggismo, come si vede in Bacco. Non tratta temi 55 la bellezza diagonale, il dinamismo, la concitazione. Più vincolato alla bottega romana di Annibale è Francesco Albani, che lavora al completamento della galleria Farnese e delle lunette Aldobrandini, elaborando una personale visione classicistica che, per una vena elegiaca e morbida, si distacca dall'interpretazione del maestro e dall'idealizzazione formale del Reni. Nei tondi raffiguranti Storie di Venere e Diana ( Teoletta di Venere) (1622) si riconosce lo studio degli affreschi di Raffaello alla Farnesina, interpretati con un sentimento idilliaco che trova espressione nella rappresentazione distaccata e serena dei paesaggi mitologici.) Sviluppa qui il genere delle composizione arcadiche (ispirati alla letteratura ellenistica), il tema del paesaggio viene riletto in senso classicista, solenne, idillico. Il gusto è alessandrino, i soggetti un po’ giocosi (es. i putti che giocano tra le fronde). Trionfo di Sansone: (1611) il nudo è naturalistico e gareggia con la bellezza ritmica dell’antico; lo sguardo al cielo ispirato ma non contratto, non patetico; il panneggio appare gonfio ma fermo; ricerca l’equilibrio anche nella tragicità, anche nella morte, tutto è ricondotto alla bellezza formale. Casino dell’Aurora per Palazzo Rospigliosi, Roma: (1614) gusto per la grande decorazione, è un quadro riportato al centro del soffitto, non ci sono scroci; il corteo di donne si muove come menadi danzanti, il movimento è ritmico, il panneggio che crea un alone attorno alla figura, si ricerca una bellezza ritmica neoattica; Confronto con Guercino (artista di formazione provinciale, che aveva rivolto la sua attenzione alla pittura di Dosso Dossi, dei veneti e del Correggio per poi accostarsi ai Carracci), Carro di Aurora, Casino Ludovisi (1621) : alla chiarezza e alla tensione ritmica di Reni, si sostituisce una tecnica pittorica vibrante, caratterizzata da una vibrante stesura a macchia e contrasti luministici. Valendosi della collaborazione del quadraturista Agostino Tassi che dipinge l'intelaiatura architettonica dell'affresco, conferisce all'immagine impeto travolgente, traendo il massimo partito dall'effetto di sfondamento illusionistico della volta. Il vibrare delle luci accentua l'effetto di movimento generato dalle nubi, dagli scorci e dai gesti delle figure. Non è dunque un quadro riportato, gli scorci sono anamorfi. Reni, Soffitto Sala dell’Aurora per Palazzo Rospigliosi, casino dell’Aurora: gusto per la grande decorazione, è un quadro riportato al centro del soffitto, non ci sono scroci; il corteo di donne si muove come menadi danzanti, il movimento è ritmico, il panneggio che crea un alone attorno alla figura, si ricerca una bellezza ritmica neoattica. Anche Raffaello nelle Logge Vaticane aveva realizzato limitati esperimenti prospettici, anche se per la parte di storia aveva preferiti i quadri riportati. Vitelli e Colonna, Palazzo Pitti: veri grandi specialisti della quadratura, era bravura nel macchiare le architetture a creare gli effetti di luce, sfrutta la luce della finestra vera per simulare l’irradiamento della luce sulle colonne dipinte. Interessante l’espendiente illusionistico del ragazzino che guarda verso la finestra col cannocchiale. Il carro un po’ storto nel soffitto sembra una citazione a Guercino. Nell’ambiente romano dei primi tre decenni del Seicento, dove maturano esperienze molto differenziate, si pongono i presupposti del consolidarsi di un'estetica classicistica, destinata a durevole successo, che vede tra i propri fondatori Domenichino, che diventerà autonomo solo alla morte del caposcuola, nel 1609. Nei suoi dipinti si riconosce uno spiccato interesse per il disegno (mutuato da Ludovico Carracci), per la chiarezza narrativa e per una meditata elaborazione formale che, partendo dalla “selezione” dei dati naturali, li trasferisce in una dimensione di bellezza classica e ideale, purificandoli da ogni "triviale” naturalismo. Esempi sono Sibilla (1617) che esprimono una bellezza raffaellesca, testimoniando un certo interesse nello studio degli elementi naturali, e Caccia di Diana, (1616) dove i profili alla greca, sono reimmessi in una realtà naturale, resa attraverso il grande studio del paesaggio. A Nicolas Poussin, artista francese che arriva a Roma, si deve la più convinta rigorosa attuazione dell'ideale classico in opere che presuppone una costante consuetudine con la storia e la letteratura antiche. Partecipa alla riscoperta del neovenetismo come Rubens (l'interesse per la pittura veneta, tizianesca in particolare è un orientamento isolato comune a diversi artisti di questa fase, come Pietro da Cortona, Andrea Sacchi…). Egli impone anche alle opere più dichiaratamente "neovenete” un ordine assai meditato, articolando la composizione in ampie ellissi o bilanciate simmetrie, abilmente dissimulate dalla calcolata varietà dei gesti, delle attitudini e degli intervalli. L'idea di bellezza suscitata dalla poesia antica è fissata in un'immagine evocativa, armoniosa, sottratta al contingente e proiettata nell'atmosfera distaccata del mito. Altre opere appaiono sostenute da una forte tensione morale che si esprime in accenti di controllata gravità. Ne L’ispirazione del poeta (1630) si osserva il nudo naturalistico, meno statuino, gli effetti di striatura del paesaggio, macchie di luce ed ombra, riprende il classicismo cromatico di Tiziano, pennellata libertà. Selene ed Endiminione: (1630) i soggetti mitologici dell’artista sono sempre caratterizzati da un timbro cromatico chiaro e luminoso, ricco di riflessi dorati. 56 Martirio di Santo Erasmo: (1628) il santo è poggiato su un tavolaccio, gli vengono strappate le viscere e avvolte sul rullo, nonostante questo non c’è sangue e patetismo, no dolore (agli antipodi rispetto a Caravaggio). C’è la visione solenne della tragedia, l’accettazione virile di questo dolore. Le tonalità sono tipiche della pittura veneziana, squillanti. Lo sfondo aulico è all’antica. Poussin, La peste di Azoth: (1630) restituzione dell’ambiente e dell’atmosfera della Roma imperiale (architetture, abbigliamento…) come Mantegna, presentando un grande repertorio delle antichità. Studia bassorilievi, colonne, la gestualità solenne dei bassorilievi antichi, pathos equilibrato, vuole ricreare l’antico. Cassiano del Pozzo commissionò a Poussin, Pietro da Cortona e altri artisti la realizzazione del Museum Cartaceum, un atlante delle antichità di Roma (simile al progetto che aveva interessato Raffaello). Confronto Poussin di ritorno in Francia Morte di Germanico e Il giuramento degli Orazi di David: nel primo si osserva il classicismo, lo studio del naturale, composizione casuale e popolosa, avrà guardato al barocco (forse avrà guardato al Barocco); nel secondo eroicismo, più statuino, meno popoloso, corrispondenze di composizioni. L’episodio trattato da Poussin con severa concentrazione sull'episodio deriva dalle Historiae di Tacito e alla sua origine una lunga riflessione sulla “storia", nello sforzo di trasporla in un linguaggio antico, modellato sui marmi romani e sulle immagini dei poeti classici, fondata sul perenne valore degli exempla e l'immutabile grandezza delle leggi morali. Paesaggio classicista: Tra le poche opere eseguite da Annibale Carracci dopo la conclusione dei lavori nella galleria Farnese il cardinale Aldobrandini" sono due lunette dipinte: si tratta della Deposizione e Fuga in Egitto. In quest’ultimo crea uno dei primi paesaggi italiani ispirati alla poetica dell'ideale classico, aprendo la strada all'opera di Nicolas Poussin e Claude Lorrain. Entro una vasta veduta fluviale l'episodio del viaggio della Sacra famiglia è assorbito da un nuovo “sentimento della natura", segnata dalla presenza dell'uomo e concepita come ambiente armonico ideale. Il grandioso senso di profondità prospettica e atmosferica è generato da sapienti tagli spaziali e luminosi, mentre lo studio dei particolari naturalistici non turba l'unità emozionale e compositiva dell'immagine Disegna dal naturale (campagna romana) e ricompone in studio. La campagna è quella cantata da Virgilio, esprime un sentimento solenne, arcadico, sembra il paesaggio dove hanno camminato gli antichi. Riequilibra la composizione: gli alberi sono simmetrici, ci sono due cannocchiali prospettici verso le lontananze. Il tema sacro è ridotto al minimo. La cultura artistica di Annibale spazia dalla conoscenza di opere venete fino ai paesaggi "archeologici" di Polidoro da Caravaggio, ma la sua visione del paesaggio supera ogni precedente esperienza, dando vita a immagini (sentimentalmente vicine alla poesia di Tasso) che trasferiscono la natura nella lontananza eroica del mito. Lorrain, innamoratosi degli orizzonti della campagna romana, la elesse a tema quasi unico della sua pittura. L'importanza assunta nel corso del Seicento dal paesaggio come genere autonomo trova appunto nell'opera del Lorenese una delle testimonianze più alte e significative. Riallacciandosi agli esempi di Annibale Carracci e del Domenichino, l'artista ricompone le impressioni dal vero entro scenari ideali, dove la visione si dilata fra quinte architettoniche e grandi gruppi di alberi. Paesaggio con Fuga in Egitto (1603- 1604) ne è un esempio: qui la luminosità alta e diffusa, mutevole a seconda del momento della giornata, si fa indistinta e abbagliante verso l'orizzonte, colma gli spazi, debolmente contrastata dalle ombre che si addensano ai lati; il tramonto tocca l’acqua, la luce tocca le nuvole dal sotto. Grande merito di Claude Lorrain fu di avere riconciliato l'ideale classico alla natura e di averlo calato in scenari vivificati dallo splendore della luce. L'importanza di queste novità spiega lo straordinario e duraturo successo incontrato dalla sua opera, divenuta modello per generazioni di pittori europei. Porto con Villa Medici: (1637) studia gli elementi dal naturale ma li ricompone in studio, creando un paesaggio di invenzione poiché la Villa non è sul mare. La luce naturalistica, evidenzia le increspature dell’acqua. Salvator Rosa (attivo in particolare a Napoli, ma ha anche un periodo fiorentino negli anni Quaranta), Democrito in meditazione: (1650) no classicismo, non c’è equilibri, la è luce generica, il paesaggio è più meditativo e misterioso, elementi dell’antichità. Il Barocco tratta il paesaggio in maniera diversa, ad esempio ne Le Allumiere di Tolfa di Pietro da Cortona: non c’è classicismo, il paesaggio è scaleno costruiti per diagonali, esalta lo spettacolo della natura che sovrasta gli uomini, che appaiono come figurette piccolissime, la luce studiata dal vero (molto neo venetismo), non ci sono pieni e vuoti. 57 Andrea Sacchi fu animato da propositi che rivaleggiarono in rigore con quelli di Poussin. L'ambizione di sostenere il confronto con Annibale Carracci e Raffaello spiega la meditata lentezza con cui l'artista lavorava, puntando sulla semplicità compositiva e la chiarezza del significato. Realizza il soffitto del Trionfo della Divina Sapienza: (1629-1631) non c’è visione ripida, gli scorci sono moderati, le figure sono poche [vedi Barocco]. Così come Poussin si rifà al neovenetismo, la stesura del colore è libera, come si osserva ne Le tre Maddalene. Ritratto di un musico e Apollo: espressioni contenute, modello Apollo del Belvedere. Visione di San Romualdo: pochi colori bruni dei sai, solennità delle figure, molto meditative, aspetti severi dell’espressione; la severa concentrazione sul significato religioso si traduce nella soppressione di ogni elemento accessorio e nel rilievo monumentale conferito alle figure dei monaci. San Francesco sposa la verità. Algardi costituisce una salda alternativa alla linea barocca, l’unico a Roma a tenere testa a Bernini e affermarsi come autonomo caposcuola, pur apprezzandolo e lasciandosi contaminare. Frequenta l’Accademia di Ludovico Carracci a Bologna e studia l'arte classica a Roma, dove si specializza nel restauro di statue antiche, accostandosi al più anziano Domenichino e ai suoi ideali di compostezza e decoro. Nella celebre pala marmorea per San Pietro raffigurante Incontro tra san Leone Magno e Attila: opera agitata, classicismo che rasenta il barocco, ma più equilibrato nella composizione, alterna pieni e vuoti, ci sono poche diagonali. Apparente dinamismo, in realtà visione più equilibrata e meno popolosa, simile alla pittura di Andrea Sacchi. Maratta, allievo di Sacchi, Madonna con i santi Carlo e Ignazio, esempio di opera del classicismo del tardo Seicento. La composizione più o meno triangolare, al centro di un trono con la Vergine, ricerca l’equilibrio, ricorda un po’ Raffaello, bellezza dolce e malinconica. Nella parte centinata si osserva un’apertura di cielo con luce calda, per influenza di Lanfranco e pittura barocca. Cristo e la Samaritana al pozzo. Pompeo Batoni è un’artista neoclassico che porta al Settecento il filone del classicismo ad un clima nuovo sia nei soggetti che nei ritratti. (Diana e Cupido, Ritratto virile). Il classicismo seicentesco è fondato sul naturale e intrattiene un rapporto con il barocco, specialmente rispetto al neovetismo, ovvero pennellata libera e corposa come in Andrea Sacchi. I colori sono schiariti, c’è senso sensualità, più eleganza statuina, si va verso il classicismo, effetto più tornito del nudo. Ritratto aulico, busto all’antica solennità. 60 Cristo post mortem con dio padre e al di sotto Sant’Agostino che ne ha la visione. La luce calda, ultraterrena di derivazione correggesca. Non si può di certo dire caravaggesco, seppur in alcuni punti sia più vero nella raffigurazione come nel panneggio e nel vestito. Considerazioni simili si possono fare per la Miracolo dei pani e dei pesci: (1624-1625) Scena di popolo animata da figure scalene, assenza di equilibrio, visione corale, no corrispondenze ritmiche fra una raffigurazione e l’altra, cerca la disarmonia. Agar e l’angelo: posizioni diagonali, no caravaggismo. Incoronazione della Vergine: c’è una visione di empireo, dove si spalanca la visione della coronazione della vergine, due santi atteggiati verso l’alto, con i volti studiato dalle statue antiche. Anche in Galleria Borghese realizza un grande soffitto visto dal sotto in su. Estasi di Santa Margherita da Cortona, preso dai Medici per la loro collezione, a Palazzo Pitti, fecero fare in loco una copia. La posa estasiata della Santa sorretta dagli angeli con la testa reclinata all’indietro è di invenzione caravaggesca. Su nuvole molto morbide appare Cristo post mortem (lo capiamo dalla ferita sul costato). L'opera, che punta al massimo coinvolgimento dello spettatore, segnò indubbiamente un traguardo nell'espressione delle emozioni e degli stati mistici, schiudendo orizzonti nuovi alle tendenze visionarie dell'arte barocca. Questa nuova iconografia porterà nel seicento avanzato alla Trasverberazione di Santa Teresa di Bernini, che avrà come modello proprio Lanfranco, all’altezza delle prime beatificazioni (negli anni sessanta molte canonizzazioni). Nella grande santa spagnola, riformatrice dell'ordine carmelitano, la Chiesa uscita dalla Controriforma riconosceva una delle sue figure più prestigiose. Ella è raffigurata riversa nell'estasi mentre un angelo le trafigge il cuore con un dardo d'oro, immagine dell'amore divino. Le figure dell'angelo e di santa Teresa fluttuano sulle nubi investite dalla luce (miracolistica-caravaggesca) che filtra da una fonte nascosta e inquadrate da un palcoscenico-tabernacolo che si incurva verso l'esterno, emergendo e quasi lievitando dalla penombra anche scolpito il gruppo con il sontuoso rivestimento per effetto del contrasto del marmo candido in cui è cromo della cappella. Qui, nella Cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria esplicita la teoria del “bel composto”, ossia l’idea che tutte le arti vadano unite, ben composte in un tutt’uno: unisce qui scultura e architettura, riprendendo anche la policromia dei marmi antichi delle lussuose dimore dell’antichità imperiale (per Bernini il barocco, così come l’antico è colorato). La cappella diventa lo spazio dell'evento soprannaturale evocato anche attraverso accorgimenti scenici che ne sottolineano l'attualità: da due coretti laterali si affacciano, ritratti nel marmo, membri della famiglia Cornaro in atto di manifestare stupore e devozione, come poggiati su un davanzale teatrale (Bernini fu anche autore di testi teatrali) ; l’architettura alle spalle dà l’idea di spazialità. [precedenti nella teatralità Veronese e Tintoretto] [Bernini vedi lezione successiva] Si arriva con questi alla grande esplosione del barocco con la volta Barberini di Pietro da Cortona del 1632: un grande impianto architettonico scenografico (la composizione è spartita in cinque settori, mediante un finto cornicione sontuosamente ornato da ghirlande e tritoni, ma nello stesso tempo è annullata la rigidezza di limite spaziale con l'espediente delle figure allegoriche che quasi invadendo lo spazio della sala) , enfasi decorativa, illusionismo dal sotto in su, visione popolosa, concentrazione sul movimento (onde dinamiche si espandono ai lati, snodandosi in viluppi di figure verso il centro), la magnificenza (idea tutta italiana, che nasce nel Cinquecento, rileggendo i testi antichi e guardando alle grandi ville imperiali romane); chiaro scuro risentito. Straordinariamente ricca e animata, l'invenzione culmina nella figura della Divina Provvidenza che domina sul Tempo e sulle Parche in atto di decretare onore immortale alle api barberiniane, emblema anch'esse della Provvidenza. Nel complesso programma dettato dai committenti, la celebrazione della Divina provvidenza doveva saldarsi alla glorificazione del casato Barberini e svilupparsi in distinti episodi allegorici che illustrassero virtù cristiane attraverso eventi mitologici ( allegorie: elementi del papato, chiavi, tiara, il tempo con la falce, il tempo giudice delle virtù del celebrato). All’interno delle accademie si accendeva la disputa tra classicismo e Barocco, in particolare nell’Accademia di San Luca si discute se le opere debbano avere poche o tante figure. A confrontarsi sono due artisti che lavorano entrambi per Palazzo Barberini: Andrea Sacchi (autore del Trionfo della Divina Sapienza, dipinto riportato, non sotto in su [vedi lezione sul classicismo]), che ritiene che l’opera debba avere poche figure leggibili, e Pietro da Cortona che sostiene che l’opera debba essere popolosa come un coro di tragedia. Pietro da Cortona studiato la pittura veneziana dapprima nelle collezioni romane, successivamente direttamente sul posto, andando a Venezia con Sacchetti. Il viaggio per la Serenissima prevede una tappa a 61 Firenze. Qui il granduca Ferdinando II gli commissiona a Pietro da Cortona la Stanza della Stufa a Palazzo Pitti dove, simulando degli arazzi, raffigura le età dell’uomo (Età dell’oro), tema allegorico con cui si intende celebrare il gran ducato dei Medici. Si tratta di una commissione di prova per la realizzazione delle stanze adiacenti, Le stanze dei pianeti. L’attività di Pietro da Cortona a Firenze testimonia come la città non fosse refrattaria al barocco, seppur siano presenti delle caratteristiche differenti rispetto a Roma: qui l’artista dipinge più liberamente (non ci sono i grandiosi impianti architettonici della volta Barberini), schiarisce le tonalità (a Firenze piacciono le tonalità chiare, come si vede nelle Sale di rappresentanza di Giovanni San Giovanni, connotati da bianchi squillanti negli affreschi), la composizione è meno alveare e popolosa (Firenze ama la leggibilità e la correttezza disegnativa). Un esempio è Minerva distoglie il giovane principe da Venere per ricondurlo a Ercole per la Sala di Venere, uno sfondato inserito in una cornice di stucchi veri bianchi ed oro(di maestranze romane, a Firenze non se ne realizzavano di così grandi), animato da soggetti allegorici: il giovane sovrano viene richiamato alla guerra da Minerva e portato nelle mani di Ercole. Queste caratteristiche, ovviamente, si ritrovano anche nella Sala di Marte, dove i nudi sono alterati, lo stemma ingigantito, figura riversa su modello raffaellesco della battaglia di Costantino nelle Stanze Vaticane, e nella Sala di Giove, che vede una composizione per gruppi, un cannocchiale prospettico- telescopio galileiano, allegorie meta-storiche. A Palazzo Pitti sono attivi anche Mitelli e Colonna, veri grandi specialisti della quadratura, che affrescano il soffitto della seconda sala. Dimostrano grande bravura nel macchiare le architetture attraverso gli effetti di luce, sfruttano la luce della finestra vera per simulare l’irradiamento della luce sulle colonne dipinte. Interessante l’espediente illusionistico del ragazzino che guarda verso la finestra col cannocchiale. Il carro un po’ storto nel soffitto sembra una citazione a Guercino. L’allegoria di Alessandro Magno allude a Ferdinando II come grande regnante del presente. Pietro da Cortona torna a Roma negli anni Cinquanta e torna alla decorazione scura e fitta, assenti le tonalità neoveneziane, come si osserva nel soffitto della Galleria a Palazzo Pamphilj. Un cortonesco è Baciccio, la cui più importante commissione in questi anni è legata alla compagnia dei Gesuiti, che riconoscono un linguaggio barocco come il più adatto ai propri programmi di celebrazione dogmatica e propaganda dottrinale. Si tratta dell’affresco dell’Esaltazione del nome di Gesù (1679) nella volta della chiesa del Gesù, dove esplicita la teoria del “bel composto” berniniana: in stucchi veri inserisce una composizione alveare, illuminata da luce intensa scura per cui le figure risultano poco leggibili (grovigli di demoni che cadono dall’altro e schiere di beati che fluttuano sulle nuvole), gli incarnati hanno tonalità bruciate come Rubens, c’è dinamismo e espressione degli affetti. La luce contribuisce a rafforzare l’illusione e creare spettacolarità. Diversa è la volta Chiesa di Sant’Ignazio (Gloria di Sant’Ignazio) del 1692 di Andrea Pozzo, membro della compagnia dei Gesuiti, che riprende la tradizione quadraturista di Pietro da Cortona e dei settentrionali, opponendo alla libertà spaziale di Baciccio una serrata prospettiva architettonica che sfonda la navata e permette di scaglionare le figure entro una successione vertiginosa di piani creando un cannocchiale prospettico verso l’infinito. Gli stucchi non sono veri, la luce è chiara (segna il passaggio nodale verso il Settecento dove la pittura in generale si schiarisce), la composizione appare diradata, costruita per gruppi. Il cambiamento epocale si ha con Luca Giordano, detto Luca Fapresto per la velocità di pennellata. Nel 1682 realizza a Firenze nella Cappella Corsini nella Chiesa del Carmine una volta fitta di figure, dalla luce calda molto dorata, su ispirazione lanfranchiana. Questa opera chiama a sé le feroci critiche di Baldassarre Franceschini il Volterrano, Giordano fu accusato di non essersi lasciato spazio, che fosse una composizione strana e fitta di figure senza spazio dato al cielo, visione ad alveare. Luca Giordano lavora anche a Palazzo Medici-Riccardi, (1685) il palazzo laurenziano realizzato da Michelozzo nel Seicento che svolse la funzione di dimora medicea fino al Cinquecento, quando il Duca Cosimo I spostò la residenza a Palazzo Vecchio e nel Seicento fu venduto alla famiglia dei Riccardi. Nella volta Luca Giordano inserisce all’interno di stucchi bianchi ed oro di grande magnificenza inserisce una scena allegorica, in cui celebra gli ultimi Medici, per testimoniare l’appartenenza all’entourage della famiglia. Sotto in su straordinario, tenta di migliorare gli scorci. Il colore è schiarito e la composizione è diradata, si dà tanto spazio al cielo, si compone per figure, le critiche determinano un cambio di stile. Sezioni laterali stucchi bianco ed oro, racemi imponenti e grandiosi. Sopra il cornicione si impostano le raffigurazioni per gruppi, cerca uno spazio di cielo tramite un allentamento delle figure popolo. Cortonismo 62 dichiarato nelle teste e nella natura, stesure di morbidezza del neovenetismo. La svolta è epocale, il barocco si alleggerisce verso il Roccocò. Gli specchi sono dipinti con putti (Gabbiani), animali (Bimbi) e fiori (Pandolfo Reschi) in realtà sono armadi. Sebastiano Ricci [vedi altre slide], pittore veneziano, arriva a Firenze nel 1706 chiamato dal Gran Principe Ferdinando III (amante della pittura veneziana e grande collezionista); lavora anche per la famiglia Marucelli. Commiato di Venere da Adone (stanza del Gran Principe a Palazzo Pitti): quadrature più chiare come Veronese, cornicioni alleggeriti (non unico e massiccio, ma più cornici sovrapposte), sfondato, meno figure più cielo. Non è una volta classicista, le composizioni sono diagonali. Nel bozzetto ad olio vediamo tinte meno schiarite, un gioco dei putti e animali, il mito sul piano leggero anticipando il Roccocò. 65 Lezione XVII – Il Rococò *testo in blu: aggiunte dal manuale o frutto di ricerche personali relative alle opere. Il fenomeno della circolazione delle idee e l'affermarsi di un atteggiamento cosmopolita spingono a viaggiare, a stabilire confronti, a raccogliere impressioni, perfino a rivalutare civiltà lontane. Mentre le città italiane sono le tappe più ambite nel grand tour, caro ai gentiluomini inglesi, e restano la meta preferita degli artisti stranieri in viaggio di studi, pittori come Sebastiano Ricci, Giambattista Tiepolo raccolgono allori all’estero, specie nelle corti tedesche, dove la maniera di dipingere italiana continua a godere di un incontrastato prestigio. Il “piacere" è un'altra parola chiave dell'estetica del tempo, a matrice empirista e sensista, legata cioè al “senso" soggettivo e alla sua capacità di stabilire associazioni. Accanto e più dell'ordine e della simmetria, cari al classicismo, vengono ora apprezzati la varietà e l'irregolarità; e in Analysis of Beauty (1753) Hogarth si spinge a cogliere nella linea ondulata o serpentinata, nel ricciolo, la vera essenza della bellezza. Ondulazioni ramificate in riccioli e lievi arabeschi floreali sono in effetti gli elementi formali tipici del Rococò , tendenza che, pur rappresentando sul piano stilistico un'evoluzione del tardobarocco, rispecchia una situazione culturale assai sa e per certi aspetti contrastant e. Il termine, originariamente usato in accezione negativa, con una sfumatura quasi derisoria, deriva dal francese rocaille, indicante un tipo di decorazione per grotte e giardini a incrostazioni di rocce e conchiglie. È un gusto nuovo, estraneo alla magnificenza del Barocco, che nasce dopo la morte di Luigi XIV (1715), nel clima mondano della reggenza del duca d'Orléans, e si precisa nell'età di Luigi XV, al tempo della marchesa de Pompadour. Nato quasi come riflesso di uno stile di vita preziosa mente frivolo e di un edonismo estetico fondato sui "piaceri" del gusto, il Rococò si afferma soprattutto nella decorazione d'interni, nelle gallerie e nei salotti degli nuovi palazzi privati, caratterizzandosi per il brio e la leggerezza che improntano anche le forme del mobilio, i disegni delle tappezzerie e degli arazzi, i motivi delle porcellane. In ambito pittorico lo spirito della rocaille si manifesta con Watteau, e continua nei dipinti erotici di Boucher, trovando qualche eco anche della fête galante, aIl'estero, nei "capricci” di Francesco Guardi. Nel 1690 a Roma, intorno a Cristina di Svezia, nasce Accademia letteraria dell'Arcadia: semplicità ispirata all'antico (serena vita pastorale dedicata ai piaceri della natura), poesia limpida, leggerezza e leziosità, eleganza. La situazione artistica resta tuttavia in Italia complessivamente lontana dai raffinati e spregiudicati indirizzi francesi, che trovano migliore accoglienza nei paesi tedeschi, alle corti principesche, dell'architettura sacra che conosce nelle regioni cattoliche (Austria e Baviera) una straordinaria e fantasiosa fioritura, paragonabile solo a quella tardogotica. Benché la forza delle tradizioni e l'entusiasmo dei viaggiatori stranieri continuino ad assicurare all'Italia un primato di stima, è ad altri paesi, alla Francia e all'Inghilterra, che passano ora il ruolo di guida e di effettiva supremazia artistica. Il ruolo di prestigio internazionale goduto dalla pittura veneziana del Settecento appare in contraddizione con la coeva situazione politica, sociale ed economica della Repubblica. L'immagine di una Venezia opulenta e fastosa è, infatti, ormai improponibile nella realtà e ha modo di sopravvivere solo nella pittura, negli apparati effimeri delle feste, nelle magnifiche quanto anacronistiche cerimonie pubbliche, dove si impongono il recupero della tradizione pittorica del Rinascimento e, in particolare, di Veronese, l'artista che, meglio di ogni altro, si era fatto interprete dei trionfi della storia veneziana. In realtà il mecenatismo di stato non è più in grado di fornire cospicue commissioni; di conseguenza la dimostrazione di enormi possibilità economiche diventano prerogativa della Chiesa, degli ordini religiosi e soprattutto della nobiltà veneziana, cui si affianca una committenza di recente. Tali caratteri lo sorreggono anche nelle prove pittura religiosa e nelle opere di carattere mitologico, molto richieste dalla raffinata committenza di recente formazione, costituita da stranieri: turisti, ma anche diplomatici, amatori d'arte e collezionisti che hanno stabilito la propria residenza a Venezia. La città, infatti, presenta anche un altro volto, cosmopolita e vivace, aggiornato sulle correnti culturali che si vanno diffondendo in Europa. In effetti il quadro della pittura veneziana agli inizi del secolo è tutt'altro che omogeneo: una complessa rete di reciproche relazioni unisce la laguna alla terraferma e al resto d'Europa. Indicativo in questo senso è ad esempio il fenomeno degli artisti veneziani chiamati a lavorare all'estero , rivelatore non solo del prestigio goduto dalla pittura veneziana, ma anche della progressiva 66 provincializzazione culturale della Serenissima e dell'evidente diminuzione di occasioni lavorative per gli artisti, conseguenza di una politica stagnante e dell'implacabile declino delle attività commerciali. Sebastiano Ricci stabilitosi a Venezia, dopo una formazione che lo ha visto presente nelle principali città italiane, dà avvio ai successivi sviluppi dell'arte lagunare, interrompendo però il suo soggiorni con lunghi viaggi all'estero: a Vienna, Londra, Parigi. Arriva a Firenze nel 1706 dove lavora per la famiglia Marucelli e a Palazzo Pitti su commissione di Ferdinando de' Medici, in entrambi i cantieri rivela doti di grande decoratore: freschezza d'esecuzione e una pittura libera e di tocco che si avvale di una gamma coloristica chiara e luminosa, ricerca di una struttura compositiva asimmetrica già dichiaratamente rococò, tono intimo e privo di drammaticità del soggetto. Nell’Apoteosi di Ercole (1659) a Palazzo Marucelli ristudia la pittura veneziana di Veronese e Tiziano giovane, gli scorci sono mitigati (non ci sono più piedi enormi in primo piano perché gira le gambe all’indietro), le figure sono più leggiadre. Nel Commiato di Venere da Adone, (1707) nella stanza del Gran Principe a Palazzo Pitti: le quadrature sono più chiare come Veronese, cornicioni alleggeriti (non unico e massiccio, ma più cornici sovrapposte), sfondato, meno figure più cielo. Non è una volta classicista, le composizioni sono diagonali. Nel bozzetto ad olio vediamo tinte meno schiarite, un gioco dei putti e animali, il mito sul piano leggero anticipando il Roccocò. Madonna con bambino e santi: (1708) grandi impaginazioni (da Correggio, Carracci, Raffaello) Giambattista Tiepolo si presenta come il dominante della pittura veneziana del Settecento, che rivela maggiormente l'originalità e la forza della propria arte nel campo della decorazione che Tiepolo, assecondando le richieste di una committenza aristocratica. La maturazione di un linguaggio sicuro e personale, in cui si equilibrano le molteplici esperienze giovanili, dal Sebastiano Ricci al recupero della tradizione veronesiana, avviene a partire dagli affreschi del palazzo dell'arcivescovado di Udine (1726- 1728), dove si avvale di soluzioni spettacolari e strepitosi effetti illusionistici. Esempi sono il Giudizio di Salomone (1729) (dove si osserva un ripido sotto in su con scorci alteranti, il cornicione alleggerito, i motivi più leggeri, guarda ai veneti del primo) e il Sacrificio di Isacco (1719) (opera priva di pathos, l’angelo è elegante con ritmi neomanieristici, il paesaggio arcadico). Rientrato a Venezia, Tiepolo diviene il più ambito interprete delle glorie familiari dell'aristocrazia che, non potendo più misurarsi in commemorazioni politiche e militari a carattere pubblico, riversa le sue ambizioni nella celebrazione di fatti privati come nel ciclo di affreschi in palazzo Labia dove la sorprendente quadratura architettonica, ideata dal fedele collaboratore Colonna, si integra perfettamente con gli episodi narrativi, in cui i personaggi sfoggiano abiti sontuosi, assumendo atteggiamenti di teatrale eloquenza. Esempi: Incontro di Antonio e Cleopatra (1747) (lei in abiti moderni come dama di porcellana) e Banchetto di Cleopatra. (1743) Tiepolo lavorò anche a Wurzburg, città che per oltre un secolo conobbe una splendida fioritura artistica grazie alla ai principi vescovi della famiglia Schonborn. Affidarono a Neumann nel 1719 l’incarico di costruire una nuova prestigiosa residenza, la cui costruzione lo occupò fino alla morte. Lo scalone della residenza si propone come lo spazio più rappresentativo del palazzo, straordinario esempio di architettura barocca tedesca. Nel palazzo residenziale, in un primo momento, Tiepolo affresca la Kaisersaal, dove dipinge, su indicazione di un preciso programma iconografico, episodi della vita del Barbarossa, cui si doveva l'investitura del primo principe vescovo di Würzburg, Aroldo. Nelle Nozze di Federico Barbarossa (1752) la narrazione, inserita in una sapiente composizione per diagonali divergenti, è incorniciata da uno scenografico sipario, lavorato in stucco colorato. Apollo e i continenti: (1753) lievità di sentimento, senso amoroso. Apollo che conduce al Barbarossa la sposa Beatrice di Burgundia: (1753) asimmetria e bizzarria (effetti conchiglia o fitomorfi) senza corrispondenza. Nella volta dello scalone, spettacolare proscenio concepito come luogo di feste e di ricevimento l’affresco Allegoria dell'Europa. Qui l'illusione barocca della continuità fra spazio reale e immaginario si è spezzata: il mondo della rappresentazione risulta fittizio e inesorabilmente lontano. Gli stessi episodi storici e allegorici sono trattati con disinvolta ironia perché ridotti a semplici pretesti per dimostrare, negli effetti compositivi e cromatici, una prodigiosa abilità inventiva e per esaltare una straordinaria di mezzi tecnici. Si ispira alle architetture palladiane di Veronese. 67 Al rientro da Würzburg lavora per villa Valmarana, i cui affreschi si caratterizzano per scelte iconografiche molto raffinate, per lo più episodi romanzeschi, tratti dagli autori più letti del secolo: Omero, Virgilio, Tasso e Ariosto. Ricordiamo il Sacrificio di Ifigenia: (1757) la partizione architettonica, eseguita ancora da Mengozzi Colonna, è concepita come un porticato continua che collega i vari episodi e funge da sostegno alla cornice reale della stanza. Si crea l'illusione di una continuità tra spazio dipinto e spazio reale, accentuata dal particolare della nuvola con Cupido e il cervo che sembra invadere il campo dello spettatore. Un sistema di sottili rimandi collega le varie scene delle pareti all'affresco sul soffitto, ove Diana interviene con gesto imperioso a bloccare il sacrificio e i venti soffiano per permettere alla flotta greca di salpare. Angelica e Medoro: ambiente arcadico e agreste, lei sembra una damina di porcellana. Il cantiere di Valmarana si caratterizza per la parallela attività del figlio Giandomenico, pienamente autonomo nell'affermazione di un linguaggio antiretorico e realistico congeniale ai soggetti campestri e "d'attualità”. Nel Riposo di contadini mostra un acuto spirito di osservazione e la naturale propensione per la scena di genere, interpretata non senza ironia e divertita partecipazione. Anche in Francia gli artisti si impegnano a interpretare scelte più intime, private e raffinate, come Antoine Watteau, che esprime l'ideale di vita di questa civiltà colta e raffinata nelle sue numerose fêtes galantes, riunioni festose di coppie d'amanti entro scenari arcadici, che fanno da cornice ai riti edonistici e al cerimoniale galante di una società dedita al culto della musica, della danza e del travestimento. Si consideri quale esempio una tra le opere più celebri e discusse, Pellegrinaggio all'isola di Citera (1717) dove ai ricercati effetti di raffinatezza cromatica, delicatezza di tocco, grazia ed eleganza dei soggetti, si associa un senso di ambigua inquietudine, una sorta di consapevolezza della caducità dei piaceri della vita e dell'inesorabilità del tempo. La presenza di complessi schemi ritmici e il rapporto con le contemporanee opere teatrali dimostrano quanto la naturalezza e la facilità di questa immagine siano solo apparenti. Il dipinto viene variamente interpretato come promettente imbarco verso l'isola dell'amore, o come nostalgico e malinconico commiato da essa, o ancora come allegoria della poesia erotica e dei giochi galanti. In Francia sarà François Boucher a divenire l'illustratore più in voga di queste tematiche amorose. Apprezzato pittore di corte e protetto di madame de Pompadour, Boucher soddisfa le richieste della società aristocratica del regno di Luigi XV, di cui diverrà premier peintre. La preferenza per i temi mitologici gli offre la possibilità di dare il massimo risalto alle figure femminili, definite da una pennellata animata e sensuale, efficacissima nella resa delle carni e degli effetti di luce sulla pelle, un esempio è Venere consola Amore. Allievo di Boucher e continuatore del genere erotico-galante è Jean-Honoré Fragonard, che come il maestro, viaggiò in Italia ed ebbe diretta conoscenza degli esempi della pittura barocca e del colorismo veneto. Crea immagini sensuale e accattivante, in cui appare abolito qualsiasi riferimento mitologico, come L'altalena (1767) (putto allude al silenzio, complicità amorosa).
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