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Storia dell'arte moderna cinquecento, Appunti di Storia dell'Arte Moderna

Riassunto panorama artistico del cinquecento.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 28/12/2018

giulio-anelli
giulio-anelli 🇮🇹

4.3

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Scarica Storia dell'arte moderna cinquecento e più Appunti in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! QUATTROCENTO-CINQUECENTO Manetti, grande umanista quattrocentesco, nutriva un senso di fiducia nelle capacità dell’uomo, sebbene fosse un pensiero condiviso. Questo senso di fiducia viene però messo in crisi dalla situazione politica-sociale dell’Italia nel cinquecento, nella quale molti Stati italiani persero la loro libertà e l’Italia divenne sempre più teatro di lotte e contese. Si perde così una coscienza unitaria. Il testimone oculare in primis di questa frammentazione, da un profilo storico-artistico, è Giorgio Vasari che funge da supporto e guida delle principali maniere artistiche del periodo. Vasari verrà incaricato, dal gran duca Cosimo I, della ristrutturazione di Firenze: con la prospettiva centrale esalta l’invenzione del Brunelleschi collegando l’Arno alla piazza comunale, dove c’era il palazzo vecchio (dove si instaura Cosimo). Nel 1550 Vasari pubblica Le Vite (la prima edizione, ce ne saranno due) nella quale celebra, tramite il genere biografico molto diffuso all’epoca, la storia dell’arte italiana vista dall’autore fiorentino come un progresso costante verso il meglio. Nel proemio Vasari afferma due concetti importanti: 1. L’arte parte da Cimabue, identificato quindi come il punto di partenza per il progresso storico-artistico 2. L’arte stessa raggiunge il suo culmine con Michelangelo, dopo il quale inevitabilmente seguirà un declino. Le Vite sono divise in tre parti, ciascuna delle quali è riferita a una delle tre età, corrispondenti ai secoli XIV, XV, XVI; a ogni età corrisponde inoltre una determinata maniera, uno stile, un modo specifico con cui l’arte si manifesta. Nel ribadire che lo scopo dell’arte è l’imitazione della natura, la mimesi, Vasari sottolinea il raggiungimento della perfezione delle arti nel 500’. Questo salto di qualità, che inizia con Leonardo, è da attribuirsi all’utilizzo di marmi di eccellente qualità, marmi che hanno permesso di raggiungere traguardi artistici superiori rispetto a quelli del 400’, seppur notevoli (vedi Botticelli, Piero della Francesca e Mantegna). Raffaello stesso si ispirerà a queste statue (Doidalsas) nei suoi disegni; lo stesso farà il Pontorno, Jacopo Carucci, ispiratosi dalla statua di Alessandro Morente (vedi il Cortile del Belvedere) Si tratta perciò un periodo in cui le arti sono sorelle, hanno la medesima importanza e dignità. La pittura infatti non era affatto considerata l’arte maggiore, i registri contabili delle corti mostrano infatti come fosse un prodotto mediamente costoso, al contrario dell’arazzo, dei gioielli e delle decorazioni sulle armature. Anche gli affreschi, nonostante la loro maestosità, costavano poco. È per di più un periodo nel quale si riscopre la figura dell’artista, non più visto come un uomo di fatica, che lavora la materia, ma il quale ragiona, rielabora modelli preesistente, inventa. Compie quindi un lavoro intellettuale. Cosa inventa l’artista? Il tema dell’inventio è un tema cardine, piaceva moltissimo ai committenti la grande capacità dell’artista di inventare a partire da un termine noto, portare novità a partire dai grandi modelli classici. Inventio, compositio e dispositio sono i tre aspetti principi. Per essere definito un ottimo artista non erano quindi più sufficienti la padronanza delle tecniche della propria arte e la conoscenza più o meno profonda di alcune discipline, ma occorreva esserne addirittura maestri. Il primo ventennio del Cinquecento, in particolare durante il pontificato di Giulio II e di Leone X, vede in Italia l’assoluto predominio artistico di Roma. Il desiderio di Giulio II di restaurare o far rivivere le antiche glorie politiche e artistiche della Roma imperiale viene fatto proprio anche dal successore Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico. In fondo se noi abbiamo una storia dell’arte così impressionante è perché la clientela era ampia, diramata a qualsiasi livello sociale ed enormemente interessata al prodotto. Attraverso le arti ci si dilettava, ma per alcuni non si trattava solo di un’opportunità, ma di un interesse sincero. Se il Quattrocento aveva visto il ritorno all’Antico e con esso il recupero degli ideali e della cultura classici, è tuttavia a Roma nel Cinquecento che il collezionismo diviene un’attività capace oltre che di indirizzare il gusto anche di influenzare le scelte classiciste della cultura artistica. Giulio II aveva raccolto nel cortile del Belvedere in Vaticano quelle statue già parte della sua collezione privata: l’Apollo, l’Arianna, la Venere felice, il Commodo a mo’ di Ercole, i gruppi di Ercole e Anteo e del Laocoonte. Particolarmente interessante è Cleopatra (in realtà Arianna abbandonata) perché dimostra che la fascinazione per la statuaria e per il cortile non si ferma al 500’, ma prosegue fino al 700’. Nei Gran Tour, viaggi di formazione per l’Italia degli artisti e aristocratici, spesso vengono fatti realizzare appositamente autoritratti a dimensione naturale da inserire nell’atrio delle proprie abitazioni; ebbene in questi ritratti compariva frequentemente sullo sfondo la statuaria del cortile che diventava il ricordo della visita a Roma. Leonardo Da Vinci Leonardo si forma a Firenze, nella bottega del Verrocchio, artista capace di lavorare molto bene il marmo e pietre preziose (porfidi, simbolo dell’impero e del potere). Nella tomba dei Medici crea un insieme di bronzo e pietre dure molto elaborato e pieno di riferimenti all’antico. Si tratta di opere, quelle del Verrocchio e del Donatello, di altissimo livello e multi materiche. Verrocchio è però anche un ottimo pittore. Nel Battesimo di Cristo (1470-80) troviamo il famoso angelo di sinistra che messo a paragone con l’angelo tipicamente verrocchiesco, leggermente imbronciato, non ha nulla di simile. Lo sfumato dei suoi occhi, la delicatezza del profilo sembrano essere elementi che testimoniano il primo intervento di Leonardo in un’opera del maestro. L’intervento di Leonardo non si limita alla figura dell’angelo; si estende al paesaggio del fondo. Il modo di rappresentare questo paesaggio lontano, pervaso da una luce densa e vibrante, è chiaramente spiegato da un disegno a penna, e rappresentante un tratto della valle dell’Arno (1473). Il segno non delinea i contorni delle cose, ma forma un fitto tessuto di tratteggio La Vergine delle Rocce non piacque per nulla ai confratelli di Leonardo: lui sceglie infatti una scena da una vangelo apocrifo, non tra i 4 canonici che la chiesa ha ritenuto sufficientemente provato. Questi erano però molto amati e letti perché raccontavano la quotidianità della sacra famiglia. Da artista di corte Leonardo realizza due grandi opere; secondo Federico Zeri (storico dell’arte) in queste due opere si vede il tentativo della donna del periodo di riscattare la propria condizione: era colta e intellettualmente stimolata nelle corti regionali. Dama con l’ermellino (1485-1490) e Bella Ferrarese (1490) Cosa rende il ritratto memorabile? Il rapporto fra figura femminile e animale, l’ermellino. Animale che i bestiari medievali dicevano preferisse essere ucciso piuttosto che sporcarsi: l’idea piaceva quindi moltissimo alle famiglie nobili visto che sottolineava anche il legame tra la purezza dell’animale e quella della donna. Cecilia era un’amante e il suo ruolo viene esaltato dall’abbraccio: la posizione rotante e il fatto che non guardi ma che sia attenta verso un terzo soggetto fa si che diventi un piccolo racconto misterioso di cui il volto è la trama. D’altro canto la Bella Ferrarese è l’altra amante del duca. Il muro è un elemento caratteristico della ritrattistica italiana (vedi Antonello da Messina, Bellini). Il suo stare non perfettamente al centro, il viso sì ma non il corpo, rende interessante il dipinto. Ancora una volta lei non guarda noi, non le interessiamo. Emerge inoltre in modo chiaro la riduzione dei colori: sebbene abbia un’eccezionale capacità di colore, ritiene che il naturalismo che lui persegue non abbia bisogno di tinte chiassose. A lui interessa il concetto dell’anima e questo con pochi colori viene messo in risalto. Leonardo cerca infatti la profondità delle intenzioni, il concetto dell’anima è l’interesse del pittore e lo scopo è rappresentarlo tramite il movimento del corpo e del volto. Altro superbo ritrattista era invece Botticelli (1474). Interessante il confronto perché entrambi fiorentini: Leonardo cerca il rilievo, l’incredibile tridimensionalità delle opere, Botticelli invece utilizza gli strumenti del chiaroscuro e della prospettiva per realizzare uno sfondo bellissimo. L’ultima cena (1495-1497) La parete è collocata nella stanza che funge da refettorio del convento domenicano della Santa Maria delle Grazie di Milano. Commissionata con il pieno accordo di Ludovico il Moro. Leonardo quando realizza l’ultima cena non sceglie nulla di particolare, si trattava di un tema ricorrente. Inoltre va considerato che l’idea nel refettorio era di meditare, mentre si mangiava, su quella che era la cena delle cene. A confronto possiamo vedere una serie di affreschi molto noti a Leonardo di Andrea del Castagno (1447); Domenico Ghirlandaio (1480) e Cosimo Rosselli (1481). L’iconografia è la stessa. La rappresentazione degli interni con una veduta sul giardino del Ghirlandaio ricorda la stessa veduta che utilizza Leonardo. Ghirlandaio era infatti un grande cronista interessato alla resa dei dettagli, mentre invece Castagno fa un grande uso della prospettiva, legato al chiaro scuro di tipo violento, quasi scultoreo. Lo sfondamento prospettico che in qualche misura anche negli altri cenacoli si notava, in Leonardo diventa l’elemento portante. Le pareti situate a destra e sinistra dell’affresco vuole che sembrino la prosecuzione dello spazio del quadro. L’oscurità relativamente più marcata sulla sinistra rispetto a destra dipende da un effetto visivo originario dato dalla luce naturale e dalle antiche finestre. Inoltre in quest’opera Leonardo ridiventa fiorentino con la prospettiva centrale classica, realizza una grande gabbia prospettica. Questo perché dove non è realista è perché cerca allora un altro tipo di naturalismo, in questo caso si tratta di un linguaggio della mimesi della natura perfetto. Aiuta anche la scelta della disposizione dei personaggi. Non sappiamo infatti chi sia Giuda mettendoci quindi nella stessa posizione di Gesù. Gli apostoli sono stati palesemente uniti in terzetti, in maniera melodica e musicale: ciascun terzetto ha una propria autonomia. Tecnicamente però l’opera presenta dei problemi. Per natura infatti l’affresco non perdona errori, deve essere completato in un giorno. La soluzione è che con il “buon fresco” il pittore deve già avere in mente cosa vuole dipingere. Leonardo però si correggeva spesso e cerca in tutti i modi di realizzare un dipinto sul muro. Utilizza un legante semi-oleoso, utilizzando anche l’uovo, che da inizialmente una luce incredibile ma già vent’anni dopo si rovina. Gioconda (1503-1514) Realizzato per Giuliano de Medici il ritratto della Monna Lisa tende ad identificarsi con Isabella Gualandi, gentildonna in relazione con i Medici. C’è un rapporto particolare con questo ritratto: si trova in Francia perché era stato in quella nazione, lo tiene con sé e lo porta con sé per ritoccarlo in età matura. C’è una cortina di sporco che nasconde le caratteristiche del paesaggio, uno dei due comprimari del dipinto. La donna sembra invece che aspetti la nostra conversazione, sebbene sia impostata in una posa, rifugge ugualmente la fissità. Leonardo rende l’umanità calda e solare tramite la resa del volto e delle mani (elementi fondamentali in un ritratto). Il volto sovrasta un petto luminosissimo che da una sensazione di mistero con l’ombra leggera che vaga sul volto. È un sorriso non troppo accentuato, non ricerca nulla di stabile: ama il cambiamento e l’elemento mobile della vita (interessante infatti l’aspetto della natura naturans del paesaggio). La diminuzione delle tinte è sempre più accentuata, quasi tendente al monocromo. Abbiamo un’uniformità notevole: ha concentrato il massimo dell’espressività con il minimo dei mezzi. Doveva diminuire il più possibile i dettagli, non ci sono quindi elementi che distraggano, ha tolto il più possibile. Con questa sobrietà ha raggiunto il risultato di un volto estremamente emblematico. Donato Bramante Per tutte le pali d’altare del quattrocento un elemento fortemente rilevante è l’architettura. Uno dei massimi esempio è quello di Piero Della Francesca: i suoi giochi prospettici sfondavano la parete dell’altare e continuava quella esistente. Scrive il De Prospectiva respicenti. Bramante nasce a Urbino e si forma in questa atmosfera artistica, molto razionale caratterizzata dall’uso della luce tersa e perfezione nei profili e nella prospettiva. Le tre rappresentazioni della città di Urbino (1485) danno la sensazione di una città estremamente ordinata con commistione di elementi classici e rinascimentali, solidi geometrici ornati da elementi architettonici. Una teoria propone come possibile autore Giuliano da San Gallo. Bramante nasce in un altro ambito, ma segue questo sogno. Bramante è uno dei più misteriosi autori della storia dell’arte, di lui ci sono rimasti pochi documenti. Dopo la corte di Federico Montefeltro anch’egli passa sotto la corte di Ludovico il Moro. La sua corte è il luogo dove dialogano ogni giorno Bramante e Leonardo, si tratta di un continuo confronto reciproco molto fecondo per i due. Santa Maria presso San Satiro (1485) Una sacrestia a pianta centrale. Bramante utilizza un linguaggio architettonico di estrema semplicità e formale. Non concepisce alcuna decorazione, ma per andare incontro ai gusti di Milano, la policromia, allora accetta l’idea di inserire decorazioni. Utilizza quindi elementi architettonici come elementi decorativi e inserisce un risalto d’orato e una decorazione tridimensionale accanto agli oculi. La parte bassa è costituita da nicchie e muro pieno, ma mano a mano che si sale l’articolazione da movimento alla sua architettura. Questa chiesa viene progettata da Bramante in completa libertà. Bramante riprende l’idea all’antica dove ci sono le navate centrali e laterali e sceglie di realizzare pilastri che ovviamente suddividono arcate a tutto sesto, dando vita a un cornicione continuo e poi la grande volta a botte (come quella di Sant’Andrea a Mantova di Alberti). Mentre è nel pieno della progettazione però gli viene detto che non può fare il braccio longitudinale perché non si poteva intaccare la strada. Con il progetto semiconcluso si trova quindi impossibilitato a procedere. Bramante allora compie un’impresa di illusione ottica con prospettiva a fini architettonici. Crea infatti l’architettura ficta, finta. In uno spessore poco più di un metro crea un notevole gioco ottico. Abbiamo un utilizzo ardimentoso e interessante della prospettiva: quello che vediamo di metri e metri ha pochissimo spessore. Si tratta di una prospettiva virtuale ma ci fa capire il potenziale della pittura brunelleschiana. San Pietro in Mortorio (1502-1509) Pianta centrale è la scelta che per ragioni culturali porta a pensare alle chiese non con andamento longitudinale a croce latina, ma con struttura a croce latina, poligono o bracci greci. È estremamente rilevante perché rispecchia un’ideologia umanistica e neoplatonica: la pianta centrale è la perfetta rappresentazione visiva e materiale della perfezione divina. Di originale nella scelta della pianta centrale c’è poco, si approfitta inoltre del fatto che San Pietro in Mortorio è un luogo principalmente esterno, non praticabile. Questo infatti insiste sui panneggi perché vuole adeguarsi allo stile di Niccolò dell'Arca . Inoltre Niccolò amava molto gli effetti di candore e chiaroscuro, Michelangelo allora si inserisce in questo solco. Si inserisce nel pieno dell’opera in modo armonioso e corretto. Nella realizzazione dei due santi Michelangelo riprende sempre il filo stilistico tessuto da Niccolò dell’Arca, ispirandosi a quello di San Vitale: colpisce l'eleganza quasi femminea in coppia al busto dinamicamente scolpito, come ruotato, con il volto che gira dalla parte opposta. Talmente forte la sua autonomia di ispirazione che si fa fatica a vedere chi lo influenza. Alcuni però li ha stimati particolarmente, come ad esempio Jacopo della Quercia. Lui ha lavorato sia a Siena, che in Toscana. Ama figure possenti adattandole in modo netto, come Niccolò della Quercia. Proprio l’interesse di Michelangelo per Jacopo della Quercia motiva la discussione riguardo San Petronio. Bacco (1496) Michelangelo, dagli artisti precedenti, ha imparato a rendere l’epidermide morbida, come se il materiale di lavorazione fosse la cera. Rappresenta un giovane uomo con lievi tracce di pinguedine, anche lievemente femmineo. L’androginia del dio Bacco è l’elemento fondamentale della statua: in fondo quando si parlava di lui si faceva spesso riferimento a questa caratteristica, questa corporatura che gioca tutto sull’androginia. Altra caratteristica è il gioco che Michelangelo effettua sulla precarietà dell’equilibrio della statua, sembra infatti incespicare. Questa scelta non è altro che una lettura della tradizione classica, sembra invitare il giro intorno per la sua ammirazione. Per sostenerla infatti realizza un satiro che gli ruba l’uva alle spalle: scelta che evidenzia la resa di un tutto tondo. Interessante anche la resa, acino per acino, del grappolo d’uva. Stessa minuziosità era anche presente nella corona, andata oggi perduta. La ponderatio è una tecnica utilizzata per sostenere le statue detta anche chiasmo. Questa tecnica è stata utilizzata per la prima volta da Policleto, attivo da Atene di origine dorica. Si cerca di scardinare l'eccessiva simmetria: una gamba in riposo che accenna il passo mentre l'altra regge il peso della statua. In questo caso vediamo che nemmeno le anche sono perfettamente allineate. Conferisce forte dinamismo (ripresa di Jacopo della Quercia). In generale la ponderatio consiste in un assetto della figura in posizione di stasi, nel quale il peso grava solo su una gamba mentre l’altra risulta in rilassamento secondo un principio di ordine e di equilibrio che generalmente determina anche la posizione delle altri parti del corpo. Statua del cupido dormiente Statua andata oggi perduta, viene poi acquistata dal cardinale Riario amante dell’antico, ma invece era di un giovane scultore vivente. Non piacerà infatti poiché il cardinale si sentirà ingannato dall’aver acquistato una statua, che per abilità di Michelangelo, perfettamente poteva essere scambiata per un’opera classica. La Pietà (1497-1500) Dono di un cardinale francese che commissiona al giovane Michelangelo di scolpire questo tema allora molto diffuso in Europa. La Vergine michelangiolesca è una fanciulla dal volto appena velato di tristezza che sorregge amorevolmente il corpo, ugualmente giovane, del figlio. In questo senso notiamo la classicità di Michelangelo che decide di sottacere i sentimenti. Se confrontiamo la resa delle emozioni di Michelangelo con quella degli artisti precedenti, come Niccolò dell’Arca nel Compianto, notiamo che c’è una grande misura. Una fascia (che reca per la prima e ultima volta la firma dell’artista in caratteri cubitali) attraversa diagonalmente il busto mettendo in risalto la giovane figura della Vergine. Inoltre l’ampio panneggio della veste e l’ampio velo con le sue ombre profonde sono i mezzi con i quali l’artista mette in evidenza, tramite contrapposizione, il corpo nudo, liscio e perfetto del Cristo. La giovinezza della Vergine, confrontata con quella di Gesù, diviene il riflesso dell’espressione di Dante che inserisce nella preghiera di San Bernardo, rivolta alla madre di Dio: l’idea quindi di Maria sia madre che figlia. Vasari commenterà incredulo che Michelangelo sia riuscito a tirare fuori da un semplice blocco di pietra tanta bellezza che supera addirittura la natura. In fondo però per Michelangelo il blocco di marmo informe contiene già, potenzialmente, quel che poi lo scultore sarà capace di trarne. Ritorniamo all’idea dell’artista di una scultura per via del levare, e non del porre. David (1501-1504) Volontà di una resa anatomica estremamente persuasiva, si giunge a dei punti di volontà mimetica impressionante: vene sul braccio, gioco del polso, ossatura e nocche convincenti. Al tempo stesso un gioco psicologico di un David presentato in una situazione inedita. David è l’eroe piccolo e Michelangelo lo rappresenta in un momento particolare e suggestivo: viene visto come un eroe laico per il punto psicologico scelto dall’artista. Tutti i David precedenti erano David trionfatori rappresentati con la testa di Golia, mentre qui studia il nemico, vibra di tensione (da qui la scelta delle vene in tensione), una scelta narrativa quindi. Il canone Policleteo diventa qualcosa di attivo: un gesto vero e concreto di una persona che sta compiendo un’azione di studio, interiore, ma con il fisico in tensione. Classicità e modernità mischiati insieme. Nel momento in cui fu scoperta non venne chiusa in chiesa (sotto la tribuna come doveva essere), quindi venne formata una commissione per decidere di metterla accanto al palazzo della signoria di Firenze, allora una repubblica: simbolo del cittadino repubblicano. Tondo Doni (1504-1507) Michelangelo in questo decennio ha già esplorato molto dal punto di vista scultoreo, ma lui in questi anni è anche pittore, visti gli insegnamenti del Ghirlandaio. Grande sensibilità classica, risalto chiaroscurale (opposto dello sfumato leonardesco), prevale il disegno e il contorno. Questo quadro è il punto di partenza del manierismo che si ispirerà in Michelangelo, ricercatezza esibita nei gesti esasperati e nei colori. Colori quasi innaturali, astratti e artificiosi. Colori che ritroviamo nella Sistina e che sono una pura invenzione dell’artista, non li ricerca nella realtà. In primo piano ha raggruppato i componenti della Sacra Famiglia, dietro vi sono i cosiddetti ignudi e il paesaggio che non è eccessivamente caratterizzato. A Michelangelo infatti preme la raffigurazione del corpo umano: è l’uomo al centro delle sue riflessioni. I colori sono vivaci e cangianti, sono trattati in maniera scultorea, chiaroscurati e spiccati dal fondo della tavola tramite una linea di contorno netta e decisa. Il contrario andava facendo, in quegli stessi anni, Leonardo che invece frantumava e sfumava il contorno. D’altra parte Michelangelo riteneva che la migliore pittura fosse quella che maggiormente si avvicinasse alla scultura, cioè quella che possedesse il più elevato grado di plasticità possibile. volessero uscire dalla materia. Forse per una serie di progetti mancati o per la presunzione di volersi mettere sopra la tomba di San Pietro, si riduce a una tomba sempre più piccola. L’idea originale della tomba seguiva quindi un’impostazione neoplatonica, secondo cui doveva raffigurare e avere diverse fasi. Nella parte bassa del complesso dovevano essere poste le figure del trionfo e della virtù, insieme alle statue raffiguranti gli schiavi (che sono state realizzate e sono giunte fino a noi), gli schiavi dovevano rappresentare figure maschili miranti all’ascensione. Nella fascia centrale dell’opera sarebbero dovute essere poste le statue di San Paolo e di Mosè (l’altra grande scultura completata e giunta fino a noi). Nella parte alta doveva essere posta, infine, la statua raffigurante Giulio II, retta da 2 angeli. La sua statua, secondo un successivo progetto doveva essere giacente o benedicente; statua sovrastata dalla raffigurazione di una Vergine in gloria con il bambino in braccio, collocata entro una grande nicchia sommitale coperta da un catino e introdotta da paraste trabeate. Forse perché ritenuto un atto dispotico e assolutista e quasi prepotente e presuntuoso (quello di inserire all’interno di San Pietro un’opera statuaria raffigurante una vera e propria esaltazione di un pontefice, posto persino al di sopra dei progenitori del cattolicesimo), o forse per una serie di progetti cambiati, Giulio II quando arriva a Roma cambierà idea e non commissionerà più l’opera. Il tutto si ridusse quindi a una tomba sempre più piccola. Tutto gli studi preparatori e i relativi disegni che non potevano essere realizzati concretamente furono distrutti dallo stesso Michelangelo. Oggi di sua attribuzione abbiamo Mose e gli schiavi, risalenti alla seconda versione del progetto (che furono comprati da una famiglia ed esposti, poi ritrovati, accanto alla porta d’ingresso della Château d’Ecouen, l’attuale Musée de la Renaissance; dopo essere stati notati dal cardinale Richelieu vengono trasferiti al Louvre, un percorso collezionistico non dissimile da quello della Gioconda). Gli schiavi Comprendono resti di sculture che lui non ha terminato viste le tante committenze. Il rapporto stretto che aveva con il marmo e le sue opere però suggerisce che alcune statue non finite siano opera di una scelta: avevano senso non finite. C’è un aspetto materiale che ci dice molto della tecnica utilizzata: scolpiva di fronte, come se vedesse un’immagine uscire dall’acqua. Aveva quindi un sistema tecnico. Rilevante anche il fatto che pensa alla materia come qualcosa di enormemente profondo, concezione che si lega alla sua impostazione culturale da neoplatonico. Il marmo è la materia che tiene noi tutti attaccati alla pesantezza del corpo che ci limita alla nostra possibilità di ascesa. Il corpo che si libera dal marmo, la materia più pesante in assoluto è anche un percorso neoplatonico, filosofico. Levare il marmo da quel blocco che dentro di se ha già l'idea di sé. Dietro aveva questa straordinaria idea. È la volontà tutta moderna e rinascimentale di dare alla bellezza corporea un senso interiore e profondissimo. Indagare le ragione del movente dell'uomo, cosa movesse il singolo, l'individuo. Indagare il sentimento e dargli forma attraverso i gesti: forse per questo supera i modelli greci. Cappella Sistina Papa Sisto IV della Rovere fa costruire questa grande cappella Palatina che mancava al Vaticano: la cappella è un luogo importante perché è il luogo dove il papa celebra la messa e dove si celebra il conclave. Utilizza le stesse misure riportate dalla Bibbia per il tempio di Salomone: 40m di lunghezza, 13.6m di larghezza per 20m di altezza. Il programma generale della decorazione pittorica fu articolato su tre diversi registri dal basso verso l’alto: le tende con gli arazzi commissionati da papa Leone X a Raffaello; il secondo ordine con scene del vecchio e nuovo testamento; l’ordine più alto con la storia dei pontefici. Mosè è quindi visto come figura che precede Gesù, prefigura la sua sorte. A Michelangelo inizialmente gli viene chiesto di affrescare la volta a un’altezza di 20 metri, si tratta perciò di una sfida artistica rilevante. Michelangelo infatti lavorerà sempre da solo, senza nessun aiuto e lui stesso, nei suoi scritti, enfatizzerà l’impresa artistica. Inizialmente l’idea era quella di realizzare i 12 apostoli e visto che il soffitto era molto simile, l’opera intera poteva diventare simile a quella del Pinturicchio: decorazione di soffitto con l’incoronazione della Vergine (1509-1510). Michelangelo allora impone un ripensamento iconografico: il soggetto non saranno più gli apostoli ma le 12 figure diventeranno 7 profeti e 5 sibille. La scelta di per sé non era particolarmente originale, già erano state utilizzate queste figure nel 300’, il gioco consisteva nell’idea delle pagane che avevano previsto l’arrivo di Gesù. Tenere insieme quindi il mito pagano con la religione: questa è una prova della consapevolezza di Michelangelo di dover realizzare qualcosa di grande. La volta (1508-1512) venne organizzata fingendo delle membrature architettoniche alle quali l’illusione prospettica conferisce un grandissimo realismo. Infatti si presenta attraversata in senso trasversale da arconi che appoggiano su una cornice corrente poco al di sopra delle vele triangolari e sorretta da pilastrini che affiancano i troni di sette Profeti e cinque Sibille. Le sibille si sedevano infatti su dei troni così non sembrava che cadesse tutto; questi troni però Gli arconi e la cornice ripartiscono la superficie centrale in nove riquadri con scene tratte dal libro della Genesi. Scene che vanno da quella iniziale, con Dio che crea il mondo, a Noè. Michelangelo però nella realizzazione compie il percorso contrario, parte affrescando dalla fine per procedere a ritroso con le storie. Ebbrezza e sacrificio di Noè (1509) presenta degli ignudi che riempiono lo spazio lasciato vuoto, ma con un significato particolare, e medaglioni che raffigurano episodi dell’antico testamento. Nel Peccato originale e cacciata dall’Eden (1509-1510) (è tangibile la rappresentazione di una bellezza distrutta, corrosa dal peccato originale, Adamo ed Eva non sono più quelli della creazione ma sono diventate figure avvolte nella loro e dalla loro tragicità. Le figure sono inseguite da un angelo che le esilia dalla purezza dell’eden; immagine teologica che è divenuto un topos artistico; la stessa iconografia, con gli stessi personaggi, la ritroviamo anche in Masaccio (1426-1427). Procedendo di scena in scena Michelangelo si accorge però di aver realizzato, nelle ultime scene dal punto di vista narrativo, figure troppo piccole, inadeguate per essere ammirate da 20 metri di distanza. Inizia perciò a cambiare passo: rappresenta quindi scene icastiche, figure gigantesche, in numero essenziale, fortemente lineari. Insiste su elementi che potranno essere apprezzati dal basso e all’ambientazione verrà data un’importanza marginale, realizzata unicamente per dare realismo all’immagine ma non particolarmente definita. Si veda a titolo di esempio la capacità con cui nel ‘Diluvio Universale’ (1508-1509) Michelangelo riesce a rendere anche i corpi immersi in acqua, o la ricerca di salvezza riposta nella nave, assalita dai disgraziati. Nella Creazione di Adamo (1510) l’intensità del riquadro viene giocata su valori universali; Michelangelo passa da una verticalità a una improvvisa orizzontalità, in modo che quel riquadro sia subito visibile. In questo riquadro è visibile il dinamismo e il panneggio, Michelangelo raffigura un Adamo che dipende in tutto e per tutto dal suo Creatore. Come dipinge Dio: Dio è sorretto da numerosi angeli ed è avvolto in un manto rosa violaceo che si gonfia al vento, richiamando il contorno di un tesa a definire il dettaglio, non ha più la tensione a lavorare con le venature. Quello che conta è l'impressione di insieme. Raffaello Sanzio È proprio tramite Raffaello e i suoi grandi contemporanei che i potenti vedono il potenziale dell’arte. Raffaello è uno dei tanti artisti ambigui, ambiguo in quanto il più struggente. Raffaello prima dei capolavori per i quali è diventato il pittore senza eguali, nelle sue prime opere sembra lavori al fine di capire la sua poetica e la sua maniera. All’inizio non emerge la sua grande capacità creativa. Si pensa sia stato allievo di Perugino. Solitamente infatti gli artisti di bottega imparavano come si lavorava materialmente e poi imitavano la maniera del maestro, rifacevano lo stile dell’epoca. Raffaello riprende la maniera di Perugino. Perugino infatti aveva avuto un’incredibile successo grazie alla sua capacità di comprensione: disposizione sempre simmetrica, grande qualità nelle pause, gesti calibrati, misurati. Anche le ambientazioni esaltano queste caratteristiche. Una pittura quindi comprensibile. Le ambientazioni esaltano l’equilibrio di insieme; in conclusione la sua è una pittura universale, è una pittura che non può essere rigettata; perché comprensibile anche senza attenti studi. Perugino fa dell’armonia la chiave d’insieme. Divenne una grande moda: il Vasari ci testimonia la funzione di modello del Perugino. Comincia a farsi strada l'idea che Raffaello giovane, orfano di padre pittore e non trovando il modo di andare a Perugia, che lui capace e maturo dei fatti artistici abbia imitato il Perugino. Questo perché andava di moda e i clienti lo pagavano, lo capisce. La qualità è la stessa. Scelta di gestualità e fisionomia delicata, coordinata nell'opera, senso di assoluta nitidezza. Alla maniera del Perugino guardano anche altri artisti quali Bernardino Orsi e Francesco Francia. Crocefissione Mond. In quest’opera è evidente lo scarto cromatico con colori luminosi, sgargianti e caldi. I soggetti parlano tramite i loro gesti e le loro pose. Saltano subito agli occhi le figure degli angeli alati (personaggi resi celeberrimi da Raffaello e raffigurati secondo i canoni) che alzano coppe in cielo. Il significato è ben espresso dall’angelo sulla sinistra, che sta riempiendo con il sangue sgorgante dalla ferita del costato di Cristo la coppa; a dimostrare il sacrificio e la transustanziazione di Cristo. In questa opera Raffaello gioca di inventio recuperando e avendo tuttavia come modello quello di Francia e Perugino (Ascensione con l’eterno in gloria). Madonna Ansidei Nella Madonna Ansidei Raffaello recupera la tradizione rinnovandola con un’attenzione particolare per i gesti. Quello che può parere a primo impatto è una sacra conversazione al pari di quella di Piero della Francesca, con sullo sfondo un’architettura e la Vergine seduta sul trono imponente in primo piano. Oltre a questo però Raffaello approfondisce i gesti raffigurando Maria come una madre che amorevolmente sorregge il Bambino. I Santi raffigurati, a primo impatto figure statiche, appaiono intenti in atti di contemplazione. Nell’opera di Bernardino Orsi, San Girolamo in Cattedra, anche lui adepto di Perugino, troviamo raffigurato un San Girolamo invece statico, con cromatismi meno accesi rispetto a quelli di Raffaello e con una veduta prospettica ben studiata alle spalle del seggio del Santo; il dinamismo di Raffaello è molto visibile in questo confronto. Sposalizio della Vergine Raffaello elabora, una variante di Perugino, calata nello stesso cotesto. Raffaello supera Perugino però in quanto a morbidezza e armonia di insieme; Sanzio riesce a fondere tutte le componenti del quadro. La dipendenza dello sposalizio della Vergine (realizzato per la Chiesa di San Francesco a Città di Castello) dalle due opere di Perugino è puramente formale ed esteriore. Lo schema compositivo è ispirato all’opera di Perugino della Consegna delle chiavi (1482), per la presenza di due gruppi di personaggi (che con delicata ponderazione Raffaello relaziona allo spazio convergente, con una prospettiva che sfiora la perfezione, in un unico punto), per l’introduzione del tempio a pianta centrale nel fondo e per l’intelaiatura prospettica sottolineata dalla pavimentazione. Ha invece come soggetto proprio l’omonimo dipinto di Perugino (1504). La tavola di Raffaello è decimante più piccola (in quanto a dimensioni). Il giovane maestro di Urbino dispone le sue figure secondo una curva che lascia vuota lo spazio antistante il sacerdote. Coloro che da Perugino vengono dipinti esattamente sull’asse verticale della tavola e in posizione perfettamente eretta, nella tavola di Raffaello sono invece sbilanciati verso destra. Raffaello ha voluto un maggior movimento che si contrappone alla calma del lato opposto dove sono poste le dolci figure femminili. Il movimento è accentuato da San Giuseppe e dal giovane in primo piano che spezza una verga con il ginocchio (elemento arretrato nello sfondo da Perugino). La linea dell’orizzonte più alta arricchisce la composizione di un effetto scenografico; la vista dall’alto, infatti, contribuisce a scorciare le figure diminuendone l’importanza. Il tempio è decisamente meno pesante e rigido di quello dipinto da Perugino, qualità derivanti dal numero superiore di facce che lo rendono più simile a un cilindro che ad un prisma, nonché la presenza di un portico colonnato che genera l’impressione di uno spazio circolare e ruotante attorno all’edificio. Questo tempietto si mostra alla stregua di un modello per una vera architettura di cui ha le caratteristiche con gli studiati particolari (presenta una elaborata pianta centrale). È evidente che la sua architettura abbia come modello Alberti e i suoi studi. Sul piano artistico il tempio permette il fruire dallo scuro verso il chiaro, creando armonia e fusione. Raffaello qui dimostra la sua spiccata capacità nel rendere l’architettura. La tradizione riporta che Raffaello da Urbino abbia chiesto a Giovanna da Montefeltro di inviare una lettera di raccomandazione al capo di governo di Firenze. In questa lettera Giovanna avrebbe chiesto di dare libero accesso a Raffaello a tutte le stanze del potere, per poter ammirare le opere di Leonardo, Michelangelo e gli altri importanti artisti della corte di Firenze. Lo scopo di questa lettera di raccomandazione era fare di Raffaello l’artista pittore per eccellenza. Sicuramente nella sua esperienza Raffaello ha avuto contatti con i Tondi di Michelangelo (da cui si originano: ‘Madonna Connestabile’ 1503 e ‘Madonna Terranova’ 1506) e gli studi sui corpi di Leonardo e le sue figure fuse insieme e legate da gesti che si corrispondono. Questi sono i modelli di esercizio e di primo studio che Raffaello affronterà nella sua carriera artistica. È doveroso ricordare che il “Tondo” a Firenze era uno tra i generi pittorici che all’epoca andavano per la maggiore e anche Raffaello si scontrò con questa tradizione. Probabilmente i tondi che Raffaello ha fatto avevano alle spalle delle committenze ma sono state anche per il giovane pittore delle rilevanti esercitazioni. Madonna Terranova e del Granduca In quest’opera è evidente l’influsso di Leonardo nella maniera del primo Raffaello, dove è infatti evidente come il paesaggio sia basato sulla variazione cromatica e sulla sfumatura per rendere l’effetto di lontananza. Come studiare queste immagini, cosa rappresentano? Nella Madonna del Granduca rappresenta Maria e il bambino (al centro di molte delle sue opere ci sono appunto immagini sacre o sacre famiglie). Queste opere sono paragonabili a degli schemi metrici, in quanto sono variazioni a partire da uno stesso tema. In questa raffigurazione c’è un cenno di moto, Maria volge lo sguardo al bambino che sta volgendo, a sua volta, lo sguardo verso lo spettatore. Mentre quindi è estremamente perugino nella Madonna Terranova, quasi didascalico, nel Granduca Raffaello mostra avere qualche tensione leonardesca con questo gioco di movimento e di sfumato, tanto che l’opera ricorda la Vergine delle Rocce. Madonna del Prato Raffaello segue in modo meccanico la pittura e la composizione, specie quella dei gruppi; lavora nelle sue opere a una struttura piramidale (estensione spaziale di quella triangolare), rispettando un rigoroso e attento ordine geometrico. Il gioco piramidale è evidente soprattutto in quest’opera in cui Raffaello non gioca più sugli sguardi e il loro gioco di un po’ pingue è contrastata dalla ricchezza dei gioielli e dal raffinato e suntuoso abito che indossa. Stanze vaticane Nel 1508, 4 anni dopo il suo arrivo a Firenze, lascia incompiuta una pala d’altare per recarsi a Roma e affrescare i Palazzi Vaticani. Nel 1507 sua santità Giulio II della Rovere decide di costruire un nuovo palazzo vaticano, perché il precedente glorificava la famiglia Borgia da lui disprezzata. Iniziò quindi a radunare i migliori artisti dell’epoca. Giulio II commissiona proprio a Raffaello gli affreschi delle sue stanze, probabilmente sotto consiglio del Bramante. Il soffitto verrà dipinto raffigurando le figure del sapere umano, nei rettangoli verranno poi poste scene allusive. A Raffaello viene quindi chiesto di rappresentare le 4 virtù del sapere: poesia, teologia, filosofia e giurisprudenza. Questo tema era strettamente collegato al ruolo che avrebbe avuto la stanza, quello di biblioteca pontificia (stessa stanza della Veduta del Cortile del Belvedere). Perugino, tra 1497 e 1500, dipinge nella Sala delle Udienze, l’affresco Le virtù cardinali Fortezza e Temperanza con eroi antichi. Qui raffigura 2 virtù rese però in maniera statica, come figure sedute sui loro troni (figure allegoriche) e al di sotto personaggi storici rappresentanti quella virtù. È stato uno tra i primi tentativi di rappresentare scene teologiche, comunque astratte, di un pittore; tema con cui si dovrà scontrare anche Raffaello nella stanza delle Segnature. Pinturicchio invece, in un'altra stanza della Sede Vaticana, nell’appartamento Borgia, dipingerà un affresco raffigurante la musica, omaggiandola nello stesso modo di come farà poi Perugino: inserendo quindi una figura allegorica centrale e i suoi seguaci ai suoi piedi. Stanza della segnatura Raffaello dovrà iniziare ad affrescare dalla volta, che era stata già affrescata da altri artisti: Sodoma e Johannes Ruysch. Raffaello non ha molta libertà nell’esprimersi e deve mantenere un’aderenza con l’esistente. Le rappresentazioni minori con scene storiche e il riquadro centrale sono generalmente attribuite al Sodoma. Probabilmente l'ottagono centrale è da attribuirsi al Bramantino. Le grottesche inoltre spettano probabilmente allo specialista tedesco Johannes Ruysch. Di sicura attribuzione raffaellesca sono i tondi, raffiguranti le immagini allegoriche di Poesia, Giurisprudenza, Teologia e Filosofia; poi i riquadri rettangolari. Raffaello poi affrescherà anche le 4 pareti a lunetta. Disputa del SS. Sacramento Nel rappresentare la teologia Raffaello ci presenta una vera e propria architettura. Come cambia il disegno? Il disegno gioca sulle luci, sulle sfumature e sulla capacità di avvolgere le figure, sembra un artista che ha realmente cambiato il punto di vista. Nella parte bassa si ha un rialzo di lume, è visibile lo studio e la vitalità, le figure di grande studio e vitalità sono armonizzate insieme. I teologi vengono posti in basso. Lui ha poi l’intuizione che farà dell’affresco, raffigurante un tema astratto per eccellenza: la sua intuizione consiste nel mettere al centro dell’affresco qualcosa che imporrà ai teologi di agire. Il teologo di norma pensa, legge e parla in pubblico. Come animare la teologia? Come farla diventare un fatto e un atto umano (come quindi conferirgli gestualità)? Raffaello parte con la volontà di voler raffigurare figure reali e non allegoriche, intuisce che la cosa interessante consisteva nel porre al centro dell’affresco l’oggetto della meditazione teologica! Inserisce quindi al centro l’ostia nell’ostensorio posto sull’altare centrale. Illustra quindi la disputa dei teologi; sono ritratti come coloro che stanno disputando sul Sacramento e il suo significato. Raffaello pone rigore prospettico e centralità, pone controllo alle due posizioni nettamente distinguibili nell’opera. Illustra il cammino della chiesa, cammino che sta continuando tuttora. Lo studio prospettico e le linee prospettiche coincidono con il Signore. La cosa interessante è che il punto di fuga coincidente con l’ostensorio crea una sorta di simmetria con la trinità. Il percorso creativo di Raffaello verso la resa, parte dallo studio dei personaggi dal vivo (dal vero), Raffaello ha studiato prima i profili con uno studio intenso, profili dal contorno mai esasperato (come usa fare invece Michelangelo), quello di questo artista è un contorno evoluto. La stessa scena che studia in nudo (per studiare pose e anatomia) diviene poi persone ammantate e vestite su scale (che al momento del disegno aveva in testa). La prima persona viene fatta ruotare su se stessa, la figura non indica più a noi il mistero messo in discussione ma sta parlando con un altro teologo, nonostante questa sua azione questa figura rimane il nostro introduttore all’affresco. Gioca sull’amalgamare insieme piccoli gruppi (scelta fatta anche da Leonardo nel ‘Cenacolo’): singoli dialoghi che diventano collettività del gruppo. Recupera la tecnica del “fondo oro” (a lui interessa il risultato): noi non rivediamo i punti immersi nell’intonaco ma vediamo il riverbero luccicante che ha effetto paradisiaco. Altri dettagli: San Lorenzo che si distrae e guarda da un'altra parte, raffigurante il Santo colto nel suo gesto umano (quello della distrazione), cercando quasi di comunicare che i Santi sono dapprima umani. Nello sfondo si erige un pilastro che per molti è stato riconosciuto come il pilastro, pietra d’angolo, della basilica di San Pietro (all’ora in costruzione), non omette di inserire uomini illustri e celeberrimi come Giulio II (il suo stesso committente), Gregorio Magno e Dante Alighieri, il massimo letterato teologico italiano dell’epoca. Scuola di Atene Se c'è un manifesto del rinascimento italiano dal pensiero laico, non religioso e libero nelle discussioni e nel pensiero è Scuola di Atene. L'impianto, l'aspetto dell'insieme è lo sviluppo della disputa del sacramento. Architettura con formidabile capacità di collocare la scena, straordinaria prospettiva con doppia valenza: riferimento all'antichità, e anche aspetto simbolico, illuminismo giocato sul bianco (attraverso il gioco di ombre), è il rispecchiamento del pensiero umano. Visione dei contemporanei della propria grande eredità culturale e morale. Signori liberi di dialogare, composizione di insieme piena di ordine e armonia ma anche di dinamicità. Riconosciuti artisti contemporanei nei filosofi antichi. Il messaggio che comporta è che la piccola società ultra-elitaria è convinta che non sia blasfemo identificare i grandi antichi con gli artisti. Conclusione del percorso di Piero della Francesca sul ruolo dell'artista, Raffaello lo conclude: ricerca artistica di intellettuali. Tempio della sapienza protetto da due divinità: Apollo e Atena. Architettura che evidentemente Raffaello ispira dai disegni che Bramante sta facendo. Sono stati costruiti dopo che Raffaello dipinge. Platone e Aristotele sono i più importanti e lo capiamo anche attraverso i gesti, mette due libri precisi: il Timeo (Platone) e l'Etica Nicomachea (Aristotele). Perché questi due? Perché nel Timeo lui descrive quello che è l'ordine del cosmo, l'ordinamento nel quale l'uomo e la Terra sono armoniosamente inseriti nel cosmo. Visione molto finalistica, legata al nostro destino. Aristotele invece, con la sua mano in prospettiva in un gesto che si compenetra con quello di Platone, mostra quale sia l'atteggiamento che l'uomo deve avere nella morale. Combinazione incredibile. Parnaso Finestra crea grossi problemi compositivi, allo stesso tempo però opportunità di inventio. Alla sinistra e destra grandi monumenti della teologia e poesia, sopra troviamo la giurisprudenza. La finestra da invece al cortile del belvedere terminato dal Bramante. Le muse stazionavano accanto ad Apollo e scaturiva la fonte Ipottene, la fonte della poesia. Al centro c’è Apollo e l'affresco tende a rapprensetare che la poesia è in corso, Apollo sta suonando, arte in corso quindi di produzione. Azioni in atto quelle che vuole rappresentare. Impegno assoluto sul cielo, atmosferico e luminoso al tempo stesso. Sostegno dall'idea delle arti che vengono celebrate. Disegno della strage degli innocenti Composizione complicata, equilibrio dell'insieme molto rigoroso, asse di simmetria con violenza, a destra e sinistra il movimento ondulatorio. Lo stesso che ha cercato di studiare Raffaello nel suo disegno, ha messo a fuoco le prime coppie, quelle che le interessavano. Difesa animalesca delle madri, gioco di equilibri e grande disegno. Penna e matita ma si fermava un passo prima della definizione. Lui lavora a volte per incisioni: Raffaello è un uomo di grande intelligenza e l'invenzione della stampa (che diffondeva immagini) permetteva che il pittore non facesse una cosa fissa in un posto, così l'autore diventa più famoso perché si diffondeva. Usa Marcantonio Raimondi (incisore bolognese) per avere maggior fama e per controllare quanto sia bravo a grande distanza anche. Stanza di Eliodoro Sotto le lunette sistema decorativo interessante: finte cariatidi che danno un senso di prospettiva. Sembra che l'immagine sia dietro: quindi presenza fisica dell'immagine, quasi fosse un grande quadro e anche lo scorcio sembra dare l'idea che dietro al muro ci sia la scena, un gioco di presenza e finzione. La stanza comincia ad essere elaborata da Giulio 2, importante perché la stanza della segnatura è la rappresentazione trionfale delle convinzioni e dei valori della corte di Giulio 2, nella stanza Sono due le scuole pittoriche in Italia che formano l'officina che porterà una grande lingua italiana dell'arte. Tra i pittori veneziani e attivi a Roma a produrre troviamo Bellini che ci ricorda due stili di pale d'altare importantissimi: Leonardo e Piero della Francesca, i due modelli possibili. Sacra conversazione l'una (con varianti finissime) dove c'è una situazione statica posta alla devozione dello spettatore che induce a una meditazione e l'immagine di Leonardo l'altra, che rinnova il genere, fa dei temi sacri qualcosa di più vicino all'uomo, ne fa una vera storia. Raffaello si rifà a quest'ultima tradizione, conosce bene Leonardo. A Firenze, dopo le tante Madonne con bambino gli viene commissionata una grande pala per la cappella Dei della chiesa di San Lorenzo. Non la finirà perché al termine verrà chiamato da Giulio 2. Opera molto tradizionale, architettura analoga ma meno luminosa nell'abside (rispetto a Piero della Francesca), il baldacchino molto utilizzato. Notiamo la capacità di armonizzare le figure. Piero invece era solenne, pittura immota, rigore algebrico. Raffaello umanizza da subito, rende attivo il rapporto fra mamma e bambino e gli stessi santi sono a proprio agio. Creano un semicerchio attorno e Maria segue. Ottimo sviluppo di un modello dato. Raffaello comincia a diventare l'uomo di corte in assoluto: nel 1512 diventa il prefectus marmium et… "il sovrintendente archeologico", tutela la conservazione dei marmi e pietra di Roma. Pontefice che ha volontà di salvare la città antica. Raffaello è molto impegnato, anche perché Papa Leone X ha un'abitudine alle committenze, interesse vero e autentico a valorizzare le arti. Raffaello gli è molto congeniale, l'età di Leone è quella di Raffaello (non tanto quella di Michelangelo). Tra Giulio 2 e Leone X Raffaello lavora moltissimo e poco tempo ha per le pale. Quando ci lavora è perché il committente è importante e ci tiene. Madonna di Folegno Il committente questa volta è invece Sigismondo De Conti. Secondo la tradizione casa sua era stata colpita da un evento naturale talmente catastrofico che si pensava avesse ucciso tutti. Si tratta quindi di un'ex voto che ringrazia Maria dopo un evento grave. Travalica tutto quello che abbiamo visto prima. Non abbiamo tracce di architettura, ma è sempre adorazione di Maria con bambino. Raffaello omogeneizza il tutto attraverso il cielo, l'atmosfera. Il cielo atmosferico rende in lontananza il borgo (dove vediamo il fulmine della storia), sale e diventa nube. Insieme naturale, percorso visivo senza che le cose si stacchino. L'immagine di Maria, comunque sacra, e il bambino sono una citazione/assimilazione al tondo Doni di Michelangelo; è partecipe dello spazio. Questa unitarietà è resa dal basso, dal terreno (molto leonardesco, molto lombardo, ricorda la vergine delle rocce). Lo sfondo del paesaggio ha una pienezza di immagine straordinaria. Visione d'insieme, del prato, impressione atmosferica. Madonna Sistina Altra pala, data a metà tra Giulio e Leone ma committenza di Giulio 2. Si chiama Sistina perché dedicata a San Sisto. Non è statica, eleganza naturale di Maria con il bambino, libero. I due angioletti sono il tramite tra noi e la presenza celeste. I santi, Sisto e Barbara sono gli intercessori, con richiami alla chiesa. Maria incede come scostata da una tenda. Gloria con alone luminoso viene verso di noi. Gioco cromatico appena spostato da la sensazione che Maria si avvicini in quel momento, un'apparizione. Estasi di Santa Cecilia Donna di grande devozione, verrà beatificata. Santa Cecilia santa della musica. Raffaello ingaggiato perché Leone X aveva rapporti con questa famiglia così viene richiesta la pala. La traccia della fede comunicata visivamente. Cecilia ha quattro santi accanto, il baricentro dell'immagine. Sta lasciando cadere l'organo, si fa prendere dalla musica celestiale. Lo capiamo perché l'organo sta scivolando per terra. Gli strumenti hanno una grande importanza, abbandonare il linguaggio del mondo per quello celeste. Certificano questa sua ascesi e anche importanti dal punto di vista pittorico, Giovanni da Udine (importante anche per le logge) ritrae gli strumenti. Natura morta. VENEZIA Immagine del Leone di San Marco è molto rappresentativa della città di Venezia (Marco mio evangelista, patrono). Interessante perché mostra metà zampe sulla terra e metà sul mare: simbolo di Venezia. Equilibrio quello di Venezia che non può durare nel 500' perché stretta fra guerra e potenti domini. Il suo ruolo politico viene fortemente ridimensionato. Dal punto di vista sociale succede che i patrizi veneziani hanno cambiato pelle, il leone lascia il mare e arriva sulla terraferma. La difficoltà di competere a livello internazionale sui mercati porta i patrizi veneti a delle conquiste mirate sul Veneto e Lombardia. Cambio di mentalità. Venezia rimane però città di letteratura e tipografia, continua la sua tradizione di accoglienza di persone eterodosse dal punto di vista del pensiero, crocevia di culture diverse. Grande metropoli all'inizio del 500' sebbene venga messa sotto attacco da Giulio 2 che vuole piegarla. Giulio 2 attua la lega santa pur di sconfiggerla, raccoglie imperatore e regno di Napoli e Europa. Abbiamo però una contrapposizione: negli anni di massima crisi politica non vi è una corrispondenza di tale crisi anche in campo pittorico. La scuola veneziana al contrario inizia a fiorire. Nello stesso quinquennio abbiamo opere d'arte straordinarie da parte degli artisti. Certamente l'arte ha avuto un effetto potente nei confronti della crisi. Le commissioni sono crollate certo, ma sul piano della creatività questa crisi non si vede per nulla. Lo stato dell'arte a Venezia vede nell'architettura uno dei massimi sistemi. Architettura tardo-gotica (immagine di sinistra, Cadoro) e contemporaneamente un palazzo di una diversa concezione, modulare, simile a quelle di Brunelleschi, assolutamente all'antica (immagine a destra). Venezia cresce e si evolve sul piano architettonico. Giorgione Sul piano pittorico Venezia produce un motivo di ispirazione per i contemporanei e futuri. Interessante vedere a proposito le date di Bellini: nell'anno in cui consegna la pala d'altare ha addirittura 70 anni: nonostante questo è ancora capace di apportare novità e qualità pittorica nei suoi lavori. Sacra conversazione Dipinge una sacra conversazione, il silenzio dei santi e Maria è una dimensione sacra che Bellini ci offre. Un’opera di meditazione. Architettura solenne ma molto singolare perché ai lati l'abside è aperta, c'è un cielo che lascia vedere una luce naturale. Relazione tra uomini (architettura razionale) e natura. Bellini è una persona presso cui il giovane Giorgione ha lavorato e imparato molte cose, anche se Giorgione muore appena 30enne: possiamo confrontare quest’opera quindi con il lavoro di Giorgione. Giorgione apprende una stesura pittorica molto meditata, lenta e riflessiva, una stesura pittorica progressiva, non immediata. Al tempo stesso ha uno sviluppo molto singolare, non abbandona la prospettiva: i due santi sono rappresentanti sopra un pavimento a piastrelle (tipico strumento che viene usato per far vedere le linee di fuga). Giorgione però consapevolezza. Dipinto di Duhrer ha delle tonalità fredde a cui certamente Sebastiano del Piombo ha guardato per la sua opera. Molto attento sui vari fronti. Pala di San Giovanni Crisostomo Sebastiano ha un'originalità nella sacra conversazione perché non mette la scena centrata. L'impostazione architettonica è anche molto interessante, classicismo naturale. Gioca sulle architetture. Bello il rapporto tra primo piano e poderosi gradini marmorei e il muro in marmo con fascia nera e la colonna in angolo che è il perno della composizione. Il ruotare della luce sulla colonna e la fuga scura è lo snodo principale, dove c'è il santo. Non ci guarda il santo, fa vedere il libro. Estremamente sofisticata e intellettuale. Portelle d’organo Se osserviamo l’opera di Bellini, il trittico dei Frari, osserviamo un’altra pala d'altare tradizionale. Lo sfondo che Bellini ha voluto dare con un mosaico dorato (molto veneziano) serve per ricordare la tradizione e il gusto orientale che piaceva molto. Sebastiano se ne serve per realizzare le due opere di sinistra, le ante dell'organo. Si tratta della realizzazione delle ante che racchiudevano l’organo, quindi realizza due opere. Due nicchie molto convincenti. La luce che era in Bellini diventa in Sebastiano l'esaltazione della penombra delle nicchie. Idea che gioca con la tradizione architettonica della città e con il valore simbolico del coloro oro, legame divino. Un senso di presenza fisica, di gioco con la luce e la penombra della chiesa. Poi messe in alto (quando l'organo era aperto e le ante sono aperte) le figure sembravano vere. Quando le ante sono chiuse invece le necessità sono diverse. Con organo chiuso i due santi allora compongono un arco trionfale. Idea estremamente solenne, esaltata dalle due figure. Tiziano In Tiziano la tempra pittorica è qualcosa di diverso, non ha una visione sognante. Molto più presente ed estrema immediatezza percettiva. Ha fatto molto discutere perché probabilmente ha lavorato con Giorgione, ma la stesura pittorica particolare diventa una caratteristica di Tiziano. San Marco in trono e i santi Altro quadro ricorda molto il Salomone di Sebastiano dal Piombo. Piccola pala d'altare. Il solito panneggio veneziano, si adegua a questa impostazione architettonica che vede il santo in alto. I santi ai lati sono molto interessanti. Sacra conversazione ma molto diversa. Cerca i pigmenti migliori in questa fase, vuole un cromatismo intenso. Ciascun santo ha un carattere, Tiziano cerca non di lasciare un indeterminatezza psicologica, come in Giorgione e la sua atmosfera sognante. Tiziano nell'attività giovanile dobbiamo precisare una cosa: ha passato del tempo con Bellini, come Sebastiano. Per molto tempo gli studiosi hanno dovuto fare i conti con delle datazioni molto strane: non si capiva quando fosse nato perché lui stesso si accreditava la data di nascita 10 anni prima (1480), ma non era vero. Probabilmente nato nel 1490, perché darsi 10 anni di più? Analoga a quello che aveva fatto Michelangelo tacendo il suo allunato. Quando a metà del 500 Venezia era diventata una grande fonte di pittura (Vasari trattava Venezia con poco conto, dal 1550 in poi autentica reazione di Venezia), Tiziano essendo il campione ha avuto interesse a mostrare che la pittura nasceva da Bellini e Tiziano stesso. Bara per accreditarsi il merito delle sue innovazioni che avrebbero preceduto (in realtà no) quelle di Giorgione. Salomè La costruzione della figura estremamente elaborata, lei in primo piano attratta e respinta al tempo stesso dal volto di Giovanni Battista che ha fatto uccidere. Sottigliezza psicologica dal suo gesto. La pittura ha una morbidezza molto consapevole delle novità di Giorgione, ma Tiziano ha una volontà precisa di mettere la figura al centro, non le disperde. Madonna con il bambino e Santi Tiziano è ancora in una fase dove, rimasto solo Bellini, tenta l'accreditamento per essere pittore della Serenissima. L'opera che vediamo è un'elaborazione che vediamo di lui. In questa piccola pala (Madonna con il bambino) Maria è il perno, l'ago della bilancia. Molto interessante quest'idea rifatta da Sebastiano del Piombo, Maria si volge verso il lettore. Il bambino è un altro perno, elemento dove ruota questo piccolo gruppo di figure. Colori di brillantezza e forza materica assoluta. Decide di porre Maria, Santa Caterina e il bambino su un fondo scuro e lascia invece il paesaggio di alta qualità che accentua il volto del donatore. Molto attento alla distribuzione del colore, ma quando si tratta del corpo umano ha un'impostazione diversa. È un pittore dall'ottica diversa, inizia dipingendo opere religiose, poi farà ritratti con un'ottica diversa. Si candida per essere un pittore pubblico, disposto a dipingere cose diverse. Assunzione Commissione molto importante arriva con la Pala dell'Altare maggiore, per la chiesa dei Francescani di Venezia. Molto difficile perché l'abside è tutta finestrata, condiziona la pala che andrà a creare. La chiesa è destinata a celebrare la gloria di Maria, l'assunzione. Tiziano dipinge un sistema molto complesso che dobbiamo mettere a paragone con le assunzioni del suo tempo, le abitudine visive del suo tempo. L'assunzione era anche di Bellini o di Palma il Vecchio, ma vediamo con loro, non solo veneziani, dipinti statici. Tutto posto alla nostra meditazione, nella sua sacralità è immoto. Tiziano decide di cambiare tutto: decide di porre Dio come richiamo di Maria. Rende evidente che sta succedendo qualcosa di turbinoso, eccezionale. Si distinguono i tre registi però: terreno, celeste e intermedio. Il modo con cui l'artista traduce questa sensazione è data dall'incredibile varietà di moti del mantello di Maria, preso da un vortice. Folata di vento data dalla presenza delle nuvole. Qualità luministica delle nuvole: per metà in luce e per metà in ombra. Angioletti punto chiave perché parte di loro illuminati da una luce naturalistica dell'ambiente, luce terrena, stessa luce che veniva dalle vetrate della chiesa. Ma la gran parte degli angioletti illuminati dalla luce celeste. Il padre eterno crea quella luce. Questo gioco si completa con gli apostoli: solennità di impressione. Creò grande impressione, fu necessario un grande percorso di accettazione per capire questo dipinto. Osa molto Tiziano. Baccanali Stesso periodo curiosa impresa pittorica che nasce a Ferrara: i Baccanali di Alfonso 1 d'Este. Quattro dipinti che Alfonso voleva mettere nel suo studio, voleva raccogliere i migliori dipinti italiani. Grandi amanti dell'arte modo in cui la concepisce. Tradizionale sacra conversazione, niente di nuovo in apparenza. La cosa curiosa è che riesce a rendere più instabile ciò che è normalmente stabile: il baldacchino è instabile, lo tengono gli angeli in gloria in volo. Anche i santi non sono in sacra conversazione, indicano l'un l'altro, si distraggono. Ancora accostamenti cromatici molto arditi, quasi astraenti. Non è naturalistico nel senso più stretto del termine. Non c'è nulla di tocco d'impressione. Colpisce in modo particolare il gioco della luce: Maria ora in luce, ora in penombra. San Nicola in gloria con i Santi Quadro di incredibile provocazione, siamo a Venezia. Città che ama il dinamismo. Lui pone come in una gloria, totalmente statica, questo santo frontale. Ricerca cromatica, pittura accarezzata. I corpi hanno una delicatezza straordinaria. Il lontano paesaggio è importante perché San Nicola era il protettore della navigazione, c'è un valore simbolico con la resa del mare e il paesaggio greve di pioggia. Si vede anche una storia sacra nella storia sacra, principessa che fugge e drago che la insegue. Ritratti Analizziamo due ritratti, di Lotto e Tiziano. Lotto ritrae un uomo di grande cultura e collezionista di marmi antichi. Rovescia in orizzontale il ritratto, così compare la casa e la sua collezione. Colpisce questa luminosità inquieta, non si sa da dove provenga ne dove spinga. Riprende, si spegne, si riattiva. Viceversa in Tiziano c'è una grande sicurezza, sembra altra versione del Baldassarre Castiglione, anche qui siamo solo sul nero. Vediamo la superba capacità di Tiziano nella resa degli abiti e nella penetrazione psicologica. Da notare anche che tradizionalmente gli uomini di alto rango si vestivano sempre di nero, Tiziano rende bene questa tendenza. Quindi mentre Lotto sembra avvicinarsi cautamente, invece Tiziano ci pone davanti con una certezza assoluta. Tiziano, Sacra Conversazione (Pala Pesaro) Nel mentre Tiziano faceva una grande pala d'altare. La scelta di mettere Maria di lato e di sfruttare un'architettura di scorcio, la scala e il muro alle spalle e le colonne, Tiziano la prende da Sebastiano del Piombo. Scelta di Tiziano ugualmente azzeccata, architettura di insieme riuscita. Le due colonne sono essenziali: intanto Maria era considerata come simbolo una colonna. Il traversone di ombra e gli angioletti sembrano reali, Tiziano da una tale evidenza fisica che da una consistenza. Maria con una morbidezza e una dinamica lieve volge se stessa verso una diagonale e il bambino che è all'angolo dello stipite (anche questo valore simbolico), questo angolo da vita a una seconda linea di forza: il bambino gira su un lato e San Francesco come idealmente collega con una linea gli altri. Il vuoto al centro esalta San Pietro. Quindi grande equilibrio. Tiziano, ritrattista Il grande condottiero lo ritrae in armatura, non c'è arredo che non sia collegato al suo ruolo. Potenza dell’ ambientazione, ma lascia anche un po' di spazio al personaggio. Lotto da un'impronta incerta e inquieta, Tiziano da sicurezza. Il ritratto di destra invece è un ritratto ufficiale. La veste parla con simboli, Tiziano ha saputo esprimere il codice di comunicazione degli aristocratici. Il rango della nobildonna è stato rispettato. L'orologio è simbolo del gusto dei due signori e simboleggia il senso della misura. Tiziano ha colto un passaggio psicologico incredibile: una naturale severità ma anche una naturale autocensura. Ritratto di Carlo V Con questo quadro nasce lo State portrait, ritratto di stato nella cultura inglese. L'imperatore Carlo V lo chiama nel 1533, vista la simpatia fra i due. Nella corte lo chiama ad Ausburg intuendo che vuole il suo ritratto. Riesce a rendere riconoscibile il cane. Suggerisce un ritratto a tutta figura, quasi più grande del vero. Cosa cambia? Il valore sacrale della presenza del potente davanti al popolo, diventa sostituto della presenza del sovrano. Nasce il genere del ritratto di stato perché l'immagine diventa come simulacro del potere e Tiziano con la resa del costume e della gestualità diventa il maestro dei pittori successivi. Interessante la capacità di renderlo dinamico in una posizione di dignità. Il nero colore di eleganza, mentre il chiasso cromatico non va d'accordo con l'adeguatezza nobile. Dimensione verso il potere non attivo. Quando il re o l'imperatore non c'era si andava nella sala del trono e c'era il ritratto, come se fosse presente. Ritratto di Paolo III Tiziano ha fatto ritratti di singoli, quasi parlanti. Nel ritratto di Tiziano possiamo leggere una specie di teatro, non sono indifferenti gli uni agli altri. Tiziano rivela quasi l'intimità dei rapporti di queste tre persone potentissime, il papa e i due nipoti. Il rapporto tra loro tre mette in luce. Paolo si rapporta con gli altri personaggi, uno è reverente nei confronti dello zio, cauto; mentre Alessandro si tiene sulle sue. Fu estremamente apprezzato, se ne colse la forza.
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