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Storia dell'arte moderna: dal 1500 al 1700, Dispense di Storia dell'Arte Moderna

Questo documento contiene tantissimi autori, periodi e opere che vanno dal 1500 al 1700, si parte da Andrea Palladio fino ad arrivare a Vanvitelli e la Reggia di Caserta. Si tratta di sbobine e dispense di 46 pagine ottenute grazie alle lezioni di storia dell'arte moderna frequentate all'Università di Cagliari. Sono molto dettagliate e precise, con cui sono riuscita a superare l'esame con una votazione di 29/30.

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 16/05/2022

AlicePiga
AlicePiga 🇮🇹

4.3

(8)

3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Storia dell'arte moderna: dal 1500 al 1700 e più Dispense in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Andra Palladio Il maggiore architetto del manierismo Veneto è Andrea di Pietro della gondola detto Palladio, nativo di Padova, si forma come scalpellino e come intagliatore di pietra in una atelier della della sua città, si trasferisce però a Vicenza forse per sfuggire dalla dalle strette regole della dell' apprendistato e qui si scrive alla corporazione dei tagliapietra entrando nella bottega di Pedemuro e determinante per la sua carriera fu l' incontro con il colto umanista Giangiorgio Trissino che riconosce in lui il talento e la capacità per dedicarsi alla all'architettura e lo porta con lui nei suoi viaggi a Roma. Qui il Palladio, (nome che gli viene conferito dallo stesso Giangiorgio Trissino e allusivo alla dea Pallade Athena nome tutelare della casa) studia con attenzione e resta affascinato dalle rovine antiche che riproduce nei suoi schizzi e nei suoi studi i quali verranno poi inseriti nella suo trattato architettonico. La prima impresa che lo vede affermarsi potentemente a Vicenza è la progettazione e la partecipazione alla gara per un nuovo progetto per il palazzo della ragione, l'antico edificio comunale doveva essere ammodernato con un intervento qualificante anche dal punto di vista urbanistico. Parteciparono questo concorso i principali architetti del tempo tra cui lo stesso Giulio Romano, il Sansovino, l’Ammannati, ma fu scelto il progetto di Palladio. Egli reduce da questi viaggi di formazione a Roma, infatti aveva acquisito un linguaggio classicista perfettamente formato e capace di progettare una sorta di nucleo, di involucro di marmi preziosi che avvolgesse l'antico edificio del palazzo della Ragione e quindi nascondendo le antiche strutture senza demolirle ma semplicemente nobilitandole e dandole un’aurea classica. In questa slide vediamo il progetto con la pianta e l’alzato dalla Basilica inseriti nei quattro libri di architettura cioè il suo trattato pubblicato a Venezia nel 1570 e il progetto prevedeva due diversi livelli di porticati strutturati con la ripetizione di un modulo a serliana che era la tipica apertura a tre luci di origine antica recuperata e pubblicata da Sebastiano Serlio nel suo trattato e quindi è da lui prende il nome; la ripetizione di questo modulo estremamente ordinata e coerente è coronata in alto da una balaustra arricchita di statue e poi da una copertura in lastre metalliche in rame. Le progettazioni di Palladio per la sua città non tutte trovano piena realizzazione e curiosamente questo progetto per Il Ponte di Rialto a Venezia un tempo ligneo mal certo, non trovò applicazione perché fu rifiutato ma fu ripreso due secoli dopo dal Canaletto per inserirlo in un suo capriccio che vedete appunto in basso con l'ambientazione reale come fosse una reale architettura veneziana. Per il patriziato vicentino, Palladio elaborò dei progetti di residenze laiche e palazzi sempre aderendo di volta in volta alle esigenze dei committenti e alle circostanze e urbanistiche. Per palazzo Chiericati per esempio si trattava di uno spazio sufficientemente ampio e il palazzo prospetta su una piazza e quindi fu progettato come un corpo autonomo e con delle facciate animate da porticati percorribili e una soprastante loggia in cui egli ribadì la sua adesione agli ordini classici, ionico e dorico: dorico al primo livello e ionico al secondo ed elegantemente decorati da statue. Per palazzo Valmarana, invece che prospettava su una via stretta, egli preferì e ricorse alla sopraelevazione allo sviluppo in verticale (l'unico che gli era consentito) per realizzare un assetto monumentale attraverso l'utilizzo dell'ordine gigante. Queste paraste che collegano i tre ordini unificano e scandiscono armoniosamente e ritmicamente il prospetto monumentale di questo palazzo e questi progetti vengono poi di volta in volta inseriti nel suo trattato architettonico. Ma Palladio è noto soprattutto per la progettazione delle ville per questo patriziato veneto che aveva interessi terrieri nell’ entroterra veneto e arrivò a progettare una sessantina di ville delle quali si conservano solo 21 ubicate in un territorio tra la provincia di Vicenza e di Treviso e che ruotano normalmente come vediamo da questi schemi sulla destra su un corpo centrale e che può essere circolare quadrangolare o a croce destinato al salone di rappresentanza intorno a cui si dispongono a corona gli altri ambienti dalla villa. Le ville erano un luogo di ozio quindi di ristoro di pace e di riposo soprattutto intellettuale destinato quindi a salotti letterari e poetici all'ascolto della musica e tra le realizzazioni più note di Andrea Palladio senz'altro vi è la Villa Almerico Capra a Vicenza detta la Rotonda per la sua struttura a pianta centrale inserita in un quadrato e sormontata da cupola che si erge su una collinetta alla periferia della città ed è forse l'unica a non essere destinata allo sfruttamento terriero e all' utilizzazione agricola ma fu proprio per la sua collocazione destinata invece a salotto letterario e a incontro per svaghi intellettuali. Ogni frontone e ogni prospetto della villa è completato da un pronao classico con un colonnato ionico e da una scalinata antistante che inserisce la villa nel contesto del contesto naturale in piena armonia e questo rapporto tra architettura e natura è uno degli elementi caratteristici e costanti in tutta la progettazione di Palladio, il quale si servì però anche della collaborazione di pittori e di stuccatori per la decorazione delle sue ville. Un'altra tipologia molto interessante e che egli mise appunto nella progettazione delle ville è quella che ci propone nella Villa Barbaro a Maser presso Treviso su committenza di due fratelli, Daniele e Marcantonio Barbaro che erano colti umanisti e intellettuali. Egli realizzò un ampliamento e ammodernamento di una struttura preesistente; il corpo centrale ha un frontone a tempio ed è destinato ad accogliere gli ambienti destinati alla famiglia mentre le ali laterali simmetriche dette barchesse accolgono gli strumenti da lavoro, i carri, gli arazzi, le bestie utilizzate per il lavoro dei campi e quindi hanno una destinazione funzionale e progettate in modo attento da Palladio. Daniele Barbaro era un colto umanista patriarca di Aquileia che curò i commentari alla pubblicazione del De Architettura di Vitruvio per il quale si servì dalle illustrazioni di Palladio; quindi conosceva l'architetto e lo stimava e quindi si rivolse a lui per la progettazione di questo di questa progettazione architettonica. All'interno si realizza una fusione armoniosa delle tre arti architettura pittura e scultura grazie alla collaborazione con il pittore Paolo Veronese e con lo scultore e stuccatore Alessandro Vittoria e questo fa sì che il rapporto armonioso tra interni ed esterni di questa architettura ci mostri un continuo rimando alla natura con delle aperture illusionistiche e sul paesaggio e che viene rappresentato in tutta la sua freschezza da Paolo Veronese, ci sono infatti paesaggi con ponti, rovine, con ville con ruderi antichi e con un linguaggio estremamente raffinato e armonioso. Le capacità di Veronese di rappresentare in modo illusorio e vitale la vita e i personaggi della villa lo fanno realizzare delle scene mitologiche e con allegorie della vita campestre oppure gli fanno presentare dei personaggi che si affacciano da aperture o da balconi come Giustiniana Giustiniani che era la moglie di uno dei suoi committenti insieme alla nutrice con dei rimandi sottili, delle allusioni molto vaghe e che ci mostrano la sua predilezione per una pittura luminosa e tersa. Questa pittura illusionistica con sfondamenti prospettici e con finti paesaggi e arnesi appoggiati alle pareti o con personaggi che si affacciano in modo molto spiritoso e vivace da finte aperture, lo porta ad auto ritrarsi come nelle vesti di un cacciatore inquadrato da una porta e quindi vediamo il pittore Paolo Veronese in questo suo autoritratto. Palladio fu tanto apprezzato dai suoi committenti perché era capace di ottenere dei risultati di aulica classicità e di grande eleganza e bellezza pur utilizzando materiali poveri e non costosi come lo stucco, l' intonaco e la pietra dipinta ricorrendo però un graduatorio classico di grande di grande eleganza che gli consente di realizzare ville come la Villa Emo o la Villa Foscari a Gambarare di Mira e sono le grandi famiglie del patriziato Veneto che diventano committenti di una di un'arte raffinata e aggiornata al linguaggio del manierismo tosco romano. Abbiamo parlato di volta in volta dei diversi trattati prodotti dai dagli architetti nel corso del 400 e del 500 e questo per dire che da Palladio un ruolo importante nella diffusione della trattatistica architettonica in quanto il suo trattato “I quattro libri dell'architettura” del 1570 per la prima volta vedono l'inserimento di progetti dello stesso architetto, egli li inserisce tra i progetti della dell'architettura antiche con quindi piena consapevolezza del valore e della qualità dei suoi progetti e questo fa sì che i suoi progetti vengano trovano una diffusione straordinaria e un grande apprezzamento soprattutto nel mondo protestante. Nel 1700 la traduzione in inglese di questo trattato e la sua il suo corredo di note da parte dell'architetto Inigo Johns lo face diventare un veicolo straordinario per la diffusione di una moda che viene chiamata palladianesimo quindi l'influsso di Palladio e della sua architettura e dei suoi progetti proseguì nel corso del tempo ed ebbe una straordinaria diffusione in tutta Europa, fino al lontano i territori della Russia e addirittura fino alla degli Stati Uniti d'America. dalla lampada che pende dal soffitto e da cui prendono vita delle evanescenti figure di angeli che quindi fanno assumere alla scena narrativa un chiaro senso di prodigio. Tintoretto quindi aderisce alle norme tridentine con molta sincerità e senza alcuna costrizione a differenza di Veronese che ne resta invece distante. Palladio progettò una un'altra chiesa votiva, cioè la Chiesa del Redentore e anche qua Palladio abbina l'impostazione longitudinale della navata, in questo caso da aula unica con cappelle laterali, al corpo centrale di un ampio di un ampio presbiterio dilatato e trasversalmente dall'inserimento di due absidi laterali e prolungato oltre il diaframma delle colonne, questa transenna colonnata inserita da Palladio che si allunga l'altar maggiore nel coro dei padri. Anche questa chiesa si trova più su un'isola quindi prospetta sulla superficie mobile della laguna e Palladio dimostra con chiarezza dal punto di vista dell'impianto di adeguarsi alle norme tridentine al grande modello gesuitico del Gesù di Vignola ma dimostra anche di essere estremamente attento a progettare una facciata che corrisponda agli interni dell'edificio e cioè propone un prospetto a tempio classico con una soluzione innovativa che si adegua e si armonizza pienamente alla struttura dell'impianto interno. Per Vicenza progettò un teatro richiamando una tipologia classica del teatro classico romano e greco con una scena fissa per la quale progetto è un impianto architettonico di grande eleganza attraverso un arco trionfale all'antica e si aprono da che ci si scorgono 3 strade in prospettiva accelerata e una un'ampia scalea ripida realizzata in legno che si conclude con una classicistica architettura rifinita da sculture. Gli antichi teatri erano normalmente aperti e non avevano un soffitto. In questo caso per ricordare questo fatto, Palladio realizzò un soffitto dipinto con delle nubi e degli uccelli che volevano proprio ricreare la sensazione del teatro all'aperto. La morte non gli consentì li vedere questo suo progetto realizzato ma fu affidata la conclusione al suo allievo Vincenzo Scamozzi che qua vediamo in un ritratto di veronese. Il 1600 Tra naturalismo e ideale classico Bologna: i Carracci e l’Accademia degli Incamminati. Alla fine del 1500 sorgono le nuove tendenze che caratterizzeranno l'arte del secolo successivo ad opera di due protagonisti dell'arte italiana: Annibale Carracci e Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Sorgono quindi due nuove tendenze che saranno di estrema importanza per gli sviluppi successivi della storia dell'arte italiana. La prima si afferma a Bologna dove nel 1582 nasce l'Accademia del Naturale o del disegno ad opera di Ludovico Carracci e dei suoi cugini Agostino e Annibale e questo nome indica il fatto che pongono alla base del loro studio e del loro impegno lo studio della natura che era alla base del loro lavoro assieme al disegno come strumento di approccio all'arte. Gli insegnamenti infatti prevedono la pratica del disegno, la copia dal vero e lo studio delle lettere e della filosofia ma unite alle studi scientifici di geografia, di geometria e anatomia. Però l'Accademia cambierà nome a partire dal 1590 e diventerà Accademia degli Incamminati o dei desiderosi per sottolineare l'impegno comune nel cammino della conoscenza; le fonti di ispirazione sono la classicità e la storia e i modelli sono eclettici e spaziano da dei grandi modelli di Raffaello e di Correggio alla tradizione veneta di Tiziano, Tintoretto e Veronese che verrà studiato con un appassionato interesse e a questi però vanno aggiunti lo studio di Michelangelo e dei pittori emiliani più importanti e rinomati del tempo. Un sonetto scritto dallo stesso Agostino Carracci e riportato dal Malvasia ci indica quali sono questi interessi eclettici di un buon pittore “brama e desia il disegno di Roma abbia la mano la mossa l'ombra re veneziano e il degno colorir di Lombardia di Michelangelo la terribil via, il vero naturale di Tiziano di Correggio Lost il puro è sovrano e di un Raffaella vera simmetria, del Tibaldi il decoro il fondamento del dotto primaticcio l' inventare e un po' di grazia del Parmigianino ma senza tanti studi e tanto stento si ponga son l'opera limitare che qui lasciocci il nostro Nicolino”. Con questo nome Nicolino si intende la figura interessantissima di Nicolò dell'Abate che fu pittore emiliano di grande raffinatezza e lasciò l'Italia per lungo tempo per andare nella corte di Fontainbleau. (in alto vedete le principali fonti contemporanee che ci forniscono informazioni e aneddoti importanti sulla vita di questi pittori emiliani di origine però lombarda) Ludovico il primo e il più anziano aveva un' impostazione teorica molto pronunciata e aderisce con immediatezza alle indicazioni della contro riforma che provengono dal Cardinale Paleotti e arcivescovo di Bologna che nel suo discorso sulle immagini richiede semplicità, decoro, pietà e devozione agli artisti. Nella sua “Annunciazione” prodotta nel 1535 per una confraternita del Santissimo Sacramento (ma oggi alla Pinacoteca nazionale di Bologna), egli compone un'opera che sembra veramente un paradigma, un manifesto di questa adesione all'arte contro riformata. È un ambiente seriamente spoglio, semplice strutturato secondo linee prospettiche rinascimentali in cui i due protagonisti dell'evento evangelico sia l'angelo che la Vergine sono rappresentati con fattezze giovanili e in una semplicità priva di orpelli, va direttamente al cuore della devozione e della pietà popolare. il cugino Agostino Carracci, invece, nella “Comunione di San Girolamo” ci propone una Pala d'altare patetica e di forte impatto devozionale in cui l'anziano Santo si inginocchia per riceve la comunione all'interno di una chiesa strutturata secondo le linee della del tempo e non certamente ambientate nel tempo invece in cui il Santo visse. Quindi tutto tende ad essere perfettamente comprensibile e a comunicare in modo chiaro e immediato per i fedeli i contenuti della dottrina. Ma il terzo personaggio della famiglia, il terzo esponente dell'accademia dei Carracci è Annibale che è una personalità più potente che pian piano emergerà con forza e si imporrà sui suoi consanguinei e qua vediamo la sua attività giovanile in cui produce delle opere di genere ambientate in contesti popolari. “La bottega del macellaio” (sappiamo che i Carracci avevano degli zii macellai) si presenta con molta vividezza e ci presenta un quadro una scena di vita vissuta quotidiana, mentre il dipinto del “mangia fagioli” è forse da collegare con il teatro dell'arte e con la figura del mangia fagioli che si chiamava lo Zanni ed era un personaggio del teatro o che indicava lo sciocco. Ma i Carracci intraprendono delle imprese comuni in cui non gli interessa privilegiare l'uno o all'altra personalità in cui è indistinguibile il ruolo che si ricoprono, in un ciclo di affreschi che realizzano per committenza nobiliare e cioè per il Conte Filippo Fava, figlio di un lustre medico nella nell'omonimo palazzo di Bologna e realizzano un ciclo di affreschi dedicato alle storie mitologiche di Giasone e Medea in cui con il sistema del quadro riportato all'interno di un elegante sistema di cornici a monocromo, che ricorda se vogliamo e la lontana la le postazione michelangioleschi della Cappella Sistina, essi scandiscono le scene in riquadri con molta freschezza e con la capacità di ricreare questa narrazione mitologica con molta vivezza molta naturalezza. Annibale si autoritrae in questo dipinto e pian piano in mostra che la sua personalità e la sua indole è differente da quella del fratello Agostino e da quella del cugino Ludovico e si creano dei dissapori interni all'andamento di questa di questa Accademia. ll Malvasia riporta un aneddoto che sembra piuttosto significativo: alla richiesta di Agostino di esprimere un suo giudizio sul gruppo scultoreo del Laoconte, egli si rifiuta ma in men che non si dica davanti agli spettaori riproduce alla perfezione la statua con il disegno ed egli commenta “noi gli altri dipintori abbiamo da parlare con le mani”, quindi afferma una sua personale via per l'arte che non è fatta di dottrina ma fatta di capacità tecnica eppure la sua cultura è una cultura vasta la conoscenza della statuaria antica è ben presente nella sua cultura nel suo bagaglio culturale e questo emerge con forza in un altro ciclo di affreschi che realizzano i Carracci insieme all'interno di Palazzo Magnani a Bologna dove dovevano rappresentare le storie di Romolo e Remo; quindi la Fondazione di Roma, dove la leggenda e la storia vanno di pari passo e dove la storia viene narrata acquisendo un tono di epica grandezza, di nobiltà e di classicismo che ci dimostra come la meditazione sull’ arte classica sia molto evidente nella formazione dei Carracci e di Annibale in particolare. Di questi anni nel 1595 è anche la splendida incisione con la “Sacra Famiglia” che ci dimostra che i Carracci, si Agostino in particolare ma anche Annibale, si dedicano all'attività incisoria. Agostino riproduce i grandi capolavori dell'arte veneta di Veronese, Tiziano e Tintoretto e invece Annibale produce sue idee e diffondendo le sue invenzioni. Questo ciclo di affreschi (storie di Romolo e Remo) prelude alla grande svolta classicista di Annibale che avverrà di lì a poco a Roma. Egli si dedica anche alla produzione di grandi pale d'altare dal potente afflato e devozionale, qua vediamo “L'Assunzione” per la chiesa di San Francesco e “L’Apparizione della vergine ai Santi Luca Caterina” (oggi al Louvre) che ci dimostrano l’ ingigantimento delle figure, il rapporto più ravvicinato rispetto allo spettatore e un rapporto sempre costante coerente tra le figure in primo piano e lo sfondo paesistico; quindi una meditazione sulla pittura veneta soprattutto su Veronese che era la grande figura di riferimento di questo fase di Annibale, ma egli medita lungamente alla produzione di una grande tela monumentale dedicata alla “Elemosina di San Rocco” destinata per l'omonima compagnia religiosa, dove il Santo giovanetto è intento a distribuire l'elemosina ai poveri che si accalcano salendo le scale verso di lui, in una struttura compositiva, magniloquente, di quieta classicità anche i poveri derelitti acquisiscono una dimensione epica una dimensione e di grande dignità morale e questa sembra una meditazione sulle idee dell’ arte diffusa da Torquato Tasso che riteneva che l'arte avesse una sua grandezza in se stessa. Nel 1595 è proprio l'anno in cui egli conclude questa monumentale tela e Annibale si trasferisce definitivamente a Roma su invito del cardinale Edoardo Farnese che era il fratello del Duca di Parma Ranuccio Farnese per il quale egli aveva lavorato precedentemente fornendo una serie di tele mitologiche ed è il momento quindi dell'incontro diretto con la città di Roma e con lo spirito della classicità che qui si respira. Caravaggio a Roma Il secondo protagonista di questa grande svolta della storia dell'arte italiana è Michelangelo Merisi da Caravaggio. Il giovane nasce a Milano da una famiglia originaria di Caravaggio, un piccolo centro nelle vicinanze da cui prende il suo nome, rimasto orfano del padre e dei nonni tragicamente periti durante una peste, va a bottega da Simone Peterzano che era un pittore che si dice alunno di Tiziano e che unisce nella sua formazione il naturalismo lombardo e il colorismo Veneto. Dopo la morte della madre nel 1590 vende i terreni di proprietà della famiglia e si trasferisce a Roma, qui egli ha uno zio che era sacerdote e che lo introduce grazie alla all'aiuto e protezione del cardinale Federico Borromeo (cugino di San Carlo Borromeo) e viene introdotto negli ambienti della capitale da cui arrivano le prime commissioni artistiche. Egli fa capo alla bottega di Giuseppe Cesari detto il Cavalier D'Arpino; qui arriva a Roma quindi alcuni anni prima di Annibale Carracci e qui lo incontra e hanno modo di conoscersi e di apprezzarsi ma le vicende di biografiche di Caravaggio sono tragicamente segnate da un episodio cioè da un omicidio in una rissa nel 1606 uccide un uomo ed è costretto alla fuga e quindi inizia una fase tragica della sua vita in cui è costretto a fuggire e peregrinare da Napoli e Sicilia e poi a Malta e poi di nuovo in Sicilia, Napoli, finché non tiene la tanto agognata grazia da parte del Papa che lo aveva condannato a morte e però sopraggiunge la morte. Le fonti che ci parlano della vita di Caravaggio sono per molti versi comuni a quelle di cui abbiamo parlato per per Annibale Carracci; sono il Mancini e quindi sono degli scritti teorici come quelli del Bellori di impostazione classicistica quindi con dei giudizi severi sull’ opera di Caravaggio, oppure sono degli scritti di pittori contemporanei a lui come Baglione che era però un suo fiero avversario antagonista e ugualmente non ci fornisce dei delle notizie positive. Il Bellori scrive “egli era di color fosco e aveva Foschi gli occhi neri e le ciglia e capelli e tale riuscì ancora naturalmente nel suo dipingere la prima maniera dolce e pura di colorire fu la migliore essendosi avanzato in essa il supremo merito e mostratosi con gran lode ultimo attore lombardo ma egli trascorse poi nell'altra oscura tirato via dal proprio temperamento come nei costumi ancora era torbida e condrite contenzioso”; quindi egli ci fornisce una descrizione non solo fisica e psicologica di Caravaggio ma la riverbera su tutta la sua attività pittorica mostrandoci quindi un ritratto a fosche tinte di Caravaggio distinguendo nettamente tra la prima fase giovanile della sua attività e la seconda segnata appunto dalla violenza e dall’ omicidio per il quale è costretto alla fuga. Il suo ingresso all'interno della bottega di Simone Peterzano appunto è alla base della sua formazione lombarda del naturalismo lombardo fortemente però anche influenzato dal colorismo veneto di Tiziano di cui appunto Simone Peterzano lo dichiarava alunno. Egli si trasferisce a Roma nel 1592 dove era Papa in quegli anni Clemente VIII , (il quale era vicino agli oratoriani , il nuovo ordine sorto nella controriforma ad opera del Santo Filippo Neri) e dove poté godere anche dell' appoggio appunto del cardinale Federico Borromeo e Ascanio Colonna imparentati con i Marchesi di Caravaggio. Nei primi tempi pare che sia stato ospitato da monsignor Pandolfo Pucci che era maestro di casa della sorella di Sisto V, quindi il Papa precedente a Clemente VIII. Quegli anni del pontificato di Sisto V e Clemente VIII erano anni di grande fervore, di grandi granduca di Toscan a Roma e infatti oggi la Medusa si trova nelle collezioni degli Uffizi. Si conosce però ha anche un'altra versione di proprietà privata e firmata da Caravaggio che fu esposta anche a Sassari, di minore qualità forse però ugualmente interessante per comprendere il modo di lavorare di Caravaggio del quale non si conoscono disegni preparatori ma che lavorava direttamente sulla superficie del supporto. Secondo la testimonianza di Giovanni Baglione i primi quadri del Caravaggio furono da lui ritratti nello specchio cioè egli si auto ritrasse più volte nella nelle sue opere e questo è uno di questi di questi casi in cui si servì di se stesso come modello per la rappresentazione di questa terribile immagine. Annibale Carracci a Roma. La Galleria Farnese e la Cappella Contarelli L’ideatore del tema iconografico fu il bibliotecario dei Farnese, l'umanista Fulvio Orsini. Il tema era un tema mitologico storie di Ercole e Ulisse al centro della volta il noto dipinto con “L’Ercole al bivio” (1595-1597) ci dimostra lo studio attento della classicità della statuaria classica da parte di Annibale Carracci. Il suo linguaggio epico vigoroso messo a punto a Bologna e a Roma acquisisce un nuovo vigore dato dallo studio dal vivo delle opere appartenenti alla collezione Farnese il cosiddetto “Ercole Farnese” ma anche l’importante gruppo scultoreo del Laoconte. Egli infatti rappresenta all' Ercole al bivio quasi come una statua vivente in cui la corporatura giganteggia, la muscolatura si amplifica e ce lo mostra al bivio tra le scelte tra le due strade che gli si aprono: la via della virtù e la via del vizio rappresentata allegoricamente attraverso due figure femminili. Lo studio attento attraverso una serie di disegni che fortunatamente si conserva per queste opere, ci mostrano le capacità straordinarie di Annibale come disegnatore ma è soprattutto nella Galleria Farnese che egli dimostra tutto il suo acume, ingegno e tutta la sua capacità di libertà inventiva e questo ambiente fu cantato dalle rate cantato dalle fonti contemporanee e gli valse una fama enorme. Il tema della Galleria è dedicato ad un altro tema mitologico cioè “gli amori degli dèi”; vengono infatti rappresentate coppie di amanti mitologici alla lo scopo di utilizzare questo ambiente per il matrimonio avvenuto nel maggio del 1600 tra il duca Ranuccio Farnese e Margherita Aldobrandini, una esponenti di una grande e importante famiglia nobiliare di Roma e che appunto era quella del Papa di quegli anni cioè Clemente VIII. All'interno di questa impresa abbiamo sicuramente Annibale come ideatore di tutto il ciclo ma gli si affianca come collaboratore il fratello Agostino e al quale vengono assegnati alcuni riquadri delle scene mitologiche e però i dissapori tra i fratelli convincono in breve tempo Agostino a tornare a Bologna dove di li a poco nel 1602 morirà. Vediamo alcuni dettagli di questi cicli di affreschi rappresentati ancora come quadri riportati e sono inseriti all'interno di cornici come fossero dei quadri poggiati alla parete mentre in realtà sono realizzati appunto nella tecnica dell'affresco e la volta sappiamo che fu conclusa e scoperta nella dell'anno 1601 e aperta al pubblico, abbiamo i commenti degli illustri visitatori ma probabilmente in occasione del matrimonio i lavori furono interrotti e furono sospesi per permettere appunto la celebrazione di questo festoso evento e poi si riprese questa lunga attività pittorica di Annibale che lo impegna complessivamente per quasi 10 anni e nella quale perse quasi la salute proprio per l'impegno che gli ci volle la realizzazione di questo grandioso ciclo di affreschi. Nel centro della volta il riquadro maggiore più ampio è dedicato al “trionfo di Bacco ed Arianna”, un fastoso corteo con fauni, amorini, ninfe, trainato da capre ed altri animali in cui Annibale si mostra quasi come un novello Raffaello come una nuovo cantore della classicità di questa età dell’oro. Mentre gli anni passano ed egli è impegnato anche su altri fronti a produrre pale d'altare, tele mitologiche ed altri impegni, si deve servire sempre di più dell' aiuto dei collaboratori; alcuni nomi li conosciamo sono sicuramente il Domenichino, l' Albani, il fratello Agostino poi per breve periodo dopo la morte di Agostino anche il cugino Ludovico ma abbiamo una testimonianza molto interessante del 1599 di un suo collaboratore, il pittore Bonconti che racconta “Annibale lavora e tira la carretta tutto il dì come un cavallo e fa logge, camere, sale e quadri e lavori da 1000 studi e stenta a crepa”; cioè questo ci dimostra come appunto Annibale operasse con tutto il suo impegno in queste grandi imprese pittoriche ma la delusione per il mancato corresponsione di questi di questi impegni da parte del Farnese lo condusse quasi a deprimersi e a cadere in una malinconia così come ci viene raccontato dalle fonti. Nelle ultime decorazione dedicate alla storia di Perseo la parte dei collaboratori diventa più importante e appunto si fanno avanti le personalità di Domenichino che le erediteranno e poi prenderanno questa eredità importante lasciata da Carracci e proseguiranno questa scuola del classicismo romano e lavorando anche a Napoli e diffondendo questo nuovo linguaggio e proprio perché Annibale, affaticato e amareggiato da questa incomprensione del suo valore pittorico, si ammala gravemente. Intanto negli stessi anni della svolta importante verificatasi appunto grazie alla attività di Annibale Carracci, anche Caravaggio ottiene una importante commissione nella Cappella Contarelli in San Luigi dei francesi e manifesta la sua maturità pittorica, una svolta che avrà un impatto ugualmente molto importante nell'ambiente artistico romano. il Cardinale francese Mathieu Contrel (il suo nome italianizzato appunto Contarelli) gli commissionò la realizzazione del ciclo di tele dedicate alla sua cappella all'interno della chiesa di San Luigi dei francesi che dal 1589 era diventata la chiesa nazionale francese a Roma e qui aveva operato già il Cavaliere d’Alpino che aveva affrescato la volta ed era successo alcuni anni prima un fatto di grande rilevanza nel 1595 e cioè il re di Francia Enrico che era ugonotto, si era convertito al cattolicesimo quindi per solennizzare questo avvenimento storico il ciclo di dipinti era dedicato alla conversione di San Matteo il pubblicano che viene chiamato da Cristo a seguirlo e Caravaggio in modo innovativo e direi quasi eversivo rappresenta la scena evangelica della conversione nella “Vocazione di San Matteo” all'interno di un' osteria, un ambiente buio Gesù entra accompagnato da Pietro e ci porge le spalle e con il suo gesto del braccio teso indica il futuro apostolo; il braccio di Cristo ha la stessa direzione di un fiotto di luce che entra da u na finestra immaginaria che da destra a sinistra piomba ad illuminare l'apostolo. E quest’uso della luce è una luce naturale ma simbolica che allude alla grazia e ci dà una chiave di lettura di questo dipinto secondo la dottrina agostiniana, la luce quindi sarebbe il simbolo della grazia che giunge ad illuminare il ogni uomo e che deve essere però accolta, quindi alcune figure rimangono nella ombra e non si accorgono neppure di questo avvenimento, però Matteo si volge e indica se stesso e risponde a questa chiamata come sappiamo. Nella tela opposta viene rappresentato invece il momento drammatico del “martirio di San Matteo” impegnato a celebrare l' eucaristia davanti all'altare e viene assassinato da un sicario e Caravaggio rappresenta il fatto come una rissa da strada come un omicidio con tutta la violenza, la brutalità di questo di questo avvenimento mentre gli astanti fuggono inorriditi e però istantaneamente dall'alto giunge un Angelo a porgere la Palma del martirio al Santo e qua l'uso della luce è un uso potente come un riflettore che illumina la scena che focalizza l'attenzione sul corpo riverso del Santo mentre il volto dell' aguzzino ancora una volta resta nell'ombra. Tra gli astanti in oltre Caravaggio si autoritrae come testimone e partecipe spettatore di questo martirio. Nella Pala d'altare invece doveva essere collocata una tela che rappresentasse il Santo nel suo ruolo importante di Evangelista di scrittore del Vangelo; la prima versione però pure realizzata da Caravaggio fu rifiutata dai committenti perché ritenuta non decorosa perché presentava infatti l'evangelista seduto con un Angelo che gli guidava la mano quindi come un povero analfabeta incapace pure di scrivere che nella sua umiltà quindi doveva dipendere dall' aiuto angelico; in realtà questo dipinto ci dimostra l'appartenenza con il suo ambito lombardo, (lo vediamo messo a confronto con l'affresco realizzato da Simone Peterzano nella Certosa di Garegnano) e fu comunque apprezzata da una committenza raffinata come quella del marchese Vincenzo Giustiniani che l'acquisto, però il pittore fu costretto a realizzarne una seconda versione in cui il Santo scrive il Vangelo su dettatura dell'angelo ma anche ci dimostra un approccio comunque forte sulla realtà ad esempio i piedi nudi in primo piano sono sporchi, lo sgabello in bilico sull'orlo della tela, però le esigenze di decoro dei committenti erano state salve. Karel van Mander ci dice che “tutte le cose non sono più bagattelle (questo era il giudizio di Caravaggio) chiunque le abbia dipinte, se non son fatte dipinte dal vero ( quindi questa era l’ approccio all'arte di Caravaggio ) egli non dava un sol colpo di pennello senza attenersi al modello vivo, che copia e dipinge”. Quindi questa presa diretta sulla realtà di Caravaggio è un fatto molto forte che conferisce un impatto visivo straordinario ai suoi dipinti, eppure appunto la sua cultura pittorica aveva delle radici profonde nel realismo lombardo, qua vediamo due esempi di Girolamo Romanino e Girolamo Savoldo che rappresentano lo stesso tema di “San Matteo e l'angelo” immerso in una luce particolare con appunto effetti luministici di livello e a luce di candela che ci dimostrano quindi che la cultura visiva di Caravaggio affondava in questa formazione giovanile e però l’approccio appunto alla reale e questa brutalità del vero emerge con tutta la sua forza in episodi biblici come “Giuditta e Oloferne” (1599) cui l'eroina biblica viene rappresentata proprio nel momento in recidere la testa del nemico di Israele davanti allo sguardo inorridito della sua ancella e mentre il sangue esce a fiotti dal collo di Oloferne e bagna e inonda le lenzuola. Questo tema con questa brutalità, questa verità dell'immagine non potrà mai essere replicata dai pittori manieristi e non potrà mai essere eguagliata da altri pittori. La Cappella Cerasi L'attività pittorica di Annibale Carracci era molto stimata da Caravaggio che apprezzò la Pala di Santa Margherita che egli spedì nel 1599 per la chiesa di Santa Caterina dei Funari a Roma e conosciamo questa sua stima questa la stima per il pittore grazie a una testimonianza nel 1603 quando egli negli atti di un processo in cui fu coinvolto, cita Annibale come un valent uomo e uno dei grandi pittori presenti a Roma in quegli anni. La stima reciproca li portò a collaborare nello stesso luogo per la realizzazione delle tele per la Cappella Cerasi all'interno della chiesa di Santa Maria del popolo; ad Annibale fu commissionata la Pala dell altare “l'assunzione” che gli rappresentò in modo tradizionale con una tela ispirata a Tiziano in cui la Vergine ascende al cielo tra lo stupore dei suoi apostoli mentre ai lati a Caravaggio furono commissionate due tele dedicate a San Pietro e San Paolo. La prima è la “conversione di saulo” e rappresenta il momento in cui Saulo cade da cavallo perché sente una voce gli dice “saulo saulo perché mi perseguiti”e la scena è rappresentata in modo diverso da come era stata impostata fino allora il grande cavallo e occupa quasi i 2/3 della tela e giganteggia e la scena è rappresentata al buio, sembra all'interno di una stalla e non sulla via di Damasco così come raccontano gli Atti degli Apostoli e in quell’atto in cui resta cieco e la saulo allarga le braccia e vede questa luce che piove dall'alto e questo uso della luce è così teatrale ma così fortemente simbolico da parte di Caravaggio che ci dimostra che è una luce solo interiore che viene vista appunto da saulo (San Paolo) che in quel momento appunto si converte e decide di non perseguitare più i cristiani. Quindi la novità di questa impostazione con una volta legata a una forte innovazione da parte di Caravaggio, il quale anche per questo per aveva realizzato una prima versione che fu rifiutata per motivi teologici dottrinari ma che poi fu a ritirata appunto dal cardinal Sannesio e l' attualmente si trova all'interno della collezione Odescalchi Balbi, ma il pittore fu costretto a proporne una seconda in cui la scena si concentra sul protagonista e non vi è più il la figura di Cristo che piove dalla dall'alto accompagnato dagli angeli e manca anche la figura dell' armigelo intermedio. L’altra tela è quella ugualmente potente che rappresenta il “martirio di San Pietro” che viene crocifisso testa in giù e rappresenta proprio il momento di questa grande croce che costituisce la diagonale del dipinto viene issata, qui c’è un'altra immagine fortemente simbolica in cui ci mostra come da questo martirio di Pietro nasce la chiesa e che ci mostra ugualmente questo forte contrasto di luce e tenebre e la luce è ugualmente simbolica che veste il corpo e il volto del Santo mentre i suoi carnefici restano all'oscuro e quindi emergono le caratteristiche tipiche di questa pittura caravaggesca: la composizione per diagonali, i forti contrasti chiaroscurali, quindi un’ arte drammatica e potente dal punto di vista espressivo nella sua sintesi appunto così pregnante. Ma anche Annibale Carracci è capace di produrre delle opere di forte impatto devozionale con un chiaro riferimento a Michelangelo e alla sua pietà vaticana; egli infatti rappresenta una emozionante pietà (oggi a Capodimonte) e realizzata per il cardinale Odoardo Farnese e che fu preceduta da una incisione di grande qualità del 1597 dedicata a questo stesso tema. Egli realizzò anche un “Cristo deriso”, l'opera che fu messa sul letto di morte e che sembra quasi un testamento spirituale di questo pittore che rimase deluso dall' incomprensione del cardinal Farnese dovuta al fatto di non essere stato ben pagato e ben ricompensato per la sua fatica così c immensa. Caravaggio per il marchese Giustiniani che era un grande collezionista della statuaria antica di Roma in quegli anni insieme ai borghese, ai Farnese e ai Panphili e così altre grandi famiglie nobiliari, dipinge “amor vincit omnia”(1601-1602). Quindi è un'opera simbolica in cui si riallaccia certamente alla statuaria antica ma rappresenta un'immagine di una vitalità prorompente con questo bambino nudo a cui rappresenta “le 7 opere di misericordia”(1607) alla base di questo sodalizio laico e che riassumono il cosiddetto Vangelo della quotidianità ambientato all'interno di un vicolo del centro storico di Napoli e illustrato con la immediatezza della quotidianità cioè riassume le azioni appunto di misericordia, di assetare gli assetati rappresentato da Sansone che beve alla con la mascella dell'asino, la visita dei carcerati e la cura dei malati e cioè l'episodio quindi di Pero e del padre Cimone, seppellire i morti e vediamo la figura del sacerdote che accompagna una salma in cimitero, vestire gli ignudi che è invece rappresentato in primo piano da San Martino che divide il suo mantello con il povero nudo disteso per terra con una posa molto simile a quella del Galata ferito, mentre le opere di misericordia come ospitare i pellegrini e sfamare gli affamati sono riassunti nella figura dell' oste pellegrino con col suo berretto caratteristico da pellegrino sulla sinistra. Quindi questa è una un'opera straordinaria che è ancora al suo posto ed ancora visibile per il luogo per la quale è stata realizzata quindi per la quale su accolta, quindi a Napoli Caravaggio ottenne la accoglienza delle sue opere ma dovette ben presto fuggire anche da Napoli attraverso un soggiorno intermedio in Sicilia per passare poi a Malta. Qui a Malta sappiamo che il gran maestro dell'ordine desiderava un affrescante per decorare le sale dell'ordine e tra le abilità e specialità di Caravaggio non c'era quella della pittura a fresco però, egli rappresentò per questo committente la Pala d'altare dell’ oratorio di San Giovanni Battista che il loro patrono all'interno della cattedrale di San Giovanni Battista della Valletta nell'isola di Malta. Egli viene accolto nella 1608 tra i cavalieri di Malta, non era certamente un nobile e non avrebbe potuto entrare tra i cavalieri di Malta ma fu accolto come Cavaliere di grazia e quindi con un speciale permesso che fu richiesto al Papa, quindi il dubbio è se il gran maestro conoscesse i trascorsi e la condanna capitale di Caravaggio e fosse a conoscenza della sua situazione; vediamo intanto l'opera che Caravaggio rappresentò rappresentò il momento del martirio del Santo “decollazione del Battista”, il momento in cui il Santo già decapitato dal suo aguzzino sta per ricevere il colpo di grazia attraverso il coltello che il carnefice sta sfilando dalla cintura la cosiddetta misericordia davanti allo sguardo inorridito di una vecchia mentre la giovane si china a raccogliere nel piatto la testa del Battista mentre dei compagni di cella si affacciano alla finestra per assistere alla scena ma la scena è ambientata in un ambiente nudo, tetro in un tetro carcere, così come il cardinal Federico Borromeo aveva raccomandato agli artisti nel suo trattato “de pictura” e aveva raccomandato di ambientare il martirio in un tetro e orrido carcere; ma Caravaggio aggiunge un elemento ancora più terribile, perchè firma nel sangue che sgorga dal collo della del Battista “fra Michelangelo” proprio perché lui era appartenente all'ordine dei cavalieri di Malta e però questo soggiorno dura pochi mesi, il 27 agosto sappiamo che a seguito di una nuova rissa viene imprigionato in attesa di giudizio però riesce a fuggire il 6 ottobre prima di essere definitivamente condannato il 27 novembre ad essere espulso dall’ ordine come membro fetido e putrido; questi sono proprio gli ultimi contributi forniti da dalle ricerche archivistiche che ci ha chiarito che egli riuscì a fuggire dall'isola di Malta proprio perché non era stato ancora definitivamente incarcerato nelle prigioni da cui niente non avrebbe più potuto ottenere la libertà e arrivò in Sicilia con l'aiuto certamente di amici che lo accolsero e nascosero e continua però a dipingere in modo disperato, in un modo che ci dimostra come l'angoscia lo tormenta e si dedica a rappresentare sempre episodi dedicati martiri come il “seppellimento di Santa Lucia” in primo piano dove nella prima versione sappiamo che le aveva rappresentato il collo staccato dal busto della Santa; si vede che l'angoscia di questa condanna capitale e l'angoscia della morte che lo inseguiva e non gli lasciava respiro e i suoi quadri sono sempre dei quadri sempre più corsivi e veloci in cui vediamo quasi l' imprimitura della tela, la scena è ambientata in ambienti spogli in cui le pareti spoglie sono quasi dominanti con dei colori terrosi e pochi tocchi di bianco, di rosso, quindi la tavolozza si riduce e diventa più pastosa. Un committente, Giovan Battista de Lazzari, con riferimento al suo nome gli chiede di rappresentare la “resurrezione di Lazzaro”(1608-1609) ed egli lo rappresenta in un modo drammatico e con il corpo di Lazzaro che si sta riscuotendo e riavendo dalla morte e che costituisce la diagonale del dipinto e allarga le braccia in segno di croce davanti allo stupore degli spettatori e ancora tra gli spettatori inserisce il suo autoritratto. Secondo le fonti del tempo egli aveva un cervello sconvolto, dice il Susinno “questo mentecatto di pittore fece di seppellire un cadavere e poi solo in braccio a dei facchini” e quindi ce lo mostrano come una persona ormai sconvolta che non aveva più un equilibrio ma certamente doveva essere divorato dall' ansia e dalla preoccupazione e viveva braccato con questa angoscia di essere raggiunto e di essere condannato a morte. Scrive ancora il Susinno “fu un uomo inquieto poco accordo della sua vita molte volte andava a letto vestito col pugnale al fianco che mi lasciava per l'inquietudine dell'animo suo più agitato che non è il mare di Messina con le sue precipitose correnti”, queste parole ci danno un po il senso della vita di questi ultimi anni di come Caravaggio trascorse questi ultimi anni di vita in attesa della grazia che poi giunse grazie forse all' aver inviato al Cardinale Scipione Borghese, nipote del Papa, questo dipinto con “David” (1609-1610) e la testa mozzata di Golia proprio per impetrare la grazia; lo sguardo pietoso di Davide si china verso la testa di Golia in cui Caravaggio autoritrae se stesso ed egli quindi agognava questa grazia che però purtroppo gli giunse troppo tardi perché nella spiaggia vicina di porto Ercole vicino a Grosseto, egli trovò la morte; era ferito e sconvolto perché era angosciato dal fatto di aver perduto tutti i suoi bagagli e che la feluca in cui egli li aveva collocati partì senza di lui e quindi questo lo portò alla morte. Le notizie ci dicono “è morto Michelangelo da Caravaggio pittore celebre a porto d'ercole mentre da Napoli veniva a Roma per la grazia di Sua Santità fattagli del bando capitale che aveva” e comunque egli viene ricordato come “famoso ed eccellentissimo nel colorire e ritrarre del naturale” ,quella fama che e resta imperitura. La pittura nel primo 1600 a Roma I caravaggisti in Italia e in Europa Dopo il grande scalpore suscitato dalla pubblicazione dell’ apertura al pubblico della Galleria Farnese appena affrescata da Annibale Carracci nel 1601 e della Cappella Contarelli in San Luigi dei francesi dipinta da Caravaggio, ai primi del 1600 individuiamo due scuole distinte che operano seguendo queste due direttrici tracciate da questi due grandi artisti forestieri rispetto a Roma: il primo Caravaggio lombardo e emiliano invece Carracci. Giulio Mancini nel “discorso della pittura” e “considerazione della pittura” individua quattro gruppi operanti a Roma nei primi decenni del 1600: il primo costituito dai seguaci di Caravaggio in gran numero, un secondo costituito dai seguaci dei Carracci e dei loro allievi emiliani, il terzo gruppo composto dalla scuola del Cavalier d'Arpino che continuava a restare il pittore di riferimento del pontefice quindi l'interprete di una scuola di una pittura ufficiale e infine individua un gran numero di artisti operanti in autonomia rispetto a questi tre grandi poli e tra questi elenca una serie di artisti appunto forestieri non romani provenienti prevalentemente dalla Toscana o dalla Liguria. Sappiamo che Caravaggio lavorava da solo senza collaboratori allievi con un carattere e tormentato, certamente non facile e non lascia quindi una scuola vera e propria e quanto appunto non una scuola strutturata in maestro e allievi ma esercita comunque un notevole influsso diretto nelle città in cui ebbe modo di esercitare la sua attività come Roma, Napoli, Sicilia e Malta ma anche in modo indiretto in tutta Europa; sappiamo che gli replicava e realizzava delle varianti dei suoi dipinti e che copie dei suoi dipinti furono la specialità di un pittore come Angelo Caroselli, questo contribuì indubbiamente a diffondere la su stile così particolare così peculiare così drammatico e fortemente che ha oscurato. Per Annibale invece era un discorso diverso emergeva dall Accademia Bolognese e quindi da una impostazione di scuola ed egli pure aveva un gran numero di collaboratori ed aiuti di cui si servì nella sua impresa gigantesca nella Galleria Farnese a Roma, i quali furono senz'altro il immediati seguaci della sua attività produttiva ma vediamo innanzitutto i cosiddetti carracceschi. Sono tanti pittori che restano folgorati da questa impostazione così drammatica e particolare della pittura caravaggesca non possiamo certo citarli tutti ma possiamo a nominare perlomeno Bartolomeo Manfredi più origini mantovane che lavora però a Roma e che mette a punto un metodo chiamato alla Latina “manfrediana métodos” in cui sfrutta la luce dall'alto per la scansione dei piani luminosi e per ottenere i contrasti che all' oscura li forti e si riallaccia quindi a Caravaggio non soltanto per questa opera questa tecnica ma anche per la predilezione per i temi di scene di gioco d'azzardo, scene di genere, scene di vita quotidiana e concerti improvvisati. Il veneziano Carlo Saraceni realizza invece due splendide pale d'altare per la chiesa di Santa Maria dell'anima Roma, dove era un luogo proprio di incontro della comunità di artisti forestieri, nordici, olandesi, fiamminghi che a Roma operavano. Tra gli amici di Caravaggio, un pittore che aderisce ad una forma di caravaggismo è Antiveduto Grammatica che qui vediamo nella Pala realizzata per San Giacomo degli incurabili in cui realizza un tema sacro con quell’approccio quotidiano, umile il grande impatto emotivo nella sua semplicità simile ai risultati di Caravaggio, mentre si considerava un nemico un antagonista di Caravaggio, Orazio Borgianni che tuttavia tornando dopo essere tornato in Italia dalla Spagna nel 1605 anche egli restò per alcuni versi influenzato dalle novità della pittura caravaggesca. Le fonti come Giulio Mancini, considera Orazio Gentileschi invece, il pittore pisano toscano, un pittore a sé stante rispetto al caravaggismo, era un pittore dotato di alta qualità tecniche pittoriche di grande virtuosismo, eppure noi riconosciamo che c'è una tangenza tra la sua attività pittorica giovanile e fase più luminosa dall'attività di Caravaggio; come vediamo in questi due dipinti “David che uccide Golia”, ma vi sono tante versioni su questo tema così apprezzato la Caravaggio, come vediamo nella splendida “annunciazione” di cui realizzò ugualmente diverse versioni per Genova e Torino e in cui vediamo una proposta conciliativa tra le istanze caravaggesche cioè una impostazione per diagonali, la luce che piove diagonalmente appunto entrato dalla finestra con un fascio luminoso che si riverbera sulla sui protagonisti della scena della scena sacra e anche l'uso scenografico di questo drappo rosso panneggiato sul fondo; quindi con elementi caravaggeschi come questi che abbiamo appena espresso insieme a un colore più sontuoso, a una pittura dal punto di vista compositivo più elaborato e quindi legata alla tradizione iconografica che ottiene un grande successo e che certamente però si allontana per certi versi dalla pittura caravaggesca. Sappiamo che conobbe personalmente Caravaggio, inizialmente in amicizia poi vi furono dei dissidi e fu coinvolto come testimone nel processo contro Caravaggio e quindi diede la sua testimonianza e si spostò in Italia tra le Marche, Genova. Torino ma poi emigro all'estero e si trasferì definitivamente in Francia, e in Inghilterra chiamò la figlia Artemisia. Nell'ultima fase della sua presenza a Roma egli collaborò con il quadraturista Agostino Tassi in alcune cicli di affreschi realizzati l'interno del Quirinale che gli valsero o una nuova commissione importante da parte del cardinale Scipione Borghese all'interno del cosiddetto Casino delle Muse nel giardino di Montecavallo dove egli rappresentò entro le quadrature prospettiche appunto dipinte dal Tassi, delle donne musicanti, degli uomini in ascolto di raffinato disegno e di colore estremamente gradevole tra le quali introdusse anche il ritratto della figlia Artemisia. Stava concludendo questa impresa. quando nel Marzo 1612 la figlia Artemisia gli confessò di essere stata violentata da Agostino Tassi presso il quale studiava prospettiva. Fu uno scandalo e ci fu un processo e questo certamente fu una svolta nella vita di Orazio Gentileschi ma anche per la figlia Artemisia, fu un fatto traumatico, Agostino Tassi fu condannato e arrestato ma entro la fine dell'anno fu liberato e questo creò una svolta nell’ attività della figlia Artemisia che fu una delle pittrici del 1600 più rinomate e dopo il processo si trasferì a Firenze utilizzando il cognome Lomi perché si sposò e lo utilizzo lavorando come pittrice tanto da essere annessa come unica donna a quel tempo alla Accademia del Disegno nel 1616. I suoi viaggi la condussero a Genova, Venezia e Roma ma soprattutto a Napoli trovò un ambiente favorevole alla espressione di questo suo caravaggismo così drammatico e teatrale e poi appunto raggiunse il padre alla Corte di Carlo I di Inghilterra e fu comunque apprezzata come pittrice capace di diffondere le istanze del caravaggismo non soltanto a Napoli, città certamente propensa a raccoglierlo e senz'altro in cui caravaggismo attecchì in maniera notevole, ma anche in una città come Firenze aliena invece per tradizione a questo tipo di pittura. Ancora dicevo che nei primi decenni del 1600 era presente a Roma una colonia di artisti nordici e stranieri tra cui olandesi, spagnoli, francesi e tra quelli che furono colpiti dalla impronta caravaggista citiamo Simon Vouet che acquisì il titolo di Principe dell’ Accademia nel 1620 e quindi diventò un pittore rinomato di grande levatura riconosciuta dai suoi colleghi pittori e Jean Valentin de Boulogne; quindi con formazioni romane per questi pittori francesi che poi tornarono in patria e portarono questa novità e questi influssi e questi stimoli pittorici nella loro patria. Tra i fiamminghi troviamo tanti che utilizzano le ambientazioni in interni, riscaldati da queste effetti luministici a lume di candela e che prediligono la pittura di genere che è un genere che appunto viene molto apprezzato nelle ancora una volta rappresentò una quadratura prospettica di grande efficacia e con una pittura che effettivamente ci proietta già nel barocco perché questa quadratura viene contraddetta e la pittura di Guercino fuoriesce d da questi limiti di questa cornice architettonica per con un senso di movimento convincente ed emotività che ci proietta appunto già nello spirito barocco. Ma le tendenze appunto del classicismo si sviluppano negli stessi anni e hanno dei grandi interpreti, nel 1624 infatti arriva a Roma il pittore francese Nicola Poussin che era diventato amico del poeta Giovan Battista Marino che ebbe modo di conoscere a Parigi e che quindi andò a Roma per formarsi. Li intrapreso un percorso di amore per la classicità tale che lo portò a diventare l' ideologo del classicismo e da diventare veramente uno punto di riferimento per i classicisti romani e questo è molto evidente se osserviamo la Pala d'altare col “martirio di Sant’ Erasmo” per San Pietro oppure le sue rappresentazioni legate alla a temi letterario temi storici come la “morte di germanico” per il cardinal Barberini, su invito del Cardinal Richelieu tornò a Parigi nel 1640 dove diventò primo pittore del re Luigi XIII ma dopo pochi anni si trasferì definitivamente a Roma e preferì restare in Italia fino alla sua morte. Un altro interprete del classicismo é Andrea Sacchi, che pochi anni prima che Pietro da Cortona dipingesse il “trionfo della divina provvidenza” che era un vero e proprio manifesto emblematico della pittura della grande decorazione barocca; dipinse invece una “allegoria della divina Sapienza” in cui rinuncio a qualsiasi illusionismo spaziale a differenza di Pietro da Cortona per invece abbracciare dei principi di sobrietà, di dignità, di raffinatezza cromatica di grande luminosità ma di adesione piena quindi ai dettami del classicismo. Dal quarto decennio in poi del 1600, si afferma anche come genere autonomo la pittura di paesaggio e sono tanti i pittori fiamminghi e francesi che diventano specialisti di questo genere; tra i francesi citiamo almeno Gaspar Dughet e il Loren detto il lorenese dal luogo di origine, che rappresentano scene sacre ed episodi biblici o episodi evangelici però in contesti paesaggistici di grande bellezza in cui la campagna romana diventa protagonista soprattutto con le sue rovine; e alcuni pittori proprio si specializzano nella pittura di paesaggio con rovine. Una personalità invece a parte possiamo dire veramente molto originale e quella di Salvator Rosa che era napoletano di origine ma che si sposta e che lavora sia a Firenze che a Roma in soggiorni piuttosto lunghi e che è anche una figura intellettuale oltre che pittore, incisore e filosofo, storico, poeta e letterato. Lo colleghiamo con la pittura di paesaggio perché anche egli si applicò alla pittura di paesaggio con scene di marina, di caccia, ma si dedicò anche ad altri temi molto particolari come i soggetti filosofici e stregoneria, i cosiddetti “stregozzi”; quindi una personalità estremamente interessante proprio tipico di questo di questo clima culturale così aperto e animato da presenze diverse e da tendenze diverse dell'arte. Il Barocco a Roma I protagonisti Bernini, Borromini, e Pietro da Cortona Alla fine del 1700, vi fu la condanna da parte dei critici neoclassici per le forme bizzarre, gli ornamenti esuberanti, l'eccesso di dettagli tipici del barocco. Secondo Francesco Milizia, “Borromini in architettura, Bernini nella scultura e Pietro da Cortona in pittura, sono insieme al Cavalier Marino in poesia, la peste del gusto” e arrivò addirittura a definirli in questo modo. Per noi oggi con il termine barocco si intende semplicemente lo stile che si afferma a Roma intorno al terzo decennio del 1600 ad opera di Bernini, Borromini e Pietro da Cortona che ne sono gli esponenti più rappresentativi insieme alla miriade di comprimari. In questo momento storico Roma è la sede di un'arte ricca, suadente e funzionale alle esigenze della chiesa trionfante, con le sue forme dinamiche, con l’illusionismo prospettico con una scenografica teatralità che coinvolge lo spettatore e che investe tutte la sfera dell'attività umana e della città, dalle forme architettoniche come degli apparati scultorei, degli affreschi fino agli aspetti decorativi dell'arte e ha tre protagonisti dal punto di vista artistico ma anche altrettanti Papi come committenti e mecenati d'arte come Urbano VIII Barberini, Innocenzo X Panfili e Alessandro VII Chigi, che di questi artisti si servirono per le loro esigenze di rappresentazione e per il loro amore per l’arte. In questo momento la nuova scienza sperimentale copernicana e galileiana, stimolava la libertà intellettuale e modificava profondamente la visione antropocentrica del mondo che fino allora era stata determinante annullando i limiti della ricerca umana. Il primo di questi artisti protagonisti del barocco è senz'altro Gian Lorenzo Bernini, nasce a Napoli da madre napoletana e padre fiorentino Pietro anche egli scultore ma si trasferisce giovanissimo a Roma in breve tempo si afferma per il suo talento precoce tanto da attirare l'attenzione dello stesso pontefice Paolo V, fino ad arrivare nel 1620 ad essere il primo scultore di Roma con una formazione che non ha quasi sosta interrotta fino alla fine della sua vita nel 1680 e che gli fa acquisire un ruolo veramente determinante per la formazione del barocco non soltanto in Italia ma in tutta Europa. Prima dobbiamo innanzitutto presupporre una collaborazione per il padre Pietro nei termini di una cultura di formazione e manierista che si forma sullo studio dell’ antichità e dei grandi maestri del Rinascimento secondo le consuetudini dell'artista italiano; ma come Michelangelo anche egli acquisì una tale conoscenza della scultura statuaria antica da poterla emulare tanto che appunto la sua scultura con “Giove e fauno” e la “capra Amaltea” potrebbe essere spacciata per una statuaria ellenistica. Egli si occupò anche di restauro delle statue classiche ed è molto famoso il suo intervento di restauro sull’ “Ares Ludovisi” in cui sostituì il piede e la mano e ricostruì la testa del putto che fu giudicato in modo molto positivo ed esaltato dal Boselli il commentatore per il suo approccio filologico e il rispetto dall’ antico. Lui racconta in un intervento l'Accademia di Francia “quando era giovinetto disegnava spesso dall’ antico e ogni qualvolta che aveva dubbio dico su come procedere nella sua attività di scultore andava consultare come un oracolo Antinoo“; questo è uno dei modelli più importante per la sua attività ma certamente non l'unico. Grazie al patrocinio dell’importante cardinale Scipione Borghese che era il più grande collezionista d'arte di quel tempo e il più spregiudicato nelle sue azioni tanto da fare per rubare la palla Baglioni da Perugia di Raffaello e di far sequestrare i beni del Cagliar d'Arpino, grazie al patrocinio di questo importante cardinale (era nipote di Papa Paolo V) egli potè realizzare un ciclo di statue che vennero collocate nella collezione del Cardinal borghese a gareggiare con le statue dell'antichità che egli possedeva. Qui vediamo un busto ritratto di questo personaggio con cui egli aveva consuetudine e sappiamo che Bernini rappresentava i personaggi come nella loro vitalità e non voleva che i modelli stessero in posa e non li rappresentava quindi in pose statiche idealizzando il carattere fisiognomico ma voleva rappresentarne veramente la personalità; studiava da prima dal vivo il modello nelle sue attività più quotidiane attraverso una serie di schizzi e poi realizzava con una velocità impressionante una serie di modelli in argilla e gli modellava con estrema facilità, utilizzando la piccola gradina e poi modellandola con le dita, in seguito attaccava direttamente il blocco marmoreo per rappresentare con estrema vitalità e mobilità queste fattezze di cui lui si era ormai impadronito, presentando quindi lo spirito e le caratteristiche del personaggio che egli ritraeva. Dicevo che per il Cardinal Borghese realizzò un ciclo di statue; la prima è quella di “Enea Anchise e Ascanio” il gruppo scultoreo che rappresenta la famiglia durante la fuga da Troia, il riferimento iconografico è a Raffaello che rappresentò lo stesso gruppo ne “’l’incendio di borgo” ma il riferimento è ancora ai grandi modelli della statuaria di chi l'aveva preceduto come Michelangelo con cui Bernini e tutti gli scultori successivi si dovettero confrontare. Il gruppo si sviluppa verticalmente ancora secondo una concezione tardo rinascimentale, manieristica con quello sviluppo elicoidale nello spazio che è tipico della scultura manieristica, vediamo il virtuosismo tecnico di Bernini con la sua capacità di rappresentare la statuaria ed inserirla nello spazio in modo coerente e studiando i punti di vista e l'inserimento del gruppo nello spazio con una complessità compositiva che via via diventa più evidente e che ricerca il senso del movimento. Il secondo gruppo è quello del “ratto di Proserpina” (tema mitologico) che rappresenta il dramma di questa donna che viene rapita e che Bernini rappresenta con un estrema capacità di rappresentare le carni, la tenerezza di queste carni che cedono al vigore di questa stretta della del Dio dell’ade; il gruppo è quindi un gruppo ancora complesso che si inserisce nello spazio, che può essere ammirato da tutti i punti di vista ma che per la concezione pittorica della scultura che aveva Bernini, presuppone un punto di vista privilegiato; normalmente egli studiava la l'inserimento della statuaria della sua opera contro una parete quindi in riferimento alla all'architettura e alle luci che dovevano illuminarla e in questo contesto la statua è inserita appunto nelle collezioni dal palazzo alla Galleria Borghese. Nella base fu vergata un epigramma in latino ispirata da Maffeo Barberini che è il cardinale che sì dilettava di poesia, ispirato quindi dal tema delle “Metamorfosi” di Ovidio e Bernini rappresenta questo gruppo con una idealizzazione della forma per cui dagli ideali classici li trascende per trasformarli e darne una propria personalissima interpretazione di una statua appunto inserita in un gruppo inserito nello spazio con effetti di patetismo, con la lavorazione del marmo quasi a bastrina che arriva a degli effetti veramente virtuosistici di trasparenza. Questo è ancora più evidente nel gruppo successivo che rappresenta “Apollo e Dafne”; la ninfa che fugge dall’ abbraccio di Dio Apollo che è innamorato di lei che nel frattempo si trasforma in alloro come racconta appunto Ovidio nelle sue “Metamorfosi” e che diventa la quintessenza dall'arte barocca. Mostra le mani che si trasformano in fronde, i piedi che si trasformano in radici, il corpo che viene avvolto dalla corteccia mentre la fanciulla cerca di fuggire a chi intende ghermirla e Bernini vuole rappresentare il senso della leggerezza, della corsa e questo effetto straordinario di movimento che è tipico dal barocco. Alla base anche qui abbiamo un epigramma latino del cardinale Maffeo Barberini che fu apostolico a Parigi che poi divenne legato pontificio a Bologna e che tradotto suona più o meno così “chiamandole gioia della bellezza che fugge riempie la mano di fronte con le bacche amare”; quindi un intento moralista della lettura del mito e secondo le diverse edizioni dell’Ovidio moralizzato e quindi una rilettura del mito in chiave cristiana moralizzata. Sappiamo che il Cardinal Barberini pubblicò negli anni ’30 del 1600 più edizioni delle sue poesie che furono illustrate da Bernini, i due quindi ebbero un rapporto di amicizia che durò tutta la vita. Il terzo e ultimo gruppo e il quarto per il Cardinal Borghese rappresenta il “David”, tema quindi dell’eroe biblico che abbiamo visto rappresentare tante volte dagli scultori rinascimentali e manieristi ma che per cui quali si sceglievano il momento successivo all' azione, quindi quando ormai Golia era stato sconfitto oppure come fece Michelangelo, un momento immediatamente precedente all' azione in cui l'eroe si sta preparando ad affrontare il suo nemico; qua invece Bernini sceglie il momento culminante dell'azione in cui sta preparando il colpo micidiale che ucciderà il Golia, quindi presuppone la presenza di fronte a lui di questo nemico gigantesco che noi dobbiamo quindi assolutamente presupporre per comprendere il senso di questa azione del suo compiersi e la tensione che anima il corpo e il volto di questo personaggio. Quindi Bernini, diciamo, ancora non propone vedute plurime così come era già nell’intento del Cellini e di Giambologna, ma inserisce pienamente la statua nello spazio che deve essere coinvolto nell’ azione e studia certamente con molta attenzione questo inserimento della figura nello spazio e studiare tutto il movimento nel suo farsi e affascina con questa capacità di risolvere brillantemente tutte le difficoltà, però dobbiamo presupporre che ci sia ancora una veduta privilegiata per lo spettatore perché egli di norma controlla la visione la visione ideale. Secondo le fonti, egli avrebbe autoritratto se stesso nel volto di questo giovane quindi è una rappresentazione idealizzata ma in qualche modo potrebbe essersi ispirato, come vediamo dal confronto con “autoritratto” di quegli anni ancora con fattezze giovanili. Intanto nel 1623, il cardinale Maffeo Barberini diventa Papa Urbano VIII, il Papa che sarà proprio l’artefice dal pieno compimento della gloria per Bernini. Gli altri grandi protagonisti del barocco, Pietro Berrettini da Cortona giunge a Roma intorno al 1612 e li studia il mondo classico così come la era tradizione e apprezza certamente i grandi maestri del 1500 della pittura della scultura, ma apprezza anche i suoi contemporanei come Rube, Guercino, Lanfranco ed entra a contatto con un mondo colto di intellettuali e soprattutto entra in amicizia col marchese fiorentino Marcello Sacchetti e di Cassiano del Pozzo e lo introduce in un mondo di intellettuali di grande interesse che gli consente di produrre i primi risultati di questa cultura eclettica che mescola i riferimenti alla pittura del Veronese e alla pittura veneta 1500 e di Tiziano che conosce bene e cita Raffaello ma anche Bernini, inserendo la scena ispirata alla storia romana “il ratto delle Sabine”(1626) e rappresentandola con grande vitalità e spettacolarità teatrale in un contesto appunto all'antica e che viene presentato però con immediatezza, spontaneità in modo naturale in quella chiave proprio vitale del barocco per la committenza appunto della famiglia Sacchetti. Il terzo protagonista è Francesco Castelli detto Borromini che giunge a Roma intorno al 1620, giovane scalpellino ticinese, era nativo di Bissone vicino al lago di Lugano, quindi proveniva dalle zone Borromaiche, tanto che appunto viene definito col soprannome Borromini per questo motivo a Roma. In quegli anni a Roma lavoravano architetti lombardi come Domenico Fontana e Carlo Maderno e secondo le consuetudini dei consorzi di architetti, stuccatori, scalpellini Lombardi, lavoravano e si consorziano tra loro secondo consuetudini di attività artigiana e soprattutto scioglievano conterranei e di San Luca a Pietro da Cortona e quindi gli valse il riconoscimento supremo da parte dei pittori suoi pari. Intanto al Bernini venivano richieste da parte del Papa Urbano VIII, la realizzazione di fontane e quindi interventi di arredo urbano; sappiamo che Bernini amava l'acqua ed egli dice che vi era un interesse per l'utilizzo della materia liquida e mobile dell'acqua e per questa sua vitalità, per questa capacità dell'acqua di mettere il rapporto architettura e natura e quindi egli inventa delle forme molto interessanti per delle fontane sempre collocate in posizioni di estremo impatto scenografico come nel caso della “barcaccia” posta in un livello inferiore rispetto al piano di calpestio della strada per raccogliere l'acqua alla base della scalinata di piazza di Spagna e che fu però realizzata successivamente e l'emblema della famiglia Barberini spicca sulla sui limiti di questa grande di questa grande barca e si pensa però che questo primo intervento abbia avuto ancora la collaborazione del padre Pietro, mentre proprio per i Barberini vicino al palazzo alle quattro fontane in piazza Barberini, egli realizzò la Fontana del Tritone che è collegata con l'altra Fontana delle Api, che utilizzavano l'acqua della Mostra dell'Acqua Felice e condotta proprio fino al Palazzo delle Quattro Fontane da Urbano VIII, quindi con un intervento di ingegneria idraulica molto importante e che fu poi appunto completata da queste splendide fontane del Bernini. Vi dicevo dei ritratti parlanti di Bernini, qua vediamo un esempio chiaro di questo suo approccio al tema del ritratto che gli era particolarmente a cuore, con la rappresentazione del volto della donna amata, Costanza Bonarelli, nel momento più felice della loro relazione e la mostra non in posa, spettinata, con la camicia sbottonata mentre sembra parlare (la bocca si schiude per parlare) con un'immagine di una grande bellezza e suggestione modernissima e poi la ripropone alla fine della loro relazione come una Medusa e quindi con lineamenti idealizzati ed è trasformata nell'immagine della gorgone. Altri due esempi straordinari di questa capacità ritrattistica di Bernini, qua vediamo il cardinal Pedro Montoya in una immagine di dettaglio di un volto messo a fuoco dei suoi dettagli fisiognomici ed egli, come nel gusto di della Bonarelli, mette in risalto le pupille; mentre non sempre adotta questo sistema ,che era quello che gli consentiva di mettere a fuoco di più l'aspetto psicologico attraverso lo sguardo del personaggio, perché per esempio nel ritratto di Thomas Baker non segnò le pupille quando voleva ottenere invece i risultati di una maggiore maestosità ed ottenere invece appunto il risultati espressivi differenti. La committenza degli ordini religiosi (Trinitari, Filippini, Gesuiti) Per l'ordine dei trinitari, il Borromini progettò la chiesa di San Carlino alle Quattro Fontane (1634-1641) edificio quindi complessivo in cui doveva situarsi non soltanto la chiesa ma il chiostro e gli ambienti conventuali, in uno spazio limitato egli riuscì a realizzare un compendio veramente straordinario; la facciata fu completata successivamente dal 1665-1667 ma è perfettamente corrispondente agli interni, capace di plasmare in modo incredibile l'intero isolato. Pensata trasversalmente rispetto alla Piazza delle quattro fontane, è strutturata su due livelli con un movimento di curve contrapposte concave e convesse che ci fa comprendere l'impatto dinamico di queste facciate barocche nel contesto urbanistico. L'interno è una pianta ellittica composta dalla dall' incontro di due triangoli isosceli e conclusa superiormente da una cupola che riprende perfettamente questa impostazione spaziale e sappiamo che dai contemporanei il Borromini veniva chiamato il “taglia Cantone” perché era ossessionato dal tema dall’ angolo, dello spigolo che egli considerava quasi uno spazio uno spazio inutile e che quindi tendenzialmente modificava trasformandolo con l'utilizzo delle linee convesse e concave e trasformando quindi le superfici normalmente rettilinee in una circolarità; questo è molto evidente nel piccolo chiostro memore di Bramante certamente ma di impostazione rettangolare non quadrata, e che corrisponde quindi come impostazione longitudinale a quella della chiesa. L'interno ci mostra questo impatto decorativo dell'architettura borrominiana e la sua formazione da scalpellino e sappiamo che proviene dalla zona del Canton Ticino quindi una zona di provenienza di stuccatori, di marmorari, di architetti che si trasferirono in tutta Europa ed egli utilizza in modo sapiente la luce che diventa radente per mettere in risalto questa originalità geometrica per cui il cassettonato che decora l' intradosso della cupola ci mostra delle forme variate a croce, a ottagono e certamente non tradizionali che sorpassano la tipologia appunto tradizionale del cassettone cinquecentesco. Egli nel suo Opus Architectonicum dice “la bellezza dei pilastri e delle parti dell'ornato e che gli spigoli camminino senza interrompimento”, quindi questo ci conferma che egli intendeva dare un senso di conto in continuità spaziale e di conferire un senso vitale alla sua architettura che si comprime, si contrae e si espande liberamente al di fuori degli schemi tradizionali. La sua progettazione e si spinge alla collabora a collaborare con gli oratoriani quindi degli ordini religiosi se appunto Bernini monopolizza le committenze papali egli però fortunatamente ottiene delle commesse dagli ordini religiosi attivi a Roma nel campo sociale, nel campo dell’ educazione, nel campo musicale come gli oratoriani; e anche nella facciata dell'oratorio dei Filippini che si eleva fianco alla cosiddetta Chiesa Nuova nella medesima piazza, egli utilizza una facciata concava e curvilinea quindi che si inserisce armoniosamente nel contesto urbano che si affaccia sulla piazza e ci mostra la sua capacità di elaborare delle forme geometriche in modo però quasi naturale e applicandole però in questi principi geometrici matematici in modo adeguato a seconda dei problemi che incontrava poi nel cantiere. L’ interno è luminosissimo con una volta unghiata che è completamente intonacata di bianco quindi con una percezione visiva di intensa luminosità ma contemporaneamente abbiamo una espressione in campo architettonico anche del pittore affrescante Pietro Berrettini da Cortona; egli dopo il successo ottenuto nella volta per gli affreschi del Palazzo Farnese del palazzo Barberini (la volta Barberini), aveva ottenuto il prestigioso titolo di Principe dell'accademia di San Luca e ottenne quindi l'incarico di ricostruire la chiesa dedicata al loro patrono San Luca, quindi per questa chiesa egli elaborò un progetto a pianta accentrata a croce greca e cupolata e quindi un secondo moduli cinquecenteschi con un chiaro riferimento a Michelangelo e anche nelle membrature interne che ci presentano un'alternanza di pilastri e di colonne libere che conferiscono un senso di plasticità molto evidente però non quella plasticità drammatica che era tipica dell'architettura di Michelangelo, che gli utilizzò per esempio nella biblioteca laurenziana a Firenze, ma un chiaroscuro più luministico quasi un approccio da pittore, egli infatti negli stessi anni in cui si occupava di architettura -“così da dilettante” come egli dice perché non era un vero e proprio architetto - ricevete anche la commissione molto prestigiosa da parte dei Medici di affrescare le sale di rappresentanza di Palazzo Pitti a Firenze, era amico e fu ospitato dalla da Michelangelo Buonarroti Junior che gli suggerì i temi da rappresentare quindi dei temi del mito “le quattro età del mondo” e soprattutto tra i quattro affreschi che realizzò in questo ciclo e soprattutto in quello “dell’età dell’oro”, riuscì a rendere tutto il fascino di questa classicità rivissuta con pieno spirito barocco e con quella libertà inventiva e quella felicità creativa che è proprio tipica della sua pittura. Qua ci mostra una tecnica compendiaria con l'utilizzo di ombre trasparenti con delle vibrazioni luminose che hanno qualche parallelismo con la sua produzione architettonica . Intanto Francesco Borromini dalla archiginnasio, cioè dall'università Università di Roma, ebbe l'incarico di realizzare il progetto “di Sant'Ivo alla Sapienza” , cioè una cappella che si doveva ubicare alla conclusione di un cortile cinquecentesco a porticato progettato nel 1500 da Giacomo della Porta, egli inventò una soluzione ad esedra che quindi concludeva l'andamento rettilineo della dei lati preesistenti equi inserire una pianta stellare realizzata proprio con l'intersezione di due triangoli equilateri sormontati da un elegante tiburio e concluso da una lanterna elicoidale e tutto luminosissimo e intonacato di bianco con un effetto di grande eleganza. L'interno della cupola ci mostra proprio la sua poetica architettonica e il suo credo architettonico realizzato sempre con un originalità straordinaria e quindi con questo utilizzo delle membrature che si dilatano e si comprimono e in modo vitale quasi come un organismo vivente e l'utilizzo della luce che piove dall'alto mette in evidenza l'apparato decorativo delle superfici. La cupola è completata superiormente dalla lanterna originalissima con lo sviluppo elicoidale e conclusione con una croce bronzea che ci dimostra appunto la sua attenzione anche per l'aspetto decorativo per la plastica decorativa; in una lettera di Virgilio Spada nato proprio a contatto con Borromini egli dice “come la melodia delle voci nasce da numeri così la bellezza delle fabbriche” e quindi è chiaro che alla base dell'architettura di Borromini c’è uno studio matematico e geometrico delle di grande importanza. Per i gesuiti invece, progettò il Collegio di propaganda di Propaganda Fide e la cappella chiesa dei Re Magi a Roma e qui ritroviamo l'attenzione per l'ubicazione urbanistica del prospetto che qui vediamo di filata e che dà un senso di movimento alla facciata che prospetta su una Chiesa su una strada stretta e che quindi riceve però movimento notevole dalle rientranze dei cornicioni, dall' effetto chiaroscurale delle bucature e all'interno un'altra straordinaria volta innervata che fa pensare e vedere come un architetto che quasi fa rivivere lo spirito gotico e questo però per i contemporanei è un limite e questo è il giudizio negativo che di lui da Bernini, che appunto si allontanò dalla tradizione classica per quasi far rivivere lo spirito gotico. Noi non sappiamo quale fosse invece il giudizio di Francesco Borromini su Bernini ma è probabile che fosse ugualmente caustico proprio dopo che i rapporti tra i due artisti si rovinarono. Innocenzo X (Pamphili) e il Giubileo del 1650 Nel 1644 diventa Papa Innocenzo X Panfili, unico Papa che possiamo dire non avesse una grande simpatia per Bernini e che quindi diede modo a Borromini di lavorare. Qua vediamo lo straordinario ritratto che realizzò per lui Diego Velasquez il grande pittore spagnolo, che si conserva alla Galleria Doria Panphili ed è un ritratto caratterizzato da uno sguardo straordinario, una vitalità veramente sorprendente ma vediamo anche il suo bellissimo Busto realizzato da Bernini o quello realizzato da Alessandro Algardi che era lo scultore che collaborò con Bernini in più occasioni ma che era anche caratterizzato da una personalità diversa, di maggiore classicismo rispetto al grande scultore barocco. Nel 1644 il Papa richiese al Borromini di ammodernare la Basilica di San Giovanni in Laterano che era una delle più antiche della città di Roma che era fatiscente e minacciava rovina e che doveva accogliere nel 1650 il Giubileo, quindi grandi masse di pellegrini, però il Pontefice non voleva demolire l'antica basilica ma conservarla come una sorta di reliquia e allo stesso tempo però conferirle un nuovo assetto più moderno. Borromini riuscì a trovare una soluzione a tutte queste esigenze inglobando e incapsulando l’antica basilica paleocristiana all'interno di nuove murature e grandiosi pilastri che racchiudono ognuno una coppia di colonne dell'antica basilica e poi conferendo un grande impatto monumentale all'interno della chiesa con l'inserzione di grandi monumentali architettoniche edicole che ospitano appunto delle statue gigantesche e lasciò invece invariato il grande soffitto magnifico cassettonato cinquecentesco e i pavimenti antichi quindi riuscì a ottenere con un risultato di grande qualità dal punto di vista della del linguaggio barocco, conservando però la struttura la struttura antica. Nelle navate laterali abbiamo una successione di cupole luminosissime da cui piove la luce dall'alto che è utilizzata in questo modo particolare appunto tipico di Borromini e in cui troviamo ancora con una volta la smussatura degli spigoli secondo quella che era una vera e propria ossessione di Borromini e questa impresa colossale fu effettivamente completata per il Giubileo del 1650. Questo fase fortunata di Borromini coincide invece con una fase di disgrazia per il Bernini, forse l'unico momento veramente difficile della sua luminosissima carriera e cioè il momento in cui crollarono le fondamenta dei campanili delle torri campanarie che egli stava edificando per la facciata di San Pietro e che costrinsero il Papa a convocare una commissione di cui fece parte anche Borromini che fece una multa al Bernini e che quindi lo portò a scolpire una immagine allegorica la scultura della “verità” (1646-1652) che oggi si trova nella Galleria Borghese in cui rifacendosi al prototipo dell' iconologia di Cesare Ripa, rappresenta una bellissima donna nuda che viene svelata dal tempo quindi come dire che la verità sarebbe riemersa ed egli avrebbe avuto il giusto riconoscimento e intanto però su piazza Navona, Bernini riuscì a strappare al rivale Borromini la progettazione della “Fontana dei fiumi”, quindi un incarico molto importante ed egli riuscì a farlo con uno stratagemma e cioè donando il progetto in argento alla cognata del Papa che aveva un grande scendente sul Pontefice e che quindi probabilmente gli face ottenere questa commissione così importante. Bernini utilizza un antico obelisco egiziano per la sommità della statua mentre alla base inserisce quelli gli elementi della roccia naturale che sono tipici del suo apprezzamento per l'elemento naturalistico e per la creazione di questo rapporto costante tra architettura e natura e per il suo amore per l'acqua; nella base di elementi scolpiti rappresentano i quattro grandi fiumi della terra dei quattro continenti il dubbio, il Nilo, il Gange e il Rio della Plata e che insieme sono metafora della grazia divina che si riversa su tutti i continenti quindi vogliono rappresentare in qualche modo la gloria del Pontificato di Innocenzo X Panfili. La Fontana è al frontone curvilinea spezzato da tempio dell’altare, egli progetto l'inserimento dalla statua del Sant’Andrea che sale al cielo che fu realizzata da Antonio Raggi suo collaboratore ma la progettazione certamente è berniniana, quindi c’è un effetto scenografico teatrale nel senso che il Santo sale verso il cielo che è rappresentato idealmente della cupola mentre nell’altare vi è il suo martirio dipinto nella Pala d'altare. Qui il modello di riferimento per Bernini , che egli dichiarò più volte, è il Pantheon che egli considerava “l'architettura senza errori”, questo riferimento è molto forte non soltanto per la struttura ma anche per il tipo di illuminazione perchè in questo caso scende da una finestra nascosta apposta proprio sopra la sommità della Pala d'altare con il martirio del Santo. Francesco Borromini, per un raffinato committente, il Cardinale Bernardino Spada che fu specialista e grande esperto che aveva forti interessi prospettici, progettò la cosiddetta Galleria Prospettica per la il Palazzo Spada dove il cardinale deteneva la sua ricchissima collezione ancora oggi esistente ed esposta al pubblico formata da dipinti e opere d'arte, in uno spazio illusorio e con una prospettiva rialzata e con delle dimensioni che andavano restringendosi verso il fondo dove egli finse una profondità illusoria veramente elevatissima che invece una volta che si entra all'interno del palazzo ci si rende conto che è realmente molto più limitata e quindi applica una applicazione dei principi prospettici in chiave di illusione spaziale così come tipico del barocco con effetti che poi con degli studi che vedremo saranno oggetto di interesse anche da parte di Bernini. Pietro da Cortona invece nel Palazzo del Quirinale realizzò un'impresa con tutta la sua bottega, la decorazione ad affresco della galleria di Alessandro VII e sono i cosiddetti cortoneschi e abbiamo veramente delle personalità notevoli come Ciro Ferri e poi degli apporti nuovi e tra cui Pier Francesco Mola, Salvator Rosa, Gaspar Dughet che era appunto il paesaggista cognato di Poussaint e in questa galleria di Alessandro VII sappiamo che lavorarono anche dei sardi curiosamente e questo è un qualcosa che ci riempie di orgoglio. Pietro da Cortona progettò anche un altro intervento di riqualificazione urbanistica di grande importanza e cioè l’ ammodernamento della Chiesa del 1400 di Santa Maria della Pace e qui egli ancora una volta ricorse a una pianta accentrata e resa longitudinale dall' incontro tra due elementi e per i quali egli studiò con attenzione l'inserimento urbanistico importante, nonostante le dimensioni non siano molto elevate egli riuscì a ottenere un effetto pittorico chiaro oscurato grazie all'invenzione di questo porticato rotondo che diventa lo snodo di questo progetto e che fu molto apprezzato e lo vediamo riprodotto dai pittori e dagli incisori e che in questo senso mostrarono di omaggiare l'artista e di apprezzarne l'originalità. Un altro intervento urbanistico di grande importanza di quegli anni fu frutto della collaborazione di Carlo Rainaldi e del Bernini con Carlo Fontana per la Piazza del Popolo in cui si rendeva necessario riqualificare urbanisticamente questa piazza che era la prima per i visitatori che entravano a Roma dalla porta del Popolo progettata da Michelangelo e che era uno snodo importante perché da qui partivano le tre strade a raggiera che conducevano verso il centro storico e quindi Rainaldi progettò due chiese gemelle a pianta centrata entrambe cupolate cioè Santa Maria di Montesanto e Santa Maria dei Miracoli le quali però sembrano gemelle ma in realtà sono una ellittica e l'altra a pianta circolare proprio per riuscire a mediare e correggere otticamente e prospetticamente le difformità della pianta; quindi fu una soluzione di grande impatto scenografico di grande importanza per lo sviluppo dell'urbanistica romana. Parlavo prima della prospettiva illusoria nella Galleria di Palazzo Spada da parte di Borromini, ed ecco qui la progettazione berniniana per conferire un assetto monumentale di grande dignità alla cosiddetta scala Reggia che conduce la basilica di San Pietro ai Palazzi Apostolici; si trattava di una scala troppo angusta preesistente che aveva necessità di avere una maggiore regolarizzazione e un impatto di qualificazione e allora egli progettò un fronte con una serliana dal punto di vista architettonico però qualificato da un intervento anche scultoreo e progettò un sistema per cui introdusse delle correzioni ottiche con delle colonne che sono dapprima molto staccate dalle mura dalle e poi vanno pian piano avvicinandosi alle pareti per correggere otticamente appunto le dimensioni reali della scala e per conferirle maggiore monumentalità. Alla base del pianerottolo della di San Pietro egli introdusse il monumento di riparatore Costantino a cavallo con un forte impatto scenografico con alle spalle un drappo e all'interno di un arco ed egli ci mostra l'imperatore in groppa al cavallo che si imbizzarrisce di fronte alla al segno della Croce che gli compare davanti ed è un esempio chiaro di come Bernini è estremamente attento alla percezione ottica delle sue opere che andavano certamente abbinate al contesto architettonico ma in rapporto anche alla luce e all' inquadramento prospettico, infatti quest'opera normalmente non si vede perché ci sono delle dei grandi portoni bronzei pesanti che vengono aperti soltanto eccezionalmente, e una volta aperti si comprende pienamente la progettazione berniniana come sia stata attenta alla ubicazione e alla valorizzazione della sua opera. Nel 1664 il ministro Colbert chiamò Bernini a Parigi e fu l'unica volta che il pontefice autorizzo l'allontanamento del suo artista preferito dalla città e questo viaggio ci viene raccontato da una fonte contemporanea nel giornale di viaggio del Cavalier Bernini in Francia, quindi una fonte di grande interesse. Egli si recò a Parigi per la progettazione del Louvre per il quale egli produsse tre diversi progetti, i quali però non furono apprezzati forse perché troppo distanti dall’ impostazione accademica francese, ma che furono comunque un grande stimolo per lo sviluppo della architettura barocca europea. Di quel viaggio, di Bernini rimane il “busto marmoreo del re sole” e poi la progettazione della “statua equestre del re Luigi XIV”, la grande qualità del modello in terracotta nella realizzazione concreta si perde forse perché fu una lunga gestazione e perché poi dopo l'inaugurazione dell’Accademia di Francia a Roma nel 1666, l'artista promise al ministro Colbert di coinvolgere gli allievi dell’Accademia francese in questo progetto. Sappiamo, questo una curiosità, che anche Pietro da Cortona nel 1664 produsse un progetto per il Louvre anche questo però non attuato e fu poi realizzato appunto da architetti francesi. Ma la progettazione per la grande impresa Berniniana di San Pietro, si completa con la progettazione dell'immenso colonnato di piazza San Pietro. Era quindi un luogo simbolico dove sorgeva il circo di Caligola e Nerone, luogo quindi dove era stato martirizzato San Pietro e ancora una volta il Bernini utilizza la pianta ellittica che avendo più punti focali gli dava dei risultati di maggiore dinamismo prospettico ed preceduta da due bracci simmetrici rettilinei che partendo dalla facciata della basilica vanno restringendosi e quindi hanno l'effetto ottico di avvicinare la l'enorme dimensioni della basilica alla piazza ed egli seguendo le indicazioni del Papa, progettò due braccia curvilinee con dei porticati classicisti e immensi che dovevano essere come un simbolico abbraccio verso il mondo dalla chiesa e verso i suoi fedeli ma anche verso i pagani e pellegrini e verso tutti coloro che giungevano a Roma. Le dimensioni sono simboliche perché sono 1000 palmi romani, cioè le dimensioni che caratterizzavano i grandi monumenti antichi come il Colosseo e gli altri monumenti della Roma antica e questo ci dimostra che Bernini era molto attento a questo rapporto con la classicità e l'effetto che egli voleva conferire alla questa piazza era effetto di sorpresa, un effetto proprio barocco, di uno spazio immenso che si apriva davanti agli occhi del pellegrino dopo aver percorso le strette vie delle 2spine di borgo”, cioè l'antico quartiere medievale che però fu invece demolito per l'apertura di una della via della Conciliazione (da parte di Mussolini), con un effetto quindi che stravolge completamente la percezione visiva che Bernini aveva studiato. Lungo il percorso che i pellegrini percorrevano da San Giovanni Laterano fino ad arrivare alla meta finale di San Pietro in Vaticano, si incontravano le chiese che erano state erette dai nuovi ordini religiosi che animavano la vita spirituale e sociale della città come il Gesù la chiesa madre dei gesuiti , Sant'Andrea la chiesa madre dei teatini, Santa Maria Nuova la chiesa madre degli oratoriani o dei filippini, e quindi si giungeva attraverso l'ultimo tratto di questo percorso del pellegrino e si doveva attraversare il ponte Sant'Angelo che collega appunto Castel Sant'Angelo e per il quale fu richiesto dal Papa al Bernini, di progettare un ciclo di statue con gli angeli che reggono i simboli della passione; egli progetto tutte le sculture (soltanto due le realizzo personalmente mentre le altre le fece realizzare da collaboratori) ma intanto in questi anni muore Borromini purtroppo in un momento di crisi e di grande malinconia dopo aver distrutto i suoi progetti si levò la vita e quindi questa fu la conclusione tragica della vita di Borromini, mentre appunto Bernini realizzava queste sculture. Le due sculture che egli realizzò personalmente sono “l'angelo che regge la corona di spine” e “l'angelo che regge il cartiglio il titolo della Croce”, ma il pontefice quando vide queste statue così belle, chiese che venissero invece conservate all'interno per paura delle intemperie e si trovano ancora oggi all'interno della Chiesa di Sant'Andrea delle Fratte e sono un esempio, ancora pur nella tarda attività di Bernini, che ci dimostra ancora come egli partiva sempre dal modello della statuaria classica per arrivare, attraverso fasi diverse di elaborazione diverse, a una concezione pienamente barocca e originale nei risultati. Ancora il tema dell'estasi lo troviamo nella cappella Altieri di piccole dimensioni in San Francesco a Ripa con l'utilizzo della luce direzionata che piove dalla sinistra verso destra e che inonda il corpo della “Santa Beata Ludovica Albertoni” è questo un bellissimo panneggio con l'utilizzo di marmi screziati e di colori diversi e poi infine c’è la realizzazione del monumento funebre di Alessandro VII Chigi in San Pietro (1676-1678), il monumento per il quale egli riprese certamente la tipologia della tomba già elaborata per Urbano VIII, ma inserendo delle statue allegoriche (le virtù della carità e della giustizia) e inventando un particolare macabro della morte che fuoriesce che si libera dalla cortina che lo copre per mostrarci la clessidra, quindi una sorta di scherzo macabro nel contesto così importante della progettazione petrina. Nell'ultima fase certamente l'attività di Bernini, l'apporto personale si limitava alla progettazione e a certi elementi di finitura ma si servì sempre più della collaborazione di artisti suoi aiutanti come in questo caso appunto sappiamo che il bozzetto fu scolpito da uno scultore francese. Altri centri del Barocco Genova, Torino e Milano. Dal 1601 al 1605, la presenza di Rubens a Genova fu motivo di un grande stimolo culturale per la città ligure. Qua vediamo la bellissima Pala d’altare realizzata per la chiesa del Gesù Di Genova dove rappresenta la “circoncisione di Gesù” con quel gesto così naturale e di impiatto della Vergine che si volge per non vedere il sangue del figlio e questo è un tema iconografico importantissimo per i gesuiti perché è un tema a cui loro sono particolarmente cari perché è il momento dell’imposizione del nome di Gesù che è alla base della loro compagnia. Le qualità straordinarie della ritrattistica di Rubens sono molto evidenti in questo esempio del “ritratto di Maria Serra Pallavicino“ e la grande e nobildonna è rappresentata con un abito sontuoso fatto di raso e di seta e che rifletta la luce in un modo straordinario con una sontuosità veramente incredibile e questa attività fu proseguita dal suo principale allievo Anton van Dyck che Rubens convinse ad andare in Italia proprio per formarsi e poi vediamo alcuni splendidi ritratti che il giovane pittore fiammingo realizzò nel suo soggiorno veneziano; la presenza quindi di questi grandi artisti fiamminghi nella città ligure fu senz'altro un notevole stimolo per l'ambiente culturale e lo fu in particolare per il pittore cappuccino Bernardo Strozzi e questa adesione al mondo fiammingo è molto chiara nel suo dipinto più noto “la cuoca” di Palazzo Rosso in cui egli rappresenta una giovane fanciulla intenta a spennare un oca e gli effetti nella rappresentazione del fuoco e del riflesso della brocca di peltro sono di chiara matrice fiamminga così come la calda ed intensa qualità pastosa di questa pittura, ma per motivi per dissidi interni all’ordine egli fu poi costretto sia trasferirsi a Venezia e qui produsse delle pale di altare e delle opere di notevolissimo interesse che non mancarono di influenzare l'ambiente veneziano. Un altro centro di grande importanza in età barocca è senz'altro la città di Torino che diventò la capitale del Ducato nel 1562 che fu f quindi oggetto di successivi ampliamenti affidati dai Savoia a grandi architetti e il primo ampliamento fu affidato ad Ascanio Vittozzi e Ascanio di Castellamonte e che fu certamente basato sull’analisi del modello urbanistico francese e poi il secondo ampliamento del 1673 fu affidata ad Amedeo di Castellamonte (figlio di Carlo) e il terzo poi fu il decisivo completamento di questo ampliamento urbanistico ad opera di Filippo Juvarra nei primi del 1700. E dicevo che appunto il modello francese è molto evidente anche nella struttura delle piazze, nelle facciate uniformi porticate dei fabbricati e che conferiscono una caratterizzazione urbanistica molto particolare alla città di Torino e le danno un grande ordine urbanistico. Qua vediamo nelle immagini Piazza Castello progettata da Ascanio Vitozzi e la Piazza Reale (oggi piazza San Carlo) invece è il progetto di Carlo di Castellamonte. Ma è l'arrivo nella città di Torino dall'architetto teatino Guarino Guarini, una fase di grande di grande levatura culturale; egli era modenese di origine ma aveva studiato a Roma teologia, filosofia, matematica architettura e dopo essere diventato sacerdote aveva lavorato in tante sedi diverse come Modena, Messina e poi anche all'estero a Parigi, Prata, in Spagna e Lisbona e però abbiamo la sfortuna di aver perduto tantissime delle sue realizzazioni per alcuni terremoti come quello di Messina e quello di Lisbona o per incendi e quindi la gran parte delle sue realizzazioni oggi si concentrano proprio nella città di Torino, quindi abbiamo un particolare motivo di interesse. Nella città di Torino gli poi grande illusione scenografica. Ma per ottenere questi risultati si avvalsa della collaborazione di stuccatori, di doratori tra cui lo scultore Antonio Raggi che era uno collaboratore dalla bottega di Bernini. Però questo effetto, questo impatto scenografico così coinvolgente e così emozionante nel campo della pittura religiosa fu utilizzato indifferentemente per rappresentare anche i soggetti allegorici del mito; qui vediamo per esempio un tema storico la “battaglia di Lepanto” rappresentata da Giovanni Colli e Filippo Gherardi all'interno di Palazzo Colonna Roma, uno delle apoteosi laiche più note di questi cicli ciclo di grande decorazione barocca e a lungo andare questi affreschi decorati sulle volte e sulle pareti dei palazzi nobiliari, si rivelarono i loro limiti e questo linguaggio in campo religioso del tema sacro, era così coinvolgente e convincente che a lungo andare invece rivelò i suoi limiti e si rivelò un po falso. Nel 1675, proprio gli anni in cui i due affrescanti dipingevano questo grandioso affresco storico, moriva Pietro da Cortona quindi il grande rappresentante della decorazione barocca, che lasciò però numerosi allievi e grandi aiutanti. L'ambiente culturale romano fu dominato da un lato appunto dalla proposta barocca del Baciccia e dall'altro da un altro grande protagonista della scena artistica Carlo Maratta che negli stessi anni dei “cieli del Gesù”, affresca “l'allegoria della clemenza” , quindi un tema allegorico diverso nei soffitti di palazzo Altieri a Roma, quindi un altro palazzo nobiliare molto importante, con una grande accuratezza compositiva con l'equilibrio e la ricercatezza dei colori brillanti e con dei risultati quindi di grande impatto visivo e di grande felicità inventiva. Egli realizzò delle pale d'altare per numerose chiese romane e qua vediamo due esempi di Santa Maria del popolo e Santa Maria in Vallicella che ben presto diventarono dei classici perché furono studiarti dagli artisti e riprodotti attraverso disegni e incisioni e quindi diventarono un modello per il loro equilibrio compositivo, per la dignità monumentale di queste figure bellissime, la dolcezza sentimentale che emana da queste figure sacro e il brillio dei colori. Un altro grande protagonista della decorazione barocca è un padre gesuita Andrea Pozzo di origini trentine che si fermò nell'Italia settentrionale ed ebbe modo di spostarsi tra Milano, Genova e Venezia e in un lungo soggiorno in Piemonte, mise a punto un sistema di decorazione barocca di tipo prospettico perfettamente illusorio; qua vediamo la prima prova che egli realizza nella chiesa della Missione a Mondovì in Piemonte negli anni 1676 1677 in cui realizzo ho veramente un incontro tra architettura, pittura e scultura e teatro perché nell’ Altare di San Francesco Saverio inventò una macchina liturgica per cui la silhouette del Santo si muove e sale al cielo in modo spettacolare e questa esperienza gli valse quindi la commissione alla fine del secolo della decorazione dell'altra grande importante chiesa gesuitica di Roma Sant'Ignazio con la rappresentazione sulla volta della “gloria del Santo” che ascende al cielo all'interno di una quadratura architettonica vertiginosa che illusoriamente prolunga le dimensioni reali dell'architettura e ci proietta in uno spazio infinito. Egli aveva elaborato un sistema per tradurre sulla superficie curva delle volte il disegno che lui aveva predisposto e questo sistema si chiamava “graticolazione” che avveniva attraverso una proiezione con forti fari luminosi per poter tradurre appunto il disegno su queste superfici curve; il metodo lo descrive nel suo trattato architettonico che pubblicò nel 1693 insieme a un' infinità di progetti per apparati effimeri, per feste barocche, per le quarantore, per le vere e proprie scenografiche feste utilizzate per la canonizzazione dei santi; insomma per le infinite occasioni della vita di una città importante come Roma ma anche le feste barocche erano anche quelle legate alla vita della Corte e ai momenti più gioiosi come le nascite, matrimoni o anche la morte dei sovrani. All'interno della chiesa di Sant'Ignazio realizzò anche un altro importantissimo “altare di S. Ignazio di Loyola” in lapislazzuli e bronzi dorati quindi un altare di una grande qualità formale ma anche prezioso per i suoi materiali intrinseci, in cui rappresentò la gloria del Santo con uno spettacolo di suoni e di luci preceduto dalla predica della parola da parte dei predicatori gesuiti e la tela scendeva e mostrava in tutta la sua gloria la statua in argento di Sant'Ignazio, statua che fu rubata dai francesi e che oggi è sostituita da una copia ma lo spettacolo (che secondo il misticismo dei sensi tipico di S. Ignazio da Loyola) può essere ancora oggi goduto in una visita all'interno della chiesa romana. Il padre Pozzo si trasferì a Vienna dove lavorò ancora per i gesuiti sia nel collegio che nell’ antica università ma anche per altri committenti nobili come il conti di Lichtenstein e qua vediamo in particolare lo spettacolare affresco prospettico che realizzò nella Chiesa dei Gesuiti il quale è comprensibile solo visto da un determinato punto di vista e invece il rovesciato mostra appunto tutta la sua illusorietà prospettica vertiginosa. Napoli e Italia Meridionale. Un altro centro barocco di grande interesse è la città di Napoli. Qui nel 1608 si trasferì il lombardo Cosimo Fanzago che era scultore, decoratore, architetto e in generale una figura di grande interesse. Egli nel 1621 strinse un contratto di lavoro con lo scultore fiorentino Angelo Landi di cui sposò la figlia e da cui ebbe quattro figli e si trasferì definitivamente nella città napoletana, divenendo quindi in effetti napoletano di adozione, lavorò fino alla tarda età in questa città che lo aveva accolto e in cui applicò una piena espressione artistica. Tra ii numerosissimi cantieri che gli organizzò, dobbiamo assolutamente fermare la nostra attenzione nella Certosa di San Martino che viene considerato il monumento principe del barocco napoletano, non soltanto ha par la sua progettazione architettonica ma anche per il suo apparato decorativo di grande ricchezza attraverso marmi intarsiati policromi, stucchi, affreschi e tele ma anche perché vi parteciparono molti artisti napoletani; da Battistello Vaccaro, lo stessa Cosimo Fanzago e Luca Giordano. Qua vediamo il chiostro grande della Certosa in cui Cosimo Fanzago progettò la bellissima balaustrata che recinge il cimitero dei certosini che è decorata in sommità dai teschi scultorei con delle innovazioni veramente originali e ugualmente molto originale fu la soluzione che elaborò per le porte d'angolo appaiate e sormontate da busti di santi certosini che fuoriescono da queste finestre come se si affacciassero e sono animati da una vitalità veramente straordinaria. L'arrivo di Cosimo Fanzago fu preceduto EE seguito dai due soggiorni importantissimi nella città partenopea, di Caravaggio in fuga da Roma dopo l'assassinio del Tommasoni e la presenza dell'artista fu uno scossone positivo per la città partenopea e tra i primi caravaggisti a reagire e ad aderire con entusiasmo a questa nuova proposta linguistica fu il giovane Giovan Battista Caracciolo detto il Battistello, che nello stesso Oratorio Monte della misericordia dove Caravaggio aveva realizzato la Pala d'Altare maggiore “le 7 opere di misericordia” nel 1607, Battistello realizzo un'altra Pala d'altare con la “liberazione di San Pietro” dove egli adotta il linguaggio caravaggesco in piena sintonia, con questo fiotto di luce che mette in evidenza la veste bianca dell'angelo che accompagna San Pietro fuori dal carcere e investe il corpo del personaggio in primo piano che ci volge le spalle mentre lascia nell'ombra le guardie addormentate; quindi questo predominio del fondo scuro, la composizione per linee diagonali e il forte contrasto chiaroscurale sono tutti elementi della pittura caravaggesca che vengono riproposti dal Battistello. Un altro caravaggesco è il pittore napoletano Giuseppe de Ribera, il quale ebbe una formazione nella città di Valencia e si trasferì in Italia nel 1611 e viaggio nei vari centri italiani studiando l'arte italiana e lo troviamo nel 1615 a Roma, dal 1616 però si trasferì a Napoli e qui rimase perché sposò la figlia della pittore Giovan Battista Azzolino e dove anche egli trovò come Cosimo Fanzago nella città partenopea, un ambiente culturale soddisfacente tanto che non ritorno più in patria ma inviò le sue opere nella penisola iberica e trovò soprattutto committenti iberici nella stessa città partenopea; primo fra tutti il duca di Ozuna che era il vice re di Napoli di quegli anni. Egli aderisce al caravaggismo in chiave più drammatica con intenso patetismo nelle opere religiose e qua vediamo la “pietà” per la Certosa di San Martino e il “San Gerolamo spaventato dalle trombe del giudizio” ma questo stesso linguaggio così drammatico e fortemente chiaroscurato, privo di idealizzazione ma con piena adesione al naturalismo caravaggesco, caratterizza anche le sue opere di soggetto mitologico, ma dal terzo decennio del 1600 però, la presenza in città di Velasquez servì a rasserenare e schiarire i suoi chiaro scuri e ad accentuare invece un tono più classico delle sue opere dovuto anche certamente all'arrivo nella città di Napoli tra gli anni 20 e 40 del secolo, di alcuni classicisti provenienti da Roma come gli emiliani Domenichino e Lanfranco. Lanfranco soggiornò a Napoli 14 anni, realizzando 4 cicli di affreschi quindi in Chiese molto importanti come il Duomo e la Certosa di S.Martino, in cui propose il linguaggio che univa insieme il barocco e classicismo e quindi con una pittura di grande felicità inventiva luminosissima in cui ripropose però la rivalità con Domenichino che negli stessi anni dipinse i pennacchi della stessa cupola del Duomo di Napoli all'interno della cappella dedicata a San Gennaro. Un Sensibile interprete di questi influssi, da un lato classicisti dalla della dall'altro dal naturalismo caravaggesco rinverdito dalla presenza a Napoli negli anni 30 del 1600 della pittrice Artemisia Gentileschi, fu Massimo Stanzione, di cui vediamo due opere di grande interesse la “Giuditta” e una “donna in costume napoletano” che ci mostrano la capacità dei pittori napoletani di rappresentare la vita quotidiana con molto naturalismo. Il linguaggio pittorico napoletano diciamo che dalla seconda parte del 1600 si modificò decisamente in chiave più barocca e un altro caravaggista di tipo drammatico, fu il pittore calabrese Mattia Preti che viaggiò in lungo e in largo per la penisola italiana spostandosi a Roma con lunghi soggiorni sia a Venezia e Roma, che nel 1643 fu insignito dell'ordine di Cavaliere di Malta cioè lo stesso ordine che ebbe Caravaggio e nel 1656 arrivò a Napoli proprio mentre infuriava la terribile pestilenza quindi gli furono commissionati dei cicli di affreschi votivi di cui rimangono solo i bozzetti e realizzò in quella circostanza anche la Pala d'altare dedicata a “San Sebastiano” uno dei santi più invocati contro la peste di cui vediamo anche lo splendido disegno preparatorio. Dal 1661 si trasferì come fece già Caravaggio nell’ isola di Malta dove lavorò per era tutta la fase finale della sua attività per l'ordine, realizzando affreschi e qua vediamo quelli della Cattedrale della Valletta e qui fu sepolto come Cavaliere di Malta con l'abito di cavalieri di Malta e la sua tomba è una di quelle che vedete sul pavimento della cattedrale che sono appunto le tombe dei cavalieri dell'ordine di Malta qui sepolti. Infine va ricordata la carriera internazionale del grande affrescante Luca Giordano, napoletano e che si spostò prima per motivi di formazione negli anni 50 a Roma, Firenze e Venezia ma studiando i grandi maestri della pittura del 1500 e dell'età barocca e acquisendo in modo straordinario e camaleontico le caratteristiche tanto da poter ripeterne lo stile con una velocità impressionante, una felicità di tocco che gli valse il titolo di “Luca fa presto”. Negli anni 60 del 600 ripercorse le stesse città ormai accompagnato però accompagnata da una fama notevole che lo condusse anche a lavorare alla fine del secolo alla Corte di Madrid di di Carlo II; qua vediamo “l'allegoria del Toson d'oro”(1694) che egli affrescò sulla volta del palazzo del Buen Retiro mentre dopo il suo rientro in città ai primi del 700, affresco questo bellissimo “trionfo di Giuditta” nella Certosa di San Martino a Napoli dove mostra con una tavolozza schiarita e luminosissima di precorrere i risultati del linguaggio rococò. Nell’ Italia meridionale altri centri hanno una caratterizzazione barocca originali e mostrano degli accenti originali; come la città di Lecce che è ricca di chiese, di palazzi con un fitto decorativismo delle superfici che ricordano i risultati del Plateresco in Spagna e quindi un arte estremamente vitale, decorativa e basata sullo sfruttamento della pietra locale particolarmente duttile e luminosa che si adattava alla lavorazione sia negli interni, altari interni, negli elementi ornamentali architettonici sia nelle facciate come vediamo nella bellissima Basilica di Santa Croce a Lecce e il limitrofo Monastero dei Celestini a Lecce e un altro centro importante per il barocco è ugualmente quello siciliano che mostra la presenza ti architetti Lombardi e di un forte influsso del barocco romano attraverso l'attività prima di tutto di Guarino Guarini che lavoro qui nel corso del 600 ma i cui risultati furono purtroppo distrutti dal terribile terremoto di Messina del 1908, sia attraverso l'attività dall'architetto Giacomo Amato, qua vediamo la facciata dalla Chiesa di Santa Teresa alla Kalsa a Palermo, che fu allievo a Roma di Carlo Rainaldi e che quindi importò un linguaggio architettonico del barocco romano nella città di Palermo. Ma un altro fatto terribile fu il terremoto del 1693 che distrusse 54 città, 300 paesi e causò la morte di migliaia di persone e fu la motivazione che spinge alla ricostruzione di interi centri cittadini in una chiave appunto decisamente barocca, qui abbiamo qualche esempio direi gli splendidi centri di Noto, di Ragusa Ibla, di Modica e in Val di Noto, con delle soluzioni particolarmente scenografiche di impatto, con grandiose scalinate che superano i dislivelli del terreno e che ci propongono quindi un'architettura e una decorazione estremamente vitale e gioiosa. Il Barocco in Europa tipo teatrale e scenografico che illustrano la sua raccolta di illustrazioni e vediamo il “ritratto del Re Vittorio Amedeo II di Savoia“ e il ritratto proprio di “Filippo Juvarra”. Il primo progetto di grande impatto scenografico fu la realizzazione della basilica di Superga sul Colle omonimo, quindi in una posizione panoramica che domina la città e che caratterizza lo skyline cittadino; era una basilica progettata per un ringraziamento votivo dopo la liberazione dall’assedio francese di alcuni anni prima ed egli adottò una pianta centrale per la chiesa vera e propria che è sormontata da una monumentale cupola che ricorda quella cinquecentesca di Michelangelo, dominata da un pronao molto sporgente e aggettante e classicistico e a cui si accede attraverso tre rampe di scale da tre direzioni. La chiesa si inserisce nel corpo conventuale rettangolare e ed è affiancata ai lati da due torri campanarie di gusto pienamente barocco e l'effetto straordinario è che a seconda dei punti di vista, la percezione visiva di questo organismo architettonico, muta profondamente e questo ci rivela appunto la formazione da scenografo di Filippo Juvarra e la novità di questo al linguaggio architettonico; quindi occorre ricordarsi che la svolta roccocò nell’ architettura italiana è legata proprio all' arrivo a Torino di questo architetto siciliano originalissimo nel secondo decennio del 1700. Un altro intervento di grande interesse dal punto di vista architettonico e urbanistico fu la progettazione della facciata di Palazzo Madama che prospetta sull’ importante Piazza Castello vicino al palazzo Regio, qui Juvarra propone una facciata monumentale ad ordine gigante, strutturata su due livelli e coronata da una balaustra scultorea, che da un lato guarda ai modelli francesi di Versailles e dall'altro ai modelli del barocco romano di Bernini e Borromini e che ci propone un ingresso vestibolo scenografico con un bellissimo scalone monumentale riccamente decorato da decorazioni architettoniche scultore progettate in modo autografo da Filippo Juvarra e che sono connaturate all'architettura. Ma certamente gli interventi di maggiore impatto territoriale sono i suoi progetti per le cosiddette Corone di Delizie dei Savoia, cioè una serie di residenze di caccia e di delizia e di soggiorno o di ristoro nelle immediate vicinanze di Torino; qua vediamo la bellissima residenza di Venaria Reale (recentemente restaurata e riaperta al pubblico dopo un lunghissimo intervento costosissimo intervento di restauro) che era già stata progettata a suo tempo da Amedeo di Castellamonte e dal Garove, ma in cui Juvarra ebbe a che fare con ripetuti interventi che si concentrano soprattutto nella progettazione della chiesa dedicata a Sant’ Uberto patrono della caccia, nella citroneria, nei parchi, nella galleria spettacolare galleria di Venaria reale. Sappiamo che Juvarra si allontanò da Torino per dei soggiorni europei che sono quasi una sorta di gran tour al contrario, mentre gli aristocratici europei giungevano in Italia per un soggiorno di studio di e di formazione culturale, egli invece percorse al contrario un gran tour europeo in Portogallo, Londra e Parigi. Uno dei progetti più noti di Juvarra è la Palazzina di Caccia di Stupinigi, dove intervenne modificando profondamente tutto il territorio in un complessivo intervento di grande rilevanza e dove adottò la pianta italiana e stella con un salone dedicato ai balli di impianto ellittico (di richiamo certamente barocco) da cui si dipartono quattro bracci a forma di croce che si innestano poi in un complessivo intervento di cortili rettilinei e mistilinee che ospitano gli altri ambienti di servizio e destinati quindi ad altri usi. Gli interni sono di grande impatto scenografico che richiamano appunto la formazione da scenografo teatrale di Juvarra e che sono riccamente ornati da stucchi, dorature, da affreschi e come gli esempi coevi dell'architettura rococò tedesca, sono caratterizzati da un grande slancio verticale e da un'intensa luminosità e una concezione che unifica gli ambienti in modo unitario e quindi appunto da un forte impatto scenografico. Nella fine della sua della sua vita egli si trasferì a Madrid per la progettazione del nuovo Palazzo Reale per Filippo V di Borbone e qua vediamo il progetto che prevedeva una lunghissima facciata rettilinea che fu poi modificata per adeguarlo al sito dove appunto l'edificio doveva essere costruito ma che fu realizzato poi in realtà dal suo allievo il Sacchetti proprio perché Filippo Juvarra morì nel 1736. All'interno dal palazzo operarono vari artisti italiani tra cui il pugliese Corrado Giaquinto (che era uno straordinario affrescante che lavoro per la Corte Sabauda e altre città italiane) insieme a una serie di artisti che i Savoia chiamarono a Corte come il Beaumont, il croato Francesco de Mura, i francesi Van Loo e lo straordinario ebanista di Corte Pietro Piffetti. Dopo la scomparsa di Filippo Juvarra, diventò architetto del re dal 1739 Benedetto Alfieri che proseguì i lavori lasciati interrotti da Juvarra a Stupinigi e Venaria Reale, ma fu anche progettista di interessanti interventi come il Teatro Regio, il Duomo di Carignano (dominato da un originale pianta a ventaglio) e la nuova cavallerizza di Torino insieme a tanti altri progetti di rilevante interesse, insieme a Bernardo Vittone e altri architetti che diventeranno importanti per lo sviluppo dell'architettura piemontese del 1700. Un accenno a parte merita la città di Genova, che aveva il monopolio del commercio dei marmi che smerciava in tutta l'area mediterranea e che si specializzò nella produzione scultorea di altari, di fontane e di monumenti di monumenti funebri che le vennero richiesti nella penisola iberica e un po' in tutto il territorio Mediterraneo dove spediva i suoi prodotti utilizzando la diffusione e la presenza di abilissimi mercanti liguri e la presenza però sostanziale dei liguri anche in colonie nei porti mediterranei. Qua vedete una carrellata di immagini dei protagonisti della scultura barocca e rococò ligure; da Filippo Parodi al figlio Domenico, a Francesco Maria Schiaffino, al maggiore interprete della scultura lignea ligure Anton Maria Maragliano. Pittori italiani in Europa: Giambattista Tiepolo. Dal punto di vista politico, dopo la Pace di Passarovitz del 1718, Venezia si condannò a un immobilismo, abbandonando una politica attiva in campo europeo, ma dal punto di vista pittorico e artistico conobbe una straordinaria fioritura che le valsero una grande nomea in un campo europeo e sostanziato dalla carriera internazionale di alcuni suoi interpreti di grande levatura. Primo fra tutti il bellunese Sebastiano Ricci di cui abbiamo avuto appena modo di parlare e che lavoro si spostò in tutta la penisola italiana come Firenze, Napoli ma in Francia e Inghilterra e in Austria per le principali committenze nobiliari per le corti e poi tornò in patria realizzando alcune pale d'altare di di grandissimo impatto scenografico che mostrano tutta la sua conoscenza della pittura del Veronese e dei grandi interpreti dalla scuola veneta. Egli insieme al nipote Marco, inventò anche delle particolari tipologie di paesaggio con rovine e tombe allegoriche, però differenziando il proprio intervento realizzando per sé le figure e lasciando al nipote Marco il ruolo di specialista del paesaggio. Per l'importante committenza di Lord Burlington a Londra, realizzò una serie di dipinti mitologici, qua vediamo il “trionfo di galatea”, che ornavano il vestibolo di Burlington House a Piccadilly che poi diventò la sede della Royal Accademy. Altri due artisti veneti di levatura internazionale che ebbero carriere internazionali e che si mossero veramente in modo incredibile nelle corti europee, furono Gian Antonio Pellegrini (che si trovò dal 1708 in Inghilterra in Baviera in quanto era cognato di Rosalba Carriera avendone sposato la sorella Angela) e Jacopo Amigoni che era napoletano di nascita ma veneziano d'adozione che operò a Baviera, in Inghilterra e a Madrid, prevalentemente ad affrescò ma anche con pittura su tela. Una carriera internazionale la ebbe la bravissima Rosalba Carriera che era una donna pittrice che mise a punto la tecnica affascinante del pastello colorato che era una tecnica mista tra l'ala del disegno e la pittura e che ella utilizzò per rappresentare i volti dalla aristocrazia del suo tempo in un in un ritratto mondano di grande delicatezza sia cromatica che tecnica e che ben rappresentail mondo del tempo; ebbe in oltre uno straordinario successo a Parigi (dove fu ospite di un banchiere e collezionista) e alla Corte di Vienna tra il secondo e il terzo decennio del 1700. Come ritrattista va ricordato anche un bergamasco Vittorio Ghislandi detto fra Galgario che prende il nome dal monastero dove egli viveva a Bergamo e che era uno specialista del ritratto e che si dedicò a rappresentare la grande aristocrazia del suo tempo in ritratti a tre quarti di figure a figura intera con la rappresentazione della moda della moda più aggiornata, ma rappresentò anche personaggi della borghesia, ecclesiastici e del popolo minuto. Nel contesto veneziano invece, non si allontana mai dalla sua città a differenza degli altri artisti che abbiamo visto ebbero una carriera internazionale, Giovan Battista Piazzetta il quale fu contraddistinto da una pittura di forte impatto drammatico e fortemente chiaroscurato e qua vediamo “San Jacopo condotto al martirio” che era una pala d’altare che egli realizzò per la chiesa di S. Stae a Venezia, dove faceva parte di un ciclo dedicato agli apostoli e che ci dimostra tutto il suo impatto drammatico e la sua visione artistica personale. Egli ebbe un ruolo molto importante perché fondò un Accademia di pittura dove si studiava nudo accademico e il ritratto, però dal quarto decennio del 1700 anche egli fu condizionato dagli sviluppi della pittura rococò e aderì ad una visione con uno sviluppo più luministico della sua pittura. Per un'importante committente il maresciallo sassone Schulenberg che era residente a Venezia, realizzò un ciclo di dipinti su tela dal soggetto popolare di grande naturalezza e di cui vediamo un esempio nella notissima tela dell'“indovina”. Ma certamente la personalità dominante del rococò veneziano e ultimo grande esponente della scuola veneta fu Giovan Battista Tiepolo; nacque a Venezia alla fine del 1600 e operò per una lunghissima carriera insieme alla collaborazione di quadraturisti e dei figli che collaborano con lui in cicli pittorici di grande ampiezza. Egli ebbe una vita molto movimenta e bisogna ricordare in particolare che alla metà del 1700 di recò in Baviera e alla fine della sua vita si recò in Spagna; gli esordi sono tenebrosi in cui egli aderisce alla proposta di Piazzetta e in questo drammatica tela con il “martirio di San Bartolomeo” adotta delle composizioni per diagonali con una pittura drammatica e dinamica di forte impatto e lavorò anche egli all'interno della chiesa di S. Stae dove Piazzetta aveva già dipinto il “martirio di San Giacomo condotto al martirio”, ma assistiamo ad una svolta da questa fase tenebrosa ad una fase chiarista negli affreschi che egli realizzò a Udine per il Patriarca Dionisio Dolfin con soggetti biblici in cui egli rappresentò in modo molto teatrale se queste scene bibliche ambientate però nel 1700 in cui personaggi Giacobbe, Rachele, Mosè e gli altri personaggi biblici sono rappresentati in contesti ariosi di grande luminosità, in un modo quindi assolutamente non drammatico che ci mostrano tutta l'adesione a questo nuovo linguaggio barocchetto e a questa grazia luminosa e serena da parte di Tiepolo; siamo quindi nel terzo decennio del 1700. Egli operò in Lombardia e in vari centri come Bergamo e Milano e in vari palazzi nobiliari come all'interno della Cappella Colleoni con la drammatica scena della “decollazione del Battista” o in un tema mitologico come la il “carro del sole” nel Palazzo Clerici a Milano, proprio negli stessi anni in cui Carlo Innocenzo Carloni rientrava dai suoi soggiorni esteri e qua vediamo uno dei suoi notissimi affreschi a Ludwisburg )con ancora con la tecnica del quadro riportato in cui egli finge di utilizzare dei dipinti su tela) dopo il suo rientro operò in Lombardia per esempio all'interno del Duomo di Monza. Tra i capolavori di Giovan Battista Tiepolo, sono gli affreschi all'interno di Palazzo Labia a Venezia dove egli con l'aiuto del quadraturista Girolamo Mengozzi Colonna (che era faceva parte della grande squadra di scenografia di quadratura di Bologna emiliana) egli finse che esistessero ambienti adiacenti alle sale sviluppando la sua pittura come se si dovesse entrare illusoriamente passando attraverso pochi gradini ed entrando ambienti virtuali esistenti al di là delle quadrature architettoniche dipinte dal Colonna; quindi un effetto di grande impatto teatrale che ci richiama alla mente alla grande pittura del Veronese e che lo mostrò al grande pubblico appunto come un Veronese redivivo capace di far rivivere la grande decorazione veneta; vediamo un esempio dei suoi splendidi disegni resi più luminosi dall'uso della biacca e acquerellati e che gli servivano per rappresentare scene storiche ambientate però in età contemporanea i protagonisti della grande storia romana come Antonio e Cleopatra che vengono invece vestiti come soprattutto le nobildonne della nobiltà della del patriziato Veneto, inserendo anche nani servitori mori, musicanti e altri elementi appunto tipici della civiltà cosmopolita di Venezia che era tappa obbligata del gran tour proprio per la sua vivacità culturale e artistica era quindi meta obbligata dei viaggi di una committenza raffinata. Per la residenza del Principe Vescovo di Wurzburg a Baviera, Tiepolo rappresentò degli spettacolari cicli ad affresco in spazi quasi infiniti e rappresentò “l' olimpo e i quattro continenti” (1751-1753) quindi dei temi allegorici di profondo impatto decorativo e che volevano magnificare la dinastia dei von Greiffenklau, il cui nome significava “sole di Baviera” quindi veniva allegoricamente rappresentato contro lo sfondo del cielo con degli affreschi che vanno visti in modo variato a seconda del punto di vista e man mano che ci si sposta negli ambienti muta la prospettiva e partono da una corona di personaggi che si affaccia alla cornice architettonica reale e che man mano ci conduce, attraverso un degradare e di toni luminosi sempre più luminosi e intensi, fino allo splendore del cielo. Qua vediamo dei dettagli di queste rappresentazioni allegoriche in cui Giovan Battista Tiepolo si servì dell’aiuto dei figli e si auto ritrasse inserendosi tra i vari personaggi che si affacciano da questa volta smisura. L'architettura di questa splendida Reggia e opera dell'architetto Neumann, mentre gli stucchi sono opera di un altro italiano Antonio Bossi, quindi il risultato è di un decorativismo elegante e raffinato e grande luminosità degli interni, la pittura di Tiepolo quindi rappresenta di volta in volta episodi allegorici e storici e si presta a raccontare i fasti della storia germanica e di questa grande famiglia. Al ritorno in Veneto, egli realizzò un altro capolavoro all'interno di Villa Valmarana ai nani, rappresentando Monti e che attraverso una serie di grandi scalinate che si aprono a ventaglio e attraverso rampe disposte a livelli intermedi, garantisce quindi il collegamento di piani di calpestio profondamente diversi e che sfrutta quindi come fondale scenografico architettonico il prospetto della chiesa di Trinità dei Monti. Un altro intervento urbanistico di grande interesse e l'intervento di Piazza Sant'Ignazio di Filippo Raguzzini che dispone in un ambiente abbastanza limitato come spazi, utilizza i prospetti dei palazzi come una sorta di quinta teatrale realizzando un intervento urbano di grande grazia rococò, quasi una sorta di salotto in chiave urbanistica; altri progetti di grande impatto scenografico furono operati durante il successivo pontificato di Clemente XII Corsini con la realizzazione della Fontana di Trevi progettata da Nicola Salvi sullo sfondo di una di Palazzo Poli) utilizzato quindi come quinta architettonica in cui egli sistemò la Fontana spettacolare animata da gruppi scultorei realizzati dallo scultore Pietro Bracci e in cui egli inserì in una nicchia architettonica la figura del Dio Nettuno, e quindi del mito classico circondato da figure di tritoni e di e di altre figure del mito, in una vasca in cui l'acqua fuoriesce liberamente e dialoga con le rocce e con gli elementi naturali e con la quinta architettonica, seguendola con l'impatto appunto scenografico inaugurato dal Bernini in età barocca. Altri grandi protagonisti dell'architettura romana del 1700 sono Alessandro Galilei che si formò a Londra e che ci propone una chiara impronta classicistica alla facciata di San Giovanni Laterano che fu progetto che egli realizzò vincendo il concorso pubblico realizzato negli anni 30 del 1700 per questa importante antica basilica di Roma e così come Ferdinando Fuga, invece si aggiudicò la realizzazione della facciata di Santa Maria Maggiore per l'altra grande e antica basilica romana quindi sono due soluzioni analoghe ma una di forte impianto classicistico e l'altra di scenografico proposta rococò che utilizza il prospetto dei palazzi laterali come ali simmetriche di un grandioso progetto di un intero isolato. Ferdinando Fuga fu anche il progettista dell’ importante palazzo della Consulta che prospetta sulla Piazza del Quirinale ed ebbe una attività non soltanto a Roma ma anche a Napoli, dove sotto il governo di Carlo di Borbone Re delle due Sicilie, si inaugurò una straordinaria stagione di progetti urbanistici e architettonici importanti di cui appunto Ferdinando Fuga fu uno dei degli esponenti più importanti, con la realizzazione di interventi di tipo di architettura funzionale come “l'albergo dei poveri” o il grandioso progetto dei “granili” tra il quinto e siete in modo incendio del 1700, ma anche con la progettazione di chiese come la chiesa dei “girolamini”. Il re delle due Sicilie Carlo di Borbone fu il fondatore della manifattura di Capodimonte in analogia a quello che aveva fatto il suocero il re di Sassonia a Maissen e quindi inaugurò quelle grandi manifatture reali di cui vediamo una importante realizzazione nel Salotto di Porcellana per la regina Maria Amalia di Sassonia all'interno della Reggia di Capodimonte. Ma l'esponente più importante certamente che rappresenta al meglio la politica culturale del re fu Luigi Vanvitelli, figlio della del vedutista olandese Gaspar Van Vittel ma nato a Napoli nel 1700 si formò come architetto e come ingegnere a Roma e però fu chiamato a progettare la nuova Reggia a Caserta che doveva ospitare tutti gli uffici amministrativi e di governo legati alla difesa e alla attività culturale in senso lato della Corte. Egli adottò una pianta rettangolare divisa internamente in quattro grandi cortili, al centro all'incrocio dei bracci si apriva un teatro e una cappella e questa progettazione grandiosa investiva tutto il territorio collegando quindi la Reggia con il vasto parco circostante e con la città; questo ambizioso progetto fu realizzato solo parzialmente a causa del trasferimento in Spagna di Carlo di Borbone che nel 1759 appunto diventò re di Spagna e che fu sostituito quindi dal figlio al governo della città di Napoli e poi anche perché il progettista appunto Luigi Vanvitelli non vide della conclusione di questo suo ambizioso progetto a causa della morte nel 1773, ma i lavori proseguirono appunto sotto l'attività la direzione del figlio, qui vediamo all'interno tra gli ambienti di maggiore rappresentanza lo straordinario scalane che era uno dei più ampi di tutta Europa e la Cappella Palatina e il Teatro Regio e uno degli ambienti delle sontuose sale realizzate all'interno, come anche la soluzione di grande interesse cioè lo snodo dei cortili e il collegamento della soluzione della veduta d'angolo; con degli impatti quindi scenografici di grande di grande importanza che ci mostrano che la politica culturale napoletana aveva un respiro veramente internazionale. Sul grande modello della Reggia di Versailles anche il parco di Caserta fu strutturato secondo vie d'acqua e scenografiche cascate, fontane peschiere, e furono sistemati i giardini secondo i criteri della architettura del paesaggio all'italiana e ordinato geometrico o secondo invece quel gusto del paesaggio inglese di gusto preromantico che lasciava libertà all'apparato vegetale. Le fontane furono decorate da una schiera di scultori con un riferimento alla mitologia classica e qua vediamo due esempi la “Fontana di Venere ed Adone” e la spettacolare fontana grandiosa che rappresenta invece il mito di “Diana ed Atteone” in cui appunto il cacciatore sorprende le ninfe al bagno e viene trasformato in cervo e sbranato dai suoi cani; quindi abbiamo un grande impatto scenografico che ci mostra non soltanto le grandi capacità da architetto ma anche di ingegnere di Vanvitelli che era capace quindi di condurre l'acqua da fonti molto lontane e di portarle attraverso sistemi ingegneristici geniali fino alla Reggia di Caserta. Gli altri interventi nella città furono il Foro Carolino e L'acquedotto Carolino per la stessa committenza di Carlo di Borbone o anche la progettazione di luminosissima chiese come la bellissima Chiesa di Santissima Annunziata all'interno della città di Napoli. Tra le presenze artistiche di maggiore rilevanza va segnalata l'attività del pittore Francesco Solimena non soltanto come affrescante ma anche come pittore su tela capace di rappresentare in chiave pittorica quello che è la scultura che l’arte napoletana andava realizzando in quel tempo e uno dei monumenti che meglio rappresenta questa capacità degli scultori presenti a Napoli in quegli anni è la Cappella San Severo del Principe di Sangro; che era una straordinaria misteriosa figura interessata all'alchimia ed esoterismo e che nella sua cappella privata si fece realizzare con un ciclo iniziatico una serie di statue allegoriche da parte di scultori veneti come il Corradini o liguri come Francesco Queirolo; qua vediamo il notissimo gruppo del “disinganno” in cui con virtuosistica abilità rappresentò una rete scolpita nel marmo veramente in modo straordinario oppure il capolavoro di Giuseppe Sanmartino il “Cristo velato” in cui il corpo di Cristo è coperto da un velo che da un effetto di bagnato e di trasparenza che ha veramente dello straordinario. Giuseppe Sanmartino fu l' esponente anche più importante della scultura presepiale napoletana quindi che scolpiva sia in marmo che in legno intagliato e policromo e che fu un esponente quindi importantissimo della scultura napoletana. Dal punto di vista pittorico si diffonde anche la rappresentazione di gruppi di famiglia in interni e a Napoli l’ esponente più noto è certamente Gaspare Traversi e ha un suo corrispondente nell’ lambito veneziano nell’attività di Pietro Longhi, che rappresentano in chiave anche umoristica e satirica la vita del tempo e hanno quindi un corrispettivo nell’ azione e nell’attività teatrale di Goldoni; proprio quello che negli stessi anni andava realizzando in Inghilterra William Hogarth le cui produzioni erano note attraverso delle stampe e delle incisioni che certamente circolavano e che forse erano conosciute anche da Pietro Longhi. La vita invece dei poveri e delle persone derelitte viene nobilitata e rappresentata nei dipinti di Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto proprio per queste scelte tematiche.
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