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Estetica tedesca del XVIII e XIX secolo: da Sulzer a Hegel, Dispense di Estetica

Una panoramica sulla riflessione estetica tedesca dal XVIII al XIX secolo, dalle teorie di Sulzer, Moritz e Mendelssohn sulla relazione tra arte e natura, alla nozione di 'piacere disinteressato' per il bello d'arte e di natura, fino alle concezioni di Goethe, Schiller, Schelling, Hegel e Kierkegaard sulla bellezza, l'arte e il loro rapporto con la natura e lo spirito. Vengono inoltre affrontati i temi della temporalità, della simbolicità e dello sviluppo storico-concettuale dell'arte.

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 02/08/2021

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martina-stacey 🇮🇹

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Scarica Estetica tedesca del XVIII e XIX secolo: da Sulzer a Hegel e più Dispense in PDF di Estetica solo su Docsity! STORIA DELL'ESTETICA MODERNA E CONTEMPORANEA PARTE PRIMA: > ESTETICA E SISTEMA 1. Kant e la fondazione dell'estetica moderna 1. La svolta della “Critica del Giudizio” e l'estetica moderna» Estetica è tutto ciò che sotto questo nome si è raccolto nel corso di una storia articola e complessa. L'estetica moderna è intesa come filosofia dell'arte. L'estetica moderna si fa nascere con la pubblicazione della “Critica del Giudizio” di Kant nel 1790. Di tematiche riguardanti il bello e il sublime Kant aveva già parlato in uno scritto del periodo precritico: le “Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime” del 1764. In questa breve trattazione l'idea al centro della discussione sul bello e sul sublime si debbano collocare non già le qualità degli oggetti che suscitano tali sentimenti, ma piuttosto le reazioni psicologiche ed emotive dei soggetti fruitori. 2. Il luogo sistematico della terza “Critica”> L'esigenza di far seguire una terza critica alle due precedenti risponde a motivazioni di evidenza tutt'altro che immediata, dal momento che Kant stesso riconosce che i “domini” in cui si ripartiscono i principi a priori sono due, conoscere e agire, e anche la filosofia dovrebbe dunque essere essenzialmente bipartita. Ora, la “Critica della ragion pura” aveva elaborato un'immagine del mondo di tipo newtoniano e meccanicistico. La natura si presentava come una ferrea concatenazione deterministica di eventi fra loro legati in serie causali necessarie entro le quali la definizione di uno spazio per la libertà risultava assai problematico. A tale difficoltà si proponeva di dare risposta la “Critica della ragion pratica”, che sanciva l'appartenenza dell’uomo al regno dei fini, e ne postulava la libertà come condizione dell'agire morale. Nelle intenzioni di Kant, lo spazio per una terza Critica si spalanca proprio al cospetto dell’apparente incomunicabilità del conoscere e dell'agire. La “facoltà di giudicare”, che della terza Critica è oggetto, si configura come tale termine medio. È a partire dal maggio 1789 che Kant parlerà ai suoi corrispondenti di una “Critica del Giudizio” e vedrà la luce nel 1790. 3. Kant e l'eredità dell'estetica del Settecento> Che cosa significa andare alla ricerca dei “principi a priori” della teleologia? a) Rispetto all'area britannica, grande influenza esercita “Un'inchiesta filosofica sull'origine delle nostre idee di sublime e di bello” di Burke, pubblicata nel 1757. Vi si legge che il giudizio di gusto è di pertinenza del sentimento, il quale però non è strettamente individuale, ma si riscontra in tutti gli uomini, in ragione della loro comune struttura fisiologica. L'obiettivo polemico è qui costituito dalle conseguenze dell’empirismo. Secondo questa prospettiva le valutazioni estetiche sarebbero riconducibili alle abitudini, e riposerebbero infine sul principio dell'utilità, per cui il bello coincide con il buono/utile presente o pregustato nell'oggetto di contemplazione. Una delle posizioni più radicali è quella sostenuta da Hume, secondo il quale la valutazione estetica riposa solo sul sentimento provato dal singolo. b) Nell'ambito del cosiddetto ‘razionalismo tedesco’, il nome che merita di essere citato prima di ogni altro quando si parla di fondazione moderna dell'estetica è quello di Alexander G. Baumgarten. Distingue fra una facoltà conoscitiva inferiore e una facoltà conoscitiva superiore, connettendo all’analisi della prima il tentativo di recuperare tematiche solitamente considerate non proprie della trattazione filosofica, bensì di quella poetologica, retorica o critico-artistica. È proprio lui a coniare e utilizzare per primo il termine “estetica”, da lui intesa come ‘scienza della conoscenza sensitiva”, “gnoseologia inferiore”. Ma come può Baumgarten coniugare i due aspetti del termine, quello gnoseologico e quello critico-artistico relativo alla bellezza? Lo fa sulla base della conoscenza sensibile; la quale riguarda la rappresentazione “chiara ma confusa”. La perfezione della conoscenza sensibile in quanto tale è proprio la bellezza, alla quale devono pertanto essere riconosciuti un valore e un significato universali. Entrambe le tendenze (empirismo e razionalismo) agli occhi di Kant potevano tuttavia risultare insoddisfacenti. All’autore della Critica stanno a cuore sia l'autonomia del giudizio di gusto, sia il suo carattere di universalità. Un'influenza decisiva sull’estetica sarebbe stata esercitata anche da altri autori di area tedesca. Si pensi a Sulzer, la cui opera aveva contribuito all’avvicinamento delle nozioni di sensibilità e sentimento nella definizione di bello; a Moritz, che avrebbe elaborato una nozione di “piacere disinteressato” per il bello d'arte e di natura; e soprattutto Mendelssohn che aveva ben prima preso congedo da una teoria delle sensazioni modellata sulla scorta della tradizione wolffiana e dalla concezione del bello come qualità inerente all'oggetto, interrogandosi piuttosto sull'effetto psicologico esercitato dall'oggetto bello sul soggetto che lo percepisce. 4. Giudizio determinanti e giudizi riflettenti> Kant aveva respinto l’idea baumgarteniana di ricavare una filosofia del bello e dell’arte sulla base della gnoseologia inferior. Ciò, tuttavia, si converte nell’esigenza di rinvenirne un principio trascendentale autonomo: di qui l'elevazione della “facoltà di giudicare” da facultas cognoscitiva inferior a terza fra le facoltà superiori dell’animo umano. Kant rinviene nel “sentimento di piacere e dispiacere” una facoltà assolutamente autonoma. La maggiore difficoltà consiste nella composizione delle sue due parti. Le facoltà conoscitive superiori, dice Kant, possono essere tali quando siano in grado di guidare una certa forma di esperienza, ossia presiedere alle facoltà dell’animo. Lo possono fare in virtù dei principi a priori. Il “sentimento di piacere e dispiacere” si configura come la facoltà dell'animo attraverso cui l'uomo può fare esperienza di quella finalità che per la “Critica della ragion pura” era inconoscibile. Kant si trova dunque alle prese con il problema di reintrodurre un concetto che era stato espulso dalla tavola delle categorie, e di farlo senza per questo ricadere in una concezione per così dire razionalistico-ottimistica. Bisognerà ricordare che per il XVIII secolo la nozione di finalità non coincide affatto con quella di deliberazione intenzionale: non rimanda a una semplice consequenzialismo di mezzi e scopi, ma indica un libero “concordare delle parti di un molteplice in un'unità” dotata di senso e armonia. Su tutto ciò si fonda la distinzione operata da Kant fra “giudizi determinanti” e “giudizi riflettenti”. a) | “giudizi determinanti” 0 “Critica della ragion pura” derivano il loro nome dal fatto che, muovendo dall'alto, determinano i caratteri degli oggetti d'esperienza e permettono di stabilire la legittimità e l'ambito della conoscenza. b) Ciò non esaurisce le molteplici possibilità con cui lo stato d’animo di un soggetto può avvicinare e rappresentarsi un oggetto. Quando ciò accade, ha luogo il “giudizio riflettente”, ossia quell’operazione tramite cui il soggetto appunto riflette sul sentimento in lui suscitato dall'oggetto. Il giudizio così formulato rispecchia un ‘bisogno’ del soggetto. Nel caso del giudizio riflettente il principio universale non è dato al modo di una forma pura a priori, ma deve essere ricercato muovendo dal particolare: “il Giudizio in genere è la facoltà di pensare il particolare come contenuto nell’universale”. La partizione interna della “Critica del Giudizio” corrisponde ai tipi possibili di giudizio riflettente, che sono due. 1) La “Critica del Giudizio estetico”, che si articola in due sezioni: a) “Analitica del Giudizio estetico” b) “Dialettica del Giudizio estetico” 2) La “Critica del Giudizio teleologico”, che consta di due sezioni: a) “Analitica del Giudizio teleologico” incontro a un'eccezionale fortuna nel romanticismo. Nel genio la lotta fra l'immaginazione e la ragione si risolve nel nome dell'autonomia: egli non riceve la regola dall'esterno, bensì dà e anzi è egli stesso la regola. Così pure in Kant: nell'attività creatrice del genio, la natura dà la regola all'arte. Qui la nozione di genio si connette con quella di “idea estetica”: le idee estetiche sono rappresentazioni che, attraverso l’espressione artistica, possono estendere simbolicamente il nostro pensiero oltre i limiti assegnatigli dalla conoscenza, offrendo con ciò occasione di “pensare molto”. 10. Aspetti del Giudizio teleologico> La seconda parte della “Critica del Giudizio” è dedicata alla teleologia, ossia alla portata e ai limiti di una considerazione della finalità naturale che può essere pensata per via concettuale nel Giudizio teleologico. AI centro dell'interesse di Kant, qui, è anzitutto il fenomeno della vita. Il sentimento della bellezza quanto la considerazione teleologica della vita sono accomunati dal fenomeno fondamentale dell’assumere forma. Essi possono essere compresi solamente se si è disposti ad ammettere che le leggi naturali appaiono ordinate secondo un'intenzione, ossia finalisticamente. Inteso come fosse un fine, ossia insieme come causa ed effetto di se stesso, l'organismo rivela il proprio triplice carattere fondamentale: genera esseri simili a sé, ha in sé il principio della propria crescita, ossia del proprio metabolismo, mostra una reciproca connessione fra le parti e il tutto. Ecco perché è produttivo. Il ruolo di mediazione svolto nel sistema kantiano della “Critica del Giudizio” appare confermato dalla sua conclusione. 11. Estetica moderna e pensiero storico: la collocazione liminare di Kant> Con la “Critica del Giudizio” Kant avrebbe esercitato un'eccezionale influenza sul tessuto culturale del proprio tempo e dei decenni immediatamente successivi. L'esperienza del bello ha qui per referente il Giudizio riflettente e non la perfezione della sensazione. La “Critica del Giudizio” costituisce un momento decisivo, nella storia dell'estetica, in quanto nell’emanciparsi dai modelli precedenti registra l'evento del suo costituirsi come “filosofia fondamentale”: “essa interpreta l’arte, non già per capire l’arte, bensì per capire il mondo”. Kant dà di fatto l'avvio al superamento di un modo di pensare. Ciò che gli rimarrà estraneo sarà il passaggio al pensiero storico: la “Critica del Giudizio” anzi si attesta precisamente sul confine del passaggio alla ragione storica alla cui determinazione la nascente estetica avrebbe a sua volta contribuito. 2. L'estetica romantica 12. Lo “Sturm und Drang” e Herder> Fra il 1770 e il 1780 si sviluppa in Germania lo “sturm und Drang?”, che apre la strada al romanticismo propriamente detto. Gli Strumer esprimono istanze libertarie e non conformiste nel costume e nella morale. Essi rivolgono contro la cultura e la letteratura accademiche, esaltano da un lato l'individuo geniale e ‘titanico’, che si oppone alle comuni leggi degli uomini, dall'altro il sentimento e le forze della natura, interpreta come espressione della divinità. Loro principale avversario è il teorico del neoclassicismo Winckelmann, che presenta la scultura greca come esempio sommo di arte conforme alle leggi della natura esprimendo “nobile semplicità e quieta grandezza”. AI contrario il genio poetico non imita né l'arte antica né la natura, poiché egli stesso è natura. All’estetica classicista dell’imitazione subentra dunque un'estetica della creazione, che esalta la libertà e la spontaneità contro le regole e gli artifici delle poetiche normative. | poeti sostengono un'arte popolare, libera da precetti retorici, in cui domina il fascino della natura selvaggia e delle passioni tumultuose: contro ogni canone classicistico la loro poesia si ispira alle leggende degli antichi germani e al cristianesimo medievale. Per quanto riguarda la riflessione estetica, la figura di maggior peso è Herder. Herder rivendica il diritto di ogni popolo a esprimere un'arte legata alla propria individualità nazionale, contrapponendo la forza istintiva della “poesia naturale” all’accademismo improduttivo della “poesia d’arte” o riflessa. L'estetica di Herder si fonda su una teoria evolutiva del linguaggio secondo cui ogni lingua è originariamente “una sorta di figurazione sensibile” e “canto della natura”. 13. Goethe: estetica e morfologia> Capitale letteraria della Germania diviene a fine Settecento la città di Weimar. Goethe e Schiller risentono in un primo momento della sensibilità strumeriana, per poi volgere entro un orizzonte classicistico. Tuttavia, almeno per quanto concerne l'estetica in senso stretto, è la nascente temperie culturale romantica il clima in base al quale è possibile comprendere le riflessioni estetiche dei due grandi poeti. La loro estetica costituisce una delle vette della riflessione moderna intorno al concetto di forma. Goethe si mostra legato allo Sturm und Drang con il romanzo ‘esistenziale’ “l dolori del giovane Werther” e con la prima incompiuta stesura del “Faust”, in cui emerge un'immagine dell'universo come sovrabbondanza di vita e incessante trasformazione. Attraverso il confronto con Herder, Goethe sostiene in questo periodo che il criterio del fare artistico non è l'imitazione, ma la forza originale del genio. Questa estetica del genio verrà poi abbandonata nel decennio di Weimar, allorché egli imprimerà al suo pensiero una svolta in senso classicistico. Fondamentale è la concezione della natura come totalità dinamica che si rinnova incessantemente nelle sue forme. Questo costante interesse per la natura si rispecchia nel fatto che Goethe è anche autore di scritti scientifici e in largo senso filosofici. In questi scritti si esprime l’idea che le scienze sperimentali devono far emergere l’intima produttività divina che governa la natura. Anche l'uomo è considerato espressione eminente della vita divina della natura: egli le deve infatti le sue capacità e, soprattutto, la sua creatività. Essendo l’uomo stesso parte della natura, questa non può che sfuggire sempre alla sua comprensione definitiva. A spingere Goethe a coniugare la ricerca naturale con la riflessione sull'arte sarà in particolare l’esperienza del viaggio in Italia. Da allora in poi la dottrina strumeriana del genio sarà sostituita dalla tesi che la grande opera d'arte è prodotta da un'azione che obbedisce alle stesse leggi regolanti i processi naturali; nella produzione poetica goethiana prevarranno così il gusto per la classicità e l'ideale di armonia fra natura e spirito cui sarebbero stati fedeli soprattutto gli antichi. Successivamente Goethe integrerà la sua concezione giovanile con “l’intuizione dei due grandi impulsi di tutta la natura”: la metamorfosi cui la natura è incessantemente soggetta è ora intesa come un divenire organico di materia e spirito, animato dalle due tendenze contrapposte che costituiscono la materia e dalla “legge dell’accrescimento” che governa lo spirito. In questo quadro la natura appare come in fondamento dell’arte, sebbene l’arte non sia la mera imitazione della natura, bensì il prolungamento dell’universale formatività. Così, lo stesso metodo della ricerca scientifica mostra quanto lo scienziato sia debitore dell'artista, che dell'oggetto naturale particolare manifesta il significato universale e vivente, non attraverso la trasformazione della propria soggettività, ma afferrando la complessità delle forme della realtà grazie all'attività poetica. È soprattutto nella ‘Teoria dei colori” che convergono i due interessi principali della riflessione goethiana: da un lato l'indagine naturale, tesa al ritrovamento del “fenomeno originario”; dall'altro la riflessione sull'arte, che, sulla base della ricerca di una normatività estetica, spinge Goethe a difenderne la portata gnoseologica. La natura in questione è proprio quella del fenomeno originario che emerge in tutte le sue singole manifestazioni. Nei “colloqui” Goethe identifica il “fenomeno originario” con la bellezza. Infatti l’arte non è che un’altra natura, altrettanto misteriosa, ma più intelligente perché scaturisce dalla ragione © vicinanza con Kant nella “Critica del Giudizio”. Lo stile è inteso come il grado più elevato che possa essere conseguito dall'arte: è ciò che mantiene il legame con la realtà; la maniera è invece il linguaggio peculiare di ogni artista. La distinzione dei generi artistici è giustificata in base alla differenziazione delle “forme naturali” e non viene fondata sull'evoluzione storica. Farà scuola anche l'opposizione di allegoria e simbolo: essi si distinguono per il fatto che “questo designa indirettamente, mentre la prima designa direttamente”. Il simbolo, unendo particolare e universale, trasforma il fenomeno in idea, l’idea inimmagine; nell’allegoria il fenomeno si trasforma in un concetto, il concetto in un'immagine, ma in modo che il concetto e nell'immagine sia sempre circoscritto. Per Goethe la vera arte è quella simbolica, in cui la totalità si esprime nel particolare. Secondo Moritz il bello spiega se stesso e, a differenza dell'utile, non significa nella al di là di sé. 14. Schiller: l'educazione estetica> Le sue idee estetiche prendono spunto dalla riflessione sulla sua attività artistica e costituiscono un'originale lettura dell'estetica kantiana. L'arte è vista come prosecuzione della creatività divina e della produttività naturale. La duplice funzione dell’arte e della bellezza è inoltre il tema di una poesia del 1789. Se il fine dell’arte è quello di procurare piacere e felicità, essa non può avere scopi morali. Ciò non significa che non possa suscitare effetti morali: poiché nasce da un esercizio di libertà, l’opera d'arte influenza positivamente la moralità. Il rapporto fra arte e libertà viene dunque a costituire il nucleo concettuale dell'estetica schilleriana. Sublime e bello. Entrambi sono sentimenti in cui si esprime la libertà dell’uomo. Il bello è l’espressione della libertà nell’ambito della natura; il sublime ci fa evadere dal mondo sensibile e mostra in tal modo la più alta destinazione umana: esso innalza alla ragione procurando godimento. Nel sublime invece ragione e sensibilità non concordano e appunto in questo contrasto sta il fascino. La tragedia viene così fondata filosoficamente nella specie più completa del sublime, il patetico. Tuttavia, alla vera arte è essenziale anche la bellezza. Il concetto di dignità, contrapposto a quello di grazia, diviene l'analogo del concetto di sublime. Schiller intende confermare la dottrina kantiana secondo cui il valore morale dell’uomo risiede nell’autonomia della volontà, dall'altro correggere la pars destruens di quella dottrina per difendere le esigenze della sensibilità. La realizzazione della moralità non implica la vittoria della razionalità sulla sensibilità, ma la loro armonica conciliazione. In questa prospettiva la bellezza non può essere definita che come grazia, cioè come unione immediata dell'anima buona con l’anima bella. La grazia è quel carattere di libertà e giocosità che l’anima bella aggiunge spontaneamente alla bellezza naturale. L'anima bella non ha altro merito che quello di esistere e, a causa della limitatezza e della precarietà dell’esistenza dell’uomo, essa è soltanto un ideale cui tendere, che rimane comunque irraggiungibile. Schiller può ribadire così ancora una volta il primato del sublime. Schiller intende mostrare che la perfezione è raggiunta soltanto dalla composizione dei due elementi: bello e sublime. Egli propone una pedagogia estetica secondo cui la via per realizzare l'armonia di sensibilità e ragione può essere indicata soltanto dall'arte. La degenerazione dell'età presente è dovuta alla divisione sociale tra la massa rozza e abbruttita e un’élite pervertita e moralmente lassista: ma il distacco tra i cittadini e il potere è a sua volta provocato dalla scissione delle facoltà dell'individuo. L'uomo stesso si forma come frammento, una volta introdotta la scissione è impossibile ritornare all’immediatezza dell’armonia antica. La scissione va superata facendo leva non sulla società, ma sulla struttura antropologica dell'individuo. Si tratta di promuovere un'educazione estetica, perché soltanto lo stato estetico può mediare tra lo stato fisico e quello morale, realizzando l’equilibrato sviluppo di tutte le facoltà. L'arte è infatti superiore sia alla politica sia alla filosofia. Nell'uomo sono compresenti due impulsi: l'impulso materiale o “sensibile”, che spinge alla soddisfazione della ricettività della sensazione, e l'impulso formale o “razionale”, che obbedisce alla spontaneità del pensiero e della volontà. Per sviluppare armonicamente la propria natura l’uomo deve conciliare i due opposti impulsi mantenendoli ognuno nella propria indipendenza. La loro dinamica conciliazione dà luogo a un terzo impulso, che ha una funzione alto. Si diffonde a Heidelberg e poi a Berlino. Nel complesso gli interessi e gli orientamenti del romanticismo di Heidelberg e di Berlino sono piuttosto diversi da quelli del gruppo jenese, soprattutto per l'insistenza sull'arte come espressione inconscia. 18. Aspetti del romanticismo in Francia, Italia e Inghilterra> a) Francia e Italia. Successivamente al 1810 si costituiscono gruppi romantici in Europa. In Francia e in Italia i protagonisti sono Stendhal, Hugo e Manzoni. Manzoni nega che il romanticismo possa essere ridotto “a un non so qual guazzabuglio di streghe, di spettri, un disordine sistematico” e si dichiara a favore di un romanticismo moderato. b) Area britannica. Qui si sviluppa un'estetica filosofica influenzata sia dalle teorie estetiche tedesche, sia dal legame con gli sviluppi della riflessione settecentesca 9 Wordsworth, Coleridge. In particolare bisogna ricordare l'esaltazione della figura del poeta, presentato da Coleridge come colui che “mette in attività tutta l’anima dell’uomo”, e le originali tesi sull’immaginazione, considerata, a differenza della fantasia, come originariamente creativa. a) 19. Aspetti dell'estetica del primo romanticismo tedesco» a) l’arte come luogo di verità. Uno dei portati principali del romanticismo consiste nel superamento della separazione tra verità e apparenza. Ciò è dovuto al fatto che i romantici radicalizzano la critica mossa da Kant alla metafisica razionalistica. Si dischiude in tal modo l'orizzonte del nichilismo. Il nichilismo romantico è caratterizzato, piuttosto che dall’esaltazione della soggettività, dalla messa in luce della perdita di centralità del soggetto, che non è più ritenuto capace di afferrare con la riflessione il fondamento assoluto e la ragione del proprio essere. 4 Sehnsucht € insoddisfazione, la nostalgia e la struggente aspirazione all'infinito non placabile con alcun oggetto determinato; desiderio infinito di una verità che la riflessione non può comprendere e che perciò non si contrappone più all'apparenza. L'arte è una rappresentazione di ciò che sfugge alla conoscenza riflessiva e si rivela come originaria esperienza di verità, giacché offre un prodotto la cui pienezza di senso non è esaurita da alcun pensiero possibile. b) Il rifiuto dell’imitazione. Tutto ciò implica il netto rifiuto del principio dell’imitazione: non è la verità a essere fonte della bellezza, ma piuttosto è dalla bellezza che scaturisce la verità. È un'estetica dell’opera, che fa a meno del principio dell’imitazione. AI centro dell'attenzione vi è il fare artistico, attraverso la categoria di immaginazione produttiva. Significa considerare arte e natura assieme, come forze creatrici e poietiche. Il romanticismo differisce nettamente dalle idee esposte nei grandi sistemi idealistici 0 per il romanticismo l’arte è la forma suprema di conoscenza. c) Lo storicizzarsi dell’arte. Superato il canone imitativo imposto dal neoclassicismo, l’arte non ha più il compito di stabilire modelli eterni e regole formali assolute. Nella prospettiva romantica, ogni opera risulta comprensibile soltanto a partire dalla peculiare situazione in cui è stata prodotta: la storia dell’arte acquista perciò rigore metodologico e dignità filosofica. Il romanticismo si pone in continuità con la disputa antichi/moderni che aveva animato il dibattito estetico dei secoli XVII e XVIII. d) La nuova mitologia. Il progetto è diretto a fondare una forma d’arte innovativa, capace di intervenire efficacemente sulla società moderna, ormai in crisi in seguito allo sfaldamento dei tradizionali equilibri tra individuo e collettività dopo gli eventi della Rivoluzione francese. La vera e propria utopia estetica esposta ne “Il più antico programma sistematico dell’idealismo tedesco”, un frammento anonimo del 1796 redatto dalla mano di Hegel, ma attribuito anche a Holderlin e a Schelling. Come sosteneva anche Schiller, poiché la legalità dello stato non è più legittimabile, è la poesia che “ridiventa alla fine ciò che era all’inizio, educatrice dell'umanità”. Il problema sarà quello dell'effettiva messa in pratica ditale programma utopico. Emergerà l’idea comune che questa mitologia non potrà basarsi né sull’immediatezza del sentimento, né sullo sviluppo della riflessione. 20. Wackenroder e Tieck> Negli anni Novanta del Settecento Wackenroder e Tieck teorizzano un'estetica in cui l’arte viene intesa sia come produzione attraverso cui l’uomo di innalza, sia come universale ‘affabulazione’ ove verità e illusione vengono a coincidere, in un movimento in cui il fantasticare fiabesco assurge a critica corrosiva dell'esistente. a) Arte come lingua meravigliosa. In Wackenroder emerge l’anima religiosa del romanticismo È arte figurative e musica. L'arte, nella fattispecie la pittura, viene esaltata come quel processo creativo che rende simili a Dio. In un impianto tendenzialmente neoplatonico, in cui la bellezza viene intesa come riflesso dell’assoluto, l’arte è considerata come atto religioso, prosecuzione della creazione divina con i mezzi umani: è una lingua, parlando e ascoltando la quale ci è dato interpretare il mistero dell'universo, che appare a sua volta come opera d'arte. Wackenroder considera invece la musica come l’arte pura per eccellenza: la musica è infatti l’arte in cui l'assoluto si esprime in quanto paradossale convergenza degli opposti. La musica umana è dunque il riflesso di una musica divina che trascende l’uomo, e che è dato comprendere unicamente qualora ci si disponga in atteggiamento di ascolto, decifrando i “precisi e oscuri segni magici”. Il soggetto non è più situato davanti a un’opera oggettiva e conchiusa che si svolge dinnanzi a lui, ma è collocato dentro di essa e sprofonda nella contemplazione dell’oscura ambiguità che si esprime nel suono. b) Il nichilismo fantastico. Tieck contribuisce da un lato all'elaborazione di una metafisica della musica, dall'altro alla diffusione delle misteriose atmosfere della letteratura popolare medievale. Tieck afferma la superiorità della musica strumentale su quella vocale, perché la musica strumentale realizza il fine più alto dell’arte: dar voce alle cose più profonde e meravigliose, plasmando nei suoni la voce dell’assoluto. Le sinfonie strumentali realizzano l'ideale artistico, perché rappresentano la realtà nella sua caotica varietà, cosa che non riesce alla musica vocale. l'esaltazione della musica strumentale si riflette nel linguaggio ‘musicale’ delle novelle e dei romanzi di Tieck: il loro originale stile è dovuto al superamento dei generi letterari, barriere che ostacolano lo sviluppo dell’immaginazione. Viene praticata una poetica in cui la fiaba non è tanto chiave di lettura del mistero del mondo, ma piuttosto “gioco dentro il gioco”, espressione fantastica e misteriosa dello stesso mistero del Mondo. Negli anni più felici della produzione poetica di Tieck, questa estetica nichilista si arricchisce della critica all'ordine costituito, che si nutre dell'entusiasmo generato in Germania dalla Rivoluzione francese. 21. F. Schlegel: poesia trascendentale e ironia> Punto di partenza delle riflessioni schlegeliane è la messa in luce dell'anarchia estetica della nostra epoca, la cui poesia è caratterizzata sia dall'assoluta preponderanza del caratteristico, dell’individuale, dell’interessante, sia dall’anelito irrequieto e insaziabile verso il nuovo, il piccante e l’impressionante. Questa ‘rivoluzione’ si produce in Schlegel attraverso la trasformazione della libertà in arbitrio e il suo trasferimento dalla sfera della moralità a quella dell'estetica. Non si tratta di cogliere la verità, ma solo di cercarla in un movimento incompiuto, ironico e scettico. In questa operazione, poesia e critica vengono a coincidere, perché la poesia è l’attività stessa della critica che, alla ricerca di una verità inesprimibile, ritrasforma in “caos” ogni “sistema” concettuale individuato dalla riflessione. Per Schlegel la poesia dev'essere perciò poesia trascendentale: una poesia, cioè, che include una riflessione su se stessa e che perciò assume una dimensione progettuale. La poesia può essere criticata solo dalla poesia: ciò introduce nell'arte e nell’estetica un duplice punto di vista, quello dell'artista creatore e quello del poetologo che riflette sul processo creativo e sulle sue leggi. Infatti un giudizio d’arte che non è esso stesso arte non ha diritto di cittadinanza nel regno dell’arte. Tale concezione ha importanti conseguenze sul piano dei rapporti tra arte e natura. Non più concepita nelle forme rassicuranti dell'armonia, la poesia romantica è dunque ironia. L'ironia non è solo un tratto stilistico del discorso che permette di affermare qualcosa e al contempo di negare tale affermazione come non corrispondente a quanto inteso. È una categoria filosofica con cui viene espresso il superamento del finito all’interno del finito stesso: la filosofia dunque è la vera patria dell'ironia. L'ironia è la forma del paradosso, cioè di tutto ciò che è nel contempo buono e grande. L'ironia, insomma, esibisce nell'arte la perdita dell'origine e del fondamento e l'impossibilità per la riflessione di cogliere il principio infinito del reale: perciò non è la riduzione di ogni contenuto all’arbitrio del soggetto, ma il superamento del particolare in quanto particolare, in modo tale che le condizioni della finitezza sono a un tempo rispettate e smentite. Il Movimento ironico è dunque una struttura organica cui partecipano le figure dell’allegoria e del Witz (arguzia). L'allegoria è la tendenza all'infinito nello stesso finito. Il Witz appartiene alla sfera semantica dell'ingegno e consiste nel “lampo esteriore della fantasia”. Si tratta insomma delle facoltà di cogliere lontane somiglianze, di afferrare intuitivamente e istantaneamente l’unità dell'universo. La forma del Witz è il frammento. Il frammento, a differenza dell’aforisma, rimane riferito in quanto sua espressione. La genialità frammentaria, che esibisce la verità inesauribile attraverso la concentrazione sull’individualità di ogni opera, origina perciò un caos di sistemi concettuali e apre la porta a quell’infinità del senso che spesso disorienta il lettore dell’opera schlegeliana. 22. Novalis: idealismo magico e romantizzazione del mondo> Novalis elabora un'estetica intesa come forma conoscitiva fondamentale dell’uomo: attraverso l’arte è dato superare il temuto solipsismo gnoseologico che scaturirebbe dall’autoriflessione dell'Io fichtiano. Paradigma © l’opera, in quanto individuazione formale e concretizzarsi dell’immaginazione, è il proseguimento dell'attività universale che si riflette nell’inesauribilità dell'Io creativo. L’opera non attiene unicamente alla sfera tecnica, ma sgorga dalle forze spirituali inconsce non immediatamente disponibili al soggetto padrone di sé. L'intera vita dell’uomo e dell'universo naturale riceve perciò in Novalis una configurazione poetica e poietica: si tratta di cogliere nell’lo la corrispondenza analogica con l'universo. L’opera d'arte è dunque l’unica rappresentazione dell’irrappresentabile. All’immaginazione viene attribuito un ruolo centrale: le pretese conoscitive della filosofia sono perciò legittimate soltanto qualora divenga filosofia dell’immaginazione creativa. L'immaginazione non è infatti una semplice facoltà dell’uomo, ma una forza attiva che produce, crea e forma la realtà come connubio inestricabile di illusione e verità. Si configura così un quadro in cui la verità è la forma dell'apparenza — apparenza, la forma della verità. La funzione dell’arte è qui quella di sintetizzare materialità e spiritualità, esibendone l’intima corrispondenza; ai poeti viene dunque affidato il compito di cambiare il rapporto tra l’uomo e il mondo. La rieducazione dell'organo morale richiede infatti la poetizzazione delle scienze e la romantizzazione della realtà. Viene così eliminata ogni barriera tra moralità ed estetica. In ciò consiste l’idealismo magico di Novalis: si tratta al contrario della lucida tesi secondo cui solo un sapere in grado di conoscere il finalismo che lega spirito e natura è vera conoscenza. In tal modo nella poesia, un agire che include come essenziale il momento ludico, si verifica l'equilibrio tra la parte sensibile e la parte morale dell'anima. La filosofia trova compimento proprio come poesia. Le prime opere presentate al pubblico da Novalis sono frammenti estetico-filosofici in cui l'esito della riflessione sulla poeticità dell’esistenza è l'ammissione della sua miracolosa gratuità. La perdita del fondamento permette di ricondurre la fragilità dell’esistenza alle sue possibilità conoscitive. Il genio deve essere integrato dal talento. Senza questo talento si è incompleti, il genio è a metà. È nella forma della fiaba che si spezza il fluire lineare della temporalità cronologica: la dottrina della fiaba contiene la storia del mondo archetipo — comprende il passato, il genio ha insieme tratti consapevoli tratti inconsapevoli. E cioè contemporaneamente arte e poesia. aTte è 'Unica rivelazione dell'assoluto. Schelling sviluppa così il tema kantiano dell'idea estetica come intuizione cui non può corrispondere esaustivamente alcun concetto. In quanto rivela l'assoluto, l’opera d'arte è infatti “capace di un’interpretazione infinita”. L'unità di natura e spirito si rivela in maniera immediata soltanto a Ivllo di intuizione estetica. L'arte è Il compimento e il modello della filosofia. Poiché l'immediatezza estetica prevale sulla mediazione filosofica, per riconciliare la ragione con la natura e, in fondo, per essere coerente con il proprio compito di cogliere l'assoluto, la filosofia deve dunque rifluire nella poesia. Tutto ciò assume una connotazione utopica che emerge nella proposta di una “nuova mitologia”. Il punto di vista del Sistema è perciò quello di un assolutismo estetico in cui l'autonomia del fare artistico conduce a una sorta di estetizzazione della filosofia. 26. Schelling e la comprensione idealistica dell'arte> Già a partire dal dialogo “Bruno o del principio divino e naturale della cose” la sostituzione della filosofia trascendentale con la filosofia dell'identità comporta l'affermazione di un concetto atemporale di bellezza: le opere d’arte e i prodotti della. iatura non sono belli di per: sé; ma lo diventano in quanito sottratti alla temporalità e in quanto considerati soltanto in base a ciò che hanno di analogo al loro eterno archetipo 9 solo i “concetti eterni” delle cose sono belli. “Filosofia dell’arte” © sebbene l’arte occupi ora una posizione più laterale rispetto a quella riservatale nel “Sistema”, in queste lezioni è programmata l’estetizzazione dell'intero universo reale-ideale. L’intuizione estetica non ha più un ruolo preminente sull’intuizione intellettuale. Arte e filosofia sono diverse potenze di manifestazione dell’assoluto. Mentre la filosofia è la “serie ideale” di tale manifestazione, l’arte si costituisce come “serie reale”. Dunque questi sono inquadrati in un contesto idealistico in cui decade il primato dell'arte, considerata ora come manifestazione e non più come rivelazione originaria dell'assoluto. Schelling distingue anzitutto la filosofia dell'arte dalla pratica e dalla storia dell'arte, e definisce la prima come “costruzione” filosofia. Il filosofo si occupa cioè dell'arte ‘come manifestazione necessaria dell’assoluto. Da questo punto di vista, quindi, arte e filosofia sono sostanzialmente identiche perché entrambe esprimono l'identità dell’assoluto. Tuttavia mentre l’arte manifesta l'assoluto oggettivamente e inconsapevolmente, la filosofia lo fa. soggettivamente e consapevolmente, al punto che soltanto filosofo giunge ad afferrare l'essenza dell'arte. La filosofia dell'arte concerne dundue “l'universo nella forma dell’arte” e non l’arte in quanto arte. concetto filosofico dell’arte è allora l'arte come rappresentazione dell'infinito nel finito. La bellezza, che è la “perfetta compenetrazione o uniformazione di bene e vero” è infatti l'intuizione reale dell’indifferenza di libertà e necessità. arte mira agli archetipi, ai modelli eterni delle cose, ma ne offre una rappresentazione reale, oggettiva, concreta. l’arte, in quanto ‘mitologia, è la rappresentazione dell’infinito nel finito e il principio che la informa è il simbolo, la sintesi di schematismo e allegoria. L’allegoria è la rappresentazione in cui il particolare significa l’universale. Il simbolo è il concreto finito che non rimanda all'infinito ideale, ma è l'infinito in maniera immediata. Tuttavia questa immediata e perfetta compenetrazione simbolica di infinito e finito è riuscita soltanto all'arte antica, cioè alla mitologia dei greci; nel moderno, poiché il cristianesimo ha introdotto una frattura fra finito e infinito, il principio dell’arte può ormai essere soltanto l'allegoria, la ricerca asintotica dell'infinito. Nella mitologia antica tutto è colto come natura e perciò l'elemento dell'autocomprensione dell mondo ‘antico è il mito. L'estetica procede qui di pari passo con la filosofia della storia. In particolare dev'essere sottolineanto come per Schelling il sublime. ‘sia una categoria tipica dell’arte antica, perché assume entro di sé la determinazione dell’infinito e la concilia con il finito, mentre il bello caratterizzi il moderno, per cui è finito a farsi ricettacolo dell’infinito. Altro tema prettamente estetico della “Filosofia” è il tragico. Mostrando come l'identità venga ritrovata soltanto attraverso il conilitto, lairagegia esibisce interessi schellinghiani per l'arte e l'estetica. 27. Solger: la metafisica dell'ironia> Solger articola in maniera originale i concetti fondamentali dell'estetica romantica in una prospettiva secondo cui l’arte moderna ha in se stessa, e non nella ricerca dell’immediatezza perduta dell'antichità, la propria ragione estetica. Ogni opera d’arte, e non solo. ‘l’arte antica, è simbolica, giacché esprime la specifica modalità d’esibizione dell'idea in ente finito: si tratta di una sintesi compiuta da una specifica attività dello spirito, la fantasia, che procede direttamente dall'idea alla realtà. La distinzione tra simbolo e allegoria si riduce così alla considerazione che nel simbolo l’attività della fantasia si compie e si acquieta, mentre nell’allegoria, che ha lo stesso contenuto del simbolo, l’idea è attivamente operante. Ironia © punto di connessione tra l’oggettività dell’opera d’arte ‘e la soggettività della creazione artistica. Con Solger l'ironia viene inserita in un originale impianto speculativo, secondo cui il bello consiste nella conciliazione della singolarità irriducibile del fenomeno sensibile con l'universalità del contenuto intellegibile. L'ironia è appunto la coscienza. dell’essenziale differenza dialettica tra l’idea e la sua concreta esibizione nell'opera, in una prospettiva volta non all’assimilazione dell’individuale nell’universale, ma alla difesa della sua insopprimibilità. L'ironia è strettamente connessa all’entusiasmo. Senza l'entusiasmo l'ironia non è iemmeno ironia, ma insanabile contrasto con l'idea; senza l'ironia l'arte cessa di essere arte perché non è più trasposizione nella realtà di una particolare configurazione dell'idea. 28. L'estetica di Hegel: problemi filologici e sistematici> A partire dalla maturità Hegel elabora un'organica filosofia dell’arte. In questo periodo l'interesse del filosofo è incentrato non tanto sulle tematiche estetiche in senso stretto, quanto soprattutto sulla critica della religione e sulla funzione della mitologia nel Mondo greco. Ciononostante il problema è già ora quello del rapporto tra la bellezza e la verità, ossia quello della relazione tra l’arte, come forma preintellettuale e intuitiva dello spirito, e la filosofia come autocoscienza dell’assoluto. La bellezza è concepita come. ‘velo della verità” che come sua rappresentazione: questo carattere non emerge nel mondo greco, ma con il cristianesimo, allorché l’arte ormai non risponde ai bisogni della ragione. Nella “Fenomenologia dello spirito” è stabilita nettamente la differenza fra l’arte e la religione da un lato e la filosofia dall'altro. Tra le varie forme di religione, la religione artistica esprime la cultura greca, ove il divino riceve rappresentazione in un'opera Ma anche l’arte, nella religione artistica, ha un suo sviluppo storico-concettuale: nell'arte astratta il divino è e si opera dell’uomo, ma è ancora a lui contrapposto; nell'arte vivente l’uomo si identifica con il divino, ma nonne è ancora consapevole; soltanto nell'arte spirituale il divino è tutto dissolto e coincidente con l’attività dell’uomo. Nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche l’arte invece non costituisce più, nel quadro del sistema, un momento della religione, ma la prima forma dello spirito assoluto, cioè di quella sintesi di spirito oggettivo che si presenta come l’autoconsapevolezza dello spirito e della realtà. Nel corso dello sviluppo storico dello spirito, l’unico contenuto è appreso in tre forme diverse: la religione coglie l'assoluto mediante una rappresentazione del divino e la filosofia attraverso il pieno dispiegarsi del concetto, ovvero in quanto puro pensiero; l’arte è invece il primo momento intuitivo e immediato dello spirito assoluto, la manifestazione sensibile dell'idea. L'arte è l’oggettivazione intuitiva del contenuto spirituale mediante un mezzo sensibile; la religione è l’interiorizzazione di quel contenuto; la filosofia media tra l’oggettività dell’arte e la soggettività della religione, superandole entrambe. 29. Hegel: arte e bellezza» “Estetica” in Hegel viene a designare la filosofia dell'arte bella: la bellezza è infatti intesa come una peculiare forma di ‘manifestazione della verità. Sebbene soltanto nella filosofia la verità riceve la sua forma adeguata e concettuale come idea assoluta, nell'arte si esprime comunque l’intera vita dello spirito. Qui l’idea infinita emerge attraverso il finito: tramite la bellezza viene perciò esperita l’idea razionale, benché tale esperienza rimanga subordinata rispetto alla conoscenza filosofica. Intale prospettiva, la bellezza sorge con l’oggettivazione dell'idea in un'opera finita, ovvero dalla spiritualizzazione della materia che la creazione compie, piegando la forma naturale all'espressione del contenuto spirituale. In realtà il bello naturale non si può propriamente dire ‘bello’: in esso, a causa di un'insufficiente chiarezza e determinazione del contenuto stesso, non v'è infatti compenetrazione di contenuto interno e di forma esterna. Il bello naturale mostra ‘formativo che superi l'accidentalità naturale. Il campo dell'ideale, ossia del bello, è allora soltanto quello dell'arte. Dunque individualità bella non ‘può essere che quella dell’uomo: anche quando l’arte sembra imitare la natura, in realtà si tratta di un'idealizzazione che mira all'espressione di una ‘precisa spiritualità. È il caso della pittura olandese del Seicento, che sembra mostrare la propria grandezza nella riproduzione degli aspetti quotidiani del reale, ma questa non è che l’esito di una scelta precisa coerente con il grado di consapevolezza dello spirito raggiunto dalla vita borghese dell'epoca. Come strumento del sapere il bello è “la parvenza sensibile dell'idea”. L'arte oscilla tra la mera materialità e la pura spiritualità. La produzione artistica “deve essere un'attività spirituale, che ha però al contempo in sé il momento della sensibilità e dell'immediatezza”. 30. Hegel: lo sviluppo dello spirito e le forme storiche dell'arte> Non è importante soltanto il fatto che l’idea possa trovare un'esibizione a livello estetico, come bellezza. L'idea esplica infatti la sua razionalità attraverso la storia. Lo sviluppo sistematico dell’arte è connesso al processo di autoriconoscimento dello spirito, cosicché il valore estetico dell'espressione sensibile può essere definito soltanto nei termini della adeguatezza dell’opera allo spirito del tempo. L'estetica hegeliana si rivela così una filosofia della storia dell’arte. Tre sono le forme dello sviluppo: a) nell'arte. ‘simbolica, che si concretizza nelle manifestazioni artistico-culturali dell'Oriente antico, il contenuto spirituale non riesce a manifestarsi adeguatamente attraverso la Sensibilità, che predomina; b) nell'arte classica greca in una compiuta coincidenza di interno ed esterno; c) nell'arte cristiana la forma sensibile finita non è più adeguata a esprimere un contenuto spirituale infinito. a) Nel sistema estetico hegeliano l'arte simbolica incomincia ad assumere un ruolo autonomo. Hegel considera il simbolo espressione del patrimonio culturale dei popoli orientali, cioè la manifestazione intuitivo-immediata di una razionalità ancora non del tutto dispiegata. Per Hegel il simbolico è caratterizzato da una costitutiva. ‘disparità di contenuto e forma, per cui l’espressione rimanda a un contenuto che si sottrae alla rappresentazione. Dal punto di vista concettuale, quindi, il simbolo è contrapposto al segno, che presenta un'adeguazione, tuttavia arbitraria, fra contenuto e forma, e si avvicina al sublime. b) L'architettura è la forma artistica per eccellenza, quella in cui l’arte svolge veramente la sua funzione di mediare nell’intuizione sensibile tra un contenuto infinito e una forma finita, è l’arte classica. In essa, e nell'arte greca, si verifica la perfetta raffigurazione sensibile dello spirito: siamo di fronte alla realizzazione dell'ideale artistico. L'esistenza effettiva del concetto stesso dell’arte è così legata a un periodo preciso: la polis greca. Qui la superamento delle poetiche classicistiche trova il proprio fondamento non più nella mitologia antica, bensì in quella cristiana. Sul piano religioso, questo comporta una sorta di propensione verso il cattolicesimo all’interno di un milieu culturale essenzialmente protestante; sul piano estetico, si verifica una trasgressività che affonda le sue radici nella profonda reazione alla poetica delle regole. Superamento del classicismo significa dunque l’affacciarsi di una poetica storica dei generi letterari, che prende l’avvio con il romanticismo e che culminerà con Hegel. Una poetica moderna e storica comporta così il superamento della natura su un duplice livello: da un lato una mitologia naturale che fonda il proprio essere nella simbolizzazione delle diverse fasi della natura; dall'altro il superamento di una poetica dei generi intesi come fondati in re, a favore di una concezione storica che ne oltrepassi il limite rigido. 34. Kant, l'idealismo e il sistema delle arti> E' dato rilevare un progressivo slittamento da una trattazione tendenzialmente astorica, quale quella kantiana, alla storicizzazione dei sistemi idealistici, che trova il proprio culmine nel pensiero di Hegel. Le specie di arti belle sono tre: le arti della parola, le arti figurative, le arti del “bel giuoco di sensazioni” uditive e visive. Kant riconosce una posizione particolare all'arte di “comporre bellamente” i prodotti della natura, il giardinaggio: esso è l’abbellimento del suolo per mezzo di quella stessa varietà che la natura offre all’intuizione. Nell'ambito dell’idealismo tedesco, la prima vera e propria sistematica delle arti è quella di Schelling © suddivisione delle arti condotta sulla base della loro relazione con l'assoluto e, in particolare, della loro scansione in rapporto all’esprimersi di quest'ultimo in una serie reale o ideale. L'arte della parola costituisce così il lato ideale dell'universo dell’arte, mentre quello reale è rappresentato dalla “forma plastica”, che contempla musica, pittura e arte plastica in senso stretto. La suddivisione schellenghiana ha una peculiarità, che non riguarda la pittura, ma la musica. Quest'ultima viene inserita nel quadro delle arti figurative accanto alla pittura e alla scultura. Ciò dipende dal fatto che l'assoluto è l'essenza della materia, e la figuratività in senso lato compete a tutti i generi artistici. Nell’Estetica Hegel introduce la distinzione storico-speculativa tra arte simbolica, classica e romantica. L'architettura è l’arte che, per eccellenza, ha a che fare con il simbolico, la scultura per parte sua coglie con l’arte classica l'apice del suo sviluppo, mentre la pittura, la poesia e la musica competono peculiarmente all'arte romantica. Il passaggio attraverso le diverse arti manifesta il processo di adeguazione del contenuto spirituale al sensibile. Per Hegel l'architettura esalta l'ambiguità di forma e contenuto. La pittura è invece in grado di dare forma all'espressione dello spirito in quanto soggettività spirituale infinita. Il limite intrinseco della scultura sta nel fatto che essa non riesca a raggiungere il livello dell'animazione spirituale. PARTE SECONDA: IL DECLINO DELL'ESTETICA SISTEMATICA 5. L'estetica nella crisi del razionalismo 35. L'imporsi della contingenza: Weibe e F.T. Vischer> Dopo la morte di Hegel, sono ragioni storiche a sancire la crisi e il mutamento radicale del mondo. Soprattutto a cavallo fra gli anni trenta e quaranta del secolo, e poi dopo il 1848, una progressiva perdita di influenza dello hegelismo fa da pendant alla svolta reazionaria che, in Prussia, culmina con l'ascesa al trono di Federico Guglielmo IV. Lo stabilizzarsi di un sistema di produzione capitalistico con le sue conseguenze sullo sviluppo sociale, la nascita di un proletariato; ma anche i fattori culturalmente più complessi, come la alfabetizzazione di massa o la nascita di una letteratura di genere, e l'affermarsi dei primi sintomi dell'industria culturale, con il conseguente imporsi nell'arte di uno stile ‘basso’, esercitano un'influenza decisiva sulla riforma dell'estetica. Tale riforma potrà determinare, da una parte, uno sviluppo dello studio storico dell’arte, dall'altra l'applicazione della dialettica alla stessa concezione hegeliana dell'estetica. La categoria del brutto non aveva trovato, almeno fino al XVIII secolo, una descrizione positiva: le definizioni che ne venivano proposte in chiave filosofica erano per lo più negative, privative. Solo il Laocoonte di Lessing la accoglie per la prima volta esplicitamente. Ciò che alla scultura non è consentito è invece permesso alla poesia, il cui medium è il tempo, grazie al quale al brutto spetta lo statuto di un momento transitorio. In “Sullo studio della poesia greca” Schlegel aveva parlato del brutto in termini di negazione frammentaria del bello, e non di sua mera privazione. Nello stesso Hegel la rappresentazione della Passione di Cristo si rivela incompatibile con un canone classicistico: qui l'affermazione dello spirituale passa attraverso l'esibizione artistica del male e della sofferenza. Di fronte a questo stato di cose la reazione degli ambienti hegeliani è duplice: da una parte assumono una prospettiva di riforma interna del sistema; dall'altra cresce l’attenzione alla concretezza del fenomeno artistico in rapporto al presente. È il caso di Ruge, che mostrava attenzione al comico. a) WeiBe. Appartiene alla corrente filosofica del cosiddetto ‘teismo speculativo’ e concepisce la bellezza come termine medio fra l’idea della verità e la divinità, secondo lo schema filosofia/arte/religione. Egli rimprovera a Hegel di aver interpretato lo spirito assoluto come costituito da tre momenti da “superare”; più corretto sarebbe stato farne tre momenti distinti e compresenti dell'unica vita divina $ recupero della bellezza naturale. Si insinua la contraddizione da cui ha origine il brutto; esso è determinato da un ostacolo all'affermazione del bello che non è semplice privazione, ma possiede una qualità positiva. b) Vischer. Si possono distinguere tre fasi. La terza culmina con la formulazione di una prospettiva di notevole importanza per la nascita della futura psicologia dell’arte. L'interesse del saggio del 1837 consiste nella tendenza a considerare il bello non tanto nel suo momento di conciliazione, quanto dal punto di vista della sua opposizione interna. Non solo la prospettiva hegeliana appare a Vischer teoricamente insostenibile; essa non sembra in grado di rendere conto del fatto che la realtà contemporanea presenta in sé un tale carattere di bruttezza che è inevitabile soffermare l’attenzione sul contrasto prima ancora che sulla conciliazione. Di qui il suo studio delle categorie di sublime e comico, e della nozione di tragico; nonché l’idea che il brutto costituisca precisamente il motore della dialettica interna al bello. Il punto di riferimento teorico di Vischer è anzitutto Solger: “l’idea non può esistere senza essere opposizione”. Dice Vischer: “il bello deve mettersi davanti l'opposizione che esso risolve e non soltanto l'opposizione risolta”. La funzione del brutto diviene ora “lievito”, “fermentazione nella bellezza stessa”. 36. L'estetica del brutto Rosenkranz> Rosenkranz mostra il proprio radicamento nell’estetica hegeliana, di cui anzi si concepisce come naturale sviluppo dialettico. Criticando Baumgarten, Rosenkranz ricorda che “la perfezione è un concetto non direttamente connesso a quello di bellezza”, giacché l’esperienza insegna che vi possono essere organismi perfetti in quanto tali, ma molto brutti. Il brutto è affare dell’arte, la quale, essendo il modo attraverso cui l’idea appare nell'elemento sensibile, lascia spalancata la possibilità della negazione da parte dell’uomo. Il brutto è un “concetto relativo”, in quanto “comprensibile solo in rapporto a un altro concetto. Questo altro concetto è quello del bello: il brutto c'è solo quanto c'è il bello, che ne costituisce il presupposto positivo”. Per questo motivo al brutto spetta secondo Rosenkranz una posizione intermedia e di passaggio. È quanto per esempio accade, in musica, nel ritorno alla totalità armonica dopo la dissonanza. La presenza del brutto nell'opera d’arte può rilevare tanto un approccio ‘sano’ alla negatività, quanto un approccio ‘malato’: il primo è quello che denota gli artisti sommi; il secondo ha luogo quanto il brutto è rappresentato di per se stesso. La discesa in questo “inferno estetico” riproduce infine l'andamento genetico del comico. Nello specifico della triade dialettica assegnatagli da Rosenkranz, il brutto ricopre infatti la posizione intermedi fra il bello e il comico. Del resto, il comico costituiva, anche nella prospettiva hegeliana, la forma estrema dell’estetico; e la caricatura è genere artistico all’epoca di gran moda. L'elogio della caricatura è tanto più significativo in quanto siamo nell'epoca dell’iniziale diffusione della fotografia. 37. L'interpretazione marxiana: classicità e alienazione> Autori come WeiBe e Vischer rivelano una notevole prossimità almeno in un punto: oggetto delle loro ricerche è nuovamente la nozione di bellezza tout court, e non, come per Hegel, solo l’arte bella. L'arte, per Marx, non riguarda immediatamente le forme di produzione economica di una società e la dinamica dialettica che ne deriva, bensì ha lo statuto di sovrastruttura. Marx sembra tuttavia riconoscere che la relazione fra struttura e sovrastruttura è nell’arte meno rigida e deterministica che in altri ambiti, come è testimoniato dalla diversità dei gradi di fruizione dell’opera stessa. Tanto è vero che anche l’uomo moderno, che vive in una società capitalistica, è capace di riconoscere e apprezzare forme d'arte che non hanno più nulla in comune con il contesto socio-economico in cui egli agisce. Solamente la futura società comunica potrà offrire un contesto adeguato per l’arte, mentre la società per classi, la divisione del lavoro e l'alienazione non possono che costituirne l’antitesi. Dell’esibizione dello stato originario e per così dire mitologico non bisognerà comunque perdere di vista la funzione anzitutto ideologica, per l’uomo moderno alienato che vive in un sistema di produzione capitalistico 0 suscita la nostalgia che offusca la sua coscienza della concretezza in cui vive. 38.Schopenhauer: volontà e rappresentazione» Il clima di generale tramonto che circondava la filosofia hegeliana e una certa inclinazione nei confronti delle tendenze irrazionalistiche e pessimistiche del pensiero schoperhaueriano diedero una notevole risonanza alla vasta esposizione divulgativa delle sue opere. L'eco della filosofia schopenhaueriana si può ritrovare in Kierkegaard e Nietzsche. Fin dalla prima edizione di “Mondo” Schopenahauer sembra proporre una sorta di “ritorno a Kant”, un Kant sottoposto a una radicale opera di revisione e semplificazione. La realtà può apparire come fenomeno in ragione del fatto che gli oggetti si costituiscono nel loro principium individualitionis secondo le forme a priori in cui è strutturato il soggetto: spazio, tempo e causalità. Sensibilità e intelletto sono entrambi intuitivi; spazio, tempo e causalità moltiplicano i fenomeni del mondo individuandoli. Qui Schopenhauer introduce le altre due fonti principali del suo pensiero. Da una parte “il divino Platone”, dall'altra le filosofie dell'antica India. Queste convincono Schopenhauer ad affermare che il mondo del fenomeno è apparenza e realtà ingannevole e onirica, nel senso dell’indiano “velo di Maya”. Da questo oblio illusorio l’uomo è trascinato in un ininterrotto vortice di sofferenza inppagata, i cui poli sono costituiti dal dolore e dalla noia. Il filosofo si sente autorizzato a rivendicare una duplice, difficile verità: a) la conoscenza è al servizio del volere, in quanto questo la piega ai fini della propria autoconservazione, anche attraverso la lotta e il conflitto estremo con gli altri esseri viventi; b) per analogia non sarà difficile inferire che tutto, in natura, si rivela oggettivazione di questo principio che si potrà definire “volontà”. 39. Schopenhauer: le idee platoniche e l'arte come liberazione> Nel terzo libro del “Mondo?” ritorna il concetto di rappresentazione 0 “oggettivazione adeguata della volontà”, che del mondo apparente è trascendimento: le idee platoniche. L'idea si può determinare ulteriormente in un duplice modo: a) si distingue dal concetto, perché riguarda il piano morfologico del reale, e dunque è ante rem, mentre il concetto, che è oggetto della
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