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La Prima Rivoluzione Industriale in Inghilterra: Trasformazione Economica e Politica, Schemi e mappe concettuali di Storia

Storia della rivoluzione industrialeStoria Economica ModernaStoria dell'Economia

Come l'inghilterra fu il cuore della rivoluzione industriale europea, con un sistema di governo liberale e il primato di un sistema commerciale internazionale. Le ragioni economiche e politiche dietro il successo inglese, inclusi la liberalizzazione economica e la fine di politiche protezioniste. Vengono anche discusse le conseguenze sociali e il ruolo di figure chiave come adam smith.

Cosa imparerai

  • Che ruolo giocò il sistema di governo liberale nell'Inghilterra durante la Rivoluzione Industriale?
  • Come la liberalizzazione economica in Inghilterra influenzò la società e il lavoro?
  • Come l'Inghilterra divenne il cuore della Rivoluzione Industriale europea?

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 15/10/2022

Gio.gozz
Gio.gozz 🇮🇹

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Scarica La Prima Rivoluzione Industriale in Inghilterra: Trasformazione Economica e Politica e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! L’Inghilterra fu la patria della rivoluzione industriale che si diffonderà poi in tutta Europa nel corso dell’Ottocento abbiamo visto le ragioni di tipo economico del suo successo ma dobbiamo anche riconoscere all’Inghilterra il primato di un sistema di governo liberale, una monarchia parlamentare che aveva fatto da modello per le rivoluzioni del continente e per tutti i liberali che in Europa furono protagonisti dei moti degli anni 20 fino al 48. Il liberalismo che abbiamo visto contrapporsi all’assolutismo nelle lezioni azioni trovò anche una teorizzazione in campo economico. Fu lo scozzese Adam Smith legato profondamente ai valori dell’Illuminismo e alla sua idea di progresso, a fondare il liberismo cioè la traduzione dei principi liberali in campo economico. Elemento essenziale del liberismo era la legge della domanda e dell’offerta e il libero scambio. La legge della domanda e dell’offerta si basava sull’idea che l’economia poteva autoregolarsi. I beni prodotti sono disponibili in quantità superiore a quella che il mercato dei compratori è in grado di assorbire e in quel caso l’offerta è superiore alla domanda e come conseguenza i prezzi dei beni calano. Se invece i beni prodotti non sono disponibili in quantità sufficiente a soddisfare tutti gli aspiranti acquirenti, la domanda è superiore all’offerta e quindi i prezzi dei beni in vendita salgono. Questo meccanismo di aumento diminuzione dei prezzi dipende quindi dalla disponibilità o meno dei prodotti E del mercato stesso che regola questo gioco. Adam Smith aveva la fiducia nel mercato credendo che il mercato si autoregolasse. Per permettere l’attuazione di questa legge era necessario che le merci potessero circolare liberamente tra i vari paesi, pertanto il concetto di libero scambio è il secondo pilastro del liberismo. Il libero scambio significava la rinuncia da parte dei governi a ostacolare con dazi doganali o con qualsiasi altra misura finalizzata a proteggere l’economia del proprio paese la libera circolazione delle merci. Il contrario una politica di libero scambio è il protezionismo cioè quel meccanismo che impedisce l’ingresso in un paese di qui Beni che risultano capaci di fare concorrenza alle proprie industrie. Quasi tutti i sistemi assolutistici Europa continentale adottavano politiche protezioniste ma l’Inghilterra era al centro di un sistema commerciale internazionale ed aveva bisogno invece del libero scambio, potendosi permettere di far muovere le merci liberamente tra la madrepatria e le colonie o altri mercati che erano inevitabilmente più deboli rispetto a quello inglese. L’impostazione liberale e liberista dell’Inghilterra tra 700, 800 portò i governi inglesi a emanare leggi che eliminavano il controllo dello stato in ambito economico. Due esempi significativi sono l’abolizione delle leggi sui poveri, leggi che risalivano all’epoca elisabettiano e poggiavano sull’idea secondo cui i poveri bisognosi dovevano essere assistiti dallo stato con dei sussidi pubblici. I liberali e liberisti ritenevano invece che i poveri non dovevano essere assistiti ma dovevano essere guardati come dei colpevoli cioè responsabili diretti della propria condizione di miseria e aiutarli avrebbe significato incentivare i loro vizi. Abbandonati a se stessi essi avrebbero saputo temprare il loro carattere esercitare tutte quelle virtù che avrebbero permesso loro di assumere un posto nella società come onesti lavoratori. Un altro esempio è l’abolizione delle corna Lores cioè le leggi sul grano, che erano di tipo protezionista perché tutelavano gli interessi dei proprietari terrieri alzando il prezzo dei grani importati dall’estero. L’Inghilterra invece dove ormai il peso dei grandi industriali era superiore a quello dei proprietari terrieri aveva deciso di abolirle e in questo modo sarebbe arrivato del grano dall’estero a basso costo e gli agrari inglesi avrebbero dovuto adeguare il prezzo dei loro cereali a quello dei prodotti stranieri. Per gli industriali il costo del genere alimentare per eccellenza grano doveva abbassarsi e tale riduzione dei costi poteva permettere una diminuzione del prezzo del pane dei beni di prima necessità, allargando quindi la loro diffusione tra le masse dei contadini, gli operai e nello stesso tempo una cosa molto importante dava agli industriale la possibilità di contenere i salari, in quanto appunto il costo del genere alimentare per eccellenza tendeva al ribasso. Il modello liberale liberista dell’Inghilterra esercitò grande fascino su Cavour, era andato in Inghilterra e per lui la nuova Italia doveva prendere come esempio l’Inghilterra e quindi il governo di Cavour e il governo della destra storica che era composta dai successori di Cavour adottò anche per l’Italia una politica di libero scambio, una volta ottenuta l’unificazione del paese e quindi l’abolizione delle varie barriere doganali tra i vari Stati che componevano l’Italia. Alla fine del settecento tutti i governi erano convinti che gli operai fossero una semplice forza lavoro tuttavia con nuovo secolo le condizioni di vita delle masse dei lavoratori fecero sorgere dei movimenti che rivendicavano dei diritti. Fu sempre l’Inghilterra che per evitare scontri tra i lavoratori e i datori di lavoro riconobbe il diritto di associazione per affrontare le questioni relative al salario e all’orario di lavoro. Sebbene lo sciopero fosse ancora ritenuto illegale i provvedimenti del governo inglese favorirono la nascita dei primi sindacati moderni le trade unions. Nel 1825 il Factory ex del 1833 introdusse anche le prime forme di tutela sul luogo di lavoro, la giornata di otto ore per i minori di 13 anni e la giornata di 12 ore per i giovani dai 13 ai 18 anni. L’industrializzazione aveva cambiato radicalmente la concezione del lavoro e il volto delle città concentrando la produzione in un unico luogo fabbrica, prevalentemente nelle periferie urbane e introducendo una divisione del lavoro dove il lavoratore non segue più l’intero ciclo produttivo come nelle vecchie botteghe artigianali ma si occupa di un segmento della produzione. Tra le masse dei lavoratori vi erano anche donne e bambini e le prime generazioni operaie vivevano in condizioni molto difficili per i salari da fame per gli ambienti rumorosi e malsani dove operai dovevano rimanere anche per 13/14 ore. Nelle nuove città industriali che si erano sviluppate in modo improvvisato non vi erano i più elementari servizi. Quartieri operai in cui l’alcolismo divenne una piaga sociale molto diffusa. Mentre nuove malattie epidemiche soprattutto il tifo e il colera trovarono un terreno di propagazione ideale. A partire dagli anni 20 dell’ottocento nacque una corrente di pensiero nuova che chiamiamo generalmente il pensiero sociale o socialismo che aveva come obiettivo primario il rimedio alle drammatiche condizioni di vita degli operai, il tentativo di risolvere le diseguaglianze sociali. Il socialismo si spinse oltre arrivando a discutere anche sul diritto di proprietà che per il pensiero liberale era sacro, un diritto fondamentale ma i socialisti ritenevano che era la proprietà che era responsabile tutti mali che affliggevano l’umanità e disuguaglianze tra i cittadini e quindi i socialisti erano portati a rivedere il concetto di ricchezza e di povertà. Per i socialisti in cima alla scala sociale non c’erano più i nobili, i proprietari terrieri ma i borghesi che avevano investito i loro capitali nell’industria e quindi chiamati capitalisti. Infondo alla scala era nato un nuovo gruppo sociale: il proletariato che era privo di qualsiasi mezzo che arriva dal termine prole cioè figli quindi avevano come unica ricchezza solo i figli. Il proletariato era la nuova classe operaia che comprendeva tutti coloro che per vivere erano costretti a vendere la propria forza lavoro. ci furono diverse forme di socialismo sono due da una parte il cosiddetto socialismo utopistico di pensatori francesi come Claude-henri de saint-simon e Pierre lerux. Costoro erano convinti che l’intera società doveva essere guidata da un élite di tecnici che erano capaci di pianificare la produzione indirizzando la unique distribuzione dei profitti ricavati dal lavoro collettivo. Esempi pratici di queste teorie utopistiche furono ad esempio i falansteri cioè delle industrie fondate organizzate dallo Stato nelle quali i lavoratori si sostenevano a vicenda vivendo e lavorando insieme. Questo tipo di industria dove spariva la divisione fra il datore di lavoro e il lavoratore rimase tuttavia sogno un progetto astratto. Ecco perché questo tipo di socialismo chiamato utopistico, utopia è un mondo perfetto che però non esiste. Accanto ai socialisti utopisti troviamo invece i socialisti che per distinguersi dai primi preferirono definirsi comunisti si tratta di Karl Marx e Frederic Engels costoro in Germania. Marx fu filosofo giornalista mentre Engels era figlio di un ricco industriale tessile tedesco che era stato mandato in Inghilterra dal padre per conoscere l’ambiente economico britannico. Engels era rimasto colpito dal degrado dei centri urbani e senti l’esigenza di denunciare le condizioni di vita in cui viveva il proletariato. Marx era tedesco ma origine ebraica e dopo aver riflettuto anche a lungo Sul ruolo della religione proprio anche a partire dalla condizione la sua condizione di ebreo.
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