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Storia dell'Inghilterra, Appunti di Storia Moderna

Tesina storia dell'Inghilterra dalla Riforma alla Guerra d'Indipendenza Americana

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 27/02/2021

Valeriaf18
Valeriaf18 🇮🇹

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Scarica Storia dell'Inghilterra e più Appunti in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! L’INGHILTERRA NELL’ETA’ MODERNA Valeria Ferraro Matricola: 113001402 Esame: Fondamenti di Storia Moderna Docente: Prof. Stefano De Luca Corso di Laurea: Lingue e Culture Moderne per le professioni LA CRESCITA DEMOGRAFICA DEL XVI SECOLO Il XVI secolo fu caratterizzato da un notevole aumento della popolazione, tale crescita interessò in modo particolare i centri urbani grazie alle massice immigrazioni dalle campagne. Le cause di questo fenomeno non sono chiare, gli storici hanno ipotizzato che sia stata dovuta ad un rallentamento delle epidemie e a un abbassamento dell’età matrimoniale sia per gli uomini che per le donne. L’aumento della popolazione interessò diversi centri urbani come Napoli, Parigi e Costantinopoli che contavano oltre 200.000 abitanti, Milano, Venezia e Londra con oltre 150.000 abitanti. La crecita della popolazione provocò un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità cosi forte da poter parlare di una «rivoluzione dei prezzi». La domanda di grano e altri prodotti favorì le aziende agrarie, ma la struttura agraria più diffusa continuò a esssere la signoria, che prevedeva diversi oneri a carico dei contadini, e la produttività della terra restò assai bassa. Altra conseguenza dell’aumento dei prodotti agricoli fu la diminuzione del potere d’acquisto dei lavoratori urbani, addetti alla produzione di manufatti. L’aumento dei prezzi riguardò anche questo tipo di beni urbani, ma la domanda di essi risentiva immediatamente di ogni piccolo innalzamento dei prezzi dei prodotti agricoli. L’aumento della popolazione comportò anche una crescita delle attività commerciale e, con esse, di quelle finanziare e creditizie. Si costituirono compagnie commerciali, spesso dotate di privilegi, e in grado di ottenere alti profitti dalle loro attività. La crescita della popolazione, non adeguatamente sostenuta da un aumento delle risorse disponibili, generò un aumento della povertà, che attrasse l’attenzione di molti governi cittadini, preoccupati di mantenere l’ordine. Furono così istituiti i primi centri d’assistenza ai poveri che svolgevano contemporaneamente un ruolo di assistenza e di repressione . Nel 1535 fu emanato l’Atto di supremazia che conferiva al re il titolo di Capo Supremo della Chiesa d’Inghilterra. L’arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer, simpatizzava per la Riforma e si adoperò per introdurre alcuni dei suoi principi. Ciò non fu possibile, furono ribaditi il celibato dei preti,i sette sacramenti e la dottrina della transustanziazione secondo la quale la messa era un rito di commemorazione dell’Ultima Cena e non il verso sacrificio del Corpo di Cristo. Con la morte di Enrico e l’ascesa al trono del figlio Edoardo VI, il partito protestante ottenne il favore della corte. Nel 1549 fu approvato il «Book of Common Prayer» redatto dallo stesso Cranmer. Il processo di riforma si arrestò con l’ascesa al trono di Maria Tudor, detta la sanguinaria per aver massacrato migliaia di protestanti. Ma riprese con l’ascesa al trono di Elisabetta I L’INGHILTERRA DI ELISABETTA I In Inghilterra, dopo i capovolgimanti religiosi legati ai brevi regni di Edoardo VI (protestante) e Maria Tudor (cattolica), il regno di Elisabetta I fu caratterizzato da un orientamento filoprotestante. Anche la regina era convinta della necessità di avere una sola fede nel regno. La sua prima preoccuapzione fu quella di risolvere la questione religiosa nella maniera meno conflittuale possibile, emanando: - Atto di supremazia con il quale si proclamava «suprema reggente» della Chiesa d’Inghilterra; - Atto di uniformità con il quale approvava un Book of Common Prayer, un compromesso tra le posizioni calviniste e la tradizione liturgica cattolica. I tentativi di riportare l’Inghilterra nell’orbita cattolica si protassero per buona parte del suo regno, soprattutto dopo l’arrivo nel 1568 della regina di Scozia Maria Stuart. Costretta ad abbandonare il trono scozzese e a rifugiarsi in Inghilterra, divenne un punto di riferimento per i feudatari cattolici. Nel 1569 tentarono una sollevazione contro Elisabetta I, la rivolta fallì e Maria fu condannata a morte nel 1587. Sul piano internazionale, l’aggravarsi del conflitto religioso in Francia e nei Paesi Bassi spinse la regina a schierarsi a favore del fronte protestante, appoggiando Enrico di Borbone e inviando un esercito in aiuto dei ribelli dei Pesi Basi. Filippo II non tardò a reagire e nel 1588 una flotta di 130 navi partì dalla Spagna alla volta dell’Inghilterra. La spedizione dell’ «Invincibile Armata» fu un grandissimo fallimento: la tempesta e l’artiglieria inglese riuscirono a sconfiggerla. L’INGHILTERRA DOPO ELISABETTA I: L’ASCESA DI GIACOMO I Elisabetta I morì nel 1603 senza eredi diretti. Al trono inglese salì Giacomo I Stuart, Re di Scozia il quale unificò le due corone. Il problema che egli doveva affrontare erano gli stessi che affliggevano altri sovrani: il dissesto delle finanze dello Stato e l’individuazione di un punto di equilibrio tra le diverse correnti interne alla Chiesa. Essendo scozzese, doveva guadagnarsi il favore dei propri sudditi. Al contrario di Elisabetta, Giacomo si dimostrò molto generoso nella cessione di benefici e titoli onorifici. Più che guadagnare ampi consensi questo gli alienò le simpatie della nobiltà di antico lignaggio anche perché le leve del patronage regale finirono nelle mani del favorito duca di Buckingham. Il mantenimento dell’esercito anche in tempo di guerra incideva sulle finanze della corona, si decise quindi che il sovrano avrebbe dovuto far fronte alle spese ordinarie attraverso il suo patrimonio mentre i sussidi votati dal Parlamento dovevano servire solo per spese straordinarie. La questione religiosa si presentava pieni di insidie. Giacomo I era protestante, dovette difendersi da congiure tese a restaurare il cattolicesimo. A questi si aggiunse lo scontro con i puritani e gli scozzesi che difendevano l’impianto presbiteriano delle loro Chiese e condannavano la liturgia anglicana simile a quella della Chiesa di Roma. L’ASCESA DI CARLO I Nel 1625 salì al trono Carlo I, figlio di Giacomo I, che manifestava simpatie per l’anglicanesimo, mentre il duca di Buckingham era sempre più favorevole all’arminianesimo (corrente interna al calvinisimo con opinioni vicine a quelle della chiesa cattolica). Questo accrebbe l’ostilità nei confronti del re e della sua politica. Il conflitto tra Carlo I e i membri puritani della Camera dei Comuni si accentuò maggiormente con la convocazione del Parlamento nel 1628, quando il re si vide presentare una Petizione del diritto, scritta da Edward Coke, nella quale si denunciavano gli arresti illegali di alcuni parlamentari e la violazione della prassi costituzionale. Il re accettò la petizione ma ciò non migliorò i suoi rapporti con il Parlamento che non fu più convocato per 11 anni. Nel frattempo Buckingham era stato assassinato e il re continuava ad attorinarsi di persone sospette di filocattolicesimo e a promuovere vescovi arminiani mentre i membri del clero che simpatizzavano per il puritanesimo vennero discriminati in maniera sempre più netta. La scelta di non convocare il Parlamento implicava la ricerca di fonti alternative di finanziamento. Il riprisinto di tasse cadute in disuso, la vendita di licenze che permettevano di esercitare attività in condizioni di monopolio e lo Ship Money, un contributo per l’armamento delle navi, accrebbero il malcontento di molti proprietari terrieri. Il vero problema veniva dalla Scozia. Gli scozzesi aveva molte ragioni di nutrire ostilità nei confronti di un re che restava lontano dai sudditi e li escludeva dalle cariche. Lo scontro più aspro si accese sulla questione religiosa, quando Carlo I cercò di estendere la dottrina anglicana anche nella Scozia presbiteriana imponendo un Prayer Book che conservava poco dell’impostazione calvinista. Alla minaccia di secessionse scozzese il re rispose con la forza. Per armare l’esercito erano necessari finanziamenti cosi, nell’aprile del 1940 e dopo 11 anni, decise di convocare il Parlamento. Lo sospese dopo solo tre settimane (corto Parlamento) poichè irritato dalle proteste e dalle rivendicazioni a lui sottoposte. I rapporti peggiorarono, l’esercito scozzese aveva varcato i confini e minacciava di invadere il paese se il re non avesse ritirato i provvedimenti religiosi e pagato un indennizzo di guerra. Carlo I fu costretto a convocare nuovamente il Parlamento che durò fino al 1660 (lungo Parlamento). IL PROTETTORATO DI CROMWELL Dopo aver ristabilito l’ordine in Inghilterra e Irlanda, e raggiunta la pace con la Scozia, Cromwell si dedicò alla guerra appena scoppiata con l’Olanda. Un Atto di navigazione, emanato nel 1651, che vietava l’approdo in porti inglesi a navi che non avessero equipaggio inglese o merci di altre provenienze, fu un evidente attacco ai traffici olandesi e un tentativo di inserirsi nel commercio del Baltico monopolizzato dagli abitanti delle Province Unite. La guerra che ne seguì si risolse a vantaggio dell’Inghilterra grazie all’alleanza commerciale con Svezia, Portogallo e Danimarca. La strategia espansionistica di Cromwell prevedeva anche un’alleanza con la Francia per la conquista delle colonie spagnole in America. Gli anni di politica estera trasformarono l’inghilterra repubblicana nella prima potenza marittima e commerciale. Nel 1653 Cromwell fu nominato Lord Protettore della Repubblica. Egli impose al paese una dittatura militare, e fu costretto proprio dall’esercito, a rifiutare la corona offertagli nel 1667. Alla sua morte, il figlio cercò di assumerne la successione ma fu costretto a dimettersi a causa dei numerosi disordini. Nel 1660, con l’approvazione del Parlamento, il generale Monk restaurò la monarchia Stuart mettendo sul trono Carlo II, erede di Carlo I. LA RESTUARAZIONE STUART E LA «GLORIOSA RIVOLUZIONE» Nella Dichiarazione di Breda rilasciata prima di entrare in Inghilterra, Carlo II si espresse a favore di un’amnistia generale e di una libertà di coscienza in materia di religione. Il Parlamento, eletto al suo ritorno, si dimostrò meno incline alla tolleranza soprattutto nei confronti del radicalismo religioso. Timoroso di nuovi complotti cattolici emanò una serie di atti volti a escludere i non anglicani dalle cariche pubbliche. I timori del Parlamento aumentarono quando l’Inghilterra si schierò a fianco di Luigi XIV, sovrano cattolico contro l’Olanda protestante. Fu emanato il Test Act con il quale si imponeva a chiunque ricoprisse cariche pubbliche di giurare fedeltà alla Chiesa anglicana, e fu definito in maniera più precisa il principio dell’Habeas corpus che tutelava il diritto degli arrestati a comparire davanti ad un giudice. Un’altra importante questione si aprì in merito alla successione al trono: Carlo II non aveva eredi, e Giacomo, che era un cattolico, era destinato a succedergli. Su questa questione il Parlamento si divise in due: i whigs, oppositori della successione di Giacomo, e i Teories invece favorevoli. Attraverso manipolazioni delle elezioni, la maggioranza risultò favorevole a Giacomo e nel 1685 salì al trono. A causa della sua politica filocattolica che comportò la sospensione del Test Act e l’emanazione della Dichiarazione di Indulgenza (libertà di culto concessa a tutti i conformisti) perse le simpatie del partito tory. La nascita di un erede maschio e il rischio di una permanente restaurazione cattolica, spinsero l’opposizione a chiedere aiuto a Guglielmo d’Orange, governatore d’Olanda e marito di Maria, figlia di Giacomo. Quando sbarcò in Inghilterra, Giacomo fuggì da Londra, permettendo al Parlamento di offrire la corona a Guglielmo d’Orange. Guglielmo e Maria salirono al trono d’Inghilterra grazie a quella che fu definita Gloriosa rivoluzione e accettarono il Bill of Rights, un atto solenne nel quale si sanciva «la libertà di parola e di discussione o di stampa in Parlamento» e si definivano i limiti dei poteri del re, che perdeva il diritto di sospendere le leggi, di imporre tributi e mantenere un esercito senza consenso del Parlamento. DA WALPOLE A PITT Nel 1720, quando la Compagnia dei Mari del Sud, che aveva ottenuto la coversione di parte del debito pubblico in azioni della compagni, fallì e scoppiò un grave scandalo, il South Sea Bubble, solo l’abilità politica di Robert Walpole riuscì al salvare il governo e la corte. Emerso come leader dei wighs si impose alla guida del paese fino al 1742. All’inizio del ‘700 la struttura e i modi di funzionamento del governo inglese non erano ancora definiti. In più si aggiungeva il fatto che, Giorgio I non conosceva l’inglese e doveva esprimersi in francese o latino. Walpole iniziò così a presiedere le riunioni dei ministri e a riferine al re. Si venne formando il governo di gabinetto, governo da cui era assente il re, formato da ministri scelti in nome del re dal leader della maggioranza parlamentare. Era una prefigurazione di quel passaggio dalla monarchia costituzionale alla monarchia parlamentare che si avrà nel secolo successivo. Gli anni 1720-1740 furono anni di stabilità e prosperità all’interno, di pace all’esterno. Walpole risanò le finanze, adottò una politica fiscale moderata, tenne l’Inghilterra fuori dalla guerra di successione polacca. Alla fine degli anni 30 a causa di pressioni per una politica più attiva sul fronte internazionale e la ripresa delle ostilità verso la Spagna Walpole decise di dimettersi. A Walpole seguì un altro whig, William Pitt. Questo fu interprete di un’ Inghilterra dinamica e aggressiva, consapevole dei propri obiettivi di sviluppo coloniale e di dominio mondiale e della necessità di bloccare l’ascesa francese. Nel 1759 gli inglesi vinsero nell’Atlantico, in India, in Canada e nelle Antille. La vitalità del paese fu seguita da un incremento dell stampa quotidiana e periodica. Alla moltiplicazione degli strumenti di informazione seguì la nascita di nuovi lughi di incontro e discussione come caffè, club e sale da tè dove i cittadini infromati si scambiavano notizie e discutevano dei problemi del giorno. Formazione di un attivissimo mercato librario: gli autori dei libri potevano vivere dei diritti d’autore senza dover dipendere dai potenti mecenati. Pitt controllò la vita politica per un breve periodo. Nel 1761 fu costretto a dimettersi dato che l’anno prima era salito al trono Giorgio III il quale era riuscito ad imporre i propri uomini contro il vecchio partito dominante whig e a raggiungere una pace moderata con la Francia. LA COLONIZZAZIONE INGLESE DEL NORD AMERICA La colonizzazione inglese del Nord America, iniziata all’inizio del ‘600 e costantemente legata ad un’aspra lotta contro gli indiani, fu il prodotto dell’iniziativa di compagnie commerciali e dell’emigrazione di minoranze politiche e religiose. Sia le iniziative economiche sia i movimenti migratori furono incoraggiati dalla corona britannica per contrastare la presenza sul continente delle altre potenze coloniali. Attorno alla meta del ‘700, il territorio controllato dalla Gran Bretagna si esetendeva su una vasta fascia di costiera atlantica limitata a nord dalla regione dei Grandi Laghi, a sud dalla Florida spagnola, a ovest dalla catena degli Appalachi. La prima colonia inglese fu la Virginia, nata nel 1607 per inziativa della Virgina Company. Fra il 1620 e il 1640, gruppi di puritani diedero vita ad insediamenti più a nord, nella regione del Massachusetts: il primo fu quello di New Plymouth, fondato dai padri pellegrini. Fino al 1691, quando divenne colonia britannica, il Massachusetts si resse come uno Stato indipendente, con lo scopo di fondare una nuova società e una nuova Chiesa basate sui precetti delle Sacre Scritture. Nel 1630, gruppi dissidente si separarono dando vita a due nuove colonie: Rhode Island e Connecticut. Il New Hampshire si separò nel 1679 dal Massachusetts diventando una provincia indipendente sotto il controllo regio. Diversa fu l’origine delle colonie situate a sud della Virginia. La prima fu il Maryland, concessa nel 1623 da Carlo I all’aristocratico Lord Baltimore. Da un’analoga concessione fatta nel 1623 da Carlo II, nacquero la Carolina del Nord e la Carolina del sud, dove affluirono, insieme a molti inglesi, esuli ugonotti francesi e coloni della Vriginia. Fu sempre Carlo II a concedere al fratello duca di York i territori attorno alla foce del fiume Hudson occupati da coloni olandesi. Nel 1664 la città fu occupata da truppe del duca, cambiò il nome in New York e divenne poi capitale dell’omonima colonia. Alcuni territori a sud dell’Hudson furono ceduti ad altri propietari e andarono a costituire il New Jersey. Nel 1681, il ricco mercante William Penn, ricevette in concessione un’area boscosa, fra il New York e la Virginia, chiamata Pennsylvania con capitale Filadelfia. Nel 1703, Penn acquistò anche le regioni meridionali dello Stato di New York, formando la colonia del Dalawere. La colonizzazione della costa fu completata, dopo il 1730, con l’acquisizione della regione che prese il nome di Georgia (dal re Giorgio III). IL CONTRASTO CON LA MADREPATRIA Fino agli anni ‘60 del XVIII secolo, il problema dell’indipendenza era estraneo agli orizzonti politici e alle aspirazioni degli abitanti del Nord America. Troppo forti erano i vincoli con la madrepatria e troppo deboli i legami fra le tredici colonie perché una «identità americana» potesse svilupparsi spontaneamente. Il sostegno militare da parte della madrepatria era indispensabile per la protezione delle colonie contro le insidie delle potenze di Spagna e Francia e contro la minaccia degli indiani. La guerra dei Sette anni segnò la massima unione fra la Gran Bretagna e le sue colonie americane. Successivamente la pace di Parigi del 1763, la Gran Bretagna si trovò padrona di un vasto impero nordamericano, e per consolidare e difendere tale impero dovette aumentare la presenza militare sul continente. Da qui il tentativo del governo britannico di esercitare un maggiore controllo e di addossare sulle loro spalle una parte delle spese. Nel 1763 ci furono una serie di leggi emanate da Giorgio III. Come prima cosa emanò un proclama con cui si vietava ai coloni di spingersi al di là della catena degli Appalachi. Nel ‘64 fu emanata una seconda legge sul commercio degli zuccheri (Sugar Act) che colpiva le importazioni di zucchero dai Caraibi francesci. Un anno dopo (marzo ‘65) fu emanata un’altra legge, Stamp Act, che imponeva alle colonie una tassa di bollo sugli atti ufficiali e sulle pubblicazioni. Queste misure diedero vita ad una serie di proteste dei coloni che, nel 1766, ottennero la revoca dello Stamp Act ma nello stesso tempo il Parlamento inglese affermò la propria sovranità sui terriotri americani e approvò ulteriori provvedimenti (Townshend Acts) che imponevano alle colonie dazi di entrata su numerose merci importate dalla madrepatria e rendevano più efficaci i controlli doganalproteste, manifestazioni di piazza organizzate dai Sons of Liberty e attuarono il boigottaggio delle merci provenienti dalla madrepatria. Furono pubblicati opuscoli polemici in cui si si difendeva il principio «No taxation without representation» in base al quale il Parlamento, dove i coloni non erano rapppresentati, non aveva diritto a imporre tasse ai territori d’oltremare. I Townshend Act vennero ritirati nel 1770 ma le manifestazioni non terminarono, si aggiunse un’ulteriore proposta dei coloni: le assemblee legislative dei coloni dovevano essere poste sullo stesso piano del Parlamento inglese. L’evento che ruppe definitivamente i rapporrti fu l’assegnazione del monopolio della vendita del tè alla Compagnia delle Indie, danneggiando i commercianti locali. Nel dicembre 1773, un gruppo di «Figli della libertà» assalirono alcune navi della Compagnia nel porto di Boston e gettarono in mare il carico. Il governo rispose con le «leggi intollerabili» il porto di Boston fu chiuso e il Massachusetts fu privato delle sue autonomie. La ribellione divenne aperta. Nel settembre ‘74, in un primo Congresso continentale i rappresentanti delle colonie si accordarono per portare avanti le operazioni di boigottaggio e per difendere la propria autonomia. Il governo inglese rispose con alcune proposte conciliative ma al tempo stesso intensificò la repressione militare in Massachusetts. Nell’aprile del 1775 si ebbero i primo scontri armati fra coloni e esercito inglese a Lexington e a Concord. In maggio, ci fu un secondo Congresso continentale che decideva la formazione di un esercito comune (Continetal Army) e ne affidava il comando a George Washington. La protesta delle colonie sfociava in una vera e propria guerra. LA GUERRA E L’INTERVENTO EUROPEO Lo scontro fra la Gran Bretagna e le colonie del Nord America si presentava impari poiché gli americani schieravano un piccolo esercito di volontari, male addestrati e poco abituati alla disciplina militare. L’opinione pubblica si divise appena si passò allo scontro armato. Molti coloni assunsero un atteggiamento lealista combattendo al fianco degli inglesi dando così alla guerra di indipendenza carattere di guerra civile. Gli indipendentisti (intellettuali e ceti inferiori) erano schierati su posizioni democratiche. Infine i moderati cercavano un compromesso capace di far salva l’autonomia delle colonie e di mantenere il legame con la corona britannica. Il 4 luglio 1776 il Congresso continentale approvò una Dichiarazione di indipendenza stesa da Thomas Jefferson, questo può essere considerato come il vero atto di nascita degli Stati Uniti d’America. Dal punto di vista militare, le prime fasi del conflitto non furono favorevoli agli americani in quanto, nell’agosto 1776, gli inglesi occuparono New York. Gli americani riuscirono ad evitare la sconfitta grazie alla strategia di Washington che, nel ‘77, sconfissero gli inglesi a Saratoga. La posizione degli insorti restava precaria. La situazione finanziaria era molto critica, l’interruzione dei traffici con la Gran Bretagna aveva sconvolto l’economia delle colonie, costrette a sostenere i costi attraverso imposte straordinarie. La forte ondata inflazionistica danneggiò operai e salariati agricoli, provocando un inasprimento delle tensioni sociali. A favore degli indipendestisti vi erano però alcuni fattori esterni come la solidarietà dell’opinione pubblica europea tanto che a partire dal ‘77 giunsero numerosi volontari di diversi paesi europei a sotegno degli insorti. Ma l’aiuto decisivo venne dalle potenze europee rivali dell’Inghilterra (Francia, Spagna e Olanda) che videro nella guerra d’indipendenza l’occasione per rifarsi delle sconfitte subite nella guerra dei Sette anni. Questi fornirono ingenti prestiti agli insorti e si sostituirono all’Inghilterra nel ruolo di partner commerciali e nel gennaio ‘78, la Francia firmò con esse un patto di alleanza militare. Questa operazione mise in difficoltà gli inglese, nell’estate dell’81 gli americani posero l’assedio a Yorktown dove era concentrato il grosso delle forze britanniche. Con la resa di Yorktown la guerra poteva dirsi conclusa. Nell’autunno dell’82 furono avviate le trattative di pace, che si conclusero col trattato di Versailles nel quale la Gran Bretagna riconosceva l’indipendenza delle tredici colonie, ma conservava intatto il resto del suo impero, salvo alcune concessioni alla Francia (Tobago e la costa del Senegal) e alla Spagna, che riotteneva la Florida.
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