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Dispensa sulla Storia Della Chiesa Moderna, Dispense di Storia Moderna

Dispensa sulla storia della Chiesa Moderna: dalla lotta tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello fino ad arrivare alle Missioni.

Tipologia: Dispense

2013/2014

In vendita dal 02/12/2014

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5

(2)

14 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Dispensa sulla Storia Della Chiesa Moderna e più Dispense in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Storia della Chiesa Moderna La lotta tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello: la lotta tra il sovrano e il papa nasce perché da una parte troviamo il papa che voleva avere una sovranità su tutti i regni cattolici, proprio come avvenne ad Innocenzo III, dall’altra parte invece c’è Filippo il bello il quale non aveva nessuna intenzione di lasciare tutto quel potere in mano al papa, anche perché lui credeva fermamente nella sovranità del sovrano e che al papa spettava solo ed esclusivamente il potere spirituale. Per sopperire alle spese della guerra Filippo pensò di tassare il clero, la risposta del papa si fece sentire presto, attraverso una bolla infatti il papa negò l’esazione di tasse sui beni della chiesa senza l’autorizzazione della santa sede, di contro Filippo rispose proibendo l’esportazione di denaro all’estero, così facendo il papa perse la maggior parte dei suoi aiuti e quindi dovette piegarsi al volere di Filippo accordando doni in denaro al proprio re. La lotta tra i due comunque non cessò, anzi in una bolla AUSCULTA FILI, nel 1301, racconta tutti i soprusi che il re avrebbe commesso nei confronti del papa, e per questi motivi chiedeva un concilio. Ovviamente il sovrano vietò la promulgazione di questo testo e fece girare invece un altro articolo apocrifo sempre a nome di Bonifacio, in cui egli stesso rivendicava al papato i diritti più estesi nel campo soprattutto politico rendendo così avversi i francesi. A Roma Bonifacio promulgò una bolla Unam Sanctam nella quale ricorda l’unità della chiesa sotto un unico capo, la necessità di appartenere alla chiesa per salvarsi e soprattutto la subordinazione del potere civile a quello spirituale che doveva giudicare e guidare il primo. Bonifacio viene accusato di simonia ( commercio dei beni spirituali) ed eresia, confutò tali accuse in un concilio e scomunicò e depose il re attraverso una bolla Super Petri solio. Alcune guardie del re invasero Anagni e catturarono il Papa, il problema per i rapitori sorse nel momento in cui dovevano portare il papa in Francia, così 3 giorni dopo fu liberato dal suo popolo, ritorna a Roma ma muore dopo un mese. L’esilio di Avignone: dopo Bonifacio VIII fu eletto papa Clemente V che si reca ad Avignone dove anche il suo successore si stabilì. Qui i papi rimasero fino al 1376, visto che Clemente VI aveva addirittura acquistato questo territorio in modo che i papi avessero un proprio territorio. Urbano V poi ritorna a Roma per tre anni, ma per l’instabilità politica ritorna ad Avignone, Gregorio XI sia per le insistenze di Caterina da Siena sia per lo scoppio della guerra tra Francia e Inghilterra decide di ritornare a Roma dove il papato si trasferì definitivamente. Durante questo periodo i papi di fatto sono liberi ma comunque subiscono l’influsso della monarchia. Se Clemente V aveva avuto il torto di arrendersi a discrezione di Filippo il Bello, il suo successore Giovanni XXII iniziò una lotta contro Ludovico il Bavaro in lotta a sua volta per la corona imperiale con Federico d’Asburgo. In un primo momento il papa non prende posizione solo in caso di un elezione dubbia allora lui avrebbe espresso il proprio parere. Giovanni si arrogò allora il diritto di governare parte dell’impero d’Italia fino a quando non si sarebbe risolta la situazione e scelse come suo vicario Roberto d’Angiò, noto avversario di Ludovico, questi rifiutò l’incarico e il papa gli intimò sotto minaccia di scomunica di deporre il governo e di venire ad Avignone , Ludovico passò all’offensiva e accusò il papa di eresia, di contro Giovanni XXII scomunicò l’imperatore che non curandosi di questo scese in Italia, fece proclamare la deposizione di Giovanni e fece eleggere un nuovo papa, un francescano che prese il nome di Nicolo V e si fece da lui consacrare. La lotta durò fino alla morte di Ludovico e l’unico risultato fu un continuo declino dell’autorità pontificia che continuava ad elargire scomuniche solo e prettamente per motivi politici. Nella dieta di Francoforte del 1338, il papa affermò che l’elezione imperiale era riservata so sette elettori tedeschi senza nessuna conferma da parte del papa. Lo scisma d’Occidente: dopo Gregorio XI si riunì il conclave, il popolo romano desiderava un papa romano o quantomeno italiano, dapprima la proposta andò su Prignano che comunque aveva dei legami francesi, il popolo stanco di aspettare insorse, i cardinali sentendosi minacciati elessero, quei pochi che rimasero, Tebaldeschi, che prese il nome di Urbano VI. Il nuovo papa iniziò ad accusare i cardinali di vivere nel lusso, e li ricoprì di ingiurie, i cardinali si irritarono, e poiché vedevano ormai perse le speranze di far ritorno ad Avignone si ritirarono piano piano ad Anagni, dove il 2 agosto tredici cardinali pubblicarono una declaratio dove veniva affermato che l’elezione di Urbano VI non era valida in quanto era avvenuta sotto minacci, si riuniscono a Fondi dove il 20 settembre eleggono Clemente VII, cugino del re di Francia, che si trasferisce ad Avignone. La cristianità era dunque divisa in due campi, c’era da un lato Clemente VII con Spagna, Francia, Scozia, Regno di Napoli e dall’altra parte Urbano VI con l’Italia Settentrionale, centrale e l’Inghilterra, Irlanda, Polonia, Germania, Ungheria, Boemia e Polonia. Alla morte di Urbano si succedono vari papi fino ad arrivare a Gregorio XII, a Clemente VII succede invece Benedetto XIII, i due papi decidono di incontrarsi a metà strada per porre fine a questa divisone attraverso una comune abdicazione , ma Gregorio all’ultimo momento ci ripensò. Il concilio di Pisa: visto che non si era arrivati ad un accordo tra i due papi, molti cardinali si riunirono a Pisa nel 1409 ed elessero papa Filargi che prese il nome di Alessandro V, gli altri due papi non riconobbero la validità di questo concilio, quindi non rinunciarono ai propri diritti, quindi da che questo concilio di Pisa voleva risolvere il problema, si ritrovò non solo senza una soluzione ma bensì da due papi si passò a tre. Il concilio di Costanza: vista la non riuscita del concilio di Pisa, l’imperatore Sigismondo costringe Giovanni XXIII ad indurre un altro concilio a Costanza nel 1414, qui si decise che la votazione sarebbe avvenuta per nazioni e non per persona, sia questo fatto sia dei contrasti che sorsero con l’imperatore costrinsero Giovanni XXIII, che in un primo momento aveva deciso di abdicare se anche gli altri due avessero fatto lo stesso, a scappare da Costanza. Il concilio continuò comunque e il 6 Aprile vennero redatti cinque articoli da Zabarella in cui si affermava la superiorità del concìlio sul papa, Giovanni venne ricondotto a Costanza depositato per simonia e eresia, Gregorio XII abdicò, Giovanni XIII venne deposto anche lui per eresia, spergiuro e scisma e venne così eletto Martino V. inoltre si ribadì in questo concilio la superiorità del concilio, la convocazione periodica del concilio almeno ogni dieci anni e sopprimeva alcuni diritti del papa. LUTERO E LA RIFORMA PROTESTANTE La storiografia cattolica, protestante e contemporanea: Abbiamo dalla parte dei cattolici: Cochlaeus (6009, Denifle (XXsec), Grisar (xx sec), Maritain (xx sec), Loris (1971) e Pesh (1967) Abbiamo dalla parte dei protestanti (1617): Miconio, Melantone, Beza e Von Seckendorf (1720). Per quanto riguarda i cattolici andiamo ad analizzare le diverse tesi che si andarono a formulare riguardo al personaggio di Lutero.  Cochalaeus: scrive tre anni dopo la morte di Lutero “colloquium” qui riporta la discussione avuta con Lutero. Descrive Lutero come una persona vile, senza Dio  Denifle: domenicano, affermava che Lutero era diventato un riformatore perché era corrotto moralmente, in lui non c’era nulla di divino, era privo di umiltà e dominato dalle passioni  Grisar: affermava che la svolta riformista di Lutero non proveniva da una crisi morale ma da una crisi psicologica, soffriva di crisi depressive che lo portavano anche ad avere paura del peccato  Maritain: afferma che Lutero era un uomo orgoglioso, concentrato su se stesso. Lutero era un religioso esasperato proveniente da una sua educazione filosofica troppo legata al pelagianesimo  Lortz: affermava che Lutero era un genio, una sintesi di elementi opposti, visse una vita profondamente religiosa che può essere compresa solo attraverso una chiave di lettura teologica. Fu dominato da un’ansia religiosa, che lo portava ad una visone affascinante del suo Dio ama anche terrificante, nonostante fosse stato molto attento alle parole di Dio non era riuscito a comprendere la rivelazione nella sua complessità. Inoltre affermava che Lutero interpretò la Bibbia secondo i suoi bisogni personali  Pesh: studia Lutero ponendolo in confronto con San Tommaso. San Tommaso era un teologo sapienzale perché contemplava il piano salvifico di Dio nell’armonia della storia, Lutero invece era un teologo esistenziale ossia si concentra solo su quello che contempla il piano dell’uomo. Per quanto riguarda i protestanti invece abbiamo:  Miconio (1532) giudica Lutero il Mosè tedesco, l’angelo dell’apocalisse, il nuovo apostolo, il profeta di Dio, il ruolo di Lutero era quello del liberatore del popolo tedesco  Melantone: affermava che Lutero era un personaggio debordante. Fu il tematizzatore della dottrina, fondò il catechismo della dottrina di Lutero  Beza: scrive una vita su Calvino e descrive Lutero come un uomo a servizio di Dio fin da bambino  Von Seckendorf: dice che Lutero è stato un personaggio completamente capace di trasformare la chiesa Lutero oggi:  6 Maggio 1983: la commissione cattolica luterana descrive Lutero come testimone dei vangeli, araldo di un rinnovamento spirituale, maestro della fede. Ha proclamato la misericordia di Dio verso i peccatori  31 Ottobre 1983: Giovanni Paolo II ha riconosciuto che il dottor Lutero ha contribuito al cambiamento della realtà ecclesiale, ha ammesso la profonda religiosità di Lutero e che la sua riforma è da vedere come bisogno di luce e di verità per risolvere il dramma della salvezza eterna. La vita di Lutero: nasce in Germania a Eisleben il 10 novembre 1483 dove poi morì il 18 febbraio 1546. Il padre da minatore diventa piccolo imprenditore, lo fa studiare e dopo gli studi chiede di entrare nell’ordine degl’agostiniani. Qui si compie la sua esperienza del temporale: mentre torna a casa scoppia un grande temporale, lui promette a Sant’Anna che se fosse riuscito a salvarsi da quella notte, si sarebbe fatto agostiniano, fu così che scelse quest’ordine. A Wittemberg inizia gli studi etica dogmatica ed esegetica, diventa sacerdote e docente di esegetica. Nel 1510 fu mandato a Roma, visto che il vicario generale voleva unire i monasteri riformati e i non riformati, la delusione che Lutero ebbe nel vedere la mondanizzazione della chiesa Roma la pronuncerà solo durante il suo periodo da riformatore. Dopo un periodo sereno inizia la profonda crisi, iniziò a temere di non potersi liberare dal peccato, di appartenere al circolo dei dannati. (Nella sua vita Lutero va contro all’aristotelismo, per lui infatti la ragione è importante ma se cerca di entrare nel campo della rivelazione allora diventa meretrice) si inizia ad appassionare ai trattati di Sant’Agostino e alle lettere di San Paolo, inizia la sua evoluzione psicologica ( 1515-1517). È qui che si colloca l’esperienza della torre: Lutero stava vivendo un periodo di profonda crisi ebbe un’illuminazione nella stanza del suo convento di Wittemberg, mentre meditava su un passo della lettera ai romani. Dobbiamo ricordare che prima dell’esperienza della torre Lutero credeva che la giustizia divina fosse esigente e punitiva in quanto chiedeva all’uomo di rispettare pretese che non poteva e non sapeva rispettare e al peccatore chiedeva di operare la salvezza cosa che il peccatore non può fare. Dopo l’esperienza Lutero arriva ad una conclusione ossia che la scrittura usando il termine giustizia non alludeva all’intervento di Dio che premia i giusti e punisce i peccatori ma è l’atto con cui il Signore copre i peccati attraverso la fede. Quindi la giustizia di cui si parla nella lettera ai romani non è vendicativa ma salvifica, Dio non chiede ma da, è lui stesso che opera la salvezza. Da qui Lutero trova una scappatoia alle sue ansie, cioè era sufficiente abbandonarsi all’azione salvifica di Dio, bastava avere fede per sentirsi salvi. Dobbiamo dire che Lutero mentre cercava comunque di dare una certa coerenza alla sua dottrina affermava anche di non volersi allontanare affatto dalla chiesa. Dopo questa esperienza Lutero conia anche i tre principi fondamentali della sua dottrina: 1. Sola scriptura: la Sacra Scrittura è al centro del pensiero, contiene tutte le verità rivelate da Dio,si interpreta da sola. Si esclude così la tradizione e soprattutto la mediazione della Chiesa attraverso il suo magistero 2. Justificatio sola fide: riguardo a questo punto dobbiamo separare due punti, Lutero oscillò tra due concetti: Giustizia intrinseca, ossia rinnovamento interiore, e giustizia imputata, ossia puramente attribuita. L’uomo per natura dopo il peccato originale è corrotto, ogni sua opera anche buona è peccato, Dio senza cancellare i peccati attribuisce ad ognuno i meriti e la santità di Cristo, lo considera come se fosse rinnovato e giusto. Le nostre opere buone non hanno alcun effetto in questo processo, la Chiesa invece insiste sulla necessità delle opere buone anche se non ammette che esse siano la causa efficiente della salvezza ma ci preparano alla salvezza, dono gratuito di Dio. Lutero invece dice che l’uomo giusto compie opere giuste, ma non ammette che tali opere siano usate per arrivare alla salvezza, sul fatto che la salvezza sia un dono gratuito anche lui è d’accordo. 3. Sola gratia: poiché il rapporto tra l’uomo e Dio è immediato, io posso confrontarmi con lui direttamente, non ho bisogno di una mediazione esterna. Quindi c’è la riduzione dei presbiteri e dei predicatori, e anche la riduzione dei sacramenti che riduce a tre il battesimo, l’Eucarestia, priva di ogni aspetto sacrificale è solo un atto di ricordo, e la penitenza che resta un atto sempre utile ma non necessario. Problema delle indulgenze: già nel 1507 Giulio II per la costruzione della nuova basilica di San Pietro aveva conce4sso indulgenza a modo di giubileo a chi offriva elemosina per l’impresa, nel 1514 continuò su questa strada anche Leone X, Alberto di Brandeburdgo, arcivescovo e amministratore apostolico, era stato nominato vescovo di una terza diocesi, Magonza, ricca di una gloriosa tradizione tra cui il diritto a partecipare all’elezione imperiale. Alberto per ottenere quest’incarico doveva pagare una grande somma che lui non possedeva; allora la famiglia Fugger, una delle più grandi banche , anticipò i soldi con il patto che nella sua diocesi fossero predicate le indulgenze e con il ricavo delle elemosine il cinquanta per cento andava alla costruzione della basilica e l’altro cinquanta ritornava alla banca. Lutero manda così nel 1517 una lettera ad Alberto e al suo ordinario invitandolo a procedere contro le indulgenze e gli allegò anche 95 tesi sulle indulgenze invitandolo a discuterne. Alberto non ripose a questa lettera, Lutero pensò bene di inviarla a tutti i teologi tedeschi. In questa lettera egli affermava che le indulgenze erano solo la remissione della pena canonica inflitta dalla chiesa e non della pena da scontarsi nella vita futura, che l’indulgenza non poteva essere applicata ai defunti, che non esiste un tesoro della chiesa. Nel 1518 Leone X intimò a Lutero di presentarsi a Roma, ma poiché usufruiva della protezione di Federico, elettore di Sassonia venne dispensato da questo viaggio e fu interrogato ad Augusta dal cardinale Tommaso De Vio ( Caietano), l’interrogatori non portò a niente perché Lutero si appellò dal papa male informato al papa bene informato, poi dal papa ad un futuro concilio. Dopo la morte dell’imperatore Massimiliano, c’erano due candidati, Carlo d’Asburgo e Francesco I di Francia poiché il papa preferiva l’elezione di Francesco cercò di attirare dalla sua parte Federico di Sassonia, oppure che fosse proprio lui uno dei candidati, quindi anche per questo motivo, visto il legame tra Federico e Lutero, il papa preferì non esporsi troppo sul caso di Lutero. Nel 1519 ci fu una grande disputa tra Lutero e Johannes Eck, questo scontro non portò Lutero a rivedere le sue tesi ma almeno a chiarire le sue posizioni sulla dottrina del primato romano, sull’infallibilità dei concili, sul riconoscimento della scrittura come fonte esclusiva . nel 1520 a conclusione del processo contro Lutero fu pubblicata una bolla, Exsurge Domine, con la quale si intimava a Lutero di ritrattare le sue tesi entro 60 giorni. Nel frattempo Lutero aveva inviato alla stampa tre libri in uno incitava alla demolizione delle tre muraglie che difendevano la chiesa ossia: la distinzione tra clero e laicato, il diritto esclusivo della gerarchia di interpretare la sacra scrittura, e il diritto esclusivo del Papa di convocare un concilio. In un altro libro c’era la discussione sui sacramenti e la validità per lui solo di tre, nell’ultimo libro ribadivo il suo concetto della libertà interiore dell’uomo, che l’uomo era giustificato dalla fede ed era unito intimamente a Cristo. A dicembre dello stesso anno Lutero bruciò la bolla Exurge Domine ed il 3 gennaio 1521 la bolla Decet Romanum Potificem scomunicò Lutero e i suoi fautori, per la stretta alleanza tra stato e chiesa il provvedimento poteva essere attuato solo se sancito dall’autorità civile, il problema venne discusso nella dieta di Worms ad aprile nel 1521, a questa assemblea si presentò anche Lutero che difese le sue idee e fu bandito dai territori imperiali, i suoi scritti furono bruciati, lui correva il rischio di poter essere arrestato in qualsiasi momento; sempre per l’intercessione di Federico, mentre si allontanava da Worms fu CALVINO E IL CALVINISMO La vita : Giovanni Calvino nasce in Francia in Piccardia, studia a Parigi lettere e giurisprudenza e per volere del padre prende la licenza in diritto. Morto il padre riprende gli studi letterari a Parigi, si converte al protestantesimo anche per il desiderio di un ritorno alla chiesa antica. Dovette lasciare Parigi si diresse a Basilea nel 1536 dove pubblicò “ instituto christianae religionis”, soggiornò anche per un breve periodo anche in Italia dove esercitò un notevole influsso su Renata di Francia figlia di Luigi XII, Renata simpatizzava per la riforma infatti si circondava dei suoi propagandisti. Va a Ginevra e qui viene scongiurato da Farel a rimanere per sostenere la riforma, presto però le sue idee innovative iniziarono a sollevare forti opposizioni e lo costrinsero a lasciare la città insieme a Farel. Per tre anni esercitò la cura pastorale a Strasburgo, poi pregato dagli amici di Farel di ritornare a Ginevra e riprendere la sua carica di pastore, vi fa ritorno secondo le sue parole non perché questa scelta dipendeva da lui ma perché offriva il suo cuore in sacrificio al Signore. Torna a Ginevra nel 1541 e qui rimane fino alla morte, applicando i suoi principi ed esercitando in modo assoluto il suo dominio sulla città ed estendendo il suo influsso fin in Europa. Calvino nella sua vita fu un tipo molto solitario e timido, si sposa con una vedova con due figli sulle spalle. Il carattere: calvino rimane un personaggio profondamente diverso rispetto a Lutero, mentre il primo si circonda di amici e di seguaci nel diffondere la propria dottrina, il secondo rimane essenzialmente un tipo solitario, è ossessionato dalla continua ricerca di quel Dio rivelato e insieme nascosto, è consapevole di essere chiamato ad una speciale missione da un Dio invincibile che ha nelle sue mani il destino degli uomini. Più che l’amore personale verso il Cristo Calvino sottolinea l’adorazione per il Signore cui tutto appartiene e cui tutto deve essere fierito. È proprio questa sua consapevolezza della chiamata a fargli vincere la sua timidezza, ha la tenacia per assolvere il suo compito che gli fa accettare anche la sua povertà. Non è un grande tribuno che mira a persuadere la folla, egli si circonda di seguaci e dia mici proprio perché li segue personalmente da vicino. Anche lui ebbe i suoi limiti, troppo portato a considerare un solo aspetto della realtà, a sottovalutare l’importanza delle arti belle tranne che per la musica considerata però in funzione della religiosità. Dottrina:  Riguardo all’eucarestia egli afferma che il pane e il vino sono strumenti attraverso i quali noi entriamo in comunione con la sostanza del Cristo, partecipiamo realmente ai benefici del Dio incarnato  Riguardo alla predestinazione Dio dall’eternità, indipendentemente dalla previsione del peccato originale, elegge alcuni all’eterna felicità e altri alla dannazione eterna  Riguardo alle opere egli afferma che le nostre opere non garantiscono la salvezza ma servono a mostrare a Dio il nostro rispetto, e l’uomo deve riposarsi nella promessa gratuita di giustificazione  Riguardo all’abbandono a Dio: Calvino mette l’accento sull’abbandono a Dio, sulla teologia della croce, ha finito per considerare il successo esterno, le ricchezze materiali come indizio della benedizione divina. È così ribadita la dignità del lavoro ma d’altra parte si diffonde il disprezzo per il povero che appare come un respinto dal Signore anche in questa vita.  Riguardo alla chiesa: egli afferma che la chiesa non ha alcun potere temporale, tuttavia l’autorità civile deve rispettarla e deve contribuire realmente all’attuazione del regno di Dio in terra punendo i cattivi e premiando i buoni. Lo Stato si riduce così ad uno strumento nelle mani della chiesa. Se per Lutero lo stato aveva il diritto di riformare la chiesa, per Calvino la chiesa ha il diritto di imporre allo stato i suoi principi morali, le sue leggi. Realizzazione della dottrina di Calvino a Ginevra: Ginevra aveva da sempre protetto la propria autonomia contro i duchi di Savoia. Ci furono resistenze e difficoltà nell’accogliere la dottrina del nuovo pastore. Nel 1541 Calvino introdusse le ordinanze ecclesiastiche, vennero stabiliti quattro uffici ecclesiastici: 1. I diaconi addetti alle opere di carità 2. I dottori preposti delle scuole 3. Gli anziani sorvegliavano la carità, i costumi e la pietà 4. I pastori che predicavano e amministravano i sacramenti. Ogni settimana gli anziani e i pastori si riunivano in un concistoro ascoltavano le denunzie e emanavano sentenze, a seconda della gravità della colpa. Ginevra dalla sua indipendenza passa così ad un continuo e totale controllo su tutto da parte degli anziani, tutti per amore o per forza dovevano praticare la virtù. Tra il 1542 e il 1546 si ebbero 70 persone esiliate e 60 condannate a morte tra cui Servet il quale nella sua opera Christianismi Restitutio , aveva negato i dogmi della trinità e del peccato originale, fuggito dal carcere di Lione, scappò a Ginevra dove fu catturato e condannato. F proprio in questo momento che Calvino difese il suo operato nella Declaratio Orthodoxae fidei dove ricordava che per l’onore di Dio a volte era necessario distruggere interi popoli o città. LA RIFORMA DI ZWINGLI Zwingli nasce in Svizzera il 1 gennaio del 1484. Ebbe un’ottima formazione umanistica, divenne sacerdote nel 1506, fu cappellano delle truppe svizzere del papa a Pavia, a Novara ed infine a Marigliano. Dopo la battaglia di Marigliano assunse un atteggiamento critico verso l’impegno bellico, mostrandosi più favorevole alla neutralità degli svizzeri. Nel 1516 conobbe di persone Erasmo di cui lesse i scritti. Nel 1518 fu eletto cappellano parroco della cattedrale di Zurigo. Nel 1519 guarì dalla peste, e quest’evento contribuì alla sua maturazione, lasciò Erasmo si avvicina prima a Sant’Agostino e poi agli scritti di Lutero. Zwingli fece due affermazioni:  Il Cristo è il fondamento della chiesa e non Pietro ( questa affermazione è eretica in quanto manca la storicità della chiesa)  Solo la fede in Cristo produce la salvezza. Nel Luglio dello stesso anno chiese al vescovo di Costanza di poter predicare e lo scioglimento dagli obblighi del celibato, rinuncia alla carica di cappellano perché costretto a celebrare messa e amministrare i sacramenti. Il 29 gennaio del 1523 fu deciso di preparare una disputa religiosa a cui parteciparono da parte del vescovo di Costanza, Faber e poi c’era Zwingli il quale portò 67 tesi che contenevano una sintesi delle sue convinzioni Le 67 tesi di Zwingli si potevano dividere in varie parti:  Nella prima parte ossia le prime sedici affermava che solo Cristo era il capo del genere umano, che la chiesa era la sposa di Cristo, la fonte della fede era il Vangelo, che non ha bisogno di interpretazioni, venivano respinti come contrari alla scrittura: il papato, il sacrificio della messa, l’intercessione dei santi, il celibato.  Nella seconda parte contrappose l’autorità ecclesiastica, che per il suo fasto non trovava alcuno fondamento nell’insegnamento di Cristo, all’autorità secolare che trae invece forza dalle opere di Cristo Ormai la rottura con la chiesa era inevitabile, nel giugno del 1524 vennero bandite dalle chiese le immagini e le reliquie, proprio in questo periodo Zwingli pubblicò Il pastore, la carta magna di Zwingli dove lui affermava che il pastore vero era colui che predica con coraggio e che denuncia le potenze del mondo. Il popolo deve accusare il falso pastore e se non è possibile non deve ascoltare le sue prediche. La messa fu abolita e al suo posto venne istituita la cena del signore considerata come il ringraziamento e la memoria della passione di Cristo. Nel 1526 si tenne una disputa a Baden tra riformati e cattolici, vinsero i secondi, l’atteggiamento di Zwingli si faceva sempre più aggressivo, voleva la guerra a tutti i costo, ci fu nel 1539 la pace di Kappel. Zwingli non si arrese propose una grande lega protestante, la cosa non fu possibile, visto che Lutero non amava Zwingli, lo considerava un uomo doppio, falso. Per quanto riguarda la sua dottrina possiamo dire che per quanto riguarda le opere, mentre per Lutero erano una conseguenza per lui erano la condizione previa, era giustificato solo chi era moralmente rigenerato. I sacramenti erano un giuramento di fedeltà, una dimostrazione del fedele dell’essere coerente con il suo impegno, la messa è solo una rappresentazione nella memoria del sacrificio di Cristo. Le cerimonie hanno un significato pedagogico in quanto istruiscono i semplici. Zwingli muore sul campo di battaglia nel 1531. Cappuccini. Essi erano indipendenti, volevano osservare la regola di San Francesco alla lettera senza interpretazioni che la modificassero. Nei conventi doveva regnare un clima di preghiera, penitenza e contemplazione. La preghiera si ispirava alla tradizione francescana, ma si arricchiva di elementi della Devotio moderna. La povertà non era fine a se stessa. Nei tempi di carestia e pestilenza, la povertà era prova concreta di solidarietà e bisognava prendersi cura dei poveri e dei malati. Una crisi terribile attraversò l’ordine quando Ochino, suo vicario generale, abbandonò l’ordine e cadde nell’eresia. Lo scandalo fu immenso ma la crisi fu subito superata. Grazie alla loro predicazione e alla generosità che manifestarono in occasione di epidemie e sventure i cappuccini divennero una delle forze trainanti della Chiesa post-tridentina. Le cappuccine La fondatrice del primo monastero fu Maria Lorenza Longo, che fu conquistata dall’ideale dei Cappuccini. Le cappuccine hanno un tipo di vita che le tiene nascoste come in una tomba, vestono ruvide lane, camminano a piedi nudi, digiunano continuamente con astinenza alle carni e si alzano di notte per il mattutino. I chierici regolari Fra il 1524 e il 1617 nacquero nuove forze per il rinnovamento della Chiesa. Il nome era antichissimo e definisce quei raggruppamenti di chierici e laici che vivono la vita comune, in conformità a costituzioni, che hanno oltre a tre voti anche un quarto, per uno scopo apostolico. I fondatori non vollero fare nuove regole in concorrenza a quelle già esistenti. Le fonti delle norme di vita furono il Vangelo, la vita apostolica dei dodici con Cristo, la primitiva comunità di Gerusalemme e la tradizione vivente della Chiesa. Gli elementi che caratterizzavano questo ordine erano: non hanno una regola ma delle costituzioni; la forma di governo è più centralizzata, duttile e dinamica; il luogo della comunità non viene più chiamato monastero o convento ma casa; lo scopo apostolico diventa fondamentale e si dedicano alla cura pastorale, all’istruzione e ai malati. I teatini I primi teatini erano persuasi che la riforma doveva nascere in se stessi, con la conversione della vita, l’esercizio delle opere di carità e di apostolato e con opportuno adattamento alle esigenze dei tempi. Il primo passo fu la rinuncia a benefici, ma vivere con i proventi del sacro ministero e con le offerte, non questuate, ma fatte spontaneamente dai fedeli. Dopo il sacco di Roma i teatini si rifugiarono a Venezia e furono chiamati ad occuparsi di eresie, e si occuparono anche di riformare la liturgia romana. I teatini si segnalano per un ritmo di vita intenso ed erano molto severi i criteri d’ammissione. Al centro della loro vita spirituale c’era la pratica dell’orazione mentale. Si digiunava, oltre che nei giorni prescritti, anche nell’Avvento e nei Venerdì di tutto l’anno. Il pasto era accompagnato dalla lettura della Bibbia. Alla preghiera univano lo studio. I barnabiti L’origine dei barnabiti è dovuto all’incontro a Milano del medico cremonese Zaccaria, dell’avvocato Ferrari e il nobile Morigia. La comunità inizialmente trovò molte difficoltà, non aveva una fisionomia giuridica, non un’organizzazione ed era esposta a interventi letali come l’espulsione da Venezia. Il quadro della vita barnabitica ha come fondamento i voti. Viene molto accentuato il ruolo dell’obbedienza e della povertà. L’orazione mentale la si faceva la mattina e la sera in comune. Questo programma viene attuato con un continuo richiamo a S. Paolo, venerato dai barnabiti come patrono. La fisionomia spirituale dell’Ordine è enunciata dalle costituzioni in tre punti: rinuncia al mondo; consacrazione totale di Dio; zelo per la salvezza delle anime; missioni; e nell’ambito delle attività apostoliche preferenza per il pulpito e confessionale. I somaschi La Compagnia nasce per opera del gentiluomo Girolamo Miani. Egli si dedicò dapprima all’assistenza degli incurabili, delle vedove e delle donne traviate e poi alla cura dei fanciulli orfani ed abbandonati, che raccolse in orfanotrofi, nei quali erano allevati e vi apprendevano un mestiere. La novità consiste appunto nel fatto che Miani per la prima volta organizzò gli orfanotrofi. I somaschi si dividono in due tipi: i sacerdoti, o fratelli di voti solenni, e gli aggregati ad habitum solo con i voti privai. I gesuiti Fondatore dei gesuiti fu S Ignazio. Scopo della Compagnia è la difesa e la propagazione della fede e l’apostolato fra i fedeli con l’attività pastorale e la carità. Tre sono gli aspetti principali che caratterizzano questo gruppo: la mobilità, cioè l’abbandono di pastoie, come il coro, l’abito religioso la liturgia il canto e lasciare più tempo ed energie al servizio delle anime; la centralizzazione assicurata dal legame con il Papa; e l’adattabilità fu una qualità richiesta dal fatto che i gesuiti dovevano inserirsi nei più svariati ambienti e culture. Per quanto riguarda la povertà, agli inizi fino alla soppressione, si ebbe un duplice regime: le case professe erano senza redditi fissi, e vivevano di elemosine; le case di formazione che erano fondate cioè dotate di fondi e permettevano di mantenere gratuitamente gli alunni. Dopo la ricostituzione della Compagnia, le cose cambiarono e l’ordine si compose di tre classi religiose: i professi di 4 voti solenni, i coadiutori spirituali ( sacerdoti ammessi al ministero e all’insegnamento) e i coadiutori temporali (fratelli laici) con entrambi 3 voti semplici. L’apostolato dei gesuiti fi di evangelizzazione, con la predicazione nei paesi cattolici ma anche in quelli influenzati dal protestantesimo; la carità, attraverso la formazione di poveri nelle scuole gratuite, delle classi più influenti nei collegi, del clero in seminari e università ma anche alla formazione dei principi con i confessori di corte. S. Ignazio aveva fatto buoni studi e si era accerchiato da un gruppo di compagni tutti con ottimi studi accademici. Il loro desiderio non era quello di insegnare, di partecipare ai dibattiti del tempo e difendere la Chiesa dai protestanti, ma solo di andare in pellegrinaggio a Gerusalemme. Resosi impossibile questo sogno i preti riformati, avevano scelto come scopo quello di predicare la povertà. Trasferitesi a Roma si erano messi a disposizione del Papa attraverso il catechismo, l’insegnamento alla Sapienza e alla partecipazione al Concilio di Trento. I gesuiti avrebbero dovuto avere case di formazione per loro e non collegi o università. Ma nel 1545 Francesco Borgia creò un collegio universitario in cui i gesuiti diedero così buona prova di se che molte famiglie chiesero che i loro figli fossero ammesso. Visto ciò Ignazio capì che doveva rivedere il suo giudizio primitivo, pertanto con una lettera circolare invitò i sui confratelli ad aprire dei collegi. L’insegnamento aveva una base umanistica, ma dava ampi spazi alla filosofia alla fisica e alla matematica. Alla base c’era l’impegno di aiutare le anime e quindi il motivo di carità. GALILEO GALILEI Quello di Galilei è uno dei casi più scottanti della storia della Chiesa, in quanto ha cambiato l’immagine della Chiesa nel mondo. Già nel 1979 mentre si celebrava il centenario della nascita di Einstein, Giovanni Paolo II aveva dichiarato che “Galileo ed Einstein hanno caratterizzato un’epoca, ma a differenza di Einstein Galileo ha dovuto affrontare uomini e organismi di Chiesa”. L’esperienza vissuta dalla Chiesa in occasione e in seguito al caso di Galilei ha permesso una maturazione e una comprensione più giusta dell’autorità che è propria della Chiesa. Il pensiero di Galilei al tempo non fu un caso, sia nel mondo della cultura che in quello religioso. I primi a parlare dell’opposizione inevitabile fra fede e ragione furono Fontanelle e Bayle. Voltaire ammirava Galileo e disprezzava Cartesio. Giuseppe Baretti l’inventore della nota esclamazione Eppur si muove affermò che furono i gesuiti responsabili delle sue condanne. Nel 1745 all’epoca della seconda ribellione degli scozzesi venne diffusa tra i britanni la versione del processo Galilei di cui sarebbero responsabili i cardinali rappresentati come nemici del cero sapere e della scienza. Nell’800 si acquisirono le prove definitive del sistema copernicano e si ebbe la pubblicazione delle opere di Galilei. Su queste opere ci sono stati vari studi tra questi ricordiamo Pierre Duhem il quale confutò la tesi che il medioevo fosse un’epoca di assenza della scienza. Koyrè minimizzò l’apporto scientifico di Galileo, per lui si trattò di una reazione platonica all’aristotelismo. Invece a Pio Paschini venne dato l’incarico, da parte della Pontifica Accademia delle Scienze, di studiare il caso Galilei. In un primo momento l’opera fu bloccata in quanto si ritenne che Galileo non aveva portato prove decisive e aveva usato espressioni troppo drastiche, ma con la morte di Paschini la questione fu sbloccata e l’opera venne pubblicata. L’opera riflette lo stato degli studi degli anni 40. Nel 1955 apparve un libro di Santillana che mostra i vizi di procedura che portò all’incriminazione di Galileo. Grande scalpore fece l’opera teatrale La vita di Galileo di Brechet dove Galileo è presentato come un uomo che vive per la ricerca fino a sacrificare la felicità della famiglia. Per il comunista Brechet la Chiesa ha un interesso a difendere le dottrine tolemaiche. Drake uno studioso americano ha difeso Galileo, infatti sosteneva che non era un copernico fanatico, ma uno scienziato molto prudente che a differenza degli aristotelici si guardava bene all’arrivare a conclusioni troppo generali. Redondi invece sostenne che Galileo fu condannato perché aveva avanzato dubbi sull’eucarestia. La vera questione dibattuta fra Galileo e i suoi avversari fu Aristotele e la differenza fra filosofia e scienza. Aristotele ammetteva due tipi di conoscenza, quella pratica e quella intellettuale. La prima riguarda il caso concreto la seconda invece costituisce la vera conoscenza superiore perché conduce a conoscere le cause. Invece Galileo affermava che l’unica conoscenza degna di tale nome fosse appunto quella pratica perché era verificabile e misurabile, definendo fantasie le spiegazioni aristoteliche. Galileo Galilei era figlio di un musicista geniale. Nel 1589 lo scienziato ottenne una cattedra di matematica a Pisa, dopo aver inventato una bilancia idrostatica per la misurazione del peso scientifico degli oggetti. A Padova la scuola aristotelica seguiva due indirizzi, quello induttivo di Jacopo Zabarella e quello deduttivo di Cesare Cremonini. In questi anni Galileo conobbe Sarpi e Bellarminio. Nel 1595 studiando le maree ritenne che fossero provocate dal fatto che la terra ruotava sul proprio asse e attorno al sole. Era l’inizio della sua conversione a Copernico. Qualche anno dopo apparve una supernova e sembrò crollare il pensiero aristotelico che nessun causa della noncuranza di una virgola, il famoso Comma Pianum, che rendeva possibile entrambe le interpretazioni ed innescando così, innumerevoli discussioni tra i teologi. Alla fine del 500, nacque una nuova controversia che divise domenicani e gesuiti: i domenicani, con Banez (1604), riponevano l'efficacia della grazia nella sua natura intrinseca e nella predeterminazione fisica che l'accompagna, invece i gesuiti con Molina (1600), la spiegavano con il libero consenso dell'uomo previsto da Dio indipendentemente dalla decisione di conferire questa grazia, per la misteriosa scienza che Dio ha degli atti liberi che l'uomo, posto in una data situazione compirebbe. Dopo una lunga discussione, sotto il pontificato di Clemente VIII e di Paolo V, venne evitata ogni risoluzione: le due parti nel 1607 ebbero l'ordine di non lanciarsi a vicenda giudizi poco onorevoli sulla rispettiva ortodossia, ma restarono libere di difendere e insegnare il proprio sistema. I principali esponenti del movimento giansenista Cornelius Janssen (1585-1638), era un uomo di notevole intelligenza, dotato di memoria prodigiosa e di grande tenacia. Frequentò le università di Lovanio e Utrecht e continuò i suoi studi a Parigi, dove conobbe De Haurenne. Nel 1617, tornò a Lovanio, dove ebbe la cattedra di Scrittura, e nel 1636, grazie alla sua opera “Mars Gallicus”, divenne vescovo di Ypres, dove morì due anni dopo. La sua opera principale fu “l'Augustinus”, che fu pubblicato dopo la sua morte. Nel primo libro riassumeva la controversia pelagiana, nel secondo negava la possibilità dello stato di natura pura, nel terzo esponeva la sua concezione sulla grazia efficace. Si dichiarava sottomesso a Roma. Mentre Janssen era tornato a Lovanio, Jean Du Verger De Hauranne era diventato vicario di Poitiers e abate di Saint-Cyran. A Poitiers, Saint Cyran rimase poco, perché si trasferì a Parigi. Possedeva un forte ascendente, dovuto ad una rigorosa personalità e ad una profonda spiritualità. Egli fu il vero fondatore del giansenismo francese. Il suo forte ascendente e le sue idee innovatrici generarono i sospetti del cardinale Richelieu, preoccupato che la nuova corrente suscitasse in Francia problemi come quelli provocati dagli ugonotti e irritato dalle critiche che gli ambienti del cattolicesimo autentico gli muovevano, accusandolo di strumentalizzare la religione a scopi politici, ma soprattutto contrariato vivamente dalle opinioni sulla necessità della contrizione per la validità della assoluzione, difese invece da Saint Cyran. Così nel 1638, quest’ultimo venne arrestato e vi rimase fino alla morte del cardinale, cioè nel 1642. Morì l'anno dopo. Saint Cyran, guadagnò presto due cooperatori importanti, Antoine e Angèlique Arnauld. Antoine, figlio di un grande avvocato, mise i suoi soldi e le sue capacità totalmente al servizio della causa giansenista. Scrisse 43 volumi, il più importante di cui fu “De la frequente communion” nel 1643, in cui viene esposta la consuetudine della Chiesa antica, di non concedere la comunione ai peccatori se non dopo il compimento di una lunga severa penitenza, difende la necessità di ritornare a questo usanza, dato che la Chiesa ha errato nella prassi pastorale degli ultimi secoli. L'eucarestia non è un rimedio istituito per chi è debole e cerca di purificarsi, ma un premio per i santi, l'eccessiva frequenza la comunione è causa di gravi danni di cui i gesuiti con la loro pastorale lassista sono responsabili. Jacqueline ( Angelique da religiosa) Arnauld, a 7 anni venne messa in un monastero a 5 km da Versailles, con il diritto di succedere alla badessa in carica. A 11 anni assunse il governo dell'abbazia. Quattro anni dopo, una grave malattia la costrinse a ritornare in famiglia, ma il padre presto le impose di ritornare in monastero. Un giorno, un'esortazione di un cappuccino, la trasformò radicalmente, ed essa non solo abbracciò con fervore quella vita prima sopportata a malincuore, ma volle riformare a fondo il monastero e imporre in esso l'osservanza integrale della regola cistercense: vita comune, astinenza, clausura, penitenza, preghiere notturne. Sarebbe potuta diventare probabilmente una grande santa, ma le mancò l'umiltà, l'equilibrio, una sana prudenza. Morto San Francesco di Sales, che aveva cercato di ridurre i suoi rigori, prese come direttore spirituale Saint Cyran, il quale anziché moderarla la spinse verso un rigore inumano. Port Royal divenne così il centro spirituale del giansenismo: le monache di questo monastero venivano definite: pure come angeli, ma superbe come demoni. Finirono lentamente con accostarsi raramente alla comunione, preferendo spesso restare senza sacramenti, anche a Pasqua. Madre Agnese, sorella di Angelique, redasse un libretto intitolato Rosario segreto del Santissimo sacramento, che finiva per trasformare il sacramento dell'amore in sacramento del timore. Dal 1626 al 1648 le monache si trasferirono in un altro monastero più salubre, a Parigi, Port Royal Saint Jacques, ritornando nel primo monastero solo dopo il 1648. In questo periodo il monastero, ebbe un ingresso notevole di vocazioni, e vi si trovava anche un collegio maschile, che fu frequentato tra l'altro da Pascal, che aveva una sorella monaca nello stesso monastero. Fu probabilmente grazie all'influsso della sorella, che Pascal passò da una vita mondana ad una vita di rigore ascetico, divenendo un sostenitore del giansenismo. Principi del giansenismo Si possono ridurre a tre aspetti: dogmatico (pessimismo), morale (rigorismo), disciplinare (riformismo). - Aspetto dogmatico: Segue la dottrina di Baio, a sua volta vicina alle posizioni di Lutero e di Calvino. Agostino per primo, ha chiarito ai fedeli ed alla Chiesa la vera dottrina della grazia, perciò, dato che la Chiesa ha tante e tante volte approvato Agostino, e non è possibile che essa si contraddica, i documenti del magistero devono essere interpretati in modo, che non vi sia contraddizione con l'insegnamento del dottore di Ippona. In questo modo, Giansenio nega il carattere soprannaturale dello stato di giustizia originale: dopo il peccato originale, la natura umana, è intrinsecamente corrotta, ha perso la vera libertà, mantenendo solo l'immunità dalla coazione esterna, non da una determinazione interna. La volontà umana quindi, segue necessariamente l'impulso che le è dato, cioè la grazia se le viene offerta, la concupiscenza quando, in assenza di grazia, viene lasciata sola. La grazia infatti, non viene sempre concessa agli uomini, in questo caso essi, abbandonati alle loro forze, seguono necessariamente la concupiscenza e peccano. Così esasperando, l'efficacia della grazia egli nega ogni libertà. La Chiesa distingue tra grazia efficace, non sempre concessa, e grazia sufficiente, sempre concessa. Janssen nega la grazia sufficiente e ammette solo la grazia efficace, non sempre concessa. Da questo consegue che il Cristo non è morto per tutti ma solo gli eletti, ai quali soltanto viene concessa la grazia efficace. - Aspetto morale: di fronte ad un Dio arbitro assoluto della nostra sorte, che elegge a suo piacere un piccolo numero di eletti e muore solo per essi, l'atteggiamento più spontaneo è il timore, non l'amore. La lotta contro il molinismo, difeso dai gesuiti porterà a contrastare il probabilissimo e ad innestare un estremo rigorismo. Il rigorismo ha diverse manifestazioni: il rifiuto del probabilissimo; la visione negativa delle opere degli infedeli e dei peccatori, che costituiscono sempre un peccato, poiché è frutto di una natura intrinsecamente corrotta, e non ordinata Dio con la carità almeno iniziale; la condanna della attrizione, considerata non solo insufficiente a ottenere la remissione dei peccati al di fuori del sacramento, ma in se stessa immorale; la dilazione dell'assoluzione ai penitenti, di cui non si abbia la certezza della perseveranza; il suo rifiuto a chi si pensa che ricadrà nel peccato; l'affermazione che l'ignoranza, anche invincibile, non scusa dal peccato; un l'ineluttabilità del peccato nella vita umana; condizioni quasi impossibili richieste per la comunione; le penitenze straordinarie e il disprezzo con cui è vista la natura umana; la svalutazione del matrimonio rispetto alla castità; la dottrina secondo cui la perfezione è possibile solo abbandonando il mondo; la diffidenza verso gli affetti familiari; le critiche verso la devozione alla Vergine. - Aspetto disciplinare: la Chiesa divenuta infedele, deve essere rinnovata integralmente, mediante un ritorno alle origini che elimini le novità introdotte in 15 secoli. I giansenisti, svalutano l'autorità del Papa per ammantare quelle dei vescovi e parroci, attribuendo l'infallibilità alla Chiesa e non al solo Papa. Il giansenismo abbandonò l'iniziale ostilità verso l'autorità civile, per stringere alleanze con essa contro l'autorità del papa e della curia romana Le controversie in Francia Nel 1642 la Congregazione dell'indice condannò l' Augustinus. L'anno seguente Urbano VIII ribadì la condanna con la bolla In Eminenti, motivandola per l’affinità delle tesi sostenute da Giansenio con quelle di Baio. Il 31 maggio 1653 Innocenzo X condannò come eretiche cinque tesi che riguardavano l'aspetto dogmatico del giansenismo. I giansenisti non si sottomisero e dopo aver cercato invano di provare che le proposizioni condannate, non erano contenute nell' Augustinus, Antoine Arnauld, escogitò la distinzione tra quaestio iuris e quaestio facti: la Chiesa è infallibile quando condanna come eretica una proposizione ( Q.Iuris), non quando afferma che una data proposizione è espressa in un libro, e pretende chiarire quale sia il senso oggettivo espresso dall'autore ( Q. Facti). In altre parole, un'affermazione può essere considerata fuori del contesto in cui si trova, e in questo caso può assumere vari significati, ortodossi o eretici; ma può anche essere considerata nel contesto in cui è collocata, ed in quest'ultimo caso si può, attraverso un'attenta esegesi, determinare quale sia il suo senso oggettivo e concreto. In questo caso, si trattava di precisare quale fosse il significato oggettivo delle tesi contenute nell' Augustinus. La Chiesa può condannare solo delle dottrine in astratto, non può giudicare infallibilmente della dottrina concreta di un individuo. Nel primo caso il fedele è tenuto all'obbedienza, nel secondo ha solo il dovere di un silenzio ossequioso, cioè di non insegnare pubblicamente dottrina contraria. Alessandro VII, nell'ottobre 1656 pubblicò la costituzione “Ad sanctam beati Petri sedem”. Il documento dichiarava che le cinque proposizioni erano contenute effettivamente nel Augustinus e che erano state condannate nel senso inteso dall'autore. Arnauld, continuò a difendere la distinzione e si rifiutò di aderire alla condanna, così come quattro vescovi e le monache di Port Royal. Nell'agosto 1664 l'arcivescovo di Parigi, per mettere la parola fine alla resistenza, colpì con un interdetto il monastero e trasferì molte monache altrove. Alessandro VII, sollecitato da Luigi XIV, nel 1665 fece sottoscrivere un formulario di adesione alla condanna. All'avvento di Clemente IX, anche quei vescovi che ancora si mostravano resistenti, finirono per sottoscrivere il documento. In seguito alla pubblicazione di un opuscolo dal titolo “Un caso di coscienza”, che sollevò discussioni innumerevoli tra i dottori della Sorbona, Clemente XI, sollecitato da Luigi XIV, pubblicò nel 1705 la Bolla Vineam Domini, che respingeva come un cavillo, la teoria del silenzio ossequioso e rivendicava alla Chiesa, il diritto di condannare, non solo le dottrine ma gli uomini che le difendevano. Il monastero di Port Royal, subì nel1707 un nuovo interdetto, finché il re il 29 ottobre 1709 fece intervenire l'esercito che trascinò fuori dall' Abbazia tutte le monache, che si trovavano in quel momento in coro. Qualche anno dopo il monastero e la chiesa vennero demoliti. Nel 1713, Clemente XI con la Bolla Unigenitus, condanna definitivamente il giansenismo e nel 1718 con la Bolla Pastoralis Officii, scomunicò gli ultimi resistenti e confermò tutti i precedenti documenti di condanna contro il giansenismo. soddisfare tutti eccetto il papa, il quale, non del tutto convinto delle buone disposizioni di Luigi XIV, esigeva il ritiro delle dichiarazioni regali sulla regalia. L'atteggiamento del papa gettò nello sconforto l'Assemblea del clero francese. Mentre si svolgevano questi fatti, una commissione dell'Assemblea lavorava sul problema delle libertà della Chiesa francese. In tre giorni il rapporto della commissione fu letto, discusso e i 4 articoli furono approvati e firmati da tutta l'Assemblea; il 19 marzo1682, il re con un editto confermò i 4 articoli come dottrina ufficiale del regno da insegnarsi in tutte le facoltà di teologia e di diritto canonico. Se per il problema delle regalie l'Assemblea aveva lavorato per quasi due mesi, per gli articoli si impiegò una settimana. Contenuto dei quattro articoli, opera principalmente del Bossuet: 1) Indipendenza assoluta del sovrano nelle questioni temporali 2) È affermata la superiorità del concilio sul papa, secondo i decreti di Costanza 3) L' infallibilità del papa è condizionata dall'assenso dell'episcopato 4) L’inviolabilità delle antiche consuetudini della Chiesa gallicana Una commissione apposita, presieduta dal Favoriti, ritenne di rispondere con un breve (non si parlò di una bolla di censura), la Paternae Charitati, spedito in Francia l'11 aprile 1682, con il quale ci si lamentava della debolezza del clero francese nel difendere i diritti della Chiesa e si annullavano tutte le disposizioni prese sulla regalia. Lo stesso giorno arrivava a Roma la notizia del voto dei quattro articoli. Nel frattempo, a Parigi l'Assemblea si riunì di nuovo il 4 maggio per discutere dei brevi con i quali il papa era intervenuto in alcune diocesi francesi: si giudicò la giurisdizione dei vescovi colpita in modo inaudito e grave dai brevi papali. La conclusione dell'Assemblea fu di scrivere al papa una lettera di protesta, che non fece altro che aumentare le tensioni fra clero francese e Curia romana. Contro ogni aspettativa, il d'Entrées ottenne un risultato clamoroso; d'intesa con Luigi XIV, strappò a Innocenzo XI una sospensione momentanea di ogni condanna: il re non avrebbe fatto niente contro il papa e il papa non avrebbe fatto niente contro il re e contro i vescovi. A conferma di ciò a luglio del 1682 il re sciolse di sua iniziativa l'Assemblea del clero, spedendo a casa i rappresentanti. Ma le posizioni delle corti di Parigi e di Roma tornarono ad irrigidirsi, quando, con il concistoro (riunione formale del collegio consultivo di un sovrano) del 28 settembre 1682, Roma decise di negare l'istituzione canonica (tramite le bolle) a due vescovi (Castres e Clermont), perché avevano firmato i quattro articoli. D'Entrées, e con lui anche Luigi XIV, decisero allora di non far alcuna richiesta di bolle di investitura, neanche per gli altri candidati, fin quando il papa le rifiutava ai firmatari dei quattro articoli (sperando così di far desistere il papa). Così nel corso degli anni seguenti, la situazione si aggravò a proposito delle due questioni (regalie e articoli), più politiche che religiose. Inoltre il rifiuto delle bolle di investitura aumentava le sedi "vacanti" (una quarantina alla morte di Innocenzo XI). Inoltre, altre questioni politiche aggravarono i rapporti tra Francia e Santa Sede, nonché la mutata situazione internazionale. Infine, il 12 agosto 1689 morì Innocenzo XI. Venne eletto papa il veneziano Alessandro VIII, impavido nepotista, ma inflessibile come il suo predecessore. A Luigi XIV fu fatto capire che non si poteva sperare niente dal nuovo papa. Infatti Alessandro VIII scrisse al re, invitandolo a non fare osservare l'editto del marzo 1682 sui 4 articoli, e ai firmatari, invitandoli a rinunciare ad essi. Luigi XIV, dopo un primo rifiuto, accettò le proposte papali, rinunciando ad imporre la dottrina dei quattro articoli. Così nel febbraio 1690, la riconciliazione fra re e papa era cosa fatta. Ma restava il clero. Il papa, vedendosi prossimo alla morte, pubblicò un breve Inter multiplices nel 1691, con il quale annullava tutti gli atti dell'Assemblea del 1682 e gli editti e le dichiarazioni del re relativi alle regalie e ai quattro articoli. Luigi XIV impose al Parlamento di non intervenire sul breve e di sua iniziativa rinunciò al principio approvato nel 1682 (secondo il quale non si sarebbero chieste le bolle di nomina se il papa continuava a rifiutare le bolle ai firmatari). Infatti diede ordine di chiedere le bolle per tutti i vescovi nominati dopo il 1682 (una trentina). Il nuovo papa Innocenzo XII si mostrò molto accomodante: accordò le bolle, mise in secondo piano la questione delle regalie. Intanto la situazione europea si aggravava per la Francia (sola in guerra contromezzo continente), tanto che Luigi XIV affrettò la riconciliazione tra Roma e il clero francese e lui stesso scrisse al papa (settembre 1693) rinunciando a far osservare l'editto del 1682 sui quattro articoli; questa lettera era sottoscritta anche dai firmatari dei quattro articoli. Non si poteva parlare di resa della monarchia francese, ma solo di un compromesso. In tutta la faccenda, la questione delle regalie non fu mai risolta. Fino alla fine dell'ancien régime si applicò in tale materia l'editto del febbraio 1682 con il tacito accordo del papa. Mentre i 4 articoli, mai condannati dal papa, continuarono ad essere insegnati e sostenuti da molte facoltà francesi. I 4 articoli del 1682 devono essere considerati un episodio, oppure, l’espressione più radicale di un movimento o di una tendenza assai diffusa. Le controversie gallicane si intrecciarono nel 700 con quelle gianseniste; alcuni gesuiti, nella speranza di combattere il giansenismo, aderirono entro certi limiti al gallicanesimo: più di 100 gesuiti promisero di insegnare i 4 articoli gallicani, anche se, poi, gallicanesimo e giansenismo finirono per formare un unico fronte antigesuita. Anche in Germania era viva l’opposizione alla centralizzazione romana: i lamenti vertevano soprattutto sul fiscalismo della curia vaticana. In questo clima sollevò un’eco favorevole l’opera del vescovo di Treviri, Nikolas Hontheim (conosciuto con il nome di Febronio): egli, che aveva studiato a Lovanio, pubblicò nel 1763, sotto lo pseudonimo Justinus Febronius. Febronio riconosce un primato al papa, cui si sforza di dare un contenuto giuridico, ma di fatto il papa può sorvegliare le applicazioni dei deliberati conciliari, come delegato del concilio, e prendere decisioni dogmatiche o disciplinari, che hanno però forza vincolante solo dopo l’accettazione delle Chiese nazionali e delle diocesi. E’ evidente l’analogia con il quarto articolo gallicano del 1682. Il libro destò subito vasto scalpore in tutta l’Europa, anche per la curiosità di conoscere il vero autore, rimasto per qualche tempo ignoto. Mentre Roma, appena 5 mesi dopo la pubblicazione, metteva all’indice l’opera, i vescovi tedeschi si mostrarono indecisi e piuttosto restii ad intervenire per le idee di Febronio. Per decenni il volume fu oggetto di un’appassionata polemica: da una parte uscirono oltre 4 edizioni dell’opera, ma, dall’altra parte, si moltiplicarono le confutazioni. Solo nel 1778, Hontheim ritratto le sue idee. Febronio avrebbe voluto rafforzare l’autorità dei vescovi nelle diocesi, a suo avviso minacciati dalla centralizzazione romana, ma, in realtà, egli finì per indebolire la posizione dell’episcopato. Alla fine del 700, le stesse tendenze riemergono nella Costituzione civile del clero, approvata in Francia nel 1790, durante la rivoluzione francese, che tentò di spezzare ogni vincolo della Chiesa francese con Roma. Vescovi e parroci dovevano essere eletti democraticamente dal popolo. La Chiesa francese si trasformava in Chiesa nazionale. Fine del Gallicanesimo Nel 1801, preoccupato di ristabilire la pace civile, Napoleone Bonaparte trattò un Concordato con papa Pio VII. In quest'occasione il Pontefice, su richiesta dell'Imperatore, depose l'Assemblea dell'episcopato francese composta dai vescovi eletti in virtù della Costituzione civile del clero e dai prelati dell'Ancien Régime superstiti. Questo segnò la fine dei princìpi della Chiesa gallicana, e il riconoscimento implicito, del primato del Papa. Alcuni vescovi e preti refrattari, di ideali gallicani, rifiutarono di sottomettersi al papa e fondarono la Piccola Chiesa. LE MISSIONI Con la scoperta dell’America si apre la stagione delle conquiste nello scenario Africano e Americano si fronteggiano due stati:  La Spagna in America  Il Portogallo in Africa Quando arriva il portogallo nelle terre da conquistare distrugge tutto ciò che trova e lo porta in portogallo, l’africa diviene così una miniera, anche i missionari quando arrivano distruggono per edificare la loro cultura cristiana. Gli ordini che troviamo tra i missionari sono: i cappuccini, i gesuiti, i lazzaristi o vincenziani, e successivamente arrivano nel 700 i passionisti. L’impatto dei locali è certamente di grande opposizione perché si va ad infrangere quella che era la loro terra, stesso discorso per l’America. In un primo momento la Spagna fonda l’encomendia (modello cittadino) affidata ad un encumendario (una sorte di sindaco) con l’assistente spirituale. In Paraguay nascono le reduciones, una sorta modello encumendario dove la struttura della chiesa era al centro e tutte le altre intorno. Bartolomè de Las Casas (1474-1566) arriva in America ed immagina di fare come in Africa, ma si rende conto che chi si trova di fronte non sono esseri inferiori, ricordiamo che un vescovo colombiano aveva definito gli indios omuncoli di razza inferiore. De las casas stabilizzandosi si rese conto non solo studiando tutto quello che gli indios avevano detto e fatto che erano degli uomini come gli altri e questo lo doveva far capire alla corona spagnola, dovette lottare per far affermare che gli indios erano uomini. Discorso diverso troviamo in Asia: in India Giappone e Cina. In India Vasco d Gama un esploratore scopre dei cristiani di san tommaso che non erano proprio dei cattolici ma che avevano conosciuto il pensiero cristiano eretico, e qui Vasco De Gama scoprì le reliquie di San Tommaso. In India arrivarono come missionari i francescani, i gesuiti e i domenicani successivamente anche gl agostiniani che crearono delle diocesi ,la prima fu Goa, dove i gesuiti eressero un collegio. la grande differenza tra le tre colonizzazione è che in Asia non si ebbe assolutamente il fenomeno della tabula rasa, i missionari prima di parlare volevano conoscere la loro cultura saggia, allora si dovevano mettere prima in ascolto e poi impiantare un discorso cristiano. Francesco Saverio, gesuita, arriva e si rende conto della situazione e si mette in ascolto, dall’India poi passa in Giappone ha intenzione di arrivare anche in Cina ma muore. Roberto De Nobili, gesuita, entra a pieno titolo nella cultura indiana si rende conto che è divisa in caste intoccabili, indossa l’abito di monaco penitente, si mise alla scuola dei saggi locali, imparò le lingue locali e dopo essersi acculturato iniziò ad evangelizzare, creando gelosie locali e romane venne accusato addirittura di eresia, e siccome aveva grandi agganci a Roma, si arrivò a rendere onore a questo stile. Matteo Ricci arrivò in Cina si rese conto che la povertà non era un valore, quindi comincia ad assumere un tenore di valore alto, cinesizzò il nome, si presentò come un saggio, insegnò la matematica e geometri, inizia a conoscere la cultura, il pensiero di confucio, aprì una chiesa, era convinto che ci poteva essere un dialogo tra il confucianesimo e il cristianesimo ma non con il taohismo e il buddhismo. Cominciò ad interessarsi alle povertà locali.
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