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Storia della danza e del mimo, Appunti di Storia

Lezioni con integrate le slide di tutto il corso online della professoressa Caterina Pagnini, corso di scienze della comunicazione 2019/2020

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 12/02/2021

camilla-chimenti
camilla-chimenti 🇮🇹

4.7

(16)

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Scarica Storia della danza e del mimo e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! STORIA DELLA DANZA E DEL MIMO 1-LA DANZA PRIMITIVA (I, II, III) Rappresentare e tentare di spiegare l’idea di un qualsiasi gesto che voglia essere rappresentativo o meno, ma che voglia in ogni caso arrivare ad imitare o rappresentare qualcosa, quindi non un gesto istintivo ma che abbia una finalità. Per fare ciò dobbiamo inquadrare il periodo storico in cui viene svolto il gesto, in questo caso analizzeremo l’epoca primitiva. In queste slide vedremo in epoca paleolitica e neolitica i primi fondamenti di un linguaggio gestuale. -Linguaggio o comportamento? Il gesto la più antica forma di comunicazione umana: Qua evidenziamo come la danza possa essere intesa come un primo metodo complesso di linguaggio, come un codice gestuale pensato e agito con precise finalità. Ovviamente non è un linguaggio universale, ci sono stati diversi scontri tra antropologi per individuare un’universalità del linguaggio gestuale primitivo, in realtà la danza non è mai un linguaggio universale ma un linguaggio specifico di ogni singola civiltà e così rimane nel corso dei secoli. Non possiamo quindi vedere come la danza primitiva come un linguaggio universale, che qualsiasi televisione potesse quindi codificare e decodificare, ma ogni tribù aveva quindi una sua capacità e possibilità di linguaggio attraverso il corpo, ma ciò non vuol dire che potesse essere riconosciuto da tutti, l’importante che fosse un linguaggio che si venisse a sviluppare all’interno di una società. La danza nasce come un linguaggio o comportamento all’interno di una specifica civiltà e serve per codificare dei punti fermi che si possono rappresentare e che possono essere compresi all’interno della società in cui si sviluppano. Questi codici più o meno riconoscibili, sono sempre specifici della società che li crea e che gli determina.  CURT SACHS -Chi studiava la danza? È una disciplina giovane, fino agli anni 30 la danza era appannaggio di una specifica branchia di studi antropologici, studiare il comportamento e movimento, metodi di esternazione e comunicazione da parte dei popoli primitivi, necessariamente incontrava anche la potenzialità del gesto, espresso con determinate finalità abbiamo le fonti nelle pitture rupestre che sono state studiate e analizzate dalle branchie scientifiche. Fondamentale per la nascita della danza sarà questo saggio scientifico di CURT SACHS (1851-1959) (scienziato di alto livello e antropologo) che nel 1933 pubblica questo saggio che sarà tutt’ora un punto di riferimento per studi antropologici e sulla storia della danza, si intitola “storia universale della danza”, con universale si intende “ampia” cioè che tratta la storia della danza ad un livello ampio e monografico, per la prima volta essa verrà vista come una disciplina scientifica discostata dalle altre branchie. Venne pubblicato a Berlino nel 1933, pochi anni dopo lo scrittore emigra negli stati uniti e nel 1937 viene tradotto il volume a new york per l’editore newyorkese Norton, a pochi anni dalla sua uscita, il volume diventa un caso scientifico, viene esportato e conosciuto in tutto il mondo. La prima edizione italiana è del 1966, sarà una delle ultime ad acquisire questo importante trattato. Sachs oltre ad essere un antropologo era anche un musicologo, sarà il primo che concepisce una storia della danza che sia distaccata dalla storia della musica, grazie a lui ci sarà questa importante distinzione tra le due materie. Nell’introduzione alla sua edizione inglese quella del 39, Sachs definisce la danza come una disciplina che è stata completamente trascurata dalla musicologia, facendoci così capire che sino ad allora la danza era considerata come un accessorio alla ricerca musicologica. Sachs afferma che in realtà la danza è un elemento indissolubile alla musica e che quindi non può essere assolutamente ignorata dagli studi musicologici, è un elemento fondamentale e intrinsecamente legato alla storia dell'uomo; ma che va considerata anche come una scienza autonoma, una storia autonoma, la storia di una disciplina che non deve più essere collegata in maniera secondaria alla musica, all'antropologia o qualsiasi altra disciplina che nei tratti in maniera periferica, ma deve acquisire una autonomia specifica. Il volume di Sachs è fondamentale per la trattazione delle origini del gesto come qualcosa di agito dall’uomo ai primordi della sua esperienza sulla terra con una finalità precisa, quindi non come un elemento istintivo della natura mobile e cinetica del corpo umano, ma come qualcosa che a che fare con la comunicazione di una finalità. -Cosa dice Sachs? Noi dobbiamo pensare che l’uomo abbia danzato sin dalle origini soltanto perché gli studi antropologici hanno constatato questa attitudine studiando i comportamenti delle scimmie antropoidi. Quindi la danza è un comportamento istintivo che nasce con l'uomo e che è parte di una eredità Cinetica che viene acquisita e rimane tale anche nello sviluppo della specie? Sachs afferma che non è così, perché se così fosse non sarebbe interessante studiarlo dal punto di vista antropologico, ma egli afferma che la danza dei singoli gruppi umani si sviluppa per vie molto diverse, da una disposizione ereditaria, al movimento e per la sua forza e le sue finalità può stare accanto ad altri fenomeni culturali, in questo modo è solo concependola con questi criteri la storia della danza può acquistare un significato profondo per la conoscenza degli uomini. La storia della danza è quindi una disciplina che serve a conoscere l'uomo è una disciplina culturale rappresentativa più di tutte le altre esternazioni artistiche umane, un profondo legame fra la cultura della società in cui l'uomo vive e l'esternazione appunto di questa cultura attraverso un linguaggio gestuale, corporeo che è il più immediato possibile e più riconoscibile. Per risalire alle prime danze, Bisogna andare all'epoca del paleolitico, queste danze erano composte da gruppi di persone o in danze singole. I ritrovamenti di pitture su roccia rappresentanti figure di danzatori di quell’epoca, testimoniano il loro modo di essere e di esprimersi con la d danza.  ALTAMIRA (Spagna)  CHAVUVET (Francia), in queste grotte ci sono ritrovamenti che ci fanno conoscere un uomo dedito al movimento alla rappresentazione o al movimento astratto ma finalizzato, importantissima proprio perché ci fa notare una pratica cinetica.  MAGURA (Bulgaria)  KAKADU (Australia) uno tra i più importanti siti archeologici, fondamentali per la ricostruzione per l’archeologia e l’antropologia preistorica è l’international park of kakadu, dove sono presenti queste grotte con delle raffigurazioni di soggetti danzanti collettivamente.  BHIMBEKTA (India)  Le pitture della SERRA DE CAPIVARA (Brasile) Abbiamo quindi compreso che è un fenomeno mondiale e universale. Notiamo come l’uomo affida alla gestualità la trasmissione di qualcosa e affida alla rappresentazione di questa pratica gestuale, il suo testamento. Questi sono dei ritrovamenti che ci fanno comprendere come alla base di queste società ci fosse uno sviluppo e un affidamento al gesto come uno dei più importanti metodi o veicoli di comunicazione e di linguaggio. L’uomo primitivo danza ad ogni occorrenza, (nascita, circoncisione, iniziazione, nozze, malattia, caccia, morte, primavera, raccolto) in occasione della quale si mangiava carne, con ciò che riuscivano a cacciare. La danza è quindi un elemento fondamentale all'interno della vita sociale della tribù. -Sachs aiuta a comprendere la distinzione fra due tipologie di gestualità e di danza: la differenza tra danza astratta (estatica) e la danza imitativa (rappresentativa). I temi di queste danze sono comunque limitati perché in tutti questi movimenti, il fine è rappresentare la vita, la forza, la pienezza, il vigore e la salute. Comprendiamo così come in tante tipologie di danza possono essere le medesime sia che rappresentino qualcosa oppure che non vogliano rappresentare niente, non c’è una differenziazione di genere, la danza non viene concepita come qualcosa che può -Le tre arti: La danza era intimamente legata al canto e alla poesia tanto che inizialmente il termine era “Musiche”, che poi è passato a indicare solo il termine musica, in Grecia invece includeva la musica, la poesia (caratterizzata da metri e ritmi precisi) e la danza. Questa idea dell’unione ideale delle tre arti (Musica poesia e danza) che sia ha a partire dalla società greca è un’idea alla quale si rapporteranno molti coreografi e danzatori nei secoli successivi. L’ideale nella danza greca intesa come educazione e comportamento fosse già ripresa nel 300 dalla filosofia neo- platonica come il concetto della perfetta osmosi delle tre arti sorelle, ritorna prepotentemente nel 1700 (nel secolo delle riforme) quando importanti danzatori e coreografi come linverding, Angelini e nuover si batteranno affinché la danza ritorni ad essere una pratica espressiva drammaturgica e proprio all’unione delle tre arti raggiunta dalla società greca essi si rifaranno. -Platone: La danza possiede anche un potere mimetico, può rappresentare, il carattere, le passioni, le azioni, questo lo afferma anche Aristotele nella sua poetica, per farlo si serve degli “schemata”, ci sono figure della danza possono essere considerate delle unità espressive, che possono coinvolgere tutto il corpo e minime parti per esempio le mani, braccia o gambe. Però si va per schemi figurativi, Platone nelle leggi, afferma che la danza trasforma lo spazio fisico dei movimenti corporei, luogo di espressione e condivisione di valori sociali ed etici. La danza nasce dalla tendenza propria di ogni animale a Muoversi, ma solo l’essere umano, avendo ricevuto dagli dei il senso del ritmo e dell’armonia, può trasformare il movimento scomposto in danza. Nelle “leggi” una delle opere più importanti di Platone la choreia la danza Coreale, cioè la perfetta fusione di parole , melodia e il movimento del corpo, è donata dagli dei agli uomini, perché possano acquisire in maniera piacevole, una giusta condotta: essere ben educati significa aver fatto propri i contenuti di una danza in cui il gesto fisico più elegante e bello, coincide perfettamente con quello che esprime alti valori etici. Nel settimo libro delle leggi di Platone, nella riflessione sulla civiltà, egli divide le danze in base al loro contenuto etico e estetico:  Danze nobili : quelle che sono espressioni di atteggiamenti belli e convenienti, come danza di guerra (pirrica) e danze di pace (ammeleia). Sono danze che caratterizzano l’educazione, le esperienze religiose e la vita civile di ogni individuo nello stato immaginato da Platone, infondendo l’una il coraggio l’altra la temperanza.  Danze ignobili: Per contro Platone esprime anche le leggi caratterizzate da questa danza, sono quelle che non devono essere praticate dal buon cittadino e che sono la manifestazione di comportamenti spregevoli. La riflessione che fa Platone sulla danza non viene mai espressa in trattati, in riflessioni o dialoghi che siano precisamente riferiti alla danza. Delle notizie della danza noi abbiamo una relazione negli scritti politici di Platone fatto che non ci sia una trattazione specifica della danza, ma che di danza e di arti rappresentativi si tratti, lo capiamo da questi testi che sono specifici sulla trattazione del buon governo, è molto presente questa compenetrazione tra la danza e il buon vivere civile. La riflessione di Platone sarà fondamentale per questo motivo, poiché ci fa comprendere come la danza sia perfettamente integrata nella società e ne sia l’emblema, cioè il comportamento nobile, virtuoso si può raggiungere attraverso la pratica di quelle danze nobili e deve essere completamente disgiunto dalla pratica delle danze ignobili.  Danza dionisiaca : Un posto particolare nella trattazione di Platone è riservato a questo tipo di danza, ma essendo legata al culto di Dio, essa non è da coltivare perché selvaggia e portatrice di ebrezza e disordine. Le danze di questo genere, tuttavia, possono avere una funzione terapeutica, tramite la danza e la musica coloro che sono stati colpiti dalla mania divina come le menadi e le baccanti, possono essere integrate nel movimento ordinato e armonioso dell’universo e guarire dal loro furore. La danza dionisiaca che è una danza astratta molto presente nella cultura greca, essa può avere delle caratterizzazioni negative, come per esempio nei culti dionisiaci, nei quali ci si abbandonava a comportamenti licenziosi proprio perché dedicati a Dio (che era il simbolo della licenziosità). Platone osserva che queste danze astratte e scomposte, non armoniche, devono essere compiute solo da chi ha la facoltà di ruolo per poterlo fare, quindi dalle sacerdotesse di Dioniso, in un ambito strettamente religioso, riservate esclusivamente alle sacerdotesse (quindi le menadi e le baccanti poi nella società romana). Queste danze possono essere compiute proprio perché parte di un rito che viene espresso e praticato dalla sacerdotessa, dal quale possono assistere gli ascoltatori senza però praticarlo. -Queste teorie platoniche verranno riprese anche da Friederich Nietzsche, nella sua opera “la nascita della tragedia” (1871): Qui il Filosofo riprendere la divisione di Platone e le suddivide in danze apollinee, di origine dorica o cretese, severe e di contenuti etici e rituali, e in danze dionisiache, sfrenate e a contenuto orgiastico. Quindi in questo senso se praticate comunemente possono essere considerate quelle che Platone chiamava le danze ignobili.  Danze guerresche : Una parte importante delle danze della società greca è riservata ha questo tipo di danze armate, (enoplios, Orchesis) che sono riconducibili a numerose forme coreutiche assai diverse tra loro, per contesti di esecuzione, significati e movimenti. La più famosa è la più celebre tra le danze guerresche è la Pirrica, un ballo armato che ebbe il suo maggiore sviluppo a Sparta, tanto che dallo spartano pirrico fratello di Achille, deriverebbe il suo nome, oppure si fa derivare il nome da Pirro neottolemo, il quale per primo l’avrebbe danzata attorno al cadavere del nemico Euripilo. Altre ipotesi di questa danza vengano collegate al colore rosso sangue delle sue tuniche con cui veniva praticata. La pirrica era parte curriculum educativo dei giovani spartani ad Atene (danza intesa come educazione e comportamento). È Anche danza che accompagna riti di transazione, da uno stato sociale a un altro, da un’età a un’altra, particolarmente significativo è il suo legame con il culto di Artemide, divinità guerriera che presiede all’ingresso dei giovani nel mondo adulto. La Pirrica è anche associata al culto di Dioniso, come è testimoniato dalle rappresentazioni vascolari di satiri armati che danzano o di danzatori di pirrica armati di tirsi, anziché di lance. La pirrica divenne una vera e propria pantomima, quindi una danza eseguita per rappresentare qualcosa, (in questo caso per rappresentare l’arte della guerra). Platone la giudicava una veritiera imitazione dei movimenti dell’oplita (guerriero) in battaglia, In cui i contendenti si studiavano e fronteggiavano eseguendo giri e parate frontalmente e lateralmente, indietreggiando e curvandosi per proteggersi ed eseguendo salti (ritroveremo poi nella moresca, ballo rappresentativo per eccellenza della società cortese dal 400 in poi). La pirrica era eseguita soprattutto nei riti che celebravano la vittoria, o anche come forma di addestramento, ed era praticata da giovani individualmente o in gruppo, che con armi e armature al suono dell’aulos, dove simulavano il combattimento i suoi assalti e le sue difese. -parte II  Danze festive: Il canto corale e la danza sottolineavano i momenti fondamentali dell'individuo e della comunità. Durante i riti delle nozze erano cantati gli epitalami e gli Hymeney, seguite da danze degli sposi e degli invitati, anche durante il banchetto, come il Komos e l’òklasma, danza persiana con caratteristiche acrobatiche eseguita esclusivamente da professionisti  Danza L’oklasma: come possiamo vedere in questi vasi e nelle statuette, viene raffigurata questa danza particolare, eseguita esclusivamente da professionisti che si servivano di una specie di piedistallo o di pedana, per eseguire le proprie danze al suono della musica. Questa danza aveva delle caratteristiche acrobatiche evidenti e molto accentuate, come si può notare dalla postura di queste danzatrici e ci fa comprendere, come dovessero esclusivamente essere svolte da professionisti. L'idea dell'uso delle potenzialità del corpo dal punto di vista acrobatico e la più ampia espressione in posture sempre più ad audaci, è appannaggio o delle sacerdotesse di Dioniso, (Che alla popolazione non erano confacenti all'idea del buon cittadino) oppure erano appannaggio dei professionisti. Quindi queste danze che prevedevano uno sforzo fisico elevato dovevano essere tramandate solo o alle sacerdotesse di dio o a professionisti.  Danza kordax: Il Kordax era una danza che veniva eseguita durante i balletti era una danza di origine Lidia, nella quale si mimava il comportamento di un uomo ubriaco e si compivano giri e movimenti barcollanti e gesti sguaiati, era considerata da platone e Aristotle come danza ignobile. Anche in questo caso erano movimenti concessi solo a chi poteva farlo. Altrimenti si cadeva nell'accusa di essere licenziosi. -La danza delle cerimonie e nei rituali religiosi: Oltre che nelle occasioni private e nei riti legati alla vita dell’individuo, la danza sottolineava molti momenti della vita religiosa, soprattutto nelle grandi feste offerte agli dei (un esempio è nel contesto cultuale religioso delle danze dionisiache, dove la danza si esprime in modalità astratta, ha raramente una valenza rappresentativa). - Le panathenaie: Le Panatenee (in greco antico: Panathénaia) era la festa religiosa più importante dell'antica Atene, in onore della divinità protettrice della città, Atena (Athena parthenos), dove delle giovani andavano in processione, recando offerte ed eseguendo canti e danze solistiche, spesso tenendosi per mano, coperte da un velo o da uno scialle. Come possiamo notare, queste ragazze o volendo delle sacerdotesse, erano vestite con delle vesti molto leggere, poiché dovevano far intravedere la figura del corpo al di sotto delle tuniche. (Verrà ripreso successivamente l’idea di queste vesti da isadola d’anca nella sua riflessione della danza libera). Le fanciulle eseguivano pure danze con i fiori in onore di era e altre ispirate alla mitica danza delle ore con le braccia intrecciate.  Danza kalathiskos: Era una danza che veniva eseguita in onore delle idee della fertilità in questo caso le giovani delle famiglie nobile, danzavano recando sulla testa cesti di oggetti sacri. Indossavano sempre vesta leggere. -La coreutica: Cioè l’arte della danza, era presente nei rituali iniziatici, purificatori e apotropaici e nelle danze che avevano come scopo quello di stabilire un contatto con le divinità. Quindi quella che si pratica in questo ambito è la danza astratta, una danza vorticosa, scomposta, disarmonica, che attraverso il movimento cerca di far raggiungere al danzatore e a chi osserva l'estasi (Stesse caratteristiche della danza primitiva).  Danze dionisiache: Erano tra le più importanti, in onore di Dionisio dio della rivegetazione e dell'ebrezza, le origini di queste danze erano Ionio-asiatiche, ed erano prevalentemente a contenuto satirico e orgiastico, si celebrava la natura, il flusso della vita e lo stato di natura dell’uomo, nella sua parte più selvaggia e animale. -Gli adepti (satiri) e le adepte (menadi) eseguivano durante certi periodi dell’anno, soprattutto all'inizio della primavera riti notturni chiamati oribasie, vagando per i boschi in uno stato di ebrezza, cantando e ballando al suono dell’aulos. Tutto tramite il sacrificio rituale di un animale, di cui bevevano il sangue, e attraverso il vino, la danza e il canto.  Le mendi : entravano in uno stato di entusiasmo divino, esaltazione ispirata, che le metteva in contatto con Dio. Queste danze dionisiache sono raffigurate in molti vasi e in molte statue e bassorilievi nella Grecia classica, come possiamo vedere nelle immagini queste figure di menadi avevano delle vesti leggerissime. Uno degli elementi distintivi della danza scomposta e non armonica è la testa rivolta indietro (che non è il canone della bellezza classica). La postura delle baccanti nel momento di maggiore frenesia ispirata dal dio è anche confermata dalle descrizioni letterarie (capelli scompigliati, gambe divaricate, testa all’indietro). Spesso le mani impugnavano nacchere o sonagli o tamburi e strumenti a percussione che servivano ad aumentare l'enfasi del movimento.  I satiri : Come possiamo vedere Esibivano mascheramenti animali da capro, avevano posture contorte e grottesche, curve in avanti con una gamba sollevata e quasi sempre sonavano l’aulos o recavano il tirso (un bastone rituale, sormontato da una pigna e adornato di edera, di significato fallico, portato spesso dalle menadi). -Misteri Orfici: erano danze simili ai riti di tipo religioso dionisiaco, avevano questa tipologia di coreutica molto esasperata, queste bordate di tipo statico, ma più contenute nelle manifestazioni cinetiche, avendo come finalità il raggiungimento di una comunione con dio. Erano delle cerimonie di iniziazione al culto di particolari divinità, eseguite da gruppi di iniziati, riuniti in un contesto privato e ristretto chiamato thiasos, si svolgevano con canti musiche e danze estatiche di livello cinetico e cinesico più contenuto, anch’esse con la finalità di raggiungere un contatto con Dio. -parte III -Il teatro greco e le danze teatrali, come la danza entra nella rappresentazione nella società antica: La danza era considerata un elemento fondamentale delle tre forme del teatro greco: tragedia, commedia e dramma satiresco. Di queste tipologie spettacolari rappresentative ci parla Aristotele in particolare nella tragedia nel quinto e nel sesto libro della “poetica” (che rimane una delle fonti principali per comprendere la teatralità e l’idea di rappresentazione dell’antica Grecia). una pratica sconveniente sia se praticata privatamente, ma ancora di più se praticata in situazioni sociali. Successivamente anche i romani furono conquistati dai mimi e dai danzatori di origine greca e orientale, e la danza è la pantomima di provenienza medio orientale diventarono proprio la tipologia spettacolare più apprezzata nell’età imperiale. -Due tipologie coreutiche che venivano praticate a Roma:  Danze guerresche: erano danze che servivano anche per allontanare gli spiriti maligni -Bellicrepa: era una sorta di Pirrica inventata dallo stesso Romolo in ricordo del ratto delle Sabine. -Saltatio salica: era armata e si tratta della più antica e nobile danza sacerdotana romana eseguita dai sa ertosi salii (dal verbo salire che vuol dire apponto saltare, ballare) nelle cerimonie che si svolgevano da marzo a ottobre che corrispondeva alla campagna guerresca apertura e chiusura delle guerre. -lusus troiae: (gioco di Troia) era una danza guerresca a schieramenti in cui partecipavano tre schieramenti di giovani cavalieri armati che appartenevano alla nobiltà romana, era collettiva che prevedeva l’imitazione della battaglia con le armi e che aveva una struttura complessa.  Danze propiziatorie : erano danze che venivano fatte per la fertilità, il raccolto, per un periodo di abbondanza nella società. -Lupercalia: danze di origine etrusca, erano feste di purificazione e fecondazione svolte nel mese di febbraio. -arvalia: cerimonie del periodo di maggio, i sacerdoti arvales eseguivano dei sacrifici alle divinità agresti. -ambarvalia: gli stessi sacerdoti eseguivano le cerimonie di purificazione dei campi che si teneva a fine maggio, in onore della dea celere, erano danze di carattere astratte e propiziatorio. -Parte II Quali sono le forme di danza rappresentativa? Tra le forme teatrali più preistoriche dell’età romana, quasi tutte mutate dalle altre civiltà italiche ci sono:  Satura : spettacolo popolare che comprendeva buffonerie, danze canti e dialoghi.  Fabula atellana: basata sull’improvvisazione di attori dilettanti, che usavano delle maschere fisse.  Fescennini: tipologia spettacolare grossolana più lasciva basata su scambi di battute veloci e molto elementari, ma di carattere grossolano e più ammiccante, nei quali la danza aveva un ruolo importante, lo stesso il canto.  Spettacoli di mimi etruschi: come abbiamo già parlato precedentemente, era una danza molto sviluppata e basata sulla mimicità e gestualità, dove la rappresentazione e la vicenda era delegata appunto alla danza e alla gestualità. Abbiamo molte fonti che ci riportano alla pratica dei mimi etruschi presenti a Roma, una molto importante è quella di Tito Livio dove nel suo lavoro “Abur de condita”, ci testimonia, dei mimi etruschi che danzavano al suono della tibia e che furono proprio chiamati ad esibirsi a Roma. Da questa pratica dei mimi etruschi si sviluppò un tipo di spettacolo nei quali gli istrioni, si dedicavano a delle rappresentazioni (quasi tutte basate sulla gestualità accompagnate da musica e con inserti narrati, non dagli istrioni ma da un narratore esterno che aiutava lo spettatore a comprendere la vicenda) dove attraverso la gestualità sia singola, che in rapporto con altri attori, rappresentavano delle scene imitative anche complesse, grazie all’eloquenza del gesto rappresentativo. -A partire dal II a.c con la conquista della magna Grecia e poi della Grecia, cominciarono a consolidarsi rapporti più intensi con la cultura ellenica, tanto che non solo le opere d’arte ma anche le scritte di filosofi, letterati, pedagoghi e artisti cominciarono ad affluire a Roma, diventando parte integrante della cultura romana e questo permise il raffinamento del gusto romano. Molti attori, musicisti, mimi greci e orientali iniziarono ad esibirsi e ad impartire danze di musiche ai fanciulli delle famiglie più importanti della città, si esibivano con strumenti a persuasioni simile alle nacchere. I romani soprattutto i patrizi si interessarono a queste pratiche performative in particolare alla danza. -Lo sviluppo delle scuole in cui si insegnava recitazione e danza diventarono molto ampie, tanto che nelle scuole tradizionali romane si cominciò ad avere preoccupazione per questo troppo interessamento in queste pratiche performative.  Discorso di Scipione l’Emiliano: “Ricevevano insegnamenti indecenti degni di ciarlatani, vanno a scuola tra gli attori di teatro, tra giovinetti lascivi con arpa e Salterio, imparano a cantare, tutte cose che i nostri antenati reputavano infamanti per persone libere. Fanciulle di famiglie libere e vergini vanno a scuola di danza tra giovani depravati. Quando qualcuno mi raccontava queste cose, non potevo credere che uomini nobili insegnassero simili cose ai propri figli, ma condotto in una scuola di danza, vidi più di 50 ragazzi e tra loro un figlio di un candidato politico, di circa 12 anni che danzava accompagnandosi con i cròtali (strumenti a percussione) una danza che uno schiavetto impudico non avrebbe potuto danzare salvando la decenza, e provai compassione per la Repubblica.” Egli si batteva per chiudere le scuole di danza dove secondo lui, i giovani delle famiglie più importanti venivano traviati da questi attori, che gli impartivano lezioni con comportamenti sconvenienti, che non erano adatti alla classe sociale a cui appartenevano. La misura presa da emiliano ci dà un'idea di come ci fosse l'avversità ad accogliere una pratica e una cultura che non era propriamente quella originale, quella della frazione che veniva sentita comunque qualcosa di strano o di straniero, di barbaro. Questa decisione di limitare o di abolire l'uso della scuola della danza si rilevò inutile, dal momento che orami il gusto per la musica e la danza di origine greca assai più elaborata nelle forme autoctone romane, si era diffusa in maniera irreversibile fra i romani. La danza iniziò ad essere quindi praticata nelle famiglie nobili romane, in particolare dalle matrone romane, molti furono anche gli esponenti di casate illustri tra cui uomini d’armi e esponenti politici molto importanti che cominciarono a nutrire una passione, in alcuni casi ossessiva, per la musica per la danza e per la poesia, addirittura spingendo il dilettantismo fino al virtuosismo più estremo. Queste pratiche che venivano assimilate da culture esterne proprio perché più ricche e più accattivanti rispetto a quelle autoctone, cominciarono a cambiare e ad innestarsi profondamente nella cultura romana. Allo stesso modo si diffuse l’uso di far intervenire musici durante i banchetti. -Parte III A Roma, per quanto riguarda la tipologia delle rappresentazioni di tipo teatrali, avevano una sua nicchia di élite tra le famiglie più nobili romane quindi la tragedia e la commedia venivano praticate in ambienti e in situazioni ristrette.  L’actor: è il personaggio rimandato all’interpretazione della tragedia, un attore non professionista appartenente all’élite romana, che si prestava ad agire sulla scena con un intento educativo. Egli usava una maschera, perché non doveva essere riconosciuto, poiché era una pratica non professionistica. Viceversa il gusto romano per la rappresentazione, era quasi completamente riversato nei confronti di quelle tipologie rappresentative che derivavano dalla cultura più orientale, in particolare:  Il Mimo: che erano un’eredità della commedia atellana, tratta dalla mitologia o dalla vita quotidiana la rappresentazione era affidata non solo alla parola e al canto, eseguiti dallo stesso attore, che si dedica molto anche alla gestica e alla recitazione corporea, danza accompagnata dal tibicen. In più c’era la presenza della maschera  La Pantomima: Era un genere spettacolare Introdotto intorno al 22 a.C. da due mimi di origine orientale, Pilade e Batillo che divennero ben presto gli idoli degli spettatori romani e furono tra i pochi istrioni che godettero di privilegi importanti e come fossero, di volta in volta, protetti dalle famiglie più importanti di Roma e acquisissero quindi un privilegio sociale che non era assolutamente normale e scontato per l'istrione. Nella pantomima che a differenza del mimo si toglie la maschera c’è un solo attore danzatore (danzatore che non parla) e che quindi delega la rappresentazione esclusivamente al gesto. Il termine pantomima sta a significarmi che tutto era esclusivamente gestuale, tutto mimato, nessun intervento poetico e recitato se non raramente da un narratore esterno, quindi questo attore danzatore era da solo, accompagnato avvolte in scena da un musicista, altre volte invece era egli stesso ad eseguire il ritmo o con strumenti a percussione e si dava il ritmo della recitazione da solo. Questo danzatore narrava un racconto che normalmente era ricavato da un repertorio tragico, dal mito, dalla storia oppure anche dal repertorio della commedia classica e attraverso una complessa recitazione gestuale e simbolica rappresentava una vicenda sulla scena. Molta della sua interpretazione era demandata alla mimica facciale per questo il pantomimo si toglie la maschera, perché per rappresentare una scena più complessa, dal punto di vista drammaturgico uno si deve affidare alla possibilità più ampia di interpretazione e ovviamente alle molteplici proprietà dell'uso del volto che servono a far comprendere allo spettatore gli stati emotivi del personaggio. Un'altra pratica che aiutava l'attore nell'efficacia della sua rappresentazione era la cheironomia cioè l'uso della gestualità espressiva delle mani e del gesto, quindi rimandato agli arti superiori. Il pantomimo che interpretava tutti ruoli, solitamente inscenava delle rappresentazioni, delle storie in cui intervenivano diversi personaggi, che ovviamente rappresentava sempre lui stesso con dei cambi di veste, per cambiarsi di abito e cambiare quindi ruoli, erano previsti degli interludi musicali, in cui l’attore si cambiava. Spesso c’erano dei commenti cantai o recitati affidati ad un interprete o a un coro esterno. Il pantomimo si dedicava a mimare e illustrare la vicenda che magari era stata precedentemente sintetizzata da quello che aveva cantato il coro fuori, erano presenti anche solitamente dei musicisti, che suonavano strumenti a fiato o a corde e strumenti a percussione che battevano il tempo scenico all’attore.  Pilade e Batillo storia : Il pantomimo è quindi il primo professionista della storia della danza, un istrione che si dedicava alla rappresentazione esclusivamente attraverso il corpo. Pilade e Batillo, i due pantomimi che introdussero questo genere rendendolo famoso nella cultura romana, inoltre ci fanno comprendere e capire una figura piuttosto moderna di attore. Pilade e Batillo appena arrivarono a Roma diventarono gli idoli del pubblico e cominciarono le chiacchere tra chi si identificasse di più nella tragicomicità di Pilade e chi preferiva la comicità di Batillo, ci furono scontri verbali accesi tra le due fazioni. In questo senso per non doversi dividere il gusto del pubblico, i due, si inventarono un’idea di sopravvivenza moderna, furono i primi a comprendere che se volevano una propria nicchia di popolarità riservandosi un ambito di esecuzione e di apprezzamento del pubblico, capirono che era più intelligente e funzionale specializzarsi in un repertorio in modo da non dover competere gli uni con l’altro. Pilade così si dedicò specificatamente al repertorio tragico e Batillo si dedicò al repertorio comico, riuscendo così ad accaparrarsi il favore totale del pubblico. Il mimo la pantomima sono i due generi coreutici più importanti ai quali si fa appartenere la tipologia della danza rappresentativa. Mimo: Dalla commedia Atellana, tratta dalla mitologia o dalla vita quotidiana la rappresentazione era affidata non solo alla parola e al canto, eseguiti dallo stesso attore, che si dedica molto anche alla gestica e alla recitazione corporea, danza accompagnata dal tibicen. In più Presenza della maschera Pantomima: guarda slide -Parte 4 -La danza cultuale: i baccanali e i misteri  I baccanali: erano una tipologia performative nella quale la danza aveva un ruolo fondamentale, si celebravano danzando i misteri dionisiaci, quindi il culto derivato dalla Grecia del dio Dioniso che nella cultura romana viene denominato come bacco, quindi una celebrazione cultuale religiosa dedicata al suo bacco, un cerimoniale che viene assimilato dai riti dionisiaci della cultura greca. I baccanali inizialmente si tenevano 3 volte l’anno e all’inizio della loro pratica della cultura romana venivano eseguite dalle matrone romane che avevano un atteggiamento molto moderato, si trattava infatti di riti molto sobri perché celebrati attraverso la figura di queste matrone. Ma presto il rito degenerò in processioni e orge notturne in presenza di uomini e di donne, questi baccanali cominciarono ad essere eseguiti più volte all’anno e più volte al mese, diventando una pratica ricorrente e perdendo questo carattere elitario, diventando una pratica popolare. -Come possiamo vedere anche nei basso rilievi i baccanali venivano concepiti come una sorta di processione nei quali si alternavano uomini e donne con atteggiamenti lascivi ed erano mirati ad immedesimarsi nell’ebrezza che il dio bacco ispirava. Si trattava di cortei professionali coreutici che si sviluppavano con movimenti di danza astratta e disarmonica riprendendo le caratteristiche delle danze primitive, dove tendevano a raggiungere un contatto, tramite questo movimenti vorticosi, il dio bacco. -La musica e il musicista che accompagna le danze di queste sacerdotesse di bacco fosse un elemento fondamentale perché la musica contribuiva a innescare quella immedesimazione soprannaturale, quello straniamento che il danzatore doveva arrivare a perseguire per mettersi in contatto con la divinità, vesti molto leggere che fanno intravedere il corpo movimenti disarmonici, testa reclinata all’indietro con la chioma libera. Queste processioni dovevano stabilire un contatto con il dio sia con il danzatore che con chi osservava. giullare non è del tutto appropriato poiché venne coniato successivamente. Quindi questo performar che già dall'antica Grecia esiste, ma che verrà completamente assimilato e sviluppato come idea di attore professionista nella società romana, senza subire alcun cambiamento nella cultura medievale viene definito performer, cioè colui che fa della professione non solo attorica ma della professione delle arti performative un mestiere. La sua arte cinesica incarna l'eredità della saltatio antica che si innesta nella spettacolarità diffusa medievale. la tradizione saltatoria infatti rimane appannaggio dei giullari. Le feste e quindi momenti di danza popolare si concentrano in determinati periodi dell'anno: calendimaggio, soltizio d’estate, vendemmia e carnevale, qua torna l'idea che la spettacolarità e la festività di tipo ancestrale, che sarà il momento specifico della festa medievale.  Ballo rituale di tipo liturgico: Si può individuare in questo ambito l'uso che la cultura cristiana seppe fare della danza, per agevolare la comprensione della liturgia da parte dei fedeli, vediamo appunto come esempio le condanne di Sant'Agostino, troveremo poi delle deroghe alle interdizioni, alle proibizioni di praticare la danza all'interno della Chiesa, proprio perché si comprenderà come un'arte completamente mimica, che non si affida a nessun linguaggio, ma che può essere compresa da tutti, sia quindi fondamentale e necessaria per riportare l’interesse del popolo verso la liturgia cristiana, dal momento che inoltre il latino in quel periodo non esiste più come lingua corrente e che quindi rimane appannaggio della liturgia cristiana che si allontana dai fedeli. -Parte II La danza teatrale medievale: Lo spettacolo alto medievale mantiene una certa continuità con la pratica teatrale dei popoli antichi, caratterizzata completamente in età imperiale romana dall’uso cinetico del corpo. L’edificio teatrale romano dal 55 a.c. aveva ospitato la pantomima, come abbiamo visto, con uso di strumenti musicali che dettavano il ritmo dell’esecuzione. Questo portò al decadimento del teatro della parola, quasi completamente sostituito dall’idea della spettacolarità visiva, poiché passa attraverso ai sensi. Cosa succede invece nel Medioevo? In esso si “trasferisce” inalterato l’istrione romano, con tutte le caratteristiche che lo avevano identificato fino ad allora (l’attore danzatore della tarda latinità non è un’interprete ma una presenza corporea che dismette i panni della ritualità sacra romana). Egli non apparteneva al tessuto sociale, perché non aveva un ruolo specifico in esso; per questo motivo, era considerato un soggetto da temere. Allo stesso tempo però l’istrione, il performer, era anche oggetto di venerazione (come lo erano stati Pilade e Batillo). Il perfomer medievale era portatore di una forma di spettacolarità parateatrale, con tutte le differenziazioni possibili immaginabili. Altra importante differenza da segnalare è quella dell’uso del teatro: -Per i romani era un luogo che rappresentava il potere dell’imperatore, centro della città, edificio che doveva essere sotto gli occhi quotidianamente, poiché il potere dell’imperatore è inconvente all’interno della civiltà, quando il potere dell’imperatore decade il teatro non ha più un senso. -In epoca medievale invece la spettacolarità si diffonde nel tessuto sociale (spettacolarità diffusa), urbano, e non in relazione all’edificio teatrale in sé. Il luogo dello spettacolo non è più il teatro, ma cambia di volta in volta: la chiesa, lo spazio intorno ad essa, il mercato, le strade della città, che diventano luogo dello spettacolo e al termine di esso tornano ad essere luogo della vita quotidiana e sociale. -Parte III La condanna morale dell’attore e il performer medievale: La condanna morale dell’istrione era già presente nell’età romana, con egli che veniva percepito come un personaggio degradato che aveva del tutto disatteso le caratteristiche del teatro letterario (di parola), quindi la rappresentazione sarà esclusivamente visiva, l’actor godeva di maggiore credito, non era un professionista ma un dilettante che dedicava la sua arte oratoria a istruire e tramandare un messaggio educativo attraverso la rappresentazione di un repertorio che si rifaceva alla classicità greca. Con l’avvento del Cristianesimo le invettive contro il teatro si fanno più pesanti, in particolare contro la danza che faceva della rappresentazione una pratica esclusivamente corporea. -Una delle invettive più importanti fu quella di sant’Agostino, il quale sosteneva che la danza rimaneva un culto pagano anche se veniva praticato nelle chiese. Questo si collega al discorso di prima, cioè che nel Medioevo la danza si rifaceva molto ai culti pagani e ai riti propiziatori, riprendendo usanze anche molto antiche, ancestrali. La Chiesa era consapevole di non poter estirpare questa cultura della società, e per questo inserì le celebrazioni antropologiche nella propria liturgia. Questo trasformava i riti pagani in riti cristiani, “rubandone” i contenuti. Tornando alle accuse, l’istrione veniva criticato per l’uso illecito del suo corpo, per spettacolarizzare l’esecuzione rendendolo un mezzo di lavoro (paragone con meretrici). Una così aspra invettiva può essere compresa se si osservano le condizioni del teatro all’inizio del Medioevo: come abbiamo detto, dal 5 secolo non si ha più un teatro in senso stretto bensì una spettacolarità diffusa, con il trionfo del genere erotico, prettamente performativo che non si basa su alcun supporto testuale solido e che si riferisce a situazioni erotiche e licenziose i cui spesso si hanno le donne come protagoniste sulla scena. Nel Medioevo le diverse tipologie degli attori tardo-antichi si trasformano in una specie di “serie di abilità” (quindi non più un’attività precisa come poteva essere la pantomima, ma ci si riplasma in un istrione polimorfico), all’interno della figura di un istrione polimorfico e polifunzionale. Le capacità dell’istrione spaziavano dalla gestualità narrativa alle acrobazie, dall’imitazione al canto, fino all’esecuzione strumentale. Una specifica specializzazione non era un connotato di acquisita professionalità, bensì era considerata una limitazione di repertorio. Avere più capacità permetteva di poter soggiornare più a lungo nelle città, perché si potevano fare tanti spettacoli diversi. Gli attori dell’alto Medioevo sono dunque portatori di una teatralità diffusa. -Parte 4 Abbiamo due considerazioni importanti:  Critica di Sant’Agostino : invettiva contro la pantomima, presa per strumentalizzare una sua critica alla rappresentazione. Egli dice che se i segni fatti danzando dagli istrioni fossero stati di origine naturale e non per accordo tra gli uomini, non sarebbe stata necessaria la presenza di un dicitore che spiegasse il significato di tali gesta. In realtà ciò non è proprio esatto; sappiamo infatti come gli attori fossero molto chiari nell’esposizione, al punto che nella società romana venivano considerati eloquenti quanto gli oratori.  Critica di Ugo da San Vittore : Egli cerca di spiegare ai suoi novizi (allievi) come si debba usare il gesto in maniera propria all’interno della liturgia, per facilitare la comprensione dei passi dei dogmi della Chiesa (dicevamo prima che la Chiesa capì come i gesti fossero importanti per far comprendere ai fedeli determinati argomenti). Ugo dice che per avere gesti consoni all’ambiente ecclesiastico non bisogna fare ciò che gli istrioni fanno nelle città, ovvero l’uso non consono del corpo (in particolare la sua deformazione). Presi particolarmente di mira gli atti di storcere il labbro, roteare il corpo e gli occhi, scuotere il capo e scompigliarsi i capelli. Il canto e la danza definita ancora Koros, erano presenti comunque nelle veglie dei primi cristiani, cosa che ci viene “detta” grazie alla presenza di mosaici e pitture nelle tombe cristiane del 2 e 3 secolo. Si sa che a lungo furono presenti balli nella liturgia, eseguiti nel chiostro o davanti all’altare (idea di coro del teatro greco). Durante il periodo pasquale si eseguivano rituali guidati da personaggi che ballavano e trascinavano il corteo. In questi cortei, seguendo la pavimentazione (generalmente a mosaico) si cantava e si ballava in forma sinusoidale. Da quello che sappiamo dunque nei primi tempi della cristianità la danza era considerata pratica lecita anche all’interno delle chiese, utile per avvicinarsi alle divinità attraverso la gioia dello spirito. Come abbiamo visto però, col tempo le cose cambiano e la Chiesa comincia a condannare la danza in quanto si era iniziato ad eseguirla attraverso un uso non consono del corpo. Non c’era più la gioiosità del movimento che avvicinava a Dio, a favore invece di un uso improprio del corpo che portò la Chiesa ad ostracizzare la danza (anche in senso monumentale, ovvero non si poteva più ballare dentro le chiese). Cacciata dalla chiesa, la danza si rifugia dunque all’esterno: sul sagrato, ad esempio, sebbene anche questa fosse una pratica non ben vista dalla Chiesa visto che era il luogo dove passavano i fedeli per entrare nella casa di Dio. Tutte le critiche che abbiamo visto precedentemente si scagliarono in particolare contro le donne che danzavano. -Parte 5:  Ma quale era il repertorio di mosse degli istrioni medievali ? Mostrare la lingua, fare smorfie con la bocca, inarcare le sopracciglia, ribaltare gli occhi nelle orbite, sono tutti elementi di una tecnica cinesica usata dal giullare per trasformare il volto in una maschera capace di subire rapide metamorfosi. Il tutto per indurre il pubblico a ridere, subendo quindi una sorta di catarsi. La Chiesa riteneva pericolosa la visione di questi spettacoli perché capaci di farci vedere le cose senza però la mediazione dell’intelletto, che viene estorto da una visione dell’occhio che stimola invece la nostra emotività. Altri movimenti tipici erano i ribaltamenti del corpo, mettendo sopra ciò che sta sotto e viceversa, sempre nell’ambito di movimenti irregolare e acrobatici. Di questa categoria facevano parte le tecniche del ponte e della verticale. Il giullare era sempre accompagnato dalla musica, eseguita da strumenti o percussione. Possiamo dunque dire che il giullare era un danzatore, perché faceva tutto con il corpo e con i gesti. I balli del giullare potevano essere solistici oppure comuni, processionali o a cerchio, che coinvolgevano gli spettatori. Con tutto questo, in poche parole, il giullare sconvolgeva il Codice civile della società in cui operava, ribaltandone i canoni ma anche stimolando la riflessione su quanto essi fossero giusti. Gli spettacoli dei giullari, tra il XII e XIII secolo, cominciarono ad includere anche una dimensione drammaturgica con il giullare che cominciava a porre in scena dei caratteri differenziali, accompagnando l’azione con una gestualità precisa per ogni categoria umana rappresentata. Questo provocò la nascita di una micro-drammaturgia, che poi si sviluppò particolarmente soprattutto in Francia. Tra queste rappresentazioni coreutiche rappresentate dai giullari abbiamo: Le ballate: composizioni poetico-musicale al ritmo delle quali veniva eseguita una semplice danza pantomimica. Il contenuto del testo era quindi tradotto in gesti dal giullare, che spesso interpretava più personaggi. Si riferivano generalmente ad uno scontro amoroso, il giullare in queste rappresentazioni poteva far partecipare anche persone del pubblico. Oltre alle ballate c’erano anche altre composizioni: i Rondò: composizioni musicali monodiche che prevedevano dei ritornelli, con balli cantati eseguiti in coro (tipologia del cerchio), che nasce in ambito medievale e si rifà alle danze ancestrali, che poi viene codificata nel medioevo, composto da storie semplici e ritornelli prevedeva un esecuzione coreutica precisa per la strofa, e sempre la solita esecuzione coreica che si ripeteva nel ritornello sempre uguale, magari la prima volta fatta in maniera solistica e la seconda volta con altri interpreti e la terza volata in maniera corale. Un’altra forma coreutica importante era: La càrola: nel Decameron di Boccaccio viene riferita al termine, che significava “danzare in cerchio”. -Parte 6:  LE DANZE DI ISTERIA: Si tratta di danze che si riallacciano direttamente alla pratica coreutica primitiva, propiziatorie e astratte, che vengono recuperate nel Medioevo dopo che erano state soppiantate dalla danza rappresentativa nel mondo greco e romano. Oltre che occasioni di divertimento e incontro, la danza era anche espressione di fervore mistico per il popolo, in un’epoca caratterizzata da una forte inquietudine sociale. Si creavano lunghi cortei di vecchi, giovani, donne e uomini che percorrevano le strade danzando convulsamente e contagiando con il loro movimento straniante gli spettatori che assistevano. Queste danze furono poi definite “di isteria religiosa” e comprendevano:  Il Ballo di San Vito  Il ballo di San Giovanni  La Tarantella : sempre nello stesso periodo si sviluppò anche il tarantismo, una danza che durava ininterrottamente per giorni e giorni e che serviva per espellere tutto il veleno se si veniva morsi da una taranta. Questo rituale affondava le sue radici in un passato antico, primitivo, e intendeva la danza come rito purificatorio e terapeutico. Il ballo della taranta veniva indicato nelle fonti più tarde con il nome di Tarantella. L’iconografia definisce questa danza come di carattere ossessivo, che terminava con lo sfinimento come segno di avvenuta purificazione. -Interessante a questo proposito la testimonianza di Giraldo Cambrense nel suo “Itinerarium Cambriae” del 12 secolo, che durante i suoi viaggi ebbe modo di assistere a queste danze. Egli parla di uomini e donne che si gettano a terra restando immobili, poi saltano su, come presi da furore e imitano i lavori proibiti nei giorni festivi; infine essi entrano nella chiesa e portano offerte all’altare, risvegliandosi stupefatti e ritornando in sé. -Nell’XI e XII sono sempre più frequenti le testimonianze di uomini e donne che, presi da un impulso irresistibile, si mettevano a danzare nelle chiese o nei cimiteri, fino a che non si fermavano in uno stato di incoscienza per poi svegliarsi senza ricordarsi niente di ciò che era loro successo. Un altro genere particolare che può essere associato a questo tipo di danza è:  La danza macabra : in riferimento appunto alla tomba e all’ambiente del cimitero. Si tratta di un ballo isterico a tutti gli effetti, che aveva come tema fondamentale quello della morte; venivano eseguiti nei luoghi celebrativi, come le chiese e i cimiteri. Il messaggio principale della danza macabra è che la morte è un qualcosa di incombente che prima o poi spetta a tutti, senza fare distinzione di situazione sociale. In una civiltà in cui le disparità sono enormi, la morte è l’unico elemento democratico. Le danze macabre venivano eseguite in modo processionale, con l’alternanza dei protagonisti della vita sociale quotidiana (quindi tutte le classi sociali) e dei giullari, che rappresentavano la morte. I primi avevano movimenti sobri e armonici, mentre i secondi assumevano posture disarmoniche. -Parte 7 (prima parte)  IL REPERTORIO DELLA DANZA MEDIEVALE Nei documenti trecenteschi sono riportati alcuni tipi di danza tipici, le danze medievali avevano una struttura semplici con passi ritmici e figure schematiche ripetute, potevano essere ripetute in cerchio o in fila. caratterizza in modo gerarchico, esclusivo, elitario l’appartenenza a una classe sociale nobile. Il ballo all’interno delle corti quattrocentesche scandisce il tempo del principe, si inserisce all’interno di momenti importanti della famiglia nobile, diviene il mezzo attraverso cui la corte si rappresenta all’esterno. Gli elementi fondanti del Quattrocento, per quanto riguarda la danza, sono fondamentalmente tre e legati tra di loro: Balli spettacolari all’interno delle feste di corte → maestro di danza (sviluppo dell’istrione medievale) sempre più presente all’interno delle corti con il compito di educare, in linea con il carattere pedagogico che la danza aveva ormai assunto → Primi trattati sulla danza, nati dalla necessità di riconoscere formalmente il ruolo del maestro di danza e legittimare la disciplina che egli rappresenta. Questo processo di codificazione della corte in senso umanistico ebbe luogo al principio soprattutto nelle corti del nord Italia, che si dimostrarono più all’avanguardia rispetto alle altre europee. Grazie all’intensificarsi dei commerci e all’affermarsi dell’Umanesimo, l’Italia conobbe una magnifica fioritura delle arti e della cultura. Rispetto alle corti del Medioevo, si cambia la prospettiva di ciò che si vuole rappresentare: se nelle prime il prestigio era dato dalla potenza militare e dai possedimenti territoriali, nelle seconde l’eccellenza deve essere dimostrata attraverso un comportamento raffinato, attraverso la conoscenza delle lettere, della musica e soprattutto della danza. Questa infatti diviene un requisito fondamentale dell’educazione in quanto consente di atteggiarsi in modo giusto nei confronti della società, acquisendo un comportamento consono ed elegante che dimostra come il nobile abbia consapevolezza del proprio corpo, non considerandolo come fisico ma come “contenitore” della propria spiritualità. MAESTRI DI DANZA E TRATTATI Come abbiamo detto è proprio nel Quattrocento che vengono prodotti i primi trattati sulla storia della danza, che ci permettono di avere le prime fonti certe su di essa. Il Quattrocento, grazie a tali trattati, è il periodo in cui la danza diventa disciplina legittima, indipendente, scientifica, essenziale per conoscere le società perché appartenente alla loro cultura. I principali maestri che andremo ad analizzare sono Domenico da Piacenza, la cui opera si intitola “De arte saltandi et choreas ducendi”; Guglielmo Ebreo da Pesaro, con “De pratica seu arte tripudii”; Antonio Cornazzano con “Libro dell’arte del danzare”. I primi due erano maestri di danza, il terzo un funzionare della corte milanese degli Sforza. Domenico da Piacenza, “De arte saltandi et choreas ducendi”: è un trattato in forma manoscritta (visto che ancora la stampa non è stata inventata) che circola in pochi esemplari tra i membri della corte. Domenico da Piacenza visse e operò a lungo presso la corte estense di Ferrara, motivo per cui è chiamato anche Domenico da Ferrara. In questa corte, tra il 1441 e il 1455 ideò e scrisse il suo trattato. Il titolo in latino serve per dare l’idea di una cultura alta e per riprendere i termini antichi della danza, il tutto sempre al fine di legittimare la disciplina. Il riferimento è alla saltatio dei romani e al choreas dei greci. Il trattato si presenta come una speculazione filosofica. Guglielmo Ebreo da Pesaro, “De pratica seu arte tripudii”: questo maestro, come capiamo dal nome, inizialmente era ebreo e poi si convertì al Cristianesimo cambiando il nome in Giovanni Ambrosiano. Era un allievo di Domenico da Piacenza e come lui titola in latino la sua opera, che poi invece (come la precedente) è scritta in lingua volgare. L’opera tratta la pratica della danza come un’arte, supportata da un pensiero filosofico. “Tripudium” è un altro termine con cui ci si riferiva alla danza nella latinità. Questo trattato contiene l’unica iconografia diretta della danza nel Quattrocento. Antonio Cornazzano, “Libro sull’arte del danzare”: questo personaggio non era un maestro, bensì un funzionario degli Sforza di Milano. Nel 1455-65 ca. egli decise di fare un compendio dei due trattati precedenti per spiegarne i contenuti in maniera più semplice ed immediata, al fine di insegnarli alla figlia del capofamiglia degli Sforza. Questo trattato è molto importante per noi, in primis perché conferma quanto fosse importante la danza nelle corti e di quanto rappresentasse, prima ancora che un divertimento, un codice di comportamento (il nobile doveva avere l’arte del danzare tra le sue caratteristiche peculiari). Seconda di poi, il fatto che Cornazzano decida di semplificare i trattati dei suoi predecessori aiuta anche noi a comprenderli più facilmente, specialmente in alcuni passi particolarmente “oscuri”. La nuova posizione assunta all’interno delle corti spinge i maestri a rendere la danza una disciplina di alto livello, oltre che a dover ribattere le sempre presenti accuse della Chiesa. I primi due trattati sono concepiti in due parti: la prima è una trattazione filosofica dell’arte della danza, in cui si descrive la danza come una pratica spirituale, necessaria all’educazione del nobile. La danza deve essere riconosciuta come un’arte al pari delle altre arti liberali. La seconda parte dei trattati si basa invece sulla descrizione di alcuni balli, eseguiti anche nelle corti in cui i due maestri lavoravano. Non ci aspettiamo però di trovare spiegazioni di come eseguire la danza, perché tutto è limitato a una descrizione discorsiva del ballo focalizzata al massimo sul modo in cui le coppie si dovevano posizionare nello spazio. Non si trovano spiegazioni specifiche perché siamo comunque in un momento in cui il maestro si sta ancora inserendo nella corte; sebbene egli ne sia un elemento importante, il suo ruolo non è ancora stato legittimato e codificato in maniera formale. Domenico da Piacenza inoltre fu insignito del titolo di cavaliere, a dimostrazione di come il suo ruolo fosse diventato importante e simbolo dell’inizio della considerazione sociale del maestro di danza. Del trattato di Domenico non abbiamo una versione definitiva ma solo una bozza, come possiamo capire dall’impaginazione molto spartana. Lo si capisce anche da alcune correzioni a margine. Tutt’altra consistenza ha invece il trattato di Guglielmo Ebreo da Pesaro, che riesce a pubblicare il suo lavoro in una versione completa in tutti i suoi dettagli, in primis l’iconografia che rappresenta una fonte fondamentale per la storia della danza. NEOPLATONISMO E COREUTICA NEL QUATTROCENTO I due trattati analizzati finora si inseriscono in un determinato contesto che è quello filosofico del neoplatonismo, un recupero del pensiero platonico (dei classici) adattato alla nuova società cortese che si codifica nel Quattrocento. La riflessione filosofica e intellettuale del Quattrocento si basa principalmente sul recupero del pensiero Platonico, che invece era stato quasi del tutto accantonato nel Medioevo. Nel dipinto di Domenico Bigordi vediamo ritratti i maggiori artisti del Quattrocento: Marsilio Ficino, Girolamo Landino, Agnolo Poliziano e Gentile de’ Becchi. Il recupero del pensiero platonico ci fa capire in quale ambito si colloca la produzione dei primi maestri di danza. Vediamo quale era il contesto storico: nel 1438 si apriva il Concilio di Ferrara (spostato poi a Firenze) per trattare la riunificazione delle Chiese d’Oriente e d’Occidente. Ciò favorì l’arrivo a Firenze di intellettuali bizantini, che incentivarono la riscoperta dei classici greci, in particolare i testi di Platone. La figura determinante per la diffusione del Platonismo nel Quattrocento fu Marsilio Ficino, il quale rappresentò una figura di riferimento per tutti gli artisti che, nella Firenze dell’epoca, ruotavano intorno alla famiglia de’ Medici. Ficino tradusse e interpretò vari testi di Platone, commentando inoltre il Simposio, nel quale viene esposta quella teoria dell’amore che avrà una forte influenza sugli scrittori italiani del Rinascimento. Nel 1462 viene fondata l’accademia neoplatonica da Lorenzo il Magnifico, su idea del nonno Cosimo de’ Medici; l’accademia si poneva idealmente come erede di quella dell’antica Grecia fondata da Platone in persona. Venne donata a Marsilio Ficino la villa di Careggi per ospitarvi un cenacolo platonico. Dell’accademia facevano parte anche Pico della Mirandola, Angelo Poliziano e Cristoforo Landino. Il neoplatonismo riprende il pensiero di Platone integrato da altri elementi della filosofia greca e interpretato alla luce di parametri introdotti da Plotino e successori. L’idea era quella di onorare Dio attraverso la bellezza del creato, praticando le arti liberali. L’universo platonico era caratterizzato infatti dall’armonia tra le parti, data dalla proporzione tra di esse. In questo contesto si inserisce quindi perfettamente il concetto del recupero dell’attività coreutica come mezzo attraverso cui raggiungere l’armonia divina. Un elemento utile per capire il concetto di armonia del movimento è il patrimonio iconografico che lo rappresenta, al cui interno troviamo le opere di Sandro Botticelli in particolare “La nascita di Venere” e “La Primavera”. I due quadri furono eseguiti per Francesco de’ Medici e ambedue servivano a decorare la villa di Castello. La descrizione che ne dà Vasari è quella di due opere dipendenti l’una dall’altra che dovevano essere viste e concepite insieme. “La nascita di Venere” inaugura lo stile iconografico del Rinascimento, inserendosi in una serie di allegorie profane che rimandano alla filosofia platonica. I soggetti dei quadri cominciano a essere concentrati su personaggi che appartengono alla mitologia, cosa che fino ad allora non era accaduto a favore invece di soggetti religiosi. Per questo motivo i due quadri di Botticelli vengono considerati l’inizio della cultura rinascimentale. La tela rappresenta l’arrivo della dea Venere, spinta da venti Eolo e Borea (a sinistra) sulla Terra, dove una delle ore (ninfe che personificavano le stagioni, a destra) corre a coprirla dalla sua nudità con una veste di fiori ed erbe che rappresenta la natura. Il senso profondo del dipinto risale alle teorie neoplatoniche: Venere rappresenta la bellezza spirituale, attraverso la dolcezza e la semplicità delle sue linee e la purezza della sua nudità. Il quadro è illuminato in modo molto rasserenante e armonico, la luce riempie tutto con la sua onnipotenza; la dea Venere mostra affinità con la Venere celeste di Platone, che apparteneva a una sfera immateriale e la cui bellezza apparteneva alla bellezza universale della divinità. Passiamo ora ad analizzare l’altro quadro di Botticelli, “La Primavera”. In questo caso la Venere ha un significato diverso: essa pare rappresentare la Venere volgare, intesa come naturale principio generatore della vita. A differenza della bellezza dell’altra Venere, immateriale, la bellezza di questa Venere è invece divina, che si realizza nel mondo corporeo e fa sì che noi possiamo risalire a Dio attraverso l’amore, percependolo con i sensi. Al centro del quadro si trova appunto Venere, stavolta riccamente vestita e ornata di gioielli. Sopra di lei il figlio Cupido nell’atto di scagliare una freccia intrisa d’amore. Il vento Zefiro afferra la ninfa, sulla destra, alla quale si unirà per generare l’esplosione di erbe e fiori della Primavera. A sinistra vediamo la danza delle tre Grazie (simbolo di bellezza, castità e piacere), perfetta rappresentazione della danza che veniva praticata nelle corti del Quattrocento. Nell’estremità sinistra si trova Mercurio, simbolo della ragione, facoltà esclusivamente umana che fa da tramite tra la Natura e Dio. Possiamo concludere dunque ribadendo che il neoplatonismo del Quattrocento portò all’idea di adorare Dio attraverso la bellezza per mezzo delle arti liberali, tra cui appunto anche la danza. Intima è la connessione tra etica e armonia: il corpo umano viene dipinto nella sua nudità senza intento erotico, ma per significare che l’armonia (bellezza) esteriore corrisponde a quella interiore. All’armonia ci si poteva avvicinare attraverso le sue incarnazioni terrene, date dalle arti che si fondavano sulla geometria; le danze di corte venivano quindi strutturate in maniera precisa e geometrica. In quanto sostenuta da uno scheletro matematico, geometrico, la danza fu elevata ad arte vera e propria. IL TRATTATO DI GUGLIELMO EBREO DA PESARO Analizziamo in modo approfondito il “De Pratica seu arte tripudii” di Guglielmo Ebreo da Pesaro. Nell’incipit notiamo subito la veste formale del trattato, l’accuratezza dell’impaginazione degna delle più importanti corti italiane. In carta 4 troviamo esternato l’intento e l’ispirazione neoplatonica del trattato, specificando quali sono le nuove regole da utilizzare affinché la danza venga considerata legittima. In carta 5 vengono elencate le sei regole della danza che corrispondono ai vari capitoli del trattato: misura, memoria, partire di terreno, aiere, mayniera e movimento corporeo. Capitolo I, Misura: si tratta del fatto che il danzatore deve eseguire dei passi che si adattino alla geometria del tempo musicale. Solo in questo modo la danza è legittima e quindi praticabile dal nobile. Questa teoria permette di cominciare a recuperare l’importanza della musica nella danza. Capitolo II, Memoria: qui troviamo la considerazione della danza intesa come arte liberale neoplatonica. La danza non è una pratica corporea ma dell’intelletto, e da esso deve passare affinché si possano ricordare i passi dettati dalle regole geometriche. Chi non lo fa non potrà riuscire a danzare in modo legittimo, cadendo invece in una danza ludica che non si basa sulla geometria ma sull’improvvisazione (quindi non accettata nelle corti). Capitolo III, Partire di terreno: si tratta di una regola fondamentale, che si riferisce al contesto spaziale in cui si pratica la danza. Occorre capire lo spazio in cui ci troviamo, avendone cognizione, al fine di muoverci di conseguenza e in modo sempre armonioso. Capitolo IV, Aiere: indica un atto di danzare molto leggero (idea dell’aria appunto), che non consiste nel saltare (era vietato) bensì nel muoversi leggiadramente utilizzando soprattutto gli arti inferiori per realizzare un movimento sollevato ma appunto leggiadro, dal significato spirituale. Questo modo di muoversi è fondamentale per arrivare ad un concetto di danza che possa essere legittimo e che possa sembrare a chi guarda degno di lode e armonioso. Capitolo V, Mayniera: si associa a quello dell’Aiere e ne rafforza il significato. Mayniera è il modo di danzare consono, con un’attenzione precisa non solo all’insieme della danza ma anche e soprattutto ai singoli passi. Nella successione dei passi, passando dall’uno all’altro, bisogna sempre mantenere il giusto atteggiamento e la corretta armoniosità del movimento coreutico. Capitolo VI, Movimento corporeo: in questo capitolo si fa una sintesi di tutto ciò che è stato detto finora, facendo notare come il movimento coreutico deve essere improntato all’armoniosità e come le regole precedenti servano tutte insieme per realizzare tale armoniosità. Dopo aver illustrato le sei regole del danzare, Guglielmo intraprende un cammino ideologico: continua la descrizione della danza neoplatonica mutuando proprio il linguaggio del filosofo, che è quello del dialogo. Abbiamo quindi da ora in poi un dialogo tra il maestro di danza (Guglielmo stesso) e il discepolo in cui vengono fatti degli esempi pratici delle regole elencate in precedenza. Questo dialogo serve a chiarire definitivamente eventuali dubbi emersi durante la lettura delle pagine precedenti. Come abbiamo già detto, nell’opera di Guglielmo alla carta 21verso abbiamo l’unica fonte iconografica dei trattati dei maestri di danza del Quattrocento. In questa immagine sono sintetizzate tutte le regole del danzare e inoltre c’è la musica, colei che ispira e dà la forma geometrica alla danza. Con questa illustrazione si conclude la prima parte del trattato e si passa alla seconda, dove vengono illustrati in maniera più tecnica i passi della danza e i balli che devono essere praticati dalla corte e come essi devono essere praticati. La parte seconda comincia con la tavola, cioè con l’indice dei balli che si devono eseguire (balli e basse danze). I balli vengono spiegati a parole, con discorsi generali poco chiari e poco tecnici, bensì filosofici. Questo perché così il maestro di danza continuava a essere indispensabile per imparare a danzare (se i balli fossero stati descritti troppo precisamente, si sarebbe diffusa l’autodidattica che avrebbe delegittimato i maestri). A seguire la trattazione delle danze c’è una canzone morale composta da Mario Filelfo, uno degli umanisti più importanti del periodo. Questa ode è dedicata all’arte di Guglielmo, che così decise di inserirla all’interno del suo trattato. Come conclusione del trattato sono riportate le musiche, in spartito, dei balli descritti in precedenza, in riferimento ancora una volta all’importanza che veniva data alla musica, che doveva essere specificatamente composta per il ballo. IL REPERTORIO COREUTICO DEL QUATTROCENTO Andiamo ad analizzare i vari balli in uso nel Quattrocento che ci vengono tramandati dagli autori suddetti. Il repertorio contiene sia danze teatrali che danze di genere, ovvero quelle danze che vengono utilizzate per l’intrattenimento. Le danze di genere sono astratte quando utilizzate per l’intrattenimento della corte, mentre diventano rappresentative quando vengono eseguite sul palco teatrale. Le principali danze di genere contenute nei trattati sono: bassa danza, Saltarello, Quaternaria (o Saltarello tedesco), Piva, Caròla, Ballata, Rondò e Brando. La danza principale è la bassa danza, in quanto unica a non avere un’origine popolare; essa nasce infatti all’interno della corte, inventata dai maestri di ballo appositamente per i nobili. E’ dunque ovvio che nei trattati dei maestri troviamo una prevalenza di basse danze, con tanto di spiegazione molto approfondita e musica. Le altre danze non sono spiegate così approfonditamente perché, in quanto popolari, appartengono già da tempo alla tradizione e quindi sono già ben acquisite dalla popolazione. Semmai viene spiegato come queste danze popolari, nel momento in cui entrano nella corte, vengano eseguite in modo diverso. Le danze più in voga erano il Saltarello (nella intrattiene e che da considerazione in modo alternato a tre o più cavalieri (da qui il concetto di “mercanzia degli amanti”). Sobria: era l’opposto della mercanzia, che prevedeva cinque uomini e una donna. La dama qui si attiene solo a colui che per prima l’ha condotta in ballo. E’ quindi una dama sobria, completamente dedita all’amore spirituale, che non si lascia distogliere dai corteggiamenti degli altri cavalieri rimanendo fedele al suo. LA MORESCA Una trattazione a parte la merita la Moresca, danza pensate esclusivamente per l’uso imitativo. Essa era praticata da professionisti che venivano chiamati all’occorrenza dalle famiglie nobili e che realizzavano acrobazie e movimenti molto difficili rappresentati combattimenti e scontri formali. Tali movimenti erano perfetti per intrattenere la corte e i suoi ospiti. A seconda del periodo storico-culturale in cui queste danze venivano eseguite, esse acquisivano caratteristiche ideologiche diverse. Si passa dal tema più astratto della lotta tra il bene e il male (chiaro e scuro) allo scontro tra i cristiani e gli infedeli (cioè i Mori e le popolazioni orientali che insidiavano il predominio della Chiesa cristiana). Passando all’analisi della danza in sé, particolare la presenza degli oggetti di scena che servono per rappresentare il combattimento; inoltre con il loro percuotersi sono fondamentali per dettare il ritmo della danza. I movimenti di scontro si esprimono attraverso l’avvicinamento dei due schieramenti che combattono nel centro, oppure si traducono in momenti di scontri individuali a coppia. Al centro c’è il coràgo, una sorta di direttore dello scontro che detta il tempo e le regole. Ciò che era importante nella Moresca non era solo la tipologia coreutica rappresentativa, ma anche l’abbigliamento diverso per i due schieramenti. Altro particolare dell’abbigliamento era la presenza di sognagli sotto il ginocchio o alle caviglie, che servivano per connotare in maniera esotica il danzatore e anche per dare ritmo alla danza. I danzatori tenevano in mano scudi e spade. LA DANZA NEL CINQUECENTO Tutto ciò che abbiamo trattato finora prende corpo in modo definitivo nel Cinquecento. In questo periodo, nelle corti del Rinascimento, la danza viene ufficialmente definita come l’etichetta della corte. Non è più un divertimento, ma un vero e proprio codice di appartenenza della corte, che chi ne fa parte deve conoscere. Ogni singolo membro della corte deve saper praticare la danza in modo corretto. Il corpo parla per le persone: se lo usi nel modo corretto significa che sei un nobile, in caso contrario che non lo sei. Fin dall’epoca medievale l’appartenenza alla corte presupponeva il rispetto di determinate regole di comportamento, denominate nel complesso con il termine “cortesia”. I costumi hanno subito un processo di perfezionamento nel corso del tempo, fino a generare un nuovo modo di concepire la vita del signore, in cui la spontaneità lascia posto alla regola codificata. In questo senso assumono un ruolo fondamentale i maestri di danza, che diventano i primari protagonisti di questa istruzione al comportamento nobiliare. Questo processo, come abbiamo visto, era iniziato già nelle corti italiane del 400. Il ballo (e tutte le altre attività pubbliche) è codificato nel trattato di Baldassar Castiglione “Libro del cortegiano”, un’opera in forma dialogica ambientato a Urbino e utile per formare il perfetto cortigiano (una sorta di galateo). Il cortigiano deve rimanere lontano dai livelli sociali che non gli appartengono, e che danzi nei modi appropriati della corte. Il cortigiano deve avere la caratteristica della danza e anche quella della sprezzatura, cioè un modo di comportarsi naturale. Ciò significa che il cortigiano deve agire secondo un’etichetta ben precisa ma in modo spontaneo, senza far vedere che si tratta del risultato di mesi di studio. Quello che il cortigiano deve riuscire a fare è dunque avere un comportamento impeccabile che risponde a determinati requisiti e che sia il risultato di un allenamento molto duro che inizia fin dai primi anni di vita; tutto questo non deve però essere visibile, gli altri non devono sapere che dietro a tale comportamento c’è un lavoro di istruzione. Questo concetto rientra sotto il termine di “corpo parlante”, ovvero un corpo che è specchio non di un allenamento duro (anche se è vero) bensì di una qualità innata in quanto nobile. Un’altra opera molto importante del 500 che si focalizza totalmente sulla danza come pratica nobile è il “Dialogo del ballo” di Rinaldo Corso (1555, anche questo in forma dialogica). Questo trattato si riallaccia molto alla struttura del “De saltatione” di Luciano di Samosada. Secondo Rinaldo Corso la danza deve essere lodata soprattutto perché permette di mostrare la ricchezza e la generosità del singolo, attraverso lo sfoggio di abiti e livree in particolare quando tale divertimento è offerto per il piacere del popolo. ELEMENTI DI DISTINZIONE RISPETTO AL QUATTROCENTO Caratterizzazione nazionale e territoriale: nel 500 c’è un’apertura straordinaria alle corti europee, nella moda e nello stile delle danze. Abbigliamento e danze diventano di carattere nazionale (un saltarello generico, ad esempio, diventa saltarello all’italiana). Una stessa danza, a seconda della nazione in cui viene praticata, ha delle caratteristiche diverse. Comparsa di una classe sociale intermedia: nasce nel 500 una classe sociale che si pone tra la nobiltà e il popolo, una classe produttiva che potremmo chiamare “mediana” (dal 700 si chiamerà borghesia). Questa classe deteneva il potere economico della società e per questo era molto importante, e voleva equipararsi alla nobiltà in alcune pratiche tra cui anche la danza. Diventa quindi ancora più importante l’insegnamento della danza, tanto che nascono molte scuole pubbliche con la conseguente nascita della figura del maestro di ballo nelle scuole pubbliche (quindi il maestro non è più esclusivo della corte). Diversa concezione dei trattati di danza: essi sono sempre rivolti ai nobili, ma non più in modo esclusivo. Vengono infatti realizzati anche per i professionisti della danza e soprattutto per gli autodidatti. Quella dell’autodidatta diventa una delle figure più importanti del Cinquecento. Invenzione della stampa a caratteri mobili: essa facilitò la diffusione dei trattati per un pubblico più variegato. Con la stampa si realizzavano esemplari diversi dei trattati: quelli più raffinati e costosi spettavano alla corte, mentre quelli più economici venivano acquistati dai meno abbienti. I MAESTRI DI BALLO DEL CINQUECENTO I tre maestri di danza più importanti del 500, con i rispettivi trattati, sono: Fabrizio Caroso da Sermoneta (“Il ballarino”, riedizione “Nobiltà di dame”), Cesare Negri detto “il Trombone” (“Le gratie d’Amore”, riedizione “Nuove inventioni di balli”) e Antonio Arena (“Ad suos compagnones studiantes”). Come nel caso del 400, anche qui i primi due erano maestri di danza professionisti e il terzo no. Facciamo subito una considerazione generale su questi tre trattati: la prima diversità rispetto a quelli del 400 è la redazione, perché in questo caso si tratta di opere stampate e quindi distribuite ovunque a prezzi diversi. I trattati ricalcano la divisione in due parti di quelli del 400, per onorare i maestri del passato e per legittimare quelli del presente. La lingua dei trattati è il volgare, eccezion fatta per Antonio Arena che usa uno stile ibrido sì in volgare ma con tanti latinismi. Di conseguenza danzare è sempre più difficile, perché le tecniche sono sempre più codificate. Si abbandona dunque il movimento naturale a favore di quello artificioso, tecnico, complesso, altro motivo per cui la danza era praticata in maggioranza da professionisti. In questi trattati troviamo spesso anche delle creazioni originali dei maestri di danza, ad ulteriore testimonianza di come il trattato fosse un modo per legittimare pubblicizzare il maestro di danza. IL TRATTATO DI FABRIZIO CAROSO DA SERMONETA La sua opera “Il ballarino”, come si legge nel frontespizio, è divisa in due trattati (parti): nel primo si dimostra la diversità dei nomi che si danno agli atti e ai movimenti che compongono i balli, e si spiegano le regole per eseguirli; nel secondo si insegnano diversi tipi di balli e balletti, sia nella versione italiana che in quella francese e spagnola. Il maestro di danza è ormai completamente legittimato, una figura di cui le famiglie nobili non possono fare a meno. Questo permetteva ai maestri di spiegare tutte le danze nei singoli dettagli all’interno dei loro trattati, che diventano quindi dei manuali in cui i maestri espongono la propria arte. Descrivere con abilità e perizia i passi della danza fornisce un’ulteriore conferma del valore del maestro di danza, esaltandone il prestigio. Tornando al trattato di Fabrizio Caroso, nella prima parte si elencano i nomi dei balli e si spiegano i movimenti che li compongono con tutte le regole (tantissime, spiegate nel dettaglio), mentre nella seconda si spiega come eseguirli e si mettono in evidenza i balli inventati da lui, così che quando nelle corti venivano eseguiti si sapeva che erano opera sua (una sorta di copyright ante litteram). L’invenzione della stampa permise di inserire molte figure, che sono fondamentali per comprendere meglio come si deve danzare. Troviamo poi le intavolature musicali dei balli, e una dedica eccellente (presente nel frontespizio): il trattato di Fabrizio Caroso è dedicato alla granduchessa Bianca de’ Medici, seconda moglie del granduca Francesco. Tra le tante regole elencate da Fabrizio Caroso nella prima parte della sua opera, molto importante è l’ultima dedicata alle donne, con la quale si ribadisce che esse non devono mescolarsi con le cortigiane bensì distinguersi da esse. Nella seconda parte troviamo invece, tra i vari contenuti, anche la conferma della nazionalizzazione delle danze: esse potevano essere eseguite in modo diverso a seconda della nazione in cui ci si trovava (viene quindi fatto il paragone tra la stessa danza in versioni diverse: italiana, francese, spagnola ecc…). Un’ultima considerazione va fatta nei confronti delle pagine finali del trattato, che contengono un indice delle regole e dei balli. Questo ci fa capire come il manuale fosse un vero e proprio strumento di consultazione, che si poteva sfogliare in modo semplice e che poteva essere utilizzato all’occorrenza, per imparare un particolare ballo, senza bisogno di leggerlo tutto. La necessità di fruire velocemente del trattato apparteneva a professionisti e autodidatti, che appunto studiavano da soli, e non ai membri della corte che invece si rifacevano esclusivamente alle lezioni private dei maestri. IL TRATTATO DI CESARE NEGRI A Milano Cesare Negri, maestro professionista, fondò un’Accademia di danza e creò un importante ballo in onore di Margherita d’Austria (di cui parla anche nel suo trattato). La sua opera rappresenta una fonte importantissima per i secoli a venire, ed ebbe talmente tanto successo che fu rieditato con delle aggiunte. Nel frontespizio (dell’edizione rivista) troviamo l’auto-presentazione dell’autore come magnifico maestro di ballo, oltre che una sorta di anteprima dei balli che troveremo nell’opera, con riferimento ancora una volta alla caratterizzazione territoriale e nazionale. Come per Caroso, anche nel trattato di Cesare Negri detto “il Trombone” troviamo un ritratto dell’autore (nell’età che aveva al momento della riedizione). L’opera è strutturata in tre parti: nella prima ci sono i nomi dei più famosi danzatori dell’epoca, oltre che i luoghi e le corti in cui l’autore ha danzato o in cui sono state eseguite le danze da lui inventate. Nella seconda parte invece troviamo le regole del “ben portare”, cioè le regole da seguire per effettuare un ballo degno della corte. Ogni regola è corredata da un’immagine che la spiega ancora meglio. Nella terza parte ci sono le partiture musicali, molte delle quali realizzata da Cesare Negri stesso. Alla fine dell’opera troviamo ancora una volta l’indice analitica, a dimostrazione di come anche questo fosse un trattato di pronta consultazione, utile all’occorrenza. IL TRATTATO DI ANTONIO ARENA Siamo di fronte a un amatore, un intenditore di danza con una grande preparazione ma che non era un vero e proprio maestro di danza come i precedenti. Il trattato, scritto in un latino contaminato dal volgare italiano e dal francese, è molto interessante a partire dal titolo “Ad suos compagnones studiantes”. In realtà questo titolo è solo la forma breve di quello completo, che è lunghissimo e che di fatto narra il passato militare di Antonio Arena. Egli scrive questo trattato per i suoi compagni nell’esercito per due motivi: il primo era per alleviare le difficoltà del vivere in trincea lontani dalla madrepatria; il secondo, quello più importante, era che imparando a danzare questi soldati potevano reinserirsi facilmente nelle regole della società civile una volta tornati in patria. Questo ci fa capire molto bene che anche lo strato sociale dei militari si dedicava alla danza, che serviva per socializzare. IL TRATTATO DI THOINOT ARBEAU Si tratta di un’altra opera molto importante, realizzata da un religioso francese che visse nei dintorni di Digione. In questo trattato Thoinot Arbeau fa riferimento alla danza classica dei greci, con il termine orchesis. Si tratta di un’opera in forma di dialogo attraverso la quale tutti possono apprendere e praticare l’esercizio delle danze. Siamo di nuovo di fronte quindi a un manuale che può servire a tutti, senza distinzione di classe sociale, al fine di imparare a ballare. Il dialogo avviene tra il maestro di danza (Arbeau) e l’allievo, secondo lo stesso schema dell’opera di Luciano di Samosada. Nell’opera sono presenti tutte le intavolature della musica, e poi sono spiegati nel dettaglio tutti i passi che devono essere fatti. Ci sono anche delle illustrazioni che esemplificano in maniera più eloquente i movimenti di determinati balli. Molto interessanti le spiegazioni di alcuni balli composti dall’autore, che si aggiungono al repertorio classico cinquecentesco.
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