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Storia della danza e del mimo, appunti integrati con gli approfondimenti -Pagnini, 2022/23, Appunti di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Il file contiene gli appunti completi del corso Storia della danza e del mimo, con all'interno gli approfondimenti e i riferimenti a video mostrati a lezione

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 16/06/2023

alessandral.
alessandral. 🇮🇹

4.6

(17)

11 documenti

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Scarica Storia della danza e del mimo, appunti integrati con gli approfondimenti -Pagnini, 2022/23 e più Appunti in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! 1 STORIA DELLA DANZA E DEL MIMO Teatro-danza. La gestualità ha a che fare con la danza. È qualcosa che ha a che fare con la comunicazione. L’efficacia comunicativa caratterizza l’esperienza umana in termini antropologici fin dalle tribù. È un’esperienza performativa comunicativa, che nei secoli verrà chiamata danza, balletto, … I termini danzatore e ballerino non sono del tutto sinonimi: il ballerino è chi si occupa del ballo (ha una sua forma, che nei secoli si identifica sempre più; il ballerino balla un ballo); il danzatore è chi agisce con il corpo in uno spazio (questo non vuole dire non avere arte, non entra o non agisce sulla scena secondo dei criteri di codificazioni così stretti come quelli della danza accademica, da cui deriva il ballo). Sotto l’idea di danza non si può codificare solo il ballo accademico. Elementi base: - Coreico (coreutico): dal termine greco choros (danza), aggettivo che riguarda la danza. Deriva la sua essenza da quella parte del teatro → orchestra, da cui choros, ossia quella parte circolare del teatro greco antico, che riguarda quello che oggi noi chiameremmo platea: la parte in cui agiva il coro, identificato come personaggio collettivo che opera in maniera omogenea, portando il punto di vista dell’autore e aumentando l’efficacia emotiva della rappresentazione, presentandosi come la coscienza collettiva; per quanto riguarda la parte performativa del teatro, la parte dell’orchestra è la più grande. L’attore, che operava nel proskenion, ha una parte più ristretta nel teatro, perché si deve dedicare all’espressione della parola: deve saper comunicare attraverso il testo scritto. Il coro è la parte performativa dello spettacolo, per questo l’orchestra è lo spazio più grande. Il coro si muove, ha la possibilità di farlo: questo non vuol dire che il coro non ha funzione testuale, ma ha anche una funzione performativa, di movimento. Perché c’è bisogno di questo movimento collettivo? Non tutti gli autori di testi antichi lo usavano allo stesso modo. Si decide di fargli più possibilità di movimento, perché il movimento è eloquente, è parimenti comunicativo al testo. L’elemento comunicativo più efficace, per far entrare lo spettatore nella rappresentazione, è il coro. “Elemento coreutico/coreico” vuol dire elemento legato alla gestualità. - Coreuta: indica il danzatore. - Coreologia: lo studio della danza. - Cinetico/cinesico: dal greco cinè (movimento), riferito al movimento e al gesto. La danza va intesa in senso ideale, come prima forma di comunicazione dell’uomo: la forma espressiva del corpo. - Cinetografia: analisi e trascrizione del movimento (la cosiddetta notazione coreutica, la più celebre di tutta la cinetografia Laban o Labanotation). - Coreografia: per molti secoli indica la “scrittura della danza” (da choros e graphie), poi solo in tempi più moderni indica il lavoro del creatore della danza (il coreografo, che fino all’Ottocento era denominato compositore dei balli). - Orchesis: significato molto ampio che comprende diversi tipi di attività basate su movimenti ritmicamente ordinati: acrobatica, ginnastica, gioco con la palla, giochi infantili, Processioni, parate, recitazione gestuale dell'attore, movimenti e giochi compiuti nei riti, addestramento militare, lotta. Il termine si riferiva essenzialmente alle esecuzioni di coppia o a quelle solistiche, riservate quasi esclusivamente al danzatore professionista. Un quesito riguarda il modo in cui veniva tramandata la scrittura della danza: è difficile che una struttura performativa venga scritta in maniera efficace, anche se esistono mezzi che ci aiutano a scoprire e a studiare quello che è stato fatto in questa disciplina. La danza primitiva. La danza è un linguaggio universale? È più un comportamento. Non può essere definita totalmente un linguaggio universale: è sicuramente un linguaggio, perché il gesto (che sia descrittivo o astratto) lo è. Non si può parlare di “universale”, perché la comprensione del gesto dipende da una determinata cultura. La danza è un linguaggio visivo, che è universale territorialmente: per ogni singola cultura è un linguaggio universale; la forma più efficace di comunicazione per una singola cultura, che si basa su tradizioni comuni e su gesti condivisi e codificati. La danza riesce ad avere un bacino di comprensione ampio. Il comportamento deriva dall’interiorità, che tutti (bene o male) abbiamo in maniera innata, mentre il linguaggio deriva da una codificazione posteriore. Il comportamento si esterna attraverso i gesti, i movimenti degli arti e, soprattutto con l’espressività del volto. Eine Weltgeschichte des Tanzes (Una storia universale della danza, Curt Sachs, 1933). Si dovrà aspettare il Novecento per avere uno studioso della danza, definendola una disciplina scientifica che deve essere affrontata autonomamente della musica. Per Sachs dalla danza nascono tutte le altre discipline performative, rovesciando gli studi che in quegli anni studiavano la 2 storicizzazione delle discipline performative. È danza anche quella che si fa senza musica. Una volta emigrato in Germania per fuggire dalle deportazioni, pubblica una versione tradotta da Schonberg del suo volume. In Italia questo volume arriva solo nel 1966. Gli studi sulla storia della danza hanno riguardato molto tardi l’Italia, e di conseguenza arriva molto tardi negli studi universitari (il primo corso risale a circa 30 anni fa, nell’Università di Bologna). Federico D’Amico, uno dei più grandi critici teatrali, era un musicologo, e analizzava la danza da un punto di vista strettamente legato alla musica, ma la danza non è solo questo. La necessità di far nascere la musica deriva dalla necessità di muoversi per comunicare, quindi è proprio il contrario. Sachs fa un’analisi puntuale delle fonti della storia e antropologiche che riguardano questo movimento. Non ci si può basare solo sullo studio antropologico, perché non è sufficiente per studiare la danza rappresentativa, ma rimane nel versante popolare. Eine Weltgeschichte des Tanzes è ancora oggi ritenuto un fondamento per lo studio della coreutica, data l’ampia trattazione storica e filologica che Sachs dedica alla ricerca sulle origini della danza e per molti versi quest’opera, con le sue attente classificazioni tipiche del musicologo, rimane ancora insuperata. È composta da sette capitoli: - I-V: dedicati alla danza preistorica, primitiva e prettamente folklorica - VI: uno alla danza orientale - VII: comprendente un arco di tempo che va dal periodo greco-romano fino a l'età del tango. L’opera è un tentativo di storicizzare la danza per stabilire un equilibrio tra prospettiva culturale e descrizione tecnica: Sachs fu un grande sostenitore della danza come parte della storia delle culture. In un articolo pubblicato nel 1939 nel Bulletin of the American Musicological Society, Sachs definisce la danza come un ramo trascurato dalla musicologia, un elemento indissolubilmente legato alla musica e agli uomini. Due caratteristiche fondamentale della danza rappresentativa sono l’imitativa e l’astratta. Iconografia. Le pitture rupestri sono state ritrovate già nei secoli precedenti. La danza è il primo esperimento comunicativo dell’umanità e si osserva fin da questi esempi. Sachs aveva studiato anche i comportamenti delle tribù aborigene, dimostrando che la pratica di queste tribù è assimilabile a un linguaggio comunicativo che vede nel movimento e nel gesto la fonte principale della comunicazione. Questo lo osserva nelle pratiche, che ancora si possono vedere: si vanno a studiare le fonti originari della storia dell’umanità, ossia le pitture rupestri. Queste pitture, per la maggior parte delle rappresentazioni, mostrano personaggi (stilizzati) che agiscono con un movimento molto accentuato, non naturale: qualcosa si sta facendo per cercare di rappresentare. Cosa si evidenzia? L’obiettivo è lasciare ai posteri qualcosa di importante. Il senso di appartenenza collettiva è fondamentale per vivere: le rappresentazioni sono tutte collettive. I momenti importanti della collettività possono essere la battuta di caccia, ad esempio. Sono tutti momenti che vengono ritualizzati: il rituale viene eseguito mediante dei movimenti, più o meno accentuati, fatti collettivamente. Per solennizzare il momento fondamentale della tribù c’è la danza. Il linguaggio è pari a zero. Le forme di linguaggio si sviluppano molto dopo. Per comprendersi si usano i gesti, che nella loro ritualità diventano un gesto codificato, una specie di danza. Nelle grotte di Altamira (Spagna) si trovano delle raffigurazioni. I momenti come l’arrivo della primavera vengono altrettanto ritualizzati, rendendoli culto, anche con obiettivo propiziatorio. Un altro elemento è la ricerca di una spiritualità, un’entità astratta che ci trascende e alla quale sentiamo la necessità di doverci rapportare. La necessità del culto si radicherà nelle vere e proprie religioni, ma si trova fin dalle origini: l’uomo non si può sentire da solo, cerca sempre qualcosa di superiore per comprendere determinate fasi e fenomeni della realtà. Per quanto riguarda le società primitive, le ipotesi (supportate dai ritrovamenti) portano a questo: il culto della pioggia è essenziale perché la pioggia porta vita. La natura, in generale, viene tutta caricata di significati trascendentali. Questo è il motivo per cui la società greca ha una divinità per ogni elemento naturale. Dal punto di vista della necessità della spiritualità, questa è l’invenzione più originale e vincente, perché mostra il rispetto per quello che ci circonda. La cultura popolare si raffronta direttamente con la natura: questo aspetto va avanti fino al Medioevo, e anche oltre, un po’ nascondendosi; anche oggi abbiamo fenomeni del genere, mascherati da altro. Un altro esempio di reperto è la grotta di Chovet (Francia): le figure mostrano un movimento strutturato, imitativo (imitare qualcosa di reale in qualcosa, in questo caso la danza). Le grotte di Magura (Bulgaria) mostrano anche il riferimento alla natura: è una solennizzazione del culto precedente alla battuta di caccia, con un personaggio che si approccia con un’arma ad un animale; il rituale accompagna la caccia; le braccia alzate sono un gesto fondamentale; è un tipo di movimento disarmonico, tipico di quei movimenti che vogliono avvicinarsi ad un’entità divina → osservare qualcuno che si muove in maniera vortiginosa è un tipo di movimento astratto che si fa per avvicinarsi ad un’entità misteriosa (ad es. gli sciamani, gli stregoni, le sacerdotesse di Dioniso, le Baccanti), e chi la esegue deve trovarsi in una situazione alienata, e ha allo stesso tempo un canale privilegiato per comunicare con la divinità. Le grotte di Kakadu (Australia) mostrano dei costumi particolari: i copricapi sono comunicativi, con delle vesti ben distinguibili che avvalorano la gestualità e la comunicazione. Le grotte di Bhimbekta (India) mostrano un’altra scena di collettività. Il gesto espressivo è la prima testimonianza che l’umanità ci ha lasciato. Anche nella grotta di Serra de 5 movimento compulsivo. Dall’inizio, fino alla fine, si parte da uno strumento e via via se ne aggiungono altri, fino ad arrivare all’apoteosi. È una musica che avvolge e che fa sentire emozioni all’ascolto. Béjart concepisce il movimento come una lettura scenica: al centro c’è un singolo ballerino, andando via via ad accentuare tutti i suoi movimenti; i danzatori via via si aggiungono, così come si aggiungono gi strumenti. Sia l’esecutore sia noi abbiamo la percezione di coinvolgimento astratto. Il coreografo stesso ha definito il Bolero una danza astratta. Béjart in realtà questo balletto lo concepì per una ballerina centrale, ma poi si è concentrato sul corpo maschile, e soprattutto collaborò con Jorge Donn. Con il movimento dei piedi si mantiene sempre il ritmo delle percussioni, poi il danzatore mostra passi di danza sempre più complessi, in accordo con l’andamento musicale. Questa coreografia non ha niente di accessorio. I costumi sono al minimo. La cosa fondamentale è l’uso sapiente delle luci. Il danzatore ha sempre lo sguardo fisso, immobile. Nella coreografia di Béjart si vedono tutte le caratteristiche della danza astratta: anche la graduale partecipazione di nuovi danzatori si sposa con la danza astratta antica, in cui ulteriori persone inizialmente rimangono fuori e pian piano iniziano a ballare. Riporta alla primordialità del corpo. C’è una danza nel Novecento (modern dance) che si distacca dal balletto classico, liberandosi dalle costrizioni per arrivare a un’unità corpo/spirito. Béjart, di formazione classica, ha proposto balletti che ripropongono passi di danza classica, ma è principalmente un esperto della modern dance, che si distacca dalla accademic dance. È una coreografia tutta scritta. Non c’è spazio per l’improvvisazione. In realtà quello che conta tanto è l’interpretazione del solista, che negli schemi del coreografo può aggiungere o togliere tanto. Tornando alla cultura greca, la società greca era legata all’importanza dell’educazione, anche in campo artistico. Si impara la danza, perché tramite essa si attinge a un comportamento ideale. La danza era fortemente praticata, perché dava un senso di comportamento armonico. La danza era intimamente legata al canto e alla poesia, tanto che il termine mousikè indica un connaturato di danza, canto e poesia. A questo si rifaranno ciclicamente i pensatori del Quattrocento, e successivamente il coreografo settecentesco Gasparo Angiolini, che proponeva un ritorno alla mousikè antica e un’unione tra musica, danza e poesia (intendendola come narrazione, la drammaturgia che c’è sotto a un’interpretazione di danza), per ritrovare il significato della danza. I rimandi e i recuperi alla cultura antica vanno sempre contestualizzati: sono tutti recuperi diversi, in base alla società e al tempo in cui vengono recuperati. Ci sono stati tre recuperi importanti nel corso della storia. La danza ha valore mimetico, rappresentando caratteri, azioni e passioni (Poetica, Aristotele): per farlo, si serve degli schemata, ossia le figure della danza, quindi quello che oggi noi chiamiamo coreografia; unità espressive che si servono di minime parti, come la mano. Il movimento delle mani per gli antichi è molto importante. Quali sono le fonti letterarie che ci parlano della danza nell’antichità? Non ci sono trattati sulla danza. Nella Grecia antica, nessuno parla di danza. Quando si fa un trattato su qualcosa, è perché questo qualcosa non è conosciuto, non è capito o non è trattato abbastanza. Non c’era bisogno di trattare della danza, tanto era connaturata al vivere civile. La danza era una pratica quotidiana, di educazione e formazione. Le fonti che noi troviamo sulla danza sono tutte fonti indirette, ossia vengono da trattati che non parlano di danza. Nelle Leggi, Platone parla di danza. Platone è la fonte primaria per la storia della danza nell’antichità. Le Leggi è un trattato giuridico-politico, che tratta le leggi che regolano la società civile. La danza è una pratica virtuosa, che deve essere praticata perché educa il comportamento del cittadino. Quando una pratica è estranea alla società, c’è bisogno di confermarla e rivendicarla: ecco perché i trattati di danza nascono nel Quattrocento. Platone descrive la danza e come veniva praticata. Nel VII libro, propone una classificazione delle danze in base al loro contenuto morale, etico-estetico: - Danze nobili: espressione di atteggiamenti belli e convenienti: danze di guerra, danze di pace. Danze che caratterizzano l’educazione, le esperienze religiose e la vita civile di ogni individuo nello stato immaginato da Platone, infondendo coraggio e temperanza. - Danze ignobili: non praticata negli ambienti consoni da chi le deve praticare; sono espressione di comportamenti spregevoli. Danze guerresche (o pirriche): frontone conservato al museo archeologico di Atene che rappresenta una danza guerresca. La danza pirrica era l’allenamento che i guerrieri facevano tutti i giorni. I militari si addestravano attraverso queste danze pirriche. L’arte della guerra è qualcosa che ha molto a che fare con la concentrazione e la bontà dei movimenti: se imparo a muovere il mio corpo in modo armonico e adeguato, posso combattere. Era tutto legato alla prestanza fisica. L’armonia dei movimenti era fondamentale. La pirrica era eseguita per allenare all’armoniosità dei movimenti e ad addestrare il fisico. Di queste danze pirriche abbiamo tantissime fonti iconografiche. Queste danze venivano eseguite in modo schematico prima di andare in guerra. Queste sono danze rappresentative-imitative. Oltre ad essere un allenamento, venivano eseguite per dare l’idea della guerra, ed era anche una pratica performativa. La danza pirrica avrà una grande riproduzione nei secoli: verrà molto ripresa tra Quattrocento e Cinquecento, nelle corti. La pirrica si riconosce anche per gli attrezzi di scena, che siano lance, bastoni, caschi, … Platone la giudicava una veritiera imitazione dell’oplita. Era una danza ovviamente nobile. Danza dal marcato carattere marziale; 6 il nome deriverebbe da Pirro Neottolemo, il quale per primo l’avrebbe danzata attorno al cadavere del nemico Euripilo. Altre ipotesi la collegano al colore rosso sangue delle sue tuniche. Essa era parte del curriculum educativo dei giovani a Sparta e ad Atene. E' anche danza che accompagna riti di transizione, da uno stato sociale a un altro, da un’età a un’altra: particolarmente significativo è il suo legame con il culto di Artemide, divinità guerriera che presiede all’ingresso dei giovani nel mondo adulto. La pirrica è anche associata al culto di Dioniso, come è testimoniato dalle rappresentazioni vascolari di satiri armati che danzano o di danzatori di pirrica armati di tirsi, anziché di lance. Danze dionisiache. Le danze dionisiache rientravano nelle ignobili, pur essendo legato a un culto di un dio: è selvaggia e portatrice di ebrezza e disordine. Le danze di questo genere possono avere una funzione terapeutica: coloro che sono stati pervasi da una mania divina, come le menadi e le baccanti, possono essere reintegrati nel movimento ordinato e armonioso dell’universo e guarire dal loro furore. Vengono intesi come momenti di catarsi. Anche Nietzsche nella Nascita della tragedia parla della distinzione tra danze apollinee e danze dionisiache. Le menadi avevano delle vesti molto leggere e trasparenti, per far trasparire il corpo e consentire un movimento accentuato. Nei bassorilievi le teste sono inclinate, le gambe sono scomposte in atteggiamento di danza, e gli attrezzi di scena fanno pensare a qualcosa che provocasse un ritmo, come strumenti a percussione; i capelli sciolti sono sintomo di mania divina. Nell’Ottocento nell’arte viene ripreso il tema della pazzia: quando un personaggio perde la testa, si scioglie i capelli. La coreutica era presente nei rituali iniziatici, purificatori e apotropaici e nelle danze che avevano come scopo quello di stabilire un contatto con le divinità. Tali erano le danze dionisiache in onore di Dioniso, dio della rivegetazione e dell'ebbrezza. La loro origine era ionio-asiatica ed erano prevalentemente a contenuto satirico e orgiastico; si celebrava la natura, il flusso della vita e lo stato di natura dell'uomo, nella sua parte più selvaggia e animale. Gli adepti (satiri) e le adepte (menadi) eseguivano, soprattutto all'inizio della primavera, riti notturni (oribasìe) vagando per i boschi in stato di ebbrezza, cantando e ballando al suono dell'aulos. Con il sacrificio rituale di un animale, di cui bevevano il sangue, e attraverso il vino, la danza e il canto, le menadi entravano in uno stato di “entusiasmo” divino, esaltazione ispirata, che le metteva in contatto con il Dio. I misteri orfici (VI sec. a.C.) erano legati alla figura di Orfeo e si riferivano alla sfera di iniziazione al culto di particolari divinità, eseguite da gruppi di adepti riuniti in un thiasos; si svolgevano con canti, musiche e danze estatiche, di livello cinetico e cinesico più contenuto, anch’esse con la finalità di raggiungere un contatto con il dio. Danze festive. Si riferiscono a momenti fondamentali della comunità: funerali, matrimoni, banchetti. Il canto corale e la danza sottolineavano i momenti fondamentali dell'individuo e della comunità. Durante i riti delle nozze erano cantati gli epitalami e gli hymenei, seguite da danze degli sposi e degli invitati, anche durante il banchetto, come il komos e l'òklasma, danza persiana con caratteristiche acrobatiche eseguita esclusivamente da professionisti. Ci sono alcune danze, come il kordax (in genere messe in scena nei banchetti), di origine lidia e legata ai culti di Dioniso e Artemide, definita ignobile, perché imitava il comportamento di un uomo ubriaco, in atteggiamenti non consoni, fatta per alleggerire e divertire. Nell’òklasma una danzatrice ballava al centro, su una tavola. È una danza che interessava personaggi prevalentemente femminili, come una sorta di palcoscenico portatile. Probabilmente era una danza fatta sotto pagamento, quindi era un mestiere a sé. Portava con sé anche un bastone, con una sfera in cima come strumento di percussione. Il danzatore era una figura professionale. L’òklasma è una delle prime figure professioniste della danza. La differenza tra professionista e dilettante è il pagamento (ma è anche una questione di opportunità). La danza sottolineava molti momenti della vita religiosa, soprattutto nelle grandi feste offerte agli dèi. Nelle panathenaie, eseguite ad Atene in onore della dea protettrice della città (Athena parthenos), le giovani andavano in processione recando offerte ed eseguendo canti e danze solistiche, spesso tenendosi per mano e coperte da un velo. Nel kalathiskos, in onore delle dee della fertilità, le giovani delle famiglie nobili danzavano recando sulla testa cesti di oggetti sacri. Il teatro era luogo di educazione, non di divertimento. Era posto fuori dalla città. Ci si andava facendo una preparazione spirituale, per configurarsi nell'atteggiamento giusto per ricevere un’educazione. Non era esperienza quotidiana. C’erano eventi specifiche, come le feste dionisiache. C’era bisogno di purificarsi dagli affanni della città. Seminario: Le fonti per lo studio della danza nel mondo antico. Il problema delle fonti per studiare la storia dello spettacolo (e della danza) è scottante: come fare a ricostruire le coreografie della danza, considerando che non esiste un modo per riportare i passi di danza del mondo antico? Del mondo antico abbiamo pochissimi frammenti. Oltretutto, molte delle fonti che noi abbiamo sul mondo antico non sono contemporanee a quello che viene riportato: la Poetica di Aristotele è del IV sec. a.C., ma riguarda il teatro del secolo precedente, paragonandolo al teatro a lui contemporaneo. I frammenti che abbiamo sono molto diversi per tipologia e per attendibilità: spesso tendiamo a leggere quei frammenti con la nostra sensibilità e la nostra cultura 7 contemporanea, senza quindi contestualizzarle temporalmente. Un problema di interpretazione tale può essere risolto tramite un riscontro tra fronti di tipo diverso: ciò non è sempre possibile, perché non sempre abbiamo abbastanza fonti per confrontarli. Nel mondo antico capita spesso che, quando abbiamo più fonti, queste siano contraddittorie. Ad esempio, abbiamo diverse fonti sulla nascita della tragedia, ma sono contraddittorie. Tuttavia, nonostante i limiti, possiamo fare delle considerazioni sul piano storico-teatrale e sul piano metodologico. Le fonti a nostra disposizione non permettono una ricostruzione precisa e puntuale della modalità di rappresentazione della danza nel mondo antico: il mondo antico è legato all’oralità (le stesse tragedie ci sono arrivate con fonti molto tarde). Nonostante ciò, possediamo una serie di fonti: - Fonti archeologiche: resti di teatri che possiamo visitare, tenendo presente che quello che vediamo oggi è l’ultima fase assunta dai teatri (in epoca romana). - Fonti figurative: la pittura, la scultura, il mosaico, l’oreficeria. - Fonti letterarie. Le più importanti sono: o Aristotele, Politica e Poetica. o Luciano, De saltatione. o Platone, Leggi e Repubblica. Altre fonti da citare sono: o Aristosseno, Elementa Rhythmica. o Ateneo, Deipnosofisti. o Libanio¸ Pro saltatoribus. o Plutarco, Questioni conviviali. o Senofonte, Simposio. - Fonti epigrafiche (trascrizioni incise sulla pietra): ci danno di più l’impatto con la quotidianità. Pompei è stata per secoli un fotogramma di quello che è successo; inoltre, sempre a Pompei, sono state ritrovate le epigrafi per le elezioni politiche. Delle epigrafi importanti riguardano le promozioni per degli spettacoli teatrali, in cui c’era scritto il giorno e gli attori o i danzatori presenti. - Fonti drammaturgiche: ci danno indicazioni precise per la messa in scena. - Fonti papirologiche: ancora oggi, è la fonte che ci rivela le maggiori sorprese, perché ancora oggi vengono ritrovati dei giacimenti di papiri. - Fonti numismatiche: le monete. Anello d’oro con scena di culto (danza rituale religiosa), Creta. La civiltà cretese è misteriosa, molto avanzata dal punto di vista tecnologico e culturale, scomparsa misteriosamente, la cui scrittura non è stata ancora decifrata del tutto. Raffigura una danza rituale religiosa: due (a sinistra) fanno il gesto di allungare le mani, mentre l’altra ha le braccia piegate, con le mani aperte, rivolte allo spettatore. Si trovano tutte e tre su un prato con dei fiori (ambientazione naturale). La figura al centro, più grande delle altre, potrebbe essere un’epifania della divinità, o chi sostiene invece che l’epifania della divinità sia la figura in alto a sinistra in piccolo (perché si sta avvicinando) e che la quarta figura sia un’altra danzatrice. C’è in alto a destra un serpente, che è un animale sacro per la civiltà cretese. Per quanto riguarda i costumi, queste figure hanno delle lunghe e larghe donne a balze e tutte hanno i capelli intrecciati. Questi dettagli si possono ritrovare in altre opere. Statuetta di divinità e Statuetta femminile orante. I gesti sono gli stessi: la prima ha le braccia piegate, con le mani rivolte verso l’alto. Probabilmente quella era la gestualità dei riti sacri, ripresa nella danza. Cratere a figure rosse con coro tragico durante una danza. Questa fonte greca ha più interpretazioni. C’è chi pensa che i danzatori stiano invocando la divinità (Dioniso, a sinistra), o che stanno pregando l’ombra di un morto che compare, o ancora chi ci vede l’ombra di un personaggio dei Persiani di Eschilo, ossia il re Dario (in questo caso, si pensa che siano nell’orchestra e che l’elemento a sinistra fosse un altare per andare a rappresentare il tumulo del defunto re persiano). Prosegue il gesto rituale. Dea serpente, Modello di abito femminile, Anello d’oro con scena di culto: in questi ritrovamenti cretesi vengono riproposti più temi, come la dea serpente (1), la scena di culto (3), gonna a balze (2), in cui l’ultima balza era decorata con dei fiori (gli stessi che si trovano nell’anello, probabilmente legati alla divinità); erano dei modelli che poi venivano agganciati come voti per la divinità. Saffo, in La danza delle fanciulle cretesi, parla della danza cretese → riferimento ai piedi molli, ripresa nella modern dance per tornare all’armonia del movimento e all’armonia del corpo con la natura. Un’altra delle tematiche che si trova in Saffo è quello dell’educazione: la danza è un momento dell’educazione delle fanciulle greche. 10 modo, esce dalla scena. Quando è in scena, si muove nello spazio consentito (l’orchestra), oppure fa gesti eloquenti: quando parla, non è fermo, ma si muove. Il coro serve anche ad aiutare lo spettatore a comprendere il testo: nell’Agamennone, il coro che si agita è un’azione psicologica perché è lo specchio dell’animo di Clitemnestra. Il coro è l’alter-ego del personaggio, la sua psicologia, quando essa non è visibile. Il coro è l’origine dell’eloquenza della danza e del movimento. Nel Settecento si torna a questo: si ricerca l’eloquenza del gesto; oltre alla pantomima romana, ci si rifà all’eloquenza del gesto del coro antico. La danza deve muovere a compassione lo spettatore. Il movimento non deve essere fine a se stesso, ma deve essere eloquente. Video: Orfeo ed Euridice (Gluck), Dance of the Blessed Spirits (Pina Bausch). Pina Bausch è la madre del teatro-danza, ha riportato l’idea della danza rappresentativa, ai limiti con la teatralità. Pina Bausch fece in modo di tenere l’opera in musica, ma tutti i cantanti avevano di fianco un danzatore (alter-ego danzante) che rappresentavano la psicologia del cantante. Orfeo ed Euridice è un’opera in musica del Settecento di Gluck. La danza nelle popolazioni italiche e a Roma. Era già documentata l’unione dell’elemento dilettante e elemento professionista nella civiltà etrusca e romana. Quello che passa dell’idea di rappresentazione spettacolare greca a Roma, viene adattato alla società romana. La società romana è completamente diversa rispetto a quella greca: la spettacolarità viene presa in prestito, ma viene adattata in modo diverso. L’omologazione nell’arte non esiste: le correnti artistiche prendono qualcosa, lo stravolgono, rendendolo attuale nella loro società; bisogna inserirlo nella propria identità. Gli Etruschi furono profondamente influenzati dalla cultura greca, ed ebbero molto interesse per le attività sportive, guerresche, quindi tutto ciò che ha a che fare con la disciplina del corpo. In particolare, furono molto interessati alla danza, e ne divennero dei performativi eccellenti, tanto che furono molto spesso chiamati dalle società limitrofe a insegnare o praticare questo genere di attività. La civiltà etrusca era molto dedita anche alla musica, e la maggior parte delle iconografie a noi pervenute si riferisce alla musica. Erano pratiche che scandivano quasi tutte le attività quotidiane. Si svolgevano in momenti focali della vita di questa civiltà: fa parte della loro cultura antropologica. Le danze ricostruite erano: danze di tipo guerresco (simile alla pirrica, eseguita dai sacerdoti Salii), danze conviviali (durante i banchetti) e danze cultuali. La danza romana si distacca dalla danza greca. La cultura romana (soprattutto in età imperiale) è una cultura profondamente dedita all’intrattenimento, diverso dall’educazione. Il divertimento è qualcosa che porta a staccarmi dagli affanni quotidiani e a rilassarmi. Come sarà proposto questo spettacolo? Deve esserne fornito molto spesso, quasi a diventare un’offerta a portata di mano. Lo spettacolo ritorna nella città. Nelle città romane, in particolare, il monumento teatrale ritorna nella città. L’anfiteatro Flavio era situato in posizione centrale: non deve essere qualcosa che scompare nella natura. Per i romani quello che conta è il monumento teatrale: il Colosseo è un monumento che si sviluppa in verticale, perché deve essere ben visibile. Il monumento deve essere visibile perché diventa un simbolo dell’impero. La cultura romana, in particolare in epoca romana, si fonda sui monumenti. A cosa serve un monumento? Il monumento è sinonimo di un potere: potere di persuasione (monumento viene da monere, ossia ammonire, porre attenzione). Il monumento teatrale non è diverso: deve ricordare l’immanenza del potere dell’imperatore, che elargisce lo spettacolo. La presenza del potere deve essere visibile da tutti. In tutte le province c’erano dei teatri perché doveva esserci un rimando all’autorità imperiale. I teatri romani più monumentali sono quelli che si trovano nelle province più lontane dell’impero. A Pola (Croazia) c’è l’anfiteatro romano meglio conservato al mondo, posizionato nel porto: ha un valore strategico. La cultura della tragedia, della poesia, era elitaria: Plauto e Terenzio avevano delle tipologie spettacolari riservate a un pubblico più alto, istruito: la massa andava a vedere i ludi circensi. Il teatro di parola era legato a una cultura più stretta: non identifica la cultura di massa, che invece era legata alla visione, più che all’ascolto. Noi siamo figli di questa cultura visiva e profondamente emotiva. La danza a Roma è definita saltatio. Il trattato del filosofo greco Luciano di Samosata, che tratta della danza, si chiama De Saltatione. Era considerata un lusso orientale: i romani consideravano gli etruschi un popolo orientale, anche se studi successivi hanno smentito questa teoria. Gli etruschi sono il primo popolo che inserisce la danza in ambito quotidiano, sono loro che si muovono al di fuori delle loro città come professionisti: a Roma la danza venne definita come lusso orientale perché la portavano gli etruschi. È il punto di vista di una società che accoglie la danza al suo interno. Questa denominazione di lusso orientale non è un complimento: la danza etrusca non fu ben vista dagli intellettuali, e infatti questo termine veniva usato per indicare qualcosa di lascivo. Cicerone stesso si scaglia contro la danza (Oratio pro Murena), perché a Roma stava diventando un elemento di disaccordo: “Nessun uomo sobrio danza, a meno che non sia impazzito, né in solitudine, né in un banchetto 11 moderato e onesto”. La danza è movimento del corpo non congruo, snodato, e quindi considera chi danza al pari degli ubriachi e dei pazzi. Il cristianesimo farà propria questa prospettiva. La danza a Roma poi si insedia e nascono le prime scuole di danza pubbliche. Di solito i maestri di danza erano proprio etruschi. A prescindere da queste prime resistenze, la danza viene assimilata come pratica sociale. Anche Scipione l’Emiliano si scaglia contro la danza, in un periodo in cui la danza si era già consolidata, perché la riteneva indecente: “Ricevono insegnamenti indecenti degni di ciarlatani, vanno a scuola tra attori di teatro, tra giovinetti lascivi, con arpa e salterio, imparano a cantare, tutte cose che i nostri antenati ritenevano infamanti per le persone libere. Fanciulle di famiglie libere e vergini vanno a scuola di danza tra giovani depravati” Come si leggono le fonti negative? Ci danno conto di una pratica che esisteva. Della fonte di Scipione l’Emiliano prendiamo in considerazione la presenza dei nobili, la pratica musicale, la cadenza delle lezioni ben impostata. A prescindere dal giudizio morale, di cui bisogna tener conto, a noi interessa vedere cosa riporta la fonte sulla danza a Roma. Questa tipologia di critica sociale non ha niente a che fare con la moralità religiosa, ma verrà ripresa a proprio vantaggio dai cristiani. Questa è una questione di morale civile, non religiosa, simile alla classificazione danze nobili/ignobili di Platone. Lui scrive in epoca repubblicana, ma in periodo imperiale la danza si radica senza nessun problema, inserendosi nelle tipologie spettacolari più amate, ossia la pantomima. Cronologia e tipologie coreutiche. I. Roma antica (V-III sec. a.C.): danze collettive di uomini appartenenti a corporazioni o gruppi sociali (Béllicrepa → danza di armi collettiva; Salii → danze dei guerrieri e dei sacerdoti di Marte) II. Roma repubblicana (264 a.C.-146 a.C.): vengono accolte le danze etrusche e greche, la danza assume un ruolo sociale e diventa pratica di società. III. Roma imperiale (I sec. a.C.-V sec d.C.): danza imitativa. Pantomima o Fabula Saltica (da saltatio, danza arcaica di tipo rurale, ma anche il canovaccio della pantomima). Ne furono autori anche Lucano e Stazio, Pilade di Cilicia, Batillo d’Alessandria e Paride, maestro di Nerone. Approfondimento: La pantomima. A Roma, per quanto riguarda la tipologia rappresentativa e quindi teatrale, sappiamo e abbiamo visto come il teatro alto di parola di tipo greco, trovasse una sua nicchia destinato nella diciamo nella elite, ma che non avesse tutto questo appeal nei confronti dello spettatore inteso in senso più ampio. Quindi la tragedia, o anche la commedia, venivano praticate in ambienti e in situazioni piuttosto ristrette. L’actor era il personaggio demandato all'interpretazione della tragedia. Un attore non professionista, di solito appartenente alle élite romana, che si prestava ad agire sulla scena con un intento quasi esclusivamente educativo, riallacciandosi proprio all'idea del teatro come lo intendevano i greci, cioè di invenzione educativa. L’actor solitamente usava una maschera, anche perché non doveva essere riconosciuto nella sua pratica teatrale, che era una pratica assolutamente non professionistica. Il gusto romano per la rappresentazione era quasi completamente riversato nei confronti di quelle pratiche rappresentative che derivavano dalla cultura più orientale, in particolare il mimo, un'eredità della commedia atellana, e la pantomima, che era un genere spettacolare introdotto intorno al 22 a.C. da due mini di origine orientale, Pilade e Battilo, che divennero ben presto gli idoli dello spettatore romano, inteso in maniera più ampia. Furono anche tra i pochi istrioni che godettero dei privilegi veramente importanti: furono di volta e volta protetti delle famiglie più importanti di Roma e quindi acquisirono anche un privilegio sociale che non era assolutamente normale o scontato per gli istrioni. Nella pantomima, differenza del mimo, si toglie la maschera. Il danzatore è un attore che non parla e che quindi delega la rappresentazione esclusivamente al gesto. Il termine pantomima vuol dire proprio questo: tutto minato, nessun intervento recitato, se non raramente quello del narratore esterno. Quindi questo attore-danzatore era accompagnato in scena o fuori dalla scena, a volte da un musicista, a volte egli stesso eseguiva il ritmo con strumenti a percussione e si dava il ritmo della recitazione da solo. Inscenava un racconto che normalmente era ricavato dal repertorio tragico, dal mito o dalla storia, oppure anche dal repertorio della commedia classica. E attraverso una danza, precisamente una complessa recitazione gestuale e simbolica, rappresentava una vicenda sulla scena. Molta della sua interpretazione era demandata alla mimica facciale. Il pantomimo si toglie la maschera proprio perché, per rappresentare una scena più complessa dal punto di vista drammaturgico, si deve affidare alla possibilità più ampia di interpretazione e ovviamente le molteplici proprietà dell'uso del volto possono servire molto a far comprendere allo spettatore anche gli stati emotivi del personaggio. Un'altra pratica che molto aiutava l'attore era l'uso della gestualità espressiva delle mani. Il pantomimo interpretava tutti i ruoli. Solitamente venivano previsti degli interludi musicali, in cui si dava il tempo all'attore di cambiarsi la veste. Molto spesso c'erano dei commenti anche cantati, 12 o affidati a un interprete, a un coro esterno, quindi non erano assolutamente interpretati dal pantomimo. Questo si dedicava a mimare la vicenda, che magari era prima stata sintetizzata. Erano presenti solitamente anche dei musicisti, che suonavano strumenti a fiato o corde: molto importante era la presenza di strumenti a percussione, che battevano il tempo e davano anche il tempo scenico. Il pantomimo è il primo professionista della storia della danza. Come già detto, Pilade e Battilo introdussero questo genere e diventarono presto molto rinomati. Ci furono proprio anche degli scontri verbali molto accesi fra le frazioni che sostenevano l'uno o l'altro. Furono i primi a comprendere che, se si voleva comunque avere una propria nicchia dii popolarità e riservarsi un ambito di esecuzione, era più intelligente e funzionale specializzarsi in un repertorio in modo da non dover competere l'uno con l'altro. Fu così che Pilade si dedicò al repertorio tragico e Battilo al repertorio comico. Roma imperiale. Nella Roma imperiale c’è il trionfo della danza imitativa: la danza ricopre tutti i tipi di danza (imitativa, cultuale, …) nella forma della pantomima → tipologia spettacolare unicamente concentrata sul gesto. La pantomima non è una danza: non c’è un attore che si mette a danzare; è una tipologia spettacolare che si esterna e si pratica esclusivamente con il gesto. La pantomima arriva a Roma dalle province orientali: in Grecia esiste la tipologia spettacolare del mimo e del pantomimo; la tipologia del pantomimo viene importata a Roma e si stabilizza in maniera specifica, prendendo delle caratteristiche proprie della cultura che si insedia. Pantomima vuol dire “tutto attraverso il gesto”. Il mimo greco è una pratica spettacolare che agisce affidandosi al gesto, ma prevede quasi sempre una spiegazione orale. Ci può essere un attore esterno alla scena, ma comunque si fa un racconto, a volte anche dei dialoghi. Altra caratteristica del mimo è che l’attore che pratica questa arte performativa porta la maschera. Il pantomimo, che si sviluppa in Grecia, per poi essere portato a Roma, ha la caratteristica di aver tolto la maschera: persistono nel pantomimo greco degli elementi testuali, ma l’attore recita in scena senza la maschera, per un’efficacia rappresentativa. C’è bisogno che il corpo sia eloquente al massimo. Mimo e pantomimo avevano in scena degli strumenti: l’accompagnamento musicale non era complesso; molto spesso era lo stesso mimo che aveva degli strumenti a percussione per scandire i propri movimenti, oppure c’era l’aulos o la cetra. Il pantomimo greco viene assimilato a Roma nel 22 a.C., portato da due attori: Pilade e Batillo, specializzati nel pantomimo. Capirono che l’elemento testuale non era apprezzato e fecero cadere la parte recitata. Per attrarre tutti, in modo che potessero capire, perché il greco non era conosciuto da tutti, fanno cadere la parola e si affidano alle loro capacità imitative e rappresentative, tramite i movimenti del corpo, le espressioni del volto, e l’accompagnamento musicale. Pilade e Batillo portano in scena delle storie che tutti possono comprendere. Gli comici dell’arte nel Cinquecento faranno proprio così: introdussero le maschere, come Arlecchino, togliendo la parola; l’ostacolo del linguaggio veniva superato e si esibiranno in tutta Europa. Pilade e Batillo non recitavano in coppia. Sono in grado di rappresentare una vicenda perché sono in grado di rappresentare più caratteri, con vestiti e gestualità specifici per ogni carattere. Al massimo ci voleva essere un attore fuoriscena che introduceva il carattere facendone il nome. Pilade e Batillo furono accolti molto bene a Roma. Siccome entrambi erano molto acclamati, capirono che bisognava diversificare il repertorio. I patrizi facevano a gara per averli nei propri palazzi per degli spettacoli. Pilade e Batillo decisero di specializzarsi ognuno in un genere specifico: Pilade si specializzò nel repertorio tragico, in quanto la sua gestualità era portata nella rappresentazione delle tragedie, e Batillo si specializzò nel repertorio comico. Quando arrivano i Lorena a Firenze (Settecento, quando cade la dinastia medicea), c’erano dei teatri pubblici che proponevano gli stessi repertori, dunque dividono i teatri per repertori diversi. Fu un’operazione molto intelligente, che definì la possibilità ai teatri di avere più pubblico. La pantomima non è una danza. A quest’altezza cronologica, si parla di pratiche performative, che hanno a che fare con il movimento. È una pratica a finalità rappresentative: non è una pratica gestuale astratta. Si può rappresentare esattamente qualcosa che abbia inizio, svolgimento e fine. Sono storie coerenti che devono essere comprese. Video: Carmen (Roland Petit), Baryshnikov. Sta interpretando il torero preso dalla passione, con il coro dietro che canta le parole di Carmen. Nel finale, il torero uccide Carmen. Il danzatore che rappresenta verrà poi chiamato danzatore-attore o danz-attore, perché deve avere anche la tecnica del comunicare: la questione delle capacità recitative viene portata fuori nel Settecento. 15 Gli umanisti hanno questa necessità perché rimettono l'uomo al centro della questione antropologica, della cultura e della scienza. L'uomo in quanto essere intellettivo è al centro dell'universo, per quello si chiama Umanesimo. Il Rinascimento porta avanti quest’idea: rinascimento rispetto all’epoca in cui l’attività intellettuale umana si reputa più inattiva. È la riscoperta dell’intelletto umano, della conoscenza messa a servizio dell'umanità. Questo lo vediamo ovunque, anche nello spettacolo. L'uomo è il punto di partenza del creato. La Chiesa dice che l'uomo è l'elemento principale dell'universo e tutto ciò che esiste è stato creato per lui. L'uomo medioevale era profondamente attivo. Zorzi, quando inizia il suo esame per il manuale di storia medievale, dice che il Medioevo non esiste: senza questi secoli, non ci sarebbe stato meglio. Il commercio, le innovazioni dell'agricoltura nascono nel Medioevo. Erano società che avevano ben presenti le risorse e le scoperte dell’Impero Romano (ad esempio, gli acquedotti). Erano portatori di questa conoscenza. La caduta dell’Impero Romano non è una vera e propria fine: l’Impero Romano si evolve, si configura in qualcos'altro. L’Impero Romano era vastissimo, talmente vasto, con così tante culture diverse, che le varie culture iniziano ad andare avanti per conto loro: non è possibile gestire un territorio così ampio. La prima causa di questa evoluzione è proprio la grandezza dell'impero. Va anche detto che la lunga durata dell'impero è dovuta anche dal fatto che il conquistatore, quando andava in territori estremi, non usava un atteggiamento colonizzatore, ma lasciavano alle popolazioni molta autonomia, quasi non cambiavano le forme di governo. I romani annettevano territori, ma lasciavano molta autonomia. Tutto si sfalda perché il potere centrale inizia a indebolirsi, ad esempio si susseguono imperatori con idee più deboli: l’incapacità governativa è una delle cause dello sfaldamento di una forma di governo. Un elemento importante è la grossa presa di potere da parte dell'esercito. Le cause della caduta (accade nei secoli, non negli anni) dell’Impero furono: - vastità territorio; - autonomie delle province; - incapacità politica di imperatori; - presa potere da parte dell’esercito; - sfaldamento dell’impresa governativa straordinaria. Chi vive in questo periodo non si rende conto del cambiamento. L'uomo medioevale si sente ancora un cittadino dell'impero. Decadendo un potere centrale così forte, il monumento teatrale romano, che serviva a ricordare il potere dell'imperatore, perde di significato, gli spettacoli cambiano luogo. Il luogo teatrale perde di significato, lo spettacolo esce dal monumento teatrale e si diffonde nella comunità. Decadendo il potere centrale, decade tutto quello che rappresenta. La spettacolarità riprende a viaggiare nel tessuto collettivo sociale. Non è che prima la spettacolarità al di fuori del monumento non esistesse: sono pratiche ancestrali, antropologiche, che sono sempre esistite (es. carnevale nasce in epoca romana). Ma lo spettacolo del potere convoglia tutta l'attenzione. Le fonti più eclatanti che abbiamo erano ufficiali: sono quelle dello spettacolo del potere, perché era quella la notizia che doveva passare. La cultura popolare sopravvive sempre in tutte le società che andiamo ad esaminare e c’è ancora oggi. Il livello della cultura popolare è diverso rispetto a quello della cultura ufficiale. Sono pratiche talmente connaturate che non sentiamo la necessità di tramandarle (es. nel diario non scriviamo tutto ma solo le cose che vanno al di fuori della quotidianità). Quello che viene tramandato è l'eccezionalità. La spettacolarità "sotterranea" continua. Scomparendo la spettacolarità popolare, si diffonde quella culturale. Il monumento teatrale si svuota. Decadendo il monumento teatrale ritorna ad essere emergente il luogo teatrale (che c'è sempre stato): la piazza centrale, le strade, il cimitero. Il luogo teatrale per definizione è un luogo dove occasionalmente si fa teatro, ma che normalmente è adibito ad altro. Sono luoghi occasionali di teatro. Il monumento teatrale è invece fisso per lo spettacolo, non occasionale. Non c’è nulla che scompare. Questa cultura spettacolare diffusa emerge perché non c'è più quella ufficiale. Ciò dura poco, perché velocemente riappaiono altri centri di potere. L'entità che diventa punto di riferimento fondamentale è la Chiesa: diventa di fatto un secondo potere politico. Inoltre, tutti i singoli circoli di nobili rappresentano il potere territoriale. Alcuni di questi centri di poteri diventano sempre più potenti e iniziano a governare sapere più spazio insieme alla Chiesa. Tutti questi micropoteri danno vita a piccole società, che iniziano ad essere luoghi di spettacolo preciso, che rappresentano il potere di chi li gestisce. Rinasce la differenza tra spettacolo di corte e popolare, idea che non ci abbandonerà per molto tempo. Si ritrova l'idea che lo spettacolo rappresenta il potere di chi lo elargisce. Quando rinasce il centro di potere ben identificato non scompare la cultura popolare ma torna ad essere più evidente per le nostre fonti quella del potere. C'è un elemento che passa inalterato in tutte l'età: il professionista dello spettacolo, prima detto istrione. Questa figura è sempre esistita. I pantomimi romani offrivano lo spettacolo perché avevano una capacità professionale; per trovare fortuna si spostavano di città in città (itineranza), si affidano all'entusiasmo del pubblico. Questi personaggi che gravitano nelle società non si specializzano in nulla, se lo facessero non avrebbero la possibilità di stare per tanto tempo in un posto. Queste persone fanno dea loro pratica una professione (si fanno pagare), integrano certe volte con altri lavori. 16 Quindi, le caratteristiche dell’istrione sono: - itineranza - non specializzazione - professione - affidarsi al gesto eloquente L’istrione medioevale non è diverso da quello romano. Era il repertorio di base, erano quasi sempre pratiche coreutiche che avevano a che fare con la figura del cerchio che è sempre l'idea della completezza di qualcosa. L'altra tipica formazione è quella della catena aperta (cerchio aperto) è un momento di disordine, che velocemente si richiude. sono quasi tutte danze collettive. esiste anche la danza di coppia, spesso ci sono varie coppie che agiscono e poi si riuniscono tutte insieme per creare l'unità collettiva (cerchio). Queste pratiche sono simili tra loro quello che cambia è come concepisco la pratica, la pratica di corte ha i suoi codici e quella popolare ha i suoi. Ogni pratica performativa va riferita al contesto culture, sociale e storico (es. il saltarello veniva fatto sia nelle corti che nell'ufficiale). Iconografia → si riporta spesso una danza circolare, a catena aperta o a catena chiusa. Sono danze che seguono l'andamento e la struttura della musica: se si ripete anche la coreografia si ripete. Schema coreutico sempre uguale. C'è la strofa che è quasi sempre breve che ha uno schema diverso e poi torna il ritornello. La danza nel Medioevo. La danza circolare si poteva svolgere a catena chiusa o a catena aperta: rimanda al concetto filosofico del cerchio che rappresenta un’unità, che non presenta differenze, ma è sempre uguale a se stessa. Gli elementi fondamentali per analizzare la danza del Medioevo: - Mutazione lessicale: il termine “saltare” (saltatio) viene sostituito da “ballare”, a meno che non venga usato per far riferimento all’antichità. Il termine è stato citato per la prima volta negli scritti di Sant’Agostino. La denominazione “ballo” va a indicare l’evento coreutico, e deriva dal francese antico baler. In questo momento di mutazione culturale, riaffiorano delle terminologie di lingue già codificate, che poi vengono messe per iscritto e arrivano a soppiantare la lingua latina degli alti ranghi. - Declino della spettacolarità istituzionale, ripresa dalla Chiesa e dalle realtà istituzionali di potere: la pratica dell’istrione permane, ma il declino è conseguenza del decadimento. Riemerge la spettacolarità della cultura popolare ancestrale, mai scomparsa, ma messa in ombra dal teatro e dalle spettacolarità delle masse, emerso dal potere. Le danze ancestrali sono quelle della fertilità, mascherate, demoniache, del fuoco, delle spade: danze con ritmi ossessivi che conducono all’estasi collettiva, come la Danza Macabra, la Chorea Major (o Ballo di San Vito), le Tarantole; sono tutte danze con ritmi molto accentuati, con movimenti anche molto evidenti, che fanno riferimento alle danze delle Menadi e delle Baccanti. - La figura dell’istrione rappresenta la continuità della società medievale con il mondo antico. L’istrione esiste già nel mondo antico: il pantomimo è l’istrione, quei professionisti che non si dedicano al teatro di parola, ma quello gestuale. Dedicano gran parte della propria professione ad una pratica performativa, che ha a che fare prevalentemente con l’uso del corpo e la comunicazione gestuale. L’istrione va direttamente a invadere il territorio della spettacolarità medievale, senza cambiare. L’istrione romano era già itinerante, professionista, non specializzato se non in pantomimi. In questa società medievale l’istrione si inserisce in modo naturale: fa parte di una dimensione che sta di qua e di là; viene dalla cultura popolare e viene inserito nella cultura istituzionale, e non ha problemi a sopravvivere. Non scompare perché è una figura che viene dalla cultura popolare, arriva senza problemi né cambiamenti in una nuova società. La tradizione saltatoria (cioè coreutica), propria dell’istrione antico (tradizione performativa: essere e concentrarsi su una rappresentazione basata sul gesto), rimane appannaggio di questa tipologia di performer. Sono portatori di una pratica spettacolare performativa. Il termine giullare non è appropriato: ha a che fare con una cronologia molto successiva, e si riferisce a una sola specializzazione degli istrioni (viene da ioculator, ossia giocoliere); è un termine che snatura la dimensione completa del performatore. Il termine giullare è coevo, ma viene usato verso l’Ottocento. È sbagliato nella disciplina determinarlo come giullare. Istrione è la denominazione antica che indica una persona che sa fare tante cose, nel modo migliore. È necessario avere quella definizione di 50 titoli e mansioni. - Le feste e i momenti di danza popolari si concentrano in determinati periodi dell’anno, perché si ripresenta l’esigenza di ricordare il ciclo naturale, che determina degli eventi specifici (vendemmia, solstizi, carnevale, calendimaggio, ecc.). Di questa cultura popolare a noi è rimasto molto forte il culto dei morti, che viene solennizzato, oggi in maniera diversa. È un esempio lampante della politica della Chiesa nei confronti della spettacolarità popolare. Le festività cristiane sono tutte istituite nei periodi in cui c’erano le festività ancestrali: la Chiesa si immette sulla festività popolare, quando la 17 popolazione si sente unita. Il Natale, ad esempio, è stato istituito nel momento del ciclo naturale delle celebrazioni della fine dell’anno, dove la natura si spegne, ma comunque si accende in vista della primavera. La Pasqua, allo stesso modo, simboleggia la resurrezione nel momento della rinascita della natura (primavera). La festa dei morti è una festa ancestrale: la natura ‘muore’ a novembre, in vista dell’inverno. Le culture celebrano il culto della morte in senso positivo, perché la morte porta alla rinascita (non si parla di reincarnazione: la natura muore, crea humus che poi dà vita a qualcos’altro). È un momento positivo di rinascita: si dà possibilità a qualcos’altro di rinascita. Le popolazioni dell’America Latina hanno dei riti funebri molto festeggianti: non c’è dolore, ma allegria per quello che rinasce. La festa dei morti sarebbe stato questo, ma poi la Chiesa ha inserito una festa che in sé ha la stessa poetica (resurrezione), però in realtà non ha delle celebrazioni positive. L’istrione si inserisce in queste pratiche. Si ritrovano delle critiche da parte della Chiesa, che si sta formando come istituzione politica. È qui che nasce il vero anatema sull’istrione, quindi sul professionista dello spettacolo. Se nella società romana, con l’avvento del cristianesimo, l’istrione poteva essere visto in maniera critica, perché non apparteneva, bene o male, a nessun posto (era itinerante) e questa era l’unica critica sociale che gli poteva essere rivolta, la critica morale nasce con l’avvento del cristianesimo e la sua struttura all’interno della società. Qui si conferma quanto lo spettacolo sia profondamente connaturato con il corpo: si critica l’uso del corpo per guadagno. Gli istrioni si muovono, gesticolano, danzano, in maniera a volte armonica e a volte no, ma si critica la professione. Vengono messi alla pari della prostituzione. Perché il corpo non deve essere usato per guadagno? Nella visione cristiana, il corpo è un elemento sacro, perché è l’involucro dell’anima e dello spirito. Prima, questa concezione della sacralità del corpo non c’era. Anche oggi c’è quest’idea che gli attori siano personaggi da evitare, perché moralmente corrotti: è un’idea che parte da qui. Agostino, Abelardo e altri si inseriscono nella critica: sant’Agostino ammette anche di aver ammirato la pratica dei pantomimi, ma la critica è generale. Per quanto riguarda le fonti della danza medievale, ci sono delle fonti letterarie, che vengono da documenti di testimonianza diretta, che parlano di questa spettacolarità diffusa. Uno di questi è un brano all’interno di un diario di viaggio (Giraldo Cambrense, Itinerarium Cambriae, XII sec) riguardo le danze ancestrali (estatiche). Il ballo di San Vito è questo: persone che si sentono impossessate da spiriti maligni vengono portate in chiesa e tornano in sé. C’erano persone che facevano questa rappresentazione della purificazione dello spirito: fuori dalla chiesa si fanno danze con torchi, poi si arriva in chiesa e si torna in noi. Fonti iconografiche. Molte di esse sono miniature o affreschi rappresentati in posti in cui non si tratta di danza, ma che ci confermano che la danza fosse praticata quotidianamente (testimonianza indiretta). Servono per fare delle considerazioni generali. - Lorenzetti, Gli effetti del buon governo, Siena. Viene raffigurata la città di Siena in tutte le sue maestranze artigianali: viene accostata una rappresentazione monumentale della città e la comunità che riesce a fare il proprio compito. Questi sono gli effetti del buon governo: una città ideale. Tutto è perfetto. In questa volontà di rappresentare il buon governo di Siena, in primo piano ci sono delle figure ben visibili: nobili che danzano nella tipologia della catena aperta/catena chiusa, con una musicista. La danza è messa in primo piano. La postura è armonica, i movimenti sono misurabili. L’effetto del buon governo è questo: c’è una classe sociale dirigente virtuosa. Queste sono delle dame che fanno parte della classe sociale nobile. Il lato virtuoso di chi comanda la città viene impersonato dalla pratica coreutica. La danza, già in questo periodo, sta diventando l’emblema della nobiltà. La danza nobile è un’educazione. La nobiltà, che si sta riconfigurando nell’assetto politico cittadino, deve avere qualcosa in cui immedesimarsi, e che serva a configurarla in maniera diversa dalla popolazione. La danza nobile, che entra nella corte, diventa l’emblema della nobiltà. Nelle famiglie nobili la danza veniva insegnata fin da piccoli: era la prima educazione che i rampolli delle famiglie imparavano. Si ritorna nella cultura della danza dell’antichità, come si vedeva negli scritti di Platone. Il corpo del nobile si deve muovere armonicamente, secondo quell’armonia degli antichi, che rappresenta esteriormente l’armonia interiore. La pratica della danza nobile identifica il nobile vero e proprio, come diceva Platone. Diventa una pratica di appartenenza. Il movimento armonico, che sta alla base di questa pratica di corte, è fondamentale e distingue la corte dalla popolazione: la danza praticata nei cimiteri e nelle strade non è quella che entra nelle corti; viene ricodificata e diventa l’etichetta di rappresentazione della corte. Il corpo viene trattato in maniera armonica, perché quello che si fa con il corpo rappresenta l’armonia spirituale: il corpo emana movimenti adatti alla sua spiritualità. Se io ho una spiritualità armoniosa, il movimento è armonioso. Il nobile è spiritualmente superiore al resto della popolazione. La Chiesa appoggia questa danza perché la danza è praticata in termini educativi. Non sono professionisti, ma dilettanti. La praticano per scopo educativo, secondo codici di comportamento ben precisi. 20 Quando le corti si ristabilizzano, lo spettacolo torna ad essere visto come forma di dimostrazione del potere (come in epoca romana). “Spettacolo di corte” vuol dire che è una pratica nobiliare: è all’interno delle corti che si forma lo spettacolo. Quello che poi, a fine Cinquecento, diventa teatro pubblico, viene creato nelle corti. Bisogna assolutamente riferirsi alla pratica di corte per questi due secoli. Lo “spettacolo della corte” è il momento in cui la corte si mette in scena. È una pratica di rappresentazione della corte. La danza si individua come la pratica più importante per esternare la potenza della corte, anche perché era una pratica che i nobili sapevano maneggiare, visto che veniva insegnata fin dall’infanzia. Il nobile di alto rango non può recitare. La danza non concede l’uso della parola, ma si esprime attraverso movimenti: questo rimane inalterato in tutta Europa. Quali sono gli elementi fondamentali di questi due secoli? Sono collegati tra di loro. - Maestro di danza: è una figura fondamentale. Il maestro di danza è un istrione specializzato nella danza. Oltre ad insegnare e a praticare la danza nella corte, a un certo punto iniziano a produrre dei trattati. - Primi trattati sulla danza: quando c’è bisogno di mettere su carta qualcosa, vuol dire che questa non è conosciuta nei modi in cui vogliamo che si conosca. C’è la necessità, da parte dei maestri, di lasciare una testimonianza della loro professione, che deve essere codificata e riconosciuta. Bisogna anche considerare che nell’Umanesimo, l’uomo e l’intelletto umano sono al centro dell’universo: tutte le scienze umane vengono codificate; proprio per questo viene codificata anche la danza. È una disciplina che deve essere legittimata: l’azione dell’istrione, la professione che si basa sul corpo, la vendita di un’arte performativa che si basa sul corpo, viene da secoli di avversione, portata ai massimi livelli dall’azione della Chiesa. La pratica del corpo è sempre stata criticata: in particolare, quando la Chiesa si configura come centro di potere moralizzante, la critica è devastante. Per giustificarla, dunque, si scrivono dei trattati. In questi trattati si parla della nobilitazione della danza. Prima di dire qual è il repertorio, nei trattati si cerca di fare dei trattati filosofici della danza, per cui si legittima questa pratica all’interno della corte. La danza diventa il metodo di appartenenza delle corti nobiliari. Il trattato della danza ci lascia anche un repertorio, sia attuale del maestro che scrive, sia inserendo delle tradizioni precedenti. Le danze servono all’intrattenimento della corte, ma anche alla spettacolarità all’interno della corte. È qui che si codificano i balli spettacolari all’interno della festa. - Balli spettacolari all’interno della festa: c’è una differenza tra la pratica spettacolare/teatrale e quella privata, almeno differenza non in campo strutturale. La messa in scena, per essere tale, ha bisogno del pubblico. La pratica spettacolare presuppone persone che stanno sulla scena, che fanno cose che gli altri non fanno; c’è una frontalità e una volontà di rappresentare qualcosa di preciso a chi ci guarda. Tutto ciò ci porta a considerare il ballo spettacolare all’interno della corte. Maestri di danza e trattati (la datazione non è certa: si riferisce a manoscritti che abbiamo in possesso, ma i ritrovamenti non sono mai esauriti). - Domenico da Piacenza, De arte saltandi et choreas ducendi (1455 ca). Fu il primo maestro di danza, e educò anche i maestri futuri. Il titolo riporta saltandi (danza latina) e choreas (indicativo per la danza nella società greca). Si riferisce all’autorità dei latini e dei greci. La chiama arte di ballare e di condurre le danze. È una scrittura molto semplice: nello spazio vuoto all’inizio, a sinistra, doveva esserci un capolettera: probabilmente il trattato che abbiamo era una bozza, non il trattato ufficiale, che prevedeva un’edizione più importante e ricca. Le congetture sono tante: o muore prima dei poter arrivare a commissionare la redazione finale del suo trattato, o la redazione finale non ci è pervenuta, o l’opera è stata volutamente lasciata incompiuta. È una scrittura filosofica. Nella prima parte si parla di legittimazione della danza: perché la danza si deve praticare all’interno della corte e non è una pratica ignobile. Per nobilitare la danza si riprende Platone, che diceva che la danza era ispirata da delle capacità intellettuali, dallo spirito; per cui, la danza nobile è armoniosa, perché rispetta uno spirito armonioso. La filosofia platonica dica che tutto il teatro è emanazione (a vari livelli) della divinità: il movimento del corpo è emanazione dello spirito, che è emanazione della divinità. La filosofia alla basa della riflessione umanistica è il neoplatonismo, che attualizza il pensiero platonico. - Guglielmo Ebreo da Pesaro, De pratica seu arte tripudii (1463). Fu allievo di Domenico da Piacenza e lui stesso si riferisce così all’interno del trattato. È un manoscritto ricco con miniature, capilettera. È la versione ufficiale che Guglielmo scrisse per la corte. La prima differenza con il trattato di Domenico è che questo trattato chiama l’arte “pratica”: è meno filosofico, anche nella redazione. Dopo la prima parte che riflette sulla filosofia della danza, parte con una serie di regole, e già è una struttura più pratica. Chiamarla pratica indica un livello diverso. Questo è il primo trattato che ci offre la prima immagine specifica della danza: è una fonte primaria, perché l’iconografia si riferisce 21 direttamente alla pratica della danza, non si riferisce ad altro. È il trattato da cui bisogna partire per comprendere la pratica della danza all’interno delle corti. È un trattato finito, reso nella redazione alta della corte e così ci è stato tramandato. - Antonio Cornazzano, Libro dell’arte del danzare (1465). Primo trattato a spiegare la Bassadanza. È un trattato atipico: Cornazzano era un funzionario politico nella corte degli Sforza, non era un maestro di danza. Era un nobile, di una famiglia importante, che agiva all’interno della corte degli Sforza a Milano. Non era dunque un professionista (i maestri di danza non sono nobili). Il titolo riprende il libro di Domenico da Piacenza. Fu poeta e umanista alla corte degli Sforza, ma fu attivo anche presso altre corti. Scrisse anche trattati sulle pratiche militari, perché era ingegnere militare. Il suo trattato ci fa capire che la danza era una pratica di appartenenza di una classe sociale: oltre a questo, la funzione del trattato è precisa: lui era tutore di Ippolita Maria, una figlia del duca di Milano, e lo scrive per esemplificare, ad uso quotidiano, i trattati di Domenico e Guglielmo. Lui può fare quest’operazione perché non è un maestro di danza: non deve preservare la sua professione. Il trattato è scritto in un “italiano” più semplice. Lo scopo è una pratica più veloce ed immediata. È un trattato molto utile, anche per capire i trattati precedenti. Sono atteggiamenti diversi: Domenico e Guglielmo devono essere necessariamente complicati per difendere la loro professione, danno poche informazioni sui passi di danza; Cornazzano deve solo semplificare e spiega anche dei passi. I primi due trattati riportano un titolo latino, ma sono scritti in lingua volgare. Scrivere in latino vuol dire scrivere nella lingua degli antichi: gli umanisti scrivono nella lingua degli antichi per cercare importanza. Nel Quattrocento non ha più senso scrivere un trattato in latino: si scrive in italiano, ma il titolo in latino dà senso di autorevolezza a ciò che si scrive. Alla fine di questi trattati si parla anche dei balli. Quindi, oltre alla spiegazione filosofica e del repertorio coreutico, nella seconda parte vengono tramandati alcuni balli rappresentati nelle corti: è un livello diverso, tramandato in maniera esemplare nel Cinquecento. C’è una pratica ad uso della comunità, una pratica che deve essere giustificata attraverso un’opera di un maestro di danza, ma c’è un livello diverso di rappresentazione: salgono sulla scena e diventano rappresentative. Il Cinquecento è il momento in cui la riflessione sul ruolo della danza nel mondo della corte trova la sua codificazione più alta e complessa. Le corti del Rinascimento, e lo sarà per tutto il Seicento e parzialmente il Settecento, definiscono ufficialmente la danza come l’etichetta della corte: non è più un divertimento, ma il codice di appartenenza della corte. Chi fa parte della corte, a partire dai signori e poi dai monarca, deve conoscere la pratica della danza nel modo corretto. La danza è il mezzo di comunicazione ideologica, politica e culturale. Il corpo parla di chi sei, della classe sociale a cui appartieni. Questo concetto diventerà ancora più forte alla corte di Luigi XIV, che farà della danza il codice di appartenenza alla cultura. Nell’Europa di metà Quattrocento fiorisce, nel modo forse più splendido, la società di corte: corte è un termine che designa sia la residenza di un signore/sovrano, sia il gruppo familiare (i cortigiani, i servitori, i letterati e artisti che si riuniscono attorno al gruppo sociale della corte). La partecipazione alla vita di corte aveva portato, fin dall’epoca medievale, alla necessità di seguire delle precise regole di comportamento, tipiche e contraddistinguevano la corte, distinguendola dal resto della popolazione. Questo è stato un lungo processo, che arriverà fino al Settecento, per costruire un codice di stili, regole e buona educazione, che investono tutte le sfere del buon comportamento, pubblico e privato. Ciò che a noi interessa visualizzare è che di questo processo di raffinamento di costumi e di civilizzazione, che sempre più potentemente plasmerà e sarà caratterizzante delle classi superiori, porta un modo di concepire la vita: la spontaneità lascia posto alla regola precisa e codificata. In questo contesto, rileviamo che i maestri di danza assumono un ruolo importantissimo, e diventano i primari protagonisti di questa istruzione al comportamento nobiliare. Questo processo ha luogo a partire da alcuni corti italiane del Quattrocento, dove sono attivi importanti maestri di danza. Le corti italiani saranno poi prese a modello da altre corti europee già nel Quattrocento, ma soprattutto nel Cinquecento e Seicento. Nel corso del Cinquecento, si accentua ancora di più la tendenza iniziata nel secolo precedente: la danza è un evento di rappresentanza, di esternazione della propria condizione nobile e di potere; nell’esecuzione della danza è necessario dar prova della propria abilità, forza e potere atletico (soprattutto per i cavalieri), per codificare una trama di rapporti e legami sociali, sia all’interno, sia in relazione agli ospiti illustri delle corti straniere. La danza acquisisce una fisionomia sempre più rappresentativa e autorappresentativa, quando non è teatrale. Anche quando la danza è praticata all’interno delle corti, è autorappresentativa e legittimante del poter essere tutti insieme in quel contesto di privilegio. L’idea che la danza sia rappresentativa a livello privato, pubblico e teatrale, diventa nel Cinquecento una codificazione acquisita. Il comportamento del cortigiano nel ballo, che è il suo emblema, e in tutte le altre attività che lo espongono al giudizio degli altri, è codificato nel 1528 da Baldassarre Castiglione nel suo Libro del cortegiano (più volte ristampato): un trattato in forma dialogica, ambientato nel 1507 al Palazzo Ducale di Urbino, e destinato a formar con parole un perfetto cortegiano. Si tratta del galateo del perfetto cortigiano che, dal momento in cui viene stampato e messo in distribuzione alla consultazione di tutti, diventa il punto di riferimento del galateo del cortigiano. La parte fondamentale è dedicata all’educazione: il cortigiano deve evitare di partecipare a balli e feste popolari, per non 22 mescolarsi a un sistema e a un ambito sociale che non è il suo; è necessario che rimanga in un contesto a lui appropriato e che danzi nei modi appropriati. È un trattato che racconta tutto della società rinascimentale e della società dell’antico regime. → “Il cortegiano deve considerare molto in presenza di chi si mostra”. Il modo di agire del nobile deve essere improntato all’ideale della grazia e della sprezzatura, ossia un modo di comportarsi naturale: il cortigiano deve essere aggraziato, ma deve essere naturale, nascondendo che è un’etichetta imposta. La spezzatura è rispettare un’etichetta precisa, ma mostrarla come se fosse naturale e innato, in quanto appartenente alla classe sociale della nobiltà. Quello che il cortigiano deve riuscire a fare è avere un atteggiamento impeccabile, ma non deve sembrare frutto di un lungo lavoro e istruzione, impartita dal maestro di danza (che è maestro del comportamento). La danza è il corpo parlante, perché parla di una condizione sociale superiore, di una qualità che deriva proprio dalla nobiltà. Qui si crea la cesura insanabile tra la nobiltà e il resto della popolazione. Quali sono queste danze rappresentative? La danza nel Cinquecento. Quello che si porta sulla scena sono le danze di genere ma, che al momento in cui vengono messe sulla scena e devono rappresentare qualcosa, cambiano connotazione: si parla di danze di genere ad uso rappresentativo. Sono le stesse danze, il repertorio è quello. La Bassadanza è già rappresentativa. La qualità della danza rimane la stessa (danza collettiva, con il suo ritmo), ma gli si dà carattere rappresentativo e imitativo: si portano dei gesti che hanno un significato. Quando Cesare Negri e Fabrizio Caroso parlano di danze teatrali, parlano del repertorio di danze di genere. Questo rimane anche nei secoli successivi. Sulla scena, ovviamente, hanno una caratteristica imitativa e rappresentativa importante. Non c’è un repertorio di danze teatrali specifico per la rappresentazione sulla scena, se non un caso: la moresca. Un tipo di danza esclusivamente rappresentativa. Non a caso, è una danza che ha le sue origini nella pirrica: è una danza guerresca. È l’unica danza che noi oggi conosciamo che fu usata solo sulle scene, perché è una danza rappresentativa. Anche la Bassadanza è una danza autorappresentativa. La danza nel Cinquecento, come pratica, non è diversa da quella del Quattrocento, ma ha delle connotazioni ben precise, perché il periodo è completamente diverso. Gli elementi di distinzione rispetto al Quattrocento sono: - L’invenzione della stampa a caratteri mobili facilita la diffusione dei trattati per un pubblico più variegato. Ci sono più formati di stampa. Tutti possono avere il proprio esemplare a stampa perché se lo possono permettere - Più ampio bacino di utenza della danza più alta: non solo nobiltà ma anche altre classi sociali, in particolare quella mediana. L’idea di danzare non è più solo appannaggio della corte. Nel Cinquecento si sviluppa e si consolida la classe di mezzo, quella produttiva. Questi professionisti di tutte le varie arti (professioni) diventano lo strato sociale più importante della società. Queste persone vogliono comunque dedicarsi a qualcosa che possa alleggerire la giornata di lavoro e possa favorire la socializzazione: si guarda la nobiltà e la danza, ma a livelli diversi. Non si pratica la danza a livello popolare, ma neanche a livello nobiliare, perché sono classi diverse. L’idea della socializzazione, dell’intrattenimento fuori dal lavoro, la concezione del divertimento come staccarsi degli affanni quotidiani, diventa una necessità abbastanza importante. La danza diventa una pratica di appartenenza anche della classe mediana. È in questo periodo che nascono le prime scuole di ballo pubbliche. Si paga per imparare a danzare. L’idea è che tutti possano fruire di quest’arte, se si può pagare. Gli esemplari vengono stampati, e la stampa dà possibilità a un bene di circolare potenzialmente senza limitazione (ancora non c’erano delle normative per il diritto d’autore). - Apertura all’Europa, nella moda e nello stile delle danze; la caratterizzazione nazionale e territoriale. C’è un’apertura culturale in tutti i sensi. - I trattati dei maestri di danza rivolti alla nobiltà ma anche a professionisti e autodidatti. Video: Patienza, ballo tratto dal trattato di Domenico da Piacenza. È una danza collettiva realizzata in coppia. I passi sono tutti bassi. Il corpo è misurato, dà l’idea della spiritualità del nobile. Normalmente, il maestro di danza componeva la musica della danza. Questa era una pratica importanza: il maestro di danza doveva ben conoscere la musica. Guglielmo dice che la musica è fondamentale della danza, deve essere elemento che ispira la danza, non qualcosa di accessorio. I maestri di danza si riallacciano all’unità degli antichi, la musiké, ossia l’unità tra danza e musica, che nei secoli andrà disperdendosi e verrà recuperata solo nel Settecento. Video: Amoroso, tratto dal De Pratica di Guglielmo Ebreo da Pesaro. Da notare la schematizzazione della danza. La tematica di queste danze è quasi sempre la tematica amorosa, perché siamo in un periodo in cui l’amore spirituale, la cavalleria, il Dolce Stil Novo pervadono tutta la cultura umanistica. L’idea dell’amore platonico nasce qui, perché è quell’amore che non ha niente a che fare con la carnalità, ma con lo spirito. Il contatto fisico è quasi inesistente, se non con la mano o con la punta delle 25 all’esperienza della figura impresariale di Anna di Danimarca, regina di Inghilterra, che si interessa di teatro e cura in prima persona gli allestimenti teatrali della propria corte: a Ferrara, qualche anno prima, si può vedere uno stesso comportamento da parte di Margherita di Gonzaga, che organizza la spettacolarità di corte e si esibisce. Questi sono casi particolari nella storia dello spettacolo. Siamo negli ultimi anni del Cinquecento, dove nella corte ferrarese c’è un’attiva pratica coreutica, soprattutto per merito dell’azione, della pratica e dell’interesse della duchessa Margherita di Gonzaga. Sono gli anni dell’evoluzione del balletto mascherato femminile, noto anche come ballo delle dame o ballo della duchessa. Sono momenti coreutici molto importanti, legati all’esecuzione della duchessa e delle sue dame: una pratica che si sviluppa in modo molto interessante nel giro di un ventennio, ma anche in modo economico, dal 1571 al 1594. Nel 1574 arriva a Ferrara Margherita Gonzaga, terza moglie di Alfonso II d’Este: da quel momento, il balletto reale, o il gran ballo, divenne un appuntamento spettacolare di grande impiego e risonanza. Allo stesso modo, qualche anno dopo in Inghilterra, nella notte dell’Epifania, una volta l’anno, si esibiva il Queen’s Mask, ossia uno spettacolo di corte in onore della regina. A Ferrara c’erano dei balli che divennero punto di riferimento come modo di esternazione di potere e come impegno economico. Le coreografie di questi eventi erano concepite per un gruppo danzante di 8/10 danzatrici, tutte dame nobili, di cui faceva parte la duchessa, le sue sorelle e le sue dame di compagnia. In realtà il Gran ballo era una prassi già nel 1528. Da ricordare è il Ballo armato per dodici dame, del 1594, che è una moresca, in cui le dame combattevano vibrando armi con maestrevole leggiadria. Era una moresca destinata all’esecuzione di 12 dame, ossia la duchessa e le sue dame di compagnia e alle nobil donne più importanti della corte. L’autrice delle coreografie era proprio la duchessa. Il repertorio lo abbiamo ricostruito grazie ai trattati di danza, alla diffusione della stampa a caratteri mobili. La storia della danza, nel periodo 1400-1500, si discosta pochissimo dalla storia della musica. È un motivo per cui, erroneamente, per molti decenni la danza è stata associata alla disciplina musicale. Il fatto che le fonti a stampa della musica siano d’aiuto alla ricostruzione del repertorio delle danze di genere non ci autorizza a includere la danza alla musicologia: è un’altra cosa. È il discorso che sottolinea Sachs nel suo trattato. È chiaro che le fonti delle partiture musicali di questo periodo sono fondamentali, perché ci ricordano quali fossero queste danze, anche solo dal punto di vista del nome. Le partiture musicali avevano dei titoli che rimandano a queste pratiche di danza. Sono fonti importanti, ma non ci autorizzano ad inserire la danza all’intero delle discipline musicologiche. Quello che ci serve per comprendere le danze, il valore dell’esecuzione all’interno della corte, il loro arrivo sulla scena, deriva dalle fonti sulla pratica della danza. Caratteristiche delle danze e loro successione nella suite (insieme cronologico, una lista di danza che segue un inizio e una fine con un ordine specifico). Si iniziava con una danza lenta d’ingresso nella sala, fino ad una danza ad andamento veloce; nel mentre, si alternavano danze lente e veloci. Abbiamo abbandonato l’ambito popolare, che è utile per comprendere solo da dove arrivano le danze, ma siamo esclusivamente in un ambito nobiliare, di corte: un ambito chiuso che non ha niente a che fare con l’apertura alla popolazione; l’apertura ci sarà con i primi teatri e sale aperte, dal Seicento al Settecento. Per questi due secoli ci riferiamo a un ambito cortese (della corte). Le più grandi sperimentazioni, anche scenotecniche, che saranno alla base del teatro moderno, sono tutte codificate, sperimentate e messe in opera all’interno della corte. La Bassadanza nel Cinquecento viene abbandonata. Al suo posto, viene inserita la Pavanne o Pavana: danza nobile per eccellenza in metro binario e di andamento moderato. È l’entrata della corte all’interno della sala. Ha la stessa funzione autorappresentativa, in modo molto più semplice. Lo stile è quello della Bassadanza, soprattutto per la processione nella sala. I passi sono più ritmati. Nel Cinquecento la danza si rende più complessa. Nell’abbigliamento del Cinquecento, rimane la gamba esposta del cavaliere. Una delle danze importanti del Cinquecento è la Gagliarda, una danza veloce, atletica (bisogna sempre ricordare che si era nella corte, quindi aveva delle limitazioni). in questa danza individuiamo salti, saltelli, che sono il suo elemento peculiare. La caratteristica principale della gagliarda è che gli ultimi tempi sono composti da un grande salto, che portano ad atterrare con una gamba davanti all’altra. I movimenti più accentuati erano riservati al cavaliere, mentre la dama faceva dei saltelli. I salti erano anche accentuati dal movimento del ginocchio. Uno dei maggiori compositori era Thoinot Arbeau. Un’altra danza molto importante, di cui abbiamo nota sia nelle suites strumentali, sia nei trattati (ce ne sono altri rispetto a quelli già analizzati) è l’Allemanda. Tutte queste danze hanno una caratteristica che si ricollega allo spirito del Cinquecento: oltre all’alternanza lento/veloce, si alternavano per le origini nazionali e internazionali (la Pavana e la Gagliarda sono di origini italiane, mentre l’Allemanda ha origine tedesca). Ha un ritmo piuttosto moderato, meno lenta della Pavana. Permane anche nel repertorio Settecentesco, in cui il repertorio di genere cinquecentesco viene ripreso. 26 La Corrente è una danza veloce di origine francese. Ha ritmo ternario (indice di una danza più veloce, perché presuppone dei tempi di danza più veloci). Il Branle è una danza di origine francese, che perversa nella corte già dal Quattrocento. In Italia era chiamata Brando. Ritmo binario e movimento moderato. Sono le danze che spesso vengono adoperate sulla scena. C’erano tantissimi tipi di Branle: esistevano tanti Branle per ogni interpretazione geografica. È quella danza che più viene fatta propria da ogni situazione geografica e viene fortemente caratterizzata. Presuppone anche una struttura più complicata. Prevede diversi movimenti, diversi tempi e sezioni: inizia come danza collettiva, a schieramento frontale, e poi all’interno della figurazione possono esserci momenti di danza a coppia o solistica. È una danza molto semplice da eseguire, e che ha l’idea del gruppo e coralità come base generale. La Sarabanda è di origine spagnola, molto lenta e solenne. Pur essendo lenti, sono di più difficile esecuzione, perché ci si sbizzarrisce negli abbellimenti dell’esecuzione musicale. I passi sono strascicati. Una delle danze più particolari nel repertorio di corte è la Ciaccona, che ha grande successo nel Seicento e soprattutto nel Settecento. È la danza che più di tutte si rivede nella sua origine popolare. Nella corte, non tanto nei nobili, ma nella codificazione della danza di corte, trova meno posto. È di origine spagnola-argentina. È una danza che si basa sul ritmo ostinato di passo, che si rifà a un crescendo. È una danza molto erotica, promiscua, si eseguiva anche in gruppo e in coppia, con contatto molto accentuato tra i danzatori. Per questo viene accettata all’interno della corte con tante riserve. Quando la troviamo in una suites di danza, siamo di fronte a una danza che perde completamente le sue caratteristiche. Una delle caratteristiche della tradizione popolare era anche l’innalzamento della dama dalla vita. Erano danze che non erano convenienti, se danzate nel modo originale. Nel Seicento e nel Settecento, Lulli (compositore fiorentino, che andò in Francia, divenendo il compositore di corte e il consigliere personale di Luigi XIV) si appropriò della Ciaccona e divenne una danza di corte; fu grazi e a lui che la Ciaccona arriva in teatro. La Volta era un’altra danza, derivante dalla Ciaccona, abbastanza forte. La Bourrée era di origine francese. Di solito si eseguivano due tipi di danza: Bourrée I e Bourrée II. Sono danze molto veloci a due tempi. Ne esiste anche una versione a tre tempi. La Giga, di origine germanica, è una danza molto veloce in ritmo binario e con caratteri sempre veloci. Era la danza che concludeva le danze della suite. Non era di esecuzione semplice. Danza di genere e danza teatrale. È in questo secolo che si codifica la differenza. Nel Cinquecento si ha a che fare con l’inizio della società di Antico Regime: la ricodificazione totale del potere centrale. È dal Cinquecento che si riconfigura il potere centrale nazionalista. Si arriva a ritrovare in modo chiaro e molto definito il concetto di una corte regnante, una dinastia regnante, con centri di potere ben stabiliti, che governano territori ampi. Il termine Antico Regime può essere utilizzato per tutto il Settecento. L’Europa si riconfigura attraverso centri di potere ben codificati, ampi, che ritrovano tutti gli elementi dell’esternazione della pratica del potere, tipici dell’Impero Romano. Primo fra tutti, l’utilizzo dello spettacolo, ripristinato nella corte già nel Quattrocento, ma ora ripresentato come uno dei veicoli principali per esternare il potere della dinastia regnante. Le dinastie regnanti sono nobili, ma ci sono delle eccezioni, come i Medici, che dal 1539 sono una delle dinastie più influenti dell’Europa del tempo. I Medici non sono una famiglia nobile, ma nascono come mercanti. Sono parte della classe sociale mediana: la classe attiva, produttiva della società. I Medici sono mercanti molto ricchi, che si arricchiscono con il loro mestiere, fino ad arrivare ad essere banchieri nel Quattrocento. Erano la famiglia più importante di Firenze. Con un cammino molto articolato, che parte con Cosimo il Vecchio (inizio Quattrocento), si arriva ad un potere più consolidato, che viene ufficializzato nel 1539: Cosimo viene denominato (si autoinveste) il titolo di granduca di Toscana. Cosimo I inizia nel 1539 la dinastia medicea, che si estinguerà nel 1737 per mancanza di eredi. Come si fa ad essere adeguati al potere delle monarchie europee? Già a metà Quattrocento, Lorenzo il Magnifico aveva creato il mito della famiglia: il mito laurenziano, che si basa sulla filosofia neoplatonica. All’interno di questa filosofia, si inserisce il pensiero del filosofo Edemero: la nobiltà di una persona non deriva dalla nascita, ma dalle azioni, dalla qualità morali, intellettuali. L’edemerismo si basa su questo e sugli antichi. Si basa sul mito di Ercole: un semidio che, tramite 12 fatiche superate sia tramite la forza sia tramite l’intelletto, viene accolto nel consesso degli dei. I Medici si appropriano di questa poetica. Accanto alla filosofia di Edemero, si creano un mito: pur non essendo nobili, i Medici possono essere comparati alle altre monarchie dinastiche, perché hanno una forza derivante dalle loro azioni, come Ercole. Questo è il mito laurenziano. Inoltre, lo spettacolo era una fonte privilegiata per esternare il potere, già da Lorenzo il Magnifico: riprende 27 appieno la tradizione imperiale romana. Lo spettacolo del potere, per essere eseguito, deve essere posto di fronte a un’udienza, non limitata alla corte medicea. La danza diventa danza teatrale, cioè danza messa sulla scena. Il raggiungimento più alto della spettacolarità medicea è nel 1589. L’esternazione del potere avviene in momenti specifici della corte, in momenti da essere solennizzati: ad esempio, matrimoni, battesimi, funerali, visite dall’estero. Tutto quello che è importante dal punto di vista politico viene solennizzato con gli spettacoli. I matrimoni erano l’azione politica per eccellenza: i Medici avevano bisogno di imparentarsi con famiglie importanti. Cosimo I si sposò con Eleonora di Toledo, figlia del viceré di Napoli, quindi di famiglia spagnola. La politica medicea è quella di alternare queste alleanze: Francesco I si sposò con Giovanna d’Austria, della famiglia degli Asburgo; Ferdinando I si sposò con Cristina di Lorena, francese. Questi matrimoni strategici vengono tutti solennizzati con l’offerta, all’interno della corte, di spettacoli agli invitati alle nozze, che sono i rappresentanti delle corte europee. I Medici furono grandi strateghi del mecenatismo. All’interno del Palazzo Medici, che rimane la residenza medicea anche con il granducato di Cosimo I (poi si sposta a Palazzo Vecchio, che era la sede della Repubblica, palazzo del potere del popolo fiorentino), si celebrano le nozze con Eleonora di Toledo. Lo spettacolo viene allestito nel cortile: spettacoli lunghi, di commedia, con 5 atti vengono creati degli intermezzi tra gli atti delle commedie. Tra un atto e l’altro (inizialmente non tra tutti gli atti, ma è un processo graduale) vengono inserite delle rappresentazioni, come dei madrigali. Già da subito, negli intermezzi delle commedie, vengono messi in scena degli intermezzi particolari: gli intermedi. L’intermedio è una tipologia spettacolare (non è una danza!) che si focalizza sull’esecuzione di musica strumentale e danza; è una tipologia spettacolare mista, perché c’era anche la recitazione. Viene inserita negli atti della commedia. Erano momenti spettacolari che avevano a che fare con la musica e con momenti di danza importanti. I temi di queste narrazioni sono mitologici. Nell’intermedio si inserisce l’idea di rappresentazione del potere mediceo, ne diventa l’esposizione più efficace. Perché si parla di una tematica mitologica e non di una tematica realistica? L’intermezzo, per sua tematica completamente avulsa dalla realtà, dava la possibilità di dar sfoggio degli effetti scenici più strabilianti, la scenotecnica, la macchineria, il potere dello spettacolo. I Medici sono i primi a sviluppare una macchineria teatrale spettacolare. Tutti gli artifici della scena del Seicento e Settecento sono creati dalla corte medicea negli spettacoli di corte, chiamando maestri esperti in questo. Fino alla metà del Settecento, il mestiere di scenografo non esiste: le persone che fanno gli spettacoli, i costumi, sono architetti urbanistici, che usano le macchine per i cantieri edili. In questi intermedi. Lo spettacolo del 1589 ha degli artifici scenici inarrivabili: nel bozzetto di Buontalenti, si vede la struttura dell’intermezzo, con il paradiso, il carro del Sole che volava sulla scena; il sottopalco serviva per rappresentare l’inferno. Ci vuole la maestranza di chi è in grado di farla (Buontalenti, Bastiano da San Gallo, Vasari, prima ancora Brunelleschi, …) che si prestano al microcosmo del teatro, ai costumi. Lo spettacolo del potere si basa sulla meraviglia. C’era poca recitazione, perché quello che serviva era lo spettacolo: la danza era il metodo rappresentativo più efficace. La danza qui diventa teatrale, perché racconta. Le danze di genere vengono portate nella scena, ma qui assumono un carattere rappresentativo. A danzare sono le muse, gli dei, quindi personaggi che narrano qualcosa. Il linguaggio viene affidato alla danza. Il repertorio, il nome, il ritmo è lo stesso, ma c’è la necessità di comunicare. Una delle danze più importanti per la rappresentazione è la Moresca. La pratica spettacolare dell’intermedio verrà esportata prima in altre corti italiane (come a Modena e Mantova) e poi arriva in Europa. La parola è affidata quasi totalmente al canto. Lo spettacolo rinascimentale si basa sull’idea che la vita del principe scandisce il tempo della festa. La corte dei Medici è quella esemplare, ma è una prospettiva da allargare alle corti di antico regime. I Medici fecero dell’intermedio lo strumento promotore e propagandistico del loro potere, perché dovevano legittimare un potere che non derivava dalla nobiltà di sangue e per farsi riconoscere nelle altre corti europee. Lo spettacolo è anche il momento in cui si mostrano le alleanze. Anche l’assegnazione dei tavoli nel banchetto aveva un significato politico. L’essere costretti a stare fuori dalla sala in cui si faceva lo spettacolo era un messaggio abbastanza chiaro. Tutto sottende una strategia politica molto importante. La cultura di questi monarchi non è da sottovalutare: Luigi XIV aveva una cultura vastissima. Dal 1539 al 1589 vengono realizzati diversi spettacoli. Nel 1586, si sposò una figlia del Granduca e in occasione del matrimonio venne inaugurato il primo monumento teatrale della storia moderna: Teatro Mediceo degli Uffizi. Si torna ad avere l’edificio teatrale, che era scomparso (nella sua utilità e fruizione). È a Firenze che viene aperta la prima sala teatrale adibita agli spettacoli. Era inserito all’interno degli Uffizi. Gli Uffizi erano gli uffici burocratici del Granducato, al cui interno il Granduca ha scelto di inserire il monumento teatrale, dentro il cuore del governo cittadino. È un teatro istituzionale. Di lì a poco verrà creato anche il primo teatro pubblico in Italia, ossia il teatro della dogana. Nel 1589 ci sono state le nozze di Ferdinando I (si era spogliato da cardinale dopo aver ucciso il fratello) con Cristina di Lorena. Ferdinando I riprese pienamente la politica di Cosimo I. È un evento dinastico importantissimo. Erano eventi che andavano avanti per 2-3 settimane e la parte più importante era lo spettacolo offerto agli ospiti, preceduto o seguito dal banchetto nuziale. Il matrimonio si celebra con un evento straordinario. Avere un teatro stabile, dove poter praticare la macchineria (che raggiunge la sua apoteosi nel 1589; c’erano stati 3 anni a disposizioni per costruire macchine adeguate, e il lavoro fu affidato a 30 ufficiali. Era chiamato anche ballet-mascarade, con trama più esile e schema più ridotto, quindi più agevole per essere rappresentato. Un terzo tipo di ballet, con un maggior livello poetico, è il ballet mélodramatique, concepito dal primo decennio del Seicento a imitazione del Ballo delle ingrate (1608) eseguito alla corte di Mantova. Un altro tipo è il ballet à entrée che dedica tutto alle entrées di ballo, molto slegate tra loro, per mettere in mostra la valenza dei ballerini, che a quest’altezza cronologica sono professionisti. Hanno quasi sempre un argomento di base satirico e burlesco. Sono tanti entrées con molti costumi, ma molto frammentari. Questo porterà alla consuetudine fino alla fine del Seicento del virtuosismo scenografico, al centro della critica che portò alla riforma del Settecento. La scenografia, in gran parte italiana, soppiantò la magnificenza drammaturgica. Il ballet de cour ebbe una battuta d’arresto alla morte di Luigi XIII (1643) e all’avvento di Mazarino e Lulli e si ritiene che finisca nel 1671. Nel ballet de cour sarà molto presente l’elemento esotico, ripreso soprattutto nel Seicento. Il balletto si configura come qualcosa di esteticamente magnificente. Il Ballet Comique de la Royne è stato allestito nel 1581, in occasione delle nozze del favorito di Enrico III. Non è in realtà la prima forma di ballet de cour, perché già qualche decennio prima Caterina de Medici aveva introdotto nella corte francese il ballo di corte di stampo fiorentino. Deve essere considerato come il primo balletto di corte ad avere un impianto più omogeneo e preciso, presentando caratteristiche più codificate e ad essere interpretato come il primo omogeneamente concepito. La coreografia e l’intero allestimento furono ideati da Baltazzarini, dando la possibilità al Ballet comique de la Royne ad essere più complesso, avendo un’unica mente progettuale. I ballet de cour precedenti erano spettacoli molto frammentari, senza avere alla base un pensiero omogeneo. L’allestimento era di Jacques Patin, il testo di Nicholas Filleul de La Chesnaye e la musica si pensa a Jacques Salmon. Il masque inglese alla corte degli Stuart. Deve molto alla tradizione fiorentina. Per comprendere l’importazione dello spettacolo fiorentino in Inghilterra bisogna capire chi ne sono i protagonisti. Nel 1603 Elisabetta I muore e Giacomo I viene incoronato re. Anna di Danimarca diventa regina. Il Seicento e la codificazione della danza: la Francia di Luigi XIV. Luigi XIV nasce nel 1638, figlio di Luigi XIII e muore nel 1715. Regna dal 1643. Fu un monarca veramente importante. La cultura è il primo tassello della politica nazionale e internazionale. Fu un grande monarca perché aveva capito che la cultura e l’arte sono un tassello fondamentale per il benessere dello Stato. Fu soprattutto un promotore della cultura, che gli serviva come mezzo per arrivare a una politica efficace. Luigi XIV capisce l’importanza dello spettacolo. Nel suo ritratto ufficiale, le gambe sono in una posizione di danza: l’esposizione delle gambe voleva proprio far esaltare questa posa. Nella sua iconografia ufficiale voleva far passare il concetto che era strettamente legato alla danza. C’è un forte legame tra l’immagine del potere (corona, spada, …) e l’elemento della danza. Era denominato il Re Sole. A prescindere dalla metafora, la prima apparizione pubblica del giovane sovrano, nel 1653, fu una rappresentazione in cui interpretava il Sole, in occasione di un Ballet de cour, lo spettacolo istituzionale della corte francese. Il fatto che lui decida di presentarsi nella sua prima apparizione politica e pubblica con un balletto non era una cosa normale, tantomeno con un costume di scena. Luigi XIV crebbe nell’educazione della danza, in cui eccelleva e di cui era molto appassionato. Il suo maestro di danza, Pierre Beauchamps gli consigliava di non dedicarsi troppo al ballo perché i suoi imminenti impegni sarebbero stati altri. Il balletto fu nel 1653: Le Ballet Royal de la Nuit; a fine balletto salì sulla scena Luigi XIV, e si tenne in una delle sale più importanti del palazzo reale. Durava 5/6 ore, prevedeva circa 45 entrées: voleva rappresentare la durata dalla notte fino all’alba. Era diviso in 4 parti, che definiscono le 4 parti della notte (Dalle 18 alle 21; dalle 21 alle 24; dalle 24 alle 3; dalle 3 alle 6). Nell’ultima parte, il sovrano esce dal sottopalco e si presenta con il costume di scena. Dopo 5 ore di rappresentazione arrivava il giovane sovrano, che rappresentava il Sole. Decide di presentarsi con uno spettacolo teatrale di fronte alla corte, non con un’udienza pubblica. Il programma politico del re si basava proprio sulla cultura e questo spettacolo ne era il manifesto. Aveva capito benissimo che lo spettacolo è il mezzo più importante per esporre il potere. Lo spettacolo è il mezzo di rappresentazione del potere del re e della Francia, come lui la intende. È un programma che porta avanti per tutto il suo regno. Oltre al libretto dell’opera, abbiamo pure la partitura: le musiche erano di Gianbattista Lulli (denominato in Francia Jean Baptiste Lully), che divenne parte fondamentale della cerchia del sovrano. I bozzetti dell’opera rappresentano musicisti e danzanti con costumi molto particolari. Perché Luigi XIV sceglie la danza? Al di là della sua predilezione, c’era una scelta particolare: se lo spettacolo rappresentava il potere dello Stato agli occhi delle corte esterne, bisogna vedere cosa poi rimane. La cultura delle corti italiane è espressa dal melodramma (nasce per il matrimonio di Maria de Medici). La Spagna era inquadrata come la nazione che aveva come rappresentazione del potere lo spettacolo di prosa (Calderòn de la Barca). La danza non era ancora stata presa come disciplina 31 autonoma: la Francia assume la danza come tipologia performativa. La Francia diventa il Paese in cui viene codificata la danza. Poi, che nei secoli successivi la cultura francese si sia molto adagiata su questa questione, è altra cosa. Ma nessuno può mettere in dubbio che la danza come tecnica viene codificata in Francia. E fu merito di Luigi XIV. Lulli era anche un grande ballerino, lavorò per Molière, uno dei più grandi poeti, scrittori, drammaturghi francese: Luigi XIV lo ammirò molto e lo fece spesso andare a corte per le sue commedie. In questo periodo, il direttore d’orchestra dirige con un bastone, anche per dare un ritmo. In seguito a un colpo accidentale con questo bastone, Lulli morì per l’infezione causata dalla ferita. La danza rappresentava il Paese: se i passi di danza traballano, il Paese traballa. La danza del re è il movimento della monarchia. Nel 1661, Luigi XIV, presi i pieni poteri in seguito alla morte di Mazzarino, comincia ad istituzionalizzare la sua linea di governo, fondando l’Académie Royale de Danse, la prima scuola di danza istituzionale statale dell’età moderna, aperta non solo ai nobili, ma a tutti (alla corte di Luigi XIV dovevano saper ballare tutti). La prima cosa che si faceva, in genere, era aprire l’accademia di musica, che però venne aperta solo successivamente (1669), diretta da Lully; l’Académie Royale de Musique et Danse viene aperta solo nel 1780, con l’unione delle due precedenti accademie, e che poi diventerà l’Opera de Paris. Il maestro di danza personale del sovrano, Beauchamp, iniziò a dirigere quest’accademia. La priorità era stata data alla danza. La sua prima legislazione importante era proprio l’apertura dell’Accademia. Beauchamp fu anche il creatore della scrittura per la danza. La posizione delle gambe di Luigi XIV nel ritratto ufficiale è una posizione di danza accademica. Beauchamp, dopo aver diretto l’Accademia di danza, dopo aver codificato la danza in modo talmente chiaro da rappresentare lo splendore francese, doveva mettere per iscritto i passi di danza e la sua struttura per l’Académie. Tutto venne pubblicato nel trattato Choréographie ou l’art d’écrir la danse (1700). Beauchamp inventò questa scrittura. Questo trattato uscì con un altro nome, quello di Roger Auger Feuillet, ossia l’editore, che stampò il trattato a suo nome, prendendosi il merito. Nel trattato vengono codificati, per segni, le posizioni, fino a creare un’intera coreografia con le partiture della musica. Tutti i danzatori e ballerini dovevano conoscerlo. Gasparo Angiolini lo riteneva importantissimo, però era difficile da usare per imparare e trascrivere la danza. Era comunque l’impronta del regno di Luigi XIV. Molière morì dopo la sua ultima rappresentazione, malato di tubercolosi. La comédie-ballet. Continuando nell’analisi di Luigi XIV, un altro tassello della sua opera nei confronti della danza è l’inserimento della danza anche in un contesto in cui non era presente: le opere in prosa, soprattutto nell’ambito del teatro pubblico. La sua azione va oltre alla rappresentazione di corte e vuole esternarsi anche in un pubblico più ampio. Molière è il drammaturgo più importante in Francia e il re era molto amante delle sue opere. Molière non è il poeta di corte, ma un drammaturgo che agisce nel teatro pubblico. La sua vita artistica si stava sviluppando nell’ambito del teatro pubblico e a pagamento, ma spesso entra a corte perché il re ama il modo in cui rappresenta la società francese del tempo (come la satira religiosa). Nella sua idea, c’è quella di inserire la danza all’interno delle commedie in prosa, che non era prassi. La danza rappresentativa del re, della corte e della Francia viene inserita nella produzione artistica di uno degli autori più importanti del periodo: convoca Beauchamp e Lully, suggerendo di inserire la danza (e la musica) nelle commedie in prosa. Questo dà l’opportunità a questi tre grandi artisti di collaborare insieme. Certamente, la capacità principale di organizzare e di gestire questi nuovi ambiti che vengono imposti nella commedia in prosa è di Molière, che è il regista di tutta questa operazione. Molière si era formato con i comici dell’arte italiana in Francia, quindi ha un bagaglio culturale molto promiscuo e legato alla danza: i comici dell’arte, già a fine Cinquecento, agiscono nelle piazze italiane e internazionali, proponendo anche una rappresentazione della danza. Per questo Molière era anche criticato da altri attori francesi, perché aveva una recitazione molto corporea. Questo tipo di commedia viene chiamata comédie-ballet. La collaborazione con Lully ci fu fino al 1671, quando ci fu una chiusura tra le due. Le ultime due comédie di Molière vennero musicate da Charpentier. Erano commedie piuttosto lunghe in cui erano previsti degli intermezzi di danza, insieme a degli intermezzi musicali, ma la danza e la musica entravano all’interno della drammaturgia della commedia. La capacità di Molière di comprendere e gestire la performatività, dava vita a una danza che non era di abbellimento: era un momento drammaturgico, che portava avanti la vicenda. Gli intermezzi hanno a che fare con la commedia, non sono isolati dal suo contesto, ma servono a traghettare la commedia con temi affini alla drammaturgia che si sta rappresentando. La comédie-ballet non è molto studiata: viene vista come un vezzo momentaneo, eseguito in questo periodo nella corte francese, e con la morte di Molière finisce. Non ha un seguito, ma è un tassello fondamentale per arrivare a comprendere la danza come elemento drammaturgico nella rappresentazione. Questo porterà nel Settecento alla riforma della danza. Dopo la morte di Molière, queste commedie ballate non furono più rappresentate in questo modo: venne rappresentata solo la parte testuale. Le danze e le musiche non erano accessorie, ma parte integrante della trama. È da poco che si sta restituendo la forma originaria della comédie-ballet, che prevede un costo maggiore rispetto a un’opera unicamente in prosa. 32 Il borghese gentiluomo fu rappresentato a corte, nel castello di Chambord, nel 1670. Tutte le comédie-ballet furono per la prima volta rappresentate a corte, poi vennero messe in scena nei teatri pubblici. Era formata da 5 atti e 4 intermezzi, realizzata tramite la collaborazione tra Molière, Lully, Beauchamp e Vigarani. Sia Molière sia Lully erano in scena (la parte di Lully era solo cantata e ballata). Tutta la commedia si basa sulla presa in giro del protagonista (Jourdain, interpretato da Molière), che vorrebbe diventare nobile. La fine dell’atto V si conclude con una lunghissima danza, chiamata Le ballet des Nations, in 6 entrate, dove intervengono via via vari danzatori e musicisti che caratterizzano le nazioni più importanti del panorama europeo, ciascuna per le sue caratteristiche culturali: l’Italia è rappresentata dai comici dell’arte. Questa parte ballata è stata la prima tolta nelle rappresentazioni successive alla morte di Molière. Si voleva omaggiare il re con un lungo ballo. Il malato immaginario, ultima comédie-ballet di Molière, messa in scena nel Plais-Royale nel 1673. Le musiche sono di Charpentier, perché Molière si era distaccato da Lully. È un’opera di 3 atti e 3 intermezzi. Il terzo intermezzo, a carattere burlesco, è la fine della comédie. Il Settecento e la riforma della danza. Con la scomparsa di Luigi XIV, le cose non cambiano, perché la Francia è diventata depositaria di una tradizione, come quella della danza, a livello europeo. All’interno dell’Académie viene insegnata la danza nobile, che poi diventerà la danza classica. Con la comédie-ballet, la danza arriva nel teatro pubblico; è già prassi nel Seicento inserire dei balli negli intermezzi di opera in musica (balli entr’actes). Questi balli non hanno niente a che fare con l’opera in musica, ma sono intermezzi che danno la possibilità di fare una pausa per cambiare le scene o far riposare i cantanti. Al contrario, gli intermezzi delle comédie-ballet hanno a che fare con la commedia rappresentata (è un esperimento che decade con la morte di Molière e la morte del re). Nei teatri pubblici si vedono più che altro le opere in musica, il melodramma. La danza si inserisce in questi balli tra gli atti, che servono per intrattenere lo spettatore: gli illuministi criticarono il fatto che questi intermezzi non avessero niente a che fare con la trama delle opere in musica. Nelle opere di musica, le danze erano inserite come modelli estetici di visioni, inseriti nella trama, ma che non portavano drammaturgia. Sono più momenti di godimento estetico-visivo. Questa danza aveva molto a che fare con il virtuosismo del danzatore. Siamo nel momento in cui, anche grazie all’Académie Royale de Danse, la danza è diventata una disciplina molto tecnica: ci sono danzatori e ballerini professionisti che sono sulla scena e fanno vedere la loro capacità atletica. La visione è quella dei costumi molto appariscenti e della tecnica virtuosistica del ballerino, con passi difficili. Non è portatore di qualche messaggio: Molière è stato il primo a capire che questi intermezzi dovessero avere un’importanza anche all’interno della trama dell’opera. Il virtuosismo si inserisce particolarmente nella tipologia spettacolare dell’opéra-ballet: nasce a fine Seicento in Francia; la danza, insieme alla musica e al canto, prende il sopravvento sulle altre componenti della rappresentazione. È una nuova tipologia di spettacolo, che si configura come un’opera autonoma, ma che dal punto di vista drammaturgico ha poco significato: è uno stratagemma per portare in scena il virtuosismo della danza, i costumi e le musiche. Si rappresenta come uno spettacolo ad entrare, come se si portasse il ballet de court nella scena pubblica. È uno spettacolo frammentato, con un titolo che non ha niente di programmatico, e che unisce diverse entrate di ballo, che fra di loro non hanno nessun legame. Si alleggerisce tutto l’aspetto politico: quello che è importante sono costumi, scene, danze e musica. Il tutto non supportato da un adeguato sostegno drammaturgico. Queste entrate spesso non hanno un filo conduttore, servono per far vedere la bravura dei ballerini. Il primo caso di opéra-balet è Il tempio della pace di Lully (1685). La visione acquista di magnificenza e di interesse tramite l’ambito mitologico, ad esempio. Al tempo viene fatta una riflessione fondamentale. L’opera più significativa rappresentativa di questa tipologia spettacolare è Les Indes Galantes di Rameau (1735), con le scenografie di Servandoni, che risentiva delle riflessioni degli illuministi. Rameau ricevette le critiche degli illuministi: la danza era un’arte che provocava solo piacere momentaneo, non lascia niente su cui riflettere, quindi non si sapeva se valesse la pena continuare questo tipo di arte, mero godimento estetico. Era una riflessione molto importante. Una delle critiche fatte alla danza in quel periodo era che, messa come intermezzo nelle opere in musica o una commedia, dava fastidio, perché non aveva nulla a che fare con la trama e dava fastidio alla concentrazione. Questa riflessione non tardò ad arrivare ad alcuni coreografi e ballerini che agivano nei più importanti teatri d’Europa. Rameau, ad esempio, vuole dare un bozzo di drammaturgia comune a queste entrate all’interno de Les Indes Galantes: i balletti non sono isolati, ma si sorreggono su una trama, che viene portata avanti sia nelle danze sia nella parte cantata. Le entrées hanno ognuna un titolo e che si collegano l’una all’altra e dipanano con una trama comune, che ha a che fare con gli amori di queste indie galanti. Fu l’unica opéra-ballet apprezzata anche dagli intellettuali illuministi. 35 la riforma di Angiolini porta diversi autori successivi a riflettere su questo. Il virtuosismo deve essere una tecnica che dall’inizio alla fine vediamo sulla scena e che, abbandonata la pantomima, possa essere espressivo da solo. Questo verrà recuperato totalmente sulla riflessione sul balletto romantico. È Angiolini che traccia la rotta per recuperare il virtuosismo, che deve tornare totalmente sulla scena, perché la danza è tecnica. La soluzione è che il virtuosismo torni ad essere rappresentativo. Tra i riformatori del virtuosismo espressivo ci fu Salvatore Viganò, che studiò molto l’anatomia. Voleva riportare la tecnica della danza e fece delle riflessioni anche sul corpo di ballo. Viganò lavorò tantissimo sulla collettività, studiando gli antichi, Hilverding, Angiolini, concentrandosi sul coro: gli antichi davano molta potenzialità espressiva al coro. Viganò recuperò il corpo di ballo, che insieme ai protagonisti deve essere sulla scena, e inventò un nuovo genere di balletto: il coreodramma. Il coro è un personaggio che deve supportare i protagonisti sulla scena (Viganò lo definisce “personaggio collettivo”). Altro personaggio fu Carlo Blasis, a cui dobbiamo la ripresa della tecnica classica. Nel suo trattato Traité èlementaire, théorique et pratique de l’art de la danse (1820) parla della pratica classica della danza: fu lui a codificare il ritorno del virtuosismo coreutico sulla scena. Fu il più grande maestro di danza del teatro La Scala, oltre ad essere un importante ballerino. Si dedicò molto alla cultura e alla coltura della tecnica coreutica, ispirandosi molto alle statue classiche: in particolare, lui inventò l’attitude, una posa ormai canonica, ispirandosi alla statua del Mercurio di Giambologna. Nel suo trattato, propone delle figure che si riferiscono a passi di danza virtuosistici (es. arabesque). Il virtuosismo sarà parte integrante della rappresentazione, con alcuni momenti di pantomima, che poi verrà abbandonata. Come nasce il primo balletto romantico? Il personaggio su cui focalizzarsi è la ballerina Maria Taglioni, che rimane il maggior riferimento alla ballerina classica romantica. Maria Taglioni è figlia di un ballerino, Filippo Taglioni, che praticava molto in Francia e nelle altre scene europee. Il padre fece lavorare molto la figlia. Era un periodo in cui si stava lavorando sulla tecnica sulle punte. Maria Taglioni venne educata fin dall’inizio a danzare sulle punte, che per il padre era il futuro della danza. Maria Taglioni passa alla storia come la prima ballerina che riesce a danzare sulle punte per un atto intero: la scarpa da punta fu, infine, definitivamente concepita. Prima di fare questo, Maria Taglioni debuttò in un’opera che diventò leggendaria, di cui abbiamo una testimonianza anche di Degas. Prima di debuttare nel primo balletto romantico della storia (1832), Taglioni balla nel Robert le Diable (1931), in un balletto inserita nel terzo atto, balletto drammaturgico (come insegnava Angiolini), in un momento cruciale della trama dell’opera. Il balletto si chiamava Ballet de Nonnes (delle monache) e il coreografo era il padre, ed era il balletto più importante e più lungo, oltre a portare avanti la vicenda. Questo balletto si svolge in un momento in cui il protagonista vaga in una foresta oscura di notte, in cui c’è un cimitero sconsacrato, dove si reca perché gli era stato detto che lì troverà lo spirito dannato di una monaca che gli darà ciò che lui stava cercando; evoca lo spirito di queste monache e la badessa è interpretata da Maria Taglioni: nell’oscurità della scenografia escono delle figure avvolte da veli bianchi e cominciano a danzare, tra cui la protagonista, che lascia attoniti tutti gli spettatori perché danza sulle punte per tutto l’atto. Anche l’illuminazione (a gas) sulle vesti bianche, su una scenografia scura, fece un’impressione straordinaria su tutti gli spettatori. Uno di quelli che rimaste più esterrefatti fu il protagonista dell’opera: il tenore è sulla scena durante il balletto, e a fine spettacolo propone a Taglioni di produrre un’opera intera su questo balletto, di cui lui avrebbe scritto il balletto. Il primo balletto romantico, La Sylphide (1832) nasce in questo modo. Il libretto fu di Adolphe Nourrit (il tenore del Robert Le Diable), con le coreografie di Taglioni e con interprete Maria Taglioni. È un balletto a due atti. Innovazioni principali del balletto romantico: - Distribuzione della coreografia in due atti. Il balletto romantico francese, che esce dall’Opera di Parigi (che deriva dall’unione dell’accademia di musica e quella di danza) è strutturato in due atti: o Il primo è un atto realistico, che viene restituito in maniera realistica sulla scena, con costumi molto variopinti e che ricalcano anche la connotazione nazionalista. La rappresentazione è molto veloce, molto folkloristica. o Il secondo atto è quello che si è visto in Robert le Diable. È l’atto oscuro, della notte e del soprannaturale, in cui la realtà viene completamente dimenticata e si passa in un mondo diverso. Questo atto viene poi chiamato ballet blanc, perché si ripropone la questione del ballet de nonnes, in cui le ballerine sono tutte vestite di bianco, in modo che il bianco delle ballerine (tutto il corpo di ballo) risalti dall’oscurità. - Oltre alla rivoluzione della scarpa da punta, venne rielaborato il vestito di scena, con l’introduzione del tutù, ossia una veste di scena con una gonna che andava fino a sotto le ginocchia, fatta di tantissimi strati di tessuto leggero che, con i movimenti delle gambe, si alzava e poi cadeva lento, a creare una nuvola evanescente. L’intento è quello di portare nel secondo atto una creatura soprannaturale. 36 - La ballerina (protagonista indiscussa del balletto romantico) è una creatura soprannaturale. Ha una tecnica virtuosistica che è espressiva. - Anche la luce ha un’importanza fondamentale. Non è comunque, seguendo i concetti di Angiolini, un balletto compiuto, perché non c’è una musica composta solamente per questo balletto. Il compositore di quest’opera cuce insieme delle musiche di vari autori e li propone sulla scena. nella Sylphide è la musica a peccare: manca una composizione musicale che renda tutto un’esperienza totale. Il tutù della Taglioni passa alla storia. Al suo costume vengono aggiunte delle piccole ali collegate alle spalle, per rendere di più l’esperienza mitologica. Per arrivare ad avere il primo balletto veramente compiuto d’epoca romantica, dobbiamo aspettare il 1841 (in seguito a La Sylphide ci furono ovviamente altri balletti romantici): Giselle ou le Wilis. È un balletto di produzione dell’Opera di Parigi. Il libretto è di Gautier, uno dei più importanti scrittori dell’epoca e critico teatrale. La coreografia è di Perrot e Coralli. La musica originale era di Adolphe Adam, che era un esperto di melodrammi. Gli interpreti della prima esibizione erano Carlotta Grisi e Lucien Petipa. Sui teatri pubblici si erano visti tanti balletti romantici, anche questi inframezzati tra gli atti delle opere. Giselle veniva ancora chiamato balletto pantomimo, e venne rappresentato nel Moise di Rossini. Uno dei più grandi ammiratori di questa danza rappresentativa era Théophile Gautier, grande amante del teatro, che rimane meravigliato dalla bravura espressiva di Carlotta Grisi. Lui scrisse questo balletto su di lei. Fu Adam a convincere Gautier a scrivere il libretto e lui compose la musica. Per quanto riguarda le coreografie, ci fu un intoppo: Perrot era compagno della Grisi ed era un grandissimo coreografo, e Gautier (che fu regista dell’opera, per questo è un’opera del tutto unica) voleva lui, perché poteva comprendere le capacità di Carlotta Grisi, ma il maestro di danza dell’Opera di Parigi era Jean Coralli; Coralli fece le coreografie per i numeri d’insieme, e Perrot per la coppia protagonista, accettando di non comparire come compositore di coreografie. Giselle rimane il simbolo del balletto romantico. Il Romanticismo. Siamo in un periodo in cui c’è un ripensamento piuttosto importante che riguarda un po’ tutto il sapere umano. Il Romanticismo non affossa il Settecento con la sua rivoluzione intellettuale: rende le emozioni più vivibili rispetto a un’esperienza sensitiva e intellettiva. In questo senso hanno lavorato i riformatori, privilegiando l’elemento dell’emotività, della sensorialità, delle passioni. Il Romanticismo si stabilizza molto sul rapporto tra l’uomo e la natura, l’uomo e le sue emozioni in consonanza con la natura. Questo comporta tutta una serie di riflessioni che riconsiderano le tradizioni locali. L’emozione e l’esperienza artistica devono avere a che fare con la sfera intellettuale, che rendono l’emozione più vera e duratura: è una riflessione che parte già nel Settecento, e il Romanticismo ne è il compimento. La riscoperta delle tradizioni locali, dei nazionalismi nelle arti è molto importante: è per questo che nel Romanticismo si recupera il romanzo storico, con la riscoperta delle leggende e dei miti. Importantissima è la messa in evidenza del rapporto tra l’intelletto umano con la natura: è lo sviluppo del pensiero europeo settecentesco. La prima parte del Romanticismo viene chiamata Sturm und drang: catastrofi naturali rappresentano l’angoscia dell’animo umano. La natura sembra essere sempre in simbiosi con gli stati d’animo, e quest’idea viene rappresentata nelle opere d’arte e nei balletti. Un tema è l’insoddisfazione dell’uomo ad avere realizzate le sue pulsioni interiori nella vita reale: nella realtà c’è sempre qualcosa che non ci piace, e si va a ricercare questa felicità in un’altra dimensione, e per questo sono molto presenti le scene oniriche nei balletti. Giselle ou Le Wilis. Il libretto viene ripreso da De l’Allemagne di Heinrich Heine, che comprende tutte le leggende nordiche. Le villi erano gli spiriti delle fanciulle morte di morte violenta per amore. Le villi, non trovando pace, escono dalle loro tombe e cercano i malcapitati uomini, li irretiscono in questa danza forsennata fino a farli morire. Giselle diventa una villi, perché viene ingannata dal suo innamorato, muore per amore e si trasforma in una villi. Théophile Gautier va subito a cercare nel bacino delle vicende nordiche per rendere sulla scena questa storia, in cui i personaggi sono portati a una psicologia molto alta. Gautier sottende a tutta la lavorazione di Giselle, ispirato dalla ballerina, che diventa il punto di riferimento della scena. Questo fatto mette molto in ombra l’interprete maschile. Altra caratterizzazione del balletto romantico francese è la messa in scena in primo piano della ballerina, sia dal punto di vista drammaturgico e coreografico. Nel Settecento, invece, la più evidente era la figura maschile, che portava il virtuosismo. La ballerina è l’etoile in tutti i sensi. A fine Ottocento ci sono coreografi che si lamentano per questa situazione. Quello che conta era il dramma centrato sulla ballerina. Con Gautier il personaggio principale è ovviamente Giselle, ma il Principe ha una sua buona definizione. Trama. Giselle è figlia di una donna che gestisce un’osteria in campagna, lei ama tanto danzare, ma ha una malattia al cuore: lei si innamora di un giovane, che poi si rivela essere un principe, già promesso sposo ad una principessa; lei lo scopre tramite l’antagonista, anche lui innamorato di Giselle. Giselle scopre il tutto, perde la testa per amore e inizia questa danza forsennata che la porterà alla morte tra le braccia della madre. Il secondo atto inizia con la scena notturna, in cui il principe 37 disperato va a piangere sulla tomba di Giselle: le villi iniziano ad irretire il principe; Giselle pure è diventata una villi, ed è lei con il suo amore che porta alla salvezza il principe. Lei scompare e non è più una villi, perché ha trovato la pace. La danza del secondo atto è tutta eterea, con un virtuosismo lento. Il primo atto è importante per la pazzia di Giselle. È danza virtuosistica veloce nel primo atto e danza virtuosistica eterea nel secondo atto. Giselle è un personaggio difficilissimo da portare sulla scena. Quando Giselle impazzisce, le si sciolgono i capelli (cfr. baccanti). La musica di Adolphe Adam fu composta esclusivamente per quest’opera. Fa uso dei leitmotiv, che sono composizioni che ci riportano a precisi stati d’animo, ripetendosi in più occasioni. La musica di Adam aiuta lo spettatore ad entrare nella trama. Nel balletto romantico, il virtuosismo è espressivo: tutto è tecnica al servizio della drammaturgia e alla restituzione psicologica dei personaggi. Questa forma del balletto romantico francese, che ovviamente aveva riportato la danza alla sua efficacia drammaturgica, comincia a subire degli attacchi da parte di ballerini e coreografi che vedevano le criticità di questo genere. August Bournounville era un francese che successivamente scappò dall’Opera, perché era contrario alle istanze dell’accademia. Molti coreografi e ballerini fuggono da questo clima per cercare nuovi ambienti: lui scappò in Danimarca, aprendo il Teatro Reale danese. Voleva dare una nuova dignità ai personaggi maschili: dare unica importanza a una ballerina voleva dire dare un centro e uno sviluppo drammaturgico molto semplice. Se si vuol rendere il genere del balletto autonomo, da essere rappresentato sulle scene senza inserirsi nei drammi in musica, due atti non erano sufficienti. Lo stile di Bournounville è uno dei metodi della danza classica ancora impartiti nella scuola di danza: è un metodo virtuosistico che ha a che fare con la velocità dei passi. Il teatro danese era molto piccolo, quindi era necessario creare danze molto veloci e verticali. Chi operò una vera e propria rivoluzione del balletto romantico fu Marius Petipa, autore prolifico dei più grandi balletti romantici, che ci sono anche oggi. Petipa era figlio d’arte: la madre era un’attrice drammatica molto famosa e il padre era un ballerino. Petipa cresce con una tradizione importante dell’attorialità dei ballerini. Entra in contatto con tradizioni diverse rispetto a quelle dell’Opera, in cui era ballerino e iniziò la carriera di coreografo. A un certo appunto colse l’occasione e se ne andò nel 1847 a San Pietroburgo, una piazza importantissima per il teatro e il teatro di danza, sperando di trovare un ambiente che potesse essere plasmato a nuovi pensamenti. Nel 1849 diventa il maitre di ballet al Bolshoit. La sua prima coreografia per i teatri imperiali fu La Fille du Pharaon, che lo consacrò sulle scene del teatro russo e portò la sua fama in tutta Europa. Nel 1869 diviene primo maitre de ballet dei teatri imperiali russi. Da ora in poi, Petipa dà una posizione creativa straordinaria, che lo porterà a fare dei balletti immortali. Caratteristiche della Riforma coreutica di Petipa. Appena diventa maitre da ballet dei balli imperiali, si occupa della riforma del balletto romantico, che doveva essere ampliato e sviluppato. Alla base della riforma c’è il portare la danza e il balletto ad essere spettacolo autonomo, e per farlo bisogna ampliarlo. Due atti non erano più sufficienti. - Riabilitazione del ruolo drammaturgico del danzatore. La trama deve prevedere un ruolo maschile importante. - Sviluppo del pas de deux, in cui i protagonisti danzano insieme. Il passo a due diventa un momento coreografico lunghissimo di durata, in cui c’è il momento in cui entrambi ballano insieme (hanno pari importanza; prima il danzatore si inseriva solo per alzare la ballerina), poi dei momenti individuali da solista, un nuovo passo a due e via così. È un momento importante perché i due protagonisti hanno modo di esprimere le loro psicologie in maniera paritaria. - Si restituisce importanza al corpo di ballo: le villi erano in scena, ma era una questione estetica, più che psicologica. Il corpo di ballo torna ad essere un personaggio collettivo, che interagisce collettivamente con i protagonisti. - Prevedere una drammaturgia con dei coprotagonisti, che rendano la trama più complessa. C’è l’interazione con più personaggi. In questo modo non esiste balletto di Petipa che sia in due atti. Si amplia tutta la struttura del balletto, che può diventare un genere autonomo. Fa eccezione Lo Schiaccianoci, che è in due atti, ma sono molto lunghi e complessi. Nel 1881, lo zar Alessandro III nomina il principe Ivan Vsevolozhsky direttore dei Teatri imperiali di San Pietroburgo. Chiude il Bolshoi per farlo restaurare e il balletto imperiali di sposta al Marijnsky. Abolisce, ed è un caso unico, il ruolo di maitre de musique per i balletti: nei teatri imperiali c’era un compositore ufficiale e c’era un compositore fisso per la musica per i balletti. Il maitre de ballet poteva scegliere il compositore per i balletti. Per Petipa era fondamentale: i suoi balletti eran o molto creativi e lui stesso sceglieva ogni dettaglio degli spettacoli. Questo permise a Petipa di collaborare con Chaikovsky, con cui compose La 40 Petipa codifica nella forma più complessa il balletto accademico e riforma il balletto romantico, rendendola una rappresentazione teatrale autonoma con una propria identità: è la fase più ampia del balletto classico e teatrale. A fine Ottocento/inizio Novecento, abbiamo la cesura della danza libera e l’accademismo dei Ballets. Si crea una divergenza: il balletto romantico accademico, unica tipologia di danza teatrale esistente, persiste; si comincia però a far sentire una necessità di rinnovamento artistico in senso generale, presentata da Francois Delsarte nel suo Estetica Applicata. Il ballo romantico di Petipa e Cecchetti entra in contatto con il Neoclassicismo, che si rifà alla danza accademica ma cerca nuove influenze. Si inserisce quindi in una riflessione più moderna, in particolare il Neoclassicismo portato avanti dai Ballets Russes, inventati da Diaghilev, che si pongono nella continuazione della tradizione, introducendo elementi innovativi. D’altra parte, c’è una rottura con l’accademismo: Delsarte (filosofo che ragiona di arte in senso lato) provoca una riflessione generale sulle arte, portando alla rottura con l’accademismo e dando vita alla danza libera, che si pone all’antitesi dell’accademica, con incursioni tra le due. La danza libera confluisce poi nella modern dance (Fuller, Duncan, St. Denis). Uno dei grandi fautori tra questi due universi è Nureyev. Delsarte (1811-1871) è un insegnante fondamentale nella riflessione del Novecento. Non si occupa mai specificatamente di danza, ma provoca la rottura più rumorosa dell’arte del Novecento. Dopo un promettente debutto come cantante all’Opera di Parigi, un calo di voce ne compromette la carriera. Il suo complesso sistema pedagogico è denominato Estetica Applicata (che non fu mai pubblicato). Uno dei suoi allievi, Ted Shawn, cercò di mettere per iscritto il suo pensiero anche con saggi. Alla base del suo pensiero, che stabilisce una tripartizione nell’essere umano (intellettuale, emotivo, fisico) e nel corpo (capo/intelletto, corpo/emozioni, arti/fisico), c’è la convinzione che a ogni umana disposizione interiore corrisponda una moralità espressiva esteriore, secondo una legge di corrispondenza (che verrà applicata poi dagli studenti), che si deve applicare se si vuole dare all’arte accenti di verità. Questa riflessione porta all’idea che ci sia una corrispondenza inscindibile tra interiorità e esteriorità: la necessità di quest’unione porta all’eliminazione di tutti gli artifici. Per la danza, quest’idea dell’allontanamento dell’artificiosità, porta all’abbandono dell’artificiosità delle accademie, come il costume o il tutù, liberando il corpo, oppure la postura delle punte. L’opera di Delsarte viene condivisa mediante le opere dei suoi allievi. Come viene recepita la sua Estetica applicata? Lui fa una riflessione globale pedagogica, diretto più al discorso dei cantanti sulla scena, ma viene raccolta anche in termini di danza (Delsarte ha allievi di tutte le discipline, tra cui Steele MacKaye che la applica alla danza e la esporta negli USA al Delsarte System). Si chiama estetica applicata perché è un pensiero che si può applicare a tutte le arti. MacKaye e l’allieva Geneviéve Stebbins definiscono un nuovo metodo di insegnamento coreutico: ginnastica armonica, che ha alla base il metodo di corrispondenza tra moto interiore ed espressione esteriore. Verrà adottato anche nei college per l’educazione femminile. Stebbins poi codifica le leggi di corrispondenza, desunte dal pensiero di Delsarte: il corpo viene riportato al centro dell’indagine coreutica; viene introdotto il concetto di fonte dei movimento, ossia la zona del corpo da cui viene emanato ogni gesto → per la Stebbins la fonte è il diaframma, che rappresenta il punto della dinamica dell’interiorità che si sprigiona all’esterno, mentre altri lo identificano in altro modo, ad esempio Isadora Duncan (una dei primi esponenti della modern dance) la individua nel plesso solare, oppure Martha Graham nell’osso pelvico. La modern dance è l’applicazione razionalizzata del pensiero di Delsarte. Le tre pioniere della modern dance, tutte statunitense, perché viene codificata lì, sono Loie Fuller, Isadora Duncan e Ruth St. Denis. Le tre artiste si formano in un clima culturale che pone l’addestramento del corpo al centro dell’educazione, in virtù dell’intima relazione con l’anima. Tutte furono profondamente influenzate dal delsartismo: Stebbins portò la riforma dell’abbigliamento e l’adozione di modelli estetici nuovi, come quelli connessi all’arte greca e orientale, per mettere in mostra la liberazione del corpo dalla costrizione del tutù. Tutto ciò riporta il corpo e la cura fisica ed estetica al centro del dibattito culturale, anche in tema di emancipazione femminile. La cultura americana era in un momento particolare, perché non riesce a integrare il balletto classico nel suo sistema spettacolare, che accadrà solo con Balanchine che andrà via dalla Russia e diventò un punto di riferimento per la coreutica classica in America. Allo stesso modo, la cultura americana non riesce a rendersi autonoma rispetto alle forme europee, non riuscendo ad acquisire lo spettacolo europeo o a renderlo qualcosa di autonomo (nello stesso periodo, il musical inizia a definirsi come genere autonomo). Quello che appare più genuinamente autoctono è uno spettacolo eclettico, in cui confluiscono generi diversi presi dalla contaminazione europea. In questo contesto si inserisce l’estetica applicata, che porta alla codificazione della modern dance. 1. Loie Fuller (1862-1928). La prima e la più distaccata rispetto alle altre. È un’autodidatta della danza. Nel 1892 si trasferisce In Francia in cerca di fortuna, lavorando già nel mondo dello spettacolo. Ben presto arriva ad avere un discreto successo, proponendo uno spettacolo innovativo, fondato sul concetto della veste che deve diventare 41 un’appendice del corpo. La veste deve diventare tutt’uno con il corpo, cambiandone le sue potenzialità. Fuller usa un artificio che aveva imparato nei circhi americani, ossia un’appendice rigida attaccata alle braccia e legata alla schiena, che poi viene allungata per dare l’idea dell’ampliamento delle braccia, coprendo tutto tramite la veste. Si specializza su questo anche grazie all’uso dell’illuminotecnica, sperimentando con i materiali allora in dotazione, con gas e vetri colorati. Lei brevetta questo tipo di danza, che viene ripreso anche dai fratelli Lumière. La performing dance non è solo il ballerino, ma anche gli accessori, l’illuminazione, che diventa un personaggio dialogante con il danzatore. 2. Isadora Duncan (1877-1927). Vive a stretto contatto con gli ambienti artistici più interessanti, frequentando gli artisti più importanti del periodo. Nasce a San Francisco da una famiglia irlandese e cresce in un ambiente legato all’arte. Sin da piccola mostra molto interesse per la danza, ma la danza accademica non si avvicina alla sua natura e prosegue con un apprendimento da autodidatta. Sviluppa una nuova estetica della danza, basata su Delsarte e dall’idea di movimento fluido, naturale e libero. Quest’idea deriva anche dal concetto di un mitico stato originario di armonia naturale, da cui l’uomo si è allontanato e a cui si deve tornare per avere una salvezza. L’uomo deve spogliarsi di ogni costrizione. I movimenti del corpo devono scaturire dalla presa di coscienza interiore, e possono essere recuperati solo liberandosi dalle costrizioni imposte dall’accademismo, costrizioni che mortificano il corpo femminile. Duncan propone una veste che diventa un accessorio che non appesantisce il corpo e propone la libertà del piede, che deve tornare in contatto con la natura. Propone un corpo scalzo, quasi nudo, naturale, che si muove sentendo la propria spinta interiore, che si riflette nell’esteriorità, in armonia con il cosmo. È un recupero in chiave moderna e con caratteristiche completamente diverse della riflessione platonica, filtrata dal neoplatonismo. Il centro propulsore del movimento per lei è il plesso sorale, da cui si dipanano le emozioni, così come l’idea di danza e bellezza incontaminata, che danno vita a un movimento armonioso sul modello degli antichi. Duncan organizza i primi recital, improntati a unione tra musica, danza e poesia. Nel 1898 si trasferisce in Europa seguendo le orme di Fuller, con cui era molto legata. Si esibisce tra Londra, Parigi, Berlino, visitando musei e osservando le immagini iconografiche da cui prendere spunto per le sue posture. Cerca di fondare diverse scuole di danza, in Germania, Francia e Russia, senza risultato, perché di fatto non c’era niente di strutturato da insegnare, non basandosi su un qualcosa di strutturato con regole precise, quindi non può essere tramandata in un sistema codificato. Il suo ideale era quello di educare le fanciulle a un movimento libero e a una liberazione interiore. La Rivoluzione russa per la Duncan rappresenta un evento straordinario, in grado di realizzare un rapporto col corpo nuovo. Per le sue idee e per il rifiuto dell’estetica accademica, ha rappresentato per la cultura della danza una sorta di profetessa. La sua vita non si è rivelata per niente semplice, tra i figli annegati nella Senna e l’incidente stradale che l’ha coinvolta. 3. Ruth St. Denis (1879-1968). È grazie a lei che abbiamo la possibilità di aver reso la modern dance come un’istituzione coreutica. Con Ruth St. Denis, la modern dance diventa una scuola di ballo. È l’unica delle tre pioniere ad aver ricevuto un’istruzione accademica: conoscendo la struttura della danza tradizionale, riesce a distaccarsene in modo consapevole, proponendo un nuovo modo di insegnare la danza. La sua scuola in America diventa famosissima, e lì si formano molte stelle, come Martha Graham. Nasce nel New Jersey e viene cresciuta dalla madre che miravano a un’educazione del corpo e della mente legati alla visione scientista, proponendo una divisione tra corpo (materia disarmonica) e lo spirito. È una divisione che St. Denis supera nella sua visione artistica coreutica, dando alla danza il compito di superare questo divario. La danza, intesa come esperienza di vita, integra il corpo e lo spirito. La sua iconografia si rifà all’antico (come la Duncan). È l’unica che si forma in una scuola di danza accademica, frequentando la scuola di Maria Bonfanti, avvicinandosi ben presto ai principi di Delsarte con l’insegnamento della Stebbins. La sua carriera artistica inizia in spettacoli di musical (lo spettacolo americano non permette di aprirsi in spettacoli classici, perché non interessa al pubblico), arrivando anche a Parigi nel 1900, dove entra in contatto con le danze orientali nell’EXPO. Ad interessarle ancora di più sono le danze illusionistiche-fantasmagoriche di Fuller, delineando la sua impostazione creativa e coreutica. Nel 1906 torna negli USA, definendo il suo capolavoro: la danza dei cinque sensi, in cui fa vivere sulla scena una misteriosa dea. A partire da questo momento, si definisce la linea estetica della danza, senza fratture con movimento continuo, che si apre a movimenti a spirale e armonici. La danza per la St. Denis diventa qualcosa di spirituale. Il corpo del danzatore si fa strumento di comunicazione dell’elemento divino, che ispira il movimento. Ha un tratto più spirituale e religioso rispetto al pensiero platonico. L’allestimento teatrale è molto suntuoso. I suoi spettacoli hanno un grandissimo successo e vengono ben accolti anche a Parigi e Berlino. Il punto focale è il 1913, quando conosce Ted Shaun, compagno artistico e di vita. I due danzatori fondano una scuola nel a Los Angeles: Denis-Shaun School. È un laboratorio dove si insegna la danza accademica proponendo il loro metodo coreutico. C’è anche una formazione classica, indispensabile per potere poi derogare in un metodo che può essere codificato: la modern dance viene codificata e successivamente vengono aperte scuole di modern dance, una volta codificata e strutturata. 42 Martha Graham (1884-1991). Considerata la madre indiscussa della modern dance. Il volto di Martha Graham fa parte del corpo danzante. Attraversa con la sua opera coreutica un secolo di storia, facendosi interprete del mutato clima culturale del Novecento e rivolgendosi con grande curiosità al mutamento sociale, culturale, storico. Si forma a Los Angeles, presso la Denis-Shaun School e inizia lì la carriera da danzatrice nel 1916, fino al 1923 quando si trasferisce a New York. Comincia anche lei a insegnare danza, con una tecnica originale da lei elaborata. Esce da una scuola che le dà dei fondamenti straordinari e si fa una rielaboratrice di quasi appreso, e crea un metodo originale quasi immediatamente. Attraverso il confronto con i suoi allievi dà vita alla riflessione del tema della liberazione del corpo: è una riflessione molto interessante, che parla anche del rapporto tra corpo e veste, derivante dalla filosofia di Fuller. Recupera la corporeità in senso fisico ma rielaborandola attraverso una visione più libera, esprimendo le più profonde spinte emotive. È una danza descrittiva, in quanto rappresenta la massima espressione interiore, ma elimina ogni forma di pantomima: il corpo non serve per rappresentare vicende, ma solo il movimento emotivo interno. Rappresenta l’interiorità, la più intima pulsione dell’animo umano. Nel 1926 crea la sua prima coreografia e l’anno dopo fonda la Martha Graham school of Contemporary dance. I suoi capolavori sono tantissimi. Inserisce anche temi sociali come il razzismo, la condizione della donna. Vive e crea nella contemporaneità. Alla fine degli anni 60 abbandona le scene, ma rimane comunque un’icona intramontabile e rimane in contatto con artisti e danzatori della sua scuola. Ballets Russes. Come il balletto classico viene portato nel Novecento: il Neoclassicismo dei Ballets Russes di Diaghilev. Sergej Diaghilev (1872-1929) ha un’idea rivoluzionaria di creare una compagnia di ballo (i Ballets Russes) per esportare la danza russa in Europa. È un’operazione di propaganda, ideata con i suoi collaboratori, con cui fonda anche una rivista nel 1889 che sosteneva la necessità della Russia di rimanere in contatto con l’Europa: è una danza che deve essere condotta e formata da soli artisti russi. La Francia diventa la seconda patria dei Ballets Russes. Mantengono intatta la tradizione del classicismo. È proprio Balanchine a fare il modo che il balletto classico arrivi come insegnamento in America, affiancato alla modern dance. 1. Michail Fokin (1880-1942). L’interesse di Diaghilev si rivolge molto presto all’arte della danza, e affida nel 1909 a Fokin la coreografia di balletti in teatri francesi. I Ballets Russes si focalizzano molto anche sulla messa in scena. Fokin si era formato presso la scuola dei balli imperiali e aveva affiancato alla sua attività di danzatore anche quella di insegnante e coreografo. Cresce nell’ambiente della rivista Il Mondo dell’Arte e aveva avuto modo di conoscere la filosofia di Duncan ed era molto vicino a Stravinskij. Propone una riforma del balletto accademico che si consolida con i Ballets Russes. La sua testimonianza viene data anche in un’intervista del 1912. È il protagonista della prima stagione francese dei Ballets Russes. Il successo dei suoi balletti, dove l’elemento esotico si univa al contesto romantico (quello di Petipa), spinge Diaghilev a portarlo a lavorare all’Opera di Parigi, segnando l’inizio della collaborazione di Diaghilev e Stravinskij. “Shéhérazade” sarà un grande successo di Fokin. 2. Vaslav Nijinskij (1889-1950). Dà una spinta fondamentale ai balletti russi come indipendenti dai balletti imperiali. Nel 1911, i ballets russe, a seguito del grande successo di Fokin, sono veramente una compagnia indipendente dai balletti imperiali. Nijinskij aveva delle grandi capacità espressive. I Ballets Russe si raccolsero in una nicchia di non divulgazione, e fu parte della strategia impresariale di Diaghilev. Nijinskij si ispira ai bassorilievi antichi, aprendosi anche all’erotismo. Nel 1913 crea due opere rivoluzionari: il Ballet du Jeux in collaborazione con Debussy, che fa nascere una serie di polemiche fra il pubblico, perché le scelte coreografiche scardinano le posizioni tradizionali accademiche, per inserire movimenti legati anche a pratiche sportive, contaminando la danza classica (che rimane classica, perché sono tutti danzatori accademici); la seconda è La sagra della primavera, in cui il rituale arcaico si incarna nei movimenti selvaggi e barbariche sulle note di Stravinskij, segnando un punto di svolta coreutico e dello stile di Nijinskij. L’esperienza coreografica di Nijinskij termina nel 1914, quando Diaghilev lo allontana della compagnia a causa del matrimonio di Nijinskij con la danzatrice Romola de Pulszky e Diaghilev lo sostituisce con Fokin. Nel giro di pochi anni Nijinskij inizia a soffrire di una malattia mentale. 3. Leonid Mjasin/Massine (1895-1979). Dal 1915, terminato il periodo di recupero di Fokin, la storia del Ballets Russes si lega a Massine, che debutta con il balletto Soleil de nuit a Parigi. Si forma in Russia e viene notato da Diaghilev e viene chiamato per far parte della compagnia come danzatore, ma successivamente viene reclutato come coreografo della compagnia. Il balletto Parade è uno dei suoi maggiori successi, nato anche con la collaborazione con Erik Satie e Picasso. Mette in scena in una dimensione surreale (tipica del circo) proponendo danzatori che incarnano il clima sociale e del musical con movenze marionettistico. 4. In questo periodo i balletti russi perdono importanza nella scena francese. Nel 1921 Diaghilev scrive alla concorrenza tentando la messa in scena a Londra di un estratto della Bella Addormentata di Petipa: lo spettacolo si rivela fallimentare a causa delle ingenti spesi per l’investimento. Nel 1922 così Diaghilev si lega al teatro di Montecarlo per
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