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Filosofia: Contenuti, origini, Platone, Aristotele e Agostino - Prof. Alici, Sintesi del corso di Storia della filosofia antica

Una panoramica della filosofia, dalla sua origine greca fino alle opere di platone, aristotele e agostino. Esplora il ruolo della filosofia, la sua origine, la dialettica, la metempsicosi, il mito di er, la repubblica di platone, la costituzione scritta, la demagogia, il mito della caverna, la fisica, la zoologia, la poetica, l'etica aristotelica, l'amicizia, la politica, la teoria delle idee, l'esemplarismo, la parte materiale del mondo, gli universali, l'incarnazione del verbo, la dissacrazione delle verità cristiane e l'illuminazione della fede.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 13/03/2024

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Scarica Filosofia: Contenuti, origini, Platone, Aristotele e Agostino - Prof. Alici e più Sintesi del corso in PDF di Storia della filosofia antica solo su Docsity! Filosofia = ‘filo-sofia’ (da Pitagora) amore per la sapienza, studia la struttura dell’uomo e riflette sulle sue caratteristiche (antropologia filosofica). A tal proposito, si è compiuta la distinzione tra Natura umana, per la quale esiste una determinata essenza e Condizione umana, vale a dire una situazione condizionata dalle contingenze storico-sociali. Con la modernità si andrà man mano ad affermare l’identità, e si elaborerà il pensiero secondo cui ‘affermare una natura umana’ = ‘affermare qualcosa di impossibile’. Quando si tratta di entrare in un discorso filosofico, si preferisce specificare come lo si faccia dalla porta dell’oggi e del passato: entrarci dalla porta dell’oggi equivale al dire che si elimina necessariamente l’interesse univoco delle discipline scientifiche, dando la possibilità alla filosofia di interessarsi alla sfera umana tanto quanto fa la scienza. I tre connotati della filosofia sono: CONTENUTO - la filosofia ha il compito di approfondire le scienze dal punto di vista degli interessi morali ed etici dell’uomo. E se per il pensiero comune scientifico è tutto ciò che affronta la totalità partendo dai principi primi, allora lo stesso vale per la filosofia, che pensa non si possa acquisire il concetto di realtà senza guardare alla totalità partendo dalle cause prime, ma al tempo stesso mira ad evitare che questa sia riducibile a formule. > NO APPROCCIO TOTALMENTE SCIENTIFICO. METODO - la filosofia nasce dal tentativo di CAPIRE il valore della nostra anima e guardare al mondo con gli occhi della meraviglia. La filosofia come concetto nasce nel momento in cui si guarda al logos (che ha duplice significato: pensiero e parola) attraverso il mito MA con un approccio del tutto, o quasi, razionale, avviando un processo di DEMITIZZAZIONE. Deve andare oltre al fatto, oltre ai fenomeni, per trovarne le vere e proprie cause. SCOPO – è il puro desiderio di conoscerere e contemplare la verità della realtà, cioè un disinteressato amore per la verità. Per questo, nessuna scienza sarà mai superiore alla filosofia: sì necessaria, ma mai superiore. La contemplazione non ha dunque scopi utilitaristici ma possiede solo e soltanto una rilevanza morale che muta il significato della vita dell'uomo e la gerarchia dei suoi valori. L’ORIGINE : creazione del cosiddetto genio greco, asia minore, 7/6 secolo. Nasce in Grecia, ma più nello specifico nelle poleis (città-stato) per poi andare a diffondersi nelle città maggiori, in quanto le più favorevoli condizioni sociali, politiche ed economiche erano situate proprio nelle colonie. Dunque, la nascita della filosofia andò di pari passo con la fioritura degli ambiti sociali in generale. La filosofia si identifica come una la domanda sul principio, sul tema centrale, e consiste in un approccio totalmente nuovo alla realtà. Di fatti, essa non si fonda su altre tradizioni o interessi di altri popoli, ma nasce come pura scienza basata sul logos. Tuttavia, abbiamo constatato che esistono alcune realtà dalle quali i Greci ricavarono delle conoscenze scientifiche che però rielaborarono totalmente, vale a dire le conoscenze matematico-geometriche egizie, che originariamente puntavano ad un concetto di praticità, e quelle astronomiche babilonesi. Dunque, la filosofia nasce in Grecia in quanto primo territorio in cui appare una speculazione sul mondo: iniziano a sparire gli obbiettivi pratici-prestazionali e l’interesse si configura nella non-finalità delle cose. Per i greci la speculazione = riflessione gratuita e inutile (senza scopi) su ciò che è, totalmente disinteressata e soprattutto essenziale in quanto coltiva la possibilità di uno sguardo razionale su tutto SENZA una necessità. Possiamo quindi enunciare che la filosofia sia del tutto un pensiero LIBERO in quanto non assoggettato alla praticità. Per capire la filosofia di un popolo/civiltà bisogna considerare arte, religione e condizioni socio- politiche di quest’ultimo: tutti gli elementi elencati altro non fanno che condizionare il nascere di determinate idee, andatesi a stabilire come portanti della filosofia in questione. Soprattutto con le idee politiche nasceranno concetti come quello di democrazia e delle prime forme di libertà. La filosofia ha un carattere TEORETICO e non TEORICO, vale a dire contemplativo, che ricerca la verità in sè e nel suo contenuto. Come afferma Aristotele nella Metafisica I, gli uomini iniziarono a filosofare per mezzo della loro stessa meraviglia di fronte alla realtà, ma con l’unico fine di sapere. E dunque, la filosofia nasce dallo stupore per ciò che sfugge alla conoscenza umana, in quanto ciò che ci interessa è la conoscenza per essa stessa. L’uomo, dinanzi al Tutto, si pone delle domande sulla sua origine, sul suo perché e sulla sua ragion d’essere, ma anche in relazione alla propria figura (perchè esisto?). Possiamo perciò dire che la filosofia ci aiuti a costruire ponti tra i nostri limiti, la nostra miseria, e l'assolutezza di ciò che ci circonda: tra le nostre manifestazioni e il principio dell'esistenza. Uno dei più grandi temi filosofici è il rapporto tra l'uno e i molti, che se per qualcuno non sussisteva (Parmenide), per altri (Medioevo Cristiano) risiedeva nella Santa Trinità: Padre e Spirito Santo> molteplicità ; Figlio> unicità. Oppure, l'arché inteso come principio originario delle cose, di cui si occupavano i filosofi naturalisti (presofisti-presocratici). Essa si fonda su 3 binomi, aspetti, che sono: 1.*mito/logos ; 2. letteratura omerica/pensiero filosofico ; 3. filosofia/religiosità greca. 1. *Mito = un racconto inteso come la narrazione di eventi divini o umani, una prima forma di interpretazione della realtà. I miti miravano a raccogliere luoghi di relazionalità, spiegazioni, per dar conto dell'intero e quindi della totalità. Purtroppo però, ciò non era possibile nell'ambito della sfera reale, ed è proprio questo il PUNTO DI ROTTURA del mito con il *Logos = ha una duplice accezione, ovvero PENSIERO-PAROLA. Ciò che è proprio dell'uomo, anche secondo filosofi come Aristotele (uomo come animale politico, Zoon politikon), è la razionalità e quindi la parola (due attività strettamente connesse). Perciò, noi tutti siamo animali protesi alla conoscenza, che ha gradi diversi e quindi varie interpretazioni. Da ciò ne possiamo dedurre che fare filosofian è propriamente umano. 2. I poemi omerici sono stati il luogo perfetto per l'educazione dei greci (la Bibbia : pensiero umano = i poemi omerici : pensiero filosofico). Essi, concernendo talvolta temi come il mostruoso e il deforme, ma nella loro razionalità, armonia e misura, traboccano di meraviglia e rappresentano un ordine ben preciso sul quale si è formato l'uomo greco. Omero non narra SOLO i fatti, ma ne cerca cause e ragioni, mirando a rappresentare la realtà nella sua totalità (male-bene, guerra-pace ecc). Perciò: se il pensiero filosofico rappresenta la totalità in forma razionale, quello epico in forma mitica, spiegando temi come la cosmogonia e teogonia (con Esiodo), la giustizia (in Solone), il limite ovvero la giusta misura. 3. Per i greci, tutto ciò che accade è divino. A tal proposito, parlando di religione greca essa si scinde in religione pubblica e del mistero. Secondo la prima, tutto è divino, perchè tutto si spiega grazie agli interventi degli dei, che altro non sono che forze naturali antropizzate e cristallizzate, con tratti umani sì, ma totalmente un'altra natura e nessun moto relazionale nei confronti degli uomini se non la loro punizione qualora dovessero mancare all'ordine divino. Ognuno di essi rappresenta un concetto: Zeus la giustizia, Atena l'intelligenza, Afrodite l'amore.. , e dunque la religione persisteva a dare origine al tutto (acqua, fuoco, terra, pietre ecc.) attraverso i processi di rarefazione e condensazione. La terra si fa dunque in virtù di un principio che c’è già stato: l’uomo vive dal primo respiro, muore con l’ultimo. PLURALISTI Empedocle – primo dei pensatori che cercò di risolvere l’aporia eleatica (scuola parmenidea, bisogna interrogarsi su cos’è l’essere), 400 ac. Per Empedocle non esistono nascita e morte = venire e andare dal/nel nulla, in quanto il nulla non è. Esiste invece il mescolarsi e il disgregarsi di alcune sostanze che permangono INDISTRUTTIBILI e UGUALI nel loro essere (i quattro elementi, divini) -> elemento = qualcosa di immutabile, capace solo di unirsi e separarsi = concezione pluralista. Esistono due forze che uniscono e separano gli elementi, ovvero forza amore/amicizia e forza odio/discordia: questi causano unione e separazione. Dal prevalere della prima forza si genera lo Sfero, una compatta unità, della seconda la separazione di tutti gli elementi. Il cosmo e le relative cose nascono nei due periodi di passaggio tra le due forze AMORE -> ODIO -> AMORE. Dalle cose si sprigionano scariche che colpiscono gli organi sensoriali e le parti simili del nostro corpo riconoscono quelle simili. Il pensiero veicola nel sangue e ha sede nel cuore. Empedocle, in più, faceva proprie le credenze orfiche. Anassagora – 500 ac. Egli continuava a credere non esistessero nascere e perire, ma le ‘cose che sono’ si compongono e si scompongono -> i semi (spermata) sono infinitamente vari in qualità e quantità. Di fatti essi si possono dividere all’infinito in parti sempre più piccole di medesima qualità e quindi sempre uguali -> omeomerie. MA come si sistemano queste parti? Come si organizzano? A compiere tale mescolanza da cui poi scaturiscono tutte le cose è un’intelligenza suprema, il NOUS. Egli trova dunque un principio a monte dei principi, il PRINCIPIO MOTORE. Di fatti, siamo dinanzi ad un autore che affina l’idea di un’intelligenza divina, ma non riesce ancora a sganciarsi dai presupposti naturalistici, non distinguendo realmente il materiale dallo spirituale. In tutte le cose esistono i semi di tutte le cose, ma un abbondanza di un tipo di seme rispetto agli altri in una determinata cosa, la rende tale. Dunque, con questo ragionamento, Anassagora ci introduce alla scoperta dell’immateriale. ATOMISTI Leucippo & Democrito – (V secolo ac; 460 ac) essi andarono alla scoperta del concetto di atomo. Entrambi, in linea alla loro scuola, affermavano l’impossibilità del non essere e soprattutto credevano nel fatto che nascere = aggregarsi di cose / morire = disgregarsi delle stesse cose. Queste cose consistono in un numero infinito di corpi invisibili, indivisibili, ingenerabili, indistruttibili, immutabili. Non sono altro che la frantumazione dell’essere uno in ESSERI UNI. Atomo (divino per Democrito), in greco, vuol dire non divisibile, e spesso si è portati a pensarla in una maniera fisica. L’atomo si differenzia dai suoi simili per ordine e posizione, ed è forma visibile all’intelletto, vale a dire che lo si percepisce SOLO ed ESCLUSIVAMENTE attraverso l’intelligenza. Dal momento che esso viene pensato come pieno e al tempo stesso vuoto, senza vuoto gli atomi non potrebbero differenziarsi o muoversi tantomeno. Secondo gli atomisti, i fenomeni e gli eventi derivano dal vario modo in cui gli atomi si aggregano tra loro e dal modo in cui questi prodotti si incontrano con i nostri sensi. -> gli atomi e il vuoto sono le uniche e sole verità, le altre invece sono opinioni. Nella linea dell’atomismo, tre sono i tipi di movimento: il movimento primigenio degli atomi stessi; quello vorticoso secondo cui atomi simili si aggregano e diversi si separano, creando il mondo; il movimento degli atomi che si sprigionano creando le scariche. Tuttavia, non esiste ASSOLUTAMENTE un’intelligenza suprema che ordina il tutto, ma ciò è portato a termine da un processo meccanicistico. Come per Empedocle, secondo gli atomisti ‘il simile conosce il simile’. In più, per Democrito, l’anima è la dimora della nostra sorte, in quanto nell’anima coesistono sia la radice della felicità, che dell’infelicità. PITAGORICI -Il più famoso tra i pitagorici, che fondò questa scuola, fu appunto Pitagora (580/500 ac, Italia meridionale). Nella scuola vigeva l'obbligo di non divulgare gli insegnamenti altrove (assimilabile ad una setta) e tali insegnamenti erano addirittura solo o prevalentemente orali. Egli era venerato come un nume e la sua parola come oracolo, ma soprattutto era la colonna fondamentale di un gruppo che lavorava e studiava affiatatamente. La scuola, come abbiamo accennato prima, era nata quasi come una ‘confraternita religiosa’ e organizzata secondo regole ben precise, che avrebbero poi portato a sostenere un tipo di vita ben preciso. Tuttavia, il primo pitagorico a pubblicare opere vere e proprie fu Filolao, il quale divulgò lavori conosciuti come presocratici. -Spostandosi nel meridione italiano, la filosofia inizia ad affinarsi e soprattutto evolve il concetto di principio, che stavolta viene ‘ritrovato’ nel numero: di fatti, Aristotele affermò che i pitagorici furono i primi ad applicarsi nello studio delle matematiche e soprattutto a farle progredire, sostenendo che i numeri fossero l’eccezionalità e che tutto il cielo fosse armonia e numero. Per i pitagorici, in ogni cosa e in ogni dove esiste una REGOLARITà MATEMATICA (numerica), anche addirittura nella musica e nei suoni, scoperta rilevantissima. I maestri interpretavano queste due realtà come mezzi di purificazione/catarsi, traducibili in rapporti numerici rappresentabili matematicamente. -Si scoprì anche che i numeri avevano una determinanza nell’universo e i suoi fenomeni: l’alternarsi di giorni, anni, stagioni.. ; i tempi di gestazione ; i cicli di sviluppo biologico ecc. Tale euforia portò loro addirittura a determinare corrispondenze inesistenti tra fenomeni vari, come nell’ambito della giustizia (uguaglianza) che era rappresentata dal 4 o dal 9 (2x2 o 3x3 rapporti di numeri UGUALI); l’intelligenza e la scienza (caratteri persistenti) rappresentate dall’1 e così via. -Il numero è quindi in questo caso una cosa reale, la più reale delle cose. Ogni cosa deriva dai numeri, che ahimè non sono il primo assoluto, ma essi stessi derivano da ulteriori elementi, principi primi di tutte le cose. Dunque, i numeri sono una quantità INDETERMINATA che via via fa affermandosi all’infinito, e proprio per questo il numero è quindi costituito da 2 elementi: uno illimitato/indeterminato e l’altro limitante/determinante. Nei numeri pari si manifesta una prevalenza di carattere indeterminato (imperfetti per i greci, perchè non si chiudono geometricamente - donne) e viceversa per i numeri dispari, che invece sono pefetti (maschi). Solo il numero uno è PARIMPARI (né uno né l’altro) mentre lo zero rimase SCONOSCIUTO. Il 10 consisteva invece nel numero perfetto perchè visto come un triangolo formato dai primi quattro numeri (1 prima riga, due seconda, tre terza, quattro quarta) e avente quattro per tutti e tre i lati -> TETRAKTYS. Perciò, il numero dieci risulta essere la somma di 1+2+3+4, ha lo stesso numero di multipli e sottomultipli e per di più contiene in sè tutti i rapporti -> sistema decimale. Esistono inoltre dieci contrari supremi che riassumono in un certo qual modo tutti gli altri: 1. limite/illimite 6. fermo/mosso 2. dispari/pari 7. retto/curvo 3. uno/molteplice 8. luce/tenebra 4. destro/sinistro 9. buono/cattivo 5. maschio/femmina 10. quadrato/rettangolo L’illimitato consiste nel vuoto che circonda il mondo e genera cose e numeri, e per altro Filolao faceva coincidere i quattro elementi con i quattro solidi principali: terra=cubo; fuoco=piramide; aria=ottaedro; acqua=icosaedro. Perciò, se il numero è ordine e se il numero determina tutto, tutto è ordine, che in greco si traduce kosmos (da qui deriva cosmo). Secondo i pitagorici i cieli ruotando producevano una ‘musica celeste’. Dunque, con essi il mondo ha cessato di essere dominato da oscure e indecifrabili potenze. Pitagora fu il primo a sostenere la dottrina della metempsicosi (la reincarnazione dell’anima che deve necessariamente espiare la prorpria colpa) -> orfismo. Tuttavia, i pitagorici sono sempre rimasti attaccati alla scienza nella via della purificazione, invece che il mistero ecc. Inoltre, il fine ultimo di tutto questo processo era tornare a vivere tra gli dei: così facendo i pitagorici portarono in campo la cosiddetta vita contemplativa, vale a dire spesa dietro la ricerca della verità e del bene attraverso la conoscenza. Essi identificarono poi il divino nel numero 7, reggitore e signore di tutte le cose, che in quanto numero primo né genera né è generato, è IMMOBILE. Per giunta è anche KAIROS, cioè momento giusto e opportuno: inalterato e sconosciuto è rimasto però il rapporto che esisteva tra anima-demone e numeri. PARMENIDE (eleatico) Con Parmenide (IV-V ac) la ricerca cosmologica dei presocratici viene rivoluzionata radicalmente. Egli fu iniziato alla filosofia dai pitagorici e a sua volta fondò una scuola. Risultato della sua speculazione è un poema intitolato Sulla natura, nel quale per primo affronta il problema dell'essere, gettando le basi dell'ontologia. Le sue conclusioni sull'unità e immutabilità di ciò che è segneranno profondamente gli altri filosofi che daranno vita a un vivace dibattito tra i sostenitori della sua posizione e chi dell'esistenza del mutamento e della molteplicità degli enti. -La filosofia parmenidea parte dal presupposto che essere, linguaggio e pensiero coincidano necessariamente. Pensiero e linguaggio presuppongono necessariamente che ciò di cui si pensa o si parla esista, e ogni volta che si esprime un giudizio su qualcosa, di questo qualcosa si sta dicendo che è. Ne consegue che è impossibile dire o pensare ciò che non è. -> l’essere è e non può non essere, il non essere non è ed è impossibile che sia Nel suo poema, Parmenide dice di essere condotto da una dea (che simboleggia prorpio la verità svelata), la quale gli spiega l'esistenza di tre vie di ricerca: 1. l'essere è e non è possibile che non sia (dell’assoluta verità) 2. il non essere è ed è necessario che non sia (delle opinioni fallaci) 3. l'essere è e il non essere non è (delle apparenze plausibili) Con Parmenide la filosofia sposta l'oggetto del suo studio dalle cose, cioè gli enti, all'essere in quanto tale. Attraverso le tre vie si cerca di scoprire le vere caratteristiche dell'essere, dipendenti dall'atto di affermare e quello di negare. L'unica via praticabile è la prima, che intende l'essere come puro e privo di ogni compromissione con il non essere. In questa si trovano tutti i segni della verità, in quanto è la via della ragione e del logos. La seconda invece, che conduce al non essere, è falsa e porta all'errore. Non meno pericolosa è però la terza, che rappresenta il modo di ragionare degli uomini comuni definiti «bicefali», persone «dalla doppia testa» per le quali, sulla base delle apparenze dei sensi, l'essere e il non essere sono al tempo stesso identici e diversi. Questi giungono quindi a pensare che anche il non essere sia. L'opposizione essere/non essere per Parmenide corrisponde a quella pensiero/sensi. Se gli ultimi si limitano alla percezione di ciò che appare, il pensiero è in grado di cogliere l'essere in modo stabile e sicuro, poiché è in grado di andare oltre le apparenze e scoprire la verità profonda della realtà. Inoltre qualsiasi cosa venga appresa con il pensiero ha necessariamente una sua espressione nel linguaggio. -All'essere Parmenide attribuisce una serie di attributi, che lo rendono una realtà esistente e non solo un concetto logico e linguistico. Esso è: ingenerato e imperituro, poiché se nascesse dovrebbe passare dal non essere all'essere, e se morisse arriverebbe al non essere, entrambi eventi impossibili; in un eterno presente, cioè non ha passato e futuro; immutabile e immobile, poiché se mutasse o si muovesse, non sarebbe più ciò che era prima o dove era prima; senza fine, perché se terminasse non sarebbe più; intero e indivisibile, ovvero continuo, e se così non fosse ogni sua parte non sarebbe un'altra; limitato e simile a una sfera: l'essere non è infinito perché altrimenti mancherebbe di tutto, mentre la finitezza è sinonimo di compimento e perfezione. sua vita, distinguere due fasi: la prima influenzata dai fisici, la seconda dai sofisti dei quali fece propri i problemi. In più Socrate non scrisse nulla, ma si avvalse possiamo dire solo ed esclusivamente dell’oralità dialettica: tuttavia i suoi discepoli stilarono una serie di dottrine a lui attribuibili. Una delle fonti più consolidate di Socrate fu Aristofane, che considerò un Socrate della giovinezza, al contrario di Platone che lo affrontò nei temi della maturità, idealizzandolo e facendo propri alcuni temi; Senofonte lo riduce e addirittura Aristotele ne parla a stento. Inoltre, il filosofo stabilisce con i sofisti un rapporto ambivalente: di continuità dal punto di vista del cambiamento e di rottura dalla tradizione. Perciò, Socrate concentrò il suo sguardo sull’umanismo, rendendo la filosofia riflessiva in quanto RIFLETTE SUL SOGGETTO DEL PENSIERO, al contrario dedei naturalisti che si posero problemi insolubili per l’uomo e dei sofisti che lo analizzarono in superficie, Socrate riuscì ad andare in fondo al problema. -Dunque, egli volle rispondere a questa domanda -> cos’è la natura e la realtà ultima dell’uomo? Cos’è l’essenza dell’uomo? Risposta-> l’uomo è la sua anima, ed essa stessa lo contraddistingue. Attenzione però: per il filosofo l’anima è l’io pensante/consapevole, la ragione e la sede dell’attità pensante, coscienza e personalità. Perciò, curare se stessi vale a dire curare la propria anima, e chi insegna a farlo è l’educatore. L’uomo si avvale del proprio corpo come strumento, è ciò che si serve di esso, mentre l’anima è in grado di conoscere l’universale in quanto organo di sapere, capace di farci conoscere il bene e agire in questa direzione. -Un’altra questione che Socrate apre, anzi, squarcia, è quella della virtù (areté), ovvero ciò che perfeziona qualsiasi cosa. La virtù umana è quindi ciò che rende l’anima quale dev’essere, buona e perfetta: chi lo fa? -> la scienza o conoscenza, mentre il vizio corrisponderà all’ignoranza. Quindi, per Socrate, i valori veri non saranno più quelli esteriori, ma solo e unicamente quelli che appartengono all’anima e si assommano nella conoscenza, ma che soprattutto diventano tali SOLO SE usati in funzione dell’anima e dell’areté. In linea a questo ragionamento: la virtù sarà scienza e il vizio l’ignoranza; chi pecca lo fa involontariamente e per ignoranza del bene = posizioni principali dell’intellettualismo socratico. Per il primo punto, Socrate tentò di sottoporre alla ragione anche la vita umana e i suoi valori (dunque la virtù); in ordine al secondo, per Socrate l’uomo ricerca sempre il bene, e anche quando sceglie di fare il male, è perchè si aspetta di ricavarne il bene: il male è involontario. Dunque, la conoscenza è condizione necessaria per fare il bene, ma Socrate esagera dicendo sia anche sufficiente, cadendo in un eccesso di razionalismo: per fare il bene occorre anche il concorso della volontà. Di conseguenza, il peccato si riduce a un errore di ragione. -L’autodominio, per Socrate, era la massima manifestazione del logos, e si traduceva nella capacità di dominare se stessi, le proprie passioni e gli impulsi = dominio della razionalità sull’animalità. -> l’uomo libero riesce a dominare gli istinti, lo schiavo ne diventa vittima. A questo principio si connette quello di autarchia/autonomia, ma soprattutto cambia la concezione di EROE: egli non deve più combattere i nemici esteriori, ma quelli interiori. -Per Socrate, importante era anche il concetto di felicità, tradotta con eudaimonia, ovvero il ‘possedere’ un demone custode buono che garantisce una vita prospera e piacevole. Dunque, la felicità può venire solo ed esclusivamente dall’anima stessa, in quanto questa è la sua essenza, e l’anima è felice quando è virtuosa. Ritornando sempre al concetto precedente, ovvero del male SCELTO per ignoranza del bene, Socrate afferma che l’uomo virtuoso non può partire nulla di male, né in vita né in morte.-> l’uomo è artefice della propria (in)felicità. Tutti questi insegnamenti vennero, dal filosofo, tramandati (la filosofia divenne una competenza quindi retribuita) ai suoi allievi, ed è per questo che egli fu additato e condannato: corrompeva i giovani con le sue TEORIE ANTITRADIZIONALISTE (su Dio soprattutto). Una volta in contro alla condanna, egli la accettò ma soprattutto si rifiutò di scappare dal carcere (nonostante ce ne fosse la possibilità) in quanto la fuga sarebbe stata una violazione della legge, e le uniche armi che l’uomo ha a disposizione sono ragione e persuasione, mai violenza. -> rivoluzione della non violenza. Ma.. da cosa mosse tutto questo ‘odio’ nei confronti delle dottrine socratiche? Principalmente dalla sua concezione di Dio, un Dio defisicizzato. Egli infatti mosse le prime basi della dimostrazione razionale di Dio inteso come un’intelligenza ordinatrice (ci era già stato anticipato). Abbiamo tre prove: 1. Ciò che non è semplice opera del caso implica un’intelligenza che l’ha prodotto /es. L’essere umano e la sua complessità (organi finalizzati) non possono affatto essere frutto del caso/; 2. Questa intelligenza non si vede, così come non si vede la nostra anima; 3. Chiaro è, in base ai suoi privilegi, quanto l’intelligenza suprema* si sia presa cura più dell’uomo. *causa ordinante e finalizzante, onniscente. Inoltre, un’accusa rivolta a Socrate fu quella di aver introdotto nuovi daimonia (entità divine). Il demone socratico altro non era che una VOCE DIVINA che aveva la capacità di salvarlo da pericoli ed esperienze negative, oltre a fargli capire la sua vocazione: filosofare. Soprattutto però, questa voce non chiarisce i principi filosofici ed etici, perchè di quello si occupa il logos. Essa non ordina, vieta. Possiamo perciò dire che questo segno è proprio ed esclusivo di Socrate stesso. -Tutto è volto a spogliare l’anima dall’illusione e curarla dalle false certezze, anche il metodo e la dialettica. Di fatti, la finalità di questo suo metodo è proprio di natura etico-educativa, in quanto ti spinge a renderti conto della tua vita, una sorta di esame morale. Al tempo stesso, la dialettica socratica coincide proprio con il dialogo, che consta due momenti: confutazione e maieutica. 1. il filosofo porta l’interlocutore ad interfacciarsi con la sua stessa ignoranza, costringendolo a definire l’argomento dell’indagine – scavare nella definizione – sottolineava mancanze e contraddizioni – esortava a tentare una nuova definizione, confutando anche quella e RIPETEVA QUESTO PROCESSO finchè chi aveva di fronte non si riconosceva ignorante. 2. egli si sente in dovere di praticare l’arte della maieutica (ostetricia) MA nell’ambito del sapere. Tutto questo processo, che parte dall’affermare il concetto -so di non sapere-, mira a far partorire la verità a chi ne è gravido. L’efficacia non sta dunque nel trasmettere le nozioni ma nel dar luce alle conoscenze proprie e smontare le apparenti -Come abbiamo precedentemente citato, Socrate affermava ‘so di non sapere’, ma in che senso? Esso veniva affermato nei confronti del sapere dei naturalisti in primis: vano; dei sofisti: saccente; dei politici e dei cultori delle altre arti: inconsistente e acritico. Ma allo stesso tempo, serviva per paragonare il sapere umano, fragile e ridotto, a quello divino, possente e disteso. Principalmente, era attraverso quest’affermazione che si scuoteva il dialogo interpersonale tra l’uditore e il filosofo. Un’altra principale caratteristica del dialogo socratico era l’ironia, ovvero un insieme di finzioni e stratagemmi che costringevano l’interlocutore a dar conto di sé. -> scopo serio. Una delle domande più frequenti all’interno di questi dialoghi era “che cos’è?”, la quale mirava proprio ad attuare il processo ironico-maieutico e non a giungere a delle DEFINIZIONI LOGICHE. Di fatti, egli mise in moto il processo verso la scoperta della logica, ma non ne scoprì struttura e definizione. PLATONE Il suo vero nome era Aristocle, V-IV secolo a.c. Egli, fin da giovane, nacque e cresce in un ambiente favorevole alla politica, e per questo motivo la vide come un’aspirazione e ideale per attitudini, ed è per questo che iniziò a seguire anche la filosofia socratica. Tuttavia, un primo approccio ad essa gli fece perdere tutta la fiducia che nutriva nelle grandi figure, soprattutto quando i democratici condannarono a morte Socrate. Nel periodo adulto, compì tre viaggi in Sicilia, dove conobbe anche la realtà pitagorica, ma soprattutto fu vittima di vari scontri con il tiranno. Nel primo viaggio fu venduto come schiavo ad un ambasciatore spartano e poi riscattato. Al ritorno ad Atene fondo l’Accademia e, tornato in Sicilia, fu nuovamente vittima della tirannia (stavolta del figlio) e trattenuto come prigioniero. Liberato e ritornato ad Atene non si perse d’animo, tornò nuovamente in territorio siculo dove però rimase al sicuro, e poi una volta rientrato ad Atene si curò della propria scuola fino alla morte. Di Platone abbiamo vari scritti, che si dividono principalmente in tre fasi (9 tetralogie): 1. scritti giovanili/socratici – Apologia, Critone, Ione, Lachete, Liside, Carmide, Eutifrone, Eutidemo, Ippia Minore, Cratilo, Ippia Maggiore, Menesseno, Gorgia, Protagora 2. scritti della maturità – Menone, Fedone, Simposio, Repubblica, Fedro 3. scritti della vecchiaia – Parmenide, Teeteto, Sofista, Politico, Filebo, Timeo, Crizia, Leggi, Lettere VII-VIII Due sono i problemi che le riguardano però: l’autenticità, a lungo dibattuta, anche se oggi sono tutti considerati tali, e la cronologia, in quanto si ritiene siano stati organizzati formalmente per caratteristiche e contenuti-> Inizialmente egli trattò di problematiche etico-politiche, muovendo dalla posizione socratica. Poi recuperò le istanze della filosofia della physis e, grazie a questa ‘navigazione, avremmo poi il terzo periodo, in cui scoprì l’essere soprafisico e la rivalutazione di alcuni temi antichi. Nonostante ciò, le fonti non sono solo scritte: egli tenne alcuni corsi dell’Accademia intitolati ‘INTORNO AL BENE’ che non volle assolutamente trascrivere, in quanto riteneva che le realtà ultime e supreme trattate non potessero essere comunicate se non attraverso il dialogo e l’oralità dialettica. Per conto suo lo fecero alcuni discepoli MA egli stesso ritenne che questi scritti fossero inutili -> dottrine non scritte. Dunque Platone cercò, nelle sue opere, di riprodurre il cosiddetto dialogare socratico con tutti i dubbi e le fasi (confutazione e maieutica) che spingevano alla ricerca della verità. Il dialogo socratico divenne quindi un vero e proprio genere letterario di cui Platone era inventore e rappresentante-> lo scritto diventa dialogo, Socrate protagonista attivo nella discussione con gli interlocutori, e il lettore interagirà al fine di trarre maieuticamente conclusioni ai problemi irrisolti. ATTENZIONE: SOCRATE IN REALTA’ E’ PLATONE! -Se Socrate era assolutamente contrario all’approccio mitologico, Platone lo rivalutò nettamente, portando così (apparentemente) avanti un’involuzione. Tuttavia, Hegel vide nel mito platonico solo un’immaturità del logos che non aveva ancora acquisito piena libertà. Di fatti, Platone rivaluta il mito in quanto inizia prima a rivalutare le tesi orfiche, in quanto in lui il mito è espressione di fede e non di mistero, che chiarisce il logos e lo completa. Dunque, esso ha il compito di superare i limiti razionali (metarazionale) e fa da stimolo al logos, che lo spoglia dei suoi elementi fantastici. Per questo motivo sia chi vuole eliminarlo che chi tende a sopravvalutarlo è in errore. -Vari sono state le prospettive verso cui si è teso a riversare il fulcro del messaggio platonico: il Platonismo lo poneva nella teoria delle Idee, il Neoplatonismo nella tematica religiosa, la terza interpretazione in quella politica e la quarta nell’oralità dialettica. Tuttavia, si ritiene che Platone non sia riconducibile a una in particolare, ma all’insieme di queste prospettive, il che spiega la sua poliedricità. Un punto fondamentale della filosofia platonica è uno e uno solo: LA SCOPERTA DELL’ESISTENZA DI UNA REALTA’ SOPRASENSIBILE DELL’ESSERE. Di conseguenza, per Platone le cause fisiche tanto vantate dai naturalisti altro non sono che con-cause, vale a dire cause amministrate e al servizio di alcune più alte e superiori, né meccaniche né fisiche. Possiamo interpretare l’approccio naturalistico come una prima navigazione (secondo il linguaggio marinaresco) andato totalmente fuori rotta in quanto non si è riuscito a spiegare la realtà sensibile, mentre l’approccio platonico come una seconda navigazione, che porta alla scoperta dell’intellegibile e quindi a una risposta. ESEMPIO: se volessimo spiegare perché una cosa è bella non ci dovremmo fermare all’approccio naturalistico (considerarne forma, colore, figura ecc.) ovvero attraverso le concause, ma postulare l’esistenza di una causa ulteriore, qualcosa di intellegibile, vale a dire l’IDEA DI BELLO che fa sì che le cose empiriche siano belle. -> teoria che vale per tutte le cose. Esistono due piani dell’essere: quello tangibile/fenomenico e quello intellegibile/metafenomenico, e dunque, secondo questa conquista, il cosmo e la natura non costituiscono più la totalità delle cose che sono ma di quelle che appaiono. -Il quadro della metafisica platonica ha tre punti focali: primo della scienza e i filosofi accedono all’INTELLIGENZA. L’intelletto coglie le Idee pure e tutti i loro legami, risalendo poi da Idea a Idea e giungendo all’Idea suprema (del Bene)-> la DIALETTICA, porta alla verità. Abbiamo due modi di operare della dialettica: dialettica ascensiva, porta dalle Idee a quella suprema attraverso un processo sinottico; quella discensiva, che consiste nel processo contrario e attraverso un processo diairetico stabilisce il posto che una data idea occupa nel mondo delle Idee. (I due procedimenti sono connessi). La dialettica spinge a comprendere quindi come i molti siano l’uno e viceversa (molteplicità e totalità), stesso tipo di conoscenza affidata al Demiurgo: è quindi il coglimento del mondo ideale, della sua struttura, del posto che ogni Idea occupa ed è dunque verità. Platone si occupa anche della problematica dell’arte, di stabilire quale valore di verità abbia-> essa vela il vero in quanto non è una forma di conoscenza, non educa ma diseduca, corrompendo l’uomo. L’arte in ogni sua espressione è un’imitazione di eventi sensibili, che già sono un’immagine dell’Idea e quindi distano dal vero: dunque, l’arte è imitazione dell’imitazione. Essa si rivolge alla parte ‘meno nobile’ della nostra anima, ed essendo corruttrice e va bandita (o eliminata) dallo Stato perfetto, a meno che non si sottometta alla filosofia. Analogamente si comporta la retorica, secondo Platone lusinga e contraffazione del vero, pretendendo di convincere tutti su tutto senza avere conoscenza e quindi creando credenze illusorie. Essa si rivolge alla parte peggiore dell’anima, credula e instabile, e secondo il filosofo ad essa dev’essere sostituita sempre la filosofia. Tuttavia, nel Fedro questa teoria si ammorbidisce, dove si riconosce la sua esistenza solo se sottomessa alle leggi della filosofia. Egli affronta anche la tematica della bellezza, collegata a quella dell’eros e dell’amore, inteso come forza mediatrice tra i due mondi che eleva. Nel Simposio Platone ci comunica come Amore non sia né bello né buono MA sete di bellezza e bontà, un demone tra Dio e l’uomo. Egli è filosofo in quanto la filosofia è propria di chi il sapere non lo possiede MA lo ricerca nel profondo. Di fatti, ciò che normalmente gli uomini chiamano amore non è che una piccola parte di questo, il quale aspira all’Assoluto: l’amore ha molte vie, e il vero amante saprà percorrerle tutte fino a giungere alla suprema. Vi sono più gradi dell’amore: al più basso vi è quello fisico, poi c’è il grado degli amanti, degli amanti delle anime, delle arti, della giustizia, delle scienze e AL SOMMO l’amore per l’Assoluto. Dunque: l’anima ha vissuto originariamente nell’Iperuranio, conoscendo le Idee e questa realtà, ma perdendo le ali e precipitando nei corpi fisici, se n’è dimenticata (ricordandosene talvolta a fatica). Ma, con l’emergere dell’ideale di Bellezza, l’anima si infiamma che viene presa dal desiderio di levarsi al volo per ritornare nel mondo delle Idee -> questo desiderio è Eros. L’amore è dunque nostalgia dell’Assoluto, che ci spinge a ritornare al nostro essere originario. Cos’è quindi il corpo? Esso è inteso come tomba e carcere dell’anima, suo luogo di espiazione: Platone afferma che finché abbiamo un corpo siamo morti in quanto SIAMO la nostra anima, la quale a sua volta è mortificata nel corpo -> radice di ogni male. Di conseguenza sono scaturiti i due paradossi più pesanti dell’etica platonica: la fuga dal corpo e la fuga dal mondo. Il primo sancisce che si debba cercare di fuggire il più possibile dal corpo, ed è per questo che il vero filosofo desidera la morte e che la filosofia è esercizio di morte. Essa è un episodio che non danneggia l’anima, anzi, le dà beneficio. IL FILOSOFO È COLUI CHE DESIDERA LA VERA VITA! Il secondo invece ci dice come fuggire dal mondo significhi diventare virtuosi e assimilarci a Dio (misura di tutte le cose). Se con il primo si intende fuggire dal male del corpo, con il secondo si intende fuggire dal male del mondo. Quella che per Socrate era ‘cura dell’anima’, per Platone sarà ‘purificazione’, che si realizza nel momento in cui l’anima si ricongiunge al mondo intellegibile. Dunque, il misticismo platonico si identifica più in una ricerca e ascesa alla conoscenza: l’anima si eleva conoscendo e perciò la dialettica è liberazione dai ceppi e dalle catene del sensibile. Per il filosofo il problema dell’immortalità diventava fondamentale, tant’è che torna più volte sull’argomento (Menone, Fedone, Repubblica e Fedro). La prova principale di questa immortalità si trova appunto nel Fedone, in cui Platone chiarisce che l’anima riesce a cogliere le realtà immutabili, ma per poterle cogliere deve avere un carattere affine, ed è quindi immortale. Nel Timeo invece afferma che essa sia fatta dello stesso materiale con cui dal Demiurgo è stata fatta l’anima del mondo (quindi nasce, ma non perisce). Con Platone l’uomo ha dunque scoperto di essere ‘bidimensionale’, in quanto ha ridato all’anima il proprio posto nella realtà. La metempsicosi (l’anima che migra nei vari corpi, dunque la sua rinascita in soggetti vari) è alla base di ciò che accade alle anime dopo la morte-> Platone la amplifica in due forme, una raccontata nel Fedone: qui si afferma che le anime siano ormai state corrotte dal corpo, e a seguito della sua morte, come fantasmi vagano attorno ai sepolcri per paura dell’Ade, ma una volta ripresentato il desiderio corporeo si appropriano di un’altra ‘gabbia’, e a seconda della bassezza morale della vita precedente si legano a corpi pessimi, oppure se moralmente corretta a soggetti rilevanti. Repubblica: qui si afferma che le anime siano in numero limitato, e che quindi dopo essersi slegate dal loro corpo debbano aspettarsi un premio o castigo di una durata limitata. Prendendo spunto dal 10 pitagorico, Platone afferma dunque che il periodo di redenzione/permanenza debba essere di un millennio (10 volte 100 anni – vita umana) e poi potranno tornare a reincarnarsi. Due sono i miti che si legano a questa tematica 1. Mito di Er: in questo passo si racconta del ritorno delle anime sulla Terra, una rivoluzione platonica, in quanto i paradigmi delle vite da scegliere non sono più imposti alle varie anime, ma solo proposti (secondo la tradizione se ne occupavano gli dei) e dunque l’uomo sarà capace di scegliere se vivere secondo virtù o vizio, diventando poi questa scelta irreversibile. Le anime bevono poi nelle acque del fiume Amelete (della dimenticanza) e scendono nei corpi. 2. Mito della Biga Alata: originariamente l’anima viveva una vita divina presso gli dei, ma poi per una colpa è caduta sulla Terra. L’anima è esattamente come un carro condotto da un auriga (la razione) e trainato da due cavalli (uno buono, l’altro cattivo = le due parti alogiche dell’uomo, concupiscibile e irascibile). La guida sarà pertanto molto difficile, in quanto per le NOSTRE anime è molto difficile scorgere e contemplare l’Iperuranio: solo alcune ci riescono e continuano a vivere con gli dei, altre invece sono trainate giù dal cavallo che rappresenta il concupiscibile (nero) e quindi, scontrandosi, perdono le ali e precipitano sulla Terra. Alla morte del corpo l’anima verrà quindi giudicata e dopo il millennio ritornerà a reincarnarsi. Dunque, si tratta di una fede ragionata. La vera vita è quella nell’Ade (aldilà, in quanto l’anima si libera dalle sofferenze e dai dolori umani) dove l’anima si giudica solo in base ai criteri di giustizia e ingiustizia, e nulla altro: non conta se di un re o di un suddito, essa verrà sempre giudicata in modo equo. Le possibili sorti delle anime sono tre: 1. Riceverà un premio se avrà vissuto nella piena giustizia 2. Se avrà vissuto nell’ingiustizia e sarà inguaribile, allora sarà in eterno punita 3. Se si parla solo di ingiustizie ‘riparabili’, allora sarà punita temporaneamente -Secondo Platone, Socrate era l’unico vero uomo a tentare la ‘vera arte politica’, ovvero l’arte che cura l’anima rendendola virtuosa -> l’arte del filosofo, e solo se il politico diventa filosofo o viceversa, si costruisce la vera Città (Stato fondato su giustizia e bene) -> Repubblica di Platone. Lo Stato altro non è che l’ingrandimento della nostra anima, che nasce perché ogni uomo ha bisogno dei servigi di altri uomini per vivere: di coloro che provvedono ai bisogni materiali, di chi difende il territorio, di chi governa. Da questa concezione nascono le tre classi dello Stato: 1* di artigiani e altri lavoratori, 2* di custodi, 3* di reggitori. Nella 1* governa la parte concupiscibile dell’anima, e per altro è più buona quando vi predomina la temperanza, ovvero la capacità di sottomettersi alle classi superiori convenientemente. Ricchezze e beni da loro amministrati non dovranno essere né pochi né molti. Nella 2* prevale la parte irascibile e la loro virtù è il coraggio in quanto vigilano sui pericoli per la città sia esterni che interni, si preoccupano che i beni siano equamente distribuiti tra le classi e che ognuno svolga il proprio compito, facendo sì inoltre che lo Stato non cambi di dimensioni. Nella 3* ci sono i governanti, coloro che sanno amare di più la città e che conoscono e contemplano il Bene, la cui virtù è la sapienza. Affinché regni la giustizia, le tre virtù (cardinali) devono essere in armonia tra loro NECESSARIAMENTE. Dal momento che lo Stato è un ingrandimento dell’anima, possiamo vedere quindi che anche in essa si sviluppino tre parti: 1. Appetitiva, che ci spinge al desiderio degli oggetti 2. Irascibile, che mediante la razione domina il desiderio 3. Razionale, che ci trattiene dal desiderio propriamente Per mantenere la giustizia è quindi indispensabile che ognuno giochi la sua parte, in quanto la giustizia manifestata (all’interno della città) dipende proprio da quella interna a ogni soggetto. La città perfetta deve avere però un’educazione che lo sia altrettanto: se per la prima classe non c’è bisogno di quest’ultima in quanto la pratica dei mestieri basta da sé, i custodi invece devono rifarsi alla cultura (poesia e musica) e alla ginnastica. Le prime saranno spogliate dal falso e dovranno infondere coraggio e spontaneità, mentre la ginnastica sarà esercizio per l’irrobustimento della nostra anima. Per la seconda classe Platone propone inoltre la comunanza dei beni, di uomini, donne e bambini: uomini e donne saranno spogliati delle loro proprietà private (amministrate dalla classe inferiore) e svolgeranno stessi compiti e ruoli, i bambini saranno educati in strutture apposite. Cos’, Platone credeva di eliminare l’egoismo e il mio-tuo, stabilendo una sorta di grande famiglia. Per la terza classe invece, l’educazione era proiettata a quella dei filosofi: dai 30 ai 35 anni si affacciavano alla dialettica, poi fino ai 50 di nuovo alla realtà comune, attuando ciò che avevano appreso. La finalità di questa era giungere a conoscere e contemplare il sommo Bene, principio primo da cui il mondo ideale dipende. -Dopo la Repubblica, Platone cercò di dar forma ad alcune leggi utili alla costituzione di uno Stato secondo che tenesse conto degli uomini com’erano piuttosto che di come dovessero essere, uno Stato REALE, dove regni la legge e quindi una costituzione scritta. Esse possono essere 3: 1. Monarchia, potere a uno solo, che è la migliore soluzione, ma che può degenerare in TIRANNIDE 2. Aristocrazia, potere in mano ai pochi e ricchi, degenera in OLIGARCHIA 3. Democrazia, potere al popolo, miglior soluzione in una situazione di corruzione perché garantisce comunque la libertà, degenera in DEMAGOGIA Il mito della caverna: riassunto della filosofia platonica in quanto assume un forte significato in tutti gli ambiti: differenza tra mondo sensibile e iperuranio; missione del filosofo; idea di bene che sovrasta tutte le altre idee. Ci sono dei prigionieri che hanno sempre vissuti in una caverna sul cui fondo sono legati in modo da non potersi voltare. Fuori dalla caverna c’è un muro ad altezza uomo dietro al quale si muovono persone che portano sulla testa statuette raffiguranti oggetti di vario genere, parlano e il loro eco rimbomba nella caverna. Dietro questi ultimi individui vi è un fuoco intenso che proietta nella parete della grotta davanti agli uomini legati le immagini degli oggetti. Non avendo potuto vedere nient’altro, i prigionieri, osservando le ombre, pensano che questa sia la realtà. Uno di loro, però, si libera e si volta; vede perciò le statuette e si accorge che sono più reali delle ombre; poi esce dalla grotta, oltrepassa il muro, inizialmente accecato dalla luce del sole, si guarda intorno e vede “il mondo della natura” e nota che tutto è più vero degli oggetti che sono proiettati. Dopo essersi chiesto da dove proveniva la luce, si accorge che è IL SOLE CHE DA’ SIGNIFICATO A TUTTO, in quanto per Platone rappresenta l’idea del bene-bello. quattro significati: Ontologico: nel mito sono descritti i generi dell’essere; due per il sensibile, due per l’ intelligibile; il muro è lo spartiacque. Le ombre rappresentano le ombre che immaginiamo. Le statuette gli oggetti sensibili veri e propri. Gli oggetti della natura che l’uomo vede una volta valicato il muro sono gli concetto di non essere, ma solo Aristotele ebbe il coraggio di inserire il MONDO SENSIBILE (prima denominato metaxù da Platone, vale a dire intermedio tra essere e non) nella sfera dell’essere - > l’ESSERE è PLURIVOCO, in quanto comprende l’intellegibile e il sensibile. Tutti i suoi significati implicano un riferimento ad un’unità, cioè la sostanza: l’essere può identificarsi come sostanza stessa, sua qualità o sua attività. Ora ci resta da capire quali siano i molteplici significati dell’essere secondo Aristotele, che distingue quattro gruppi fondamentali: 1. L’essere come categorie 2. L’essere come atto e potenza 3. L’essere come accidente 4. L’essere come vero (non essere = falso) 1*. Esse rappresentano il gruppo di significati in cui l’essere si divide, e si raggruppano in una tavola, che comprende: Sostanza/Essenza, Qualità, Quantità, Relazione, Azione/Agire, Passione/Partire, Dove/Luogo, Quanto/Tempo, (Avere, Giacere) -> più incerte le ultime due. La prima categoria è l’unica che sussiste senza il bisogno delle altre, mentre tutte le altre si legano alla prima. 2*. Essi sono definibili solo se si pongono in relazione. C’è differenza tra un cieco e chi gli occhi li ha solo chiusi: il primo non è veggente, il secondo lo è ma in potenza (potenzialità) e non in atto (non lo attua): aprendo gli occhi lo sarà in atto – i semi di grano sono frumento in potenza, la pianta è frumento in atto. 3*. Esso si tratta dell’essere casuale, che dipende da un altro essere ma che non è legato a questo in alcun modo: è un accadimento che io in questo momento sia seduto, potrei stare anche in piedi. 4*. Esso è proprio della mente umana che pensa le cose e le congiunge/disgiunge come sono in realtà; il non essere come falso si ha invece quando la mente congiunge/disgiunge le cose come in realtà non lo sono. La metafisica si occupa soprattutto della sostanza, non a caso è chiamata anche ‘teoria della sostanza’. Il filosofo sostiene che i problemi principali relativi alla sostanza siano due: Quali sostanze esistono (sono solo sensibili o anche soprasensibili?)? Cos’è la sostanza in generale? I naturalisti indicano la sostanza negli elementi materiali, i platonici nella forma, gli uomini comuni nell’individuo e nella cosa concreta.Secondo Aristotele queste risposte nel loro insieme rappresentano la verità: la materia è il sostrato della forma, e se la eliminassimo elimineremmo la parte sensibile, ma è sostanza solo impropriamente perché si attua quando viene determinata da una forma; la forma è principio che determinae realizza la materia, l’essenza di qualcosa. -> il composto dei due è per Aristotele è SINOLO ed è sostanza. Dal punto di vista sensibile è il sinolo la sostanza per eccellenza, mentre dal punto di vista metafisico è la forma principio, causa e ragione di tutto, quindi sostanza. Quest’ultima è materiaimpropriamente, propriamente è sinolo e per eccellenza è forma. Dunque, la materia è potenzialità, in senso che è capacità di assumere la forma; la forma è attuazione di questa capacità. Quest’atto è per Aristotele ENTELECHIA, vale a dire perfezionamento, e di conseguenza Dio sarà entelechia pura: esso è superiore alla potenza, in quanto sarà anche il modo di essere di alcune sostanze eterne. -Ma come Aristotele ha dimostrato l’esistenza del soprasensibile? Essendo secondo il filosofo la sostanza realtà prima, allora tutti i modi dell’essere dipendono da essa.Inoltre, egli afferma che tempo e movimento sono due realtà INCORRUTTIBILI: non si sono né generati, né mai periranno. Di fatti il tempo è eterno, e altro non è che una determinazione del movimento, dunque la sua eternità postula quella del movimento. Essi sussistono ad una sola condizione: solo se sussiste un Principio Primo che è loro causa, anch’esso eterno. -> come dev’essere dunque questo Principio? 1. Necessariamente eterno, in quanto eterno è il movimento+ 2. Immobile, in quanto causa assoluta del mobile, cui fa capo tutto il moto dell’universo + 3. Atto puro, scevro di potenzialità, perché è e basta = MOTORE IMMOBILE, sos. Soprasensibile 4. Senza parti, indivisibile Così come l’oggetto d’amore attrae l’amante, il Primo Motore muove senza essere mosso, permanendo in una causalità di tipo finale, in quanto Dio attrae come perfezione. Resta dunque da capire -quale sia la natura del Principio -se esso sia uno solo o siano tanti -quali siano i suoi rapporti con il sensibile. Questo principio è vita, ed in quanto eccellente e perfetta è vita del pensiero puro. Dio pensa a quanto di più perfetto c’è, e dunque pensa a se stesso -> è pensiero di pensiero. Ma questa sostanza è unica oppure ve ne sono altre affini? In base a ciò che Callippo (astronomo del tempo) affermava, Aristotele giunse alla conclusione secondo cui tra le stelle fisse e la Terra vi fossero altre 55 sfere mosse da intelligenze simili, ma inferiori, al Motore Immobile. -> per il filosofo divino è Dio, le sostanze soprasensibili e anche l’anima intellettiva umana. Aristotele per altro, rifacendosi a Omero, citava ‘il governo di molti non è buono, uno solo dev’essere il comandante’ a sostegno della sua tesi. -Dunque, nelle sue teorie vige un monoteismo solo in parte conquistato, in quanto comunque vi sono altre sostanze motrici (che il medioevo chiamerà poi intelligenze angeliche)che non dipendono dalla sostanza quanto l’essere. Soprattutto, esse non sono state create da Dio, in quanto egli pensa solo ciò che più divino e degno è: non ha creato il mondo, ma è il mondo che si è prodotto tendendo a lui e dunque alla PERFEZIONE. -Dio è inoltre oggetto di amore, MA MAI ama (solo se stesso): dunque gli individui non sono oggetto dell’amore divino in quanto l’amore è tendenza a possedere qualcosa di cui si è privi, e lui di nulla è privo. -La dottrina del sinolo (materia+forma) costituisce la proposta alternativa al mondo delle idee di Platone: secondo Aristotele il soprasensibile è un mondo di Intelligenze, poste gerarchicamente e governate tutte da un’Intelligenza suprema. La fisica aristotelica approfondisce vari aspetti, tra cui gli esseri che sono nell’universo, sia quelli inanimati che non (dotati di razione), e ci si concentra soprattutto nel trattato Sull’anima. Dunque, gli esseri animati si differenziano dagli altri proprio perché possiedono l’anima (principio che dà loro la vita) -> l’anima è entelechia del corpo (forma, essenza). Possiamo dire che, date le varie funzioni fondamentali della vita che sono: 1. Di carattere vegetativo (nascita, nutrizione..) 2. Di carattere sensitivo motorio (sensazione, movimento..) 3. Di carattere intellettivo (conoscenza, scelta..) Aristotele elabora la teoria secondo cui vi sono tre tipi di anima: 1. Anima vegetativa (piante, animali, uomini) 2. Anima sensitiva (animali, uomini) 3. Anima razionale (uomini) .. ma analizziamole una alla volta! VEGETATIVA – è il principio più elementare della vita, che regola le attività biologiche, e soprattutto si pone come superamento dell’approccio naturalista: causa dell’accrescimento non sono i 4 elementi MA vi è una regola che instaura una proporzionalità tra grandezza e accrescimento. -> la nutrizione ad esempio è l’assimilazione del dissimile, resa possibile dall’anima. Essa presiede anche alla riproduzione, scopo di ogni forma di vita finita. SENSITIVA – gli animali provano anche sensazioni, appetiti e fanno esperienza del movimento. Prima funzione di quest’anima è la sensazione, la più caratterizzante, ma Aristotele non si ferma alle sue vecchie interpretazioni, bensì ricerca la chiave per quest’ultima proprio nel binomio atto/potenza: noi abbiamo delle facoltà sensitive che sono in potenza, che a contatto con gli oggetti di cui avremo sensazioni diventano sentire in atto: nella sensazione però viene assimilata solamente la forma. Aristotele analizza poi i 5 sensi e i sensibili a essi propri: quando un senso coglie un sensibile proprio nasce la sensazione, ma esistono anche “sensibili comuni” (grandezza, quiete, caos..) che possono essere percepiti da tutti i sensi. -> SENSO COMUNE. Dalla sensazione derivano fantasia (produzione di immagini), immaginazione (conservazione di queste) e esperienza (accumulo di fatti). Le altre due funzioni sono appetito, che nasce come conseguenza della sensazione) e movimento (che deriva dal desiderio). INTELLETTIVA – è un plus. L’atto intellettivo è analogo a quello percettivo in quanto è un ricevere e assimilare forme intellegibili, ma differisce da esso perché è autonomo (non si rifà ad oggetti sensibili). Aristotele distingue 2 funzioni della facoltà razionale, pensate attraverso la chiave potenza- atto. 1. L’intelletto in potenza, o potenziale, è pura potenzialità o possibilità di apprendere gli oggetti intelligibili: è come un foglio bianco o uno specchio che non riflette nulla e che è dunque pura possibilità di riflettere. Esso si assimila agli intelligibili che conosce, si identifica con esse, ne prende atto e lo riproduce. Aristotele afferma però che, affinché si attui nella conoscenza, è indispensabile che esista un intelletto già in atto che lo muova a conoscere. Questo è appunto 2. L'intelletto produttivo o attivo, conoscenza sempre in atto di tutti gli intelligibili, che agisce sull'intelletto in potenza, illuminandolo e determinandolo ad attuarsi nella conoscenza. Dopo di ciò vengono le scienze pratiche, le quali riguardano la condotta dell’uomo e i fini di essa. Aristotele denomina la scienza che si concentra sull’attività morale dell’uomo (sia come individuo che come cittadino) POLITICA, che suddivide poi in etica e politica -> l’individuo sarà dunque in funzione della Città, rimasta l’orizzonte che racchiude ogni valore dell’uomo, e non il contrario. L’etica aristotelica studia il mezzo (virtù) e il fine della vita umana (felicità) come l'etica socratica: secondo Aristotele ogni azione dell'uomo tende ad un fine che si configura sempre come un bene, e tutti questi beni si sottomettono al potere di un BENE SUPREMO, vale a dire la FELICITÀ/Eudaimonia. Ma cos’è la felicità? Per molti è il piacere, ma una vita fatta di piaceri rende bestie; per alcuni è l’onore, ma l’onore è solo qualcosa di apparente; per altri sta nella ricchezza, ma la ricchezza è solo un mezzo per qualcos’altro, e non vale come fine. Il bene supremo non può nemmeno essere l’Idea del Bene platonica, bensì di un bene che si può realizzare solo dal e per l’uomo. Questo bene è in perfetta armonia con l’areté (virtù) e consiste nel perfezionarsi in quanto uomo, poiché l’uomo che vuole vivere bene DEVE vivere secondo ragione: noi siamo la nostra ragione e il nostro spirito- i valori autentici non sono esteriori o fisici, ma solo quelli dell’anima, perché in essa consiste il vero uomo. -Così come le varie parti dell’anima hanno varie attività peculiari, secondo il filosofo hanno anche virtù/eccellenze.L’anima vegetativa è comune a tutti i viventi, mentre l’anima sensitiva pur essendo irrazionale, partecipa in parte della ragione (in quanto le ubbidisce): una sua virtù quindi consiste nel mondo che cerca di plasmare la materia a somiglianza delle idee. La materia dunque non è 'essere', ma puro 'non essere', ricettacolo di tutte le forme. Il compito dell’uomo è quello di sollevarsi dalla molteplicità sino all’Uno, a Dio. Solo l’estasi consente all’uomo di intuire Dio, ma non possiamo volerla o cercarla, essa si manifesta improvvisamente per volere di Dio. AGOSTINO Egli nacque a Tagaste nel 354 in Africa, da padre pagano e madre cristiana, la quale ebbe su di lui una forte influenza. Dopo le scuole si trasferì a Cartagine per gli studi di retorica, con modello Cicerone, e iniziò poi ad insegnare, spostandosi prima a Roma e poi a Milano, dove si convertì al cristianesimo, ritirandosi poi in una villa. Dopo aver ricevuto il battesimo ritornò in Africa e, per strada, morì la madre, il che fu un durissimo colpo. Tornato a casa vende i suoi beni e fonda una comunità religiosa, dacché divenne prima sacerdote e poi consacrato vescovo alla morte di Valerio, incidendo sulla storia della chiesa. -Come abbiamo già detto, una forte incidenza sulla sua vita la ebbe la madre cristiana, mentre la figura del padre fu quasi evanescente, e dunque si pose come incipit della sua conversione e del suo interesse alla religione cristiana. Un’altra importante influenza gli venne dall’Ortensio di Cicerone, che lo convertì alla filosofia come arte del vivere che dona felicità: tuttavia, egli non vi trovò il nome di Cristo, e quindi non vi fece tanto affidamento. Dopodiché Agostino si rifugiò nella Bibbia, con la quale però non concordava dal punto di vista dello stile e del modo di parlare di Dio, e abbracciò quindi il Manicheismo (religione eretica fondata sul pensiero di Mani, che implicava razionalismo-materialismo-dualismo nella visione del bene e del male. Mani elimina la necessità di fede e fa largo a fantasia e immaginazione-> da qui vennero i dubbi di Agostino che poi, grazie al manicheo Fausto, abbandonò la dottrina. Cercò di abbracciare lo scetticismo ma, non trovandovi il nome di Cristo, non vi aderì a pieno. Egli ebbe come fonti: il vescovo Ambrogio (gli fece affrontare correttamente l’intellegibile)-il Neoplatonismo (gli rivelò l’immateriale)-le letture di San Paolo (gli garantirono il senso di fede)- Plotino e Porfirio. La verità che secondo la dottrina cristiana era sacra però, quella nascosta ai sapienti per rivelarla agli umili, egli non poté trovarla in nessun filosofo: essa era una verità che richiedeva una sorta di interiore rivoluzione-> la via era Cristo Crocifisso (lo legge da San Paolo, cita nelle Confessioni). Nell’ultima fase della sua vita egli si batté contro gli eretici, i manichei e i donatisti (denunciavano il peccato di chi durante le persecuzioni aveva ceduto), il Pelagianesimo (ignorava la grazia nella via della salvezza). Autobiografia e corrispondenza: Le Confessioni, Le Ritrattazioni (rivede alcune tesi). Opere filosofiche: Contro gli Accademici, La vita beata, L’ordine, I Soliloqui, L’immortalità dell’anima, Il Maestro, La musica. Scritti apologetici/teologici/esegetici: La città di Dio, La trinità, La dottrina cristiana. Inoltre, vi sono alcuni scritti che documentano le sue battaglie contro eretici, manichei, Pelagio ecc. -Agostino fu il primo a sintetizzare fede-filosofia-vita, ritenendo che la filosofia fosse NECESSARIA alla ragione e viceversa. Con la sua conversione (presupposto del suo pensiero), tutto l’universo e il mondo gli apparvero in una nuova luce, ma soprattutto la fede divenne l’orizzonte stesso della vita-> filosofare nella fede, ovvero la FILOSOFIA CRISTIANA. La conversione ‘è un avvenimento unico, che dà una nuova fondazione alla vita’. Con essa, anche il modo di vedere la filosofia cambia-la dialettica, che prima sapeva il sapere, adesso è valutata negativamente: ‘vi è una luce interiore che è l’unica via per conoscere Dio’. La filosofia non è più mera dialettica. Questa non è però una forma di fideismo, in quanto la fede NON elimina l’intelligenza, ma è anzi necessaria affinché essa sussista (e viceversa), CREDO PER CAPIRE e CAPISCO PER CREDERE. In Agostino quindi l’intelligenza è la ricompensa della fede-> come si legge nella Vera religione, oppure nella Trinità: ‘la fede cerca, l’intelligenza trova’), oppure nell’opera Contro gli accademici: ‘noi siamo stimolati dal duplice peso dell’autorità e della ragione’. Platone aveva già capito che si aveva bisogno di una divina rivelazione per la pienezza dell’intelligenza: è questa la TERZA NAVIGAZIONE per Agostino, ovvero la via del Cristo Crocifisso. -Per Agostino il vero problema non è quello del cosmo, MA dell’uomo come singolo (problema dell’io), che è un ‘profondo mistero’. Il filosofo diventa, in quanto persona, protagonista della sua filosofia, e se Plotino parla dell’anima e dell’interiorità in astratto, Agostino si mette a nudo scoprendo il suo io in relazione alla volontà di Dio. Pur avendo superato la concezione greca, Agostino riprende qualche punto Platonico come il fatto che il corpo sia solo il mezzo dell’anima. NOVITÀ!! -> Per Agostino il corpo non è elemento di vergogna e soprattutto l’uomo interiore è immagine di Dio e Trinità, in quanto risiedono in lui una serie di triadi che la rispecchiano. Nella Città di Dio afferma: ‘Tra le opere di Dio siamo quella che si avvicina di più alla sua natura poiché, come Dio, sono certo di essere-di conoscermi-di amarmi’. Solo scavando nell’anima si conosce Dio: di fatti, il nostro pensiero è il suo ricordo, la nostra conoscenza è la sua intelligenza e il nostro amore è il suo. Importante è anche il concetto di verità , che ‘sta all’interno dell’anima umana, è una meta a cui ci si ferma dopo il ragionamento’ come si dice nella Vera religione. Egli ci garantisce che chi dubita allora esiste ed è certo di pensare (anticipa cogito ergo sum), ed interpreta un nuovo processo conoscitivo:  la sensazione non è una condizione che l’anima subisce MA solo il corpo è passivo: l’anima puramente attiva. Essa è solo il primo gradino della conoscenza, però, in quanto l’anima giudica le cose del mondo attraverso la ragione e secondo alcuni criteri immutabili e perfetti: sono i CONCETTI MATEMATICO-GEOMETRICI che applichiamo agli oggetti. Questo cosiddetto principio unitario, così come Agostino afferma nella Vera religione ‘non si cerca nei corpi ed è afferrabile solo dalla mente’. Da dove derivano questi all’anima? Non li produce essa stessa in quanto, nonostante superiore, mutevole: si generano dalla Verità, superiore all’intelletto.  Questa verità è costruita dalle Idee platoniche, che per Agostino sono forme stabili e immutabili delle cose, pensieri di Dio. In funzione di tale discorso, Agostino respinge la dottrina della reminiscenza e la trasforma nella dottrina dell’illuminazione, secondo cui ‘i concetti che riteniamo veri possono essere intesi solo grazie l’illuminazione di un proprio sole’ (Trinità). La DOTTRINA DELL’ILLUMINAZIONE si fonda sulla platonica ma ha nuovi fondamenti (creazionismo, Sacre Scritture): Dio come Essere ci crea, e in quanto Verità ci illumina, facendoci conoscere amore e pace. Alla conoscenza delle Idee (pensieri di Dio) contribuisce solo la mens, ovvero la parte più elevata dell’anima, santa e pura, che ha l’OCCHIO per vedere le Idee (occhio dell’anima). Se la Verità viene intesa come suprema, allora coincide con Dio, e quindi dimostrando l’esistenza di essa, si dimostra anche la sua. Ci sono però altre prove dell’esistenza di Dio, ovvero: 1. Prestando attenzione ai caratteri del mondo, si risale al suo artefice-> nella Città di Dio dice ‘il mondo con il suo ordine e bellezza, proclama di essere stato creato da Dio’ 2. Il Consensus Gentium, ovvero che tutta la gente confessa che Dio è creatore del mondo 3. Ci sono diversi gradi di bene, attraverso i quali si arriva al Bene Supremo, che è Dio-> dice nella Trinità ‘vi sono il bene della Terra, dell’aria, dell’uomo, dell’amico… e che altro aggiungere? Vi è Dio, che non riceve bontà ma è il bene di ogni altro, e che noi dobbiamo amare come tale’ -Secondo Agostino, inoltre, la vera felicità è solo in un’altra vita e noi, sul mondo, non ne abbiamo che una pallida immagine. Contemplando Dio amo una luce, un profumo, una voce e quindi, amo l’amplesso dell’uomo interiore che è in me. Gli attributi essenziali di Dio (che è somma essenza, sommo essere immutabile, come afferma nella Città di Dio) sono quindi ESSERE-VERITÀ-BENE- AMORE. Malgrado ciò, Dio lo si conosce meglio non conoscendolo, in quanto è più facile sapere ciò che non è (perché è troppe cose). Dio è tutto il positivo che si riscontra, senza limiti, ma essenzialmente è TRINITÀ (come i greci dicevano: un’essenza e tre sostanze). Quindi si devono considerare Padre-Figlio-Spirito Santo come inseparabili, protagonisti di un’assoluta uguaglianza, in quanto la loro natura del Bene è sempre la stessa. Queste tre entità sono distinte in base al principio di relazione come si legge nella Trinità: ‘Il Padre si dice in relazione al figlio e viceversa, una relazione NON accidentale, in quanto il Figlio è nato da sempre e non ha mai cominciato ad essere tale. Dunque Padre e Figlio sono eterni.’. Importante è l’immagine trinitaria che si riflette anche nella mente umana in quanto essa È mente, CONOSCE sé e AMA sé. La conoscenza dell’uomo e di Dio uno e trino si illuminano a vicenda. -Un problema che restava aperto era quello della derivazione dell’uno del molteplice. Se Platone aveva introdotto il Demiurgo, la cui attività era limitata dal modello del mondo delle Idee a cui si doveva attenere e dalla materia informe, Plotino era arrivato quasi ad un acosmismo, vale a dire a negare la realtà del cosmo. !Agostino! invece ammetteva la soluzione creazionistica, secondo la quale la creazione del mondo è avvenuta ex nihilo (dal nulla totale). Di fatti, una realtà può derivare da una in 3 modi: 1. Per generazione, ossia come il figlio deriva dal padre 2. Per fabbricazione, quando c’è un modello e delle regole da seguire (Demiurgo) 3. Per creazione dal nulla assoluto-> Dio genera il figlio e crea il mondo, altrimenti tutte le cose cesserebbero di esistere (lo conferma nella Città di Dio) Dio dunque ha creato dal nulla il mondo e ciò che ne conseguiva: tempo e movimento, in quanto prima di Lui non vi era un lasso temporale ma c’era l’eterno, uno scorrimento atemporale. Dio ha creato il mondo secondo ragione, secondo le sue Idee-modello delle cose, ma lo fece immettendo nel creato dei “semi misteriosi” (teoria delle ragioni seminali) che poi nel corso del tempo, perfezionandosi, hanno dato vita all’evoluzione. L’uomo è quindi animale razionale al vertice delle “cose sensibili”, ma soprattutto che possiede un’anima immortale, in quanto se essa morisse lo farebbe anche la verità. Ma da dove deriva quest’anima? Secondo Agostino e il traducianesimo essa viene “tramandata” al figlio durante il suo concepimento, assieme al peccato originale! Come ho già detto, è stato Dio a generare il tempo.. ma che cos’è? Agostino ritiene che il tempo non esista oggettivamente. Esso si divide in tre parti: passato, presente e futuro. Il passato (memoria) non esiste in quanto non è più; il futuro (attesa) non esiste in quanto non è ancora; e il presente (intuizione) attimo dopo attimo diventa passato, e se così non fosse sarebbe eternità e non presente.-> tempo = estensione dell’anima. -IL PROBLEMA DEL MALE! : se tutto proviene da Dio, che è Bene, allora da dove proviene il male? Agostino, rifacendosi a Plotino, sostenne che il male fosse deficienza (mancanza) di essere, e che questo problema si potesse prospettare su tre livelli: 1. Metafisico-ontologico, in quanto nel cosmo non esiste il male, ma solo gradi inferiori dell’essere rispetto a Dio, e ogni cosa ha un suo senso d’essere se misurata obbiettivamente, ed è quindi un POSITIVO. 2. Morale, in quanto il male morale è IL peccato, che dipende dalla cattiva volontà. A sua volta, questa dipende da una causa deficiente, in quanto erroneamente essa può tendere ai beni finiti piuttosto che a Dio (volgendogli le spalle), e se ne fa dunque cattivo uso. La ragione può conoscere il bene e la volontà può respingerlo, in quanto la prima conosce e la seconda sceglie. 3. Fisico, ovvero la conseguenza del peccato originale (prima deviazione della volontà) morale, ma serve per la salvezza. Dopo il peccato originale la volontà si è indebolita, quindi l’uomo non potrà mai essere autarchico ma avrà bisogno dell’aiuto divino. Per fare il bene necessitiamo della grazia, che rende la volontà buona, e del libero arbitrio, ovvero poter usare la libertà. Il male è la superbia (amore di sé, cupidigia) mentre il bene l’amore per Dio (carità). Chi vive per Dio costituisce la cosiddetta Città Celeste (angeli fedeli a Dio, sorta con Abele), mentre chi per sé la Città Terrena (angeli ribellati, sorta con Caino). -> si vive in attesa del giudizio universale e si contano 3 momenti principali: peccato originale-attesa venuta del Salvatore- ecclesiastiche intervenissero molto spesso. Essa fu esponente del dinamismo innovativo sociale, sede di un’ampissima traduzione di testi aristotelici e platonici, in quanto si riteneva che questo sguardo al classicismo permettesse di comprendere meglio la NUOVA DOTTRINA CRISTIANA. Nacque con l’università un “ceto di maestri” laici e sacerdoti, che dovevano insegnare la “dottrina rivelata”: nasceva anche un terzo potere, vale a dire quello della classe degli intellettuali. Inoltre, un’altra novità fu che l’università accoglieva docenti e studenti di ogni ceto: la nobiltà è rappresentata dalla cultura acquisita e non dal ceto sociale. Binomio ragione e fede-> La cultura medievale rivela un’impronta fortemente cristiana. La ragione (ovvero la filosofia) è funzionale alla fede (cioè alla teologia): non basta credere, ma occorre anche capire. Per intendere meglio il dialogo tra queste due realtà bisognava comprendere che l’università medievale era distinta in:  FACOLTÀ DELLE ARTI LIBERALI: trivio e quadrivio, con una durata di sei anni. Essa era propedeutica alla successiva e non aveva un interesse teologico, ma solo ed esclusivamente scientifico-filosofico.  FACOLTÀ DI TEOLOGIA: aveva durata di otto anni e come scopo lo studio della Bibbia e le SS. Vi erano due metodi di insegnamento: lezione e seminario, il quale consisteva nella discussione su un tema proposto sottoforma di domanda (disputatio-questio). Ne abbiamo 4 fasi: Epoca prescolastica (8’-9’ sec); Alta Scolastica (10’-12’ sec); Bassa Scolastica (13’ sec); Tarda Scolastica (14’ sec) IL MOVIMENTO FRANCESCANO In quest’epoca, caratterizzata da enormi trasformazioni sociali e da un acceso fervore economico si assiste a una decisiva cadenza dei costumi e un interesse religioso sempre più marcato dall’altra sponda. Il clero sconfinava sempre di più nell’ABUSO delle ricchezze che ormai aveva accumulato sempre di più. In questo periodo, molti movimenti popolari iniziarono a sorgere con l’intenzione di proporre nuovamente l’ideale evangelico della verità. Maggiore esponente di questa nuova tendenza fu Francesco D’Assisi, che colse le istanze più valide dei movimenti popolari pur rimanendo fedele alla Chiesa di Roma. Soprattutto, egli diede origine al cosiddetto movimento francescano-> nasce con intenti missionari e caritativi, ma cerca culturalmente anche di difendere la dottrina cristiana dalle forze contrastanti, soprattutto dall’aristotelismo di Averroè. BONAVENTURA DA BAGNOREGIO Denominato Doctor Seraphicus, studiò e insegnò alla Sorbona di Parigi e fu amico di san Tommaso d'Aquino. Venne proclamato Dottore della Chiesa da papa Sisto V. È considerato uno tra i più importanti biografi di san Francesco d'Assisi. Dal 1257 al 1274 fu ministro generale dell'Ordine francescano, del quale è ritenuto quasi un secondo fondatore. -Egli si ispira alla tradizione platonico-agostiniana, di cui riprende soprattutto: la teoria delle Idee – concetto di dipendenza del mondo da Dio. Questi temi vengono fusi in un pensiero che ha un’impostazione mistica, in cui la fede è superiore, mentre la ragione è il suo strumento. Un polverone viene alzato contro l’Aristotelismo in generale (sosteneva l’autonomia del mondo) e l’Averroismo (contro alcuni temi che si rivolgevano negativamente e ostacolavano i dogmi cristiani). -Secondo Bonaventura, fermarsi al sapere e all’approccio filosofico sarà sempre fonte di errori e fraintendimenti. Di fatti, egli è contro non la filosofia in generale ma quella non cristiana, quella che si considera autosufficiente incapace di cogliere nel mondo il signum, vale a dire l’orma di Dio-> l’esercizio della ragione è salutare SOLO se ci permette di scoprire nel mondo e in noi quei germi divini, che la teologia fa maturare del tutto. Propone una filosofia che alimenti il senso religioso: sembrava farlo la filosofia agostiniana e quella platonica. -Bonaventura costruisce un architettura delle tappe che fanno avvicinare l’uomo a Dio, ma più che un’articolazione di un sapere, si tratta di un vademecum dell’anima che dà delle indicazioni a chi mira a raggiungere l’intimità con il proprio Dio-> PERCORSO MISTICO. Agostinianamente, conosciamo grazie all’illuminazione si Dio, in quanto in ogni cosa c’è un po’ di Dio, e dunque l’intera realtà costituisce una scala per arrivare all’Altissimo. L’esito tuttavia non è la dimostrazione di Dio, ma l’incontro tra creato-creatore. -Quando l’aristotelismo arriva a negare la dottrina delle Idee (che sono pensieri di Dio) allora si allontana dalla verità: di fatti, negare quest’ultime significa ridurre Dio a causa finale del mondo-> fatalismo che non lascerebbe posto alla libertà e alle responsabilità umane. Tutte le dottrine aristoteliche e averroistiche sono in netto contrasto con la dottrina cristiana, mentre la DOTTRINA DELLE IDEE viene rivisitata da Bonaventura e tradotta in quella dell’:  Esemplarismo : secondo questa, in Dio ci sono le Idee (modelli e similitudini delle cose). Secondo questa, Dio è simile ad un artista, che crea ciò che pensa e partecipa al creato (parte di sé). Il mondo riflette la Trinità (che richiama la tendenza agostiniana) che lo crea in tre proporzioni differenti, vale a dire: 1. come vestigia (mondo esterno) – tappa dell’animalità 2. come immagine (realtà spirituali) – tappa della sensibilità 3. come somiglianza (realtà trascendenti/deiformi) – tappa dello spirito (che si volge a sé stesso) e della mente (si volge alle sue trascendenze) Sono questi i segni analoghi di Dio sparsi in tutto il mondo, e sono seguiti dall’uomo in quanto “itinerario della mente verso Dio” Itinerarium mentis in Deum -> una speculazione che diventa un viaggio mistico verso Dio, e non bisogna assolutamente perdere il senso della sacralità nel mondo. -Anche la parte materiale del mondo non è totalmente informe, in quanto Dio l’aveva fornita al momento della creazione ci aveva sparso delle RAGIONI SEMINALI : sono i germi di ciò che sorgerà poi nel mondo, che le cause dovranno solo far sviluppare. Corrispondono dunque ad un inizio di forma. Il mondo ha dunque natura sacrale, in quanto l’intuizione di questi oggetti esemplati comporta anche quella dei modelli divini. È solo grazie alla luce divina che si colgono gli universali (idea di perfetto, necessario…) che non si trovano in natura. L’essere, secondo Bonaventura, è irradiazione dell’essere assoluto in cui si trovano le Idee in generale, delle quali non riusciamo ad avere una conoscenza adeguata. Egli sostiene che le “cose” siano espressioni inadeguate di Dio. Quelle di Tommaso e di Bonaventura sono due filosofie complementari, in quanto la Fede in Dio è unica, ma molteplici sono i tentativi di situarsi nel problema della fede. -Il ruolo della filosofia sta nella capacità di rimandare a ciò che è ulteriore, in quanto Lei non si riconosce assolutamente ultima. Inoltre, Bonaventura ha molto chiaro il problema della morale: il nostro agire è orientato a un fine che è però del tutto libero, e la nostra volontà non è necessaria: 1. Quando è orientata al bene, non è appetito, ma un vero organo decisionale 2. È totalmente libera quando sceglie sia un bene finito, che quello infinito 3. Il fondamento della dignità umana sta nella capacità di prendere possesso delle sue decisioni, ciò che Dio fa in altra natura DUNS SCOTO Egli nacque verso il 1270 o 1274. Sul luogo della sua nascita nulla si sa di sicuro: si presuppone Scozia, e secondo il Callebaut, il nome di Duns denoterebbe il luogo di nascita. Egli entrò prestissimo nell'ordine di S. Francesco e frequentò l'università di Oxford, dove poi insegnò. Più tardi si recò a Parigi per conseguire il dottorato e lesse le famose Sentenze. Si elevò poi a maestro dell'università di Parigi, dove insegnò fino al 1306. Andò poi a Colonia e quivi morì e fu sepolto. -I problemi fino ad allora erano derivati proprio dal fatto che teologia e filosofia non fossero mai stati delimitati. Scoto propone la distinzione tra i due ambiti, in “lotta tra loro”: 1. Filosofia: si occupa dell’ente in quanto tale e ciò che ad esso si riduce - si arresta a ciò che è naturale - si occupa dell’universale - è speculativa 2. Teologia: tratta degli oggetti di fede - va incontro al sovrannaturale - si occupa della verità di Dio e del nostro destino - è pratica, poiché ci fa affacciare a delle verità per agire correttamente -Dunque, per evitare confusione tra le due, egli propone di scomporre i concetti complessi in concetti semplici: ciò che esiste è complesso, e i filosofi devono dissipare questa difficoltà. Così, Scoto elabora la DOTTRINA DELLA DISTINZIONE, ovvero la via che porta al semplice. Si distingue tra reale-formale-modale-> queste distinzioni hanno fondamento nella realtà. Quella di ragione invece si consolida come un bisogno logico, attuato per comprendere chiaramente il contenuto di qualcosa. Univoco è un concetto talmente tanto semplice da essere irriducibile, al quale si riconducono tutti quelli complessi. Tra tutti i concetti detti univoci, quello dell’ENTE è il più semplice-> ma cos’è quest’ente univoco fondamento della sua metafisica? È un concetto universale in quanto può essere attribuito a ogni concetto che è univoco: di fatti, esso si predica sia di Dio che dell’uomo, in quanto entrambi sono. La differenza tra i due è che il primo È al modo infinito, il secondo finito. La nozione di ente esprime l’essenza dell’essere e non la totalità degli esseri. -> essa prescinde dai modi (finito-infinito) e quindi è detta DEMINUTA. -Scoto circoscrive quindi i tratti dell’intelletto umano, e spiega che l’intelletto conosce tutto ciò che è, quindi l’uomo con il suo pensiero può abbracciare l’universo. Tuttavia, coesiste anche la povertà del nostro intelletto, in quanto costretto a seguire una forma di astrazione. Non è necessaria la dimostrazione dell’ente finito, ma di quello infinito sì, in quanto non è evidente: esiste davvero, tra i tanti finiti, un ente infinito? Bisogna che la sua dimostrazione sia perfetta, basata su premesse certe e necessarie: le dimostrazioni empiriche sono solo certe (quindi insufficienti). Di conseguenza, Scoto muove dalla possibilità delle cose: le cose sono perché possono essere. Se il mondo esiste, ad esempio, è certo e necessario che esista, e anche se dovesse scomparire, in quanto è stato prima. Quindi, qual è il fondamento di questa necessità? Tale ente esiste in atto, poiché se non esistesse non sarebbe nemmeno possibile (nessuno potrebbe produrlo) e ha come connotato specifico l’infinità. Questo concetto di ente infinito è tuttavia insufficiente, in quanto non ci introduce nella ricchezza di Dio, poiché questa non è una realtà che l’uomo può comprendere di natura. -I filosofi sostengono infatti che la filosofia sia del tutto autosufficiente, e che la teologia e la Rivelazione del principio primo siano inutili. Il contrario sostiene la teologia: dibattito permanente. Se davvero autosufficienti, i filosofi avrebbero dovuto indicare il fine della nostra esistenza, mentre si limitano alla contemplazione. In merito poi ai mezzi che consentono il raggiungimento del fine ultimo, egli sottolinea che non vi sono condizioni necessarie di salvezza se non per un decreto divino, e che tutto si fonda sulla accettazione di Dio. -Scoto afferma il singolare come partecipazione dell’universale è concedere troppo alla concezione pagana. Dio conosce tutti e singolarmente, e ci affida un posto preciso nell’economia della salvezza personale. La realtà ultima spiega l’individualità, cioè la sua perfezione, grazie alla quale una realtà haec est, è questa e non altra. Da qui il termine haecceitas, che indica quella perfezione per cui ogni ente è quello che è e si distingue da ogni altro. La persona può comunicare, condizionare ed essere condizionata, ma non perdere la sua inseità. Dunque, l’individuo è un tutto nel tutto, in cui particolare e universale coincidono. -Il bene è ciò che Dio vuole e impone: infatti Scoto mira a salvaguardare la trascendenza di Dio. Scoto sostiene il primato della volontà sull’intelletto, sia nell’uomo che in Dio: DOTTRINA DEL VOLONTARISMO. Di fatti, per lui volontà umana e divina sono libere allo stesso modo, al punto che non è la volontà a seguire ciò che l’intelletto riconosce come razionale. Il peccato originale dipende da un atto volontario, così come il male: non è ASSOLUTAMENTE un errore. Dio non è assoggettato
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