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storia della fotografia, Appunti di Storia dell'arte contemporanea

storia della fotografia 2023 Schiaffini

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 26/06/2024

beatrice-serratore
beatrice-serratore 🇮🇹

8 documenti

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Scarica storia della fotografia e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! 1.IN ZONA FUTURISMO 1.1 Parassitismo antifotografico il disinteresse e il rifiuto che i futuristi manifestano nei confronti della fotografia come possibile nuovo territorio dell’arte, la conferma di quest’atteggiamento negativo (prima della verifica operata sulle dichiarazioni di poetica) giunge dalla lunga lista dei manifesti pubblicati dal movimento si aggiunge quello della Fotografia Futurista (1930) firmato da Tato e Marinetti la sorpresa per il rifiuto che la prima generazione di artisti futuristi dimostra nei confronti della fotografia va ricondotta all’interesse che il movimento rivolge alle tecnologia e agli effetti da questa prodotti nel sociale, rende incompressibile l’opposizione e le critiche rivolte a un mezzo che con la sua doppia presenza poteva dimostrarsi congeniale allo svolgimento e alla concretizzazione di certe teorie l’esaltazione della tecnologia operata dal Futurismo riguarda l’analisi e la descrizione di un complessivo assetto culturale che non l’effettiva trasformazione dei modi dell’arte, quando poi la tecnologia entra più direttamente nelle loro opere lo fa a livello di tema, di soggetto affrontato, o al limite nelle trasposizione simbolica di linguaggio è possibile affermare che i pittori del Futurismo di fatto non attaccano mai l’oggetto quadro e la logica linguistica da questo rappresentata, Boccioni riguardo a un’venutale messa in crisi su stimolazione tecnologica del quadro come strumento privilegiato delle arti visive non era d’accordo (come i suoi compagini) = ecco un motivo capace di spiegare come mai i futuristi della prima generazione sono disinteressati e avversi alla fotografia le censure/critiche riguardano i protagonisti delle arti visive i quali, sulla sfida lanciata dalla new frontiere, paiono arretrati e conservatori, non per questo i pitturi futuristi rimangono del tutto insensibili ai riflessi che la cultura tecnologica poteva stimolare nel loro lavoro i rapp tra Futurismo e fotografia sono indagati da Giovanni Lista che dice che nei quadri sono presenti parecchie novità scientifiche riferibili agli sviluppi delle tecnologie fotografiche, resta che questi esiti non hanno mai trasformato la sicurezza di un’identità artistica fondata sul quadro, perciò la fotografia entra negli interessi dei pittori futuristi ma solo secondo la vecchia logica di aiuto e sostegno tecnico della visione è nel 1913 quando si tratta di prendere una posizione riguardo la fotografia e sarà di opposizione e attacco, vanno contro le tesi dei fratelli Bragaglia sul Fotodinamismo futurista i fratelli avevano avviato le sperimentazioni (poi chiamate Fotodinamismo) già dal 1910 proponendo alcune mostre delle opere e conferenza esplicativa della ricerca l’attacco dei pittori futuristi, che si risolve in una vera e propria scomunica, scatta solo al momento della pubblicazione ufficiale del testo, esplicita sarà la contrapposizione di Boccioni che non riprende la critica che fino a quel momento le era stata volta riguardo la componente meccanica (Baudelaire) ma piuttosto voleva dimostrare l’inferiorità della fotografia rispetto alla pittura e alla sua impossibilità di essere considerata arte, la critica di Boccioni è legata alla visione del mondo fissa, unica e centrale (ottuso attacco che lega antiatisticità e fotografia) si è difronte all’incapacità dei pittori futuristi di concepire una identità dell’oggetto–arte rinnovata rispetto al passato interessante è la maggiore benevolenza che i futuristi rivolgono al cinema (pure da sempre considerato parente stretto della fotografia), il Manifesto della Cinematografia è pubblicato nel 1916 anticipa di circa 15 anni quello della fotografia, non tralascia le critiche al mezzo però lascia aperte le porte di un possibile/auspicato riscatto (cosa negata alla fotografia), riscatto possibile solo se interrotti i rapp con la fotografia è possibile trovare una anticipazione delle anticipazioni delle posizioni sostenute da un esponete del Formalismo russo con Tynjamov, tanto per il Futurismo quanto per il Formalismo sono la mancanza di movimento e l’impossibilità di manipolazione del dato regale a penalizzare la fotografia rispetto al cinema = la fotografia essendo priva di movimento non poteva essere considerata un linguaggio e di conseguenza neppure aspirare al riconoscimento artistico, diversamente dal cinema che basato sullo scorrimento dei fotogrammi e sviluppato sul montaggio il suo linguaggio si può trasformare in arte in più il cinema non verrà mai visto come un concorrente diretto della pittura (piuttosto del teatro o libro) ciò spiega una maggiore benevolenza verso di esso mentre in alcuni settori i futuristi si dimostrano pronti a rivoluzionare tecniche e materiali per la pittura non paiono disponibili a compiere la stessa rivoluzione, pensando solo a modifiche interne che di fatto non giungono mai a porre in discussione l’oggetto-quadro e la logica della pittura le opposizioni dei futuristi alla fotografia trova una reale spiegazione in una mancata e autentica revisione dell’intero settore arti visive dove continuava a porre il quadro come unico e immutabile strumento espressivo e l’idea che la fotografia potesse rappresentare un ribaltamento totale di questa prospettiva non venne mai reso in considerazione, per i futuristi rimaneva un diretta concorrente del quadro e l’obiettivo è una sorta di pennello maldestro in questi stessi anni anche i fotografi sostenendo il movimento del Pittorialismo andavano a sviluppare un’analoga riflessione nell’avvicinato al quadro (unica strada percorribile per fasi accettare come artisti) un'altra possibile spiegazione del rifiuto lo si può trovare nel fatto che un movimento come il Futurismo legato al futuro come unica realtà non poteva legarsi alla fotografia mezzo che esprimeva invece l’idea del è stato 1.2 L’esperienza del Fotodinamismo e/o il Fotodinamismo come esperienza x il Fotodinamismo (fenomeno particolare e anomalo) nel 1910 i fratelli Arturo e Carlo Ludovico Bragaglia danno avvio alla sperimentazione che in poco porta a produrre un grande numero di immagini con soggetti ricavati da comuni gestualità quotidiane secondo una tecnica mai chiarita con sicurezza e comune tale da suggerire l’impressione del movimento e della dinamicità, bisogna essere generici rispetto al senso originario di queste ricerche (no documenti che chiariscono l’intenzione che sia legata al movimento futurista, si pensa che i fratelli Bragaglia intendessero rivolgersi più alla scienza che all’arte) la prospettiva muta quando Anton Giulio tenta di aggregare la produzione dei fratelli al nascente movimento futurista presentandola pubblicamente tra il 1911-1913 con il volume Fotodinamismo futurista, questo inteso come identità estetica va attribuito a Anton Giulio perché è lui che ri-semantizza un oggetto che probabilmente era nato con altre intenzioni, lo scontro con Boccioni e i pittori del Futurismo si sviluppa attorno alle tesi di Anton Giulio (coinvolgendo indirettamente le fotografie di Arturo e Carlo Ludovico) in avvertenza posta all’apertura di Fotodinamismo futurista è posta un imp dichiarazione che non erano fotografi, è un primo passo per tentare la scalata all’arte, dice anche che questa sua sperimentazione parte da un’umile dichiarazione di debito nei confronti della pittura (Manifesto Tecnico dei Pittori Futuristi), procede alternando critiche alla fotografia tradizionale (accusa della brutale realisticità) e riferimenti alla poetica futurista + critica all’Impressionismo cosa che Bragaglia riteneva potesse suonare gradita ai pittori futuristi x Anton Giulio la fotografia tradizionale è criticata perché realistica e speculare, ma poi dall’altro posta sotto accusa perché troppo poco realistica in quanto incapace di cogliere quella determinante componente della realtà rapp dal movimento abbandonando le critiche di Bragaglia alla fotografia tradizionale e consideriamo i debiti e riferimenti da lui espressi nei riguardi del Futurismo: già l’impostazione generale di metodo suona come allineata al movimento di Marinetti/Boccioni, il Fotodinamismo sarebbe nato come puntuale e adeguata riposta a un clima culturale che richiedeva un’arte capace di cogliere le novità psico-comportamentali suggerite dalla rivoluzione tecnologica ‘900esca la riflessione fotodinamica dei Bragaglia propende in maniera ambigua costantemente in bilico tra identità scientifica e identità estetica, due polarità presenti nella poetica complessiva del Futurismo con la differenza che mentre a quel livello risultano amalgamante fra loro, nel Fotodinamismo (x presenza ingombrante della macchina e nonostante gli sforzi di conciliazione dei Bragaglia) finiscono per non risultare mai intregnate i rapp con il Futurismo pittorico culminano con una sorta di scomunica lanciata da Boccioni nei confronti delle tesi dei Bragaglia, i motivi della scomunica sembrano tutti incentrati su questioni teoriche riguardanti la resa linguistica del dinamismo ma in altre occasioni la regione delle critiche pare però un’altra e non riguarda questioni teoriche ma una più generale e decisiva incompatibilità tra fotografia e pittura nelle parole dei pittori futuristi sembra di leggere un elogio delle ricerche illustrate da Bragaglia a patto che queste rimangano confinate entro il territorio della fotografia e non pretendano di espandersi all’arte = la scomunica lanciata da Boccioni e dal gruppo dei pittori futuristi riguarda il più generale desiderio della fotografia di farsi accettare come arte (non sono bastate le parole avverse sulla fotografia di Anton Giulio, dichiarandosi non fotografi costituiva un primo passo necessario per tentare la scalata dell’arte) l’avanguardia futurista pur ideologicamente fondata sull’esaltazione della tecnologia si sia dimostrata tanto mal disposta nei confronti della fotografia Argan dice che la fotografia non si poneva come il tradizionale oggetto artistico completo e definito, come opera autosufficiente, ma come parte integrante di un evento-performance del quale risultava essere non la documentazione a posteriore ma la registrazione in atto, il suo prolungamento virtuale = una tipologia di opera che il Futurismo non era pronto ad accettare che sarà solo del Dadaismo che lo pone sulla scena dell’arte 1.3 Il manifesto della fotografia futurista: normalizzazione di un’avanguardia nel aprile 1930 Tato firma assieme a Marinetti il Manifesto della Fotografia Futurista, si da cornice teorica a tutta una serie di ricerche (che Tato assieme ad altri autori) stavano già conducendo da qualche tempo le indicazioni operative suggerite da Tato nel suo manifesto sono chiare e riprendono il repertorio di soluzioni visive già ampiamente praticate da altre avanguardie o già normalizzate in dimensione didattica (fotografia come materia di studio alla Bauhaus), più interessante l’analisi di questa fotografia del secondo Futurismo circa lo scontro fra una logica dell’arte rapp dal quadro e una possibile alternativa intrepretata dalla fotografia in questa prospettiva il giudizio non può che essere uno: se per quanto riguarda io rapp tra fotografia e primo Futurismo si può dire che siano stati cattivi ma proficui, quelli del secondo Futurismo possono essere giudicati buoni da un punto di vista istituzionale ma inutili per quanto riguarda l’elaborazione di una diversa logica del fare arte = le fotodinamiche dei Bragaglia possono suggerire una fotografia non finalizzata all’opera-cosa ma aperta in qualche modo a suggestivi intrecci con una dimensione concettuale-performativa, la tipologia di immagini elaborata nell’area del secondo Futurismo si pongono come un “ritorno all’ordine” con una fotografia perfettamente riallineata sulla logica del quadro si dirà che produrre certi effetti con il pennello non è la stessa cosa che produrli con una macchina fotografica, vero, ma se il giudizio finale deve riguardare una possibile riconversione dell’idea di artisticità allora non potrà essere una variazione della tecnica produttiva a modificare l’identità dell’opera in questa prospettiva vale poco la dichiarazione di Tato in apertura al suo manifesto, in cui fa l’affermazione “Sembra un usarle con opportune maestria per produrre arte) Duchamp che, digiuno di conoscenze tecniche, ha delegato all’amico Man Ray la realizzazione pratica delle proprie opere = in linea con la logica del tempo che privilegia il piano della concettualità e non ritiene indispensabile per l’artista l’esercizio della manualità (tanti sono gli artisti che hanno usato la fotografia senza scattare direttamente le immagini) esempio della loro collaborazione è Tonsure in cui c’è Duchamp fotografato da Man Ray di spalle con la nuca rasata a forma di cometa (ritenuto uno dei primi tentativi di Body Art), esteticamente parlando sono non un documento ma una testimonianza, la testimonianza è una certificazione dal di dento, ripropone, quel principio di connessione diretta con l’oggetto celebre è la serie di ritratti dedicati a Rrose Selavy, alter ego di femminile dell’artista, valendosi della collaborazione di Man Ray Duchamp si cala nei credibilissimi panni di una misteriosa e affascinerete avventuriera il cui sguardo punta al centro dell’obiettivo, l’interesse di questa operazione non riguarda la ricerca di una particolare originalità stilistica del ritratto ma la possibilità di sostenere l’effettiva esistenza del personaggio Rrose Selavy, di renderla credibile, di pensarla come reale e non immaginaria e il mezzo fotografico per sue capacità di attestare la verità o l’esigenza di qualcuno/qualcosa era il mezzo perfettamente adatto a fare ciò il suo voler accumulare foto/prove sulla sua esistenza è per quanto possibile certificare la sua esistenza chiude il cerchio con il lavoro Wanted $ 2000 Rewars (1923) perfetto rifacimento di una locandina poliziesca da ricercati, sottolinea il fascino del ritratto fotografico-meccanico in stile poliziesco-giudiziario la rilevanza critico-metodologica di questi lavori sta nel fatto che anziché fare leva sugli effetti pittorico-formali che lo strumento fotografico sarebbe in grado di produrre puntano invece su quelle componenti concettuali del mezzo che corrispondono alle intenzioni generali della poetica di Duchamp = l’irrilevanza della fase manuale, l’esaltazione dell’oggettività tecnologica, la credibilità attestativa delle immagini sono caratteristiche concettuali che trovano nei suoi lavori il riscatto verso l’estetico = ci troviamo davanti a qualcosa che acquista esistenza e concretezza grazie all’impegno del mezzo fotografico altra opera imp di Duchamp è Allevamento di polvere del 1920 di cui le foto sono scattate da Man Ray, l’operazione alle caratteristiche del vero e proprio ready-made perché l’artista si appropria dell’immagine scattata da MR e la trasforma in un’altra cosa attribuendole appunto il titolo di allevamento di polvere Francis Picabia avrebbe potuto sviluppare una certa tecnica fotografica visto che il nonno era fotografo di buon livello ed era amico di Nadar e dei fratelli Lumiere, tuttavia andò in parallelo con Duchamp aspirando ad una rappresentazione tecnologica e impersonale, realizza un ciclo di lavori che per quanto pittorici non lasciano mai perdere la rappresentazione tecnologica con moduli secchi, diretti e impersonali della macchina questa suoi lavori sono riportati sulla rivista di Stieglitiz in Camera Work, riconosciamo come questi lavori per quanto pittorici implicitamente richiamano lo spirito del processo fotografico essendo costituito sugli stessi parametri di meccanicità, oggettività e antimanualità altro lavoro è La veuve joyeuse la quale appare come un perfetto anticipo di certe indagini sull’inconscio dei linguaggi sviluppante negli anni ’60-’70 con Kosuth, il lavoro pone a confronto due immagini: la prima è un ritratto fotografico dello stesso Picabia (colto sorridente al volante della sua auto) e la seconda è il disegno di taglio fumettistico riproducente la stessa foto, sotto le due immagini sono presenti rispettivamente le didascalie fotografia e disegno tracciate a mano con caratteri in stampatello, indirizza le proprie attenzioni non verso la formalità dell’immagine ma le sue capacità di nominazione linguistica poste a confronto con quelle dell’immagine manuale, fotografia e disegno di oppongono per logica di funzionamento, partiche differenti e alternative, con il significato complessivo dell’opera Man Ray fu fotografo nel senso pieno del termine (lavorano anche per la pubblicità, per la moda e la ritrattistica), questa produzione da un lato lo favorisce quanto a risultati fotografici ma si trova di fronte allo scontro di identità tra pittura e fotografia (causa di ambiguità e contraddizioni), ambigua anche la sua posizione a cavallo tra Dadaismo e Surrealismo (movimenti che sono come imparentati ma con molte differenze), il grosso della sua produzione però risale cronologicamente in area surrealista ma si formato nel clima dadaista di NY, usa senza preferenze pittura, aerografo, ready-made e fotografia x il senso profondo dell’opera restava legato all’idea e non alla tecnica dei mezzi che l’hanno generata = permette di spaziare fra i veri settori da questi presupposti è possibile comprendere come Man Ray abbia allo stesso tempo presentarsi impeccabile e sapiente utilizzatore dell’obiettivo e come audace sperimentare di novità, capace di rinunciare alla macchina e alla stessa manualità in favore della casualità quando opera con la fotografia c’è come sempre una certa ambiguità e contraddizione nei suoi lavori infetti per essendo stato vicino ad un esempio di antiaristicità come Duchamp le sue opere fanno riflettere ancora una volta sul rapporto tra fotografia e pittura, non riesce a svincolarsi dal sistema pittorico come Duchamp = ne sono esempio le sue rayographs che viene da chiedersi se propendono più verso la pittura o la fotografia, in cui si valorizza l’automatica casualità un anticipazione del programma surrealista la questione dello sperimentalismo però non è un’invenzione del ‘900 perché già nell’800 il fotomontaggio e le tecniche particolari di stampa erano state inventate, in soccorso al fotografo però la sua ambiguità sembra farsi strada in una diversa prospettiva: nella fotografia secondo Man Ray non bisognava pensare solo in termini oggettuali ma come una pratica di relazione l’esigenza di trovare nella partica fotografica un senso di transizione, di accordo, di affinità emotiva che si stabiliva tra fotografo e fotografia, concetto che riprende anche nei suoi ready-made intuibile dal titolo dato alla raccolta loro dedicata: Oggetti d'affezione, titolo che ancora una volta fa emergere una relazione tra soggetto e oggetto nella pratica fotografica 2.3 La strada ambigua del fotomontaggio una originale applicazione di incrocio tra Dadaismo e fotografia è quella che si sviluppa attorno alla pratica del fotomontaggio, nasce come in risposta alle critiche ‘800esche circa la difficoltà e i limiti che impedivano alla fotografia di essere considerata arte, fonda la sua identità sugli stessi principi che aveva inteso contestare svincolatesi dagli obblighi di registrazione speculare imposti dalla macchina e dimostrando di poter ricostruire liberamente la realtà, il fotografo pensava di equiparare il proprio lavoro a quello del pittore, aggiungendo anche il fatto che il fotomontaggio dava l’occasione di esibire quella maestria che si riteneva indispensabile per essere considerati artisti dopo i primi decenni di vita nell’800 il fotomontaggio trova piena e diffusa applicazione attorno al 1920 negli ambienti del Dada berlinese, è una partica che si avvicina alla cosiddetta ala moderata del Dadaismo (i riferimenti culturali del suo sviluppo sono tutti di area europea [futuristi e cubisti]) di cui le rappresentate è Kurt Schwitters, contrapposta a quella radicale impersonata da Duchamp il fotomontaggio è ambiguamente collocato in una posizione intermedia e oscilla tra il rifiuto dei canoni estetici tradizionali e il suadente richiamo esercitato dal collaudato sistema pittorico, si ripropone il solito il interrogativo perciò: pittura tecnologicamente aggiornata o radicale ribaltamento del sistema? la tecnica e i materiali nel fotomontaggio si affidano alle forbici, colla e alle immagini tratte da varie fonti, quindi si potrebbe definire come un simil ready-made, il materiale poi viene rimontata su una superficie bidimensionale in modo bizzarro e stravagante ma con una attenzione a un principio compositivo simbolico rappresentativo e di fatto la logica finale del prodotto ci pare ancora “quadresca” perché non vi sono tecniche in se a garantire sull’identità dell’opera, come dice Heathfield si può dipingere con le fotografie oltre che con il pennello nei gruppi dada berlinesi sono stato Hausmann e Hoch (compagni di vite e in arte) a rivendicare l’invenzione del fotomontaggio (ignari di Rejlander e Robinson), i loro lavori sono volutamente disarticolazioni che rimandano da un lato alla destrutturazione cubista dello spazio e dall’altro alla violenza comunicativa di matrice espressionista Hoch integrava il montaggio fotografico con interventi di pittura o includeva nell’opera diversi materiali come stoffe e carta, la vera fase più complessa della sua carriera è Taglio con coltello da dessert attraverso l’ultima epoca della cultura ecc. del 1919 un titolo lungo per un fotomontaggio di grandi dimensioni, disarticolato, dove metaforizza i disagi e le contraddizioni che caratterizzavano quegli anni la Germania diversi invece erano i fotomontaggi del berlinese Heartfield che tendeva a restituire una certa realisticità d’immagine, ma le sue opere hanno anche avuto una forte connotazione ideologica orientate a dissacrare gli ipocriti valori del militarismo, del nazionalismo e della morale borghese, è stato uno dei più convinti rapp dell’ala politicizzata del Dadismo i suoi fotomontaggio, spesso in collaborazione con Grosz, a differenza di quelli prodotti dalla coppia Hausmann-Hoch, pur non potendo mascherare la finzione che li caratterizzava sono di per se credibili e realistici visto anche l’intento politico, sono sempre corretti nelle proporzioni e negli accostamenti, cresce al componete del fotografico perché il fotomontaggio specialmente quello di propaganda politica deve essere credibile come una fotografia 3. AUSTERITA’ METAFISICA 3.1 Impossibilità di una fotografia metafisica? la fotografia del ‘900 è mezzo di espressione moderno e per questo non sembrava poter entrare all’interno della poetica del movimento Metafisico, un movimento che fondava la sua poetica su un esplicito richiamo ai valori del passato e della tradizione, la fotografia lontana dalla ricerca avviata nel secondo decennio del secolo da De Chirico e compagni, del resto in questo contesto storico la linea della Metafisica risulta essa stessa anomala rispetto alla complessiva situazione delle arti visive (tutti gli altri movimenti caratterizzati da una spinta verso il nuovo, questa invece recupera il passato e la tradizione) da un confronto a prima vista impraticabile sarà invece possibile far scaturire soluzioni di grande interesse reciproco bisogna però eliminare gli ostacoli che impediscono il confronto come l’impossibilità di stabilire una forma di contatto reciproco riguarda due differenti questioni riconducibili da un lato all’identità stessa del mezzo, dall’altra l’effettiva mancanza di una partica fotografica stiticamente vicina ai moduli della pittura metafisica = per sbarazzarsi del primo motivo occorre rivedere criticamente quelle posizioni di metodo che hanno sempre pensato alle identità in modo statico facendo magari discendere la funzione di un mezzo dalla sua stessa struttura tecnica (storiografia che condanna il pittorialismo in favore di una pittura diretta) la Staight photography si diffuse in USA negli stessi anni per merito di Stieglitz, sosteneva che esistesse una specificità linguistica della fotografia opposta al pittorialismo (considerato tradimento della verità) all’ipotesi di una verità unica e assoluta del mezzo è certo più sensato opporre quella di una specificità variabile, relazionata alla differenti situazioni e ai vari climi culturali, così da ipotizzare diverse possibilità di percorso altro ostacolo da superare è la mancanza di una pratica fotografica stilisticamente riconducibile ai modelli di pittura, ma come accadde per il dadaismo, rappresentato in linea di massima due logiche d’arte non assimilabili non è necessario registrare la presenza di una certa componete stilistica per poter parlare, nel primo caso, di fotografia dadaista, e ora di fotografia metafisica = che i quadri di De Chirico e compagni non trovino corrispettivo in fotografia poco importa stabilita l’inconsistenza degli ostacoli, bisogna verificare la presenza di caratteristiche che si dimostrano efficaci nel favorire quel ritorno del passato più volte indicato da De Chirico come snodo decisivo per l’arte metafisica la fotografia può essere considerata la madre di tutta una generazione di strumenti che ha modificato il nostro rapp con la temporalità e dunque con ciò che consideriamo passato per le sue capacità di mantenere il reale tale e quale catturata l’impronta fotografica entra subito a far parte di un grande repertorio ove le cose si accumulano stabilendo legami e connessioni altrimenti imprevisti, convivono immagini tra loro spesso disomogenee destinate ora a intrecciarsi in un’unica grande memoria altro ostacolo del legame tra fotografia e metafisica lo si possa andare a cercare nella concezione di metafisica come una dimensione superiore etimologicamente intesa, che a confronto con la fotografia, legata alla materialità dell’esistente, non si sposerebbe bene De Chirico propone una personale visione dello straniamento, il processo che porta a vedere le cose in maniera differente, egli crede che per accedere alla dimensione metafisica delle cose bisogna andare aldilà del modo con cui vediamo le cose normalmente, distruggendo quell’ordine codificato e anestetizzante x poter riconoscere le cose per quello che sono Proust descrive l’affascinate impassibilità espressa dal fotografo, l’identità fotografica espressa dell’esaltatane predominio della macchina, un altro punto in comune è dettato dallo straniamento che produce la gabbia prospettica, la solidificazione e l’isolamento da essa prodotte divergono due situazione emblematiche della metafisicità, punto che troviamo anche nella fotografia dove il fotografo tramite l’obiettivo estrania una porzione di ambiente 3.2 Tra citazionismo e congelamento due sono state le forme operative della metafisica: la citazione multipla (permetteva di replicare il passato) e la sospensione congelante (attraverso l’immobilizzazione atemporale faceva emergere una sorta di verità profonda altrimenti nascosta sotto la crosta delle apparenze), è in riferimento a queste due forme operative che si tenta di individuare casi fotografici riconducibili alla poetica della Metafisica sebbene non si possa individuare una fotografia metafisica si possono confrontare le poetiche della pittura metafisica con quelle della fotografia, una condizione bollata come negativa con il tramite di pittorialismo ma uno dei periodi più indicati dell’intera storia fotografia orientata verso un’idea di fotografa diretta il pittorialismo fotografico ‘900esco riprende quella pratica tipica della metafisica del citazionismo (per la sua ripresa del passato), è il caso di Wilhelm von Gloeden, il suo periodo d’oro è quello che precede la IWW e coincide gli inizi citazionisti di De Chirico, dà vita a Taormina ad una produzione fotografica improntata sulla ricostruzione fin troppo falsa e manierata della cultura greco-romana assorbita in quei luoghi, usa come modelli giovani contadini e pescatori del luogo che sono fatti postare e abbigliati secondo stereotipi di quell’iconografia, così Von Gloeden si presenta come perfetto equivalente delle scelte citazioniste esibite da De Chirico in quei stessi anni tuttavia per entrambi vale la sensazione di non trovarsi di fronte a una rappresentazione originale quanto a un intenzionale rifacimento: De Chirico esaspera tutte le indicazioni prospettiche come se volesse dimostrare di poter padroneggiare la lezione albertina, ugualmente la classicità di V.G. risulta troppo accademica tanto che appare carica di movimento surrealista essendo poi morto del ’27 ma fu Man Ray ad interessarsi a dei suoi lavori quanto nel ’26 pubblica 4 sue foto nel La Revolution surrealiste contribuendo da quel momento a farlo considerare un anticipatore dell’avanguardia, nel 1931 da Walter Benjamin le pagine della sua piccola storia della fotografia lo consacrano da un punto di vista storico-critico come precursore della fotografia surrealista attorno alla sua figura è nata una discussione dal momento che per il suo modo di fare fotografia alcuni ne hanno sminuito la sua artisticità definendolo un semplice autore documentarista perché faceva fotografie di gradi zero (l’idea della macchina che posta in modo apparentemente innocente e casuale di fronte al moneto è capace di rivelarlo e di epifanizzarlo in maniera automatica), sarà Walker Evans a chiarire il ruolo della fotografia documentaria o di grado zero, il grado zero quindi non è fotografia documentaria, quella scattata per un crimine per esempio, ma è uno stile documentario, un linguaggio artistico, il grado zero è uno stile, una forma di lingueggio che si modella sulle caratteristiche di oggettività del mezzo senza stravolgerle con pretese artistiche quindi quando il grado zero è una scelta consapevole di scrittura, siamo già dentro l’arte si stabilì a Parigi dove tentò invano di ritornare sulla storia della pittura giungendo poi a guadagnarsi da vivere con la fotografia, i temi trattati nelle sue fotografie che erano di solito incentrarti su scorci anonimi, le strade secondarie, le botteghe e negozi di quartiere meno conosciuti, la quasi totale assenza dell’elemento umano ha contribuito a sottolineare nelle sue immagini un carattere di distanza, fotografava i suoi soggetti come un poliziotto fotograferebbe la scena di un delitto, cioè con uno stile documentario i tratti x i quali possiamo classificare Atget secondo i paramenti surrealistici sono: 1. La scelta tematica del secondario: Atget documenta scorci anonimi della Parigi di inizio secolo, strade secondarie, edifici senza pregio, quartieri meno conosciuti 2. Fotografava i suoi soggetti come un poliziotto fotograferebbe la scena di un delitto, ha un’automaticità di sguardo alla poliziesca, un occhio freddo, meccanico, l’elemento umano è assente 3. Valorizzazione della banalità: tutto si epifanizza come nella logica del Ready Made, non c’è una preselezione motivata dal soggetto ciò che conta è il procedimento che fa emergere l’oggetto e non l’oggetto stesso, i soggetti suoi sono tra loro diversissimi e apparentemente non consessi da una logica di aggregazione, i suoi soggetti sono soggetti che nessun turista avrebbe mai fotografato privi di un originario motivo di interesse 4.l’approssimazione tecnica nella ripresa che nella stampa, la macchina legata alla casualità dava risultati affascinati per i surrealisti organica e esplicita è invece la partecipazione al movimento da parte del suo scopritore Man Ray, le immagini realizzate senza macchina fotografica, i famosi rayographs, a stimolare gli entusiasmi dei surrealisti, era il procedimento fortemente automatico ad affascinare i surrealisti e anche il prevalere del nero che pareva imporsi come ribaltamento della naturale condizione dell’immagine (il rayograph tecnicamente parlando era un simil-negativo, dunque è la luce che produce buio) tale tecnica è analoga a quella di un altro surrealista, Max Ernst, pittore che usò una tecnica chiamata frottage (ricavare immagini passando meccanicamente una matita su un foglio posto su una superficie a rilievo) che andava a ridefinire ulteriormente la questione della manualità e della responsabilità dell’autore che veniva trasformato in uno spettatore che assiste alla nascita e allo sviluppo della sua opera, fotografia e frottage richiamavano il principio dell’impronta alleandosi con il ready-made che opponeva alla logica rappresentativa della pittura quella della presentazione diretta del reale un altro protagonista del surrealismo è Brassai (1899-1984), oltre che fotografo è stato anche pittore e poeta, di questo incrocio è perfetta testimone la schedatura di graffiti anonimi lasciati nei muri di Parigi in oltre 30 anni sono la prova come egli abbia mischiato questi 3 linguaggi: un po’ di scrittura automatica all’origine, un po’ di obietta trouve nel procedimento, e un po’ di pittura non figurativa nell’effetto finale, più che atteggiarsi a reporter distaccato cerca di usare la fotografia come una sorta di intensificatore della vita, di fatto incarna la figura del Flaneur baudelairiano (ossia il gentiluomo che vaga oziosamente per le vie cittadine, senza fretta, sperimentando e provando emozioni nell’osservare il paesaggio, lui lo fa nelle ore notturne e di fatto la seconda parte della sua produzione è dedicata alla vita notturna di parigina degli anni ’30: esplora la parte buia della vita dell’uomo fotografando i soggetti in atmosfere accattivanti dive per via della scarsa illuminazione essi paiono emergere solo per un istante nel buio) Walker Evans soggiorna x alcuni mesi a Parigi entrando in contato con il Surrealismo e con Atget che lo influenzò molto, influenti furono anche i rapporti con il gruppo di Camera Work capitanato da Stieglitz da cui deriva il rifiuto per il neo pittorialismo in favore di un principio di registrazione oggettivo e impersonale, era l’autore a dover assumere lo sguardo dell’apparecchio e non l’apparecchio a doversi adeguare all’aurore, della meccanicità ne fece il cavallo di battaglia, si mostra il perfetto surrealista a distanza (geograficamente lontano dal clima parigino ma pienamente in sintonia con esso) imp furono anche i rapporti con Stryker durante la compagna fotografica promossa dalla FSA (farm security administration), Stryker voleva che si enfatizzassero gli aspetti più drammatici della vita delle campagne per promuovere dei finanziamenti dopo la crisi del ’29, Evans sostiene il suo stile documentario simile a Atget: fotografa l’ordinario, l’antieroico in modo distaccato e anonimo altra coincidenza surrealista di Evans nel 1929 è fra i primi a realizzare un autoritratto in photomaton (nelle cabine automatiche, il primo fu Magritte l’anno prima), nel 1936 durante la campagna FSA conferma il suo interesse per le cabine automatiche fotografando la vetrina di un fotografo di Savannah interante occupata da fototessere ultima coincidenza surrealista nel 1938 realizza dei ritratti a sconosciuti fatti di nascosto nella metropolitana di NY, questi lavori riprendono dei caratteri tipicamente surrealisti come la casualità, l’anonimo, l’automatismo produttivo e l’irrilevanza autoriale, a questo aggiunge il voyeurismo per l’idea di guardare senza essere visto (di nascosto), quindi c’è una fotografia surrealista che raccoglie l’eredità dadaista ma c’è neanche una che invece si muove secondo le tendenze già indicate per l’aria metafisica la fotografia di Rene Magritte funzionò da collegamento tra l’eredità dadaista e quella metafisica, nelle sue fotografie si susseguono sketch, scenette, situazioni paradossali, una sorta di anticipazione della performance (Depero) ci sono due tendenze nelle sue opere: da un lato abbiamo dei casi estremi da cui la fotografia sembra pretendere troppo, situazioni estreme, forzate, difficilmente sostenibili per lo spirito di effettiva praticabilità tipico della performance fotografica; dall’altra ci sono delle situazioni alla cinema interrotto, fotografie che sembrano fotogrammi bloccati, la cui assurdità delle scene scatena la nostra immaginazione nel pensare cosa potrebbe accadere oltre quel fermo immagine un esempio è una foto che ritrae lui stesso, la moglie e l’amico che si arrampicano su un cancello che protegge un’abitazione, oppure una scena che sembra non avere senso dove viene sottolineato l’erotismo delle due donne che cercano di attirare l’attenzione di Magritte e del suo amico, ma entrambi sono attratti da qualcos’altro la scena è incompressibile non si capisce chi siano e cosa stiano facendo, questo tipo di fotografia attira le critiche dei formalisti russi, il cinema invece combinando i fotogrammi grazie al movimento e al montaggio riuscirebbe a esprimere senso a differenza della fotografia Magritte trasforma un difetto della fotografia in pregio inaugurando e anticipando il filo della Narrative Art degli anni ’70, egli effettua delle performance nel 1928 con la moglie ed è stato il primo artista in assoluto a cogliere gli dal 1928 le potenzialità estetiche di questo strumento, la cabina da fototessera si dimostra il prototipo perfetto dello strumento surrealista che esaspera l’automaticità oltre che la fantasia performativa tipica dell’arte di Magritte Cecil Beaton è il più autorevole rappresentate del Surrealismo implosivo e citazionista, la sua fotografia è travestimento, messa in scena, recitazione, è teatro, influenzato dal fatto che era stilista, coreografo, scenografo, pittore e fotografo = la sua fotografia cita più discipline artistiche (reca i segni della teatralità, del pittoricismo, della finzione; cita stili artistici passatati come neomedievlismo e barocco e surrealismo di Dalì) usa una macchina di piccolo formato una Kodak fino al 1930 dopo passò ad una camera lastra che conferma il suo legame col surrealismo che prediligeva l’indifferenza nei confronti degli strumenti utilizzati tra il 1940-’50 fa dei reportage fotografici in Oriente, la sua non fu pura documentazione socio-politica ma evasione fantastica nell’esotico nella percezione di un mondo diverso nel 1950 approda a Hollywood dove disegna scene e costumi per le versioni cinematografiche di due musical (Gigi del 1958 e My Fair Lady 1964) il principio del trasformismo identitario per via fotografica fu ripreso da Claude Cahun, i suoi autoritratti avevano come obiettivo la questione di genere e dell’identità sessuale confutando l’obiettivo di appartenenza alle forme di identità imposte dalla cultura dominante, lei stessa dichiarava di sentirsi “felice quando sogno. Quando immagino di essere qualcun altro. Quando recito la mia parte preferita”, per lei la fotografia è controllo, presa di coscienza e fuga attraverso l’immaginario anticipa i due filoni della Body Art degli anni ’60 e ’70 riguardanti la verifica del corpo e la sua trasformazione fantastica, i modi in cui opera sono in linea con Surrealismo perché l’autore è davanti all’obiettivo e per l’indifferenza per l’aspetto formale della fotografa 5. L’ASTRATTISMO IN VERSIONE FOTOGRFICA 5.1 Da Strand a Weston: sviluppi di un neopittorealismo inconscio nell’interpretazione posta dalla critica il pittorialismo storico è stato bollato con una produzione fotografica somigliante alla pittura impressionista, l’errore metodologico sviluppato è evidente: si è attribuita una categoria generale a una particolare interpretazione della pittura, l’impressionismo, perciò si è fatto credere che il pittorialismo è un fenomeno che riguarda solo un limitato periodo storico invece si ripete ogni qual volta che la fotografia insegue la pittura il fronte neo-pittorialista prende corpo e si espande nella storia della fotografia tra gli anni ’10 e anni ’30 sia in America che in Europa e coinvolge presente intrecciate di fotografi puri e artisti fotografi, pensando di poter individuare il proprio modo di essere arte nelle questioni formali, nell’inquadratura, nel punto di vista, nell’equilibri tonale, nella sintassi compositiva, la fotografia scivola senza accorgersene verso un’identità pittorica, si pone nella logica del quadro e questa volta per un’adesione metodologica, si sviluppano due tendenze nella ricerca fotografica che si dividevano i favori di tutto il fronte della pittura astrattista: quella fito-biomorfa di Kandinskij e quella neoplastica-costruttivista di Mondrian e Malevic è attorno alla fig di Alfred Stieglitz (fondatore della Galleria 291 e della rivista Camera Work) che ne secondo decennio del ‘900 prende forma in America una linea neo-pittorialista che cambia il destino della fotografia contemporanea a lui si affiancano le fig si altri protagonisti del movimento Paul Strand e Edward Steichen oggetto di critica è il pittorialismo storico quello fatto di soggetti presi dall’accademismo più bieco e che operava delle manipolazioni tecniche tese a far assomigliare la stampa fotografica ad un acquerello o un disegno tardo-impressionista il loro obiettivo è la straight photography, la fotografia diretta, che vuole indicare per l’autore la necessità di stare dentro la fotografia, di sfruttare senza devianze le autentiche possibilità, di individuare il modo di essere della fotografia, la sua specificità Strand nasconde un capzioso distinguo tra pittura (buona) e pittura (cattiva): l’opposizione non è tanto verso la pittura globalmente intesa ma verso una sua interpretazione parziale, se l’obiettivo è tutelare una specificità della fotografia nei confronti della pittura perché ci sarebbe una pittura da rifiutare con decisione e una pittura da prendere a modello = errore metodologico di Strand: così facendo si entra in una logica di scelte di poetica che non può essere spacciata per ragionamento estetico super partes per Stand lo specifico fotografo va ricercato in questi elementi: “Le forme degli oggetti, le tonalità di colore relative, le strutture e le linee, questi sono gli strumenti, strettamente fotografici della nostra orchestra”, il discorso non regge perché non si parla di un discorso esclusivo e originale della sola fotografia ma richiama a un tipo di pittura che egli ritiene quello giusto o buono, fa leva sulle diverse possibilità di visione che esistono tra l’occhio naturale e quello che lui chiama l’occhio morto della macchina (morto come fermo/bloccato) ma in grado di far risaltare forme e strutture particolari il neopittorealismo di Stieglitz, Steichen e Strand si sviluppa quindi in accordo con la pittura del primo ‘900, egli mirava ad esaltare i caratteri formali dell’immagine quali le forme, le tonalità di colore, le strutture e le linee, capisce quindi che bisogna mirare a individuare i caratteri generali complessiva di tutta la pittura e l’individuo in una particolare modalità stilistica che corrispondeva di tutta la pittura e l’individuo in una particolare modalità stilistica che corrispondeva a determinati indirizzi pittorici di quegli anni, Strand e i suoi compagni pongono le basi di un pittorialismo inconsapevole ma potentissimo, questo visibile dal 1915 nelle sue opere, Ombre del portico e Ruota d’automobile, dove il soggetto è soltanto un pretesto per costruire eleganti composizioni fondate su linee e toni il pittorialismo si trasforma se quello storico era tutela impressionista ora tutela l’astrattismo o ancora di più precisamente il neoplastico-costruttivismo aveva avuto un passato da pittorialista cattivo anche Edward Weston poi redento sulla new via dopo contatti con il gruppo di Stieglitz, vuole individuare la vera natura del mezzo fotografico, cioè di quella specifica di linguaggio che permetta di caratterizzare in modo originale la fotografia rispetto a tutti gli altri mezzi di espressione dice che le possibilità dell’obiettivo fotografico siano quelle di cogliere la struttura delle cose, operazione che se ben condotta porta ad individuare le stiticità della fotografia come Strand è contro il pittoricismo storico e in egual modo fa una contraddizione distinguendo tra una buona e una cattiva e aveva in mente una fotografia tutta giocata sui valori formali la sua produzione si divide così: le astrazioni sul paesaggio o sul corpo umano o sullo still life (i celebri peperoni e conchiglie) tendono al superamento della referenzialità e all’esaltazione delle qualità formali di ogni soggetto questo senza essere fuori dalla Straight photography (fotografia diretta che nel suo caso è sinonimo di analitica, cioè l’idea di una fotografia diretta su se stessa), uso della componete tecnico-meccanica per produrre qualità formali la questione tecnico-meccanica che fino a quel momento aveva rappresentato un ostacolo al riconoscimento artistico della fotografia viene ribaltato da Weston in positivo e lo pone a fondamento della qualità formale che poi l’immagine potrà vantare fu fondatore del Gruppo f/64, (la sigla indica la maggior chiusura di diaframma possibile perché aspira ad una fotografia molto nitida, limpida nel tono, nella qualità formali) al centro della poetica di Ansel Adams, il grande divulgatore del credo neo-pittorialista di ispirazione modernista del secondo dopo guerra, recuperabile nella prima edizione del 1948 di Camera and Lans è il concetto di visualizzazione, ossia la capacità dell’operatore di prefigurarsi il risultato dell’immagine prevedendone anticipamente gli esiti e gli effetti, considera l’atto fotografico un’esperienza di riorganizzazione del caos naturali e per descriverlo analiticamente ricorre alla spartizione di “forma”, distingue tra shapes (forme naturali) e forms (forme culturali), cioè qualcosa che esiste a prescindere dall’azione dell’uomo (natura) e qualcosa che è già logica conseguenze dell’agire umano (cultura), non se ci fossero i significati possibili sono talmente numerosi che è impossibile scegliere il reportage vagabondo di Frank per quanto fondato sulla figuratività dimostra ancora una volta analogie con la pittura informale, se i risultati visivi di fotografia e pittura appaiono del tutto distanti fra loro non si può dire la stessa cosa per l’impianto poetico: fotografo e pittore paiono solidali nell’interpretazione di un sentire che si estende tra differenti pratiche artistiche anche William Klein corregge la poetica bressoniana del momento decisivo ma a differenza di Frank è influenzato dalla cultura pittorica: le sue immagini sono cariche di sfocature, manipolatore tonali, forzature grandangolari, una serie di interventi a rischio di logica parapittorica l’uso del grandangolo da parte di Klein permette un contatto più vicino con il soggetto, un immersione nel mondo, come predicato dalla poetica dell’Informale perfetta espressione dell’idea di immersione emozionale nel groviglio caotico della mondanità è il lavoro di Weegee reporter d’assalto nella NY cruda e violenta degli anni ’40, la sua fotografia è impulsiva e anti formale, intesa e non ragionata, “le sue immagine sono scattate più che progettate in senso compositivo, danno sempre la sensazione che l’esserci e la partecipazione emotiva prevalgono su qualsiasi altra preoccupazione”, omicidi, incidenti, dolore, lacrime, poliziotti, derelitti, delinquenti, prostituite e emarginazione: è il sangue caldo e ribollente di una NY prevalentemente notturna quella che scorre nelle immagini di Weegee con uno stile dominato da una sfacciata casualità la sua fotografia si cala nel flusso degli eventi senza ritagliare i giudizi, lasciando che sia il groviglio della vita a farsi protagonista della scena, ma anche le immagine meno crude di Weegee sembrano vicine al senso dell’espressissimo astratto 6.3 L’Informale fotografico-pittorico un altro sviluppo dell’Informale è quello fatto intravedere da Eco nel suo intervento e cioè di una fotografia più direttamente ispirata al modello pittorico Nino Migliori ha sperimentato diverse tecniche fotografiche ed ha dato vita ad una serie di soluzioni che hanno raggiunto gli stessi effetti formali della pittura con mezzi strettamente fotografici come per esempio il prelievo a ready made di muri sbeccati o le tecniche del rayogramma, la fotografia informale a derivazione pittorica mantiene dell’Informale solo la buccia superficiale, l’aspetto esteriore, considerano i risultati visivi ottenuti fini a se stessi incapaci di rimanere a qualcosa di esterno rispetto ai limiti fisici del quadro negli anni ’50 parecchi fotografi si sono dedicati alla ripresa del paesaggio cercando di ricavarne effetti assimilabili a quelli proposti della pittura informale, atteggiamento simile a Strand, Weston e Adams che avevano affrontato il paesaggio secondo un principio di semplificazione formale direttamente riconducibile ai moduli della pittura come Minor White a cui si deve il tentativo di conciliazione tra durezza del fato materiale ritratto (rocce e legni) e necessità di elevare ad una dimensione spirituale l’altrimenti avvilente fisicità delle cose a Mario Giacomelli le colline marchigiane riprese con toni cupi e drammatici: tracce di arature, macchie vegetazione o spaccature del terreno risultano perfettamente equivalenti ai segni tacciate da una mano sulla tela, la sensazione è di un Informale già fatto, già pronto in natura, ma è evidentemente un caso di pittorialismo 7. LA SCOLTA DEGLI ANNI ’70 7.1 La fotograficità implicita della Pop Art negli USA a partire dagli anni ’60 prende forma la cultura Pop, la Pop Art prende il nome da popular, non nel senso popolare ma nel senso di massa, quindi intesa come cultura di massa (cultura caratterizzata da forme di comunicazione e più in generale di vita massificante) a partire dai primi anni ’60 che i rapp tra fotografia e pittura iniziano a cambiare senso di marcia rispetto al passato, prima i contatti fra i mezzi erano stati prettamente sporadici fondati su una confluenza autonoma verso unitarie prospettive di poetica, ora i cammini cominciano realmente ad intrecciarsi rivoluzionando il complessivo scenario delle arti visive, il quadro continua ad essere il protagonista della scena tuttavia l’artista pop finiva per inserire nelle proprie opere le immagini fotografiche, esse erano considerati fra gli oggetti simbolo della società contemporanea, la Pop Art è influenzata dai media e dalla fotografia che viene assunta dall’opera pop come elemento emblematico della contemporaneità il saggio di M. McLuhan Gli strumenti della comunicazione spinge a interrogarsi sul ruolo giocato da un mezzo di massa come la fotografia all’interno della produzione artistica con riferimento non della presenza dell’immagine nell’opera ma al contributo che poteva scaturire dalla sua identità teorica esistono dei punti in comune tra l’apparato teorico della fotografia e la poetica della Pop Art: - ESTROVERSIONE  etimologicamente extra+verus (contro il fuori) tutto pare raccontato in modo ricognitivo e distaccato senza alcuna pretesa di approfondimento psicologico, Pop Art e fotografia sono estroverse per il loro generarsi necessariamente in faccia alle cose, essere contro il fuori, la fotografia è sempre testimone della presenza di qualcuno davanti l’obbiettivo, la forza plasmate della tecnologia fotografica abbia contribuito in maniera determinante allo sviluppo del clima di intensa estroversione fatto proprio dagli artisti - ISOLAMNETO  un secondo punto di confronto riguarda l’isolamento degli oggetti nelle pere pop: i barattoli di minestra, le bottiglie di Coca Cola, i frammenti di fumento, ecc., l’isolamento può essere inteso in due modi: come rapporto col mondo uno a uno (cioè facendo il vuoto sul singolo oggetto, tanto criticato dai formalisti russi che negavano l’artisticità di un oggetto isolato privo di relazioni e rapporti dinamici con altri elementi) o inteso sotto la nozione di straniamento (nelle opere pop gli oggetti appaiono sempre separati dal loro contesto, da qualunque riferimento di situazione come in un’ipotetica inquadratura fotografica, lo straniamento è anche uno dei processi basilari della tecnica fotografica), è espediente per sottrarre gli oggetti al cortocircuito della praticità nel quale risultano irrimediabilmente immersi, quello che voleva la fotografia quindi lo ritroviamo per esempio in Warhol che nei suoi ritratti ripetuti non è tanto la persona fisica ad essere raffigurata quanto piuttosto il valore formale di icona precostruita che quella persona incarna, per la Pop Art l’isolamento è una cosa positiva, è sospensione del giudizio, è constatare senza scegliere, perché, una volta sottratto al proprio contesto l’oggetto vale solo per se stesso - INGRANDIMENTO  delle proporzioni degli oggetti che desimbolizzano l’oggetto e spogliandolo da ogni possibile collegamento di situazione produce straniamento, sostenuto da Ronald Barthes che è lo stesso modo in cui agisce la fotografia è anche la funziona primaria di questa, Maurizio Calvesi invece parla della Pop Art come arte da reportage termine prettamente fotografico per spiegare l’atteggiamento di faccia a faccia col mondo che hanno Pop Art e fotografia per il farsi medium/mediatori 7.2 Icone pop: Arbus, Ruscha, Warhol icona pop degli anni ’60 Diane Arbus è una dei fotografi puri che ha dedicato la sua intera carriera artistica alla sola fotografia, all’inizio degli anni ’60 la situazione inizia a cambiare perché il New Dada aveva aperto le porte alle avanguardie storiche e l’arte si dimostra porta ad allargare i suoi confini e al tempo stesso la fotografia comincia a cambiare il suo linguaggio specifico, la Arbus considerava la fotografia come un atto globale di relazione col mondo più che semplicemente un mezzo per produrre l’opera, l’intuizione della sommatività sensoriale esercitata dal mezzo (capace esso stesso di esprimere qualità psicologiche come la durezza e la freddezza) considerabile allargatore e integratore delle potenzialità psicofisiche naturalmente possedute dal soggetto, giudica positivamente la freddezza e la durezza dell’apparecchio che sono categorie sempre viste come un limite/difetto da correggere con l’intervento dell’autore e non come qualità da esaltare il passaggio al formato quadrato e il constante uso del flash (scelte tecniche avvenute nel 1965 non sono motivo di ordine formale e compositivo per la Arbus) si spiegano solo in funzione della maggiore più convincete penetrazione dei soggetti che ne poteva scaturire quando nel 1970 erano in corso le battaglie femminile e le artiste donne cominciavano ad assumere maggiore visibilità, la Arbus si differenzia dalla altre la cui produzione era rivolta all’autorivelazione e all’autocoscienza, lei invece assume un atteggiamento distaccato e impenetrabile, può definirsi connessa alla fotografia pop per i seguenti motivi: - distacco ed impenetrabilità del suo lavoro = guardare con distacco, partecipazione alienata, esserci senza tradire emozioni (questi elementi sono ben visibili soprattutto quando ha ritratto le coppie di gemelli, citate anche da Kubrik) - era affascinata dall’anormalità (ispirata da Lewis Carroll), da soggetti diversi, inquietanti, particolari, che le davano la possibilità di interrogarsi su cosa fosse normale e cosa no, cosa fosse realtà e cosa fosse finzione, tanto che a un certo punto divenne famosa per essere la fotografa di mostri, gioca tra realtà e finzione per contrastare l’idea di una verità già scontrata ecco perché i suoi soggetti hanno quindi una posa costruita la loro è una messa in scena, la nuova cultura mediale degli anni ’60 cominciava a diffondere una sovrapposizione tra artificio e realtà che presto sarebbe divenuta la caratteristica dominante della società contemporanea l’inglese David Bailey protagonista emblematico della stagione pop che a differenza della Arbus che dalla moda si era distaccata, dopo averla praticata con marito Allan dove la sua intera carriera alla fotografia di moda di cui trasforma il linguaggio sradicando l’idea che la moda fosse un passatempo elitario (da ricchi), egli considera la moda merce tra le merci, tutto questo ha riguardato soprattutto l’atteggiamento complessivo tenuto verso la moda da Bailey caricata di richiami sessuali erotici e sessuali nel 1965 pubblica David Bailey’s box of Pin Ups una scatola che racchiude 37 ritratti frontali di personaggio emblema dell’UK anni ‘60 ospitando fianco a fianco lords e malavitosi livellandone le singole individualità, senza alcuna distinzione psicologica, le singole personalità sono annullate nel repertorio complessivo degli oggetti secondo la creatività meccanicizzata ed emotivamente distante (rispetto al soggetto fotografato) propria dello spirito pop che non a caso fu motivo di critiche, la forma dell’oggettività impersonale e automatica è comunque la protagonista più originale e caratterizzante di questi ani imp contributo l’opera di Edward Ruscha protagonista della Pop Art in versione West Coast, a lui si deve il lavoro Twenty-six Gasoline Stations del 1963 dove racconta un’esperienza di viaggio fotografando le stazioni di servizio della Route 66 allineandole in modo ripetitivo (come delle bottiglie di Coca Cola in un’opera pop), le fotografa con atteggiamento impassivo, distaccato e meccanico, la fotografia nella sua identità basica funziona quindi come perfetto sostituto concettuale della realtà, è un partica che risulta una coincidenza concettuale tra ready-made e fotografia, la fotografia non è più oggetto visivo ma simbolo concettuale, la sua poetica è in linea con quella nascente della cultura pop il maggiore esponente della Pop Art (anche in fotografia) è Andy Warhol, per lui la Pop Art è amare le cose, è il primo che libera definitivamente la fotografia dall’identità pittorica, la meccanicità è bella e la fotografia è il suo braccio armato capace di diffondere e imporre su larga scala una visione standardizzata della realtà, in una simile strategia la fotografia appare lo strumento più efficace e secondo Warhol è tutto il sistema mediale a farsi responsabile di una nuova estetica della massificazione, ogni capitolo della concettualità fotografica (da isolamento e decontestualizzazione, da ripetizione ad ingrandimento) ha trovato un’originale applicazione nell’opera di Warhol aveva perfettamente incarnato questo spirito e lo aveva fatto suo per effetto di quella che si definisce un’inevitabile plasmatura materialistica, più che tecnica la fotografia è stata un atteggiamento mentale, un modo di essere, una filosofia assorbita in profondità anche nella vita concreta il tema del doppio/copia: per quanto riguarda le ripetizioni fotografiche per lui sono un gesto di amore verso le cose perché una cosa più rappresentata, ripetuta, più piace, per lui la meccanicità è bella, lui de-pittoricizza l’uso della fotografia nell’arte visiva e allo stesso tempo grazie all’uso della fotografia egli è riuscito a portare a pieno compimento il progetto di commercializzazione dell’arte e di annullamento dell’individualismo creativo la fotograficità x Warhol è atteggiamento mentale, già quando non utilizzava la fotografia, nella pratica della blotted line (trasferimento per premitura di un disegno tracciato con inchiostro da un normale foglio di carte a uno di tipo assorbente) era fotografico per una procedura fondata sull’idea dell’assorbimento automatico di un immagine su un supporto sensibile (tecnica vicina alla fotografia) dedica anche una serie di lavori che possiamo racchiudere nella poetica dell’automaticità, in un doppio ciclo di lavori del 1964, dedicato da un lato al riporto in serigrafia dei volti degli wanted man diffusi dall’FBI e dall’altro a ritratti ed autoritratti eseguiti nelle cabine automatiche per fototessera porta a termine quel processo avviato ad inizio ‘900 in ambito dadaista che sosteneva la possibilità di esercitare liberante l’automaticità produttiva in un contesto artistico che non impone più all’artista di produrre materialmente l’opera Tarzan, Dante, Pinocchio, ecc.), emerge la volontà di sperimentare l’esotismo inteso come esperienza della diversità, come “conoscenza che esiste qualcosa che non siamo noi”, che ci concretizza in una totale immersione nel corpo altrui William Wegman diede vita alla da lui stesso definita Dog Art un’arte kitsch e grottesca sviluppata con l’aiuto del suo cane Man Ray, nella performance sono coinvolti autore e animale creando un’autoironia che ridimensiona la sacralità che caratterizza le azioni di Body Art è molto particolare la produzione di Francesca Woodman, in bilico tra le due vite della Body Art, a metà tra verifica e fuga, tra ricerca di una identità e dispersione consapevole dell’io, emerge dalla sua ricerca che l’immaginario non è altro che una declinazione della realtà e non una dimensione altra la dimensione fotografica della Woodman è estremamente fisica: scivola sui muri, si stende sui pavimenti, pianificava minuziosamente le sue fotografie prevedeva appunti e faceva schizzi per poi trasferire il tutto nel mezzo fotografico, la fotografia per lei è allo stesso tempo specchio certificante e sviluppo incrollabile di un’altra dimensione, il quotidiano e l’ordinario si trasformano in misero NARRATIVE ART riprende i due più rilevanti assi di poetica del ‘900: quello proustiano (imperniato su uso destrutturante della memoria) e quello joyciano (rivolto ad una minuziosa partica di epifanizzazione) caratteristiche: - ingredienti: una cabina per foto automatiche, assenza totale dell’artista, il titolo scritto sulla parete - rivalutazione dell’automaticità e della totale mancanza di manualità da parte dell’artista in totale contraddizione con la linea neo-pittorica che ha sempre tentato di riscattare l’artisticità della fotografia esaltando gli interventi tecnici (inquadratura, luce, composizione) del fotografo per far coincidere la sua figura con quella del pittore - concetto di traccia o indice presente nel titolo: segno generato direttamente da proprio referente e dunque profondamente connesso con questo fino a rappresentarne una storta di prolungamento, natura indiale della fotografia connessa ad idea di arte da ready made, già fatta, a prescindere delle responsabilità costruttive dell’artista, diversamente dal principio formalista che riconduce fotografia ad un’identità che si fonda sull’intervento costruttivo dell’artista - filone proustiano Christian Boltanski costituisce la figura più rappresentativa del versante proustiano della Narrative Art, ben comprensibile da un lavoro del 1969: due fotografie, che una didascalia ci dice essere state scattate nel 1946 e nel 1969 mostrano la prima l’artista da bambino che gioca con dei cubetti di legno, la seconda gli stessi cubetti ritrovati nel ’69, lui tramite questo lavoro esprime la capacità della fotografia di recuperare il “tempo perduto” in un altro lavoro L’appartement de la rue Vaugirard del 1973 ci sono 9 fotografie accompagnate da altrettanti testi con immagini di un appartamento vuoto e disadorno che, tuttavia (come suggeriscono le parole) è ancora animato di presenze familiari, in questo caso emerge il contrasto tra discorso condotto al presente e l’oggettiva documentarietà delle immagini, è una narrazione di memoria e così procedendo si integrò perfettamente col sistema proustiano nel quale la funzione della memoria non è quella di portare il passato in quanto tale, ma quella di riscattarne le forme, i tempi ecc. - filone joyciano alla memoria si sostituisce l’epifania, cioè la cosa insignificante prende rilievo, la fotografia di Peter Hutchinson è rivolta ad una riappropriazione del reale attraverso l’attenzione verso qualcosa che sembrerebbe insignificante e, dunque, non degno di attenzione in Nude beach del 1974 l’artista ci rende partecipi dello stupore da cui è stato colto nel notare piccoli particolari senza importanza su una spiaggia nudista, per il quale è però necessario arrestare il flusso temporale Bill Beckley si è impegnato nell’epifanizzazione del reale attraverso un gioco di fotografia e scrittura, accompagnata da un’accattivante atmosfera thriller e condita da intrecci a sfondo erotico in The Bathroom 2 fotografie del 1974: una mostra un paio di gambe femminili con reggicalze e tacchi a spillo, l’altra un particolare di pelle con graffiature, il testo (che descrive le condizioni dell’ambiente in cui si è svolto il fatto) è scritto secondo lo stile oggettivo del verbale poliziesco, la polisemanticità della fotografia, definita un messaggio senza codice (Barthes), trova nella scrittura non un aiuto ma una complice del dire senza spiegare Mac Adams partendo da oggetti di assoluta quotidianità, come quelli da cucina, costruisce inquietanti storie come in The toaster del 1976, che raffigura un tostapane e un frullatore di acciaio lucido e dunque riflettenti, nella prima immagine il tostapane riflette una donna in abbigliamento intimo mentre prepara un toast, nella seconda il frullatore riflette il corpo della donna disteso a terra, mentre la fetta di pane si è bruciata in The Palm del 1978 c’è un’ambientazione esotica dove, in una spiaggia tropicale, un corpo giace ai piedi di una palma, con un machete ed una noce di cocco accanto. Sullo sfondo, una donna sta passando di corsa, sospensione tra dramma (omicidio?) e normalità (e se stessero dormendo?), si rifiuta di accompagnare le fotografie con un testo, ma i suoi schemi sono talmente stereotipati che non necessitano di ulteriori integrazioni l’antilinguisticità della fotografia, il suo essere frammentaria e frammentata, priva di continuità e sequenziale sono tutte caratteristiche criticate dai formalisti russi e che diventano il punto di forza della Narrative Art Duane Michals nasce nel 1932 quindi la sua formazione professionale risente degli anni in cui la fotografia non ha ancora fatto il suo ingresso massiccio in ambito artistico, concepisce l’operazione fotografica come distante dalle tradizionali pratiche di costruzione dell’opera e coincidente, invece, con una performance concettuale dove l’immagine è solo un medium “La parola chiave non è “fotografia”, né “pittura”, né “scrittura”, è “espressione” […] Quando voi guardate le mie fotografie guardate i miei pensieri”, nelle sue opere corrono a briglie sciolte fantasia e sogno, conditi da suspense e tensione da thriller cinematografico, con soggetti di argomento delittuoso e sessuale e storie a sequenza, frammentarie, non risolte, sempre in bilico tra banale quotidianità e l’evento eccezionale, tra normalità e delitto spettacolare nel 1970 pubblica Real dreams libro chiave in cui mette nero su bianco lo statuto di credibilità della finzione fotografica Franco Vaccari fu impegnato nell’epifanizzazione della normalità, non senza una voyeuristica intrusione nella sua vita privata, come in Viaggio per un trattamento completo all’albergo diurno Cobianchi del 1971, dove si fa fotografare mentre usufruisce dei servizi offerti dall’albergo, oppure Viaggio + Rito sempre del 1971 dove svolge le consuete azioni richieste ad un viaggiatore alla stazione di Bologna conia la nozione di “Esposizione in tempo reale” che indica il carattere di work in progress di queste opere: la fotografia, proponendo un’azione, si allontana ancora una volta dall’idea di quadro, di oggetto visivo per avvicinarsi a quella di “immagine – atto” dove la partecipazione del pubblico è parte integrante dell’opera in 700 Km di esposizione del 1972 usa fotografia come azione vivificatrice sull’esperienza del viaggio , per valorizzarne il tragitto, il percorso che si compie per arrivare alla meta, in Omaggio all’Ariosto del 1974 ancora riscatto di un viaggio con immagine in polaroid su tutta una serie di cartoline dei luoghi incontrati il lavoro più importante e noto di Vaccari è l'allestimento allestito alla biennale di Venezia nel 1972 con il titolo lasciato queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio, dopo aver rivalutato l'automaticità dell'artista bisogna riflettere sulla totale assenza di manualità da parte di esso in quanto non si impegna nemmeno schiacciare il bottone in quanto la macchina è ormai in grado di lavorare per proprio conto, è stata molto contestata quella linea neo pittorica che sempre tentato di riscattare la fotografia artisticamente indicando un insieme complicato di interventi che può avvicinare la figura del fotografo a quella del pittore, la valorizzazione dell'automaticità nel processo fotografico si incrocia con la nozione di traccia, chiamata anche segno-traccia CONCEPUTUAL ART all’interno della fotografia Concettuale bisogna distinguere tra Analitico (unicamente votato ad un infinito gioco di verifiche e rimandi interni al linguaggio stesso) e Mondano (pur nella riduzione dell’opera all’idea non rinuncia all’ipotesi che questa idea si configuri come intervento sul mondo) - concettuale analitico fotografo che interpretò la fotografia secondo la poetica del concettuale analitico è Joseph Kosuth, in Una e tre fotografie del 1966 l’artista pone 3 elementi ad interagire fra loro: un oggetto materialmente presente, la sua definizione linguistica tratta dal vocabolario e una foto, a grandezza naturale, dell’oggetto stesso, viene da chiedersi quale delle 2 immagini è l’oggetto e quale il segno?, volendo esasperare la linguisticità della fotografia, Kosuth ottiene l’effetto opposto: la perfetta interscambiabilità che nella fruizione si ha tra fotografia e reale un altro esempio è quello di Kenneth Josephson, che utilizza lo stratagemma della foto dentro la foto per ricordarci che ci troviamo di fronte ad un’immagine e non ad una replica speculare della realtà anche Mario Cresci usa la foto dentro la foto, ma con una tensione più emozionale, in una serie di ritratti fa impugnare ai propri soggetti ritratti di parenti e defunti, dalla sovrapposizione delle 2 immagini emerge la condizione della memoria, il suo è un Concettuale più mondano anche se ugualmente analitico (foto dentro la foto stempera il carattere di verità che altrimenti si sarebbe portati ad attribuire alla classica immagine da ricerca antropologica) - concettuale mondano Ugo Mulas con il suo lavoro, complessivamente chiamato Verifiche del 1970 riporta la fotografia verso una necessità di rapporto con l’esterno, con il mondo, attraverso forme di linguaggio che più che assomigliare alle strutture della lingua coincidono con quelle che determinano la concettualità (≠ formalità) della fotografia: l’indipendenza operativa della macchina, la manipolazione temporale, lo scarto visivo riproducibile attraverso espedienti tecnici come l’ingrandimento, l’idea di fotografia come traccia la fotografia è un medium, o come la definisce McLuhan una protesi: la fotografia allarga le facoltà visive e tattili ma anche l’intera nostra sfera mentale Emilio Isgrò fece degli ingrandimenti esagerati di ritratti di celebrità, tanto che è impossibile riconoscere i soggetti, ci si deve affidare all’ idea che siano davvero loro perché le dilatazioni sono state ottenute con l’ausilio di uno strumento preposto alla testimonianza della verità Douglas Huebler compie rilevamenti spazio-temporali attraverso foto “qualsiasi”, come ognuno sarebbe in grado di fare, il loro ruolo è semplicemente quello di supporto minimo per il lavoro mentale del fruitore, componente di casualità del soggetto che non è mai significativo in sé in Veduta di Parigi del 1970 dodici anonime foto di strade parigine che non documentano luoghi significativi quanto piuttosto lo spazio temporale della passeggiata stessa David Lamelas, anglo-argentino, utilizzando un apparecchio fotografico fisso collocato all’angolo di una strada, scatta una serie di foto tutte identiche ma diverse perché diverso è il tempo in cui sono state scattate Luca Patella considera la fotografia come protesi della psiche con Autofoto camminanti ‘sbadate’, si autoriprende in situazioni più disparate, come lavori, viaggi, colloqui… dando la sensazione di una fotografia talmente inglobata all’operatore da trasformarsi in una “coscienza tecnologica” rivolta al banale, ai momenti qualsiasi dalla produzione di Giulio Paolini emerge la possibilità di concepire la macchina non più solo come protesi dell’operatore ma addirittura come entità dotata di effettiva autonomia in grado di fare cose per conto proprio in Giovane che guarda Lorenzo Lotto del 1967 riprende in maniera speculare Ritratto di giovane di Lorenzo Lotto con scritta “Ricostruzione nello spazio e nel tempo del punto occupato dall’autore (1506) e (ora) dall’osservatore di questo quadro” cioè l’occhio fotografico visto come entità autonoma che ha permesso la “pensabilità” del luogo occupato da Lotto e di conseguenza ha offerto allo spettatore la possibilità di guardare l’autore, ciò che trionfa è il principio di autonomia di autosufficienza della macchina il lavoro di Paolini interpreta perfettamente il clima di forte concettualità che era presente nella ricerca artistica di quegli anni ma che allo stesso tempo fa comprendere quanto la fotografia abbia anticipato tutta la cultura dell'interattività virtuale tratto stilistico del gruppo formato da artisti come Adams, Baltz e i coniugi Becher era una fotografia descrittiva, oggettiva, volutamente impersonale attenta all’intreccio fra natura e artificio del paesaggio contemporaneo che si rifaceva ai grandi maestri come Duchamp, Sander e Evans una poetica può essere sintetizzata dalla poetica di Baltz e la new wave italiana va di pari passo con la poetica dei New Photograph, infatti tra gli artisti più citati c’è Evans Luigi Ghirri fu una figura chiave della New Wave italiana degli anni ’80, da privilegio assoluto alla dimensione esperienziale della foto rispetto a quella oggettuale: fotografa paesaggi non per fare quadri con l’obiettivo ma per l’atto in se del fotografare, per lui fotografare significa rinnovare lo stupore, la scelta del paesaggio come oggetto indica la necessità di individuare una relazione dello spettro il più possibile ampio il paesaggio per Ghirri non è come per Adams (una macroforma da studiare e rispettare dove il comito del fotografo era di portare forme culturali su forme naturali) ma una condizione del nostro vivere su cui misurare continuamente il nostro essere al mondo, per Ghirri quindi l’identità fotografia è relazione Gabriele Basilico fotografo d’architettura, si fonda sugli stessi presupposti di Ghirri: l’identità della fotografia come relazione con l’ambiente, la modalità sobria dell’approccio e con la sua fotografia cerca (per se stesso) e indica (al fruitore) una relazione piuttosto che una sostanza, un’esperienza piuttosto che un oggetto rinuncia a costruire, rinuncia al quadro e sceglie la relazione attraverso la mediazione della fotografia che viene intesa quindi secondo l’interpretazione di McLuhan di medium come estensione della nostra sensorialità, dell’esercizio sensoriale che attuiamo verso il mondo, la sua è una visione comportamentista e non pittorico-formalista della fotografia 10. SCENARI DI FINE SECOLO 10.1 Fotografia come partecipazione e come presenza tra gli anni ’80 e ’90 si attua un cambio di registro: negli anni ’80 l’artista sta fuori capta un nuovo clima culturale ma si limita a raccontarlo dall’esterno nella mediazione ancora una volta simbolica del fare arte, negli anni ’90 il concetto chiave per gli artisti è la partecipazione diretta e la presenza, scelte che risultano il completamento della scelta anti- ideologica avviata negli anni ’80 che non poteva dare i propri frutti se mantenuta entro i confini della pratica simbolica, questo recuperato senso di partecipazione è derivato dalla congiunzione arte-vita posta da avanguardie e neo- avanguardie e questa congiunzione viene intrepretata non più al di fuori ma all’interno, non è più l’oggetto ma il soggetto dell’opera per cui lo schema arte-vita diviene artista-arte-vita in questo decennio è massiccia la presenza della fotografia perché la partecipazione è la categoria fondante della fotografia ed implicita in essa, niente come la fotografia permette di assecondare il bisogno di produrre un’arte in presenza e di partecipazione diretta un intervento della Krauss su Il Grande Vetro ci permette di chiarire alcuni punti sulla fotografia degli anni ’90: la categoria propria della fotografia è l’indicalità perché essa è l’alternativa più forte alla simbolizzazione posta della pittura per Peirce l’indice è il segno che si caratterizza non tanto per la somiglianza con il referente ma per il particolare modo di produzione ad impronta, a traccia, che stabilisce una connessione diretta tra segno e referente, il quadro rimanda invece all’iconicità, al segno iconico, che selezione solo determinate caratteristiche del referente questo distingue due logiche differenti di fare arte: quella della pittura che avviene tramite la traduzione simbolica (icona) e quella della fotografia che avviene tramite la connessione e relazione diretta (indice) lo sconvolgimento della fotografia sull’arte contemporanea non riguarda questioni tecnico-formali ma un senso di partecipazione (inteso come partecipazione mentale) e di presenza del reale che deriva dalla struttura al tempo stesso materiale e formale del mezzo, di questo si era già accorto Duchamp e la strada battuta dagli artisti del ‘90 può essere vista come un ritorno al quel futuro già tracciato dal dadaismo ad ini sec, partecipazione che può essere distinta secondo due forme di io, una che fa riferimento al soggetto dove prevale la competente emozionale e l’io psicologico che fa riferimento alla condizione operativa del medium dove prevale un’oggettiva impassibilità, l’io tecnologico 10.2 L’”Io tecnologico” della Becher School la relazione col mondo sviluppata dagli allievi dell’Accademia di Düsseldorf, dove insegnavano i Becher, è sicuramente oggettiva e quindi da io tecnologico, alla base del loro pensiero c’era la convinzione che l’obiettivo fotografico produce un livello di straniamento tale da rendere inutile ogni ulteriore intervento da parte dell’autore, il quale anzi facendo sentire la propria presenza rischierebbe solo di squilibrare quella perfetta estasi generata dall’impassibilità della macchina tra i suoi protagonisti vi è Thomas Ruff con la serie Portrats, i suoi soggetti non pretendono di elevarsi a tipi, anzi la sua produzione fotografica sembra voler evidenziare l’appartenenza ad un unico grande gruppo, la sua è un’interpretazione del concetto di Generazione X (la generazione degli anni ’60 priva di identità sociale definita) derivante dal romanzo di Douglas Coupland del 1991 Generazione X – Storie per una cultura accelerata, non c’è intenzione o finalità ma quel concetto di partecipazione per il quale l’autore abbandona ogni pretesa di giudizio e sta sullo stesso piano dei suoi soggetti, nei lavori come Substrat e Zycles Ruff ha tentato di ribaltare la propria poetica completamente come per sottrarsi all’abbraccio soffocante di quella fotografia grado zero fino ad assestarsi su una linea di totale astrazione da pittorialismo neoinfomale è più becheriano il lavoro di Candida Hofer che anziché focalizzarsi su imponenti archeologie industriali fotografa interni preziosi si biblioteche, musei e teatri ripresi rigidamente dal punto di vista centrale, le immagini giocano buona parte del loro fascino sul gigantismo che le caratterizzava, una modalità condivisa da molti altri autori degli anni ’90, per la quale ovviamente una foto delle grandi dimensioni non ci si poteva limitare a guardarla ma ci si sentiva immersi corporalmente Thomas Struth rivolge la macchina verso casuali riti di comportamento sociale da cui emerge una sorta di comunità passiva calata in ambienti altrettanto privi di individualità ma senza alcuna volontà artistica di denuncia o giudizio, c’è una totale assenza di qualsiasi punto di vista, i soggetti delle sue foto sono per esempio i grandi musei internazionali dove la presenza distratta e divagante degli spettatori è spettacolo che si sposa con la teoria dei non luoghi della post modernità dell’antropologo Auge, parlava di non luoghi riferendosi ai tipici luoghi di transito della post-modernità come centri commerciali, aeroporti, ecc. i luoghi incapaci di produrre un’identità, per lui anche negli spazi come un museo il significato sta nell’uso la fotografia di Andreas Gursky è una fotografia di distacco e impassibilità, fotografa complessi industriali, grandi alberghi, sale di borsa riprese a forte distanza e in grande formato annullando così il coinvolgimento di spettorati fruitori, il mondo è un luogo lontano del quale possiamo essere solo spettatori, si allontana in maniera fisica e psicologica dalla realtà Massimo Vitali fotografa affollati spazi di divertimento (spiagge) spostando letteralmente il punto di vista attraverso l’uso di una piattaforma alta 6m, si distacca per metaforizzare il principio fondamentale che vuole l’arte per il punto di vista (punto centrale nella sua produzione) diverso e spostando sulle cose, il distaccarsi è il fulcro della sua ricerca poetica, la forma di massima partecipazione ed è la strega più efficace per riuscire a guardare ciò che può apparir difficile da affrontare la fotografia di Rineke Dijstra è impossibile e distaccata (come quella della Arbus) di corpi incerti e antieroici di adolescenti colti sul bagnasciuga, i corpi sono in bilico tra terra e mare, infanzia e maturità, tra realtà e finzione 10.3 Diari privati nella fotografia dell’io psicologico, dell’io comportamentale la meditazione tra noi e il mondo avviene attraverso l’azione del fotografare, la fotografia è intesa come gesto, come comportamento, come esercizio del proprio essere nei confronti del mondo, protagonisti di questa corrente sono Nan Goldin, Wolfgang Tillmans e Nobuyoshi Arki che sembrano tutti e tre adattarsi alla perfezione alla fotografia da album di famiglia Nan Goldin fotografa i suoi amici più acri e i diversi (travestiti e transessuali), la diversità non pretende di acquisire il tono della rivolta (come nel caso della Arbus) ma vuole solo attraversare l’esistenza, la presenza, il segno del coinvolgimento affettivo testimoniano dall’esercizio del mezzo fotografico, nel 1992 pubblica I’ll Be Your Mirror le immagini del libro raccontano come un diario le immagini dei suoi amici negli anni in cui il visus dell’HIV sta dilagando, la fotografia è usata per sentire meglio la vita e non perderla, lo stile Goldin rinuncia a qualsiasi richiamo pittorialista, pratica un fotografia bassa (familiare) a livello alto con la consapevolezza della ricchezza concettuale in essa contenuta, è un idea di fotografia comportamentista, nelle sue esposizioni faceva della proiezioni accompagnate da colonne sonore e foto accumulate su file sovrapposte che danno l’idea dell’album di famiglia anche Wolfgang Tillmans fotografava il diverso, scatta foto con amici con uno stile di istantanea casuale-diaristica, queste foto di rave paries sono accostate a foto con pretese estetiche maggiori o foto generiche come riviste di moda Nobuyoshi Arki ha un passato da fotografo tradizionale, partica la poetica dell’album di famiglia già dagli anni ’70 nei suoi lavori Sentimental Jouney e Winter Jouney, delle documentazione della vita con la moglie Yoko dalle nozze alla morte di questo, lo aprono alla scena interazionale gli scatti fatti tra il 1983 e il 1985 nei locali di prostituzione di Tokyo nel libro Tokyo Lucky Hole è il fotografo stesso il protagonista delle foto scattate in stile familiare nonostante raffigurino un tema scabroso e imbarazzate come l’atto sessuale 10.4 Varianti neo-Body e neo-Narrative  Neo-Body Art Shirin Neshat, iraniana emigrata in America nel 1974, ritorna in Iran nel 1990 e rimane colpita dal nuovo stile di vita imposto alle donne dal regime rimane colpita dalle foto dalle donne combattenti quindi riporta sul proprio corpo l’attenzione e il rigetto verso una realtà femminile mortificante e esaltante, nel suo caso la fotografia è stato un mezzo per confrontarsi con la complessità dell’identità femminile nel proprio paese di origine, tra il 1993 e il 1997 fotografa la serie Women of Allah, la fotografia è capace di sostenere ogni nostro desiderio di fuga dall’io naturale e di costruzione fantastica di altre identità Orlan, fotografa francese dei primi anni ’90 che mette in scena performances chirurgiche, rendendo pubblica l’idea dell’artificializzazione del copro rispetto a da quanto accade di solito con gli interventi di chirurgia estetica che vengono normalmente nascosti e negati, modelli artificiali ottenuti da assemblaggi di computer di volti appartenenti ad altri volti, il suo è un iper-medium dove confluiscono computer, video, ecc. lei rende pubblica e glorifica l’idea dell’artificializzazione del corpo Yasumasa Morimura nei suoi Self portrait as Actress fa degli autoritratti come alle attrici di cinema riferendosi ad identità già artificializzate di mitiche dive del grande schermo sovrapposte all’identità maschile dell’artista, ibridazione tra maschile e femminile e tra occidente e oriente erano i suoi temi chiave Inez van Lamsweerde fa una fotografia che attua una costruzione di un’identità molto complessa dove la bambina della serie The Windw del 1997 ricorda in qualche modo l’ambiguità imbarazzante proposta dai ritratti di infanzia vittoriana di Carrol, territorio in cui si superano maschile e femminile, infanzia e maturità per inventare nuovi codici culturali oppure la serie di Thank You Thighmaster dove le modelle in questione sono modelle in bilico tra natura e artificio alle quali l’artista cancella i genitali Mariko Mori ispirata dal fenomeno dei cosplayers e manga si fa fotografare in luoghi ad alto grado di artificialità (ex centri commerciali) nei panni di personaggi ispirati al mondo della fantascienza e dei videogiochi, celebrazione di un universo sempre più artificiale Neo-Narrative Art un nuovo uso della fotografia in forma narrativa, l’espressione Candid Camera, una ripresa nascosta dalla realtà, descrive le fotografie del tedesco Salomon scattata di nascosto in tribunali o riunioni politiche e pubbliche, da qui i primi programmi televisivi con questa poetica come per esempio nel 1998 il film The Truman Show (in seguito il Grande Fratello) diversi autori hanno iniziato a lavorare su forme e modalità del reality come per esempio: Sam Taylor Wood in Cinque secondi rivoluzionari del 1995 ci sono 5 fotogrammi che illustrano una normale situazione di interno culmine in un banale litigio di persone estrae tra loro, compone una combinazione tra fotografia ed effetto Li Wei  artista cinese protagonista di funamboliche e paradossali performance, le sue foto non sono realizzate con Photoshop ma sono tutte frutto di abilità, anche rischiose, in fase di ripresa, esistono numerosi video che documentano il suo lavoro e la complessa preparazione di queste performance realizzate con cavi, funi e impalcature i suoi lavori ci danno delle conferme sulla fotografia: la fotografia ha sempre saputo maniere anche senza Photoshop e la fotografia anche se digitale è sempre attestatrice di verità Gregory Crewdson  si rifà a Jeff Wall, è un grande citazionista ed originale nel modo in cui assembla le parti, le sue opere sono ricche di riferimenti cinematografici (in particolare a Lynch), influente è anche la pittura di Hopper la fotografia offrendoci la possibilità di un esercizio traslato di sensorialità rappresenta un empio di Secondo Life, l’artista cinese Cao Fei che ha come avatar delle sue foto China Tracy, non è che quel procedimento per il quale Duchamp si creò un alter ego Rose Selavy WORKSHOP 1. Moriyama Daido – Stay Dog 1971 2. Manuel Alvarez Baravo – Caballo de Madera 1928 3. Mauruce Guibert - Toulouse Lautrec nel suo studio 1894 4. Man Ray - Noire et Blanche 1926 5. Manuel Alvarez Bravo – The Daydream 1931 6. August Sander – Jungbauern 1914 7. Bill Brandt – Parlourmaid and Under Parlourmaid ready to serve dinner 1936 8. Man Ray – Rayograph (Il bacio) 1922 9. Frances Benjamin Johnson – Self Portrait (as a new women) 1896 10. Henri Cartier Bresson – Famille Barge 1956 11. Larigue Jaques Henri – Fleurs et Papillons 1935 12. Alfred Stieglitz – The Terminal 1892 13. Larigue Jaques Henri – Gran Prix 1912 14. Richard Peter Senior – Vista dalla torre del municipio guardando verso sud 1945 15. Walker Evans – Alabama Cotton Tenant Farmer’s Wife 1936 16. Henri Cartier Bresson – Hyeres 1932 17. Dorothea Lange – Migrant Mother 1936 18. Moholy Nagy – Bauhaus Balconies in Dessau 1927 19. Composition Nature morte – Florence Hanri 1929 20. Andre Kertesz – Mondrian’s glasses and pipe 1926 21. Philppe Halsman – Dalì Atomicus 1948 22. Josef Sudek – L’ultima rosa 1956 23. Frank Robert – Parole Mabou 1977 24. Ben Shahn – Rehabilitation Clients 1935 25. Walker Evans – Subway Portrait 1938 26. Philippe Halsman – American physicist Oppenheimer 1958 27. Walker Evans - Girl in Fulton Street 1929 28. Robert Capa -  Morte di un miliziano 1936 29. Ansel Adams, Rosalynn and Jimmy Carter,1997 30. Lisette Model, Sailor and Girl, Sammy's bar, New York, 1940-1944 31. Lisette Model, “Promenade des Anglais”,1934-37 32. Levitt Helen, New York 1942 33. Nick Ut, Napalm Girl  (1972) 34. Alfred Eisenstadt, Il giorno della vittoria, 15 agosto 1945 35. Robert Doisneau, lo sguardo obliquo 1948 36. William Klein, NewYork fashion,1959 37. Henri Cartier-Bresson / Dessau, Germania, aprile 1945 38. Robert Doisneau, Bacio davanti all'hotel de ville,1950 39. Salgado, Minatore d'oro sfida un ufficiale della polizia militare, 1986 40. Letizia Battaglia. "Ucciso dalla mafia" Bagheria e "Olimpia a Mondello" 1976 41. Henri Cartier-Bresson, Gare St. Lazare, 1932 42. David Seymour, A disturbed child in an orphange, 1948 43. William Klein, Gun 1, Broadway and 103rd Street New York 44. Skoglund “True Fiction” 1968 45. Meyerowitz “London 1966 (elephant and plane) 46. White, "Driftwood and eye" 1951 47. Daido Moriyama, “Sul letto”, 1969 48. Diane Arbus – “A Young Man in Curlers at Home on West 20th Street, N.Y.C.” (1966) 49. Nobuyoshi Araki, Tokyo Comedy, 1997 50. Meyerowitz, “Dairyland, Provincetown” 1976 51. Maier Vivian, Autoritratto, New York, 1953 52. Lee Friedlander, Route 9W, New York, 1969 53. Jeff Wall, Morning Cleaning, Fondazione Mies Van der Rohe, Barcellona, 1999 54. Skoglund Sany, The Revenge of the Goldfish, 1981 55. David LaChapelle, Fly on my swet angel, fly on my sky, 1988 56. David LaChapelle, Aristocracy: private pirates, 2014. 57. Richard Avedon, Marilyn Monroe, 6 maggio 1957 58. Gregory Crewdson, Untitled, dalla serie The Dream House, 2002 59. Robert Mapplethorpe, Patti Smith, 1979 60. Parr Martin, Acropolis, Athens, Greece, 1991 61. H.Newton, Le Smoking, Yves Saint Laurent, French Vogue, 1975 62. Helmut Newton, Sie Kommen (Naked and Dressed), 1981 63. Antonio Biasiucci, Senza Titolo, dalla serie Mirabilia, 2020 64. John Baldessari, Throwing Three Balls in the Air to Get a Straight Line (Best of Thirty-Six Attempts),1973 65. Alex Majoli, Scene #6777, 2017 66. Luigi Ghirri, New York, 1986 da ‘’I luoghi della musica’’, cibachrome da dia 6 x 7 cm 67. Mimmo Jodice, Vedute di Napoli, Opera 57 (Via Marina), 1980. 68. Luigi Ghirri, Versailles, 1985 69. Alex Majoli, A patient and a care worker lie in the sun. Leros, Dodecanese Islands, Greece. 1994 70. Mimmo Jodice - Roma 1999 71. Ghirri, Ile Rousse 1976 72. SUSAN MEISELAS - Monimbo, Nicaragua, July 2004 73. Claudio Abate, Sappho 74. William Eggleston, Memphis
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