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Storia della letteratura italiana, dall'800 al 900, Appunti di Letteratura Italiana

Riassunto manuale storia della letteratura italiana dall'800 al 900, Giulio Ferroni

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 12/06/2024

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Scarica Storia della letteratura italiana, dall'800 al 900 e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! 7.2 La letteratura dell’Italia napoleonica 7.2.1 Il classicismo dell’età napoleonica In tutta l’Europa napoleonica il Neoclassicismo andava sempre più trasformandosi in un’arte ufficiale. Dopo aver accentuato, nelle prime fasi della rivoluzione, i suoi aspetti più radicali, legandosi al culto rivoluzionario della virtù degli antichi, esso venne poi ad irrigidirsi in forme astratte e celebrative. Questo perché, mentre nelle altre letterature europee il culto della virtù degli antichi offriva una più nuova e complessa capacità di conoscenza della realtà contemporanea, nella letteratura italiana si verificò l’atteggiamento inverso: essa si cristallizzò all’interno di una troppo lunga tradizione che ha reso la nostra letteratura subalterna e arretrata rispetto a quelle europee. Centro del Neoclassicismo italiano era naturalmente a capitale del Regno d’Italia, Milano, che del resto assunse in questi anni un ruolo di vera capitale della cultura italiana. 7.2.2 Poeti e scrittori nell’orizzonte del classicismo L’incontrastato dominio delle formule classicistiche in questi anni si riflette negli autori tra loro più diversi e lontani. o Va ricordato l’abate Tommaso Valperga di Caluso, uomo ricco di interessi filosofici, egli traccia nei suoi scritti l’ideale di una ragione sicura di se, capace di progettare il progresso proprio allontanandosi dalla politica e dagli eventi contemporanei. o Un senso di separazione della scena storica si avverte anche nell’opera del nobile veronese Ippolito Pindemonte, letterato fine ed equilibrato, ricco di curiosità, aperto alle nuove forme della sensibilità europea. o Il fratello maggiore Giovanni Pindemonte, senza mai raggiungere l’eleganza di Ippolito, si dedicò ad una poesia “patriottica”, ispirata da una diretta partecipazione ai processi rivoluzionari. o A un orizzonte classicistico si lega anche il toscano Filippo Pananti, che nel periodo napoleonico fu a Londra, dove si occupò di teatro. Le più alte espressioni del classicismo di questa età sono rappresentate da Vincenzo Monti e da Ugo Foscolo. 7.2.3 La carriera di Vincenzo Monti Rappresentante del primo classicismo è Vincenzo Monti, per il quale il neoclassicismo è ornamentazione retorica da applicare ai contenuti suggeriti dalla cronaca, dalla storia, dagli eventi politici e dagli eventi legati alla sua posizione di poeta cortigiano e d’occasione. - Nella sua carriera seppe conquistarsi la fama indiscussa di “primo poeta d’Italia” come lo definì la Stael: non tanto per il valore delle sue opere ma la sua adattabilità alle tendenze e al gusto dominante. Per le sue qualità di mediatore fra la tradizione classicistica e le trasformazioni politiche. Seppe attraversare regimi diversi indenne, mantenendo con tutti buoni rapporti, ottenendo sempre adeguati riconoscimenti. - Seppe vivere in modo contraddittorio, riconosciuto quale costruttore di forme eleganti da fornire da esemplari alle classi dominanti. - Monti è un poeta versatile, sempre pronto a cogliere gli spunti provenienti dall’esterno, sempre con molta disponibilità. - Le ragioni del successo della poetica montiana, oltre a quelle sopracitate, sono racchiuse nella sua capacità di modernizzazione e di laicizzazione della tradizione classicistica, al fine di renderla fruibile alle nuove classi dominanti: borghesia e aristocrazia con iniziative borghesi. - Ed è per questo che viene definito anche come promotore di un classicismo borghese. Il periodo filopapale: Roma Egli nasce in Romagna nel 1754 da proprietari terrieri. Gli studi che intraprende, inizialmente, sono orientati alla giurisprudenza e alla medicina, per poi, infine, dedicarsi al suo primo amore: la letteratura. Consolidati i suoi studi letterari e ammesso all’Accademia dell’Arcadia, verrà notato da un Cardinal Borghese, al quale dedicherà il suo primo componimento (La visione di Ezechiello) e che lo inviterà a trasferirsi a Roma, dove Monti resterà per circa un ventennio, prestando servizio come poeta cortigiano e ottenendo il favore di protettori illustri, per i quali scriverà per lo più opere di carattere encomiastico e apologetico, ma anche lodi e testi lirici di occasione. Al successo letterario si accompagnò anche il matrimonio felice con Teresa Pikler. Si fece poi interprete per l’orrore poi per la rivoluzione con un poema tutto ispirato all’attualità “la Bassvilliana” che anche se incompiuto ebbe un grande successo. Il periodo filorivoluzionario: tra Milano e Parigi Tuttavia, nonostante in questo ventennio avesse sempre mantenuto posizioni filopapali e anti rivoluzionarie, ad un certo punto, Monti comincia ad essere accusato di preferire posizione rivoluzionarie. E quindi fu costretto ad abbandonare Roma per trasferirsi a Milano, dove diviene il poeta ufficiale della rivoluzionaria Repubblica Cisalpina. Tuttavia, con il ritorno degli austriaci in Italia, per un anno, Monti è costretto ad andare a Parigi solo per un anno perché, a seguito della vittoria di Napoleone presso la battaglia di Marengo, ritorna a Milano, ove rimarrà fino alla morte, attorniato da riconoscimenti e immerso in una florida situazione economica che gli consentirà, tra l’altro, di dedicarsi a scritti di orientamento filo rivoluzionario e antipapale. Il regime austriaco Dopo la fase napoleonica, Monti si adotta al regime austriaco, ove s’ingrazia i maggiori esponenti con una serie di opere, anche sì in realtà in questo periodo della sua produzione egli cercò di mantenersi neutrale perché voleva cercare di dare al suo classicismo un carattere nazionale. Negli utimi anni della sua vita continua a coltivare il suo amore per la letteratura, scrivendo dei componimenti intimistici relativi alla sua vitae ai suo affetti, fino alla sua morte avvenuta nel 1828. Monti, a fonte del crollo della costruzione imperiale napoleonica, torna nuovamente a sperare nel riformismo degli Asburgo, chiaramente non con la vemenza degli anni giovanili. Crede in un ritorno l’equilibrio perso con il periodo napoleonico, e si dedica a freddi componimenti encomiastici nei confronti del Asburgo. 7.2.4 Monti poeta del neoclassicismo papale La prima parte della sua produzione è molto varia, poiché è attraverso essa che vuole farsi conoscere agli occhi degli intellettuali romani come intellettuale radicato nella tradizione, ma pur sempre capace di indirizzarsi al nuovo e di interpretarlo in maniera originale, soddisfando i gusti del pubblico. Dopodiché arrivano gli anni della letteratura encomiastica, e dunque della Prosopopeadi Pericle, de La bellezza dell’universo e dell’ode Al Signor Mongolfier. La nascita di queste opere è dovuta ad episodi realmente accuditi nella sua vita reale. - Lo spunto per la composizione della prima opera citata, volta a celebrare Roma, è dato a Monti dal ritrovamento di un busto di Pericle. - La seconda opera, un poemetto volto a celebrare la natura creatrice, è stata scritta in occasione delle nozze del nipote del pontefice. - La terza opera, un’ode, è volta a celebrare il volo areostatico, la Mongolfiera, compiuto dai fratelli Mongolfier l’anno precedente. Una poesia che si riallaccia a temi e forme barocche e che tende a dare una immagine spettacolare della religione e della natura, la individuiamo con “La bellezza dell’universo”. Monti compone inoltre una poesia d’amore, permeata di elementi malinconici e quindi modellata sulla letteratura sentimentale nordeuropea, in modo specifico egli si ispira al modello di Verter, ma senza particolare successo in quanto non riesce amettere totalmente da parte la tradizione classica. Inoltre, egli tenta di innovare e semplificare la tragedia, componendo L’Aristodemo e Il Galeotto Manfredi, al tradurre montiano è la realizzazione di un’opera originale, nuova, dotata di musicalità, chiarezza sintattica, tuttavia capace di eguagliare la grandezza del testo di partenza. Monti interviene anche nella questione linguistica attraverso al composizione di un’opera introitata “Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al vocabolario della Crusca”, in cui Monti sostiene quanto fondamentale sia l’imitazione ma anche al formazione di uno stile personale. Quindi è in atto una fusione tra modello antico e personalità dell’autore. Valore e significato dell’opera di Monti Sul Monti resta definitivo il giudizio di Leopardi, che lo qualificò “poeta veramente dell’orecchio e dell’immaginazione, del cuore in nessun modo”: la sua poesia è tutta esteriore e formale, priva di segni di autenticità, di vitale partecipazione a quel presente in cui pure egli giocò un ruolo non indifferente. - Egli mira soprattutto a combinare diverse forme letterarie, a tradurre in un linguaggio moderno l’eredità di una lunghissima tradizione: la fiducia nella letteratura si delinea solo come un ricamo trionfale su un mondo governato da forze diverse ed estranee, strumento per imporsi sulla scena sociale. - Bisogna comunque evitare di condannare moralisticamente i suoi rivolgimenti ideologici e il suo adeguarsi a regimi diversi: bisogna anzi riconoscere che l’importanza della sua figura intellettuale consiste proprio nell’abilità di fare della letteratura la voce del gusto e dei modelli collettivi di volta in volta dominanti. - Sotto molti punti di vista Monti sembra costruire l’ultimo anello di una tradizione letteraria abituata a identificarsi in senso positivo con i sistemi politici. Ma nello stesso tempo egli inaugura un nuovo modello: - egli “laicizza” la tradizione classicistica, senza modificarne la struttura; la semplifica e nello stesso tempo la arricchisce, colorandola della sensibilità contemporanea. - Egli appare il creatore di un classicismo borghese dai caratteri nazionali che mostra una tranquilla e moderata fiducia nel progresso, pur continuando a rivestire pose e formule anticheggianti e a esprimersi in un linguaggio aulico e sublime. - Questo genere di classicismo tendo a porsi come strumento di consenso sociale. Con il Monti le forme e i miti classici riescono artificialmente a sopravvivere come maschere borghesi. Il ruolo-guida che egli assunse in Italia nel momento della frattura degli equilibri dell’Antico regime, quando in altre culture europee si sviluppavano esperienze audaci e sconvolgenti, è in fondo il segno della mancanza di respiro della nostra letteratura che si avviava a restare, per gran parte dell’800, in uno spazio marginale, incapace di porsi su un terreno europeo, di vivere fino in fondo l’orizzonte del presente, nelle sue contraddizioni. Il purismo e le discussioni della lingua Nel periodo napoleonico l’esigenza di affermare un’identità nazionale italiana si esprime anche attraverso un nuovo tentativo di definire una forma linguistica perfetta e quindi attraverso una ripresa della questione della lingua. Alle prospettive classicistiche si collega il purismo, rivendicazione della purezza originaria del toscano degli scrittori del 300. (la nuova accademia della Crusca) 7.2.8 Pietro Giordani Tra i classicisti, tutta particolare è la posizione del piacentino Pietro Giordani la cui idea di letteratura è opposta a quella del Monti: la letteratura è per lui ricerca di rigore, di verità e di educazione civile e soprattutto affermazione di virtù. Egli si fa portavoce dei problemi dell’educazione e delle condizioni di vita delle classi umili arrivando a comporre vari scritti polemici, orientati contro tutte le forme di oscurantismo, di pregiudizio, di inganno e di mistificazione sociale. 7.3 Ugo Foscolo 7.3.1 La vita La stessa nascita e origini familiari pongono la figura di Ugo Foscolo sotto il segno dell’instabilità. ● Ugo Foscolo nasce il 6 Febbraio 1778 nell’isola di Zante (che all’epoca apparteneva ancora alla Repubblica di Venezia). ● Il padre Andrea: di famiglia veneziana, esercitava a Zante la professione di medico. ● La madre Diamantina Spathis: era greca. Ebbe poi altri tre figli. La morte improvvisa del padre (1788) causò alla famiglia gravi difficoltà. Dopo circa quattordici anni si traferisce a Venezia e riesce a inserirsi negli ambienti culturali e mondani di quella città che, ben presto, sarà costretto ad abbandonare per ragioni politiche, rifugiandosi a Bologna. - A Venezia gli permise di essere ammesso nel salotto aristocratico della brillante Isabella Albrizzi, grande appassionata di letteratura, per la quale nutrì una tempestosa passione d’amore. Grazie a lei conobbe Ippolito Pindemonte. - Nel frattempo si dedicava alla lettura dei classici iniziandosi a rifare alla tradizione arcadica: il primo testo pubblicato, l’ode religiosa “la croce” apparve sul “Mercurio d’Italia”. Mostrava però interesse anche per gli aspetti più vivaci e attuali della cultura 700esca. Tornerà nella sua Venezia solo dopo la caduta del governo oligarchico con l’incarico da segretario, per poi abbandonarla per sempre a seguito del trattato di Campoformio, recandosi prima a Milano (Conobbe Parini e Monti; visse un’infelice passione per la moglie di Monti, Teresa Pikler) e poi nuovamente a Bologna. - A Venezia mise in scena la tragedia “Tieste” piena di furore libertario, costruita sul modello dell’Alfieri, autore da lui impetuosamente amato come nemico di tutti i tiranni. - Sarà qui che lavorerà all ’Ortis , la cui stampa è interrotta dagli Austro-Russi, il cui arrivo da il via ad una piccola parentesi militare durante la quale, nonostante sia impegnato in obblighi di tipo militare, non abbandona mai la letteratura: 1. Egli si arruola dapprima come volontario della Guardia Nazionale, e in questo periodo scriverà l’Ode a Luigia Pallavicini caduta da cavallo e, dopo un lavoro di revisione, pubblica un’edizione parziale e incompleta delle Ultime lettere di Jacopo Ortis e scrive All’amica risanata (per Antonietta Fagnani). 2. Sempre durante questa parentesi militare, egli seguirà l’esercito napoleonico sulle coste della Manica, dove rimane per circa un anno (nascerà Mary, da una relazione con una ragazza inglese), lavorando alla traduzione dell’Iliade che verrà poi pubblicato, assieme ai Sepolcri, durante un suo breve soggiorno in Veneto. A solo un anno dalla pubblicazione di queste due opere, gli verrà affidata la cattedra di eloquenza all’università di Pavia. Si trattò però di un’esperienza di breve durata: la cattedra venne subito soppressa portandogli difficoltà economiche; condizione che acuisce l’insofferenza verso la cultura ufficiale napoleonica, fino alla disfatta totale dei rapporti col regime napoleonico quando, a seguito della rappresentazione alla Scala dell’Ajace, a causa della possibile presenza di allusioni antinapoleoniche, venne invitato a lasciare Milano. 3. Il punto di vista si concentra sul protagonista, come testimoniato dalla struttura del romanzo, composta da lettere che egli indirizza all’amico Lorenzo Alderani, le quali ci raccontano della vicenda: Deluso dal trattato di Campoformio e perseguitato dai nuovi padroni di Venezia per le sue idee patriottiche, Jacopo Ortis si è rifugiato sui colli Euganei dove conosce Teresa, destinata ad un altro uomo, la quale pur ricambiando la passione di Jacopo, non si oppone al volere del padre, portando così il protagonista a partire, di preciso in Italia, dove egli scriverà altre lettere e dove avverrà la conoscenza con Parini. ● Le lettere scritte dai colli contengono inoltre il racconto di una visita alla casa di Petrarca ad Arquà e una lettera politica contro Napoleone. Appresa poi la notizia dell’avvenuto matrimonio di Teresa, Jacopo si toglie la vita con un pugnale. 4. Ma perché lo fa? Jacopo vive un conflitto interiore che vede l’opposizione tra valori assoluti e mediocrità della vita sociale, che si risolve con la rottura di ogni rapporto tra l’io e il mondo, e quindi con la morte stessa. - Egli, dopo aver ha perso ogni fiducia nel progresso e nella realizzazione positiva della ragione nella storia a causa dell’indifferenza della natura, vista come forza cieca che può perpetrarsi solo attraverso la distruzione dei singoli esseri, insiste nel cercare valori positivi, benché debba comunque riconoscerli come illusioni. Nella vicenda di Jacopo alcuni critici hanno visto una via di salvezza per l’autore: - scrivendo il romanzo, Foscolo avrebbe oggettivato e sublimato la tentazione del suicidio, la sua “malattia” romantica. Tutte le speranze di ritrovare quei valori assoluti da lui bramati convergono nella figura di Teresa, la quale presenta la sintesi di tutte le speranze che sembrano rendere degna l’esistenza. - Nell’unione con questa donna-angelo, in cui si avverte l’eco della tradizione stilnovistica e petrarchesca , Jacopo potrebbe raggiungere quell’armonia consolatrice, ma sono proprio gli ingiusti e corrotti meccanismi della società a impedire quell’amore, che resta rovinoso perché Teresa è inafferrabile e come lei, anche tutti i valori che ella rappresenta. - A questo punto Jacopo cerca di rendere partecipe il lettore di quei conflitti interni che stava vivendo. - Ciononostante, e nonostante i tentativi dell’amico Alderani (il quale viveva, seppur in maniera più misurata rispetto a Jacopo, la medesima delusione e il medesimo dolore) di farlo desistere, a causa del suo atteggiamento di chiusura e del suo egotismo autodistruttivo, egli, ugualmente, compirà quell’atto estremo che lo porterà alla morte. 5. In questa vicenda possiamo cogliere: a. Il tentativo di Foscolo di accantonare l’idea del suicidio scrivendo il romanzo. b. Gli atteggiamenti alfieriani, come lo scontro tra virtù individuale e i limiti della realtà. A divergere dall’Alfieri è il modo in cui Foscolo trasforma il modello alfieriano dell’eroe, portandolo ad una situazione diversa da quella alfieriana: il protagonista modellato da Foscolo, così come quello di Alfieri, aspira all’eroico, ma non trova spazio, poiché incontra solo la meschinità sociale e il silenzio della natura. 7.3.7 La maschera di Didimo Chierico Diverso dal personaggio di Jacopo Ortis è il protagonista dell’opera Notizia intorno a Didimo Chierico: Didimo, personaggio che l’autore usa come maschera di se stesso, è un intellettuale che ha conosciuto la vanità della società letteraria e si è confrontato anche con la durezza della vita militare. Nel suo disprezzo verso l’invadenza dei poeti, letterati, eruditi di ogni sorta, assume atteggiamenti ironicamente scettici, recitando la parte dell’erudito ed esprimendosi con linguaggi antichi. Didimo rappresenta una figura “di rinuncia”: egli si mette da parte e si rifugia in uno scetticismo che gli fa perdere qualsiasi valore. - Si tratteggia dunque un personaggio molto lontano dalla tragicità di Jacopo Ortis, un personaggio che intraprendendo la via del distacco, dell’ironia, dello scetticismo non culmina la sua vita in gesti estremi. - Curiose sono le annotazioni attribuite allo spirito paradossale di, personaggio immaginario usato dall’autore come maschera di se stesso. - La notizia intorno a Didimo Chierico presenta questo personaggio come una figura misteriosa ed esemplare, instabile e senza fissa collocazione nel mondo, estraneo ai tempi eppur capace di viverne le contraddizioni, - Didimo è un intellettuale che ha conosciuto la vanità della società letteraria e si è confrontato con la durezza della vita militare. La “notizia” si conclude riferendo del proponimento di Didimo di “ne più leggere ne scrivere” e del suo non aver lasciato altre notizie di se, salvo un breve epitaffio. 7.3.4 La poesia neoclassica dei sonetti e delle odi Nelle poesie di Foscolo, dalla storia redazionale alquanto travagliata, possiamo riconoscere: ● una tematica amorosa e galante che segue gli schemi della poesia arcadica ● una ripresa dei motivi della poesia antica; ● tracce di una tematica autobiografica inqueta 1. Un primo opuscoletto è andato perduto ma doveva contenere sette sonetti, che è difficile identificare con precisione ma che comunque furono certamente corretti e riadattati nelle edizioni successive. 2. Successivamente pubblicò un opuscoletto, chiamato Omaggio a Luigia Pallavicini, contenente otto sonetti tra cui l’ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e l’ode All’amica risanata, scritta per Antonietta Fagnani Arese. ● Negli otto sonetti la vena autobiografica è piuttosto marcata e trasporta nella lirica il rapporto conflittuale tra io e realtà. L’essere nel mondo si manifesta qui come contraddizione ed opposizione, in un confronto continuo con la morte ● Le due odi, al contrario, allontanano gli elementi autobiografici e l’irruenza dell’io ed esaltano la bellezza femminile come un valore assoluto: - Nell’ode all’amica risanata il poeta sembra voler investire di luce e di musica la figura femminile, sullo sfondo di delicate immagini neoclassiche e mitiche, arrivando ad elevare la donna fino alla dimensione sacra delle figure divine del mondo greco : la passione amorosa viene così distillata attraverso il mito e il poeta si volge inevitabilmente verso la terra madre, la Grecia 3. In seguito apparve un volumetto di poesie con undici sonetti a cui, più tardi, si aggiunse il sonetto Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo. ● Nei sonetti che appaiono in questo volumetto Foscolo supera i limiti dei sonetti precedenti e raggiunge una notevole capacità di elaborazione strutturale: rinnova la forma metrica, rompe i confini tra le quattro strofe e le adatta a un discorso ricco di rispondenze interne. ● Tra gli ultimi quattro sonetti più maturi c’è ⮚ Alla sera: l’oscura immagine di una quiete segreta è percorsa da spiragli minacciosi, dai richiami del negativo e dalla morte ⮚ Alla Musa: una meditazione sulla promessa di valore racchiusa nella poesia e sulla difficoltà di vivere in un’epoca di conflitti storici, oltre che individuali ⮚ A Zacinto: si condensano motivi autobiografici e mitici, tra cui il ricordo dell’isola dove il poeta è nato, la patria perduta, l’attesa della morte, il richiamo dei miti e della poesia greca. Tutte tematiche che convergono ad esprimere un desiderio di impossibile ritorno all’origine e all’infanzia felice. ⮚ Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo: è rivolto al fratello Giovanni, morto suicida nel 1801. La tomba appare l’unico luogo in grado di ricreare l’integrità della famiglia dispersa, di offrire al poeta la dolcezza della protezione materna. 7.3.5 Traduzioni e rapporti con i classici Negli stessi anni in cui Foscolo si dedica alla poesia, il poeta si concentra anche nello studio attento dei classici, realizzandone una convergenza che si traduce nell’esercizio poetico basato sulla traduzione dei classici. Traduzione e Commento de La Chioma di Berenice Un lavoro di particolare difficoltà, in quanto svolto su un poemetto di Callimaco il cui originale era andato perduto, noto soltanto attraverso la traduzione latina di Catullo. Foscolo, da abilissimo dilettante, si diverte inoltre a inserire nel commento richiami autobiografici, finte citazioni e riferimenti a testi insistenti, con intenzione ironica nei confronti degli studiosi professionisti. In questo contesto, Foscolo provava una spontanea predilezione anche per Omero, che riteneva dotato di grande respiro mitico. Durante il suo soggiorno in Francia dal si impegnò in un lavoro di traduzione omerica, che doveva continuare per tutta la vita, senza però portarlo mai a termine. - Il metodo di traduzione di Foscolo è opposto a quello di Monti: esso non mira a riproporre l’originale in una prospettiva moderna, bensì cerca di analizzare la densità di significati del suo tessuto linguistico al fine di ritrovarne nella parola italiana la medesima densità di significati di quella omerica. - Una sorta di sforzo ascetico, che aspira a far rinascere nella lingua moderna i valori addensati nella lingua originaria La società che egli vagheggia non si identifica ne con quella del regime napoleonico, ne con quella della restaurazione, è una comunità nazionale futura, legata alla tradizione classica, capace di dialogare con il proprio passato e di resuscitarne la virtù. E’ comunque una società fondata su una netta discriminazione tra le classi, dove agli scrittori spetta un ruolo di mediazione, educazione e testimonianza della verità. ● Nella sua breve esperienza all’università di Pisa Foscolo compì il suo massimo sforzo per definire il suo sistema ideologico, difatti i testi di quelle lezioni sono importanti per capire la sua idea di natura, di società, di letteratura. ● La funzione sociale della letteratura parte dalle origini storiche del linguaggio e guarda a Vico come al maggiore punto di riferimento. ● Dalla condizione ferina dello stato di natura, il consorzio sociale si sviluppa sul duplice fondamento della parola e delle istituzioni: mettono gli uomini in solidale comunicazione. ● La poesia, costruendo illusioni mitiche, fornisce la base essenziale allo sviluppo di questa comunicazione ● Secondo il letterato la vita sociale si fonda su un equilibrio tra padroni e servi, tra oppressori e oppressi. A dar forma a questo equilibrio sono le leggi. ● Ad attribuire valore a tale equilibrio sono invece gli scrittori che, collocandosi in una posizione intermedia tra oppressori e oppressi, hanno il compito di dire la verità. ● Nell’Orazione per laurea in legge pronunciata nel 1809 il pensiero di Foscolo si fa più esplicito: non esiste nessuna nozione di giustizia naturale e assoluta, il fondamento della giustizia risiede nella forza. ● La giustizia, diventa così possibile solo all’interno di comunità che sappiano ricondurre a un ordine superiore l’eterna lotta tra gli individui che le costituiscono. ● La giustizia si identifica allora come “ragion di stato” e si radica in una patria: diviene un mezzo che permette ad uno Stato di sopravvivere sia alle distruzioni naturali sia ai conflitti con gli altri stati. ● Non esiste quindi una giustizia assoluta, solo un perpetuo bilanciarsi tra bene e male. ● Affinché la forza non sfoci in violenza e oppressione, interviene la letteratura che, facendosi portavoce dei valori nazionali e dalla tradizione, argina e controlla la violenza. ● Si avvicina così ad alcuni degli aspetti più conservatori delle ideologie romantiche europee, ma dal Romanticismo vero e proprio lo separano il fatto che la tradizione a cui egli si richiama è quella classica, con i suoi più antichi valori mitici. ● In numerosi scritti successivi, la sua visione si incupisce e il tono della polemica diventa più aspro di fronte ad eventi che sembrano allontanare la possibilità di una positiva azione politica in Italia. ● Così Foscolo si scaglia indistintamente contro tutti i gruppi politici operanti in Italia 7.3.9 Le tragedie Un tentativo fallito di realizzare quella funzione di mediazione e di verità attribuita alle lettere dalle lezioni pavesi è la tragedia Ajace che venne rappresentata alla Scala ma incontrò un insuccesso clamoroso a cui seguì, dopo una seconda rappresentazione, la proibizione per allusioni al regime napoleonico. - Il tema della tragedia era la contesa tra i Greci durante l’assedio di Troia per l’eredità delle armi di Achille: Ajace, l’eroe più valoroso, deve cedere agli intrighi di Ulisse e si sottrae alle sue calunnie dandosi la morte. - Egli si pone come immagine esemplare della virtù solitaria, contrapposta all’arroganza dei potenti. Il linguaggio si mantiene su toni elevati e pose eroiche, per questo fu facile vedere nella figura del tiranno Agamennone un’immagine di Napoleone. 7.3.10 Le Grazie: composizione e struttura L’opera di Foscolo più affascinante e difficile è il poema le Grazie, dedicato allo scultore Antonio Canova, che in quel momento lavorava al gruppo marmoreo delle Grazie. Egli lavorò all’opera in periodi diversi senza mai arrivar però ad una sistemazione definitiva. Idee e progetti sul poema si accumularono per anni, ruotando intorno all’immagine delle Grazie, figlie di Venere che è il simbolo della bellezza e armonia dell'universo, le quali sono considerate da Foscolo delle divinità che stanno tra il cielo e la terra e hanno il compito di attuare nel mondo l'armonia per mezzo di quelle arti che rendono l'animo degli uomini più nobile predisponendoli alla civiltà. Ma il vero e proprio lavoro delle Grazie iniziò a Firenze e le prime fasi ci sono testimoniate da molteplici manoscritti. Dopo varie interruzioni, Foscolo riprese il lavoro durante l’ultimo soggiorno fiorentino, quando ordinò gran parte del lavoro in un fascicolo, indicato con il nome di Quadernone. Una volta tornato a Milano continuò ad assemblare altri versi, fino ad abbandonare totalmente il poema una volta arrivato in Inghilterra. Lo riprese solo parzialmente con alcune correzioni e varianti: le Grazie sono così considerate un poema in movimento, accresciutosi e trasformatosi negli anni, ma mai assettatosi in una struttura definitiva. Il componimento poetico riguarda le figure della mitologia greca delle Grazie, oltre a inni a Venere, Vesta e Pallade che, in accordo con il testo, hanno portato la civiltà fra uomini prima di allora rozzi e incivili. 1. Nel primo inno, dedicato a Venere, un'umanità ancora allo stato primordiale si trova ad assistere all'apparizione di Venere dal mare greco accompagnata dalle Grazie che fa scoprir loro la bellezza. Foscolo riprende il mito di Esiodo in cui Venere emerge dalla schiuma del mare, come mostrato anche nel dipinto di Botticelli La nascita di Venere. 2. Il secondo inno, che è dedicato a Vesta, la dea del focolare domestico, descrive invece il passaggio delle Grazie dalla Grecia in Italia. Si svolge a Bellosguardo dove si sta svolgendo un rito alle Grazie alla presenza di tre sacerdotesse che incarnano tre donne bellissime amate dal poeta. Rappresentano l'arte della musica, della poesia, della danza e ispirano nel cuore degli uomini una grande armonia. Al rito, dove sono invitati garzoni e donzelle che rappresentano il coro, - la prima donna suona l'arpa in modo così soave da rievocare l'armonia di tutto l'universo, - la seconda donna porta in omaggio votivo un favo, simbolo della dolcezza della parola e pertanto dell'arte poetica , mentre - la terza donna offre un cigno alla vice-regina d'Italia e danza con mirabile grazia. 3. Nell terzo inno, dedicato a Pallade, le Grazie si rifugiano nei continenti di Atlantide dopo aver abbandonato l’orrore della civiltà corrotta e incapace di bellezza e da dove, per iniziativa di Pallade, vengono inviate di nuovo in mezzo agli uomini, ma coperte di un velo che le protegge dagli sguardi indiscreti. Foscolo aspira a un poema allegorico che rievochi immagini filosofiche, morali, civili. Tuttavia, all’aspetto allegorico si lega una finalità didattica, ovvero la volontà di infondere ai giovani i valori civili più alti, la compassione e il pudore. Tra il 1815 e il 1861: Restaurazione e rivoluzioni europee Dopo la tempesta della rivoluzione e delle guerre napoleoniche, l’Europa sembra tornare agli equilibri e alle strutture sociali di Antico regime. E’ quella che gli storici sono soliti chiamare l’età della Restaurazione, che conserva i suoi caratteri più significativi almeno fino al 1930. - Gli anni trascorsi hanno però creato in Europa grandi mutamenti scuotendo definitivamente il prestigio e la sicurezza di valori e di poteri costituiti. - La borghesia ha acquisito una nuova coscienza di se, come protagonista dello sviluppo economico e sociale, sente che questo la autorizza pienamente ad assumere la direzione della vita politica. - Si aprono nuovi spazi imprenditoriali e le prime forme della rivoluzione industriale si estendono dall’Inghilterra ad altri paesi europei. - Nella politica domina il legittimismo, nell’economia e nella vita sociale si assiste a una nuova mobilità. Il sistema sancito dal congresso di Vienna è sostenuto dalla Santa Alleanza, volto a reprimere ogni tentativo di mettere in crisi i principi legittimistici. L’Inghilterra non entrandone a far parte, si identifica come l’unico spazio “libero” d’Europa. Proprio l’Inghilterra è ad imporsi come massima potenza mondiale, grazie alle sue eccezionali ricchezze, alla sua inarrestabile espansione economica, che la porta sui mercati di tutto il mondo e la spinge ad allargare sempre di più il suo impero coloniale. Una serie di moti e di vere e proprie rivoluzioni turba molto presto l’assetto creato dal Congresso di Vienna: - La Grecia e le colonie dell’America Latina conquista l’indipendenza nazionale - In molti paesi si sviluppa una opposizione ai regimi assoluti, con l’azione di società segrete. Gli obiettivi di questa opposizione sono inizialmente di tipo liberale, si risolvono nella richiesta di costituzioni che offrano garanzie di libertà politica ed economica; ma in molti paesi si orientano in senso “nazionale”, si traducono nella rivendicazione di indipendenza dal dominio straniero. - Un primo forte squilibrio, si ha con i moti del 1820-21, duramente repressi - La rottura risolutiva del sistema assolutistico si opera in Francia, con la rivoluzione del Luglio 1830, che porta alla cacciata dei Borboni e all’istaurazione della monarchia costituzionale di Luigi Filippo d’Orleans. - La conseguenza immediata è una nuova rivoluzione in Belgio, dove s’istaura un governo costituzionale indipendente ed una serie di moti in Italia e Polonia - Dopo anni di tensioni si giunge alla generale ondata rivoluzionaria del 1848, che ripropone con forza le prospettive nazionali e liberali - Le rivoluzioni del ’48 sembrano minacciare non solo l’ordine politico assolutistico, ma lo stesso ordine sociale borghese: dopo una prima insurrezione a Palermo, anche questa volta è dalla Francia (da dove viene cacciato il re borghese d’Orleans e proclamata la repubblica) che si diffonde il movimento rivoluzionario - Poco dopo insorge Vienna, costringendo l’imperatore a proclamare l’assemblea costituente - Tali rivolte tuttavia inizieranno poi ad arretrare - Il ritorno all’ordine vede rafforzarsi l’impero austriaco, sotto il nuovo imperatore Francesco Giuseppe, il progressivo orientarsi dei minori stati tedeschi verso un riconoscimento del ruolo dominante della Prussia - La formazione in Francia di un nuovo regime autoritario appoggiato dai borghesi e dalle classi medie, con aspetti liberali (retto da un nipote di Napoleone, Luigi Napoleone, imperatore dei francesi con il nome di Napoleone 3) - Il consolidarsi in Italia un regime liberale nel regno di Sardegna Gli anni 50 sono caratterizzati da un grande sviluppo economico, la guerra in Crimea argina l’espansionismo russo; seguiranno gli eventi che portano all’indipendenza dell’Italia. Sviluppo industriale e capitalismo Si impongono nettamente il capitalismo e il modo di produzione capitalistica, che vedono la classe borghese come protagonista e soggetto arrivo. Nella grande borghesia acquista un rilievo particolare non solo chi gestisce aziende industriali, ma anche chi controlla il capitale e la circolazione del denaro: nel sistema economico diventa essenziale la funzione finanziaria delle banche. All’espansione della ricchezza borghese si accompagna però la maturazione di una nuova coscienza nel soggetto passivo del capitalismo, il proletario, che cerca di organizzare la sua presenza all’interno del mondo industriale, e giunge a rivendicare essenziali diritti. Si elaborano così i primi protagonisti del socialismo e del comunismo. Molti momenti dell’esistenza quotidiana cominciano ad entrare nel ciclo della produzione industriale: anche le forme di intrattenimento tendono ad assumere caratteri industriali, a entrare in un sistema di produzione in continua espansione. Periodizzazione e centri culturali Data la rilevanza del problema nazionale, nella storia della letteratura italiana della Restaurazione e del Risorgimento si possono distinguere fasi che corrispondono grosso modo agli sviluppi delle vicende politiche. Sondo distinguibili circa tre fasi: - 1815-30: sono gli anni più chiusi della Restaurazione, gli anni dell’attività della Carboneria e del primo definirsi di una coscienza liberale e nazionale. In letteratura sono caratterizzati dalla scoperta del Romanticismo, dalle polemiche tra classici e romantici, dell’attività di riviste come il “conciliatore” e l’”antologia”. - 1830-48: La Francia, con l’istaurazione della monarchia borghese di Luigi Filippo d’Orleans e lo sviluppo del suo romanticismo, è di nuovo un fondamentale punto di riferimento della sua cultura. Emerge in Italia una cultura “militante” che si pone esplicitamente il problema dell’azione e dell’educazione nazionale. Si configura il quadro ideologico del Risorgimento, con lo svilupparsi due opposti orientamenti: quello liberale-moderato e quello democratico-repubblicano. Emerge intanto una seconda generazione romantica. - 1849-61: tra le rivoluzioni e la realizzazione dell’unità si assiste a un coinvolgimento ancora più forte degli intellettuali nell’attività politica: il centro di questo fervore è la libera Torino. All’elaborazione ideologica tende a sostituirsi, un po’ ovunque, il confronto con la realtà, la ricerca concreta. La rivoluzione romantica Il romanticismo influenza in modo decisivo l’arte, la letteratura, l’ideologia europea nella prima metà del XIX secolo: esso genera una vera rivoluzione che ci induce a definire l’intero Ottocento il “secolo romantico” e segna un profondo distacco con il secolo precedente, quello illuministico. E’ per tal ragione che si usa vedere nel romanticismo in primo luogo una reazione all’illuminismo, una riscoperta cioè del sentimento in opposizione alla ragione. È possibile riconoscere alcuni caratteri generali del Romanticismo: ● L’individualismo: visto come esaltazione della libertà assoluta dell’individuo e come manifestazione del suo genio. ● Riscoperta e l’affermazione dei valori nazionali: si rifiuta l’ideale illuministico di una universalità della ragione e dell’uomo e si rivendica il valore dei caratteri originali di ogni singola nazione. ● Passione per il mondo medievale, per i suoi miti e le sue credenze, e in una rivendicazione del valore della religione, capace di dare un senso alla vita dei popoli e dei singoli individui. ● Concezione della natura come organismo vivente, di cui l’uomo è pienamente parte: la natura è lo specchio dei sentimenti e delle passioni dell’uomo, perché anche essa è animata da sentimenti e passioni, perché in essa circola un flusso vitale, una profonda forza indistinta che ha caratteri divini. - Se nel pensiero illuministico prevaleva la visione meccanicistica della natura, vista soprattutto come un sistema di forze estraneo all’uomo: ora invece in essa si riscopre un principio spirituale. - Strumento importante per comunicare della natura è per i romantici la poesia: la poesia ha bisogno del simbolo, che condensa immaginazione e significati profondi e segreti, e dell’analogia, che crea corrispondenze tra gli aspetti anche lontani della natura e dello spirito. ● Il culto della storia: l’ideologia romantica concentra la sua attenzione sulla condizione dell’io, sul suo rapporto con la natura e con la storia, sul senso del divenire e della tradizione. ● La tematica amorosa: il terreno di più intensa manifestazione romantica è quello dell’amore, in questa esperienza si esprime la forza di un’assoluta totalità: la donna, creatura divina e terrena, partecipa alla vita borghese ma nella sua bellezza e nella sua dolcezza rivela qualcosa di sovraumano ed eterno, offre una promessa di felicità infinita. ● Manifestazioni del negativo: tutto ciò che è oscuro è apprezzato nel romanticismo. Tenta la rappresentazione della follia, della rovina, di tutto ciò che distrugge l’anima. Predilige eroi che portano in se la distruzione e la malattia, votati al fallimento. ● Antico ed esotico ma anche rappresentazione del quotidiano 8.2 Tendenze e fasi del romanticismo europeo In Germania prima di ogni altro paese si cercano forme espressive completamente nuove, che intendono dar voce a un mondo storico-popolare o ad una irriducibile soggettività. Ricordiamo Goethe e Schiller. Si propone una distinzione tra due aspetti della poesia: - Ingenua: poesia degli antichi, nata dal diretto contatto con la natura, oggettiva ed impersonale - La sua eredità però venne raccolta nella “Antologia” e nel sermone “sulla mitologia” del Monti. - La linea classicista risultava comunque sconfitta ; si imponeva una versione moderata e semplificata delle posizioni romantiche. - Tale polemica tuttavia ruotò attorno pochi problemi fondamentali: Quello dell’uso della mitologia classica (a cui i romantici opponevano la storia, la modernità o l’immaginazione popolare) - Rapporto con le letterature straniere (osteggiato dai classicisti) - Rispetto delle unità drammatiche e delle regole aristoteliche L’orizzonte che ne scaturisce, appare spesso limitato e provinciale: ci si accanisce su particolari inessenziali. Tra gli interventi classicisti ricordiamo Pietro Giordani ed il suo attacco alla poesia dialettale: vedeva il segno dell’irriducibile particolarismo italiano, che doveva essere superato nella pratica comune della lingua nazionale. 8.2.6 Il gruppo del Conciliatore Ma cos’è questo Conciliatore? Nella battaglia romantica sviluppatasi nel 1816 si trovarono insieme molti intellettuali già operanti a Milano: Berchet, Borsieri, di Breme, Pellico. Dalla loro collaborazione e con il sostegno finanziario di Lambertenghi e Confalonieri, aristocratici progressisti, nacque un periodico liberale in opposizione alla liberale Biblioteca italiana, intitolato Il Conciliatore, poiché si proponeva di conciliare gli intellettuali rivolti al pregresso e alla ricerca della modernità. Si trattava di un elegante foglio azzurro che doveva uscire due volte la settimana a partire dal settembre 1818 ma che fu represso nel 1819 a causa della censura austriaca. Le sue materie erano ripartite in 4 parti: 1. scienze morali 2. letteratura e critica 3. statistica, economia, manifatture, agricoltura, arti e scienze 4. tutto ciò era finalizzato a formare una coscienza italiana Nel gruppo del Conciliatore i personaggi dotati di maggiore lucidità ideologica furono Pietro Borsieri, Giuseppe Pecchio e Ludovico di Breme. 1. Il primo stese il Programma del Conciliatore, ma il suo fervore intellettuale fu stroncato da 14 anni di carcere a cui succedettero 4 anni di esilio in America. 2. Giuseppe Pecchio intrecciò interessi letterari storici ed economici, cercando di mettere in luce il legame della letteratura con i fatti economici e durante l’esilio la sua attività fu molto ricca. 3. Ludovico di Breme 8.2.7 Ludovico di Breme La vita e l’intelligenza di Ludovico di Breme furono stroncate dalla sua malferma salute, che gli causò una morte precoce a 30 anni. 1. Dopo aver compiuto studi filosofici e linguistici, egli era stato ordinato sacerdote e aveva ricoperto incarichi ufficiali presso la corte del Regno italico. 2. Dotato di una grande cultura internazionale, aveva intrecciato rapporti con Madame de Stael e con il gruppo di Coppet. 3. Il suo interesse era rivolto soprattutto sulle saggistiche, in cui la riflessione critica e teorica si intreccia alle domande sull’esistenza e sulla società, in un’ottima molto autobiografica. Per questo motivo sono interessanti le sue lettere, che documentano i suoi fitti rapporti culturali, il percorso dei suoi giudizi sulla situazione contemporanea e il suo orientamento laico, legato a una ricerca di religiosità costante. 8.2.8 Giovanni Berchet Ebbe un impiego come traduttore presso l’amministrazione statale. La sua Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo è il più celebre tra gli interventi nella polemica classico-romantica: La lettera può essere divisa in due parti, nella prima spiega al figlio gli aspetti negativi della letteratura romantica. Questa prima parte la considera comica, infatti mette in evidenza la predilezione per gli aspetti fantastici, per il linguaggio popolare. ⮚ Berchet tentò egli stesso un tipo di poesia popolare con I profughi di Parga, che prende spunto dal tradimento dell’Inghilterra ai danni della città greca di Parga, lasciata in balia del turco Alì Pascià. Nella prima parte si ottiene così una lettura ironica, quasi comica, da cui il titolo “lettera semiseria”, che tuttavia diviene “seria” nella seconda parte della lettera. Nella seconda parte della lettera, infatti, Berchet è serio nell'elencare gli aspetti positivi del Romanticismo, è infatti la parte in cui espone il suo punto di vista su questa corrente culturale. Afferma che il carattere essenziale della poesia è la popolarità, il suo rapporto con la coscienza del “popolo”: per popolo Berchet intende un ampio strato di pubblico medio, disposto ad aprirsi all’emozione poetica, da cui sono esclusi quelli che chiama “parigini”, troppo raffinati e smaliziati, “ottentotti”, cioè la plebe ignorante e indifferente alla cultura. Berchet tentò questo tipo di poesia popolare con “i profughi di Parga”, componimento in metri diversi; prende spunto dal tradimento dell’Inghilterra ai danni della città greca di Parga, lasciata in balia del turco Alì Pascià. Affiliatosi alla Carboneria, riuscì a sfuggire alla repressione austriaca; abbandonò Milano, si rifugiò a Parigi (pubblicò le “romanze”), si trasferì in Belgio per poi rientrare in Italia fino alla morte, avvenuta a Torino nel 1851, su posizioni moderate e filosabaude. Caratteri fondamentali della poesia di Berchet sono: ● la sperimentazione di metri concitati (il decasillabo) ● la combinazione di forme metriche molteplici ● una passione politica e patriottica molto forte Il suo linguaggio non riesce a fare a meno di termini classicheggianti o arcaici, ma che spesso si intrecciano a termini ruvidi e grezzi, che generano effetti molto artificiosi, tanto da collegarsi al linguaggio del melodramma. 8.2.9 Silvio Pellico Egli rappresenta i caratteri del primo Romanticismo italiano e il terribile effetto di chiusura dei suoi aspetti più vivaci e moderni operato dalla repressione austriaca. 1. Legato da una grande amicizia a Foscolo, Pellico orientò in un primo momento le sue scelte in senso laico e addirittura anticlericale, e si impegnò soprattutto nella scrittura tragica, ottenendo un grande successo con la Francesca da Rimini. Per la sua adesione alla Carboneria, fu arrestato a fine del 1820 e condannato a morte nel ’22: successivamente la pena gli venne commutata in carcere e qui vi rimase fino al ’30 quando fu graziato e tornò a Torino, per morire nel ’54. 2. L’esperienza del carcere generò in lui una grave crisi religiosa che lo portò a un cattolicesimo austero e chiuso in un totale affidamento alla volontà divina. Da questa condizione spirituale nacque Le mie prigioni, scritto all’uscita dal carcere. All’opinione pubblica europea Le mie prigioni mostrarono tutta la durezza e l’ingiustizia della repressione austriaca, ma nelle intenzioni dell’autore non avevano nessun proposito di denuncia: esse erano una testimonianza di un’accettazione cristiana del proprio destino, presentavano le sofferenze in un mondo dominato dal male, ma in cui barlumi di carità e di pietà si rivelano nei piccoli gesti. 8.2.11 Gli intellettuali dell’Antologia L’eredità del Conciliatore fu raccolta a Firenze dall’Antologia, un nuovo periodico guidato da Giampietro Vieusseux, aperto alla discussione di problemi culturali, tecnici, scientifici. Tra i più importanti personaggi del gruppo ricordiamo Niccolò Tommaseo. - L’Antologia approfondì l’impegno politico e sociale del Conciliatore, avvantaggiandosi del clima più libero che si respirava nel Granducato di Toscana, e si pose in una prospettiva dichiaratamente europea. - Relativamente indifferente alla polemica tra classici e romantici, mirò principalmente a rammendare la frattura che la polemica aveva creato nel mondo intellettuale italiano. - Inoltre alla rivista interessavano solo la divulgazione di materiali culturali socialmente utili al fine di creare una società basata sullo spirito di collaborazione e sull’uso intelligente dei nuovi strumenti tecnici. - L’Antologia affermò sempre più il suo orizzonte di italianità, entro un progetto di progresso per l’intera nazione: da ciò vari contrasti con la censura, che portarono alla sua soppressione nel luglio del ’33. 8.3. Alessandro Manzoni 8.3.1 La vita Alessandro Manzoni si colloca in caratteri familiari, sociali, culturali, all’interno di un’aristocrazia terriera legata agli ambienti dell’Illuminismo lombardo. Il padre Pietro, ricco proprietario terriero con scarsi interessi intellettuali, aveva sposato in seconde nozze e quasi cinquantenne, la giovane Giulia Beccaria, figlia di Cesare, dalla quale Alessandro nacque il 15 Marzo 1785. Molto forti furono i contrasti tra Giulia e il marito e portarono a una separazione legale; nel ’95 la donna andò a vivere in Inghilterra e poi a Parigi. 1. Lontano dalla madre, Alessandro entrò nel collegio dei Padri somaschi che per sottrarsi all’occupazione francese, si trasferirono a Milano. Durante il periodo napoleonico, a Milano, compì i suoi primi esperimenti letterari sentendosi vicino agli ideali della rivoluzione. Il padre, per sottrarlo alla vita libera di Milano e ai suoi rapporti con gli ambienti repubblicani, lo trasferì a Venezia presso il cugino, la cui morte costrinse Alessandro a tornare a Milano. 2. Alla notizia della morte di Carlo Imbonati, compagno della madre, l’autore raggiunse la madre a Parigi, modello di libertà e di apertura mentale e da quest’incontro i due non si separarono più. A Parigi egli scrisse il carme In morte di Carlo Imbonati e conobbe Claude Fauriel: in egli, il che a volte traspaiono nelle sue scritture. 8.3.4 Gli Inni sacri Durante l’ardore della sua conversione, Manzoni mette mano a una nuova poesia che abbandona i modelli neoclassici e gli schemi nella letteratura italiana del primo 800: egli progetta una serie di dodici Inni sacri, dedicati alle fondamentali festività della liturgia cattolica, con il proposito di rifarsi anche ai lontani modelli della poesia cristiana antica e medievale. 1. Inizialmente ne vengono composti quattro: La Risurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione. A partire dal ’17 iniziò la composizione di un altro inno, La Pentecoste In questa poesia religiosa, Manzoni esprime un suo bisogno di aderire a valori collettivi e rituali, prendere parte ad una comunicazione “corale”. Le feste cattoliche, appaiono come le forme di un presente che si ripete, come il rinnovarsi di eventi sacri che hanno impresso un segno originario ed eterno sulla mutevolezza della storia. - La voce del poeta si immerge in mezzo al popolo che vive il rito e nello stesso tempo partecipa allo scontro sempre in atto tra il bene e il male. Questa nuova poesia è caratterizzata da una fisicità pur molto simbolizzante e da una vigorosa “conflittualità”: si addensano figure concrete, tratte da una natura viva. Rivitalizzati dal soffio divino, gli aspetti della natura sembrano riscoprire la loro giovinezza, ma spesso la stessa presenza divina infonde alla natura una forza minacciosa e rovinosa. ● L’inno più riuscito è sicuramente la Risurrezione, in strofe di ottonari, con un ritmo incalzante e basato su una serie di immagini che affermano la gioia della risorgere della vita nel segno della risurrezione di Cristo. ● Il nome di Maria invece, su strofe saffiche, è scandito da un tono più debole, come in una misura liturgica che vuole ricordare i modelli delle lodi mariane. ● Il Natale, in settenari, inizia in modo vigoroso ma poi subisce un abbassamento di tono di tipo convenzionale. Il Natale del 1833 fu scritto per l’anniversario della morte di Enrichetta e fa emergere angosciosi frammenti di dolore e di fede: l’autore interroga Dio sulle ragioni della sofferenza. Questo è un confronto del poeta, afflitto per la perdita della moglie, con un “Dio terribile”. ● Il meno riuscito invece è la Passione, in strofe di decasillabi, composta stancamente nella fase della prima caduta napoleonica e della restaurazione austriaca. 2. Iniziò poi la composizione di un altro inno che però rimase incompiuto, La Pentecoste. ● La struttura del testo è composta da tre ampie sezioni, in cui si suddivide il ragionamento di Manzoni. Nella prima il poeta traccia una storia universale della Chiesa. Poi spiega che il messaggio cristiano è davvero democratico perché, di fronte alle ingiustizie e alle iniquità del mondo pagano, proclama la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza di tutti gli uomini. Le ultime strofe sottolineano l’effetto positivo della discesa dello Spirito Santo sull’umanità e ribadiscono il valore universale e collettivo della fede. Gli Inni Sacri sono scanditi da una contraddittorietà molto sottile: ● Nel loro insieme, gli Inni sacri cercano di imporsi con energia e vigore, ma conoscono momenti opachi. ● Essi sono scanditi da una parte continue innovazioni soprattutto sintattiche, dall’altra sopravvivenze di ritmi e movenze di linguaggio melodrammatico. Manzoni così ambisce a rifare in chiave moderna il linguaggio della poesia biblica: ma il linguaggio che egli utilizza appare artificioso, come se fosse sforzato. 8.3.5 Prove di poesia civile In quegli anni Manzoni tentò una poesia civile ispirata ai valori di una religione combattiva. Nel momento cruciale del passaggio dalla dominazione napoleonica alla restaurazione austriaca egli scrisse due canzoni civili rimaste incompiute: - Aprile 1814, per le speranze suscitate dalla cacciata dei Francesi dall’Italia, e - Il proclama di Rimini, in appoggio al disperato tentativo di Murat di mantenere uno Stato italiano indipendente. Un ritmo intenso è invece quello dell’ode Marzo 1821, scritta nel clima di speranze suscitato in quel periodo dalla politica piemontese e dall’ipotesi che il reggente Carlo Alberto potesse muovere una guerra contro gli austriaci, in appoggio ai moti carbonari; di quest’opera Manzoni distrusse il manoscritto, per timore di persecuzioni politiche, ma che poi trascrisse a memoria nel ’48 e fu pubblicato insieme al Proclama di Rimini. 8.3.6 La scrittura tragica e Il conte di Carmagnola Manzoni, in consonanza con i primi sviluppi della polemica romantica italiana, elaborò dopo il ’15 una sua idea di tragedia storica, che: 1. rifiutava le tradizionali unità aristoteliche di tempo e luogo ⮚ Il rifiuto delle unità aristoteliche di tempo e spazio è espletato da Manconi nella Lettre à Monsieur Chauvet. Si tratta di un vero manifesto di poetica, in cui Manzoni precisa il senso del suo rifiuto, comune a tutti i romantici, delle unità di tempo e luogo, vedendo in esse il supporto di un tipo di teatro che si fonda su una tematica amorosa astratta e pericolosa: una tragedia moderna, al contrario, deve fondarsi sulla storia e sulla complessità degli eventi reali, e mai assumere un aspetto di artificiosità temporale e spaziale. 2. cercava un intreccio più mosso di quadri storici 3. con l’obiettivo di suscitare una più complessa coscienza critica, capace di distinguere tra bene e male. I primi documenti di questa ricerca sulla tragedia confluirono nel Conte di Carmagnola, in cui Manzoni sostiene che in opposizione alla tragedia classicistica incentrata sui “desideri”, la nuova tragedia storia deve mettere in luce le sofferenze: - gli eroi tragici devono essere degli innocenti i cui patimenti e dolori mostrino i limiti della condizione terrena. - La coscienza dello spettatore così viene indirizzata verso due virtù cristiane: la rassegnazione e la speranza. - La rappresentazione di una realtà autentica e non romanzesca: il linguaggio coerentemente dovrà liberarsi dei pesi della tradizione classicistica, avvicinarsi all’oggettività e intensità di quello Shakespeariano - Nella tradizione italiana non era possibile trovare dei precedenti in questa tradizione. Di cosa parla la tragedia? I cinque atti mettono in scena la vicenda del condottiero quattrocentesco Francesco Bussone, conte di Carmagnola, vincitore della battaglia di Maclodio, ma poi accusato di tradimento e condannato a morte dal governo della Repubblica. - Manzoni sostiene la tesi dell’innocenza del conte, facendo di lui l’eroe virtuoso, condotto alla rovina dagli intrighi politici. L’azione procede per stazioni separate: dal momento in cui il senato veneto attribuisce il comando delle truppe al Carmagnola; al fronteggiarsi dei due eserciti a Maclodio, alla prova di generosità (libera tutti i prigionieri), al sospetto che questo gesto suscita nei magistrati veneziani, fino alla condanna finale del Carmagnola e al suo ultimo incontro con moglie e figlia. Il punto più alto della tragedia è costituito dal coro della battaglia di Maclodio. - Introduce il punto di vista opposto a quello dell’eroe: mostrando la profonda irrazionalità della stessa virtù militare. La battaglia qui vi appare non come un’inevitabile scontro di forze, bensì come una strage irrazionale tra italiani che finiscono per morire al servizio di un cieco sistema di potere, mentre lo straniero si accinge a scendere in Italia approfittando di queste divisioni. Più ampia è invece la condanna della guerra e della violenza: come stolti sono coloro che combattono nonostante siano fratelli, stolti sono anche gli stranieri che approfittano delle divisioni. ⮚ Subito dopo la conclusione della prima stesura Manzoni fornì una sintesi chiara delle idee romantiche in una lettera privata al marchese d’Azeglio, pubblicata poi senza il suo consenso. In questo scritto egli distingue nel romanticismo una parte negativa, rivolta contro la mitologia, l’imitazione, e una parte positiva, riassumibile nel principio secondo il quale “la poesia e la letteratura in genere debba proporsi l’utile come scopo, il vero come soggetto e l’interessante per mezzo”. 8.3.7 L’Adelchi Il genere tragico è stato approfondito da Manzoni durante il suo soggiorno parigino, dando vita all’Adelchi, tragedia incentrata sul rapporto e lo scontro tra popoli e razze diverse sul suolo d’Italia. Utilizzò l’evento storico legato alla caduta del dominio longobardo in Italia in seguito alla discesa dei franchi di Carlo Magno, chiamati dal papa. Tale evento storico poteva suggerire confronti con avvenimenti più recenti, che avevano visto l’italia teatro dello scontro tra Francesi ed Austriaci. concentrazione artificiosa del tempo e dello spazio. 8.3.10 Il Cinque Maggio Caso unico nell’attività letteraria di Manzoni, il Cinque Maggio fu composto di getto alla notizia della morte di Napoleone, avvenuta a Sant’Elena il 5 maggio 1821. Già dopo pochi mesi l’ode veniva presentata alla censura e ciò non ne permise la pubblicazione, ma circolarono copie manoscritte in Italia e fuori. Il fascino del personaggio che aveva sconvolto l’Europa qui riemerge sotto il potente segno della morte: - per un momento il poeta abbandona la sua ricerca di valori collettivi e guarda alla vicenda di un individuo, che nella vita ha comunque dato prova di un eroismo finalizzato alla ricerca della gloria e del potere, e che alla fine, è stato sconfitto. - Porto sicuro affinché tale individuo si liberi dalla disperazione causata dalla sconfitta è, nell’immaginario dello scrittore, la pace offerta dalla religione. I PROMESSI SPOSI 8.3.12 Genesi e storia del romanzo La ricerca di un pubblico nazionale non poteva trovare una realizzazione nella scrittura tragica. Per questo l’autore si accostò al romanzo storico, sotto l’effetto della lettura dei romanzi di Walter Scott e soprattutto dell’Ivanhoe. 1. La prima redazione del romanzo fu conclusa nel ’23 in un manoscritto diviso in 4 tomi, che non recava titolo ma che probabilmente era designato con i nomi dei due protagonisti, Fermo e Lucia. 2. Una volta terminata la prima redazione, Manzoni ne intraprese subito una vasta riscrittura e rielaborazione. Questo lavoro mutò radicalmente i connotati del romanzo, che trovò nuova sistemazione in un manoscritto al quale fu dato il titolo Gli sposi promessi, cambiato poi nei promessi sposi. 3. Durante il lavoro che aveva portato dalla prima redazione all’ultima, Manzoni aveva tentato una toscanizzazione della lingua, spinto dal proposito di comunicare con un pubblico di orizzonte nazionale, e dopo varie riflessioni sulla questione linguistica, aveva indirizzato i suoi interventi verso la lingua viva usata nella Toscana contemporanea. Egli così progettò una revisione del romanzo e per far ciò si recò a Firenze per immergersi nel fiorentino parlato dalla borghesia. Nel ’28 però varie disgrazie familiari lo allontanarono dal romanzo, su cui tornò a lavorare soltanto dieci anni dopo: ancora in corso di stampa, il testo continuò ad essere corretto, tanto che abbiamo esemplari diversi tra loro. 8.3.13 Il romanzo e la storia Il romanzo manzoniano è ambientato nella campagna lombarda, tra l’Adda e il lago di Como, e a Milano nel periodo in cui quella zona fu sconvolta dalla guerra dei Trent’anni, da una carestia e poi dalla peste (1628-30): al suo centro ha la storia di due umili popolani ma chiama in causa personaggi ricci e potenti, vere e proprie personalità storiche, grandi eventi sociali e collettivi. La scelta dell’ambientazione lombarda, è legata ad una volontà di radicare la rappresentazione in un mondo ben noto all’autore, amato da lui e dal pubblico a lui più vicino. - Propone un quadro storico abbastanza lontano da quello contemporaneo, ma non immerso nell’aura leggendaria del Medioevo e tale da rendere una rappresentazione realistica, appoggiata su una precisa documentazione storica. La situazione della Lombardia del Seicento, sottoposta alla dominazione spagnola, permette di chiamare in causa la situazione della Lombardia contemporanea, sottoposta alla dominazione austriaca; quel mondo 700esco ha insomma certi tratti in comune con quello presente col sollievo di chi si è liberato da forme di vita intollerabili. Il primo strumento di distanziamento è l’espediente del manoscritto ritrovato (l’autore finge di aver trovato un manoscritto del secolo XVII che narra la storia milanese e inizia il romanzo fingendo di trascriverne le parti iniziali con il linguaggio seicentesco; - ma dopo poche pagine inizia a raccontare la storia del manoscritto per conto proprio e con proprio linguaggio) è dimostrazione della volontà da parte dell’autore di mescolare passato storico e presente, che è anche mescolanza tra oggettività storica e invenzione narrativa: difatti la scelta del secolo XVII pone il romanzo in un quadro storico abbastanza lontano da quello contemporaneo, ma non abbastanza per immetterlo nel periodo medievale. 8.3.14 Il Fermo e Lucia La prima redazione del lavoro può apparirci assai diversa da quello che poi sarà I promessi sposi. Questa prima stesura del romanzo si basa su blocchi narrativi compatti, quasi autonomi, che invece ne i promessi sposi appariranno più omogenei e meglio collegati tra loro. È divisa in quattro tomi: 1. Il primo è dedicato agli ostacoli frapposti alle nozze di Fermo (che poi diventerà Renzo) e Lucia, alla loro fuga dal villaggio. 2. Il secondo narra le vicende di Lucia, accolta nel monastero di Monza da Gertrude e poi fatta rapire con la complicità della monaca da Don Rodrigo e dall’innominato, fino al momento in cui questi, in preda ai rimorsi, decide di recarsi dal cardinale Federigo Borromeo, in visita nella zona; 3. Il terzo tomo, dopo la conversione dell’Innominato, tratta della liberazione di Lucia e la sua collocazione in casa di don Ferrante, sulle vicissitudini di Renzo, sulle sue avventure milanesi, fino alla fuga nel Bergamasco 4. Il quarto è dedicato alla guerra e alla peste e si conclude con il ritorno di Renzo, il ritrovamento con Lucia e lo scioglimento della vicenda. Lunghe digressioni sono costituite dalla presentazione di altri personaggi o da problemi morali, letterari, sociali. Per la presenza di narrazioni autonome e di digressioni di vario genere, il Fermo e Lucia è simile a un romanzo “saggistico”; procede per assaggi di prospettive diverse, proponendo sottili analisi morali. Il moralismo di Manzoni è molto più esplicito qui che nei Promessi sposi: qui la separazione tra bene e male è molto più radicale, non ammette sfumature. Da una parte ci sono gli umili e i religiosi che li sostengono, dall’altra i potenti e coloro che cedono al loro volere; tra i due gruppi non sembra essere possibile nessuna vera comunicazione. Non solo i personaggi negativi, ma anche quelli positivi sono sottoposti a quest’analisi morale. La comunicazione sociale sembra spingere inevitabilmente anche i buoni all’occultamento, all’accecamento. I Promessi Sposi: struttura e movimenti narrativi La più generale struttura narrativa dei Promessi sposi si ricollega a uno schema romanzesco tradizionale, quello di due giovani innamorati la cui felicità è ostacolata da forze nemiche ma che poi, dopo varie peripezie, riescono a ritrovarsi e a sposarsi. La differenza sta nel fatto che questo schema tuttavia viene privato di tutti i tradizionali risvolti erotici, avventurosi e fantastici, e integrato in un orizzonte di saldi valori morali e religiosi, il cui avvicendarsi non termina nel classico lieto fine: la scrittura manzoniana non vuole essere ricerca di una serena felicità ma vuole essere più che altro una ricostruzione dello scontro tra: ● le forze che ostacolano la normale esistenza dei due giovani promessi sposi ● le forze che invece vengono in loro soccorso Secondo la definizione di Italo Calvino, nei Promessi Sposi si può riconoscere “il romanzo dei rapporti di forza”. Oltre che nelle grandi componenti naturali e sociali, gli essenziali poli di forza del romanzo vanno riconosciuti nei personaggi, assai numerosi e distribuiti in ragione dei loro caratteri sociali.
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