Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Storia della letteratura spagnola - Vol. 1, Prove d'esame di Letteratura Spagnola

Riassunto del manuale "Storia della letteratura spagnola". autori: Alvar, Mainer, Navarro vol. 1, fino all'età dell'oro. completo .

Tipologia: Prove d'esame

2015/2016
In offerta
40 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 14/01/2016

Teatro.Vita
Teatro.Vita 🇮🇹

4.6

(81)

10 documenti

1 / 64

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Storia della letteratura spagnola - Vol. 1 e più Prove d'esame in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! STORIA DELLA LETTERATURA SPAGNOLA PARTE PRIMA: IL MEDIOEVO CAP 1 - DALLA FINE DELL’ XI SEC. AGLI INIZI DEL XIII Momento molto importante per la società castigliana: la crescita demografica porta al ripopolamento di ampie zone del territorio e allo stesso tempo fioriscono gli insediamenti urbani con fini commerciali dove prima l’economia era prevalentemente rurale (agricoltura e allevamento). ALFONSO VI (asceso al trono grazie alla morte di suo fratello Sancho II. Ascesa che diviene argomento di molti cantares de gesta) è il re castigliano che domina la seconda metà del XI sec.: • Annessione di Toledo nel 1085 e di un’ampia zona circostante grazie all’appoggio dei mozarabes (popolazione cristiana vissuta sotto il dominio arabo) • Introduce in Castiglia varie innovazioni culturali promosse da suo nonno Sancho el Mayor di Navarra. Riforme cluniacensi nel 1071 → movimento di riforma ecclesiale che dapprima rinnovò l’ordine benedettino e poi si estese a tutta la Chiesa Cattolica. L’arrivo di monaci francesi porta all’abbandono del carattere visigotico in favore di quello carolingio, più chiaro e leggibile. La presenza dei monaci francesi porta nella penisola racconti epici di origine francese, come nella nota Emilianense del 1070 in cui sono citati personaggi del ciclo di Carlo Magno e Gugliendo e si allude alla sconfitta di Rodlane a Rozeballes. Morte di Almanzor → ministro degli Omayyadi (m. 1002). Detto Almanzor dai cristiani, fu ministro di al-Hākam II (961-976) e Hišām II (976-1009) e sotto quest'ultimo riunì nelle sue mani tutti i poteri. Pacificò l'Africa settentrionale, riordinò l'esercito e condusse numerose campagne contro i regni cristiani di Spagna ottenendo importanti vittorie. Celebre anche per la sua attività di costruttore, ampliò la moschea di Cordova e costruì, nei pressi di questa città, la stupenda residenza di Madīnat az-Zahrā (“la città lucente”). Comporta una profonda crisi per il califfato, con conseguenti rivoluzioni che a partire dall’anno 1008 aggravano la situazione di Cordoba, provocando la fuga degli eruditi e la sollevazione del popolo. La mancanza di un’effettiva autorità politica rende possibile lo smembramento del califfato e l’apparizione di piccoli regni autonomi (taifas, regni locali nati dalla frammentazione del califfato di Cordoba) che arrivarono a più di 50. Gli almoravidi (incolti guerrieri berbari) mettono fine a questa divisione territoriale nel 1090, dando origine ad un tentativo di riforma religiosa e di ritorno dell’ortodossia islamica → persecuzioni nei confronti degli ebrei e cristiani che tendono a rifugiarsi nei domini del nord. Li si sviluppano centri intellettuali di notevole splendore, mettono in contatto la scienza araba con l’occidente medievale (primi passi vs il rinascimento culturale del XXII sec.) 70 La caduta del califfato cordobese, con tutta la sua raffinatezza culturale e letteraria e l’ignoranza della lingua araba da parte degli Almoravidi portano all’abbandono quasi totale della poesia araba classica, che viene sostituita da forme volgari, forse provenienti dalla tradizione: nascono così i primi zejeles, risultato degli sforzi di Avempace, che tentò di unificare la poesia classica con quella cristiana. Erano gli ultimi anni del XI secolo. Dalla fine dell’XI sec. si notano nell’occidente europeo alcuni segni di rinvigorimento intellettuale che porteranno al cosiddetto “Rinascimento culturale” del XII sec. • Rivalutazione del latino • Maggiore diffusione della cultura grazie all’ammissione delle donne ai centri di studio, incremento di lettori, apparizione della letteratura in lingue romanze • Il XII sec. rappresenta il trionfo della cavalleria e delle crociate 2 elementi fondamentali in questo periodo: • Piena formazione delle diverse nazionalità peninsulari • Graduale dominio del regno di Castiglia sui restanti regni della penisola I contrasti tra la nobiltà e la borghesia penalizzano il commercio e hanno come conseguenza nel 1110 la rottura del matrimonio tra Alfonso I d’Aragona (difensore degli interessi di contadini e commercianti) e dona Urraca di Leon-Castiglia (incline a proteggere la nobiltà), e la successiva ascesa al trono castigliano leonese di Alfonso VII che intraprende una politica di divisione tra i regni cristiani, a proprio vantaggio e a sostegno della sua idea di essere riconosciuto ‘imperatore’ dagli altri re della penisola. Sotto il regno di Alfonso VII nasce il Portogallo come contea indipendente da Leon (poco dopo si trasformerà in regno) mentre la Castiglia si separerà ancora di più dal regno leonese. Panorama politico del XII sec.: 1. Conflitti tra i regni cristiani della penisola 2. Decadenza militare degli Almoravidi 3. Gli scontri tra gli arabi di Al Andalus 4. Arrivo a metà secolo degli Almohadi (musulmani ancor più integralisti e guerrieri dei loro predecessori, accusati di essere eterodossi e apostati). Il movimento sfocia in un’autentica rivoluzione politica: la Castiglia e gli altri regni peninsulari, gravemente minacciati, si uniscono contro il potere almohade in una crociata che culminerà nella battaglia di Las Navas (1212), segnando la fine dell’egemonia militare degli Almohadi 5. Continue ondate di crociati nei regni peninsulari. I rapporti con altri regni esterni alla penisola venivano mantenuti anche attraverso le alleanze matrimoniali. Nel XII secolo spicca il panorama culturale: Toledo si occupa di volgere in latino i testi di Aristotele. Spicca in questo periodo la produzione storiografica. Contribuiscono ad ampliare il panorama culturale i juglares che proponevano una letteratura edificante: vita dei santi, gesta eroiche ecc. 70 dei re riuscisse del tutto: sarà necessario aspettare fino ai re cattolici, nella seconda metà del VX sec x trovare l’unità del corpus delle leggi applicato in Castiglia e Leon. Per quanto riguarda la cultura, la differenza più significativa tra XII e XIII sec è la nascita delle università, che come conseguenza del rinascimento europeo e dello sviluppo delle città, sostituiscono le scuole monastiche o episcopali. Le università sorgono come corporazioni formate da maestri e studenti, e come tali si organizzano per difendere alcuni interessi comuni, con statuti e strutture proprie e con grande indipendenza rispetto al potere del re o della chiesa. Nel 1215 si tenne il IV concilio lateranense in cui risaltò la preoccupazione delle alte gerarchie ecclesiastiche per la scarsa formazione dei sacerdoti, mentre si propugnava la necessità che il clero avesse una preparazione più profonda. MESTER DE CLERECIA → massimi rappresentanti si forme letterarie elaborare, aliene dalla tradizione orale, che iniziano a formarsi anche in Castiglia e Leon all’inizio del XIII sec. Le direttive lateranensi non giunsero in Castiglia fino al termine del Concilio di Valladolid del 1228, ma la penetrazione delle riforme fu lenta. La letteratura scritta in lingua romanza si configura pienamente dagli inizi del XIII sec. La sconfitta degli Almohadi a Las Navas e la conquista cristiana di gran parte del mezzogiorno peninsulare, con la conseguente espulsione dalle città dei loro abitanti musulmani, ebbe come conseguenza l’immediata l’esilio degli scrittori islamici e una profonda crisi artistica degli autori rimasti nel regno arabo di Granada e che coltivarono quasi solo poesia elegiaca e letteratura epistolare. La stragrande maggioranza della popolazione di Castiglia-Leon era analfabeta e possedeva una cultura formatasi attraverso i predicatori e juglares con sermones, novelle edificanti, vite di santi e racconti, cantares de gesta e canzoni popolari che accompagnavano la vita del popolo. Ci sono 2 momenti di particolare importanza: il regno di Alfonso VIII e quello di Alfonso X. Durante il XIII sec e in concomitanza con questi 2 sovrani, quasi mezzo centinaio di trovatori e juglares visitano la corte castigliana e leonese e bisogna aggiungere che molti nobili della corte dei due re amavano proteggere poeti che venivano dal sud della Francia. Le pretese imperiali di Alfonso X e la morte di Corrado diedero una dimensione internazionale alla figura del monarca castigliano in quanto l’argomento era di grande importanza per tutti gli abitanti dell’impero per questo vi sono molte testimonianze conservate del Disastro dell’impero. Molti anche gli sforzi dei traduttori che volgono dall’arabo al castigliano numerosi trattati scientifici. L’abbondanza di traduzioni e le nuove necessità espressive dettero luogo alla formazione del castigliano letterario, evoluzione del latino e ricco di neologismo francesi e arabi. La poesia epica Nata con propositi informativi o come notiziario, spesso si converte in un mezzo di propaganda politica, in quanto raggiunge un pubblico molto vasto: • Il mondo del feudalesimo e delle crociate • Quello dei monasteri e delle reliquie • Quello della borghesia La poesia epica è caratterizzata da oggettività e realismo. E’ considerata poesia narrativa perché come qualsiasi tipo di narrazione ha per oggetto “l’esposizione di cose realizzate o quasi realizzate” e quindi la si può intendere come espressione di verità e ciò le conferisce un carattere oggettivo. Da evidenziare anche il suo carattere non problematico: trionfo e difesa di valori riconosciuti dalla collettività, dei quali sono portatori gli eroi, in accezione positiva, e gli antieroi in quella negativa. I collegamenti tra il poema epico e la storia solitamente sono stabiliti in forma realista, tuttavia è da segnalare che in questa trasposizione la realtà viene percepita come una dimensione eroica, quindi esagerata: colui che è valoroso e leale dovrà esserlo sempre in modo sovrumano e viceversa, i malvagi saranno tali fino in fondo. Sul piano fisico eroi e antieroi sono capaci di azioni assolutamente straordinarie, dotati come sono di una forza iperbolica. La poesia epica si presenta come impersonale e drammatica, data la presenza preponderante di discorsi tra i personaggi che parlano in prima persona: il pubblico entra così in contatto quasi diretto con gli eroi che narrano le proprie esperienze. Risulta così comprensibile l’importanza dell’azione nei poemi epici: qualsiasi elemento descrittivo non in relazione con il combattimento è superfluo e pertanto lo è anche la psicologia e lo studio dei sentimenti, a meno che non siano legati allo sviluppo dell’azione. 70 I poemi epici si cantavano generalmente in una monodia e con l’accompagnamento di strumenti a corda. Gli indizi più attendibili fanno pensare che il juglar (bardo) apprendesse una serie di poemi epici insieme a una struttura narrativa: la qualità dell’interprete è connessa al numero di temi che conosce e all’abilità con cui li espone. L’interprete ricordava circa 30 temi. L’utilizzo del latino come lingua colta vincolata alla Chiesa e la lunga tradizione dei canti eroici tra i popoli germanici stanno alla base della nuova poesia epica. I più antichi poemi epici in lingua romanza presentavano vari nuclei tematici che limitano ciò che è stato denominato età eroica. In Castiglia erano 2: • L’invasione araba e i primi focolai della resistenza (VIII secolo) • Gli inizi dell’indipendenza di Castiglia (X secolo) In Provenza gran parte dei poemi epici della Francia settentrionale hanno per protagonisti eroi meridionali (si sono conservati solo 2 poemi in provenzale ed entrambi sono collegati a Carlo Magno e Rolando: Rollan a Saragossa e Ronsasvals). Nella formazione del cantares de gesta si possono considerare tre momenti distinti: Avvenimento storico → formazione della leggenda epica → elaborazione in cantar de gesta Basandosi sui cantares de gesta conservati e con le notizie che ci giungono attraverso le cronicas, si è soliti considerare l’epopea castigliana formata da 3 cicli tematici: 1. Quello dei conti di castiglia 2. Dello del Cid 3. Il ciclo cosiddetto francese Il Poema de Mio Cid E’ arrivato ai giorni nostri grazie a una copia realizzata nel XIV sec a partire da un manoscritto dell’anno 1207 elaborato da Per Abbat (geniale autore o semplice scrivano?) Il Poema si basa su una parte delle imprese di Rodrigo Diaz de Vivar, nobile castigliano che visse nella seconda metà dell’ XI sec , conquistò Valencia nel 1094 e morì nel 1099. Il Cantar allude alla presa di Valencia, ma non dandole particolare importanza (forse perché gli Almoravidi la riscattarono poco dopo nel 1102). Il cantar allude alla presa della città levantina, benché non le dia particolare importanza, forse perché gli Almoravidi la riscattarono molto presto, e cita in modo laconico la morte dell’eroe. Il Poema de Mio Cid fu redatto tra l’anno 1099 e l’anno 1207. A proposito dell’autore, Menendez de Vival parlò in un primo tempo dell’esistenza di un unico scrittore, ma nell’ultimo studio del Poema difese la tesi di 2 juglares, uno di Esteban de Gormaz (che stabilì il piano generale dell’opera e scrisse il Cantar del destierro – dell’esilio); un altro di Medinaceli (più moderno che elaborò i restanti 2 cantares). L’unità stilistica dell’insieme di deve a Per Abbat. Il Poema de Mio Cid si compone di 3 cantares di estensione simile: circa la metà del poema narra le prodezze del Cid con dettagli che completano il ritratto del protagonista (coraggio, astuzia, generosità). L’altra metà non include quasi nessuna scena bellica, ma si concentra sulla relazione dei Conti di Carrion e le figlie del Cid. Per questo possiamo dedurre che il poema è costruito su 2 assi: 1. Il disonore morale e politico 2. Il discredito personale e famigliare ↓ Il risultato è che l’azione costituisce l’elemento fondamentale per recuperare l’onore e la rispettabilità fino alla piena riabilitazione agli occhi del re. Il Poema risalta per la straordinaria sobrietà e semplicità espressiva: • L’azione si sviluppa in forma rettilinea, senza perifrasi ne digressioni • Il Cid è il personaggio centrale attorno al quale ruoteranno tutti gli altri, collaborando con le loro azioni all’esaltazione dell’eroe che equivale all’esaltazione di tutti loro. • Per portare a termine il suo lavoro il poeta ricorre all’uso di formule ed espressioni formulari, utilizzate con grande abilità per evitarne la ripetizione meccanica e adattandole in ogni momento alle necessità del racconto: risulta eloquente l’apparizione di determinati epiteti “Mio Cid Roy Diaz, el 70 que en buena cinxò espada”, “Martin Antolinez, el burgalés de pro”, che esprimono l’importanza dell’ascesa dell’eroe e a manifestare i cambiamenti d’umore nell’animo del re. Rodrigo Diaz de Vivar divenne ben presto oggetto di varie leggende, la sua fama raggiunse un ampio pubblico. Rodrigo cominciò ad avere un ruolo importante nelle opere che alludevano alla spartizione di regni attuata da Fernando I tra i suoi figli e gli scontri che ne derivarono, fondamentalmente tra il re di Castiglia Sancho II e il re di Leon, Alfonso VI: nasceva così il ciclo epico del Cid. A questo ciclo appartengono anche: Le Mocedades de Rodrigo • Creazione di un Rodrigo Diaz giovane, ma sicuro di se stesso, come nella maturità disposto a difendere il suo re di fronte a qualsiasi aggressione fisica o morale. La redazione originale del testo conservato (1350-1360) è opera di un autore colto, forse un chierico, che rielaborò un cantar de gesta precedente e perduto. La versificazione è propria della juglaria, assolutamente irregolare. Nell’introduzione in prosa si racconta la storia dei giudici di Castiglia, Nuno Rasura e Lain Calvo. Il verso inizia con lo scontro tra Fernan Gonzalez e il re di Leon, che culminerà con l’indipendenza della Castiglia. Discendente del bellicoso conte fu Sancho Abarca, primo re castigliano, il quale scoprì la tomba di san Antolin presso Palencia: il ritrovamento è utilizzato dall’autore per narrare la storia della diocesi palentina. Da Lain Calvo discendono Rodrigo Diaz e le principali famiglie castigliane. Durante il regno di Ferdinando I si produssero attriti tra i discendenti di entrambi i giudici; come conseguenza Rodrigo Diaz uccide Don Gomez De Gormaz e cattura i suoi due figli maschi. Le tre figlie accorrono dal padre di Rodrigo a chiedere clemenza per i fratelli e ne ottengono la liberazione. Jimena, una delle figlie di don Gomez, chiede di sposare Rodrigo per riappacificare gli animi. La proposta di matrimonio di dona Jimena sorprende Rodrigo, che accetta di sposarla solo dopo aver vinto 5 battaglie campali: sconfiggere il moro Burgos de Ayllon, sconfiggere un conte navarro, sconfigge 5 re mori, sconfigge i conti traditori di Campò e reinsedia il vescovo Bernaldo a capo della diocesi di Palencia. A quel punto arrivano lettere dell’imperatore, del re di Francia e del papa che reclamano il riscatto del re castigliano. Le truppe dei 5 regni spagnoli giungono in Francia, lì don Rodrigo nomina alfiere suo nipote Pedro Vermudez e sconfigge il conte di Savoia (quinta battaglia), che paga il riscatto della sua prigionia consegnando la figlia a Rodrigo, il quale la cede al re Fernando. Arrivano alle porte di Parigi e Rodrigo, chiamato ora Ruy Diaz, sfida i Dodici Pari. Gli eserciti sono ricevuti dal papa e dal re di Francia e viene stabilita una tregua di 12 anni. Qui si interrompe il manoscritto. Dal punto di vista tematico sono presenti vari nuclei ben definiti: • L’introduzione storica • Le imprese di Rodrigo nella penisola • Le prodezze in terra di Francia Molti studiosi pensano che il cantar de gesta debba essere diviso in 2 parti che avrebbero come scopo l’esaltazione del re Fernando tra gli altri re peninsulari, di modo che tutti lo considerino “imperatore”. Il testo delle Mocedades presenta curiose divergenze rispetto alle altre testimonianze conservate: ■ Rodrigo è più violento e superbo ■ La diocesi di Palencia acquista un ruolo fondamentale, sconosciuto nelle versioni in prosa delle cronicas, chiara testimonianza degli interessi che muovevano l’animo dell’autore Le Mocedades de Rodrigo, testo tardivo dell’epica castigliana, mostrano l’impronta dei cantares de gesta a cui si ispirano, ma il materiale utilizzato nell’anonima rielaborazione include anche elementi che provengono dal folclore. Con l’inizio del XIV sec. appare nella penisola un nuovo tipo di poesia narrativa dal tono eroico: le cronicas in rima. Il proposito di una cronica e quello di un poema epico possono coincidere, in quanto entrambi servono a volte per confermare la nobiltà di una famiglia, o per animare lo spirito guerriero di una collettività o di un gruppo (le cronache si presentano come letture obbligatorie per i nobili); altri poemi epici hanno carattere biografico (come nel Poema de Mio Cid). 70 pome: Alessandro sarà de brava onrada (barba onorata), Hector, una lana ardida (ardita lancia), Paris, buen doneador (gran donnaiolo). Dopo un esordio in cui l’autore giustifica il proprio lavoro, dove troviamo l’allusione al master de clerecia, si narra la gioventù di Alessandro Magno, formato nell’ideale delle armi e delle lettere, del cavaliere e del chierico. La seconda parte rappresenta la maturità dell’eroe, dall’incoronazione come re alla trasformazione in grande imperatore, in virtù delle numerose conquiste realizzate. Infine, il libro spiega le ragioni della caduta e della morte di Alessandro. L’opera si conclude con 5 strofe di commiato dell’autore. Questa struttura – essenzialmente tripartita – mantiene il suo equilibrio su scale più ridotte (ciascuna delle 3 parti si divide a sua volta in 3 episodi e ogni episodio in 3 scene, e così via fino ai minimi dettagli). La morale dell’autore castigliano: Alessandro verrà castigato a causa del suo atteggiamento superbo e del suo desiderio di conoscere tutto. Ne conseguono 2 insegnamenti: 1. Il disprezzo del mondo 2. L’abbandono di qualsiasi manifestazione di superbia Ma nel Libro di Alexandre la didattica domina su qualsiasi altro proposito e ciò trasforma l’opera in un compendio di gran parte del sapere dell’epoca: i viaggi del protagonista forniscono il pretesto per la descrizione del mondo, delle varie terre e dei loro abitanti, degli animali e degli alberi; nello stesso tempo l’itinerario percorso permette di riflettere sulla storia passata (es il caso di Troia). La curiosità di Alessandro non si accontenta del mondo conosciuto, ma lo porta in cielo, nelle profondità marine o all’inferno… Libro de Apolonio L’anonimo Libro de Apolonio viene generalmente situato a metà del XIII sec ed elabora in cuaderna via i materiali provenienti dalla Historia Apollonii regis Tyri, probabilmente scritta nel VI sec a partire da un tema precedente. Il Libro de Apolonio presenta una costante preoccupazione per il mondo intellettuale; inoltre l’amore o più esattamente i rapporti sessuali, sono uno degli assi della narrazione. In effetti non solo un caso di incesto (tra Antioco e la figlia) è il motore di tutta la trama, ma addirittura l’incontro tra Apollonio e la figlia Tarsiana è descritto con tinte incestuose, che solo un fortunoso riconoscimento saprà smorzare. Un’altra delle caratteristiche fondamentali della narrazione è costituita dai continui viaggi: Apollonio intraprende 13 traversate marittime; Luciana e Tarsiana condividono viaggi con il protagonista, ma anche da sole, così che il viaggio diventa una costante nel corso dell’opera. Il mare e la musica saranno le chiavi del libro. Mare: separa la famiglia, provoca disgrazie al protagonista ed è la causa del nuovo incontro. Musica: acquista un’importanza preminente: Luciana ed Apollonio svolgono la loro attività nell’ambito della corte; Tarsiana per strada come juglaresa. Il Libro de Apolonio narra la storia del re di Tiro, la drammatica separazione dalla moglie e dalla figlia e l’incontro finale (agnizione) dei 3. La struttura dell’opera segue la stessa impostazione: il filo dell’opera è quello scandito dalle vicissitudini del protagonista, ma si interrompe in varie occasioni per allacciarsi alla storia di Luciana e Tarsiana. L’incontro finale comporta il termine dell’azione, cosi come la morte di Apollonio chiude il racconto. Questa trama elementare si può complicare con altri elementi narrativi: i soprusi subiti all’inizio da Apollonio verranno puniti dopo il ritrovamento della famiglia e, per la stessa ragione l’aiuto ricevuto sarà ricompensato. Il filo narrativo non è sempre rettilineo: con una tecnica già presente nell’Odissea, i protagonisti ricordano la loro vita passata con frequenti ricapitolazioni, che aiutano il pubblico a seguire le vicissitudini del racconto e dei personaggi. 70 La materia di Castiglia: il “Poema de Fernan Gonzalez” Il Poema de Fernan Gonzalez si è conservato in un manoscritto quasi completo che accoglie un poema scritto in cuaderna via nella seconda metà del XIII sec. A sua volta, poema, nasce da un cantar de gesta precedente. La rielaborazione del Poema de Fernan Gonzalez, che segue abbastanza fedelmente le norme poetiche del mester de clerecia, allude in 5 occasioni distinte a un testo scritto, benché in nessuno di questi casi si possa pensare a poemi epici o a cantares de gesta precedenti. Le uniche fonti citate esplicitamente dall’autore e che è stato possibile identificare, sono fonti colte, in latino e di carattere storiografico. Per l’argomento (figura del conte castigliano che rese la sua terra indipendente da Leon) il Poema de Fernan Gonzalez potrebbe essere un testo epico; per la forma è un poema di carattere più o meno storico: in definitiva si potrebbe considerare un cantar de gesta con forma storica. Sembra chiaro come l’autore cercasse di rafforzare la serietà del contenuto dell’opera attraverso una forma prestigiosa – allontanandosi dalle bugie dei juglares – la scelta della cuaderna via era obbligatoria in quanto era il veicolo ufficiale delle narrazioni colte di carattere storico: che l’opera fosse di contenuto più o meno fittizio o avesse contenuti folcloristici non importava; il pubblico avrebbe considerato il racconto gradevole e serio. L’anonimo autore fece in modo che il Poema de Fernan Gonzalez mantenesse un’immagine di serietà e perciò ricorse a 2 espedienti: 1. Alluse allo scripto, ossia ricorse auctoridades (l’autorità di una precedente elaborazione scritta della vicenda) 2. Avvicinò l’argomento dell’opera al monastero di San Pedro de Arlanza, conferendogli così ulteriore autorevolezza Il risultato della somma di questi 2 fattori ha fatto pensare agli studiosi che l’autore fosse un monaco o un chierico di solida formazione vincolato al detto monastero. Il maggiore interesse storico della figura di Fernan Gonzalez consiste nel fatto che fu promotore dell’unione delle contee castigliane, facendo in modo che diventassero una sola Castiglia, la più estesa e potente del regno di Leon, che con il passare del tempo (quasi 100 anni più tardi) si trasformerà in regno. XIII sec → indipendenza della Castiglia ottenuta nei confronti di Leon, proprio in un momento in cui è appena avvenuta l’unione dei 2 territori in un solo regno sotto la figura di Fernando III. Su questi dati storici si creò la leggenda nella quale si mescolarono un’origine fittizia, la liberazione del conte grazie ad un’infanta navarra, la vendita di astore e di un cavalo al re leonese, e non potendo pagare il prezzo concordato, la conseguente indipendenza della Castiglia, insieme con altri elementi folcloristici. La mancanza di dati storici e fonti letterarie, obbligano l’autore a ricorrere alla tradizione per completare alcuni episodi narrati: le origini dell’eroe nascoste dall’educazione di un carbonaio, che abbandonerà per andare in cerca di fortuna, si inseriscono mediante l’inserimento in un lignaggio (è il minore tra i figli); l’incontro con un cinghiale che si rifugia dietro l’altare di un eremo (si ritrova anche nelle Mocedades de Rodrigo). La presenza di motivi tradizionali insieme all’abbondante uso dello stile formulare, rileva una relazione del Poema con la tradizione orale, aspetto evidente anche per le numerose anomalie metriche (strofe composte perfino da 6 versi o rime irregolari). L’imperfezione metrica del Poema contrasta con l’abilità che mostra il suo autore nella strutturazione e nel dominio della tecnica narrativa cercando in ogni momento di identificare l’eroe con il destino della conte di Castiglia; con questa impostazione è chiaro che il nucleo centrale del racconto sarà l’episodio delle corti di Leon, la vendita dell’astore e del cavallo, che porterà all’indipendenza della Castiglia; e la narrazione si chiuderà nel momento in cui la contea castigliana sarà esentata dal pagare tributi a Leon. Intorno a questo nucleo centrale si concentrano le guerre contro gli Arabi e contro Navarra. Completa il quadro la relazione amorosa tra Fernan Gonzales e dona Sancha di Navarra e che porterà al loro matrimonio, anch’essa piena di elementi folcloristici: lettere d’amore segrete, incontro con l’arciprete malvagio ecc. La struttura del Poema de Fernan Gonzalez si presenta come se si trattasse di una narrazione cronachistica: un’introduzione storica (precursori del conte) e le imprese del protagonista. La narrazione – come nella storiografia – è lineare, benché esistano eccezioni, dovute alla necessità di menzionare fatti accaduti contemporaneamente o d’interrompere il racconto per dare spazio a differenti digressioni. L’autore riesce a mantenere salda la struttura dell’insieme mediante premonizioni, riepiloghi, parallelismi e altre risorse narrative. 70 Dell’epica e della tradizione orale l’autore ha mantenuto l’abbondante utilizzo del dialogo e dello stile diretto, cosa che all’inizio permette l’introduzione di diversi punti di vista e fa sì che il narratore possa intervenire sugli avvenimenti che si raccontano come uno spettatore aggiuntivo. Sembra che il Poema de Fernan Gonzalez non abbia incontrato un grande successo, nonostante l’interesse dell’argomento trattato. La prosa e le traduzioni dall’arabo A Cordoba si produce uno straordinario incremento degli studi, specie scientifici, durante il califfato di Abd al-Rahman III (912-61) e di suo figlio al-Hakam II (961-76), protettori della scienza e della cultura. La presenza, nella biblioteca del califfato, di alcuni testi tradotti dal greco, dal persiano e dal siriano favoriscono e stimolano l’interesse per la medicina, la matematica o l’astronomia. A metà del X sec in Occidente iniziò a esistere la consapevolezza dell’esistenza delle scienze arabe, particolarmente sviluppate in matematica e astronomia, campi estranei agli interessi dei Romani e quasi sconosciuti tra i popoli occidentali. Ciò portò monasteri e centri culturali del cristianesimo a possedere versioni in latino di questi trattati scientifici. La morte di al-Hakam II, la turbolenta successione del debole figlio Hixam II condizionato da Almanzor, la rapida disintegrazione del califfato di Cordoba e la sua definitiva scomparsa fecero sì che cambiasse completamente il panorama: in alcuni casi i reinos de taifas si trasformeranno in centri scientifici distaccati, ma Cordoba perderà l’egemonia e la sua biblioteca – già ripulita da Almanzor – verrà distrutta, benché numerosi volumi siano trasferiti a Toledo. L’instabilità presente ad Al-Andalus spinse molti ebrei, cristiani e musulmani a cercare rifugio in altre regioni, così Zaragoza, la Marca Superior e la Marca Hispanica divennero centri di diffusione della cultura ebraica e araba. Nell’Occidente europeo iniziano a esserci chierici interessati ad approfondire lo studio delle nuove scienze di origine orientale. Le biblioteche di alcune località e la privilegiata situazione culturale ispanica – che permettevano una coesione tra ebrei, arabi e cristiani – facilitava in modo straordinario la conoscenza delle lingue e rendeva possibile la realizzazione di traduzioni. La conquista di Toledo da parte di Alfonso VI e il flusso dei commercianti franchi verso la nuova città cristiana, dei musulmani eterodossi che fuggivano da Cordoba e degli ebrei perseguitati dall’intolleranza degli Almohadi, furono fattori decisivi affinchè si producesse uno spostamento della cultura dalla Valle dell’Ebro a Toledo (in seguito i monasteri della Marca Superior diventeranno centri di grande importanza culturale grazie alle ricche biblioteche e allo sviluppo economico). La politica di Alfonso VI, decisamente francofona, stimolò la presenza di cluniacensi alla guida dei monasteri più importanti di Castiglia e nelle principali sedi episcopali. L’attività dei traduttori del XII sec si incentrò sulle stesse materie che erano state oggetto di versioni in latino nei secoli precedenti: matematica, astronomia, medicina, filosofia. Viene mantenuto il metodo abituale nel medioevo: un ebreo o un arabo traduceva direttamente il testo in lingua romanza, parola per parola, e un altro autore volgeva in latino la materia che era stata tradotta. Il panorama delle traduzioni si altera durante il XIII sec → uso del romanzo come lingua finale del processo di traduzione. Sermoni ed “exempla” Il Concilio di Tours (1813), raccomandava al clero di utilizzare la lingua dei fedeli per farsi comprendere e a partire da quel momento esso avrà il doppio ruolo di ricettore di una tradizione letteraria in latino e di emissario di nuove forme in lingue vernacole (dialettali). Con la prescrizione del Concilio di Tours le prediche dovevano essere fatte in lingua volgare. 70 I Libros del saber de Astronomia costituiscono la raccolta più importante di trattati astronomici in lingua romanza. L’insieme fu riunito da diversi collaboratori di Alfonso X, su istanza e sotto supervisione più o meno diretta dello stesso re. I Libros del saber de Astronomia si dividono in 3 parti ben differenziate, riunite in epoche molto diverse, e che ebbero vita indipendente l’una dall’altra: 1. Los cuatro libros de la ochava espera : d’accordo con le osservazioni che risalgono a Tolomeo e ai matematici greci – secondo le quali la terra sarebbe al centro di una serie di circoli e sfere, le orbite - considera il cielo delle stelle fisse e dei segni zodiacali come l’ottava sfera. 2. Libro de los estrumentos et de las huebras: manuale per la costruzione e l’utilizzazione di 13 strumenti diversi che in vari casi costituiscono novità per il campo dell’astronomia (anche se di dubbia utilità) 3. Libros del saber de Astronomia formati dalle Taulas alfonsies: tavole di calcolo astronomico che hanno come base le coordinate di Toledo e sono di gran lunga il lavoro scientifico più importante tra quelli realizzati alla corte di Alfonso X. L’attività astronomica e astrologica dei collaboratori di Alfonso X dura una trentina d’anni, tra il 1250 e il 1279 (si possono identificare almeno 12 collaboratori). Opera storiografica Il Chronicon Villarense, redatto in riojano (Rioja regione della Spagna) all’inizio del XIII sec, costituisce il primo esempio di utilizzo di una lingua romanza peninsulare nella redazione di opere storiche. Il latino, tuttavia, continuerà ad essere usato ancora per mezzo secolo. Don Rodrigo Jimenez de Rada scrive nel 1245 il De rebus Hispaniae o Historia Gothica, opera segnata dall’impronta di Isidoro. La cronaca di de Rada è un compendio di tutta la storiografia precedente, compresa quella araba. Arricchì le sue informazioni attraverso l’utilizzo di fonti poetiche sia spagnole che francesi, ritenendo queste ultime come false e menzognere. La Estoria de Espańa Non si sa con precisione quando Alfonso X e i suoi collaboratori intrapresero la composizione della Cronica General de Espańa. Si pensa che verso il 1272 fossero già stati redatti 565 capitoli della Estoria de Espana. All’interno di questi capitoli si racconta la storia dell’antichità e del dominio dei Goti fino all’arrivo degli arabi: nell’insieme fu utilizzata una sola fonte poetica, la Farsalia, ma fu dato spazio a ogni tipo di informazione proveniente da testi storici e da leggende tradizionali. La sua intenzione era di far conoscere le gesta degli antenati affinché i posteri si sforzassero di operare bene, grazie all’esempio dei buoni, e fossero dissuasi dall’operar male grazie alle imprese dei cattivi, e pensavi di riuscirci attraverso una forma di lettura più facile delle cronache precedenti. Nella prima parte dell’opera la collaborazione di Alfonso dovette essere considerevole: dallo stile e lingua della redazione, alla scelta dei collaboratori. La seconda parte della Estoria de Espana – che arriva fino alla morte di Ferdinando III – venne terminata durante il regno di Sancho IV, ma seguendo la struttura e i modelli stabiliti nei primi 565 capitoli: la bozza di questa seconda parte su probabilmente redatta prima del 1274, ma il Re Saggio non arrivò a poterla correggere; più tardi con Sancho IV venne attualizzata e lievemente ritoccata. I fatti riportati nella seconda parte, molto recenti, fecero sì che si potesse ricorrere ad un numero maggiore di fonti poetiche, soprattutto cantares degesta. Ci fu anche un’altra continuazione auspicata dal re Alfonso XI, che terminerà verso il 1340, settant’anni dopo l’inizio della Cronica. L’aspetto più importante dell’opera è che Alfonso X amplia il concetto di storia per dare spazio a “tutti i fatti che si potessero trovare” in Spagna e non solo alla biografia dei monarchi, slegando anche la storia spagnola da quella dei Goti, dedicando buona parte dell’opera a fatti precedentemente accaduti nella penisola o direttamente in relazione con essi. Stabilisce un raffronto cronologico tra i fatti ispanici e le dinastie dei papi, degli imperatori e dei re di Francia. La Grande e General Estoria 70 Le 2 imprese storiografiche di Alfonso X presentano analogie metodologiche, ma in esse abbondano differenze sui dettagli e sull’esecuzione. Sono profondamente separate dal criterio compilatorio utilizzato: • Nella Estoria de Espana è restrittivo • Nella General Estoria si presenta con una tendenza più esaustiva. Qui inoltre presenta informazioni ricevute da fonti diverse, mediante una concatenazione di dati e ripetendo differenti versioni dello stesso fatto. Si stima che la stesura della storia universale iniziò nel 1272 e che il lavoro durò fino alla morte del re, nel 1284. Il piano generale era molto ambizioso: realizzare una storia universale della creazione del mondo fino a i tempi di re Alfonso. Utilizzò come base l’opera di de Rada e come trama i Canones cronicos di Eusebio da Cesarea (san Gerolamo), con le modifiche apportate da sant’Agostino e san Isidoro, specialmente quelle relative alla divisione del mondo in 6 età distinte. I. La prima età si estende dalla genesi e creazione del mondo fino a Mosè, includendo i fatti più importanti degli antichi imperi d’Egitto, Assiria e cosi via… II. arriva fino alla morte di re Davide. Utilizza fonti da Metamorfosi ed Heroides di Ovidio quando parla della storia di Tebe, fatiche di Ercole e distruzione di Troia. III. inizia dai Salmi e giunge a Ezechiele. Include peripezie di Odisseo, storia dei re di Bretagna e l’opera del re Salomone. IV. si estende dall’epoca di Daniele all’Ecclesiaste. Forte incursione sulla storia di Alessandro Magno. V. narra la storia dei Maccabei, insieme a una traduzione della Farsalia di Lucano e la storia di Roma fino alla nascita di Cristo VI. parte molto frammentata, narra dei profeti e della genealogia della Vergine Maria Alla trama attinta dall’Antico testamento si sono intrecciate informazioni provenienti dalle fonti più svariate. Tema centrale il popolo ebraico, eletto da Dio, e intorno ad essa si sviluppano le altre storie, facendo coincidere le distinte cronologie. Appare più importante l’unione tematica dell’esattezza cronologica. La simultaneità dei fatti narrati obbligava a interrompere continuamente il racconto del filo principale (la storia degli Ebrei), di conseguenza i redattori della General Estoria formarono unità narrative autonome con tutte le conoscenze relative a un fatto o a un personaggio. Il racconto mette in evidenza come il potere imperiale e la sua legittimità siano andati trasferendosi da Oriente a Occidente, giustificando le pretese di Alfonso X. L’importanza dell’Estoria de Espana e della General Estoria è grande non solo per la storiografia medievale, ma per la cultura peninsulare e per la formazione della prosa castigliana: in entrambi i testi si trovano le prime versioni nella lingua romanza di opere fondamentali per lo sviluppo del pensiero letterario medievale (dalla Bibbia, a Ovidio, la storia di Alessandro Magno, …) È tutto scritto in una lingua di grande ricchezza espressiva, in cui le costruzioni sintattiche hanno guadagnato in complessità e anche in esattezza. L’attività giuridica e legislativa Le differenti forme di occupazione dei territori e la necessità di ripopolare zone abbandonate diedero luogo nella penisola iberica alla nascita di tradizioni e abitudini di diritto consuetudinario, raramente messo per iscritto. Fra i testi scritti, più importanti e caratteristici di Castiglia e Leon: • i fueros: compendio dei privilegi di ogni località • i cartas pueblas: costituivano i documenti destinati a proteggere il ripopolamento dei luoghi di frontiera Ferdinando III cominciò il lavoro di unificazione degli strumenti legali di Castiglia e Leon: • fece tradurre il Liber iudicum: il testo che ne derivò, il Fuero juzgo, s’impose quale strumento legale delle città conquistate sotto il suo regno, in modo che gran parte dell’Andalusia e della Murcia ebbero le stesse leggi. 70 • Iniziò un nuovo corpus legale, il Setenario , che venne terminato all’epoca di Alfonso X. Le Siete Partidas (1265) furono probabilmente concepite come codice legale, ma le continue revisioni e le stesure a cui furono sottoposte fecero dell’opera un trattato più retorico, tanto da diventare un testo di consultazione per giudici e legislatori in generale. Per quanto riguarda il contenuto, le Siete Partidas si occupano delle relazioni con e tra i sudditi, sulla base di una chiara gerarchizzazione: • Della religione e dello status ecclesiastico • Dei re e dei grandi signori, includendo problemi giuridici relativi alla guerra, agli studi e al sapere • Dell’amministrazione della giustizia • Del matrimonio e dei rapporti di parentela • L’attività mercantile • I testamenti e le eredità • I delitti e le pene L’attività legislativa di Alfonso X non si concluse con le Siete Partidas. Sotto il suo regno fu raccolta una serie di “opuscoli legali” di minore importanza per la storia della letteratura. I sovrani successori di Alfonso X rielaborarono parzialmente la sua opera legislativa. Basandosi su criteri diversi circa i rapporti tra nobiltà e potere reale e i ripetuti tentativi di ricreare un sistema giuridico più agile si scontrarono durante tutto il XIV sec con la resistenza della nobiltà, che vedeva ridursi parte dei suoi privilegi. CAP 3 – CRISI Dalla morte di Alfonso X all’inizio del XV sec Gli ultimi anni del regno di Alfonso X furono segnati dalla guerra civile tra i sostenitori dei discendenti del primogenito Fernando de la Cerda, morto prima di essere incoronato, e coloro che sostenevano i diritti dell’altro figlio maschio di Alfonso, Sancho. Fu Sancho ad imporsi e almeno in apparenza, a riportare la calma. In realtà le ragioni che condussero allo scontro furono più profonde, quali le tensioni esistenti tra nobiltà e chiesa (che appoggiavano Sancho) e gli abitanti dei centri urbani, insieme alla nascente borghesia (favorevoli alle pretese di Alfonso). Alla morte di Sancho IV (1295) la situazione si fece particolarmente delicata in quanto il figlio maggiore, Fernando aveva appena 9 anni: le tensioni che erano state soffocate con la forza da Sancho riapparvero. ■ Da una parte c’erano i successori di Fernando de la Cerda; ■ dall’altra la nobiltà pronta a ottenere vantaggi dalla debolezza del giovane re ■ il Portogallo e l’Aragona decisi a conquistare nuovi territori a detrimento della Castiglia. La situazione era critica e inoltre bisognava anche considerare le manovre interessate della famiglia reale per la tutela del re bambino…. La regina vedova, Maria de Molina, riuscì a salvare la situazione, contando sull’appoggio ambiguo dell’infante don Enrique (bellicoso fratello di Alfonso X). Dalla parte della regina si era schierato anche un altro membro dell’alta nobiltà, don Juan Manuel (nipote di Alfonso X e cugino di Sancho IV) che diventerà il più importante prosatore del XIV sec. La morte prematura di Ferdinando IV, a 25 anni, ricreò la situazione instabile di fine secolo. L’erede era nato appena un mese prima della morte del padre, per cui si riprodussero gli scontri della nobiltà in cerca di incarichi che avvicinassero alla corte del re. Di nuovo la regina Maria de Molina tornò a farsi carico della reggenza, destreggiandosi tra i pericoli che minacciavano il piccolo Alfonso XI. La morte dell’abile sovrana (1321), tuttavia, provocò in Castiglia una profonda frammentazione del potere e la crisi di autorità si avvertirà ovunque fino al compimento della maggiore età del re. 70 L’appoggio ispanico al papa di Avignone fu costante, specialmente dall’elezione di Pedro de Luna (Benedetto XIII) e si mantenne fino al 1416, ma le pressioni esterne e la ferma volontà del Concilio di Costanza porteranno all’abdicazione di papa Luna, alla fine dello scisma e alla riunificazione della chiesa. Le guerre e, soprattutto, le successive ondate epidemiche di peste ridussero notevolmente la popolazione della penisola iberica, come accadeva anche per Francia, Italia, Inghilterra e in generale in tutti i paesi dell’occidente. Come conseguenza della scarsità di manodopera, i prezzi aumentarono e le disposizioni regie per controllare i salari non ebbero grandi effetti a causa dell’aggravamento della carestia, con gravi conseguenze per il commercio. Si aggravò la carestia, la decadenza economica delle città e degli stati dediti all’attività agricola o commerciale; le regioni che allevavano bestiame si arricchirono proprio per la diminuzione della popolazione (la Castiglia esportò lana in abbondanza nelle Fiandre e nei Paesi Bassi). La peste segnò in larga misura anche le relazioni sociali nella seconda metà del XIV sec. La mortalità fece sì che il numero di contribuenti diminuisse sensibilmente in un momento in cui i sovrani avevano necessità di abbondante denaro per armare e mantenere gli eserciti. Aumentarono le imposte e gli esattori (per la maggior parte ebrei). Verso di loro si andava formando un’ostilità crescente, in quanto erano considerati rappresentati del re e membri di una comunità diversa. I massacri degli ebrei, sporadici nei primi anni della seconda metà del secolo, divennero sempre più frequenti, in quanto li si associava alla diffusione della peste. A partire dal 1378, con i violenti sermoni di Ferrant Martinez en Ecija le persecuzioni diventeranno sistematiche nelle campagne e alcuni centri urbani: a Siviglia, Cordoba, Toledo e Burgos saranno distrutte sinagoghe e uccisi gli abitanti ebrei. I massacri e le conversioni di massa portarono alla formazione della classe dei conversos. Conversos o cristianos nuevos → svolgevano le stesse attività prima svolte dagli ebrei. In definitiva erano le stesse persone e in molti casi avevano anche mantenuto di nascosto le loro pratiche religiose. Il gruppo di convertiti era numeroso e riuniva membri di tutte le classi sociali, dalle grandi famiglie, agli ecclesiastici, agli uomini di lettere, borghesi o artigiani. La seconda metà del XIV sec è segnata dalla scomparsa della scuola poetica galaico-portoghese e dallo sviluppo della cosiddetta scuola galaico-castigliana. La sostituzione di una lingua con un’altra ha come punto di partenza l’anno 1350, quando don Pedro, conte di Barcelos, affida ad Alfonso XI un libro de canciones. Il punto di arrivo di tale processo è il Cancionero de Baena (1430 ca), dove la costante principale è l’uso del castigliano, benché permangano alcune testimonianze della moda precedente. In territorio catalano vi fu invece una grande fioritura letteraria: da una parte la tradizione trovadorica, dall’altra poeti che sottopongono il linguaggio a continue depurazioni. Poesia e prosa alla fine del XIII sec e agli inizi del XIV L’ultimo quarto del XIII sec presenta caratteristiche letterari pienamente configurate: • Le traduzioni, i testi scientifici e le cronache si scrivono in prosa • Il verso è utilizzato per gli altri generi: cantares de gesta, letteratura d’evasione, opere del mester de clerecia, narrazioni varie…. La letteratura più impegnata ricorre alla prosa (libri destinati allo studio o alla lettura individuale). Alla fine del XIII sec compaiono racconti sui temi più vari: argomenti che pochi anni prima erano stati trattati in versi, ora cambiano forma letteraria, cercando forse di avvicinarsi alla storiografia per ottenere una maggiore credibilità con la prosa (fino ad allora riservata ad opere importanti). Questo cambiamento è da attribuire probabilmente alla diffusione di scuole e università. mester de clerecia → è in piena espansione, anche se gli autori non si sentono tanto legati a conservare la cuaderna via nella sua forma più pura (il tetrastico monorimo di 14 sillabe con 2 emistichi). Al contrario alla fine del secolo, gli autori tendono ad utilizzare diverse combinazioni metriche in una stessa opera e la cesura dell’alessandrino appare meno 70 rigida: gli emistichi non sono sempre settenari e gli autori evitano lo iato mediante la sinalefe. In tale conteso si sviluppa un nuovo genere, il romanzo. Appaiono i primi romances, composizioni lirico-narrative che avranno un successo straordinario nei secoli successivi. Romance → parola che in castigliano ha una notevole polisemia: • Lingua derivata dal latino • Parola usata nel medioevo per denominare la narrativa fantastica, in versi o in prosa, diversi tipi di canzoni e le composizioni lirico-narrative in versi ottonari. Con il passare del tempo, il termine romance si focalizza su quest’ultima accezione, abbandonando i significati di “narrativa fantastica” e “canzone”. Inoltre, anche la lirica fantastica tende a scomparire durante il medioevo; nel rinascimento si adotterà un italianismo (novela) per designare il genere imposto da Cervantes, con il risultato che le narrazioni fantastiche medievali rimangono senza “etichetta” e gli studiosi li denominano libros, istoria, novelas, romances. Genere narrativo in cui predominano caratteristiche ben delineate: carattere simbolico, struttura idealizzante, i personaggi mancano di spessore in quanto sono generalmente modelli esemplari che si limitano a seguire un destino imposto in precedenza. Il protagonista sarà sempre un cavaliere, di cui si narrano le imprese o le avventure, fino al raggiungimento del trionfo finale (amoroso, bellico, religioso, morale) dopo aver superato innumerevoli prove. Gli ultima anni del XIII sec e l’inizio del XIV si presentano, dunque, come un momento di maggiore interesse letterario per l’apparizione di nuovi generi e per il cambiamento di mentalità che si sta verificando. L’innovazione però si produce solo nella forma: temi ereditati dal passato. Appaiono nuove versioni della leggenda del ciclo troiano e le prime traduzioni di narrativa sul ciclo Bretone (Tristano e Isotta). Gran Conquista de Ultramar: a metà strada tra prosa di cronaca e finzione. L’autore ha raccolto tutto il materiale possibile sulle Crociate. L’eroe è Goffredo di Buglione, che diventerà re di Gerusalemme, le cui imprese vengono narrate attraverso le origini mistiche del personaggio. Libro del cavaliere Zifar: prima narrazione castigliana originale di tema cavalleresco, fonde elementi presi dallo Specula principis, narrazioni cavalleresche, vite dei santi, sermoni. Libro databile tra il 1301 – 1303. L’autore era probabilmente un chierico vincolato alla cattedrale di Toledo e vicino alla corte reale, antisemitico e conoscitore della cultura araba. Benché nel prologo si afferma che il Libro sia frutto di traduzioni, sembra più un topos letterario che realtà. L’intelaiatura del Libro proviene dal folclore e dalla vita di Sant’Eustachio, generale romano. Tale situazione – che unisce caratteristiche del romanzo bizantino, con separazioni e riconoscimenti finali – occupa la prima parte del Libro. La seconda parte ha scopo didattico ed è espressa sotto forma di consigli del re Zifar al figlio Roboan. La terza segue le avventure di Roboan e dei suoi compagni d’avventura, sino alla sua incoronazione come re di Trigida. Nella raccolta abbondano proverbi, miracoli, profezie e Ribaldo, servitore di Zufar, presenta svariate analogie con il Sancho Panza del Quijote. L’idea centrale dell’opera è: Dio premia coloro che compiono la sua volontà. Partendo da questo nucleo, il libro, si sviluppa attraverso l’utilizzo di interpretatio, digressio e costruzioni parallele o simmetriche dando all’opera una struttura che ha come punto focale il momento in cui Zifar diventa re e dà consigli al figlio. Gli insegnamenti vertono sul dire al figlio dei pericoli nei quali incorre un cavaliere, demistificando i racconti cavallereschi ma mantenendo l’elemento meraviglioso. 70 Gli inizi del “Romancero” Con la graduale scomparsa dell’epica e con la nascita di nuovi generi narrativi, nascono i primi romances. Termine inizialmente polisemico, poi fu utilizzato per indicare i poemi narrativi, di estensione variabile (generalmente brevi), di carattere epico-lirico, formati da versi assonanti di 16 sillabe, divisi in 2 emistichi. Inoltre, tali versi sono caratterizzati da una grande semplicità espressiva, di immediata comprensione, poiché nella loro sinteticità e nella frammentazione finale tendono a essere concisi e drammatici, senza alcun tipo di digressione. Decadenza dei cantares de gesta nascita dei romances Secondo Menendez Pidal, con l’ampliarsi del numero dei lettori dell’epopea, vennero introdotti elementi graditi ad una platea più eterogenea (amore, episodi romanzeschi). Il pubblicò si entusiasmerà per certi passaggi del cantar e li farà ripetere al juglar che in qualche caso ritocca frammenti o li rielabora per dare maggiore drammaticità o introduce novità per una comprensione più immediata del testo. I romances più antichi risalgono al XIV sec e sono di carattere informativo (alludono alla morte di Fernando IV nel 1312, alla ribellione di Fernan Rodriguez all’ordine di San Juan sotto il regno di Alfonso XI, ….). Tra i romances più antichi databili nessuno è di carattere epico; bisogna attendere fino al 1465-70 per trovarne uno. (Rey don Sancho, Rey don Sancho). Gli antichi romances, derivati dai cantares (non dalle versioni in prosa contenute nelle cronicas), sono assai scarsi e furono raccolti in epoca tardiva; sono difficilmente databili e classificabili; in quanto non coincidono con i testi conservati e presentano molte esattezze storiche, non riscontrabili in nessun testo scritto conosciuto. Santob de Carrion: un ebreo che scrive in castigliano Proverbios morales di Santob de Carrion → si allontanano dalla cuaderna via. Contengono una complessa tradizione testuale e presentano evidenti relazioni con le didattiche ebraiche. L’autore potrebbe essere un rabbino al servizio di Alfonso XI. I proverbios morales sn dedicati a Pedro I di Castiglia, anche se furono composti sotto il regno di Alfonso XI, tra il 1355 e il 1360. Sono di chiara radice ebraica, sia per la forma metrica utilizzata che per gli insegnamenti in essi contenuti: • Il metro utilizzato può essere quartina di settenari o distico alessandrino con rima interna, giochi di parole, omonimie, paradossi,… • Il contenuto si nutre del pensiero ebraico, caricato di relativismo morale e di un innegabile pessimismo basato sull’osservazione della vita quotidiana. Il Libro de buen amor L’autore è Juan Ruiz, arciprete de Hita. Il protagonista di questa autobiografia fittizia considera sé stesso un chierico, dalla preparazione scarsa, e ha come messaggero Fernan Garcia, un altro chierico compagno di baldorie, il quale finirà per portargli via Cruz la panettiera. Dalla lettura dell’opera si evince che l’autore doveva essere un uomo di ottima cultura, tuttavia il complicato gioco dell’io narrante non ci dà sempre la sicurezza che le informazioni del racconto riferite in prima persona coincidano con la realtà storica di Juan Ruiz. Il contenuto del libro presenta una grande ricchezza di argomenti e in molte occasioni risulta difficile seguire il filo narrativo per la quantittà di excursus, digressioni, exempla, similitudini che rompono il ritmo o complicano la logica del racconto. L’opera comincia con un’introduzione in cui si mescolano verso e prosa: si tratta di un paio di orazioni e di un sermone scolastico, di chiara impronta universitaria che ci prepara all’ambiguità del testo. 70 El conde Lucanor fu terminata nel 1335. Le finalità didattiche dell’opera s’inseriscono nella tradizione delle raccolte di exempla. Nelle raccolte di exempla gli apologhi costituiscono unità autonome, con valore proprio, e sono indipendenti gli uni dagli altri, in quanto la loro funzione dipende dalla dottrina a cui danno appoggio servendo da prova oggettiva. Tuttavia, a partire dal momento in cui nel racconto appaiono altri valori oltre quelli religiosi, si sente la necessità di inquadrare queste brevi narrazioni. Gli argomenti erano gli stessi che si trovavano nelle raccolte di exempla, bisognava solo cambiare la struttura dell’insieme, che venne rielaborata a partire dalla tecnica narrativa del Sendebar, del Calila e Dimna e di altre opere orientali. Altra tendenza più didattica e di radice latine e ocidentali fu quella rappresentata dal Lucidario. El conde Lucanor è diviso in un prologo e in 5 parti di estensione e contenuto diseguale; l’unione delle parti è affidata al dialogo di un gran senor col suo consigliere cioè il conte Lucanor e Patronio. Il testo può essere diviso in 3 libri: • Libro de los exemplos (Parte I) • Libro de los proverbios (II, III, IV) • Tratado de doctrina (V) Libro de los exemplos: formato da 50 racconti: ognuno di essi costituisce un’unità chiusa e si trova giustapposto al resto della raccolta; l’opera si presenta dunque in quadri indipendenti, costituiti a partire da un modello (Mille e una notte, Decameron). Non c’è sostanza narrativa nella cornice, in quanto la situazione è sempre la stessa: domanda del conte, risposta del consigliere con argomentazione basata sull’apologo e accettazione dell’insegnamento da parte del nobile. Come sigillo, don Juan Manuel, fa sì che lo trascrivano e aggiunge dei versi che condensano la morale. La cornice dei racconti del Conde Lucador è complessa: Patronio fa da cardine tra la realtà del conte e quella dell’esempio, ponendosi come mediatore tra la realtà fittizia del nobile e quella autentica del lettore. Questo doppio movimento non si stabilisce sul piano narrativo, ma su quello didattico. Lucanor e Patronio hanno dunque come unica funzione quella di generalizzare la morale del racconto e pertanto la cornice non può essere troppo stilisticamente elaborata, perché allontanerebbe i lettori impedendo un’immediata assimilazione degli insegnamenti. Libro de los proverbios: caratteristiche completamente differenti: composto su istanza di don Jaime de Xerica, entra appieno nella tradizione gnomica medievale in cui confluiscono proverbi, motti, sentenze. I libri che compongono questa parte mostra l’alternanza di uno stile piano e di uno difficile nello stesso autore. Il libro è composto d 180 massime, distribuite con una gradazione di difficoltà che va dai proverbi più facili da capire ai più ostici. Tratado de doctrina: anche questo libro si può considerare indipendente dagli altri, benché si inserisce nella cornice precedente e vi troviamo Patronio e Lucanor; tuttavia stavolta è il consigliere a prendere la parola, senza dare la possibilità al conte di chiedere nulla. Libro organizzato in 3 parti: 1. Fede 2. Spiega cos’è l’uomo 3. Mondo e del rapporto dell’uomo con esso. Ogni singola parte viene sviluppata in modo indipendente in armonia con il gusto della scolastica. Le strutture ed esempi nell’opera provengono da altre opere conosciute. Per don Juan Manuel forma e contenuto sono inseparabili e devono svilupparsi insieme se si vogliono raggiungere fini didattici (sono importanti i temi quanto le parole). Arriviamo così allo Stile dello scrittore: non c’è parola che non sia stata soppesata e ponderata secondo le regole della retorica. Don Juan Manuel utilizza la parola cercando di occupare un posto nella cultura, quasi esclusivamente dominata dal clero, per contrastare la perdita di potere politico. La sua grande originalità è stata quella di tessere elementi tradizionali con uno stile nuovo, personalissimo, perfettamente equilibrato e ponderato, attraverso il quale si intravede l’anima dello scrittore che lotta contro un ordine di cose che non gli piace e contro cui combatte anche nella vita reale. CAP 4 – VERSO UN NUOVO MONDO 70 Il XV secolo XIV sec → in Castiglia fu segnato dalle lotte intestine e dalla debolezza dei sovrani, che spesso dovettero sottomettersi alle pretese della nobiltà per mantenere il potere. La situazione non migliorò con la morte di Enrique III (1406) in quanto dovettero scontrarsi con Ferdinando I d’Aragona e Juan II di Aragona e Navarra che partecipavano alle guerre civili come nobili di questo regno. A causa dei continui scontri, il potere della nobiltà andava aumentando e al tempo stesso decadeva il prestigio della monarchia: nel 1480 quasi più della metà delle rendite dello stato appartenevano alla nobiltà, che costituiva appena una decima parte della popolazione. I re cattolici dovettero porre fine a questi abusi, che avevano provocato numerose ribellioni dei contadini, stremati dai continui eccessi dei signori. Juan II aveva appena 2 anni alla morte del padre. I reggenti erano Caterina di Lancaster e Fernando duca di Panafiel (fratello di Enrique III), che ottenne un enorme prestigio militare per la conquista di Antequera. L’introduzione dei compromissare di Caspe produsse un importante cambiamento: trasformò in re d’Aragona colui che fino ad allora era stato reggente di Castiglia. Alla morte del re l’altà nobiltà tornava ad imporsi. Il potere raggiunto dagli aristocratici durante le guerre contro il re è ancora più evidente sotto il regno di Enrique IV, il quale diventa vittima delle manovre di corte fino al punto di vedersi obbligato a riconoscere come erede il fratello Alfonso (di fronte ai legittimi diritti della figlia Juana, che viene allontanata da corte perché sospetta di non essere figlia del re ma del suo favorito Beltran de la Cueva). Quando il re cercò di annullare tale decisione i nobili lo destituirono, dimostrando cosi la loro mancanza di scrupoli e la debolezza morale e politica della corona. La morte di Alfonso (1467) portò i nobili a nominare erede Isabella, sorellastra di Enrique IV, e il re ancora una volta accettò l’imposizione. Il matrimonio della nuova ereditiera (Isabella) con l’infante don Fernando, erede di Aragona, spinse Enrique IV a modificare le decisioni già prese, nominando successore la figlia Juana e provocando una nuova guerra civile, che finirà solo con la morte del monarca (1474) e la proclamazione di Isabella I regina di Castiglia, con l’appoggio delle più importanti città del regno, specialmente la poderosa Segovia, e di una parte della nobiltà, guidata dal suo stesso marito. Il regno dei re cattolici (1479-1516), Isabella I di Castiglia e Fernando II di Aragona, cambia completamente il panorama, mettendo fine alla crisi politica e imponendo l’autorità reale sugli interessi nobiliari. Le corti di Toledo obbligarono i nobili a restituire alla corona tutte le terre di cui si erano impadroniti dal 1464, mentre venne loro consentito di mantenere le terre acquisite prima di tale data → situazione di superiorità adottata dal potere reale. L’unione di Castiglia e Aragona, la fine dei disordini promossi dai nobili e il lavoro di organizzazione interna effettuato dai re cattolici, insieme all’unità del territorio, fanno della Spagna uno stato moderno, con una monarchia forte. Come conseguenza delle epidemie del XIV sec, la Castiglia era riuscita ad imporsi economicamente sul resto del regno peninsulare (l’allevamento era concentrato nelle mani di pochi, l’industria e l’artigianato erano quasi completamente scomparsi ed erano aumentate le terre incolte per mancanza di manodopera o per le carestie). La lana di Castiglia era diventata una fonte di ricchezza, favorita nell’esportazione dalla potente flotta castigliana (tuttavia i proprietari dei greggi, di solito nobili e clero, destinavano gli introiti di tale commercio all’acquisto di generi di lusso come tessuti, quadri, gioielli, senza che la popolazione rurale riuscisse a percepire un miglioramento della qualità della vita). Gli ebrei e i mudejares, ultimo anello della catena sociale, subirono l’attacco di tutti, in quanto accusati di essere responsabili dei problemi: 70 • Nelle corti di Valladolid fu loro imposto un distintivo sugli abiti • Nel 1412 fu emanato un ordinamento con il quale si inasprivano le leggi nei confronti di musulmani ed ebrei nel territorio castigliano • Fu messo in moto il tribunale dell’inquisizione, sotto il regno dei re cattolici → espulsione degli ebrei e dei mudejares granadini, conversione forzata del resto dei mudejares e repressioni contro i moriscos (mudejares convertiti al cristianesimo) Al contrario gli ebrei continuarono a mantenere un’attività culturale importante, malgrado le persecuzioni a cui vennero sottoposti con sempre maggior frequenza e intensità. Già agli inizi del XV sec si apprezza lo sforzo di alcuni intellettuali castigliani di dominare il latino e l’insieme degli studia humanitatis (grammatica, retorica, poetica, storia e filosofia morale): si tratta fondamentalmente di studiosi che si sn formati fuori dal regno castigliano (a Barcellona), o che hanno frequentato le aule universitarie di Salamanca. Nonostante la padronanza del latino e gli sforzi realizzati, non si può definirli umanisti. Essi stavano però preparando il terreno: se costoro si limitavano a sporadici viaggi in Italia e mantenevano isolati i contatti con gli umanisti italiani, per la generazione successiva diventano un’abitudine le prolungate permanenze a Roma, Firenze e Bologna. Anche i nobili cominciarono a dilettarsi con la lettura e a formare le prime biblioteche personali. Il XV sec è caratterizzato dal fiorire dei Cancioneros, dallo sviluppo dei libri di cavalleria e dalla nascita di altre forme narrative, come le finzioni sentimentali. Si tratta della risposta dell’aristocrazia alla crisi dei valori che l’avevano sostenuta nei secoli precedenti. I cavalieri non possono quasi più occuparsi di guerra, in quanto è completamente cambiato il modo di combattere → è nata la burocrazia, in cui nemmeno i nobili hanno un gran peso e sul versante economico la borghesie e i commercianti sono riusciti a superare buona parte dei cavalieri che ormai non occupano ruoli politici o militari. Allora si inizia a ricordare con rimpianto l’epoca della cavalleria e nasce l’imitazione della poesia feudale. I rapporti che si stabilirono tra Aragona e Castiglia dal momento del compromesso di Caspe facilitarono l’arrivo di nobili castigliani alla corte reale aragonese di Barcellona e in seguito alla corte di Alfonso V a Napoli. L’influsso dell’oriente peninsulare si incontra così con le novità italiane, i nuovi modelli letterari confluiscono nel profondo cambiamento che si produsse con la salita al trono dei re cattolici, la conquista di Granada e la scoperta dell’America. A partire da quel momento inizia la lunga decadenza della poesia dei Cancioneros e la trasformazione dei libri di cavalleria e delle finzioni sentimentali. La poesia Pero Lopez de Ayala Apparteneva a una delle famiglie nobili che ottennero grandi benefici dalle guerre fratricide tra Pedro I ed Enrique II. Svolse incarichi diplomatici in varie ambasciate, alla curia pontificia di Avignone e alla corte del re di Francia. Questo permise a Pero Lopez de Ayala di entrare in contatto con gli scrittori più importanti del momento. Venne fatto prigioniero nella battaglia di Aljubarrota e rinchiuso per 2 anni e mezzo nella fortezza di Obidos, dove comporrà buona parte del Libro Rimado de Palacio. Nel 1398 fu nominato cancelliere maggiore di Castiglia da Enrique III. Presso la corte dei re Carlos V e Carlos VI, Pero Lopez conobbe gli autori francesi più famosi dell’epoca. 70 Il marchese si dedicherà a queste tematiche nei Proverbios o Centiloquo (1437), come metodo per l’educazione del figlio di Juan II, l’infante don Enrique IV, in armonia con la tradizione del Conde Lucanor. Tuttavia il marchese accompagna i proverbi con alcune glosse in prosa, che servono a chiarirne il contenuto. Negli ultimi anni si occupò di acclimatare il sonetto con una serie di 42 testimonianze di questa struttura metrica, non ottenendo i risultati sperati. Juan de Mena Di origine cordobese, costituisce un chiaro esempio di una nuova classe emergente: l’intellettuale puro, senza rendite e prebende, che esercitò un’attività a corte (notaio, segretario). Probabilmente Juan de Mena fu un ebreo convertito, in quanto le sue origini sono avvolte da una sospetta oscurità. Laureato come maestro in arte, si trasferì in Italia, ma dopo 2 anni ricevette un incarico presso la corte di Juan II, che divenne suo protettore. Come membro della corte partecipò agli stessi giochi letterari dei suoi contemporanei, scrisse canzoni amorose e sentenze che ottennero un’importante diffusione, e il fatto che appaiano in un gran numero di Cancioneros indica il prestigio di cui godette Mena nella sua epoca. La sua maggior fama si deve alle composizioni più lunghe come la Coronacion del Marques de Santillana (1438) in cui si celebra il successo del marchese durante la campagna di Huelma contro i Mori. Si tratta di un’opera allegorica che spazia dalle miserie del mondo all’esaltazione di don Inigo Lopez de Mendoza, con un’impostazione che potrebbe avere un remoto punto di partenza nella Divina Commedia di Dante. Laberinto de fortuna → è l’opera principale di Juan de Mena (1444). Dedicata al re, il poeta narra i vizi e le virtù dei poeti di tutti i tempi attraverso un continuo scontro tra Fortuna e Provvidenza (filo conduttore). La descrizione della casa di Fortuna si estende per i 7 circulos (Diana, Mercurio, Venere, Apollo, Marte, Giove e Saturno) in cui si trovano i diversi personaggi (casti, consiglieri, amatori, saggi, eroi, re e cavalieri, e infine don Alvaro de Luna). Al di sopra di tutto c’è la figura del re. Ogni girone ha la stessa struttura, che permette di osservare in modo simultaneo la ruota del passato e quella del presente (quella del futuro resta nascosta), anche se il numero di strofe dedicato a ogni girone varia considerevolmente. Non è solo una narrazione in tono grave, è un poema morale e politico in cui il verso, la lingua e lo stile cercano l’espressione più elevata, in sintonia con il contenuto. L’uso della forma strofica conosciuto come arte mayor (una marcata distribuzione degli accenti – ciascuno degli emistichi contiene 2 accenti separati da 2 sillabe atone) impone una nuova estetica in cui il ritmo è al di sopra di qualsiasi considerazione prosodica, lessicale o sintattica. Tutto ciò porta a numerosi spostamenti d’accentazione, alla creazione di frequenti neologismi o all’uso di arcaismi e alla presenza di abbondanti iperbati a rompere l’ordine abituale o prevedibile delle frasi. Questo fa si che il Laberinto presenti un aspetto artificioso, di rottura con una realtà caotica a cui si impone il ritmo come regola e principio ordinatore. E’ probabile che Mena non pensasse solo a una creazione poetica, ma anche musicale, in un momento in cui tali arti iniziavano a separarsi. Jorge Manrique Anche il terzo grande poeta del XV sec, Jorge Manrique (1440 ca-1479), apparteneva a una famiglia importante. Intervenne in numerose campagne militari, in appoggio all’infante Alfonso e più tardi alla regina Isabella. Partecipò anche a frequenti conflitti per proteggere gli interessi familiari e venne arrestato nel 1477, un anno dopo la morte del padre. Come tanti altri nobili del XV sec, imposta la sua vita intorno alla guerra e alle conoscenze relative alle Cortes, alle armi e alle leggi. Coltiva la poesia amorosa con discrezione, ricorrendo con frequenza al vocabolario militare e giuridico che gli risultava così familiare, con un tono adeguato a quello che utilizzavano i poeti dei Cancioneros. 70 Coplas a la muerte de su padre → gli diedero fama immediata. Si è soliti indicare 3 parti: 1. Una dedicata alla morte in astratto 2. Una alla morte storica 3. A quella del padre Jorge Manrique ha saputo introdurre il pubblico – lettore, ascoltatore – all’interno dell’opera attraverso accorgimenti elementari ma di grande effetto. In primo luogo utilizza sempre un plurale inclusivo, in cui la forma nosotros diventa la chiave della costruzione: le idee esposte sono comuni a tutti e tutti le conoscono, le identificano e pertanto concordano nella loro piena credibilità, senza bisogno di ulteriori spiegazioni. Il pubblico si identifica immediatamente con il poeta e accetta i suoi sentimenti come propri. Inoltre, l’autore rafforza questo rapporto attraverso un continuo uso di verbi che si appellano all’esperienza collettiva, e cosi si ripetono le esortazioni e i riferimenti a ciò che tutti hanno visto e conosciuto, sia come aspetti della vita quotidiana sia come ricordi vincolati alle conoscenze libresche. L’esperienza generale, quella che unisce il pubblico e il poeta, giunge fino alla strofa XXV; poi inizia l’eccezionale, ciò che sostituisce il nucleo centrale della composizione, il vissuto che Jorge Manrique vuole trasmettere: la vita armoniosa, di semplice perfezione dell’ufficiale don Rodrigo. A partire da questo momento non appaiono più i plurali incisivi, ne si ripetono i verbi relativi alle percezioni sensoriali. Don Rodrigo avanza da solo verso l’incontro con la morte; lo scenario è quello della corte, con tutto il suo sfarzo. Si produce un contrasto violento tra la serena figura dell’ufficiale e la vita turbolenta che gli si svolge intorno, mentre il protagonista avanza lasciando indietro coloro che sono morti prima di lui, eroi, personaggi famosi e anche (come segno di vittoria suprema) i propri nemici. Le Coplas danno un’immediata impressione di tranquillità, di armonia, non solo per le idee che espongono, ma x la scorrevolezza con cui si sviluppa il pensiero, nonostante il poema sia stato scritto in un periodo di tempo molto lungo. Il dominio di una tecnica, o forse l’insicurezza davanti alla propria capacità lirica, portano Manrique a ricorrere con frequenza a mezzi che gli servono a rafforzare l’unione interna del poema e a intensificare il sentimento lirico. Nascono così le reiterazioni con tutte le loro sfumature; geminazioni e anafore, parallelismi, contrasti, gradazioni, … un ricco repertorio di figure letterarie per esprimere ciò che tutti sanno: como se pasa la vida, como se viene la muerte. Como a nuestro parecer, cualquiera tiempo pasado, fue mejor. La prosa Per molto tempo la prosa si era limitata ai generi di carattere didattico e moralizzante. Agli inizi del XIV sec appare una prima opera di finzione, il Libro del cavallero Zifar, scritto in prosa e che ostentava una credibilità presa in prestito, sicuramente dalla storiografia. Se la prosa veniva utilizzata per raccontare fatti realmente accaduti (cronache e storia), la narrazione in prosa di qualsiasi avvenimento (x es. romanzi) avrebbe necessariamente portato a un’associazione immediata con fatti reali e pertanto, avrebbe vinto la battaglia della credibilità. Così durante il XIV sec la prosa verrà coltivata con impegno sempre maggiore da storiografi e romanzieri, che in questo modo si vogliono assicurare la credibilità meritata dalla storiografia. Oltre a loro, continueranno a scrivere in prosa gli autori di testi scientifici, i creatori di racconti, i moralisti e gli esegeti di opere serie, i traduttori e spesso anche i poeti nei prologhi o nei commenti che accompagnavano le loro opere. La prosa guadagna terreno nei confronti del verso, specialmente grazie all’accettazione del nuovo genere, il romanzo. Il racconto 70 El conde Lucanor di don Juan Manuel, costituisce un pilastro della narrativa breve: l’esistenza di una struttura ben definita, basata sul dialogo tra Lucanor e Patronio, e il fine pratico contenuto in ogni racconto del libro rendono evidente la concezione unitaria dell’opera e una preoccupazione stilistica di gran lunga superiore a quella abituale dell’epoca. Don Juan Manuel non seppe liberarsi del valore pesantemente moralizzante ereditato dalla tradizione; in Castiglia il racconto sarà per molto tempo vincolato alla predicazione. Il rapporto tra sermoni e racconti non lascia spazio a dubbi ed è evidente in opere come il Viridario di frate Jacobo de Benavente (fine del XIV sec.) e nel Corbacho di Alfonso Martinez di Toledo, strutturato come un sermone contro la lussuria, che si divide in 4 parti: problemi causati dall’amore carnale, vizi delle donne, atteggiamento delle persone rispetto all’amore e rapporto tra gli astri e l’amor carnale. La storiografia Alfonso X aveva segnato l’inizio della storiografia in Castigliano. ↓ il modello alfonsino sarà seguito, imitato e rielaborato da numerosi autori nel corso dei secoli XIV e XV, per i quali la storia continuerà a incentrarsi sulla figura dei re, rappresentanti del popolo, intorno a cui si delineano i fatti degni di essere raccontati. Le principali differenze risiedono nel fatto che Alfonso X aveva voluto dare un’interpretazione agli eventi, in quanto il loro significato era contenuto in un disegno divino. Adesso si dimentica tale prospettiva e gli storiografi vanno più in là della semplice narrazione. Emerge l’anonima Gran Cronica de Alfonso XI, in cui si mescolano elementi provenienti dal poema di Rodrigo Yagnez (Yanez), dedicato al re e informazioni attinte da altre cronache, con l’intento di giustificare i fatti del sovrano. Succede qualcosa di simile anche con don Pedro Lopez de Ayala, con la differenza che l’autore è anche testimone e protagonista dei fatti che narra, manipolati, in funzione dei propri interessi e di quelli della nobiltà Trastamara, che non coincidono con una visione nazionale. La storiografia si adatta anche con la salita al trono di Enrique IV, caratterizzato dai continui tentennamenti del monarca e dall’imposizione finale della figlia Isabella come erede della corona. Molti autori si schiereranno a favore di Isabella. La salita al trono dei re cattolici diede inizio al superamento delle crisi che si erano prodotte quasi a partire dall’inizio del XIV sec e che avevano acquisito una dimensione allarmante durante il regno di Enrique IV. La storiografia assume adesso un aspetto da panegirico (orazione elogiativa o celebrativa in onore di personaggi illustri; in quella cristiana, scritto o discorso in lode di un santo), lasciandosi alle spalle le tensioni dinastiche che avevano caratterizzato epoche anteriori e permettendo all’autore di dare spazio alle sue opinioni (si completava così un processo di filiazione umanista iniziato da Alfonso de Palencia alcuni anni prima). L’importanza acquisita dalla storiografia nella seconda metà del XV sec portò alla sua imitazione da parte di altri generi e apparvero sottogeneri di carattere pseudo-storico o di carattere propriamente storico, come le biografie di personaggi celebri, in relazione con lo spirito umanistico. Non molto distasti dalle biografie troviamo le cronache individuali, in cui la figura centrale non è il re, ma qualche personaggio importante. La passione per le cronache, che inizia a svilupparsi prima tra la nobiltà e poi raggiunge il resto della società, spiega l’auge dei cronisti che nascono in relazione alla scoperta dell’America e che presto cominceranno a scrivere del Nuovo Mondo. A queste trasformazioni della storiografia bisognerà aggiungere, alla fine del secolo, la presenza di testi in versi in cui risalta l’entusiasmo per i successi della “reconquista” e l’orgoglio di sentirsi membri di una società eroica, quasi come era successo ai cavalieri che parteciparono alla conquista di Gerusalemme durante le Crociate. 70 Representation de los Reyes Magos → è una delle testimonianze più antiche della letteratura castigliana e il primo esempio di teatro medievale scritto completamente in lingua vernacola, anche se la struttura fa pensare che, più che alla rappresentazione, fosse destinato alla lettura. Non si sa nulla dell’autore, il contenuto si divide in 5 scene: 1. I soliloqui dei 3 re 2. Incontro dei Magi e decisione di verificare le condizioni del nuovo nato con l’offerta di oro, incenso e mirra 3. Intervista con Erode 4. Monologo di Erode 5. Erode e i suoi saggi ebrei cercano di scoprire la verità. Anche se il teatro castigliano ha avuto un frutto precoce come la Representation de los Reyes Magos, in realtà c’è un vuoto che si estende dal XII al XV sec. Rappresentazioni legate esclusivamente alla sfera liturgica, specialmente la liturgia pasquale. Fuori dalla chiese e dai monasteri si era soliti fare rappresentazioni di genere teatrale, già dalla metà del XV sec. Era frequente che i commensali si intrattenessero con spettacoli come i momos (semplici giochi in maschera, senza dialoghi) e gli entrememes, che in generale mantenevano il carattere sacro. Le feste all’aperto raggiungevano il massimo splendore nei ricevimenti dei re o di grandi personalità, per i quali si preparavano processioni e spettacoli vari. Anche nelle corti dei nobili si producono manifestazioni a partire dalla metà del XV sec. Juan del Encina (vero nome Juan de Fermoselle) → poeta cortese e musicista di grande prestigio, deve la sua fama soprattutto all’attività di autore teatrale. Il suo Cancionero (Salamanca 1496) comprende 8 opere teatrali, che nelle edizioni posteriori divennero 12, e alle quali verranno aggiunte 2 egloghe stampate in fascicoli indipendenti. L’autore si sforza di imitare l’antichità; per questo chiama egloghe le sue opere teatrali. Egli credeva di seguire i modelli della commedia latina: per questo sono costanti nelle sue opere dialoghi lirici tra pastori. A poco a poco inserisce nelle sue opere personaggi-tipo ed elementi della vita quotidiana (piccolo passo verso il teatro profano). Tempi: pastori di Betlemme che dialogano, carnevale, opposizione tra vita di corte e vita pastorale. Le sue opere erano indirizzare alla corte, pubblico ancora abituato ai cancioneril, alle narrazioni cavalleresche e sentimentali. Queste sfumature sono presenti nell’impostazione drammaturgica di Juan del Encina. Le sue più grandi innovazioni avvengono dopo il soggiorno in Italia: al tema amoroso aggiunge l’influenza rinascimentale del dialogo, personaggi e azione. Es: Egloga de Cristino y Febea: amor carnale trionfa sull’ascetismo. Egloga de Fileno, Zambardo y Cardonio termina con il suicidio di Fileno. Egloga di Placida y Vitoriano, i pastori si mescolano con l’ambiente urbano e il mondo mitologico. Vengono introdotti i villancicos tra le due parti dell’opera e scene comiche che si svilupperanno fino ai pasos del rinascimento. In Juan vediamo l’evoluzione che porta dal teatro medievale a quello del Secolo d’oro. Lucas Fernandez, che si ispira a Juan, utilizza elementi drammatici in modo più efficace: caratterizzazione dei personaggi, scenografia o musica; tutto ciò al fine di emozionare maggiormente il pubblico. La Celestina Non si sa se si tratta di un romanzo in prosa o un’opera teatrale: l’autore sta parodiando la finzione sentimentale utilizzando un registro di maggiore realismo rispetto all’idealismo della narrazione sentimentale. Tuttavia il fatto che l’opera sia costruita sul dialogo dei personaggi, che il tema si basi su relazioni amorose illecite (non suggellate dal matrimonio) e che l’azione si limiti ad un periodo molto breve, situa l’opera nel quadro della commedia umanista (che veniva letta a voce alta ma non si rappresentava). La Celestina ci è pervenuta in 2 versioni differenti attribuite all’avvocato converso e baccelliere all’università di Salamanca, Fernando de Rojas: la prima (1499) intitolata Comedia de Calisto y Melibea: 16 atti, in una lettera l’autore dice di essersi limitato a continuare un’opera trovata iniziata; nel 1502 apparvero nuove edizioni dell’opera, in cui era intitolata Tragicomedia de Calisto y Melibea o Libro de Calixto y Melibea y de la puta vieja Celestina. Nel prologo l’autore dice di essere stato obbligato ad apportare delle 70 modifiche all’opera (come allungare di un mese gli amori della coppia protagonista) che comportò l’inserimento di 5 nuovi atti. Inoltre diede ai precedenti 16 un tono didattico – moralizzante. Così il risultato è che l’amore tra Calisto e Melibea, facilitato dalla serva Celestina, serve da asse centrale per le altre relazioni amorose tra i servi dei due amanti. La lussuria si mescola con la cupidigia, portando alla morte Celestina e dei due servi, cosa che provoca la vendetta delle loro amate. La morte di Calisto porta al suicidio di Melibea. La Celestina è in buona parte una storia di donne e si svolge negli interni delle case o dei giardini, in uno spazio che è quello delle donne, con preoccupazioni femminili e protagoniste femminili. Da una parte la vecchia mezzana, motore di tutta l’opera e incarnazione del diavolo, rappresentante del mondo fatto di bordelli e destinato a scomparire a causa delle leggi del momento e abile in altri genere pure proibiti: magia, stregoneria e infine la grande perdente Melibea, vittima di tutti, che col suicidio allontana la possibilità della salvezza eterna. Influenze da Terenzio, in cui non mancano vecchie orditrici di trame e dai temi dell’amor cortese: Calisto impregnato da valori cortesi, la dama è l’oggetto della maggiore venerazione al punto che risulta difficile distinguere passione amorosa e fede. Ma ciò che inizia come autentica confessione di fede, si conclude nella lussuria, grazie al lavoro di Celestina, o per inclinazione naturale dei protagonisti. La chiave del successo dell’opera sta nella vera costruzione di un mondo proprio, in cui tutto funziona come se fosse reale. Un accostamento a quel mondo fittizio mette in evidenza la distanza esistente tra la vita reale e la realtà del racconto. Lo spazio non è identificabile, il tempo scorre in modo completamente diverso dal suo corso normale, i personaggi parlano una lingua piena di elementi letterari che difficilmente si accordano con la loro condizione sociale. All’autore interessa al di sopra di tutto lo sviluppo dell’azione: è molto più significativo il ritmo degli avvenimenti e il loro epilogo, cumulo di casualità o di abilità dello scrittore che forza il destino delle sue creature. In quanto alla lingua, i personaggi ricorrono frequentemente a espressioni prese dalla letteratura più in voga, fatto che li allontana dal modo di parlare che loro si addice. Non stupisce allora che anche i servi si dimostrino colti. Così anche Celestina può discorrere con Melibea con idee attinte dal Petrarca o i servi ricordino eroi ed eventi mitologici. Né spazio, né tempo, né lingua rispondono alla minima verosimiglianza; tuttavia il testo risulta convincente grazie all’abilità di Rojas nello sviluppo dei dialoghi, che diventano l’elemento chiave per la costruzione dell’opera. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che La Celestina è ancora frutto della fine del XV sec e che come tale conserva ancora numerosi aspetti medievali (l’elemento didattico dell’opera o l’abbondanza di soliloqui come espediente per caratterizzare i personaggi). Ma sopra questi si impone l’abilità del dialogo, che acquista differenti registri a seconda degli interlocutori, abbandonando in questo modo le rigide norme retoriche, che obbligavano ogni personaggio a parlare secondo la propria situazione sociale. PARTE SECONDA – L’ETÁ D’ORO L’uomo nuovo ■ L’uomo rinascimentale pone se stesso al centro dei propri pensieri, del proprio mondo; ■ cambia il suo rapporto con Dio, con la natura, con il prossimo ■ le sue esperienze d’amore lo portano a esprimere in letteratura un desiderio inappagato di bellezza. ■ Conoscere se stessi sarà il primo passo per conversare con Dio ■ L’uomo può trasformare se stesso, elevarsi o distruggersi. È il primo momento della sua solitudine. Dio è il creatore, ma l’uomo ha la libertà di raggiungere con le proprie forze un posto nel mondo, “ha la libertà di essere ciò che vuole”. Il rapporto con Dio inizia con la conoscenza di se stessi; l’introspezione porterà infatti l’uomo alla divinità o all’espressione dei suoi sentimenti in una nuova forma lirica che s’imporrà come modello nel futuro. 70 L’essere umano si perfeziona grazie alla conoscenza e nel sapere occupano un posto privilegiato le arti liberali. L’uomo, che Dio crea a sua immagine e somiglianza, ha l’anima simile a Dio e il corpo simile al mondo. Ciò è espresso dalle parole di Fernan Perez de Oliva: è l’uomo un piccolo mondo compiuto della perfezione di tutte le cose. Ossia un microcosmo. Nell’umanesimo il dialogo si configura come la forma di espressione artistica. E lo si fa in lingua romanza. Il sapere diventa requisito indispensabile dell’uomo rinascimentale, del cortigiano, del prototipo del profilo letterario datogli da Baldesar Castiglione. Lorenzo Valla inizia in Italia una lotta in difesa del latino e contro gli scolastici medievali che con Antonio de Nebrija arriverà in Spagna. Essi volavano fare dell’eloquentia il nucleo principale di ogni cultura. L’umanesimo considera lo studio della letteratura alla base dell’educazione, al contrario del medioevo. Gli studia humanitatis porteranno l’uomo a raggiungere la dignità e a conquistare il posto a cui aspiravano il suo intelletto e la sua ragione. L’educazione La regina Isabella ordinò a Nebrija di tradurre in castigliano le Introductiones latinae (1481) Manuale per l’apprendimento del latino, destinato agli ordini monastici femminili. Le introductiones latinae diventarono il nucleo della nuova educazione, che si fondava sulla conoscenza del latino classico, unica via per la lettura dei grandi scrittori. Il latino e l’eloquentia costituivano il punto di partenza per approdare a nuove discipline: il diritto, la medicina, la teologia. Solo la conoscenza del latino classico permette di leggere le opere dei grandi maestri di ogni disciplina delle lettere antiche., per arrivare così, come scrive Nebrija, al conocimiento de todas las artes que dicien de hmanidad porque son proprias del hombre en cuanto hombre. Le indtroducciones non sono discussioni cavillose, sfoggi dialettici dei barbari medievali, ma l’inizio di una nuova era dell’educazione e, pertanto, della cultura spagnola. La conoscenza del latino permetteva l’accesso ai classici, la lectio poetarum (lettura dei poeti), che era la base degli studia humanitatis. E leggerli era indispensabile per imitarli, come diceva il Brocense. Lo scrittore deve essere come l’ape che nutrendosi di molti fiori, elabora il proprio miele; deve conoscere per ricreare con parole proprie. L’imitazione deve essere composita; ossia si deve nutrire di molti fiori, non solo di uno, in quanto ciò porterebbe a una rozza imitazione. Nel romanticismo si imporrà l’originalità come metro a cui aspirare; nell’età d’oro, lo scrittore non pretende di essere originale come il baco da seta che elabora i suoi fili creandoli da se, ma come ape imitatrice, che presuppone di aver letto tutti i classici e pertanto di conoscere il latino (essere dotto). La differenza tra un bravo scrittore e uno mediocre consiste nel saper rivestire il proprio sentimento di materiale altrui, nel saperlo trasformare in miele, in bellezza, in novità. Il cortigiano Possedere conoscenze e saperle dimostrare è una delle caratteristiche che delineano il ritratto del cortigiano: il prototipo dell’uomo rinascimentale a cui Baldesar Castiglione diede forma nel suo dialogo (1528). Il cortigiano, di ottimo lignaggio, di “buon ingegno” e di “gentile aspetto e fisico armonioso” deve essere abile nell’uso e nell’esercizio delle armi, ma anche in quello delle lettere. Nella scrittura, il cortigiano deve raggiungere un po’di difficoltà affinché il lettore fatichi, lavori con buon giudizio e poi raggiunga quel diletto che si prova nel comprendere le cose difficili. Se non capisce, sarà colpa della sua ignoranza, non dello scrittore. 70 Nel 1526, il giorno dopo le nozze dell’imperatore Carlos V celebrate a Granada, Juan Boscan discusse di poesia con l’ambasciatore Andrea Navagero. Lo racconta nella dedica alla duchessa di Soma nel secondo libro delle sue opere. E’ una piccola opera d’arte in prosa, curata, precisa, piena di sfumature ed estremamente espressiva. E’ un breve appassionante racconto delle circostante che portarono alla più grande rivoluzione poetica delle lettere spagnole, che venne “dal discorso”. Come sfondo c’è ancora una volta un avvenimento politico. Il Navagero propose a Boscan di scrivere in lingua castigliana sonetti e altri metri usati da buoni autori d’Italia. E il poeta racconta del come iniziò a provare questo nuovo genere di versi, stimolato da Garcilaso che farà trionfare questo nuovo modo di far poesia. Boscan ricevette molte critiche da parte degli amici letterati del tempo, ancora legati alla cultura tradizionale. Ad essi consiglia loro il cancionero general, che permetterà loro di vivere e riposare generalmente. La nuova forma di far poesia, che significò l’adattamento in spagnolo dell’endecasillabo e delle strofe italiane, apporta una nuova musicalità: • Rimane in uso la rima consonante, ma non l’esticomitia (coincidenza della frase sintattica con il verso) • L’enjambment fonde un verso con quello seguente, così la rima non si stacca per la coincidenza del finale dell’unità sintattica e non suenan tanto le consonanti. Inoltre si rifiuta il verso acuto. Tanto la lirica cancioneril come quella italianizzante avevano la stessa origine: la lirica provenzale. Il Cancionero General compilato da Hernando del Castillo (Valencia 1511), che Boscan suggerisce agli appassionati di poesia, ha un successo straordinario, con numerose riedizioni. Raccolta del XV secolo, composta da poesie d’intrattenimento atte a essere cantate o recitate a corte, basate su un linguaggio che giocava sulle parole, le cui caratteristiche faranno più tardi parte del conceptismo; il sentimento dell’io poetico si arricchisce di derivazioni, poliptoti, paronomasie, equivoci. L’amore come destino cui si sottomette l’innamorato, con le sue contraddizioni interiori, diventa l’argomento centrale di questo tipo di poesia, che insiste sul silenzio cortese e tace il ritratto fisico della dama. La poesia italianizzante, invece, subordina una lingua poetica – la cui artificiosità andrà tuttavia aumentando- all’espressione di un sentimento intenso, frutto dell’introspezione dell’ “io” poetico che vive appassionatamente una storia d’amore, in essenza letteraria, in un paesaggio stilizzato che spesso trasforma nel suo confidente. I protagonisti dell’argumento de amor sono la dama, sempre bella e crudele, e l’io poetico, essere sofferente, senza un profilo fisico. Il ricordo di momenti di felicità perduta porta al lamento disperato e dolce al tempo stesso dell’io poetico, che si esprime in canzoni e sonetti – eredità del petrarchismo – in madrigali o in generi derivanti dalla poesia greco-latina: epistole, elegie, odi, egloghe. L’imitazione composta e l’ornamento dell’elocuzione saranno i due pilastri della nuova poesia, frutto dell’incontro tra Boscan e Navagero, a Granada. Il successo fulmineo della poesia italianizzante in Spagna si deve all’opera di un poeta straordinario, amico di Boscan, Garcilaso de la Vega. Boscan pubblica le opere di Garcilaso come appendice alle proprie. Garcilaso scrisse 38 sonetti e 4 canzoni, in stile petrarchesco, un’ode, due elegie, un’epistola e tre egloghe e 8 coplas in ottonari. La sua poesia ci offre bellezza ritmica e musicale, dominio dell’endecasillabo. Argomenti: miti, lamento per la felicità perduta, i regali ricevuti dalla dama, descrizione del tormento della gelosia. Le correnti poetiche Insieme alla concomitanza della poesia italianizzante e quella cancioneril, altre 2 correnti poetiche si incrociano nel XIV sec: la poesia tradizionale e i romances. Sebbene la nuova educazione e il comportamento dei dotti implicasse un disprezzo totale nei confronti del volgo “ignorante”, paradossalmente se ne ammirano le creazioni, si stampano in antologie e si imitano. Le facezie e i racconti folcloristici si incorporano in teatro, prosa e poesia e il Lazarillo è un esempio di articolazione di una trama di aneddoti preesistenti nella tradizione orale. Si conserva una tradizione letteraria nella sua forma colta, la poesia cancioneril, e la si recupera in quella popolare: i villancicos e i romances, che da opuscoli si trasformano in libri veri e propri, a cancioneros e romanceros. La poesia italianizzante si impone in modo dominante al fine di dare dignità alla lingua. Tra gli oppositori a questa nuova corrente vi è Cristobal de Castillejo che scrive Represion contra los poetas espanoles que 70 escriben en verso italiano, del 1573. I petrarchisti hanno rinnegato la fede nei metri castigliani a favore di quelli italiani, burlandosi dei metri spagnoli del momento. Alla poesia italiana contrappone i versi di de Mena, Manrique e compone lui stesso sonetti. Egli scrive in ottonari e versi in pie quebrado, mentro adatto alla sua vena giocosa e satirica e censura l’endecasillabo, utile ad esprimere il tormento amoroso, l’ottonario si dedica ad altro. I “romances” e la lirica tradizionale Martin Nucio raccoglie e stampa ad Anversa, tra il 1547 e il 1548, la prima collezione dei romances viejos nel Cancionero de romances, un piccolo volume di quelli chiamati de faldriquera (da tasca). I 156 romances sono preceduti da un breve prologo del tipografo, dove si leggono le ragioni della raccolta: • Per “ricreazione e passatempo” dei lettori • Per le possibili assenze e gli errori di trascrizione dovuti alle 2 fonti da cui è stato attinto • Per la trasmissione orale e i fascicoli Lui stesso apporta una prima classificazione : prima quelli con argomento di Francia e dei dodici pari, poi quelli che raccontano storie castigliane, poi quelli di Troia e per ultimi quelli amorosi. Altra raccolta, quella di Estaben G. de Najera, si intitola “Primera parte de la silva de varios romances”, con romanzi di carattere religioso. I romances nuevos prendono personaggi da quelli viejos, partendo dalla Cronica General, per esempio Lorenzo de Sepulveda che comincia il romance del rey Don Rodrigo. I romances artistici della fine del XVI secolo abbandonano la rima consonante che li caratterizzava sin dalla fine del XV secolo e recuperano l’assonanza dei viejos. Sono composti in quartine di versi isosillabici e la carica lirica che si combina con il carattere narrativo viene a volte sottolineata con ritornelli in forma di parentesi a intervalli non sempre regolari. Accanto ai romances, che nascono dalla creazione anonima e finiscono per diventare uno strumento in più di risalto dell’ingegno e del dominio linguistico, c’è l’anonima lirica tradizionale, i villancicos, che inizialmente vennero anche divulgati in fascicoli. I poeti colti si sentirono attratti da questa creazione popolare, compilata per la prima volta presso i re cattolici; glossano le cancioncillas, le creano e le inseriscono nelle opere teatrali. Cervantes in El celoso extramegno fa sì che mentre suona la chitarra, la padrona, circondata dalla governante e serve, canti una coplas. Il villancico è solito essere accompagnato da una glossa, di carattere colto e popolare, quando è presente nelle antologie; lo caratterizzano la brevità e l’intensità espressiva, accanto alla sobrietà nell’espressione del sentimento e alla drammaticità del contenuto. Le situazioni che si sviluppano sn disparate, gli argomenti molto diversi, possono essere espressi da una donna o da un uomo: la donzella, la sposata o la fanciulla che non vuole farsi monaca. La donna si lamenta della codardia dell’amico o dell’attesa vana; la fanciulla dà appuntamento al conte in riva al fiume, dove si reca a lavare, per sfuggire alla vigilanza della madre; la donna sposata si lamenta del fatto che il marito, cavaliere, le ricordi sempre le proprie origini e le rinnega: Mi chiamate villana, io non lo sono. In questi versi compaiono diversi argomenti: la caccia ai falchi, come metafora amorosa, i bagni d’amore, il tema di Fedra. Il lamento della malmaritata, l’esilio. I poeti colti compongono anche villancicos e spesso non si può precisare l’origine di una canzone. Fu composta dal poeta colto o solo glossata? Se non ci sn altre testimonianze, non è possibile saperlo. Riprendono il tema divino poiché le composizioni religiose sn più facili da divulgare; approfittano della popolarità di determinate cancioncillas. Alla fine del XVI secolo compaiono le seguidillas, combinazioni di settenari e pentasillabi; erano accompagnate da chitarre e ballate in palazzi e piazze. L’elevazione della lingua romanza. L’arte della difficoltà Mentre il castigliano diventava definitivamente veicolo d’espressione di qualsiasi tipo di contenuto, il latino era privilegio solo dei dotti (non lo parlavano neppure le monache) e appare reiteratamente espressa nei testi l’idea della situazione precaria delle lettere spagnole, di fronte alla lucentezza delle armi dovuta alle vittorie militari. 70 Quando la monarchia degli austriaci sarà in decadenza totale grazie al patetico Carlos II, una splendida creatività letteraria – che giustifica pienamente il termine età d’oro – avrà arricchito la lingua spagnola. A metà del XVI sec, la Spagna dominava la maggior parte del Nuovo Mondo, e Carlos I (1517-56) unì l’eredità spagnola, borgognona e asburgica, frutto della politica matrimoniale dei re cattolici. Nel 1580 il Portogallo viene annesso alla corona da Felipe II. E’ il culmine dell’egemonia spagnola nel mondo, presto destinata a sgretolarsi. Nell’esaltare la lingua, se ne considera la bellezza, la dolcezza, l’abbondanza lessicale, ma la si lascia in uno stato di trascuratezza per la mancanza di scrittori che le diano lustro, che evidenzino le qualità che possiede. Viene paragonata alla lingua toscana e la differenza risiede nell’esistenza di scrittori come Dante, Boccaccio, Petrarca che le hanno dato dignità. C’è dunque una coscienza generalizzata della necessità di elevare la lingua al rango che le compete. Prendono forma così, le teorie sull’origine della lingua. Un modo per darle dignità è farlo dalle sue radici. Juan de Valdes nel Dialogo de la lengua, accetta che la maggior parte dei termini deriva dal latino, ma fa notare che la prima lingua parlata sulla penisola fu il greco. Lopez Madera inventerà la teoria che il castigliano fu una delle 72 lingue primitive dopo la confusione linguistica di Babele, dandole così maggiore dignità. Francisco de Medina avanza la teoria che solo trasformando buoni scrittori in autorità, imitandoli, si potrà liberare la lingua dalla trascuratezza in cui si trova, credendo che la buona lingua si impari naturalmente. Fernan Perez afferma che mancano nella lingua buoni esempi del bel parlare sui libri, che sono l’aiuto maggiore per perfezionare il linguaggio. Herrera si farà promotore del perfezionamento della lingua, rintracciandolo nel nuovo modo di far poesia, all’italiana. La poesia con i suoi cliché sulle dame e l’amor cortese era giunta alla stasi. Sarà Juan de la Cruz a darle nuova vita. La poesia di san Juan de la Cruz Juan de Yepes y Alvarez è il frate Juan de la Cruz quando fonda il primo monastero di carmelitani scalzi a Duruelo. Da inizio alla riforma dell’ordine sotto la direzione di Teresa de Jesus, la grande fondatrice, che conobbe nel 1567. Nel 1577 i suoi confratelli lo rinchiudono nella prigione di un convento a Toledo da cui, 9 mesi più tardi, riesce a fuggire rifugiandosi nel convento di San Josè de las descalzas. Quando il suo ordine viene riconosciuto, le persecuzioni nei suoi confronti cessano, permettendogli così di continuare con il suo impegno di fondatore e diventare priore di vari monasteri, benché poco prima di morire sarà privato di tutti gli incarichi. Le sue opere più importanti sono: Noche oscura, Cantico espiritual e Llama de amor viva. Le poesie brevi presentano giochi di parole proprie della composizione in ottonari cancioneriles, come la glossa di vivo sin vivir en mi. Egli cerca una forma per poter tradurre la propria esperienza e lo fa mediante un lirismo integratore di varie tradizioni letterarie (greco-latina, italianizzante, biblica, impronta del Cantico dei Cantici) ottenendo strofe insolite che tendono all’incomprensibile. Le monache, sue prime lettrici, non capiscono le sue canciones e Juan le commenterà. Ma afferma che i suoi versi non si possono ben spiegare e introduce una nuova forma di ricezione della poesia: egli lascia il lettore libero di interpretare i suoi versi secondo la propria condizione di spirito, dunque il lettore non deve decodificarli ma interpretarli. Nella Noche e nel Cantico troviamo la voce di una donna innamorata che si esprime in liras (strofe in 5 versi; secondo e quinto endecasillabi. Il primo rima con il terzo e il secondo con il quarto e il quinto) e canta l’amore appagato: appare una mescolanza inedita: liras strofa italianizzante – lamento della ragazza tema della poesia tradizionale. La donna non utilizza le forme tradizionali e il linguaggio non è decodificabile in quanto non si orienta nel campo dell’esperienza amorosa. Utilizza forme attinte da varie tradizioni ma crea ondas de sugestiones, poiché i termini hanno connotazioni letterarie di varie correnti poetiche, ma il loro uso è nuovo: leggiamo liars, ma la poesia è d’impostazione tradizionale, appaiono echi delle egloghe di Garcilaso ma irrompono i riferimenti guerrieri e al Cantico dei Cantici. Nulla è definitivo nel Cantico. La poesia contiene al suo interno punti di riferimento che appaiono più volte, ma che non rappresentano stabili basi d’appoggio. Lei è una pastorella e il paesaggio è da egloga ma il locus amoenus si mescola con volpi, leoni e alle paure che non lasciano dormire. Dall’amore parte e a lui si ritorna. 70 Il genere storiografico, non avendo ancora una collocazione precisa, diventa spesso materia letteraria e il suo valore estetico subordinato a quello testimoniale. Nel XVI sec, la monarchia gode del massimo prestigio: la figura di Carlos V incarna il monarca universale, difensore della cristianità e il sacco di Roma dalle sue truppe compiuto e l’arresto di papa Clemente VII, il 6 maggio 1527, rischiano di modificare questa immagine. Per questo Alfonso Valdes, segretario del re, scrive il Dialogo de las cosas acaedidas en Roma, in difesa dell’imperatore: nella prima parte mostra all’arcidiacono come l’imperatore non abbia colpa alcuna, e nella seconda, come tutto è stato voluto da Dio per il bene della cristinità. Cronaca redatta da personaggi alla corte dell’imperatore, di natura differente, è quella del buffone Francesillo Zugniga che scrive la Cronaca burlesca del emperador Carlo V: contiene caricature affilate e burlesche che lo condurranno alla morte. Al buffone non interessa tanto la storia quanto la burla ingegnosa e mordace. L’opera termina con finte lettere ai personaggi dell’epoca. I suoi paragoni sono grotteschi e anticipano la sfacciataggine verbale di Quevedo e l’inventa utilizzando la formula “parece…”. Nelle caricature trasforma i cortigiani in cose e animali. Fatto storico fondamentale che lasciò un segno nella storiografia e nella letteratura fu la scoperta e colonizzazione dell’America. Dal diario e le lettere di Colombo alla Verdadera historia de los sucesos de la conquista de la Nueva Espagna di Bernal Diaz del Castillo. Originalità in due punti: osservazione del nuovo mondo e capacità descrittiva, non a fini letterari, ma informativi. L’autore è anche personaggio della propria opera e scrive, anziano, basandosi sul ricordo e usa la letteratura e i proverbi per avvicinare il lettore a ciò che lui ha visto. All’inizio sembra vergognarsi della propria opera, in quanto non utilizza la retorica di altri scrittori, poi smentisce, lui è stato testimone oculare di fatti raccontati. È un nuovo modo di concepire la storiografia; la relazione diventa testimonianza. Lettere e libri Il successo del genere cavalleresco raggiunge il suo apice alla metà del XVI e lo mantiene fino alla fine. A metà del secolo, il romanzo bucolico e morisco e, più tardi, quello cortigiano sostituiranno i libri di cavallerie nelle preferenze di coloro che li leggono: cavalieri, dame, chierici, uomini colti. Sorprende il successo dell’epica colta a partire dalla seconda metà del secolo: tra il 1550 e il 1650 vennero stampati in Spagna circa 70 poemi epici. Questo successo era legato alla passione dei cavalieri per l’argomento, per il canto delle imprese dei conquistatori e per la sfida che significava per gli scrittori: la materia eroica permetteva loro l’uso dello stile sublime e di arricchire il più possibile la lingua. Un autore e il suo personaggio: il “Retrato de la Lozana andaluza” Francisco Delicado scrive il Italia, a Venezia nel 1528, il Retrato de la Lozana andaluza. Racconta ciò che vide e sentì e lo presenta come trasposizione della realtà. Per dimostrarlo si inserisce sotto forma di personaggio aggiuntivo in questo racconto dialogato. Lozana, prostituta, ruffiana, strega, condivide le astuzie dell’antenata, ma cambia nome e vita in tempo e si salva dal sacco di Roma, città in cui vive. Il suo servo Rampin, che in quanto picaro, ha avuto molti padroni, sarà suo comagno, amante e interlocutore. La ricchezza linguistica, in cui si intravede l’influsso di varie lingue, si unisce alla ricreazione dello spazio, del movimento e dei gesti attraverso il dialogo. Il libro si forma dentro l’opera stessa: il servo Rampin sorprende l’autore che scrive chiedendogli che testo sia questo e lo invita a casa della Lozana. Al principio l’autore si scusa perché non fa altro che appuntare e scrivere ciò che vede. In presenza della Lozana e del servo chiede penna e inchiostro per scrivere una cosa che gli era venuta in mente in quel momento. Lei è cosciente del coinvolgimento dell’autore nell’opera, e a Silvano confessa di amare Delicado. L’autore constata, con la propria presenza, la realtà di ciò che racconta. Il dialogo è intriso di erotismo, cui si intrecciano motivi folcloristici e un ritratto delle vecchie prostitute e la loro difesa, sperando in un loro riscatto. Delicado ha creato il ritratto letterario di un personaggio pieno di forza, sensualità e sfrontatezza, nell’ambiente ruffianesco di una Roma reale degli inizi del XVI secolo. Il plurilinguismo della Lozana riflette il mosaico culturale composito dalla società romana. L’autobiografia di un “picaro”: “La vida de Lazarillo de Tormes” 70 Lazarillo de Tormes → banditore di Toledo. Nel 1554 si pubblicano le prime 3 edizioni di questo rivoluzionario racconto, La vida de Lazarillo de Tormes, y de sus fortunas y adversidades. Il libro fu incluso nell’Indice dei libri proibiti dell’inquisitore Valdes nel 1559 e nel 1573 fu pubblicata l’edizione riveduta. Lazaro utilizza un artificio letterario, scrive una lettera in risposta a quella ricevuta da un anonimo corrispondente, racconta in prima persona dove e come nacque, chi furono i genitori e i padroni che servì fino a diventare banditore di Toledo e al matrimonio con una serva dell’arciprete di San Salvador, alla mercé del destinatario della lettera. L’anonimo autore del romanzo delega la narrazione totalmente al suo personaggio. Conclude giurando a sua moglie di non diffondere più le voci che circolano sul suo disonore, è infatti amante dell’arciprete, e sentenzia che nessuno ha più fatto riferimento al caso. Il termine caso è inserito in posizione strategica e si riferisce al fatto incestuoso, così da giustificare il racconto, come argomento che Lazaro deve raccontare al corrispondente “partendo dal principio, dando dunque unità al testo, in quanto la sua chiusura viene annunciata fin dall’inizio. Il racconto parte da un genere per crearne un altro: il picaresco. Il tipo di narrazione apre la strada al romanzo moderno: tempo e spazi reali, il racconto di una vita squallida, di fame e piena di sventure, non ultima arrivare ad essere banditore, ma cornuto. Nessun elemento del romanzo cavalleresco appare. La struttura circolare del racconto si sviluppa in sequenze con il passaggio di Lazaro di padrone in padrone (impronta dell’Asino d’oro di Apuleio.); narra dettagliatamente la vita del protagonista con i primi tre padroni: il cielo, suo maestro, il chierico di Maqueda e il povero escudero. L’ordine in cui sono presentati è direttamente proporzionale alla potevertà e alla fame che patisce con ognuno di loro. Arrivati al terzo padrone non arriva il cibo tanto desiderato, anzi, arriva a dividere con lui ciò che ha elemosinato. i padroni dopo i 3 vengono raccontati con più rapidità. Il racconto vede in buona parte Lazaro tra i 12 e i 14 anni. La sua ascesa a banditore gli darà il massimo della fortuna desiderata coronata dalle corna della moglie e dai benefici che comporta; il figlio di un mugnaio ladro e di una donna concubina di un negro, non può aspirare ad un’ascesa più onorevole. Lui, come la madre, cerca di accostarsi ai buoni, ma il loro essere indegni non lo permette. I motivi folcloristici all’interno del racconto sono adattati alla struttura del testo, per esempio, la testata che il cieco fa prendere a Lazaro contro il toro del ponte, trova corrispondenza, al termine del trattato, in quella che il padrone dà contro una colonna per aver seguito i consigli di Lazaro. Storico è il tempo del racconto, reale la geografia, conosciuti i personaggi che si susseguono, già appartenenti alla tradizione: il cieco astuto e avaro, il chierico meschino ecc…. l’ironia distrugge il protagonista, il quale racconta il proprio tirocinio come frutto di uno sforzo che dà come premio il disonore. L’anticlericalismo dell’autore è evidente, ma è da leggersi come burla. Dopo la messa nell’indice dei libri proibiti, il testo riappare purgato dai riferimenti anticlericali. La lingua di Lazaro è colloquiale, di uso abituale con proverbi e frasi fatte. Gli aggettivi applicati ai personaggi li caratterizzano prima ancora che agiscano: anticipa con “triste de mi padresto”, quando racconta che lo frustarono e torturarono. Il racconto autobiografico di un picaro al servizio di diversi padroni, diede inizio al genere del romanzo picaresco; con i suoi personaggi reali, di basso livello, inseriti in un quadro storico contemporaneo all’autore, che lo dipinge con verismo sociale. Il romanzo moderno inizia e queste solo le avventure che il don chisciotte amplierà. I libri di pastori Figuravano a ragione nella biblioteca di don Chisciotte, perché dalla pubblicazione dei Siete libros de la Diana di Jorge de Montemayor, il successo del genere fu straordinario. I libri di pastori espongono sotto forma di romanzo le casistiche amorose impostate teoricamente dai trattati d’amore. I personaggi incarnano varie situazioni amorose che narrano e parlano di altri (colui che ama senza speranza di essere corrisposto, colui che fu amato e poi disprezzato, colui che amò ma dimenticato). E’ frequente la scena di un pastore nascosto, mentre ascolta il racconto di altri. A volte i protagonisti agiscono come se vivessero in quel momento una situazione d’amore diversa, legata al passato e che non corrisponde più a quella attuale. La struttura aperta delle opere permette di aggiungere nuovi casi o di continuarli. Jorge de Montemayor → poeta religioso e amoroso di origine portoghese che inaugura con Los siete libros de la Diana una nuova forma letteraria del tema bucolico che trionfò nella vita di corte nella seconda metà del secolo. In questa nuova forma narrativa, i protagonisti, i pastori, sono in pellegrinaggio, diretti al palazzo 70 della maga Felicia, la quale possiede un’acqua meravigliosa, in grado di risolvere magicamente i casi d’amore rimasti insoluti durante il racconto. La struttura del pellegrinaggio verrà rinforzata nel romanzo bizantino con peripezie e obiettivi religiosi. Il personaggio del racconto non è più Diana ma Felismena, che è a sua volta la protagonista del primo romanzo spagnolo cortigiano. Montemayor attinge da Bandello la storia d’amore con Felix ma la adorna con finezza psicologica, lettere e con la figura della donna travestita da uomo e con dolorosi equivoci. Il genere bucolico conteneva in parte le novità del romanzo cortigiano. Univa inoltre prosa e poesia perché i lamenti dei pastori erano in versi. Il cane Bergenza parando con Cipion afferma che questi pastori non hanno niente a che vedere con quelli di cui leggeva la dama del suo padrone sui libri, quelli dicevano che i pastori passavano la vita cantando e suonando, questi no. Mori e cristiani, leali cavalieri: il romanzo morisco Più breve fu l’apparizione di personaggi esotici in romances e romanzi, ma nei primi la figura del moro fu parallela a quella del pastore: si distinguevano solo per l’abbigliamento e per i nomi; entrambi erano amanti fedeli. Miguel de Cervantes: “Io sono il primo a scrivere novelle in lingua castigliana” Cosi afferma Cervantes nel prologo alle Novelas ejemplares, ed è vero. Miguel de Cervantes è l’indiscutibile creatore e maestro del genere, introdotto definitivamente in Spagna dalle sue 12 Novelas ejemplares (1613) che gli conferiscono forme diverse con una genialità magistrale e conferendo dignità nuova al genere della novella. Cervantes sa di avere il potere di creare qualsiasi variante alla materia narrativa che adopera. Può non voler conoscere il motivo del comportamento di un suo personaggio. Varie sono le tematiche e i giochi narrativi utilizzati da Cervantes nelle sue novelle: in El casamento engagnoso e Coloquio de los perros tema del Lazarillo. La gitanilla: agnizione; el amante liberal: peripezie tipiche del romanzo bizantino. Las dos doncellas: due donne travestite da uomo; unione tra novella e commedia d’intreccio, ci propone due vicende amorose: Marco Antonio ha fatto due promesse di matrimonio, una per iscritto, una già consumata. El celoso extremegno: prende in giro il vecchio geloso, lo fa creando uno spazio frutto dell’ossessione del personaggio che crede la moglie sia adulterina. Farà sì che la moglie svenga e non possa dire al marito di non aver commesso adulterio, solo perché costui muoia convinto di essere cornuto. Alcuni personaggi sono testimoni della realtà e della malavita sivigliana. La ilustre fregona: personaggio innamorato della vita di picaro e decide di viverla finché rinuncerà a questa vita ritornando al proprio status sociale elevato. Cervantes, come autore o narratore, partecipa a volte all’azione, giudicando le azioni dei personaggi o diventando loro interlocutore. Il gioco narrativo è infinito nella penna di Cervantes, egli si colloca all’interno e all’esterno della materia romanzesca, la presenta come reale, come approssimativa, la nega, dice di non conoscerla completamente, fa che non vengano smentite le bugie dei suoi personaggi e, pertanto, restino verità (o no?) per gli altri. Racconta solo parte di ciò che potrebbe narrare e crea così la profondità della zona d’ombra in materia romanzesca. O si erge a registra teatrale e scenografo trasformando l’azione in spettacolo. Cervantes mostra ai suoi lettori scene create dai personaggi, con altri che le osservano ammirati. A volte il lettore sa più degli stessi personaggi ed è divertito dalla situazione. Per esempio: in las dos doncelles, un paggio e Marco Antonio vengono visti abbracciati, ma gli astanti non sanno che il paggio è Teodosia vestita da uomo. L’autore sapeva trasformare in materia romanzesca storie d’amore con peripezie e agnizioni o l’organizzazione della malavita sivigliana o ingegnose sentenze di un pazzo visionario che fa satira sulla realtà quotidiana. Novelle splendide. “Don Quijote de la Mancha” 70 Torres Naharro definisce la commedia “un ingegnoso artificio di importanti e finalmente allegri avvenimenti, disputati da persone”, sottolineando così la trama, la inventio, lo stile, il lieto fine e la rappresentazione. Accetta la divisione antica in 5 atti – jornadas – e considera che il numero adeguato dei personaggi varia da 6 a 12. Evidenzia il concetto di decoro: è proprio il decoro il concetto essenziale del teatro: Se il personaggio non parla o non recita in maniera corrispondente alla propria condizione, non viene riconosciuto come tale. Non dimentichiamo che lo spettatore lo identifica dall’abbigliamento e dal modo di parlare. Torres Naharro divide le commedie: • A noticia → opere realiste, “per notizia si intende di cosa nota e vista realmente e dal vero”; • A fantasia → opere d’invenzione, “per fantasia, di cosa fantastica o finta, che abbia color di verità, benché non lo sia” Naharro segnala due parti nella commedia: introito y argumento. L’introito è quasi sempre espresso da un contadino, il quale, dopo aver salutato, descrive, in un artificioso linguaggio bucolico, le proprie avventure erotiche, ed oppone la sua felice vita di campagna a quella dell’uditorio formato da nobili e cariche ecclesiastiche, pieni di preoccupazioni. Il monologo termina con il riassunto dell’argomento della commedia. Nella Comedia soldadesca la trama è il reclutamento dei soldati per le strade di Roma per l’esercito papale, in realtà pretesto per una sfilata di vari tipi di soldati: il presuntuoso di nobili origini, le due reclute che hanno abbandonato Jerez per guadagnare di più e vivono in miseria in Italia, il frate che toglie l’abito e diventa soldato… Il quadro è reale è ci mostra la vita squallida dei soldati mercenari spagnoli in Italia, a cui solo la guerra/morte permette di sopravvivere. La risata viene scatenata dalla confusione dei soldati che non sanno parlare italiano e non lo conoscono. La gestualità ha un’importanza elevata, poiché evidenzia il contrasto tra ciò che pensano e dicono i soldati. Himenea è una commedia d’onore. Sotto le finestre di Febea attende Himeneo, cavaliere, accompagnato dai due servi, uno esperto e adulatore, l’altro giovane. Il fratello di Febea vigilia sull’onore della sorella. La casa della fanciulla è il luogo dell’azione. Ella apre le porte a Himeneo, ma i due vengono scoperti dal fratello che vuole uccidere la sorella; Himeneo fugge. Nel quinto atto Febea maledice la sorte per non aver avuto ciò che desiderava. Il fratello cercherà di convincerla, con argomenti stoici, ad accettare la morte. Riappare Himeneo che si assume le proprie responsabilità e afferma di aver agito senza mediatori, differenza con la Celestina. Il lieto fine risolve anche l’amore tra i servi che potranno sposarsi. La complessità, invece, caratterizza alcune delle opere più considerevoli del portoghese Gil Vincente, che cercherà di unire elementi diversi dalle fonti da cui procedono le sue trame, tanto da rendere indispensabili le postille in alcune opere per comprendere tutto ciò che accade; molte volte nel dialogo si omettono le informazioni essenziali. Gil Vincente, che organizza le funzioni teatrali per la corte lusitana, conosce molto bene le burle di palazzo, le pantomime con argomenti cavallereschi interpretate dai membri di corte. Lussuosi abiti e montaggi originali caratterizzavano queste rappresentazioni con musica e danze che si celebravano nel grande salone del palazzo o che si prolungavano in spettacolari processioni itineranti. L’autore drammatizza materiali assai differenti, dai dialoghi di Luciano di Samosata, all’officio in onore di Nostra Signora che si prega durante l’avvento, all’officio in onore dei defunti. Combina, ripete, mescola. La sua capacità di scrivere adattamenti per il teatro gli permette di utilizzare le letture fatte per drammatizzarle. Il drammaturgo include con maestria alcune cancioncillas nell’opera teatrale. Queste ambientano l’azione o la duplicano, sottolineandola, o caratterizzano un personaggio; sn perfettamente integrate e spesso bellissime. L’Auto de la sibila Casandra attinge ad un libro di cavalleria. La sibilla Cassandra non vuole sposare il re Salomone – sincretismo che mescola personaggi biblici con personaggi greci e li traveste da pastori - perché crede di essere la vergine scelta da Dio per essere la madre di suo figlio. L’auto terminerà con l’adorazione di tutti i personaggi per Gesù, poiché era stato scritto per celebrare il Natale. Opera più importante è Tragicomedia de Don Duaros, del 1562. Il principe don Duaros nasconde la sua identità e si traveste per conquistare l’amore della principessa Flerida: diverrà Julian, il giardiniere di palazzo. Il principe però non riesce a esprimersi in modo consono ad un giardiniere. La principessa si innamorerà di lui nonostante il suo status e grazie all’acqua di un calice magico. Si incontrano e lei non sa 70 che è in realtà un principe. Duaros spunta all’appuntamento vestito da principe, benché ancora non le abbia confessato la propria identità; lo farà nel romance finale, En el mes era de abril. Parallelamente alla storia principale si svolge quella di Camilote caballero salvaje, uccisore di molti cavalieri e dell’amata Maimonda, culmine di ogni bruttezza, che lui eleggerà la più bella. Don Duaros darà morte al cavaliere caricaturale. Il “Codice de autos veijos” e la “Danza de la muerte” Il Codice de autos viejos è l’unico repertorio di opere religiose conservate; è formato da una collezione di scritti compresi tra il 1570 e il 1578, ma molti potrebbero essere riedizioni di opere anteriori. Nelle grandi città (Siviglia, Toledo, Madrid, Valladolid) il municipio assoldava compagnie teatrali affinché si festeggiasse il giorno del Corpus Domini con una rappresentazione. Il nucleo del Codice de autos viejos fu probabilmente il repertorio di una compagnia teatrale, a cui furono aggiunte opere provenienti da un’altra raccolta, fino a raggiungere il numero definitivo di 96. Si mescolano autos e farse insieme a lodi e coplas sciolte. Si tratta di opere brevi, composte da un solo atto, la maggior parte in quintillas – strofe di 5 versi in arte menor e rima consonate - (quattro sn in prosa) che venivano rappresentate per il Corpus Domini. Il loro contenuto va dalla creazione dell’uomo fino alla sua redenzione grazie all’incarnazione di Cristo e all’eucarestia, che è il nucleo tematico che le unisce, sempre all’interno della più stretta ortodossia. La figura di Adamo collega l’Antico e il Nuovo Testamento e su di essa si basano varie opere. Normalmente le opere sn precedute da una lode o dall’argomento stesso espresso in versi. Le operette terminano solitamente con un inno liturgico un villancico o una canzone. Il tema della danza de la muerte – in cui la critica sociale si mescola al contenuto ascetico - apparirà in scena nelle opere del XVI secolo. I “pasos” o “entremeses”: brevi opere comiche. Il teatro di Lope de Rueda e di Miguel de Cervantes I suoi pasos o entremeses definiscono il genere: sono episodi comici indipendenti dall’azione principale e che potevano essere inseriti in qualsiasi momento della rappresentazione, fino a trovare un posto definitivo tra un atto e l’altro della commedia. La grande diffusione delle rappresentazioni provoca naturalmente la creazione di compagnie professioniste, che necessitano di un ampio repertorio: è così che acquisiscono forma propria gli entremeses. Lope de Rueda, che scrive in prosa commedie a imitazione di quelle italiane, non è solo un abile e famoso autore teatrale; le sue opere non sono solo frutto d’intuizione e scenografie. Conosce molto bene gli aspetti comici e da come utilizzarli. Lope de Rueda crea una serie di dialoghi comici, e a seconda del tipo di pubblico, li include nell’una o nell’altra opera. Il personaggio del bobo, lo scemo, appare congeniale ad ogni opera. I pasos sono soliti rappresentare un aneddoto o dei racconti folcloristici interpretati da personaggi burleschi: scemi, ruffiani, studenti. Per la sua brevità, la situazione comica deve nascere e concludersi rapidamente. Il gesto sottolinea con intensità il dialogo, pieno anch’esso di espressività. Il gesto sottolinea con intensità il dialogo. I colpi si uniscono agli insulti, gli alterchi alle persecuzioni. Lo scemo cade in continue prevaricazioni o giochi di parole che fanno ridere. Il licenciado Jaquima del Convidado ripete continuamente la parola “grazia” per chiedere denaro. In Pagar y no pagar il ladro si traveste da padrone di casa e ruba i soldi al servo, ma lo fa in modo per nulla somigliante al padrone per porre in risalto l’ingenuità del bobo, il quale finisce per interpretare a modo suo il linguaggio del ladro che lo truffa nuovamente. Le bastonate del servo e del padrone al ladro chiudono la scena. Cervantes erediterà il genere, approfondendone le caratteristiche: aumenta il numero di personaggi, prima circa 4 e aumenta gli argomenti. Usa spesso giochi di parole: nel rufian viudo, Trampagos appare in scena dando al suo servo le spade da scherma e ordinandogli di portare sedie. Può sembrare un cavaliere, ma il nome Trampagos significa burla e non possiede sedie. Il nome crea una situazione falsa, che il nome rende evidente. Trampagos piange la morte di Pericona, ma ci inganna nuovamente. Egli non è un cavaliere, ma un ruffiano e Pelicona una prostituta. Pone fine al pianto l’arrivo di altre 3 prostitute e di un altro protettore che gli chiede di sceglierne una che sostituisca Pericona: la scelta non è tra 3 dee come per Paride, ma tra 3 prostitute che parlano dei loro guadagni e iniziano ad insultarsi a vicenda. Il ruffiano vedovo cambierà il 70 cappuccio a lutto per una coppa di vino e la musica sostituirà il pianto. Entra in scena Escamarran, re dei furfanti, tutti lo conoscono grazie allo scrittore Francisco de Quevedo; Cervantes omaggia il personaggio e lo fa centro d’ammirazione dei furfanti. L’apoteosi finale: i musicisti suonano e cantano romance della liberazione di Escamarran, trasformando la narrazione in canto e lo invitano a danzare, egli accetta e tutti iniziano a ballare. Eleccion de los alcaldes de Dangazo: non potrà vedere meraviglie colui che proviene da stirpi di ebrei convertiti o non sia stato concepito da legittimo matrimonio. Ispirazione dal Conde Lucanor. El viejo celoso: parodia del celoso extremegno. Ma Lorenza può parlare con la vicina e questo contatto esterno è sufficiente per far entrare l’amante in casa del vecchio con l’escamotage di uomini che vogliono vendere la vicina al vecchio. Lorenza chiusa nella sua stanza si gode l’amato e il vecchio da dietro la porta sente tutto; la donna butterà acqua negli occhi al marito, facendo scappare l’amante, facendogli credere che fosse tutto uno scherzo. Il cornuto resta burlato e contento: Lorenza l’ha ingannato con la verità. Cervantes pubblica nel 1615 ocho comedias y ocho entremeses nuevos nunca rapresentados, sottolineando la condizione di non rappresentate. Nella Entretenida parodia la commedia di Lope, sottolineando nel prologo come egli sia bravo e rappresentato, Cervantes, no. Lope de Vega è lo spartiacque tra teatro pre-lopista e post-lopista. L’arte del “comico teatro”: Juan de la Cueva e l’ “Ejemplar poetico” Juan de la Cueva compone verso il 1605 l’Ejemplar poetico, precettistica poetica formata da 3 epistole, dove, al termine della 3° lettera, parla della commedia. Juan de la Cueva fu un prolifico autore; scrisse raccolte di romances, sonetti, canzoni, elegie, egloghe, poemi epici seri e burleschi e un’allegoria satirica umanista. L’ejemplar poetico ricorda la semplicità delle antiche rappresentazioni; l’autore definisce la commedia come un “poema attivo, ameno e fatto per divertire” ed enumera i personaggi che la popolano: il vecchio avaro, il ragazzo geloso, il servo sleale, la dama amorosa y desabrida, la mezzana astuta, l’adulatore, il ruffiano. Si avvale come esempi di Seneca, inserendo molti morti e scene truculente. L’elocuzione ornata. Il poete che professa il proprio mestiere: Fernando de Herrera Fernando de Herrera, nelle anotaciones alle opere di Garcilaso, afferma che la poesia consiste en el ornato de la elocucion. Il poeta segue e imita numerose fonti, da Quintiliano a Scaligero a Lorenzo de’ Medici. Fernando de Herrera (Siviglia 1534-97) riceve gli ordini monori, ottenendo un posto nella chiesa Sant’Andres. Fece parte del gruppo di poeti e artisti sivigliani che si riuniva nel palazzo del conte di Gelves e della moglie, dogna Leonor. Il poeta è ossessionato dal rigore: fa stampare le i senza segno grafico per poter segnare la dialefe con un punto sulle vocali Ci dà una lezione di rigore poetico e di dominio dell’ornato della lingua ma, paradossalmente, buona parte della sua opera poetica è arrivata a noi in edizioni contraddittorie, presentando quindi problemi finora irrisolvibili. Pubblica nel 1582 Algunas obras, e dopo la sua morte le parti rimanenti della sua opera “Versos”. Il sivigliano scrisse componimenti di poesia morale e lodatoria, oltre che amorosa, ma raggiunse un’intensità straordinaria nelle canzoni eroiche, soprattutto nella “cancion en alabanza de la Divina Majestad por la victoria del Senor D. Juan”, che figura nella Relacion de la guerra de Chipre, in cui esalta la giustizia divina attraverso l’umiliazione degli arroganti empi nella battaglia di Lepanto. La grandezza di Dio risuona nei versi sonori, facendo risaltare con figure retoriche l’immagine del Dio de las batallas. Herrera è un grande poeta d’amore. Scrive sonetti, canzoni, elegie ed egloghe. Come fosse un trovatore, crea la sua storia d’amore letteraria per consacrarle un canzoniere; rende vassallaggio amoroso a dona Leonor e a lei dedica i sofferti poemi d’amore. In essi il felice tempo passato in cui la dama si concesse all’innamorato 70 “ERA DEL AGNO LA ESTACION FLORIDA”: L’APICE DELL’ARTE DELLA DIFFICOLTA’, LA POESIA DI GONGORA Luis de Gongora y Argote (1561-1627) era prebendario della cattedrale di Cordoba. Egli dominava tutti i registri poetici. In alcuni suoi sonetti unisce allusioni mitologiche a costruzioni ellittiche. Accumula e sottolinea le i con dieresi in allitterazioni evocatrici. Con il suo rivale, Quevedo, scambia poesie d’insulti. Entrambi possono elevarsi, con i loro versi, alle più alte vette di bellezza, o abbassarsi alla peggiore volgarità. La presa di Larache, impresa poco gloriosa del regno di Felipe II, lo porta a scrivere un sonetto burlesco e una canzone eroica, che dà un tono epico alla modesta impresa militare intensificando una lambiccata sintassi, allusioni mitologiche, cultismi lessicali. Comincia con la descrizione geografica: Larache si trova vicino al monte Atlante e il fiume Luco si trasforma in serpente per i suoi meandri e perché la tradizione lo voleva come il dragone che custodiva il giardino delle Esperidi. La lessicalizzazione del tributo che i fiumi offrono al mare si unisce a un’immagine ispirata a Tasso; così Luco dichiara guerra a colui che gli beve il nome, ma lo fa con “lengua al fin vibrante”, come un serpente. Nell’epistola morale Mal haya el que en segnores idolatra, glossa il tema del disprezzo di corte, dell’esaltazione della vita semplice e delle disillusioni, tema autobiografico poiché l’autore cerca inutilmente di ottenere giustizia nel processo per l’assassinio del nipote. Nella Fabula de Polifemo y Galatea, in ottave, la sua lingua poetica viene abbellita da un complesso ornato. Carrillo y Sotomayor aveva poco tempo prima ricreato la favola, impregnando i versi con le sue idee sull’erudizione poetica. Gongora lo supera: L’armonia del verso poetico si unisce al suo dominio sulla distorsione della frase, delle perifrasi allusive, della sovrapposizione di tropos. Nel ritratto di Galatea appare un forte cromatismo: le descrizioni sono sensuali, le metafore nuove ma senza permettere che l’ingegno della creazione sminuisca l’armonia del ritmo dell’endecasillabo. Acis beve e guarda Galatea: il fiume è “sonoro cristal”, il corpo bianco della ninfa “cristal mundo”. Galatea si alza quando sente il mormorio delle acque: diventa falce dei suoi gigli perché il suo corpo, talmente candido, assomigliava a fiori bianchi sull’erba. Acis, schiacciato dal masso che gli lancia contro Polifemo, si trasforma in fiume e giunge al mare. Nelle Soledades fa un passo in più: scrive in silvas, in lingua più complessa, sul pellegrinaggio di un giovane nobile di bell’aspetto, ma sfortunato in amore. Incontra pastori, montanari e giunge in un villaggio in cui si celebra un matrimonio, prende parte ai festeggiamenti. Nella seconda Soledad, il pellegrino sale su una barca con due pescatori, conosce le loro famiglie e la loro casa su un’isola, che perlustra. Seguono scene di caccia. Il contenuto è incompleto, ma permette allo scrittore di dilettarsi in descrizioni: paesaggi, animali , oggetti, gesti. Due poeti aragonesi: gli Argensola Lupercio Leonardo de Argensola (1559-1613) → scrive freddi e scarni sonetti d’amore, belli e profondi sonetti morali sulla scia di Orazio, Seneca e frate Luiz, canzoni, buone satire in terzine, poesie religiose. Bartolomé Leonardo de Argensola (1562-1631) → nelle Rimas, oltre a poesie religiose e d’amore, compone poesie morali e opere per certami poetici e feste. La sua eleganza poetica, la serenità e l’efficacia estetica si nutrono degli scrittori greco-latini. Il conte di Villamediana: il volo di Icaro Juan de Tassis y Peralta, conte di Villamediana (1582-1622) → poesie morali. In uno dei suoi sonetti, Icaro, di fronte all’invidia dell’ “io” poetico poiché muore vicino alla luce e al fuoco. I capelli della dama mentre li pettina diventano materia di altri nonetti. L’ “io” poetico si commuove profondamente per la sua disillusione o con la tormentata inquietudine che lo angoscia o con la volontà di silenzio di fronte le cose che lo circondano o con la consapevolezza della vanità dei suoi desideri. 70 Il dominio della lingua poetica di Francisco de Quevedo Francisco de Quevedo y Villegas (1580-1645) → di vastissima cultura, modellò la lingua a proprio gusto; lo dimostrano la ricchezza del contenuto della sua poesia e i diversi registri che in essa appaiono: dall’angustia esistenziale alla burla più grossolana; dalle più belle e intense poesie d’amore alle jacaras con gergo della malavita. L’intensità, la forza espressiva che raggiunge sono straordinarie. Sull’argomento del mal d’amore, i suoi versi ci offrono una nuova e profonda esperienza. Si sdoppia come un “io” che ascolta e dice: “dentro di me provo ad esser Orfeo”. Il suo sentimento alberga in uno spazio che può essere l’Ade e cerca, come fosse Orfeo, di liberarsi dalla sua prigione, dei suoi tormenti. Le sue viscere, boschi son di frecce e falci, unico luogo in cui non c’è primavera. Il corpo si disfa, consumato dall’amore. Il fuoco si unisce all’acqua del suo pianto. Il dolore diventa esistenziale e cristallizza in quel “carico vò di me”. L’amore nei suoi versi è un sentimento assoluto senza necessità e possibilità di speranza, lo domina e lo consuma e l’autore lo rimprovera. La dama che causa quel sentimento devastante è una sonrisa, unos ojos, unas manos che saccheggiano todo mi corazon y mis sentidos. La sua bellezza appare con un’intensità spaventosa: ride con relampagos, i suoi capelli sono fugitiva fuente de oro; trasforma la sua bellezza in hermosisimo invierno de mi vida e in una piedra endurecida che seppellisce l’entendimiento fulminado dell’io poetico. La sovrapposizione di metafore la trasforma nell’essere splendido che illumina i versi: così i capelli di Lisi si trasformano in golfos de luz ardiente y pura. Scrive anche sonetti metafisici e come in alcuni sonetti di Villamediana, la storia d’amore scompare e la voce dell’io poetico risuona sola con la propria esistenza. dà espressione all’atarassia. Poesie morali sul modello di Luis de Leon: i temi oraziani vengono trasformati, in un sonetto: rientra nella pace dei deserti, con libri dotti e vive in comunione coi defunti. Nelle poesie d’amore, i riferimenti mitologici portano a ingegnose perifrasi allusive: gli avi dell’Amore sono ferita disonesta e il candore della spuma del mare, perché Venere nacque da essa, fecondata dagli organi genitali che Cronos tagliò a Urano. Ma il suo verso satirico, con potere demistificante, finisce con lo stesso Apollo che si trasforma e Dafne che si trasforma in alloro e l’albero diventa ingrediente che conserva i cibi. Nelle poesie satiriche abbiamo vecchi, uomini con grande naso. La riflessione sulla lingua Il processo per la significazione della lingua romanza era culminato in opere splendide, nell’assoluto dominio dell’idioma. L’uomo, che può definire i limiti della propria natura e modellare se stesso – come diceva Pico della Mirandola – secondo la volontà dello spirito, può elevarsi fino a una dimensione angelica, almeno nello spazio letterario. Anticipando il lavoro di ricompilazione del secolo successivo, si amplieranno la riflessione e lo studio sulla lingua, eredità anch’essa dell’umanesimo. Quando il potere politico cominciò a sfumare, la forza della lingua letteraria apparve con tutto il suo splendore. Poetiche storiche e romanzi picareschi. Il “Guzman de Alfarache” e il “Buscon” Alcune delle nuove forme narrative si esauriscono: i libri di pastori, che ebbero tanta fortuna nella seconda metà del XVI secolo, non permettevano cambiamenti sostanziali che li rendessero durevoli nel tempo. Il racconto picaresco si configura tale grazie a una geniale creazione, il Guzman de Alfarache (vendetta della vita umana) di Mateo Aleman. (I parte 1559-II parte 1604). L’autobiografia del picaro – il suo autore la chiama “poetica historia” o finzione letteraria verosimile – è interrotta da frequenti meditazioni e passi moraleggianti, ma Aleman sa che il lettore preferisce il racconto delle avventure del picaro, che a loro volta pretendono di servire da esempio da non seguire. Lo descrive così nella Declaracion della sua opera: il picaro era buon studente in latino e greco, dopo essere tornato in Spagna dall’Italia, continuò gli studi, con l’intenzione di prendere i voti ma, essendosi dedicato ai vizi, lasciò il 70 seminario. Lui stesso scrive la sua storia dalla galera, finitoci per i delitti commessi, essendo stato ladro e specifica che inserirà nel racconto qualche dottrina che sia d’insegnamento al lettore. Nell’autobiografia del picaro, Aleman fondeva la finzione con l’insegnamento, sulla base del Lazarillo. Guzman, nel narrare la propria vita, racconta come va a servizio di un cuoco; ruba con astuzia, ma la passione per il gioco dilapida i suoi averi. L’eredità grazie alla quale vive e l’amore per il gioco sono giudicati dallo stesso Guzman come la sua condanna: “il gioco è un terribile vizio”, dice. È lo stesso protagonista a presentare i propri vizi. Guzman racconta la propria vita: rimane orfano, va via di casa a vedere il mondo. Durante il suo tragitto in Spagna e Italia, si alterano padroni, inganni e disgrazie. Le sue esperienze lo fanno condannare al bagno penale e lì verrà incaricato di prendersi cura del vestiario e dei gioielli di un parente del capitano. Il furto di un gallone lo porterà a subire tormenti e vessazioni ma cercò sempre di elevarsi perché “scendere era impossibile”, come viene scritto; non è dunque l’arrivo alla fortuna massima, come nel Lazarillo, ma l’arrivo all’inferno. Scoperta una congiura sulla nave, verrà ritrovato il gallone e riotterrà la libertà. La prima immagine del ragazzo durante il tragitto ha tratti patetici: senz’aver cenato, si addormenta su una panca di pietra di pietra, accanto al portone chiuso di una chiesa. Dopo aver camminato molto arriva in un’osteria dove gli viene offerto un misero pranzo che finirà per vomitare. Il ragazzo, prima nutrito a panini imburrati e miele, scoprirà la malizia e la burla. Dirà: andando tra lupi: impari ad urlare. Vedendo tutti imbrogliare e rubare, non potè che far come gli altri. A Milano inizierà la sua carriera di ladro ad alto livello. Si sposerà due volte, la seconda volta davvero innamorato e lì raggiungerà il massimo della bassezza: dividerà la moglie con quanti paghino per averla. La moglie scapperà in Italia con un cavaliere e lui ritornerà ladro. Il successo della Primera parte del Guzman fu straordinario, al punto che nel 1602 appare una Segunda parte, apocrifa. Francisco de Quevedo nel Buscon ci da un’ulteriore lezione sul dominio della lingua. Non gli interessa tanto il personaggio quanto ciò che dice. Non arricchisce, pertanto, il genere: si appoggia a esso per sbizzarrirsi in prodigiosi giochi di artificio verbale. Pablos, in età matura, racconta la propria storia, anche se non conosciamo la sua storia nel momento in cui lo fa, dice: “un giorno decisi di trasferirmi nelle Indie con lei, per vedere se, mutando mondo e paese, sarebbe migliorata la mia sorte. Ma peggiorò invece”. Quevedo non si preoccupa di curare i dettagli che darebbero una coerenza narrativa e verosimiglianza del racconto; Pablo è sempre attento al gioco verbale, scirve a vuestra merced, senza sapere chi sia e a volte si rivolge al lettore. Il Buscon non è una grande creazione romanzesca, è uno straordinario esercizio d’ingegno basato sulle parole. I suoi genitori sono Conversos, mancanza di dignità dalle origini e che, sommandosi ai suoi oficios, lo rendono il modello dell’antieroe del romanzo picaresco. La scuola sostituisce l’ambiente domestico e il suo compagno, Don Diego, finirà per essere il suo padrone; in questo apprendistato inizierà ad applicare le tecniche di bricconaggio imparate. Inizierà a subire crudeli scherzi finché prenderà coscienza: “Pablos apri gli occhi, qui fanno sul serio. Bada ai fatti tuoi”. Inizia con i furti che gli costruiranno la fama di mascalzone e ladro. Ha imparato d essere un delinquente. Riceve la notizia della morte del padre. Fino alla riscossione dell’eredità inizia il suo cammino nel quale incontrerà vari personaggi; uno di loro è il chierico che gli farà leggere la prammatica contro i poeti: viene inserita nel testo senza giustificarne la presenza. Dopo aver riscosso gli avere si reca a corte e incontra don Toribio, un hidalgo che lo inganna con l’apparenza ma si scoprirà essere povero. Costui sarà la guida di Pablos e lo farà unire ad una banda di ladri che finirà in carcere. Il picaro, con i soldi guadagnati dall’attività, iniziera un doppio tentativo di conquista: la cameriera di una locanda e dona Ana, cugina di Don Diego, cambiando nome e aspetto. Lo deruberanno e piccheranno, lo marcheranno come un trasquilon de oreja a oreja, per ordine di Don Diego. La coltellata gli apre il viso, impedendogli futuri travestimenti, potrà solo recitare nelle farse, lo chiamano El Cruel per aver interpretato un personaggio di successo. Ormai è un ruffiano come indica il marchio, seduttore di monache e imbroglione, s’introduce nella malavita sivigliana e raggiunge il grado più alto: capo dei ruffiani. Gli restano solo le Indie per scappare dalla giustizia. Il finale resta aperto, promettendo al lettore che le bastonate ad un tale picaro saranno sempre frequenti, affinché il divertimento continui. Nel Buscon le risate sottolineano la comicità di personaggi e situazioni e risuonano anche quando il protagonista è vittima perché Quevedo non vuol né commuovere né moralizzare. L’opera è intrisa di ironia. 70 destino, che sbaglia, che non riconosce se stesso e allo stesso tempo è la creatura più nobile creata da Dio. Il loro peregrinare li porta a Madrid, a corte, in Aragona, in Francia e a Roma fino all’isola dell’Immortalità, meta del loro viaggio. Suocera della vita è la morte, che è dona come tutti i mali maggiori, affermazione misogina che risuona in tutta l’opera. Solo la fama salva gli uomini dalla morte. Giungono nel mare della Memoria, fatto di acque nere e scure a causa dell’inchiostro usato dagli scrittori. L’ultima lezione che imparano entrambi i protagonisti è che gli uomini insigni non muoiono mai. Per entrare nel regno dell’Immortalità il Merito chiede loro un documento e vedendoli qualificati grazie alle tappe vissute, potranno entrare nell’eternità mettendo fine alla loro epopea. Gracian ha trasformato le peripezie in moralità, il riconoscimento in conoscenza. Ha fatto del novellare, allegoria, dei personaggi, dei simboli. Non c’è avventura. C’è vita tinta di pessimismo. La vera avventura è il viaggio nella creazione verbale, perché c’è molto da sapere e poco è il vivere e non si vive se non si sa. Questa teoria è presente anche in altre opere come El Heroe, EL Discreto, Oraculo manual y arte de prudencia, che mostrano il processo di arricchimento dello scrittore. L’eroe non deve farsi riconoscere del tutto per non essere distrutto, deve possedere l’intelletto come massima garanzia, proteggerlo con la prudenza dell’ingegno e l’acutezza del giudizio. Gracian espone venti abilità che deve possedere il condottiero militare in EL Discreto a queste garanzie si sommerà la discrezione: prima è necessaria la conoscenza essenziale, quella di se stesso e da lì inventare mille astuzie per continuare ad essere persona. Chiude il libro con 25 “rilievi” intitolati Culta reparticiòn de la vida de un discreto, in cui già si trova il nucleo di El Criticòn: la natura attenta ha proporzionato la vita dell’uomo con il percorso del sole, le stagioni dell’anno e quelle della vita e i quattro tempi di quello con le quattro età di questa, la primavera dell’infanzia, l’estate della giovinezza, l’autunno dell’età maschile e dell’inverno gelato della vecchiaia. Conclude il tutto affermando che “Il vedere rende informati, l’osservare rende saggi”. La Agudeza y Arte de ingenio è un’arte poetica centrata sulla finezza dell’espressione, sull’acutezza del pensare. Gracian dice di essa che è pasto dell’anima. Loda Carrillo, Gongora, Hurtado, Lope,gli Argensola. Le sue opere ci offrono un mondo creato dall’intelligenza e dalla cultura, un mondo barocco come quello della prosa politico morale di Quevedo e di Fajardo. Quest’ultimo, cavaliere di Santiago con alti incarichi conferiti da Felipe III e IV anche all’estero, è uno scrittore politico. Nelle sue Introducciones a la politica y razòn de estado del Rey Catòlico don Fernando, presenta la figura del re come modello di virtù e prototipo di prudenza e nel dedurre dall’esempio concreto una dottrina con valore universale, anticipa la materia che poi affronterà nelle Empresas politicas, la sua opera fondamentale. E’ una raccolta di discorsi diretti al principe Baltasar Carlos in cui dipinge l’ideale di un principe che unisce l’etica cristiana alla prassi politica. Per dimostrare i diritti dell’impero che esso pretendeva di conservare, scrive la Corona gotica castellana y austriaca, utilizzando diverse fonti storiche. La Republica literaria è una satira letteraria contro l’eccesso di libri e lo scarso criterio e le discordie tra gli uomini, presentata sotto forma di sogno o finzione allegorica in cui l’autore viene condotto nella repubblica delle lettere. Saavedra scrive un’opera politica estremamente interessante in una prosa sentenziosa, intensa, curata. Intanto la situazione disastrosa dell’economia del Paese culmina col regno di Carlos II e le sue sconfitte militari. IL TEATRO DI LOPE DE VEGA La rivoluzione letteraria iniziata da Garcilaso si manifesta a teatro grazie a Lope. Eccelle sulla scena con il proprio ingegno con il concetto di opera teatrale come spettacolo, con il dominio assoluto della creazione di una struttura drammatica che lui stesso ha concepito come forma di comunicazione efficace con il pubblico. Nell’Arte nuevo de hacer comedias en este tiempo, espone chiaramente il proprio punto di vista: come al dotto si dà piacere con la difficoltà, così si deve catturare chi colto non è con altri tipi di espedienti. Per Lope è efficace la rottura delle norme teatrali, mescolare il tragico con il comico. Il piacere dello spettatore è l’obiettivo principale non l’arte. Si potranno rompere le unità di tempo e di spazio ma l’unità di azione è fondamentale perché l’opera funzioni. Lope dà una struttura alla commedia così che possa poi riprodurla sempre con delle varianti. Accetta la divisione della materia in tre atti, facendo in modo che se possibile ciascuno si interrompa al finire del giorno. il conflitto trova soluzione solo nell’ultima scena, benché tutta l’opera sia orientata verso quel finale: propone il caso nel primo atto, complicherà gli eventi nel secondo e arriverà alla conclusione nel terzo. Lope sa bene quanto piaccia al pubblico l’ambiguità del personaggio e gli equivoci amorosi, e in particolare al tema d’onore darà necessariamente come epilogo quello tragico. 70 Lope ha una grande facilità versificatoria, pensa anche alla fusione tra contenuto e forma. Nel prologo di El peregrino en su patria di fronte alla pubblicazione di commedie che gli vengono falsamente attribuite, fornisce una lista delle proprie che amplierà nel 1618 fino a contarne 462, circa 23000 pagine di versi. La sua produzione teatrale offre i temi più diversi ed è proporzionale alla vita effimera delle rappresentazioni: solo tre o quattro giorni in cartellone. Tra il 1605 e il 1608 Lope scrive Peribanez, interpretata da un contadino che uccide il comendator, un nobile per salvare il suo onore. Il comendator apre gli occhi dopo uno svenimento dovuto ad una caduta di cavallo e vede Casilda, la moglie di Peribanez e se ne innamora perdutamente e vuole sedurla. L’amore quasi sempre è il movente del conflitto drammatico. Fedrique manda Peribanez in guerra per poter approfittare della moglie, ma Peribanez lo uccide per poi fuggire con Casilda. Egli, benchè umile contadino difende il suo onore e giustifica l’uccisione del comendator che invece ha dimenticato la sua condizione. Anche la canzone lirica trova posto nell’opera, ambientando l’azione: un mietitore canta la canzone di Peribanez e poi il comendator corteggia Casilda con un villancico che allude alle circostanze che lo fecero innamorare. L’arte di Lope nell’uso della lirica come elemento teatrale è evidente. Peribanez loda l’amata con termini propri della sua condizione e Casilda replica con grande originalità. Simile risultato ottiene anche il villaggio Fuente Ovejuna , di fronte agli abusi di un altro comendator: Lope riesce a dare valore poetico al quotidiano e alla normalità. Il comendator Fernan Gomez è convinto di poter fare ciò che vuole con i vassalli, è un tiranno che finisce per provocare la ribellione popolare e che, i re, alla fine sanzionano. Ogni volta che viene chiesto agli abitanti del villaggio chi l’ha fatto, rispondono in coro: Fuente Ovejuna. La figura della villana Laurencia con il suo acceso e drammatico discorso contro gli uomini del paese possiede una forza teatrale impressionante, fino a sfociare nella decisione della ribellione popolare. Lope che sa tendere al massimo l’istante drammatico, maneggia con maestria l’intreccio e l’intrigo. La dama boba è la storia di due sorelle, Nise e Finea, una furba e l’altra tonta che esibiscono a loro sapienza e stoltezza. Lo spettatore si meraviglia delle conoscenze di Nise e ride della disastrosa lezione di Finea che non sa ballare o imparare nuove parole. Le doti della colta sorella accentuano il contrasto, ma l’amore interviene e Finea impara tanto che si fingerà stupida allo scopo di conquistare l’amato, Laurencio senza scrupoli che lascia Nise per Finea perché quest’ultima possiede una grande dote. L’altro innamorato, ricco e nobile, Liseo, è destinato alla sciocca, ma si innamora di Nise. Solo quando lei rinuncerà al suo amore per Laurencio, il conflitto troverà una soluzione. Anche i servi si sposeranno secondo le scelte dei loro padroni. La figura del servo è un ruolo teatrale indispensabile, una comparsa, un riflesso comico della storia del suo padrone. E’ l’amore con il suo potere a trasformare Finea, a tormentare Nise , Liseo e Laurencio. Alla fine è Finea a suggerire la battuta finale al padre. E’ un delizioso intreccio in cui la sciocca non capisce le finezze dell’amore e non sa comportarsi in società e prende alla lettera le parole fino a che ormai sveglia maneggia con gusto gli stessi vocaboli che prima non capiva. In questa opera vediamo la doppia faccia della commedia. Lope avvicina le opere al pubblico portando la realtà sulla scena, ma con il linguaggio continua a creare, a stupire, a catturare. Muove i personaggi con precisione: vuole che l’intreccio si risolva al momento giusto. In El perro del hortelano vi è la lotta della nobile Diana contro l’amore che prova verso il segretario Teodoro. Il conflitto però non conferisce dignità ai personaggi, perché Teodoro lascia la fidanzata Marcela per l’ambizione del ruolo sociale che comporta l’amore della contessa Diana, la quale mente, insulta e arriva a proporre di assassinare il servo ingegnoso e capace di fingere, travestirsi e ordire imbrogli, Tristàn, per assicurarne il silenzio. Faccendiera è anche Fenisa ne La discreta enamorada, che con i suoi intrecci conquista l’amore di Lucindo. Il capitano Bernardo vuole sposarsi con la giovane Fenisa, innamorata del figlio, mentre sua madre Belisa, accetta con entusiasmo la possibilità, inventata dalla figlia, che Lucindo, il figlio del capitano, voglia sposarsi con lei. Il lieto fine avviene con le previste nozze. L’autore sa anche ottenere il tono tragico senza speranza ne El castigo sin venganza splendido dramma del 1631. L’amore tra Federico e la matrigna Cassandra commuove e coinvolge lo spettatore, che sa che verranno condannati per tale infamia. Le strofe in versi nascono appassionatamente e la retorica è al servizio dell’efficacia drammatica. Lope idea intrighi, disegna personaggi, immagina stratagemmi, consuma tragedie in uno spettacolo che cattura e diverte. Sa costruire efficaci schemi drammatici: la sua tecnica gli permette di scrivere una commedia dopo l’altra. Voleva piacere al pubblico e ci è riuscito. Tirso de Molina Riceve una solida formazione umanistica, è un drammaturgo che però si vede censurate le sue commedie come profane e di cattivi esempi ed incentivi dalla Junta de Reformaciòn. 70 In Los cigarrales de Toledo Tirso afferma di aver scritto più di 300 commedie. Le rappresentazioni religiose sono ispirate alla Bibbia e alle vite dei santi. Scrisse anche drammi storici e una trilogia su Pizarro. Le commedie di intrigo o di carattere tracciano figure femminili perfettamente riuscite. Don Gil de las calzas verdes somma intreccio su intreccio: la protagonista dona Juana si traveste da uomo per seguire l’amato don martin che le aveva promesso di sposarla. Ma il suo abbigliamento, è vestita di verde, fa innamorare due dame. Juana è uomo o donna a seconda della convenienza, ossia si veste nell’uno o nell’altro modo. In teatro sono gli abiti e le parole a conferire l’identità. Il gracioso Caramanchel è un ingegnoso lacchè in cerca di padrone, dopo averne serviti molti e lo troverà in don Gil-Juana. Assiste spaventato alla moltiplicazione di don Gil, frutto della complicatissima trama ordita dal protagonista e finisce per crederla un’anima in pena e pregherà per lei. E’ una commedia urbana e gli scenari e i personaggi sono quotidiani. Nulla è ciò che sembra e nulla resta come era. I personaggi cambiano la propria apparenza, la propria voce, la propria condizione. Alla fine però tutto si risolve felicemente. Tirso lascia che i suoi personaggi mentano, intrighino, si scambino l’uno con l’altro. Lo spettatore resta coinvolto senza respiro dalla magia della farsa. L’abilità di Tirso è grande: risolve mirabilmente ciò che intreccia con egual ingegno. El condenado por desconfiado vede imporsi il problema del libero arbitrio dell’uomo e il ruolo di Dio per la sua salvezza o la sua condanna. L’eremita Paulo chiede a Dio una rivelazione sul suo futuro e saputo attraverso il demonio che gli appare sotto forma di angelo che avrà lo stesso destino del bandito Enrique, si concede al peccato e diventa bandito a sua volta condannando la sua anima. Tremendamente superbo non crede alla misericordia divina, mentre il bandito si pente all’ultimo momento e si salverà grazie all’amore per suo padre. In El burlador de Sevilla, in cui crea il personaggio di Don Juan, la presenza del potere divino si fa parola: l’impudente don Juan inganna e disonora qualunque donna senza curarsi del suo stato o condizione. E’ cosciente del proprio ruolo del proprio modo di agire e di fronte all’avvertimento del padre don Diego che gli annuncia il castigo, don Juan sfida quel termine: “è una scadenza lontana!”. Uccide il comendator don Gonzalo che si espone per difendere l’onore della figlia e, oltrepassando i limiti non rispetta nemmeno il sepolcro della sua vittima. Il coro sanziona l’errore e il castigo del burlador: “finché si vive nel mondo non è giusto che si dica: ben lontana è la scadenza, poiché il termine è vicino”. Non c’è salvezza per gli impudenti che ingannano senza rimorsi. Per loro c’è solo la morte e la condanna. Il re non può rendere giustizia alle donne oltraggiate, Dio lo ha preceduto. L’intervento del comendator morto dà una dimensione sovrannaturale all’applicazione della giustizia, la sua mano fulmina con il fuoco purificatore quell’essere impertinente. Calderon de la Barca e l’opera teatrale Lo spettacolo teatrale sta acquistando densità: l’intreccio si fa più complesso e i personaggi non costituiscono più semplici scuse per il percorso della trama, ma vanno acquistando identità precise; la scenografia, macchina teatrale sempre più complessa, dà spessore alla rappresentazione il verso raccoglie la ricchezza della lingua poetica. Le opere di Calderon sono il culmine di tale processo. E’ Calderon ad unire forza drammatica e intensa bellezza lirica al verso e ai personaggi. Pedro Calderon de la Barca studia presso i gesuiti e rappresenta a palazzo reale le sue opere. Pedro e i suoi fratelli vengono accusati e processati per la morte di Nicolàs Velasco durante una rissa. Calderon e altri assaltano il convento delle Trinitarie all’inseguimento del comico Pedro de Villegas rifugiatosi lì dopo aver ferito Diego, il fratello di Calderòn. Egli viene nominato direttore delle rappresentazioni di corte e in questo periodo scrive le sue opere più belle. Partecipa alla guerra di Cataluna dove viene ferito e si mette al servizio del duca di Alba e compone opere religiose, le uniche rappresentate tra il 1644-45 e il 1646-49, a causa della chiusura dei teatri per la morte della regina Isabella di Borbone e del principe Baltasar Carlos. Ritorna al Terzo Ordine francescano e viene ordinato sacerdote. Diventa cappellano d’onore e va a vivere a corte. Scrive e mette in scena opere fino alla morte, circa 120 commedie e un centinaio di autos. Menèndez pelayo divide i suoi drammi in religiosi, filosofici, tragici, d’onore. I numerosi autos sacramentali si dividono per argomenti: filosofici, teologici, mitologici, tratti dal Vecchio testamento, di tema mariano, basati sui racconti evangelici e di circostanza. Maestro nell’arte dell’intreccio in La dama duende ci coinvolge, con la grazia del suo personaggio femminile. L’oscurità è complice delle trame di una vedova ingegnosa che si annoia perché segregata dai fratelli e con lei vi è un innamorato che vive in quella casa e una dispensa che nasconde una porta segreta, un 70
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved