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Storia della lingua italiana - Il primo Cinquecento, Dispense di Storia della lingua italiana

La lingua delle scuole La lingua dei mercanti, ragionieri e notai La lingua della Chiesa e delle scritture devote La lingua dei viaggiatori La lingua delle cancellerie La questione della lingua e la fissazione della norma La lingua della letteratura in versi La lingua della letteratura in prosa La lingua dei volgarizzamenti e delle traduzioni dal latino Il maccheronico, il fidenziano, il furbesco

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 06/07/2023

gaiadaniello
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Scarica Storia della lingua italiana - Il primo Cinquecento e più Dispense in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! 1 Storia della lingua italiana - Il primo Cinquecento Paolo Trovato CAP. 1 LE LINGUE DELLA SCUOLA Latino e volgare in biblioteca e in tipografia In tutto il Cinquecento il latino è stato molto vivo, in Italia e in Europa, come lingua seconda della trasmissione del sapere e nell’esercizio di alcune professioni, come avvocati, notai, medici e uomini di Chiesa. Si trattava di una elites bilingue, in rapporto con gli alfabetizzati che non sapevano il latino (illitterati, nescientes litteras, omini sanza lettere) e la stragrande maggioranza della popolazione, costituita in massima parte da contadini analfabeti > rapporti antagonistici, diffidenza reciproca. Es. dichiarazione di mugniaio friulano Menocchio deò 1583, processato per eresia: il parlar latino è un tradimento dei poveri. Analizzando i cataloghi delle biblioteche, grandi o piccole, o gli annali delle tipografie quattro- cinquecentesche è possibile farsi un’idea dell’importanza del latino: es. inventario della Biblioteca Estense (Ferrara) del 1495: su 512 titoli più della metà è in latino, 10% in francese, 30% in italiano. La percentuale dei libri in italiano cresce se spostiamo lo sguardo dalle grandi biblioteche dell’alta borghesia fiorentina a quelle più piccole dei ceti medio-bassi. Es. studio di Giovanni Gherardi da Pistoia, 7 libri di cui 6 in volgare. Tra fine ‘400 e pieno ‘500 il peso del libro a stampa è più forte tra i fattori di mutamento: gli specialisti non sono in grado di proporre valutazioni quantitative attendibili o univoche sulla produzione del quattro e cinquecento, se si abbandona il territorio conosciuto degli incunaboli. Nel Cinquecento incremento della produzione a stampa e dei lettori: l’incremento nella produzione e circolazione dei libri provocato dalla stampa si riflette anche sul prezzo dei libri e quindi anche nella diffusione delle biblioteche private. Le biblioteche con qualche decina di volumi, grandi nel ‘400, diventano sempre più comuni nelle case degli alfabetizzati. Prevalenza in tutta l’Europa di fine ‘400 e inizio ‘500 dei testi in latino su quelli in volgare, anche se con il passare degli anni si nota un significativo incremento dei testi in volgare, tendenza che continua anche nel secondo Cinquecento. Il latino si conferma comunque una lingua letterariamente disponibile: in particolare a Roma, presso la Curia Papale dove gli ecclesiastici dovevano dar prova della loro competenza in latino (Jacopo Sadoleto, Pietro Bembo, Giovanni della Casa). In ambienti del genere o all’interno della cerchia degli insegnanti di latino, preoccupati dell’espansione del volgare, si producono orazioni e trattati contro il volgare e storie letterarie che fanno posto solo ai poeti latini. Per quanto riguarda invece la storiografia ufficiale, nel Quattrocento rigorosamente latina, nel Cinquecento è in volgare, anche come particolare propaganda politica: es. nel 1520 Machiavelli per scrivere la storia di Firenze usa l’italiano / Bembo storiografo veneto volgarizza il suo lavoro latino negli ultimi anni di vita. Scuole d’abaco e d’umanità Il latino era la lingua degli studi universitari (diritto, medicina, teologia) e delle professioni liberali, ma anche la lingua per eccellenza dell’apprendimento linguistico. La realtà scolastica tardoquattrocentesca era molto complessa, con linee di divisione che separavano la città dalle zone rurali, la classe dominante da quelle subalterne, i maschi dalle femmine, artigiani e mercanti dai contadini. La situazione pretridentina (Riforma tridentrina: Concicilio di Trento, 1545-1563) era molto varia: - scuole comunali > maestro stipendiato dalla comunità 2 - scuole pubbliche > a pagamento Ma la distinzione principale è tra: - scuole di humanità (latino) > metodi della scuola romana e ellenistica, lettura dei buoni autori, modelli di lingua e di stile (es. Cicerone). - scuole di abaco > A un livello più basso, piccoli mercanti e artigiani imparavano a fare di conto, leggere e scrivere direttamente in volgare sui libri di lettura come il trecentesco Fiore di virtù. Queste due istituzioni scolastiche producevano due diverse categorie di alfabetizzati che usavano diversi tipi di scrittura e sistemi grafici, avevano abitudini e attitudini linguistiche differenziate: i frequentatori delle scuola di humanità imparavano a leggere su testi scritti in grafie umanistiche e assimilavano nozioni di stilistica e retorica, applicavano alla lingua materna le abitudini grafiche latine (es. et, h etimologica havereI, serie consonantiche latineggianti monstro) Gli utendi delle scuole per mercanti apprendevano un tipo di scrittura particolare, la mercantesca, e tendevano a rappresentare autonomamente certi suoni dell’italiano es. mostro e non monstro, pazienza e non patientia. I maestri delle scuole mercantili perpetuavano anche abitudini grafiche irrazionali es. h superflua chane, ghatto in analogia ai tipi in cui l’h ha valore distintivo chiesa, ghiro. In un recente lavoro sulla scuola italiana del Rinascimento si legge che “forse il 23% degli abitanti di Venezia nel 1587 erano alfabeti, cifra verosimilmente tipica di una città italiana del Rinascimento”: questa affermazione però non tiene conto della popolosità delle città rinascimentali e di cosa si intende per analfabetismo, e che le scuole rinascimentasli erano un fenomeno statisticamente marginale. Genericamente si può dire tra il 10-20% nelle città italiane sopra i 50 mila abitanti, meno del 10% nei piccoli centri e nelle zone rurali. I livelli di alfabetismo erano profondamente condizionati dalla struttura economica delle aree in esame es. graduale aumento dell’alfabetismo dalla pianura alla montagna (terra fertile per cui basta forza fisica, a una povera agricoltura), oppure capacità di firmare più diffusa nei centri urbani che in campagna. Qualche libro di testo Diversi studiosi hanno sottolineato l’importanza delle grammatiche degli studenti di latino quattro- cinquecentesche, perché contengono alcune parole volgari, occasioni di contatto con il volgare italiano scritto. Parole volgari che venivano accolte fiduciosamente dagli scolari dell’epoca, usate come quivalente delle forme latine. Il volgare di questi inserti non è il fiorentino letterario e nemmeno quello della parlata locale, i maestri tendevano a servirsi di una lingua il più possibile comune. Inoltre, la logica degli editori e dei tipografi che per ragioni di mercato tendevano a eliminare i tratti troppo municipali, costribuisce a fare dell’italiano dei libri di scuola una sorta di koinè sopra-regionale. • Rudimenta grammatices di Niccolò Perrotti ed. Treviso 1476, ed. Torino 1516. La 2° ed. lascia intravedere tratti di normalizzazione linguistica apertenere > apertegnire, motteggiare > motigiare, pescare > piscare) • Grammaticae institutiones di Giovanni Flaminio, 1522, grammatica latina nelle cui parti volgari prevale il modello toscano sulla tendenza regionale (specialmente riguardo alle doppie leccare, ficcare, freddo) e forme regionali non assibilate alternano con le forme toscane (tenzere, ponze, losenga / cingere, meraviglia, consiglio). La componente regionale si nota anche nella metafonesi settentrionale da -i e nella prevalenza del monottongo (medere, feno, boni, tono). La relativa modernità del maestro di scuola Flaminio è dovuta anche all’influsso del figlio, Marcantonio Flaminio, che nel 1521 aveva redatto un compendio della prima grammatica a stampa dell’italiano. • Flosculi di Giorgio del Valagussa, Milano, 1478 > florilegio (antologia, raccolta di fiori) 5 morfologia e sintassi, era in atto, anche negli scritti dei mercanti, una forte spinta all’unificazione linguistica. 2.3) THESORO DELLA CATTEDRALE dal LIBER VISITATIONIS dell’arcivescovo Francesco Carafa, Napoli, 1542 Nel 1542 l’arcivescovo va in visita alla diocesi e gli atti della visita sono raccolti in due mss. cartacei redatti da due soli copisti. I verbali scritti in latino si aprono al volgare tutte le volte che si procede all’inventario dei beni. Elenco relativo al tesoro della cattedrale: - forme e grafie latineggianti - tratti napoletani: apertura protoniche fenestre; protesi di AD (ad+racamare) arragamato, protesi di IN (in+aurare) inorata; -M- intervocalica intensa cammiso - metafonesi russo, no dittongazione metafonetica, solo in cortinielle - no dittongazione spontanea fiorentina banderole - ND > nn - articolo maschile sempre LO, LI; preposizione sempre DE - CI > nce 2.1) PROCESSO CONTRO ORSOLA DETTA STRUMECHERA Lingua notarile, Trentino, 1505 Giovanni delle Piatte nel 1504 viene accusato di praticare arti magiche e confessa di aver partecipato a dei sabba a Trento, tutte le donne da lui additate come streghe vengono processate. Il verbale è redatto da un notaio di lingua tedesca. Le parti formulari sono in latino, le dichiarazioni delle donne in scripta regionale > i tratti locali vengono attenuati. - latineggianti diabolo, laborenti -atis > ai > è laissé, confessé - grafie germanizzanti pampino, buscholo, fenire, sutzandogli - vocalismo ladino - metaplasmo di genere (settentrionale) ziresi cigliege, dedi dita - rotacismo vorando volendo - osse, rame confluenza pl nutro - desinenza -aveno all’imperfetto, settentrionale - verbi composti: verbo + avverbio mette zo depose CAP.3 LINGUA DELLA CHIESA E DELLE SCRITTURE DEVOTE Alcuni temi: la predicazione, la Riforma, la formazione dei sacerdoti Azione esercitata in campo linguistico dalla Chiesa e dai principali movimenti religiosi ‘400-‘500 eschi, tesi alla diffusione dei valori cristiani attraverso una lingua facilmente comprensibile. Il fenomeno più rilevante dal pdv linguistico, per la sua natura di mezzo di comunicazione di massa, è la predicazione, che espone in volgare nozioni e parole di tradizione scritturale. Inoltre, i tipografi continuano a stampare molto frequentemente testi devoti. Ma un nodo più specifico del ‘500 è la diffusione della riforma protestante: il proselitismo itinerante dei sostenitori della riforma (es. Bernardo Occhino) esortava i fedeli alla lettura dei volgarizzamenti delle Scritture e di altri testi di argomento religioso. La diffusione di libri d’ispirazione protestante non trovò ostacoli fino alla fine degli anni ’40. Caso del fortunatissimo Beneficio di Cristo del benedettino Benedetto da Mantova del 1543, che parafrasa e giustappone passi di Lutero, Calvino e Giovanni Valdes, fu proibito solo alcuni anni più tardi, dopo averne venduti non meno di 20 edizioni (40 mila esemplari). La lingua del Beneficio è un italiano ineccepibile, che non tradisce l’origine del suo autore. Altra novità tardocinquecentesca è l’organizzazione da parte della Chiesa di Roma di una rete di seminari con programmi omogenei. 6 I sacerdoti e parroci della prima metà del Cinquecento non avevano competenze culturali e linguistiche salde: non analfabeti, ma ignoranti, frequenti nelle campagne di tutta Europa. Maggiore o minore preparazione dei parroci riflette la complessa e disomogenea geografia dell’alfabetizzazione: es. nelle diocesi settentrionali di Milano, Bologna e Brescia già nella prima metà del secolo era diffusa l’alfabetizzazione. Frati e preti costituiscono per la tipografia una nicchia di mercato sicura: oltre ai testi latini necessari per le esigenze del culto, venivano prodotti numerosi testi in volgare, raccolte di prediche, manuali di confessione etc. Come il Confessionario utilissimo ad ogni persona di Teodoro da Sovico, Milano, 1496: testo confessionale ricco di latinismi lessicali e di settentrionalismi fonetici e morfologici. Per ovviare alle difficoltà dei sacerdoti di intendere e spiegare i testi sacri gli stampatori propongono con frequenza il Vocabulista (ecclesiastico latino e vulgare utile e necessario a molti), Milano, 1480 di Giovanni di Savona > vocabolario ecclesiastico che è stato stampato fino a metà del ‘600, che glossava il lessico della Sacra Scrittura, alcune vite di Santi e di sermoni di Dottori della Chiesa. La lingua delle definizioni non è il toscofiorentino, una koinè settentrionale arricchita di latinismi (mensura, pecunia, receptaculo). Tra i tratti utili per una generica localizzazione: - assenza di anafonesi longa, sottozonzere, e assibilazione - monottongo e sonorizzazione di T intervocalica scode > ESCUTIT. Chi si serviva del Vocabulista era un particolare tipo di religioso, con un livello culturale basso, il parroco di campagna. La predicazione e la qualità linguistica della predica si modificarono dopo la metà del secolo, orientandosi verso un livello più alto di cultura, evolvendo dalla tradizione dei sermoni mescidati tardoquattrocenteschi verso ideali di lingua e di stile tosco-bembeschi. I volgarizzamenti della Bibbia Nel pieno Cinquecento leggere la Bibbia in traduzione volgare diviene una necessità, anche tra i riformatori cattolici. Già prima della riforma protestante alcuni cattolici si erano preoccupati di far approdare volgarizzamenti delle scritture affidabili: es. Libellus ad Leonem X, 1513, dei camaldolesi Paolo Giustiniani e Pietro Querini che invitano il papa a far tradurre la Scrittura e propongono l’uso del volgare nella liturgia. Conto delle Bibbie e dei Nuovi Testamenti in volgare editi tra 1465 e 1600 rivela che ci fu una grande stagione nella parte centrale del XVI sec: tra 1471 e 1500 le edizioni sono 11, tra 1501 e 1529 sono mezza dozzina, tra 1530 e 1562 una quarantina, per scendere a una decina a fine secolo. Le prime traduzioni a stampa cinquecentesche del Nuovo Testamento e dell’intera Bibbia furono quelle del fiorentino Antonio Brucioli: Nuovo Testamento, 1530; Bibbia, 1532. Può essere inquadrata tra i non molti documenti a stampa di prosa fiorentina viva primocinquecentesca. Brucioli ebbe rapporti diretti con il testo greco e quello ebraico, ma le sue traduzioni furono condotte sulla versione latina di Sante Pagnini (1527) per l’AT e sulla versione latina d’Erasmo (1516) per il NT. Il tentativo di rispettatr la disposizione della parola di Dio conservando anche le particelle del testo latino obbliga ad iperbati e a frasi complicate. Frequente ricorso a latinismi del testo di partenza e nel rifiuto degli equivalenti attualizzanti, tende a sostituire solo i latinismi rari che potrebbero ostacolare la comprensione. Riguardo l’assetto fonomorfologico si segnala la chiusura fiorentina di E protonico diserto e la forma monottongata mele per miele. I volgarizzamenti del Brucioli furono stampati fino al 1559, quando furono condannati e posti all’Indice. Furono, assieme alla traduzione quattrocentesca del Malermi, il tramite alle Scritture per i numerosi alfabetizzati “senza lettere”, ignari del latino. Altri volgarizzamenti della Bibbia: Traduzione dei vangeli del benedettino fiorentino Massimo Teofilo, Lione, 1551, condotta sulla Bibbia latina di Bullinger e il NT di Erasmo, risente degli sviluppi cinquecenteschi della questione della lingua. Teofilo in Apologia denuncia i limiti culturali e stilistici di tutti i volgarizzamenti disponibili e rivendica 7 la fedeltà e proprietà linguistica della sua traduzione (preferisce tradurre a senso). Criteri linguistici diversi ispirano le traduzioni ginevrine degli anni ’50-’60 che tengono conto della Bibbia francese di Pierre Robert rivista da Calvino. Es. Vangelo italiano e francese pubblicato da Giovan Pascale nel 1555, che riproduce la traduzione italiana edita da Jean Crespin, in cui nel frontespizio divhiara di “aver fuggito sempre ... mal convenienti toscanismi”. L’ignoto volgarizzatore del testo Crespin-Pascale ha settentrionalizzato il testo iperfiorentino del Teofilo. Tale dipendenza sarebbe provata dalla persistenza di certe innvazioni lessicali sentieri, messagiero. La nota più caratteristica è l’antifiorentinismo grafico, fonetico e morfologico: es. inserimento di troncamenti insoliti nella prosa e nel parlato fiorentino 400-500eschi. Lo stesso atteggiamento di rifiuto del fiorentinismo alla moda si trova nella Bibbia Du Ron del 1562, del lucchese Filippo Rustici. Mentre il bembismo e il manierismo linguistico dilagavano nelle tipografie, nei conventi e nei pulpiti, gli italiani di Ginevra applicavano al fiorentino le riserve anticiceroniane e anticlassicistiche di certi Padri della Chiesa, poi del Valla e di Erasmo, individuando nell’italiano comune l’unico equivalente possibile al sermo humilis scritturale. 3.2) IL VANGELO DI ANTONIO BRUCIOLI (VENEZIA 1530) E DI MASSIMO TEOFILO (LIONE 1551) Passo del vangelo di Marco nella traduzione di Brucioli e in apparato la versione di Teofilo. Il Brucioli traduce parola per parola il testo latino, il Teofilo invece cura più l’eleganza della traduzine che la fedeltà del testo. Brucioli > lessico latineggiante immundo, mercenarii Teofilo > rifiuta i tratti latineggianti e argentei. - imperfetti analogici in -avono ridotti alla norma trecentesca -avano CAP.4 LINGUA DEI VIAGGIATORI Le scoperte e le relazioni di viaggio Numerose le scoperte geografiche tra ‘400-500, es. scoperta dell’America, che hanno determinato una nuova visione antropologica e ebbero grande impatto sull’immaginario collettivo e aumentarono l’interesse per i paesi lontani, determinando il successo editoriale delle relazioni di viaggi extraeuropei, sia nei grandi intellettuali che nella gente comune. Stampa introdotta in Italia nel 1465 > catalizzatore per la diffusione del nuovo, crescente domanda di informazione. - Cristoforo Colombo, al suo ritorno crescente domanda della sua relazione de las islas de India - Lettera a Pier Soderini e del Mundus Novus di Amerigo Vespucci - Fracazio da Montalboddo nel 1507 a Vicenza mette insieme le relazioni note dei viaggi di Colombo e Vespucci con materiale portoghese sulla circumnavigazione dell’Africa, organizza la miscellanea Paesi novamente retrovati et Novo Mondo. - Giovanni Battist Ramusio autore del monumentale corpus in 3 volumi di Navigazioni e viaggi, 1° 1550, 2° 1559, 3° 1556. Ramusio riduce il disadorno italiano delle relazioni e dei volgarizzamenti alla norma toscana. Neologismi, esotismi, iberismi di necessità o allusivi Gli autori delle relazioni, Michele da Cuneo, Vespucci etc. si preoccupano più della sostanza e della veridicità del racconto che di lingua e stile. Sul piano linguistico, i loro racconti sono accomunati, al 10 CAP.5 LINGUA DELLE CANCELLERIE Proseguono e si consolidano, nel ‘500, le tendenze della lingua dell’amministrazine all’abbandono dei tratti municipali e alla stabilizzazione di un modello regionale o sovraregionale. Trattato del perfetto cancelliere del senese Bartolomeo Carli Piccolomini, 1529: in Italia duqnue tutte le città dovrebbero scrivere toscane e rare volte latino >occorre osservare le regole ortografiche del volgare. Inoltre, il segretario o cancelliere deve conoscere le principali lingue moderne; i copisti impiegati nell’amministrazione dello stato devono essere adeguatamente preparati. Le posizioni sono piuttosto innovative. Molti dei suoi suggerimenti ritornano negli anni ’60 nel Secretario dello stampatore Francesco Sansovino. Il segretario ideale deve essere conoscitore delle dottrine e delle lingue più usate e nelle quali si scrive comunemente, tra le quali il latino e il volgare hanno il primo posto. Anche nel caso delle scritture burocratiche, la produzione fiorentina è stata privilegiata dagli studiosi, come anche le relazioni degli ambasciatori veneti. Processo di omologazione linguistica in corso nelle cancellerie italiane del tempo: - 1520, ambasciatore genovese in Spagna, Martino Centurione, spedisce all’Ufficio speciale di Spagna del Comune di Genova una lunga relazione su tutte le questioni aperte con gli spagnoli. Ricchissima di parole e espressioni in latino (in latino intestazione, rubriche, varie locuzioni in scriptis, in substantia, in primis), latinismi grafici maxime, facto, scriptura, fonetici satisfacente, lessicali exactione, redimere, vexatione, sintattici. La lingua del documento è genericamente settentrionale. - 1524,, funzionario in Sicilia: lingua dell’amministrazione che tende a modellarsi sul latino e poi sul toscano, usato in alternativa al castigliano, anziché sulle scritture locali. I tratti locali sono più numerosi man mano che ci si allontana dai vertici del potere. A livello più alto, le corrispondenze sono pressochè prive di tratti regionali. 5.2) INTERROGATORIO SULL’AMMINISTRAZIONE DELLA DOGANA, MESSINA 1547 Don Diego de Cordova arriva in Sicilia nel 1545 e scopre varie frodi: all’archivio di stato di Palermo è conservato uno schema di interrogatorio del 1547 relativo alle dogane secrezie. Documento di 76 capitoli > esempio di siciliano burocratico italianeggiante, lontano dagli usi municipali e dalla toscanizzazione. - tipica grafia merizionale CZ preczo - CH ha valore /k/ chi, /tʃ/ fachendo, /kj/ chamano - J prevale su I davanti a vocale, specie a inizio parola jorno, tranne che nei latinismi. - locali Y per /i/ e X per /ʃ/ canuxino, vaxello - vocalismo siciliano tonico imballaturi - sporadici troncamenti iberici ordinacion morfologia più conservativa: - articoli masc LO, LI, femm LA, LI - dimostrativi quisto, quisso - coniugazione -ARE > -ARI o -IRI - perfetto happiro ebbero, foro furono - congiuntivi siciliani haya, hayano, stayano abbia, abbiano, stiano - sicilianismi schietti rari achanari salire, nexiri uscire - iberismi tecnici, latinismi cancellereschi e giuridici - uso di STARE per essere > influsso iberico - assenza articolo davanti al possessivo 11 CAP. 6 LA QUESTIONE DELLA LINGUA E LA FISSAZIONE DELLA NORMA Preliminari Manuale Storia di Migliorini, 1° ed. 1960, appare invecchiato. Classica sintesi di Migliorini, cosa non ci convince? Per il linguista nella prima metà del Cinquecento si distinguono tre correnti nell’ambito della questione della lingua: 1. Arcaicizzante di Bembo, 2. Ispirata alla koinè delle corti (cortigiana), 3. Corrente toscana, modello fiorentino. La debolezza dello schema tripartito di Migliorini è la sua eccessiva rigidità, e che presenta in un quadro sincronico le tre correnti, in realtà scalate nel tempo e in forte contrapposizione dialettica. Il dibattito cinquecentesco sulla lingua ideale della letteratura e degli usi formali si accende per reazione alla moda recente del fiorentino letterario, che si diffonde e consolida per via di edizioni linguisticamente affidabili dei trecentisti, per la fortuna editoriale degli Asolani e della seconda Arcadia, per le correzioni editoriali dei testi letterari del passato e del presente secondo la norma trecentesca e infine per l’apparizione delle prime grammatiche. Dante e Petrarca in tipografia (1501-1502) La diffusione tardoquattrocentesca della stampa portò in tutt’Europa ad una relativa regolarizzazione delle lingue letterarie. Molti editori oer garantirsi un mercato più ampio sottoponevano i testi da pubblicare alle cure frettolose ma efficaci di correttori e revisori tipografici. La revisione di norma comportava: a. abbandono dei grafemi superflui e del lessico poco comprensibile (latinismi, arcaismi) b. semplificazione della sintassi c. tentativi di rimediare a lacune e lezioni senza senso d. uso dell’interpunzione e. separazione delle parole Nonostante il forte impulso dell’editoria all’uniformità linguistica, la lingua dei primi libri a stampa era tutt’altro che unitaria. Si potevano distinguere 3 componenti linguistiche: latino, fiorentino e lombardo (italiano settentrionale). • latino/latinismi > livello ortografico (in assenza di norme autonome del volgare) e a livello lessicale (in particolare per la lingua delle scienze, botanica, medicina, matematica, zoologia) • fiorentino > di cui non si distinguono i tratti quattrocenteschi o argentei da quellio aurei. Si tende a imitare a fini letterari la lingua e lo stile dei grandi autori Trecenteschi. • lombardo > accezione antica di “italiano settentrionale”, perché lombardi erano i lavoratori dell’industria tipografica (in particolare Venezia) in cui venivano stampati i primi testi a stampa. La lingua dei primi testi a stampa non era unitaria, convivevano fiorentinismi d’autore con forti settentrionalismi tipografici. Nonostante le prime edizioni discendessero spesso da mss. linguisticamente autorevoli, perfino le vulgate quattrocentesche di Dante e Petrarca, stampate a Venezia convivevano con forti settentrionalismi tipografici fiolo per figliolo, scempiamenti rato per ratto, roto per rotto, forme non anafonetiche gionto, vermegli, pronomi personali atoni in -e me,te,se, desinenze settentrionali di II pers. pl. in -ati -eti. - Rime con il commento di Filelfo, poi Filelfo-Squarzafico, Triumphi con il commento di Ilicino a partire dal 1478 - Dante con il commento di Landino, a partire dal 1484 Un abisso separa queste prime stampe dalle edizioni in caratteri corsivi di Petrarca (luglio 1501) e 12 Dante (luglio 1502) curate da Pietro Bembo, per lo stampatore Aldo Manuzio. Per l’edizione di Petrarca Bembo ebbe a disposizione l’autografo dei RVF (l’attuale ms. Vat. Lat, 3195) da cui eliminò forme settentrionali (guanza) e ipercorrettivismi (immagini, immagginar) (nell’ora Vat. Lat. 3197), che stava predisponendo per la stampa. A distanza di mesi dall’apparizione del Petrarca, il Bembo iniziò a fornire ad Aldo fascicoli con il testo della Commedia di Dante. Coerente coloritura linguistica delle due ed. aldine: a. Eliminazione di forme settentrionali guanza e di ipercorrettismi immaggine, immaggini, immagginar (assoluta mancanza di macchie padane e ipercorrettismi a livello fonetico) b. ridotta presenza di latinismi grafici > riduzione dei nessi consonantici latineggianti del tipo transforma, rapto c. abbondanza di forme petrarchesche: imperfetto di 1° p. -ava, -eva; passato remoto dei tipi amaro, amarono, fecero contro amavo, amorono, feciono, del fiorentino argenteo. d. no abbreviazioni e. Nuovo sistema di interpunzione: oltre a punto fermo per pause forti, si rimpiazzano i due punti / barra obliqua per pause intermedie con il segno della virgola e del punto e virgola alla moderna. Vengono mutuate dal greco l’apostrofo (per le elisioni) e l’accento grafico grave. Le due edizioni contribuirono alla fissazione e semplificazione della grafia dell’italiano. Il loro successo fu strepitoso, come provano le imitazioni più o meno pedisseque che se ne tentarono a Venezia, Firenze, Fano e Lione. Era nato un nuovo moto di pubblicare letteratura alta: nuovo stile di stampa con caratteri corsivi, formato portatile, interpunzione aldina, assenza di abbreviazioni, riduzione latinismi grafici e incremento dei tratti linguistici fiorentini L’osservazione dei modelli trecenteschi Nel corso del Cinquecento “Osservazioni” diventa un titolo frequente per opere di stilistica fondate sui modelli trecenteschi. L’interesse grammaticale e linguistico per le tre corone fiorentine era più forte e precoce nelle corte settentrionali che non in Toscana. A Nord degli Appenini, la grammatica del fiorentino letterario che sarebbe confluita nelle grammatiche del Fortunio (1516) e del Bembo (1525) e altri grammatici, nasceva dalle postille che si addensavano ai margini dei mss. o delle stampe di Dante, Petrarca e Boccaccio. Es. Bembo segna parole interessanti nel ms. Ambrosiano D 29 inf. della Fiammetta. Il metodo applicato dai fondatori del classicismo cinquecentesco era lo stesso che usavano gli umanisti alle prese con la lingua e lo stile dei classici latini. L’avanguardia classicistica: Bembo e Sannazaro (1504-1505) Questo atteggiamento di attenta osservazione degli autori canonici (minoranza, prestigiosa) spiega la relativa sicurezza linguistica delle prime prove poetiche del napoletano Jacopo Sannazaro e del veneziano Pietro Bembo. Scrivere una prosa di imitazione trecentesca, tra 1490 e 1525, molto più difficile che scrivere sonetti e canzoni, per i quali bastava ricilare, con variazioni minime e montaggi vari, materiale prefabbricato in versi, come avevano fatto gli umanisti con la poesia latina classica. Per la prosa invece pesavano il prestigio del latino e la componente linguistica locale. La seconda Arcadia del Sannazaro (1° ed. Napoli, Mayr, 1504) e l’ed. degli Asolani (1° ed. Venezia, Manuzio, 1505) sono ambiziosi prosimetri dove le parti in prosa richiamano lo stile boccaccesco: osservazioni dell’uso linguistico di Boccaccio. Arcadia e Asolani sono opere rielaborate a lungo e in entrambi i casi il problema della lingua e dello stile della prosa volgare fu risolto applicando alla lingua nuova i metodi e criteri di lavoro classicistici. La scrittura sannazariana e bembesca si sviluppano, specialmente nei primi capitoli, per 15 La grammatica del Fortunio (1516) Regole grammaticali della volgar lingua di Giovanni Francesco Fortunio: prima grammatica a stampa dell’italiano, Ancona – 1516. Libro di regola grammaticali dichiaratamente fondate sull’uso di Dante e soprattutto Petrarca e Boccaccio. Manuale dall’immediato successo, dimostrato dalle ristampe di Milano, 1517 e Venezia, 1518. Incubazione della grammatica tra 1502 (successo a Venezia delle edizioni Aldine di Dante e Petrarca) e il 1509 (il Fortunio chiede un privilegio di stampa per un libro di “regole grammaticali”), poi probabilmente i libri stampati ad Ancona nel 1516 sono stati ritoccati dall’autore più tardi in vista della pubblicazione. Anche dopo l’uscita delle Prose di Bembo, più difficili e costose, e di altri strumenti linguistici, le Regole, favorite dal loro impianto scolastico (la 1° regola sarà, la 2° regola sarà...) rimasero a lungo la grammatica volgare più richiesta: per venire incontro ai tanti non toscani che, favoriti dai costi relativamente bassi del libro a stampa, si accostavano alla produzione letteraria volgare. Dal 1516, in un quarantennio, furono realizzate 18 edizioni. Questione del rapporto tra Fortunio e Bembo, i due iniziatori della tradizione grammaticale cinquecentesca: - il Fortunio era a Venezia negli anni in cui il Bembo inizia a occuparsi di lingua - raqpporto personale provato dalla lettera del 1529 con cui il Bembo si difende con Bernardo Tasso dall’accusa di aver plagiato il Fortunio, 4 anni dopo la pubblicazione delle Prose. - indubbia ostilità del Bembo per chi lo aveva preceduto - le due opere grammaticali sono diverse e lontane tra loro, i due erano lontanissimi per sensibilità e gusti letterari. Confronto grammatica del Fortunio e del Bembo (in particolare 3° libro delle Prose, la parte più strettamente grammaticale, che fonda la retorica e stilistica del volgare): FORTUNIO: • minor sicurezza di fronte a forme scarsamente attestate negli autori • poco giudiziosa esclusione di doppioni che minacciavano le sue aspirazioni a una regolarità grammaticale • molteplicità dei suoi paradigmi, fino all’accoglimento di forme toscane quattrocentesche o settentrionali) BEMBO: • selezione più discriminata del Bembo cinquantacinquenne Il primo problema da risolvere per fissare le regole del fiorentino trecentesco era quello di individuare lo strato originario, la lingua degli autori, sotto gli errori dei tipografi. Fece alcune buone congetture: • perfetto debole in -arono, -aro nelle Tre Corone • sareste, beveste, vedeste contro le false lezioni voi saresti nella Commedia: poiché tutte le seconde persone di qualunque verbo fiorentino letterario trecentesco hanno il singolare uscente in -i e il plurale in -e tu amasti voi amaste, tu leggi voi leggete. • rifiuta l’imperfetto quattrocentesco della 1° p. in -avo -evo -o a vantaggi degli aurei io anadava, diceva, era. Tuttavia, non sempre fece buone congetture, i casi meno plausibili sono: • articoli determinativi il, lo sing. gli, li, i, e pl. > non riesce a individuare la regola di avvicendamento tra i, gli e accetta il pl. postclassico in e. • morfologia di havere: mantiene il sicilianismo poetico haggio, il sicilianismo-latinismo 16 have e il dantesco habbo, affianco alle forme fiorentine normali ho, ha • nel presente del congiuntivo la 2° p. sing. è tu scrive, scrivi, scriva / habbi, haggi, habbie, habbia/ sii, sie, sia > come negli Asolani del 1505, forme sporadiche nel Trecento e prevalenti nel pieno Quattrocento • nel perfetto indicativo noi amassimo, noi scrivessimo, noi fossimo • nel condizionale tu scriveressei, tu haveressi / noi scriveressimo, noi haveressimo, noi saressimo > forme settentrionali con ampliamento sintagmatico • 3° p. condizionale lui amerebbe /ameria ma la 1° p. io amerei, ignorando la pluriattestata ameria. Incorre in molti settentrionalismi fonetici, forse per insufficiente distinzione tra usi prosastici e poetici dei suoi modelli. Tra i settentrionalismi spiegabili con l’influsso della lingua poetica dei trecentisti: • Frequente mancata dittongazione sovene, bone, nova, prego • la mancanza di anafonesi gionta, giongono, fenge Storicità della lingua cortigiana In Francia, Spag,a Inghilterra la promozione 400-500esca di una parlata locale a lingua nazionale fu la conseguenza di un’unificazione politica, mentre in Italia la fissazione di una lingua letteraria comune a base fiorentina dipese da scelte di tipo estetico-culturale, che risalivano alla diffusione delle Tre Corone. Reazioni dei contemporanei agli esperimenti classicistici, che erano soliti scrivere in miscele linguistiche ancora fluide e polimorfe, ricchissime di latinismi fonetici, lessicali e sintattici, depurati dai tratti municipali più vistosi, che oggi chiamiamo lingue di koinè, ma che i contemporanei indicavano con scrivere ala cancelleresca, ala cortezana, o in lingua mista. Fine del Quattrocento – primo trentennio del Cinquecento: numerose opere in lingua cortigiana (sinonimo di “lingua comune”). Ma alcuni studiosi (Rajna, Folena) dubitano della realtà storica della lingua cortigiana, insistendo sulla scarsa regolarità della lingua letteraria prefortuniana e prebembesca, nonostante i reiterati accenni di molti addetti ai lavori del tempo (es. Ruscelli parla di “lingua mista” per Boiardo, Baldassar Castiglione Cortegiano, Collenuccio Compendio), ma anche Leone Ebreo Dialogi d’amore, Equicola Libro de natura de Amore (toscanizzato dal 1536). I centri della cultura e della lingua cortigiana erano le corti di Milano, Mantova, Ferrara, Urbino, Roma e Napoli, quelle con maggiori stimoli di produzione poetico-letteraria e cancelleresco- diplomatica. La curia romana è additata dai teorici del ‘500 come il luogo linguisticamente esemplare del sistema cortigiano: nel ‘400 molti curiales fiorentini occupano a Roma posti di prestigio (numero di residenti non romani altissimo, 53% sttentrionali, 20% toscani). La vitalità della lingua della corte di Roma era tale che riaffiorò nel ‘500 in contrapposizione al fiorentino. Castelvetro la lingua cortigiana romana è un corpo di lingua distinto e separato dall’altre lingue italiane o non italiane. Prime reazioni antitoscane: la lingua cortesiana romana di Mario Equicola (1509) Una precoce testimonianza polemica contro la voga fiorentineggiante si trova nell’Esposizione del pater noster (1507-08) del Galateo, medico-umanista salentino. Oggi in Italia ... chi non parla a punto el toscano, non pare che sia italiano. Il documento più notevole nell’ambito della reazione cortigiana alla moda del fiorentino letterario c’è la dedicatoria del ciociaro Mario Equicola, segretario di Isabella d’Este, nel Libro de natura de amore del 1509 (di cui possediamo il ms. T autografo). Dedicatoria che va intesa come tentativo dell’autore di proteggersi dai diffusi pregiudizi sull’inferiorità del volgare. Ms. T: i libri 1-4 risalngono al 1506-08; la dedicatoria al 1509. 17 Riguardo alla voga recente del fiorentino letterario il giudizio dell’Equicola appare scisso: il trattato registra con apparente simpatia la novità degli Asolani, ma la dedicatoria è polemica contro i fautori dell’imitazione dei toscani (contro gli “imbecilli” che volevano imitare in tutto la lingua toscana > Bembo degli Asolani). È lecito supporre che che la dedica sia stata scritta dopo il pezzo interno del libro sul Bembo, e che quindi sia stata scritta prima la difesa del Bembo, poi nella dedica la propria difesa in polemica con gli Asolani. La soluzione tardoquattrocentesca della lingua cortigiana, buona per l’uso nelle cancellerie com per la letteratura cortigiana: - riduzione elementi locali - assunzione tipi grafici della lingua dei destinatari - filtro ortografico e trapianti lessicali latini Ma appena 5 anni dopo la pubblicazione degli Asolani, la lingua cortigiana sembrava superata, almeno per certi ambienti. Equicola, vissuto a lungo negli ambienti curiali romani, rivendica la superiorità e versatilità della lingua cortesiana romana, vicina al latino e arricchita a livello lessicale “de tucti boni vocabuli de Italia”. L’urbanitas della lingua cortesiana romana è contrapposta all’inurbanitas del toscano, nel senso retorico di linguisticamente scorretto, poiché si discosta eccessivamente dalla fonetica latina. Equicola cita un paio di testi a suo giudizio esemplari (oggi non pervenuti): un libretto del nipote Francesco d’Alvito e l’Aura del mantovano Calandra. Nel libro de natura de amore Equicola propone un campione singnificativo della lingua proposta: - grafie latineggianti antiquo, approximarme, obligatione, observo, sequente - timbri latineggianti reducta, umbra, incorrupta, vocabuli, regule, articulo - latinismi lessicali electi, frequentato, incursioni, occasio, prisco - rifiuto dittongazione toscana boni, homini - chiusura metafonetica da -i e da -u paricchi, deperdissero - nel pres. indic. sono tratti romani me so sforzato, devemo, dicemo, vedemo (uscita in -emo del plurale) - nel lessico i latinismi electi, incursioni, occaso, prisco - sintassi: tipo umanistico poi l’occaso, dove poi continua le funzioni preposizionali di POST. Teorici cortigiani moderati: il Calmeta (1506-08), Castiglione (1518-20) Vincenzo Colli, (Il Calmeta > nome di un personaggio del Filocolo) è il più antico teorico della lingua cortigiana a noi noto. Autore del trattato in 9 libri Della volgar poesia ancora non riemerso, ma abbiamo 4 pagine di Castelvetro che copia e riassume di suo pugno il contenuto dei 9 libri. Il sunto del pensiero linguistico del Calmeta ci è stato offerto dal Castelvetro nella sua Giunta al primo libro delle Prose del Bembo. Il Calmeta restringe il suo ragionamento sulla poesia: il buon poeta deve apprendere la lingua fiorentina, studiare Dante e Petrarca e poi confrontarsi con la lingua di Roma, così da poter compiere un’operazione di affinamento della lingua > dato che tale affinamento avviene alla corte di Roma la lingua è chiamata “cortigiana”. Polemica del Bembo con il defunto Calmeta: di cui nel 1525 pochissimi si ricordavano e avevano letto l’opera maggiore e perduta. Il Castelvetro notò subito che le teorie attribuite al Calmeta non quadravano con il contenuto del trattato Della volgar poesia, ma non si chiese con chi realmente ce l’avesse Bembo, che probabilmente intendeva colpire le teorie e il prestigio di uomini ancora vivi, come il Castiglione o il Trissino. Baldassar Castiglione (1478-1529) storico e critico della poesia volgare, studioso della lingua parlata dagli uomini di corte. Nel Cortegiano (in particolare 2° ed. 1518-1520) insiste sulla necessità di evitare l’affettazione (la mala affectatio = sovrabbondanza) della tradizione retorica latina. 20 Prose: a. prima versione dei primi due libri delle Prose, 1512 alla corte di Urbino → epistola De imitatione a Pico, gennaio 1513, che valsero a Bembo la nomina a segretario di Leone X e l’ufficio stesso, contribuirono a irrigidire la componente umanistica e latina della sua personalità letteraria. b. stesura del terzo libro delle Prose, sulla grammatica, 1518, tra Venezia e Padova → la morte nel 1521 di Leone X e la partenza da Roma, sembravano segnare la fine della carriera curiale del Bembo, ma favorirono un ritorno di interesse sul dialogo volgare e portarono forse alla stesura del terzo libro, sulla grammatica del volgare. c. offerta delle Prose nel 1524 al nuovo papa Clemente VII → l’elezione a sorpresa nel 1523 di papa Clemente VII, l’amico cardinale Giulio de Medici, dovette invogliare Bembo a dare l’ultima mano all’opera sulla lingua e sugli scrittori fiorentini. Inoltre, la diffusione a stampa delle controversie del 1524, mentre si trovava a Roma, prob ha influito sulla decisione di pubblicare alla scelta le Prose, presentate al papa in un ms. di dedica nel novembre 1524. d. 1525 pubblicazione a Venezia > dopodichè Bembo si dedicò a rivedere Asolani e Rime delle quali uscirono nel 1530 le seconde edizioni. Bembo disponeva riguardo la lirica delle origini e la prosa due-trecentesca di e. autografo di Petrarca f. Cronica di Giovanni Villani g. Novellino (uno dei più antichi testi italiani in prosa) in copia cinquecentesca Come si ricava dal ms. Vat Lat 3210 (bella copia delle Prose, 1521-22) la maggior parte delle allegazioni dal Decameron e altre prose antiche che caratterizzano la princeps delle Prose entrò nel testo relativamente tardi, forse 1523. Molte citazioni mancano nella redazione base del ms. Vaticano, dove sono state aggiunte solo in fase di revisione nei margini: forse perché fino ad allora Bembo non disponeva di testimoni fededegni. Grazie a questi testi Bembo riesce a distinguere la norma trecentesca dagli arcaismin isolati e a distinguere tra prosa e poesia, e forme che già al tempo di Petrarca e Boccaccio stavano diventando desuete. Arriva a condannare parzialmente il realismo e il pluristilismo dantesco e al rigetto di tutta la tradizione fiorentina quattrocentesca (Lorenzo, Poliziano e i fratelli Pulci) sulla quale era modellata la lingua del suo fiorentinismo giovanile. I modelli proposti dal Bembo per stile e lingua sono Petrarca per la poesia e il Boccaccio della cornice del Decameron per la prosa, perché il linguaggio delle novelle era troppo basso e colloquiale. Bembo aveva un giudizio limitativo nei confronti di Dante: la Commedia era un’opera troppo composita, ricca di stili diversi, troppo varia di temi e registri espressivi per rappresentare un modello imitabile. Accoglimento: - forme doppie del congiuntivo dea/dia, stea/stia - preferenza dieci rispetto all’antico diece Rifiuto: - infiniti dicere, facere frequenti nella lingua di conversazione di Corte - forme soleàmo, leggeàmo, in uso dal Sannazaro - forme amorono, forsi usate dallo stesso Bembo negli Asolani, 1505. - tipi harò, harei, fusse del suo fiorentinismo giovanile 21 L’auscultazione delle fonti due-trecentesche è così attenta e sottile che il Bembo ne ricava indicazioni stilistiche molto sottili, anche anticipando gli studiosi otto-novecenteschi es. osservazioni sulla sintassi dell’articolo prossime alla norma di Grober; rilievi sul tipo con doppio determinativo il vello dell’oro, poi circoscritto dalla legge Migliorini al solo compl. di materia. Dopo le Prose Le Prose furono un libro costoso e difficile, destinato a una ristretta cerchia di lettori di buona cultura, fino al 1549, ed. postuma, esercitarono il loro influsso sul grande pubblico attraverso la più consultabile ed economica grammatica dell’Acarisio. 1527: Sacco di Roma che ha segnato i destini individuali e collettivi del primo Cinquecento Ma anche le Prose, che riproponevano con grande autorevolezza la soluzione del fiorentino trecentesco, sortirono l’effetto di bloccare o ritardare l’uscita di altri scritti sulla lingua. • risale alla primavera-estate 1525 il manifesto toscanista di Tolomei (Il Cesano della lingua toscana) pubblicato soltanto nel 1555: nel quale il pisano Gabriele Cesano, il portavoce dell’autore, trionfa dialetticamente su Bembo (lingua volgare), Trissino (lingua italiana), Castiglione (lingua cortigiana) e Alessandro de’ Pazzi (lingua fiorentina). • Dialogo della volgar lingua di Piero Valeriano steso dopo le polemiche linguistiche del 1524, ma pubblicato solo nel 1620: registra un momento di svolta nella norma linguistica della corte di Roma (papato di Leone X), in cui i cortigiani più anziani vengono canzonati dai giovani per non riuscire a osservare nella conversazione le regole del fiorentinismo. Discussione tra il fiorentinista Alessandro de Pazzi, il toscanista Claudio Tolomei, l’antifiorentino radicale Antonio Tebaldeo e l’italianista moderato Trissino: l’ultima parola spetta al Trissino che distingue tra il fiorentino puro del popolo e la lingua dei dotti, • Solo nel 1529 il Trissino risponde pubblicamente alle critiche del 1524-26: pubblica a sue spese una mezza dozzina di testi (Castellano sulla natura e nome del volgare, 1528; volgarizzamrnto dantesco De la volgare eloquenzia, gennaio 1529; rinnovata Epistola e Dubbi grammaticali, febbraio 1529; Rime marzo 1529; Poetica aprile 1529; Sofonisba maggio 1529; Grammatichetta giugno 1529). Il Trissino reagisce alle critiche del Polito del Tolomei e modifica in vari punti il suo stesso alfabeto, ma porta avanti il suo programma antitetico a quello bembesco. Nel Castellano, nella Poetica e nelle Rime traspaiono un’idea di letteratura e un canone di buoni autori (dai siciliani al Sannazaro) irriducibili alla lezione delle Prose. Bembo stava comunque vincendo, fino a Montaigne e a Salviati fu il fondamento per tutti i letterati. Tra i giovani della generazione successiva la soluzione bembesca del fiorentino trecentesco è condivisa per la lingua della letteratura da Sperone Speroni nel Dialogo delle lingue, che discute della liceità dell’uso delle altre varietà italiane in piazza, in villa, a casa etc. A parte rimane Firenze, dove l’idea che occorresse imparare le regole del fiorentino letterario dalle prose di un veneziano non era facile da digerire. Reazioni del Gelli, Lenzoni e altri (es. appunti grammaticali del Guicciardini). La svolta si ebbe solo nella seconda metà del Cinquecento con l’Ercolano del Varchi e con Leonardo Salviati, fautore di un bembismo riveduto, che non mirava allo stile dei grandi autori, ma alla lingua di tutti gli scriventi fiorentini del Trecento, mercanti e ragionieri compresi. 22 SECONDA REDAZIONE ARCADIA, SANNAZARO, NAPOLI, 1504 Entrata in scena della bella Amaranta: - vocalismo tonico fiorentino, tranne per pingivano - latinismi fonetici argumento - consonantismo > sonorizzazione dopo nasale arangi - aferesi bassare abbassare - tensione verso il fiorentino trecentesco > imperfetti aveano, diceano - costrutto latineggiante acc+infinito EDITIO PRINCEPS DEGLI ASOLANI, BEMBO, VENEZIA 1505 Editio princeps con criteri linguistici e stilistici ancora approssimativi. Descrizione del giardino della regina di Cipro, a confronto A con B (1530) e C (1549) - vocalismo sanza > senza - consonantismo luoco > luogo, libbro > libro, doppo > dopo, ispesso > spesso - plurali in -gli ucegli > in B non palatalizzate - B importanti correzioni morfologiche - imperfetti poetici in -ea, -eano, -ia, -iano > -eva. -evano, -iva, -ivano - perfetti -orono > arono - congiuntivi in -ono > -ero (levassono > levassero) - fussi > fossi, harebbe > havrebbe APPUNTI GRAMMATICALI DI FRANCESCO GUICCIARDINI, 1538-40 Composizione della Storia di Italia, in una pagina l’autore si pone quesiti ortografici, fonetici, morfologici e lessicali. Perplessità che le teorie bembesche suscitavano nei meno giovani. Tendeva a usare nelle sue scritture forme del latino 400esco e latineggianti, ma le regole del Bembo lo costringevano a riconsiderare le sue opzioni, cercando di ridurre la polimorfia del fiorentino argenteo. - digrammi, trigrammi latineggianti; grafia X - alternativa lauda/loda - de/di defensore, openione - oscillazione forme articolo determinativo - io amavo/amava Guicciardini modificò solo in parte òe sue abitudini linguistiche argentee, accogliendo forme dell’uso fiorentino vivo. 25 - dittongazione rivera > riviera - monottongaziome dopo esplosiva + R ritruova > ritrova - monottongazione lirica petrarchesca cor, loco - ricerca di toscanità letteraria suspetto > sospetto - li colpi > i colpi - forma cavalliero (Petrarca), mentre Boccaccio cavaliere - dovea boccacciano (devea lirico) - congiuntivo imperfetto che gli avessi - caval > DESTRIER petrarchesco CAP.8 LA LINGUA DELLA LETTERATURA IN PROSA Dialetto e lingua nella commedia Tra i portati dell’umanesimo quattrocentesco c’è la riscoperta di ignote commedie plautine e il commento di Donato a Terenzio, la diffusione del De architectura di Vitruvio etc. ma anche i tentativi quattro-cinquecenteschi di rilanciare la commedia e la tragedia degli antichi. Dopo la messa in scena di volgarizzamenti plautini e terenziani monolingui e l’iniziativa ariostesca della Cassaria (1508), si diffonde la composizione e l’allestimento di commedie “regolari”, più o meno rispettose dei modelli classici, nelle principali corti italiane. Tra le commedie principali: Cassaria di Ariosto (ferrarese), Mandragola di Machiavelli (fiorentina), Calandria del Bibbiena, La Venexiana, commedie in pavano di Angelo Beolco, commedie del Ruzante, padovano. Netta divaricazione tra autori fiorentini e dialettali: l’apporto dei tantissimi non toscani che si cimentarono nelle commedie in lingua fu irrilevante per ragioni linguistiche, ben individuate da Macchiavelli: il fine della commedia è proporre uno specchio di vita privata, ma anche con una certa urbanitas (correttezza linguistica) e termini che facciano ridere; un non toscano non riuscirà in questa parte es. I Suppositi di Ariosto, “i motti ferraresi non li piacevano et i fiorentini non sapeva”. Tratti linguistici: - uso riflesso dei dialetti → secondo Migliorini la consapevolezza di una lingua letterarua valida per tutt’Italia ha dato la spinta al fiorire della letteratura riflessa. Letteratura dialettale riflessa, termine coniato da Benedetto Croce, allude all’esibizione intenzionale dei tratti locali, a differenza dei documenti due-trecenteschi che tendevano a una lingua il più possibile dirozzata, di koinè. - plurilinguismo: importante ingrediente del teatro comico → mistilinguismo teatrale rappresentato nel primo cinquecento dall’Opera piacevole dell’astigiano Alione, in cui le lingue di prestigio, latino e francesem si contrappongono all’astigiano, al genovese, al fiorentino e altre varietà italiane. L’area di più intenso sviluppo del teatro plurilingue è quella veneta: duplicità tra toscano-veneziano e tra veneziano lagunare-della terraferma. I tipi ricorrenti della commedia plurilingue sono il personaggio del bravo o bulo (uomo manesco), il pedante (maestro di grammatica latina). - terminologia teatrale - dichiarazione di poetica e stilistica nei prologhi Folena (1991) ha distinto 3 opposizioni fondamentali delle combinazioni linguistiche della commedia cinquecentesca: 1. Contrasto alto-basso che si manifesta anche nel rapporto città-campagna, tra la lingua aulica e il dialetto locale, colto / incolto. 2. Contrasto tra parlate di città e regioni diverse: la stilizzazione e tipizzazione diventa maschera linguistica, es. facchini bergamaschi, Pulcinella napoletano, Balanzone bolognese. 26 3. Contrasto nostrano-forestiero: spagnolo, tedesco, arabo, grechesco e a Venezia la “babele levantina” con schiavonesco, greghesco, arabo. L’epistolografia Nel ‘500 la lettera familiare assume la dignità di genere letterario, in assenza di modelli di prestigio nell’aureo Trecento. All’inizio fu un campo di forte sperimentazione per l’epistolografia volgare. Ci furono episodi salienti: - pubblicazione libri di lettere di Pietro Aretino, anticlassicista - Lettere volgari, serie aldina sul modello delle Familiares di Cicerone, modello per innumerevoli raccolte antologiche - Lettere, stampa postuma (1548) delle lettere volgari di Bembo (epistolario progettato dal 1534-35) - “Scelte” degli anni ’50-70, tra le quali le Lettere di tredici uomini illustri curate da Dionigi Atanagi o la Nuova scelta di lettere compilato da Aldo Manuzio il Giovane. 1574. Molti carteggi di autori morti prima della svolta rimasero inediti o editi solo in minima parte nel Cinquecento. Es. epistolari di Ariosto, Castiglione, Machiavelli (nelle lettere la lingua di Machiavelli è attardata, argentea). Lo scrittore di lettere più sperimentale era Paolo Giovio, la cui cifra stilistica era l’espressionismo (deformazione della realtà in senso comico, satirico, grottesco, attraverso mescolanze linguistiche). L’industrializzazione della letteratura L’affermazione della stampa determina una trasformazione profonda nel rapporto tra autore e pubblico. Nasce una nuova professione, quella del tipografo (consulente, revisore editoriale) e si modifica anche lo statuto di alcuni autori (autore a servizio del tipografo): asservimento all’esigenza industruale di tenere in piedi l’attività, pagare le maestranze, la carta, l’inchiostro etc. Fretta con cui sgli stampatori commissionavano traduzioni, revisioni o opere nuove. (consegnare fascicoli di 8/10 pagine ogni due o tre giorni, nel frattempo gli operai tirano anche 2mila copie della porzione di testo appena ricevute). Il successo di un titolo invoglia i tipografi-editori a commissionare opere simili, dando vita a sottogeneri nuovi: es. continuazioni Orlando Innammorato o antologie di Lettere o Rime. La produzione letteraria del pieno Cinquecento è prevalentemente opera di revisori o revisori-scrittori asserviti all’industria tipografica come Lodovico Dolce, Ruscelli, Lando, Brucioli, Sansovino, Baldelli. Ma la figura più rappresentativa dello scrittore nuovo, che non dipende dal mecenatismo dei signori, ma dallo smercio dei suoi libri, è Pietro Aretino, che ha attraversato con disinvoltura tutti i generi letterari. L’allargamento della società letteraria e il ruolo in essa svolto da scrittori non educati umanisticamente, spiegano il fenomeno degli artisti che si danno alla letteratura: es. Vite del Vasari, trattati del Cellini. Società letteraria più larga, cordiale e aperta, non c’è più l’aristocrazia letteraria che interviene e giudica. 27 8.1) MANDRAGOLA, MACHIAVELLI, 1519 Ogni personaggio è ben caratterizzato linguisticamente: Callimaco – lingua artificiata; Ligurio – rifugge eleganze formali e predilige le forme del parlato; Nicia – forme idiomatiche e interiezioni, proverbi e frasi fatte. M non segue le proposte del Fortunio e del Bembo. Cerca di simulare il parlato, caratteristica del teatro. - dittongazione spontanea in sillaba libra viene, uomo, figluoli - en protonico > an danari - femm pl -e le mani fiorentino argenteo - fiorentino quattrocentesco mia, tua, sua; articoli el, e - Lui soggetto, proibito nelle grammatiche a stampa - Cotesto - pronomi personali anaforici egli è piacevole uomo - strutture del parlato > dislocazione a destra o sinistra, anticipazioni e posticipazioni; deittici e ellissi del verbo 8.2) VENEXIANA, 1538 Autore anonimo, ambientata 1536-38, monotestimoniale. Copista Stefano Magno. - venexiana > x per sibilante sonora s - la serva si rivolge in veneziano italianizzato a Iulio, giovane forestiero, che parla in un italiano pretenzioso. Nena parla in veneziano, il facchino Bernanrdo in bergamasco (rozzezza montanara). Bergamasco: gi osei - apocope di -re andà, fa - caduta nasale in posizione interna regraziè - alò, quilò, fomnela là, qui, donnella - plurali femminili in -i li ori Veneziano: -dittongazione spontanea anche oltre alle condizioni normali toscane missier, puoco, spiero - scempiamenti - assibilazioni pase, viazo - sonorizzazioni fatiga - filia > fia 8.5) RAGIONAMENTO DELLA NANNA E DELLA ANTONIA, PIETRO ARETINO, VENEIA, 1534 Dialogo in cui si mettono a confronto vantaggi e svantaggi della vita delle monichje, delle donne sposate e delle puttane. - presentazione della donna a climax delle qualificazioni fiuta schifezze, biasima tutte, ingorda della carne - alterazione sostantivale, forme accrescitive e peggiorative, diminutive e vezzeggiative schiavinaccia, compagnone, madonnetta, cervellina, femminuccia, figliuola - frasi a botta e risposta - ripetizioni - rifiuto moda fiorentino letterario, attribuita con sarcasmo alla cortigiana romana - vocaboli romaneschi, toscano-meridionali, aretini - covelle nulla, vaccio, treccola venditrice ambulante, sciabordo insensato.
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