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Storia della moda dal XVIII al XXI secolo, Appunti di Costume E Moda

Storia SocialeStoria EconomicaStoria dell'Arte

Il libro tratta la storia della moda, dalla sua diffusione agli stilisti più contemporanei

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 20/01/2023

arianna-artoni
arianna-artoni 🇮🇹

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Scarica Storia della moda dal XVIII al XXI secolo e più Appunti in PDF di Costume E Moda solo su Docsity! STORIA DELLA MODA XVIII – XXI sec I. IL LUSSO, LA MODA, LA BORGHESIA Il lusso – Il lusso è una delle chiavi per interpretare la moda occidentale. Il modo di vestire viene sempre utilizzato per comunicare agli altri significati che sono cambiati a seconda delle culture, delle situazioni e delle scelte individuali, ma le idee di magnificenza ricchezza esclusività e rarità dell’abito sono sempre state costanti nelle trasformazioni della moda. La moda non è il semplice abbigliamento (che invece nella società è il rifiuto della nudità e l’obbligo di non girare nudi) ma è un modo, fin dal Medioevo, usato per manifestare il proprio ruolo gerarchico in una comunità In Europa occidentale dal XIII e XIV sec l’abito comincia a rappresentare una posizione o un ruolo sociale della persona con regole, non rigide, ma soggette ai gusti, all’inventiva e alle risorse degli individui. In Europa avviene un passaggio dal mondo antico a una concezione moderna dello Stato, del potere e dell’evoluzione sociale; ma comunque il possesso e la gestione della ricchezza hanno continuato ad essere il vero fondamento del potere reale. La moda riflette il bisogno di mettere in mostra ricchezze e potere  “far vedere ed essere visti” Il lusso della corte era immagine dello Stato, il lavoro era considerato una condanna e l’accumulo di denaro era vista come forma di avarizia, lo sperpero era quindi considerato una virtù. Con Luigi XIV lo sperpero fastoso esplicitò la funzione sociale e economica portando alla rovina, la corte era costretta a imitare il Re. Con la nascita e la crescita della borghesia, l’aristocrazia tenta di difendere la propria preminenza istituzionale anche in modo visivo. La rottura operata dalla Riforma Protestante (calvinisti e protestanti) creò le premesse per una nuova cultura del lusso: la ricchezza non doveva essere sperperata per il piacere o la vanità personale, ma doveva essere gestita in nome della comunità. Anche qui l’abito diventò segno di comunicazione  parlava di una rarità morale e ideologica che si esprimeva attraverso colori e materiali sartoriali particolari Abiti borghesi – La Borghesia inventò una propria moda che corrispondeva a un’ideale di vita, a un modello etico, a principi e gusti che le erano specifici, diversi da quelli dell’aristocrazia. Il lusso era anche un modello di consumo e un modo per far girare merci e produrre ricchezza (infatti nell’Encyclopedie fu specificata la differenza fra lusso come effetto della legittima pulsione all’emulazione sociale e quindi un aspetto positivo, e fasto, legato al principio economico dello spreco). Bisognava comunque definire i limiti entro cui il lusso, per società mercantilistica e capitalistica, era accettabile. Nel Settecento si assiste a una lenta crescita di un modello di consumo borghese. Il primo segno riguardava l’abbigliamento maschile con un modello semplificato: l’uomo mantiene il completo composto da marsina, sottomarsina, camicia, calzoni, ma invece dei tessuti preziosi e broccati vengono usati tessuti di lana in tinta unita o neri. Anche gli sfarzosi ricami sostituiti da galloni applicati  era una sobrietà programmatica, scelta da chi voleva distinguersi dagli aristocratici, opponendo al loro ozio un impegno produttivo e culturale per una vita finalizzata a incrementare la ricchezza con il lavoro, l’impegno politico intellettuale e sociale. Analogamente anche nell’abito femminile fu proposto un nuovo modello, lontano da quello delle cortigiane settecentesche, ma legato agli scopi del matrimonio e della cura dei figli  l’abito diventò specchio di questa virtù, privandosi degli sfarzi del Rococò e del rigore puritano. - non più solo il nero, ma colori chiari, nastri, passamanerie e merletti - non più le forme rigide e sostenute, ma indumenti più leggeri e comodi che liberavano il corpo da tutte le costrizioni Aria, luce, pulizia e movimento furono collegati con la possibilità di vivere bene e in armonia con la propria naturalità. Questi principi produssero un abito ‘colto’ che aveva le caratteristiche della negazione  la camicia di sotto viene usata come vestito, legata in vita con un nastro e decorata alla scollatura con uno scialle. (simbolo di adesione alla cultura illuminista di comodità e rispetto del corpo). Questo nuova moda borghese si sviluppò in due modi opposti: quella maschile si istituzionalizzò mentre quella femminile mutò nel tempo. Nel XII secolo la differenza di genere fu la chiave di lettura del modello vestimentario moderno. Il modo di vestire dell’uomo diventa la codificazione del suo ruolo sociale intellettuale ed economico  l’abito diventa una divisa, non soggetta alla moda e non modificabile nel modello ma solo nei dettagli, destinata a far riconoscere l’adesione a un archetipo di società da chi la indossava. Ecco perché la moda maschile si concentrò sui particolari: tessuti, cravatte, gilet, taglio, stiratura, pulizia ecc Le donne invece, private di qualsiasi compito pubblico, si qualificarono per il loro stato. Facevano una vita domestica e dipendevano dallo status sociale ed economico del marito. La donna ha il compito di rendere pubblica testimonianza del successo del marito, diventa quindi oggetto di spese lussuose, in quanto l’uomo mostra la sua ricchezza attraverso moglie e casa. Quindi a fine Settecento la moda si occupò sempre più delle donne e meno degli uomini. Le professioni della moda – le mode dovevano essere considerate tali dal gruppo di riferimento a cui il soggetto apparteneva. La competenza creativa era un pregio dei consumatori del lusso che proponevano nuove mode. Era quindi dalle corti che arrivavano le novità. L’affermazione della borghesia non poteva lasciare solo all’aristocrazia il compito di proporre una moda legata solo alla corte. Per creare nuove mode aveva bisogno di luoghi per la creazione (lavoro e professionalità). Durante l’Ancien Regime il momento creativo (gusto del cortigiano) e la fase di realizzazione (semplice esecuzione dell’artigiano conosciamo la provenienza della manifattura ma non il nome dei sarti prima di fine 700) erano divisi. L’unica fase autonoma era quella della fabbricazione dei tessuti, il quale essendo molto costoso costituiva il segno di lusso dell’abito  la borghesia capovolge questa logica. La suddivisione dei compiti diventò inattuale e cominciarono le prime commissioni: offrire al compratore la possibilità di essere aiutato da un professionista nell’assemblaggio  nascono così le marchandes de modes (nuova figura professionale) donne che 1 sfruttano la situazione per dare spazio alla loro imprenditorialità (anche perché per pudore dovevano essere donne ad aiutare altre donne a vestirsi). Per essere alla moda era fondamentale avere a disposizione una vasta scelta di decorazioni con cui scatenare la fantasia. La trasformazione della professione della moda avvenne su due fronti: quello culturale e quello economico  importanza del sistema del tessile e dell’abbigliamento nello sviluppo di una società moderna. La necessità di apparire doveva assumere nuove forme e le scelte delle modalità dovevano dipendere dal gusto (nuove metro di giudizio estetico) e dall’etica del giusto lusso. La novità sta nell’attenzione che viene dedicata al lavoro  l’Enciclopedia disegnò una mappa delle professioni della moda (un complesso sistema artigianale) con il primato parigino. Gli artigiani vennero riconosciuti per le loro qualità e come professione con una specifica sapienza. Ogni oggetto nascondeva un processo di trasformazione da materia bruta a creazione. Era il sistema della moda parigino quello a cui tutti guardavano Le corporazioni - Il sistema delle Arti e dei Mestieri e i Corps mercantili francesi avevano già subito trasformazioni alla fine del Seicento. Nel 1675 ai sarti venne riconosciuta l’esistenza giuridica della corporazione delle couturières con il diritto di vestire donne e bambini. Dalla fine del XVIII sec la moda interessò solo l’abbigliamento femminile. Nel 1595 era nata la corporazione delle lingères con il diritto di fabbricare e vendere ogni tipo di tela di lino e di canapa sia all’ingrosso e sia al dettaglio. Era una corporazione femminile che si collocava tra la realizzazione e la vendita in modo da intervenire sia sulle modalità e il gusto dei prodotti e sia la scelta della merce da acquistare e mettere in commercio. La corporazione dei merciers commerciava tutti gli oggetti e manufatti di lusso legati a qualsiasi moda. Nel 1776 si uniranno ai drappieri e avranno il monopolio della vendita delle stoffe più ricche e dei complementi necessari a decorare. Le corporazioni svolgevano una funzione fondamentale per la diffusione delle mode  erano gli intermediari fra la corte, a cui fornivano le novità e il resto della società, a cui offrivano quello scelto dai cortigiani. E nel sistema della moda tra i fabbricanti, a cui trasmettevano i gusti del pubblico e i mercanti dell’importazione, che guidavano con i loro acquisti. Le “marchandes de modes” - Secondo la definizione dell’Enyclopédie la loro attività comprendeva la vendita di tutto ciò che riguarda acconciature e ornamenti. Si occupavano di disporle sugli abiti e inventano il modo di farlo. Fanno anche copricapi e li montano come le acconciatrici. Vendono solo articoli di moda (da qui deriva il loro nome). Diventano una vera corporazione con la riforma del 1776, con Rose Bertin come primo sindaco  il loro compito era inventare e la l’invenzione della moda passa della corte a un professionista, prima in stretto contatto con la corte poi se ne allontanò. La moda e i modelli vestimentari Settecenteschi – alla fine del secolo, il modello più diffuso in Francia era la robe à la française: si indossava con il panier ed era composta da una sopravveste, una sottana e una pettorina  la sopravveste era aperta davanti e allacciata in vita aveva dietro due pieghe che ricadeva per tutta la lunghezza dell’abito. L’apertura davanti mostrava la sottana e la pettorina, un accessorio triangolare che copriva il busto di solito ricco di decorazioni. Verso la fine degli anni 60 si diffuse in Francia il modello robe à l’anglaise: prevedeva un corpetto attillato e una gonna montata a piccole pieghe in modo che sia più abbondante sui fianchi e sul dietro; era aperta davanti per far vedere la sottana.  lo scopo era dare ampiezza all’abito senza ricorrere al panier, che fu sostituito dalla tournure. Per avere un risultato ancora più vaporoso la gonna veniva sollevata con nastri lacci o bottoni fino a creare un effetto a festoni rigonfi, questa moda fu chiamata à la polonaise Queste erano le due mode fra cui potevano scegliere le dame. L’ultima moda dell’Ancien Régime fu l’abito di corte con lo strascico, il grand habit  irrigidito da corsetti steccati e paniers monumentali arricchito con decorazioni. L’abito di corte divenne un indumento di rappresentanza, meno legato alla moda La casaquin era una versione accorciata della robe à la française, con pieghe sul dorso da indossare come corpetto con una gonna  destinato a un uso più privato e casalingo (probabilmente lo strascico si rovinava e veniva tagliato dalle sarte). Sarte e merchandes de mode si dividevano il compito di realizzare questi indumenti  gli indumenti avevano due fasi: una di cui si occupavano le sarte, cioè la perfetta costruzione degli elementi base del vestito, e una delle marchandes de modes, che aggiungevano un’infinita quantità di variazioni di decorazioni partendo da un modello immutabile Alla decorazione si univa anche una semplificazione e una ricerca di comodità. Venne fatta una rielaborazione della robe à l’anglaise, la redingote  derivata dal costume da equitazione inglese, quindi più comodo, che introduceva nell’abito femminile alcuni elementi maschili (doppio petto, colletto rivoltato, gilet e bottoni). - le inglesi usavano il riding coat  stile di vita campagnolo - le francesi usavano la redingote  abito da passeggio e da città per la sua possibilità di movimento L’abbigliamento delle classi lavoratrici: completo composto da un corpetto, il caraco, e da una gonna  viene adottato nella vita quotidiana prima dalla borghesia e poi dalle classi più elevate. Tradizionalmente era di lana o misto lana e lino, nelle classi più alte viene usato il cotone o la seta, tessuti più leggeri che davano maggiore movimento. La moda rispondeva non più a necessità o rituali di corte ma alla città e ai luoghi in cui vedere ed essere visti  nuove mode che prendevano ispirazioni dalle opere teatrali, dagli esotismi (turcherie e cineserie) e da eventi politivi (Rivoluzione americana che diffonde lo stile militare). La “chemise à la Reine” – la vera rottura con il passato avviene nel 1783 quando fu esposto al Salon un ritratto di Maria Antonietta, in cui indossa un abito bianco di mussolina dalla foggia semplicissima. Nasce la chemise à la Reine che ha origine dalla robe à la créole. La scelta della regina si ispira alla moda delle ragazze giovani, che cominciavano prolungare il periodo dei vestiti infantili di lino o mussolina con cintura in vita  era una semplice camicia diritta con maniche lunghe e una fascia in vita. Scollatura alla coulisse, ricoperta da un colletto a due fasce e lungo le maniche da arricciature. 2 Nel 1791 “Le journal de la mode et du gout” cominciò a pubblicare anche modelli controrivoluzionari (robes à la Coblez, pouf à la Reine per donne e modello à la Contrerévolution per uomini). Non era sicuro passeggiare per Parigi vestiti così, ma l’ideologia rivoluzionaria permetteva la libertà. La speranza era che la democrazia promessa dalla Rivoluzione fosse estesa anche al lusso Era comunque una società più frivola e quotidiana, rispetto a quella rivoluzionaria che viene solitamente descritta, fatta di donne borghesi che stavano adottando il nuovo modello di vita  mogli dei nuovi ricchi che stavano cominciando a trarre profitto dalle espropriazioni di territori. Nel 1792 il giornale pubblicò il modello à l’égalité composto da cuffia, fichu, corpetto pierrot e gonna di cotone stampato  non era la divisa di una società di uguali ma una delle possibilità proposte dalla moda. Contrariamente a come si pensa la società si era suddivisa, ne sono testimonianza tutte le varietà di modelli pubblicati nelle riviste, mostrando la differenza fra ceti più alti, che richiedeva una moda d’élite che si rinnova con ritmi rapidi, e più bassi. Nonostante l’invito all’uso del panno si usavano lo stesso seta, mussole indiane, scialli inglesi, nastri e piume. III. LA MODA NEOCLASSICA Le mode del Direttorio – con la caduta di Robespierre finì l’ideologia della Rivoluzione. Il Direttorio fa feste e balli (Bals de Victime) per commemorare le vittime, forse era una reazione alla paura  da queste feste nascono abiti e mode specifiche, contrarie da quelle del passato Moda femminile: capelli tagliati à la victime, scialli rossi, un nastro rosso al collo e uno incrociato intorno al busto croisures à la victime, che ricordavano il sangue e la ghigliottina Moda maschile: la jeunesse dorée, composta da giovani borghesi, indossava indumenti ispirati alla moda inglese esagerandone le forme e gli effetti, capelli lunghi, sforbiciati e incipriati come nell’Ancien Régime e il bastone che serviva per gli scontri. La divisa contravveniva all’abbigliamento sanculotto, un modo per dichiarare idee diverse. Questi gruppi in realtà erano marginali rispetto alla società, e i loro segni distintivi erano ancora legati al passato. L’abbigliamento maschile borghese lasciò definitivamente la moda per avere due strade: la divisa militare e l’abito da lavoro, professionale o intellettuale. La tunica femminile – momento di passaggio nella moda femminile, l’abito fu liberato dalla politica. Dopo la caduta di Robespierre le donne iniziarono a indossare abiti diritti di mussolina bianca, che ricordavano la chemise à la Reine e le tuniche classiche. L’abito si ispirava alla pittura di tema storico, greco e romano (Jean Louis David) e al neoclassicismo, dovuto alla scoperta di Pompei ed Ercolano. La riproposta del pensiero classico, grazie alla traduzione di testi greci e la circolazione dei testi latini, uso in architettura del sistema proporzionale di Vitruvio e Palladio e la riapertura del Louvre misero a disposizione di artisti e pubblico una conoscenza diretta dell’arte antica Ciò che maggiormente influenzò la cultura del Settecento fu il teatro, educatore della nuova società  si cercava la verosimiglianza dei personaggi e delle scene, quindi non più abiti fantasiosi ma adatti agli eroi della scena. Pubblicate storie del costume classico per facilitare il compito dei costumisti. Quello che era un semplice movimento di archeologici e linguisti si stava trasformando in gusto  l’arte antica divenne fonte d’ispirazione per le arti applicate. Un grande revival classico messo in atto dalla borghesia La donna si vestiva con un abito bianco che ricordava la tunica ed era avvolta in uno scialle ispirato al mantello delle matrone romane. A causa della mancanza di riviste non si conosce lo sviluppo di questa moda. forse si trattò di uno stile di strada. Nel 1974 le donne si vestivano ancora da divinità greca, con tuniche scollate e senza maniche e con i sandali ai piedi. Diverse ragioni: l’Illuminismo con l’idea di igiene, la tradizione borghese della vita attiva, la Rivoluzione con il gusto della città e degli spazi pubblici, le feste del Direttorio si svolgevano in luoghi d’incontro pubblici alla moda (Palais Royal, giardini Tivoli, ristoranti, cafè Frascati, ecc) L’abito femminile si adeguò a queste situazioni: eliminate le sottostrutture diventa una camicia di cotone leggero con la vita alta, segnata prima da cintura e poi da un taglio e costruzione sartoriale. Ai piedi avevano sandali, poi sostituiti da scarpine con lacci alle caviglie. Prima portavano gli oggetti nelle tasche delle ampie gonne, ora usano una minuscola sacca (chiamata réticule o ridicule per quanto era piccola). Non c’era più differenza fra abito formale e informale, la nuova moda era caratterizzata dalla semplicità e dalla trasparenza  metteva in risalto il corpo femminile. L’uniformità non corrispondeva però a un principio di uguaglianza: nuove distinzioni nel tessuto (lino o mussolina indiana) nella trasparenza (libertà o castigato) e nella realizzazione (sarta o cucito a casa) L’apparente semplicità dell’abito all’antica nascondeva una struttura sartoriale: schiena sagomata per essere stretta, gonna arricchita da fitte pieghe sciolte per dare ampiezza al dietro, un corpetto sosteneva il seno e impediva che l’abito si spostasse e la mise completata da una stola. Nel 1798 i soldati di Bonaparte portano dall’Egitto gli scialli cachemire, tessuti in India con lana proveniente dal Tibet  indumenti costosissimi che divennero subito oggetto di una moda incontenibile, accessorio obbligatorio per mostrare la propria superiorità. Anche i gioielli tornare sulle parti nude del corpo femminile con forme ispirate all’antichità Moda e società – l’ostentazione faceva parte di una società nata dalle ceneri della Rivoluzione, ricca e desiderosa di godere dei privilegi ottenuti  “una borghesia d’affari, pratica, realista e disillusa, vogliosa di recuperare il tempo perso e di godere del presente. In un presente economicamente devastato con inflazione e speculazioni. Sete di eccessi e di piaceri a lungo sospesi. Ritorna il lusso accanto alla miseria, ma questa volta praticato da una società nuova” Viene cancellato il principio di uguaglianza e nel 1975 viene proclamata la costituzione con una repubblica basata sulla proprietà e sul censo. La nuova élite non si accontentava di una moda casta e modesta  le nuove signore, che avevano sostituito la corte 5 nel compito di inventare mode, avevano un modello lussuoso, eccentrico e a volte eccessivo ma coerente con il gusto dell’epoca (imitate dalle Merveilleuses, donne votate alla moda). Dal 1797 ricominciavano a uscire riviste di moda come “Le journal des dames et des modes” durò fino al 1839: rivista destinata alle giovani donne alla moda, dava notizia delle novità, a ogni numero erano allegati figurini, ispirati alle merchandes de modes e alle vetrine dei magazins de nouveautés (ma si occupava anche di temi psicologici, linguistici, storici, biografici, recensioni libri, spettacoli teatrali, emancipazione femminile, poesie, spartiti musicali, aneddoti, pettegolezzi, racconti di viaggi, consigli sulla salute, sull’educazione dei figli, sul mantenimento della casa)  non parlò mai di politica La rivista diventò così importante, tanto da esserne consigliata la lettura da Napoleone, grazie a Pierre de la Mésangère capace di sapere cogliere le novità che si sarebbero affermate Alla fine del secolo Parigi era di nuovo fulcro della moda. IV. LA MODA IMPERIALE La moda come strumento politico – Il Direttorio termina il 9 novembre 1799 con colpo di Stato di Napoleone, il capo che la nazione cercava per costruire uno stato moderno. Viene accolto dal popolo allo stremo: dalla nuova borghesia arricchita e dalla vecchia nobiltà. Erano due società diverse: una legata all’Ancien Régime e l’altra composta da banchieri, ricchi di denaro ma non di cultura. Il progetto di Napoleone è di amalgamare le due parti per dare vita a una nuova classe dirigente  usò la moda e la mondanità come strumenti. I borghesi spendevano per mostrare la propria ricchezza e i nobili non guardavano bene questa ostentazione. Una vita mondana assecondava gli interessi dei ricchi e attirava la nobiltà Il compito fu affidato alla moglie del Primo Console, Joséphine Beauharnais, che organizzava feste e ricevimenti per introdurre un protocollo mondano. Anche la moda fu rivista in relazione alle nuove esigenze. La moda femminile aveva ancora la vita alta, ma non più le trasparenze delle borghesi del Direttorio sdegnate dalla nobiltà  la veste lunga viene portata semicoperta da una tunica più corta e completata di giorno dallo spencer, una giacca corta con maniche lunghe, in tutte le occasioni dallo scialle in cachemire e per i ricevimenti ufficiali la sopravveste a strascico (poi manto di corte). Nella moda maschile si tornano all’habit à la francaise con le culotte corte. La vita mondana a Parigi riprese lentamente: nel 1800 Napoleone reintrodusse il ballo dell’Opera e nel 1801 consentì i travestimenti di carnevale e l’uso della maschera. Il Primo Console costituì intorno a sé una corte, ripristinò la logica del fasto attraverso feste e occasioni mondane e imponendo un consumo sfrenato. Parigi doveva tornare ad essere il modello di gusto per tutta l’Europa, moda e arredamento erano lo strumento adatto per risollevare l’industria tessile (crollo nel 1792 e assedio a Lione 1793)  gli uomini dalla seta passano al panno e le donne al cotone e alla mussolina indiana Napoleone aiuta Lione reintroducendo l’abito di corte di seta e i manti in velluto e tappezza i palazzi con lo stile Impero favorendo di nuovo la produzione di cotone, seta e tulle. Anche gli scialli in cachemire furono una possibilità di ripresa, erano delle imitazioni di quello indiano, inizialmente rifiutate poi si creò un gusto francese (inizio del primato francese nella produzione di cachemire). Produzione anche di merletti e ricami, in oro e argento simboli della nuova iconografia imperiale. Gli abiti femminili invece ricoperti di lievi lavorazioni a plumetis e si arricchirono di bordi, di bande centrali e decorazioni a motivi di fiori e ghirlande, in bianco o paillettes Lo stile Impero stabiliva le regole della moda imperiale, che rimase uguale fino al 1815.  revival neoclassico come modello di base: abito femminile a vita alta a cui furono aggiunte lunghe maniche strette a guanto o con rigonfi; acconciature con capelli corti all’antica e piccoli coturni allacciati a cui si aggiunsero accessori come cappelli e stivaletti. Le nuove mode nascono dalle campagne militari: dall’Egitto turbante e scialli / dalla Polonia, Russia e Prussia pellicce / dall’Italia gusto neoclassico e gioielli all’antica. Anche le conquiste portano nuove mode, come il corsetto che dava un portamento militari, i ricami e le spalline copiati dalle uniformi dei marescialli di Napoleone. I “grand habit” di corte – le reintroduzioni di cerimoniali, rituali e protocolli di corte richiese l’elaborazione di un modello vestimentario adatto agli eventi ufficiali. Gli uomini tornarono all’habit à la française (separazione tra spazio quotidiano e ceriamoniale), per le donne era più complesso perché la moda aveva cancellato il modo di vestire dell’Ancien Regime. La funzione dell’abito di corte era simbolica, per questo l’incoronazione di Napoleone nel 1804 fu curata nei minimi dettagli: scese come simbolo l’aquila (Impero Romano e Carlo Magno) e le api (regno dei Franchi e borghesia del lavoro)  la nobiltà affermava così di discendere da Carlo Magno e dall’Impero Romano. L’incoronazione si svolse a Notre Dame con la presenza del papa, fu allestita da David e i costumi furono disegnati da Isabey  Napoleone indossava una tunica di raso bianco ricamata in oro e bordata di frangia, con un mantello di corte di velluto porpora foderato di ermellino, ricamato in oro da Picot; ai piedi scarpe ricamate in oro; diadema a foglie di alloro, scettro, mano della giustizia e spada L’imperatrice Joséphine aveva un vestito a vita alta di raso bianco broccato d’argento, ricamato in oro e completato con frangia La linea neoclassica era arricchita da particolari revival come il rigonfiamento delle maniche decorato con tralci ricamati in oro e file di diamanti; la leggera cherusque di merletto di seta sulle spalle e un manto di velluto di porpora foderato di ermellino ricamato in oro e si allacciava alle spalle. 6 L’abbigliamento delle dame di corte era modellato su quello dell’imperatrice mentre quello maschile aveva una giacca-tunica lunga al ginocchio, mantello corto, culotte, gilet, cravatta di merletto e un cappello di piumato, ovvero il grand habit L’incoronazione definisce l’immagine di corte imperiale e fissa un modello simbolico e atemporale. In questo modo separa l’abbigliamento di apparato dalla moda (fra vita quotidiana e sacralità del potere). L’abito da cerimonia diventa un’uniforme che rappresenta la tradizione del potere. Diffusioni e professioni della moda – nonostante la separazione la moda imperiale fu affare di corte, inventata e diffusa dalla famiglia imperiale, ma anche dalle mogli dei funzionari e dei marescialli; quando le donne della famiglia Bonaparte divennero regine e principesse (di Napoli, di Lucca di Spagna) diventarono ambasciatrici della moda francese in tutte le loro corti, che si modellavano su quella di Parigi  diffusero in tutta Europa un modo di vivere e pensare, oltre che di vestirsi. Ma il vero mezzo di comunicazione dello stile impero fu ‘Le Journal des dames et des modes’ L’intervento nella moda dei professionisti si riscontrò nella diffusione ma anche nel sistema di produzione  sarti, parrucchieri, rifornitori, ricamatori, profumieri, pellicciai, calzolai, acconciatori e gioiellieri Louis – Hippolyte Leroy fu il più famoso couturier che si occupò di moda dal Direttorio alla Restaurazione; aveva cominciato come impiegato in magasin de nouveautés, per poi crescere di posizione fino al 1804 quando fornì gli abiti disegnati da Isabey per l’incoronazione  divenne il solo fornitore della regina e il punto di riferimento per le dame. Aveva un atelier per la realizzazione di abiti, un altro per accessori e un negozio per la vendita tessuti. Vendeva tutto ciò che riguardava la moda ma era specializzato in scialli di cachemire, che la regina amava molto. Non era un progettista ma un perfetto esecutore di disegni che gli fornivano gli artisti “Le journal des dames et des modes” gli fece sempre tanta pubblicità pubblicando le sue realizzazioni. Divenne la guida assoluta del buon gusto femminile; la sua influenza nella moda non finì neanche quando Napoleone divorziò e vestì anche la moglie seguente, Maria Luisa D’Austria, non incline alle frivolezze. “la moda francese ebbe il suo David nel couturier Leroy”  il primo aveva inventato un modello astratto, una bellezza assoluta e atemporale che rispecchiava gli ideali etici e politici della nuova società e il secondo tradusse tutto ciò in una moda. Percier e Fontaine portarono lo stile impero nell’arredamento Leroy non era l’unico fornitore della famiglia imperiale: Cop il più famoso calzolaio di Parigi, il merciaio Levacher, il gioieliere Biennas, ecc La moda imperiale era però limitata alle corti, fuori cresceva lo spirito borghese contrario ai fasti. Le donne borghese guardavano al risparmio, alla semplicità, alla famiglia e alla rispettabilità. Alla fine dell’impero la morale borghese prese il sopravvento  la crisi portò all’abbandono del lusso e si assistette al ritorno della monarchia borbonica V. L’AFFERMAZIONE DELLA MODA BORGHESE La nuova cultura del lusso – il ritorno della vecchia monarchia non fermò l’ascesa borghese. Con la Restaurazione non tornò l’Ancien Regime, ma si affermarono nuove regole sociali ed economiche  eliminate le gerarchie ereditarie e ridistribuita la ricchezza, l’identità sociale nasceva dalla nuova legittimità dell’uguaglianza dei cittadini sancita dalla legge; ma questo principio non eliminava le differenze, sostituiva quelle antiche basate sul diritto di nascita con quelle moderne basate sul denaro. Politica e morale era connesse alla cultura della produzione e alle leggi di mercato  la ricchezza non era più uno strumento di consumo, ma qualcosa da reinvestire e accrescere continuamente (secondo la logica borghese di risparmio, controllo, ragionevolezza e sobrietà) La vita parigina aveva perso tutti gli eccessi del passato. La città offriva attività di piacere e divertimento con luoghi comuni aperti a tutti come giardini, caffè, teatri, balli, concerti e opere liriche. Lo spreco era diventato una colpa  la borghesia non si riconosceva nel lusso ostentato e nello sperpero, in quanto non sprecavano il denaro faticosamente guadagnato. Il lusso borghese prende la strada dell’eleganza e del comfort di matrice inglese. Il “comfort” – una nuova cultura materiale finalizzata alla comodità, all’igiene del corpo e della casa e al benessere: lussi privati, fatti per una quotidianità normale e virtuosa  erano “lussi” funzionali, prodotto di una società più tecnologica e della Rivoluzione Industriale. Acqua corrente, elettricità e gas entrano nelle case dei borghesi per renderle più comode e confortevoli.  non era un vero e proprio lusso, ma tutto ciò che faceva parte del comfort diventava utile, abitudine e benessere quotidiano. Beni e servizi che rientravano nella logica di sviluppo economico del sistema capitalistico e quindi capaci di produrre ricchezza. Il mito dell’eleganza – il mito dell’eleganza sia nel modo di vestire che nel modo di essere, una “superiorità morale”  un pregio dato da istruzione, purità del linguaggio, grazia dei modi, maniera elegante di portare abiti e acconciature e ricercatezza della casa Un uomo che dedica la propria intelligenza alla realizzazione estetica della vita elegante e principi della borghesia, fatta da individui nati uguali ma che passano il resto della vita a cercare di differenziarsi dagli altri La modalità per acquisire la “superiorità morale” si traduce in eleganza  abitudine, educazione, apprendimento, istinto, gusto innato e intelligenza erano le qualità che facevano la differenza Le qualità non erano facilmente raggiungibili dalla borghesia, il rischio era quello di circondarsi di oggetti costosissimi e imitare l’Ancien Régime, un modello che non le apparteneva perché in fondo la logica borghese era dedita a risparmio, non amava l’ostentazione dello spreco e far vedere la propria ricchezza, detestava la vanità ma amava la semplicità, la sobrietà, la proprietà, la ragionevolezza e la naturalezza  l’obiettivo era raggiungere ‘un vero lusso da veri ricchi’. Tutto si tradusse anche nel modo di vestire 7 conseiller des dames’ pubblicavano tavole dedicate a novità di Delisle o Maison Gagelin / associazioni di proprietari di magazzini e editori: come Maison Gagelin con ‘Le Moniteur de la mode’ o Louvre con ‘La mode illustrée’) Lo sviluppo delle riviste è legato alla moda borghese  la diminuzione dei costi degli abbonamenti aveva allargato il pubblico delle riviste alla media borghese e al crescente interesse per la moda (‘Le petite courrier des dames’ ‘Le bon ton’ ‘Le moniteur de la mode’) Le riviste di moda erano dedicate alle donne (si occupavano anche di problemi quotidiani, educazione, buone maniere e consigli, oltre che racconti e novelle per divertimento e ‘buone letture’  tra i redattori anche grandi letterati come Balzac e Mallarmé). e ai professionisti dei diversi settori (approccio tecnico) Immagini e iconografie della moda – L’elemento che contraddistingueva le riviste di moda erano i figurini, fatti da illustratori che arrivavano dall’ambiente artistico, come Gavarni o Jules David. Nel settore lavoravano anche molte donne, spesso provenienti da famiglie che già operavano nel campo della pittura, come le sorelle Colin, Heloise Leloir, Anais Toudouze e Laure Noel  l’iconografia più diffusa nella moda era la figura umana caratterizzata secondo ideale di bellezza in voga: la modella era usata per trasmettere i codici di bellezza e mostrare l’abito. Lo scopo era la visibilità del vestito, sartoriale o casalingo, ma in entrambi il figurino serviva come guida per la scelta dei materiali e dei colori, per il taglio e l’effetto finale. In seguito i figurini furono ambientati in un contesto adeguato, così da fornire indicazioni sul modo e l’occasione in cui indossare l’abito  iconografia del ‘realismo idealizzato’: mostravano un realismo fiabesco, dai colori tenui, fatto di donne per bene in una società ordinata lontano dalle contraddizioni della realtà. Difficilmente comparivano personaggi malvisti come dandy o cortigiani, in realtà i veri consumatori di moda. La capacità di scegliere – I grandi magazzini avevano l’utopia di attirare tutto il mondo ad ammirare il grande spettacolo delle merci, senza distinzioni di razza classi e ceti sociali. Ma le esigenze di vita e di gusto delle diverse classi presero il sopravvento  i magazzini cominciarono a specializzarsi e selezionare la propria offerta secondo il tipo di clientela. (es Bon Marché, Printemps e Samaritaine carattere provinciale e alla portata di persone di ceto medio mentre il Louvre per la moda per i ceti più ricchi) Accanto ai magazzini continuavano ad operare le maison di mode più esclusive e le sartorie del lusso per la nobiltà e l’alta borghesia (La Maison Gagelin, Maison Sainte-Anne e Compagnie Lyonnaise) che esponevano i loro prodotti alle esposizioni e vincevano premi. Ma allo stesso tempo si erano adeguate ai tempi adottando il moderno stile di esposizione e vendita dei grandi magazzini.  il sistema della moda era in grado di rispondere alle esigenze dell’intero mercato borghese. Tutti potevano accedere alle merci esposte, guardare, scegliere e acquistare ciò che volevano, rispetto alla propria capacità di spesa. Le merci erano le più diverse, prodotte in serie, acquistate in grandi quantità e vendute in modo non selettivo secondo i desideri e le esigenze delle varie persone  le preferenze mostravano il tipo di gusto che possedeva e il gruppo sociale di cui faceva parte. Nell’abbigliamento femminile questa cultura diventò importante: l’abilità della signora stava nel combinare le parti di un insieme vendute separatamente che dovevano avere significati precisi e adeguati al proprio stato sociale e alla personalità. (ambiguità della borghesia: non amava le differenze e aveva paura dell’eccentricità, l’individualismo, ma temeva l’eccessiva omologazione, l’uniformità; quindi cerca dei segni di distinzione) La signora si procurava gli strumenti per costruire il proprio aspetto pubblico: sceglieva fra i prodotti dei magazzini, leggeva le riviste di moda, guardava le donne eleganti dell’aristocrazia, ma tutto ciò non dava garanzia: aveva bisogno di aiuto  nasce la figura di un professionista interno al magazzino (come un commesso) che cercava di interpretare le esigenze delle signore e faceva una prima selezione tra le merci. Fece il suo ingresso nel mondo della moda Charles Frederick Worth VI. CHARLES FREDERICK WORTH (1825 – 1895) Nato in Inghilterra nel 1825 da una famiglia borghese, apprendistato in due famose ditte di tessuti londinesi. Nel 1845 si trasferì a Parigi dove lavorò prima come commesso a La Ville de Paris, poi venne assunto come assistente alle vendite da Gagelin. Fu incaricato di occuparsi del settore scialli e mantelli, dove introdusse una novità: per presentare i capi faceva sfilare una commessa, Marie Augustine Vernet (poi sua moglie) in modo da far risaltare meglio gli scialli proposti.  per farlo realizzò dei semplici abiti con la crinolina, notati dalle clienti e richiesti (le signore dell’alta società cominciavano ad essere attratte da abiti già pronti purché fossero lussuosi e alla moda). Nei magazzini nacquero le ‘nouveautés confectionnées’. La Maison Gagelin fu la sola ditta a presentare capi già pronti nelle Esposizioni Universali di Londra 1851 e di Parigi 1855, vincendo anche qualche premio. Dal 1853 Worth era entrato in società con il nuovo proprietario Opigez – Gagelin e un altro socio Ernest Walles; ma nel 1858 sodalizio si sciolse. Worth e Bobergh crearono una loro impresa in Rue de la Paix 7, una zona non centrale nella frequentazione delle signore, ma rivalutata poi grazie alla creazione dell’Opéra nel vecchio teatro vicino  vendevano stoffe, proponevano abiti esclusivi progettati da Worth, anche con varianti di colori e tessuti, confezionati su misura Nasce l’haute couture, l’ideazione e la scelta dell’abito non sono più affidate al cliente ma ad un professionista. La scelta avveniva tra le sue proposte La società del Secondo Impero – il mondo che si rivolgeva a Worth era quello del Secondo Impero, una società che ruotava intorno alla nuova corte e ai gusti dell’imperatrice Eugenia. La corte governava dei borghesi famelici che facevano fruttare i propri capitali anche grazie alla speculazione sui territori liberati dal piano urbanistico di Haussmann.  era una società ricca, amorale e opulenta che dava al denaro un’immagine capace di mostrare i propri trionfi e l’adozione di un modello politico conservatore. 10 Con il colpo di Stato del 1851 socialista e Repubblica diventano imperatore e monarchia, a capo di una borghesia affamata di ricchezza e di lusso, che aveva bisogno di nascondere la propria ambizione e il proprio passato (vengono riesumate vecchie etichette di corte e titoli di nobiltà pagati con il denaro). La moda si adegua al gusto per l’ostentazione della ricchezza  aumentano i metraggi di tessuto per indicare più soldi, crinolina assume proporzioni esagerate e la quantità di tessuti usato per fare un abito raddoppia. La moda di Worth – Worth si inserì in questa moda senza cambiarne la foggia, ma proponendo vestiti più semplici. Con la sua esperienza in campo tessile e la conoscenza della sartoria inglese proponeva abiti semplici con tessuto e forma correlati in cui il taglio creava una struttura perfetta su cui applicare ogni tipo di decorazione. La sua fama inziale derivò da un modello da sera: gonna con tessuto pesante coperto da un tulle di seta, era lussuoso per il raddoppiamento della stoffa necessaria. Era però necessario conquistare l’imperatrice e le sue dame per poter davvero modificare la moda. Nel 1860 Pauline Von Metternich, moglie dell’ambasciatore austriaco, comprò due modelli di Worth, uno completo da giorno e un abito da sera in tulle di seta bianco e argento, con cui si presentò a corte; li furono notati dall’imperatrice che cominciò a frequentare la Maison e decretò il suo successo e ingresso nell’alta società. Nel 1870 l’azienda si ingrandì su più piani ed ebbe più lavoratori. Raggiunta la fama, Worth cominciò ad apportare modifiche alla foggia dell’abito femminile (era necessario che le dame e l’imperatrice adottassero un modello per farlo diventare moda)  usando come modella la moglie, presentò un coprispalle in merletto di dimensioni ridotte al posto dei lunghi scialli e un cappello che lasciava vedere l’acconciatura, eliminando il bavolet. Ma si trattava ancora di particolari Presto sia le corti europee e sia la borghesia americana ordinavano sui modelli per ogni occasione, documentati dalle riviste. Nel 1864 diventò fornitore ufficiale degli abiti da sera e di rappresentanza dell’imperatrice, in questo modo poteva davvero creare modelli innovativi  il primo fu per Eugenia che amava passeggiare ma la lunghezza e l’ingombro della gonna davano fastidio: crea un abito con l’orlo che si fermava alla caviglia composto da una sottoveste corta e una sopravveste drappeggiata (innovazioni di tipo funzionale) La seconda proposta ebbe un peso nello sviluppo della moda: interviene sulla forma della crinolina riducendola drasticamente sul davanti e spostando l’ampiezza sul dietro, creando un breve strascico. La diminuzione di tessuto fu compensata con adozione di elemento decorativo  una sopragonna lunga fino al ginocchio, chiamata tunica Nel 1869 la crinolina si ridusse ulteriormente trasformandosi in un sellino di crine grigio, la tournure, che sosteneva solo la parte alta del dietro della gonna creando un effetto di ricaduta verso il basso  il risultato modificò la silhouette femminile: il davanti dell’abito aderiva al corpo e il dietro sosteneva forme decorative sempre più complesse. Dal Secondo Impero alla Terza Repubblica – La proposta di Worth diventa vincente negli anni 70, quando il panorama politico francese mutò. La vecchia classe dirigente viene spazzata via dalla guerra franco – prussiana e Parigi ebbe l’esperienza della Comune. Per breve tempo Worth chiuse la Maison; quando fu riaperta la borghesia non era cambiata ma semplicemente chiedeva nuove forme di lusso per ostentare la propria ricchezza, imitando il passato che diventò sempre più di moda. La posizione di Worth era quello di arbitro unico del gusto e della moda la riduzione del diametro delle gonne in favore di drappeggi e decorazioni rappresentava il passaggio dal Secondo Impero alla Terza Repubblica. L’eccesso di tessuto nelle decorazioni trovò una valenza patriottica (risollevava l’industria tessile). L’abito doveva mutare foggia per seguire l’evoluzione sociale e continuare a richiedere molto tessuto quindi ridusse il busto con un effetto di vita alta, definito Joséphine, a favore della gonna e delle sue decorazioni; la tunica si avvolge con effetti di drappeggio intorno ai fianchi e fu decorata con applicazioni di fiori balze frange e nastri. Worth propose anche un nuovo modello, detto Princess, realizzato in un solo pezzo  elimina la divisione tra gonna e corpetto quindi è necessario strutturare l’abito in modo da seguire le forme del corpo nella parte alta e allagare la gonna verso l’orlo (all’inizio si limitò agli abiti da casa usato per ricevere ospiti). Dalla struttura della princess deriva una nuova moda, intorno al 1874, quella della corazza, un busto/corpetto steccato e modellato che arrivava ai fianchi e si allungava davanti e dietro  modificò anche la forma della sopragonna che fu aperta al centro per riprendere i due lembi dietro e formare uno strascico. Sul davanti o completa visibilità della sottogonna oppure un grembiule drappeggiato. Lentamente anche la tournure fu eliminata. La silhouette era cambiata: dalla forma rigonfia a una struttura longilinea dall’aspetto corazzato, forse uno dei primi elementi di mascolinità introdotti da Worth  la figura femminile perdeva il tratto fragile ma stava emergendo la figura delle femme fatale, l’immagine di una donna forte e terribile che vuole distruggere la popolazione maschile (primi movimenti femministi) Worth contribuiva a creare l’immagine della donna corazzata, ma era ambigua in quanto prigioniera del suo strumento di guerra e seduzione, l’abito. Worth interpretò perfettamente la cultura dell’epoca e la tradusse in abiti  conosceva le necessità, i modelli di comportamento, le regole da rispettare, i desideri da assecondare e sapeva che i suoi clienti non amavano né rivoluzioni né eccentricità. La sua regola professionale era essere sempre adeguato allo stile di vita della borghesia internazionale, infatti i suoi abiti rispondevano alla necessità di ostentare la ricchezza. I suoi modelli erano ricchi  realizzati con stoffe lussuose, sfarzosamente decorati con ricami e applicazioni. Ed erano vistosi  i disegni erano grandi ed evidenti, i ricami occupavano enormi porzioni, le applicazioni sovrabbondanti e gli accessori fantasiosi 11 In una società in cui tutto iniziava ad essere riprodotto o riproducibile, i suoi modelli erano unici e Worth applicava un prezzo alto come garanzia di un prodotto di altissima qualità sartoriale ed estetica, che solo una clientela elitaria poteva permettersi  l’autenticità era assicurata dall’etichetta cucita all’interno che aveva lo stesso valore della firma in un’opera d’arte In realtà aveva un modello/prototipo che veniva sviluppato in più varianti per clienti diversi. Non si faceva tanta pubblicità, fino agli anni 70 le riproduzioni dei suoi abiti erano inesistenti sulle riviste ma c’erano molti scritti su di lui che contribuirono ad avvalorare la sua leggenda e a mantenere l’attenzione intorno a lui. I suoi abiti ostentavano una forma illusoria del corpo femminile, ottenuta con busti e tournures  quello che si doveva mostrare era la propria immagine sociale. Il trionfo del revival – Dagli anni 80 Worth concentra la sua creatività sul gusto storicista, ripercorrendo i modi di vestire e gli stili di tutte le epoche. Le fonti d’ispirazione erano i quadri celebri conservati nei musei. I tessuti, i particolari sartoriali e le decorazioni si arricchivano di richiami dal passato  dal 500 e dal 600 furono ripresi i colletti a lattuga o le ampie maniche, nuove soluzioni per mantelli, stole e cappe da sera derivati da fogge maschili / dal 700 prese ispirazione da engageants, fichu, nastri da collo, rendigote e marsine che vengono trasformate in giacche femminili / dalla corte di Luigi XIV la sopragonna aperta sul davanti e drappeggiata sul dietro, dotata di due tipi di corpetti, uno da sera scollato e senza maniche, con applicazioni di fiori e merletti e uno da giorno con lunghe maniche e collo montante La ricchezza delle decorazioni fece sparire la linea verticale e tornò di moda la tournure sotto le gonne, non era però il rigonfiamento di crine arricciato ma una piccola gabbia metallica squadrata che sosteneva un ampliamento posteriore della gonna Gli anni Novanta – Negli anni 90 ci furono una serie di cambiamenti nella maison: il figlio Jean- Philippe, che lavorava già nell’atelier, assunse la maggior parte dei compiti creativi e vi furono nuove trasformazioni di foggia e decorazioni  dal giapponesismo (influenze in tutta la cultura artistica) adottò decori, tessuti o ricamati come il lampasso a tulipano o il ricamo con sole fra le nuvole (poi tessuti a petali o fiori di crisantemo, ricami a motivi floreali) e fu influenzato anche dal nuovo gusto Art Nouveau Abbandonata ancora la tournure, l’abito seguiva l’andamento verticale del corpo femminile la gonna fu alleggerita di tutte le decorazioni che la tagliavano orizzontalmente e prese una forma a campana (una soluzione più funzionale e moderna). Il pubblico femminile però non era ancora pronto a tanto rigore, quindi l’innovazione fu attribuita a un significato storico. Pur conservando il busto steccato e i riferimenti di tipo storico, l’abito si alleggerì. La gonna a campana a volte veniva accompagnata con corpetti aderenti, ma più spesso in abiti princess che metteva in risalto la semplicità della nuova linea. Le clienti di Worth erano signore che volevano essere alla moda senza troppe rivoluzioni, quindi l’introduzione di una semplificazione strutturale non impedì la proposta di nuovi revival come l’irrigidita linea Impero, gli scolli quadrati ispirati ai quadri di Holbein e la giacca Louis Quatorze. La semplicità di questa moda anni 90 si ispirava dallo stile anni 30 dell’Ottocento  Worth ‘inventò’ le maniche à gigot, con il compito di controbilanciavano la linearità del modello con un elemento molto decorativo. Nella sua maison però fu gonfiata la spalla dandole una forma arrotondata per non essere troppo eccessiva. Worth morì nel 1895 e lasciò la Maison al figlio e poi a suo nipote Jean-Charles; per diversi anni la maison continuò ad essere un punto di riferimento privilegiato dell’alta società, poi altri assunsero il compito di cambiare le mode. Negli anni 20 del Novecento il ruolo della maison divenne quello di una semplice sartoria fino a quando negli anni 50 fu venduta alla Maison Paquin. Il ruolo del “couturier” – Dal 1870 Worth diresse da solo la sua Maison, poi coinvolse i figli nell’attività, in modo da garantirle continuità e futuro. Jean-Philippe svolse compiti creativi e Gaston Lucien amministrativi. Worth continuò comunque ad esercitare un controllo diretto sulla produzione; le clienti cercavano nel suo carisma garanzia e risposte alle loro richieste  per arrivare a tale successo Worth non costruì solo abiti perfetti, ma anche il personaggio del couturier. Questo nuovo ruolo aveva bisogno di essere riconosciuto e riconoscibile, Worth scelse di comunicarlo attraverso la figura dell’artista del passato, eccentrico e atteggiandosi come ‘tiranno’ delle sue clienti. I suoi ‘travestimenti’ non erano a caso, ma contribuivano a rafforzare l’idea di originalità del prodotto e di proprietà intellettuale del creatore. Fino a quel momento le mode nascevano per diffondersi ed essere copiate, con l’affermarsi di una figura professionale incaricata di produrre creazioni esclusive, era autentico solo l’abito prodotto all’interno della Maison e corredato di etichetta.  il couturier non era più un semplice artigiano, ma rivendicava un ruolo da lavoratore intellettuale e artistico, che aggiungeva alla propria sapienza del mestiere la propria creatività. Infatti Worth non si lasciò mai andare alla pratica del vendere sue stoffe con modellini da cucire in casa, perché le sue creazioni dovevano essere autentiche e uniche Consapevole della rassicurazione che le donne chiedevano, convinse le sue clienti a seguire rigidi rituali di ammissione (la Maison non era aperta a tutti e si doveva essere presentati da un cliente per accedervi): si doveva compiere un percorso obbligatorio attraverso la galleria, in cui si potevano ammirare le meravigliose creazioni della Maison e rendersi conto della propria inadeguatezza avvicinandosi a lui con un certo distacco; poi s’cera una lunga attesa nel salone Worth si era reso conto che la semplice clientela borghese non bastava per garantirgli successo, servivano le dame e l’imperatrice  la sua trama di clienti apparteneva a diversi gruppi sociali, che andavano trattati secondo certe regole e che avevano un peso diverso nell’immaginario della moda. Aristocrazia e alta borghesia erano i modelli di riferimento di gusto a cui 12 Ma il progetto rivoluzionario si scontrò con la realtà: arretratezza del sistema produttivo sovietico che non consentiva una produzione di massa e mancavano i canali per la diffusione. Gran parte dei progetti rimase irrealizzata o erano semplici prototipi da esporre a mostre nazionali o alle esposizioni universali  molte idee trovarono la strada della moda attraverso la produzione delle maison parigine e l’attenzione dell’Europa verso la Russia aumentò Gli artisti e la moda parigina degli anni Venti – La Prima Guerra Mondiale portò una rivoluzione nell’abbigliamento femminile: gonne più corte taglio semplificato e linea più dritta La diffusione dell’Art Déco portò a una nuova concezione delle decorazioni dell’abito, sia come disegno tessile sia come applicazione a ricamo. Molte case di moda cercarono la collaborazione con artisti, in particolare molti russi stabiliti a Parigi, come Natalia Goncarova, Sonia Delaunay e Gabrielle Chanel. Thayaht, la tuta e Madeleine Vionnet –Ernesto Michahelles, in arte Thayaht, aveva una creatività poliedrica e una mentalità aperta e curiosa grazie alla sua famiglia colta e cosmopolita e alle sue origini. Nel 1920 propose la tuta, un indumento intero composto da camicia e pantaloni, abbonati sul davanti e trattenuti da una cintura  progettata secondo uno schema geometrico semplice e rigoroso, non era una vera e propria invenzione ma una sostituzione con il guardaroba maschile: adatto ad ogni occasione e stagione; propose sia la versione maschile, che fu presto abbandonata, che quella femminile composta da una sorta di camicia da uomo allungata, con abbottonatura davanti e le maniche corte, da indossare con la cintura stretta in vita, che invece ebbe successo perché coerente con il modo di vestire adottato dalle donne dopo la guerra. Nel 1919 cominciò a collaborare con Madeleine Vionnet che ebbe l’esclusiva sulle sue creazioni di couture. La sua Maison era organizzata come un’industria in cui Madeleine aveva il ruolo primario per la progettazione sartoriale dei modelli, i tanti collaboratori invece proponevano idee, inventavano motivi decorativi, progettavano accessori e facevano i disegni per le riviste Dal 1922 i due cominciarono a lavorare sulla tuta femminile, il cui modello fu brevettato e proposto dalla Maison  il momento storico era perfetto: la donna chiedeva abiti comodi per muoversi, ballare, guidare l’automobile, fare sport e il compito dell’haute couture era creare un nuovo linguaggio di eleganza ed esclusività La tuta fu prima pensata come robe d’aviation per le donne che volavano, poi come abito da tennis e infine fu presentata nella sfilata del 1922 in forma di abiti interi, di completi con giacca e di tailleur con i raffinati e costosi tessuti esclusivi della Maison. La tuta entrò quindi nel sistema di moda parigino Sonia Delaunay – Artista russa trasferitasi prima in Germania e poi Parigi, nel 1910 sposò Robert Delaunay con cui si dedica al cubismo, all’arte astratta e alla ricerca dei colori simultanei (dallo studio del chimico Chevreul). L’incontro con il mondo tessile inizialmente privato dal carattere eccentrico e provocatorio: una robe simultanée dai colori violenti che indossò nel 1913 Poi a Madrid aprì Casa Sonia dove disegnava fabbricava e vendeva tessuti, vestiti, tele simultanee, ricami, tappezzerie e accessori di moda. Nel 1922 tornò a Parigi cominciò a realizzare abiti simultanei e robe-poèmes (abiti con decorazioni di testi e poesie); nel 1923 un produttore di sete lionese le commissionò 50 disegni; nel 1924 aprì l’Atelier Simultané (diviso per settori e funzioni: disegno affidato a Sonia e una parte di questi è venduta all’America, il settore principale è i tessuti di abbigliamento in cui Sonia compra tessuti bianchi che poi fa stampare da faconniers con attrezzi di sua proprietà, la clientela sono le maison de couture parigine, collaborazione con industriali di lanerie e seterie, settore couture con 8/10 lavoranti che eseguono i modelli disegnati da Sonia); nel 1925 partecipò all’Exposition International des Arts Décoratifs con una boutique in cui espose tessuti abiti e accessori simultanei. Nel 1927 alla Conferenza sull’influenza della pittura sulla moda, Sonia espose il proprio metodo e l’importanza che la teoria sulla percezione dei colori aveva avuto sui di lei.  il tessuto era la sua vera forma espressiva e la sua tela su cui faceva le sue ricerche sui colori; una tinta che sembra uniforme in realtà è formata dall’insieme di una miriade di tinte diverse, percepibili solo dall’occhio che sa vedere. La forma diritta e semplificata dell’abito femminile anni 20 era perfetto per i suoi lavori in quanto non tagliava i disegni e consentiva ai colori di creare effetti dinamici sul corpo in movimento.  le novità e la sua ricerca sulla decorazione tessile furono significative perchè modificarono in modo sostanziale i disegni e i colori di indumenti e oggetti di arredo attraverso la stampa ma anche il ricamo. VIII. PAUL POIRET (1879 – 1944) Gli esordi – Agli inizi del Novecento l’haute couture rappresentava il modello di punta della moda parigina, con molte case di sartoria che offrivano modelli esclusivi e di altissima qualità. All’Esposizione Universale di Parigi del 1900 esposero circa più di 30 maison, meno e più conosciute. Paul Poiret era figlio di commerciante di tessuti con un’innata propensione per il disegno. Finita la scuola il padre gli trovò un lavoro da un amico che vendeva ombrelli. (lavoro noioso e pesante, da cui Poiret fuggiva progettando abiti per bambole). Cercava di arrotondare i guadagni vendendo figurini e idee di moda alle sartorie, fra cui Madame Chéruit che dirigeva la Maison Raudnitz che li comprò e lo incoraggiò ad andare avanti. Iniziò a girare le case di moda parigine vendendo figurini e nel 1898 Doucet gli propose di lavorare in esclusiva per lui. Qui imparò il mestiere del couturier di lusso e l’arte del dettaglio (un abito può diventare perfetto attraverso il ‘tocco finale’). Presto fu incaricato di dirigere la sezione di taglio e Doucer lasciò spazio alla sua creatività e ai suoi esperimenti in qualche abito (mantellina rossa abbottonata sulla schiena). Gli affidò anche la realizzazione di costumi di scena per attrici della Maison. Nel 1901, dopo il servizio militare, trovò lavoro da Worth (erano gli anni di crisi dopo la morte di Charles Frederick quando le clienti erano invecchiate e costringevano la Maison a uno stile non più alla moda)  a Poiret fu affidato l’incarico di rinnovare l’immagine della Maison con creazioni ‘giovani’ e adatte signore del nuovo secolo. Fece un tailleur dalla linea semplice e un mantello a kimono di panno nero, ma la clientela di Worth era affezionata alle vecchie mode. 15 Maison Poiret – Nel 1903 Poiret aprì il suo primo atelier al 5 di Rue Auber: due piccoli saloni e una vetrina sulla strada. Non avendo una propria fama aveva bisogno di attirare clientela usò la vetrina per creare esposizioni spettacolari, che presto diventarono una meta da visitare nelle passeggiate parigine. La sua moda era all’insegna della semplificazione e dell’innovazione delle linee: proponeva sia capi che seguivano le fogge di moda sia le linee morbide già sperimentate precedentemente da Worth. Nel 1905 realizzò un mantello-kimono pubblicato sulle riviste con il nome ‘Révérend’ o da lui chiamato ‘Confucius’, che mostrava un’influenza orientale sia nella decorazione che nella confezione del mantello. Il modello si inseriva nel giapponismo che in quegli anni aveva invaso Parigi  Sada Yacco aveva aperto l’Atelier Au Mikado e c’era stata invenzione delle maniche a kimono per i vestiti occidentali. Il kimono era di solito usato come vestaglia da camera oppure era un particolare da aggiungere a un modello sartoriale, Poiret fece una trasformazione radicale  lo presentò come un capo occidentalizzato e usato come soprabito. Rompeva definitivamente con la silhouette femminile di moda, modellata da busto e corpetti Nel 1905 sposò Denise Boulet che diventò la sua musa ispiratrice e una delle donne più eleganti ed estrose di Parigi. Nel 1906 grazie al successo dell’atelier lo trasferì al 37 di Rue Pasquier, dove fu allargato e fece una riorganizzazione del lavoro in reparti specializzati, seguiti da una equipe.  la sua prima vera sfida: eliminò, in nome della libertà, il busto che costringeva il corpo femminile ad assumere la linea a S delle donne e lo sostituì con una cintura rigida e steccata alla quale era cucita la gonna. Il primo abito senza corsetto fu chiamato ‘Lola Montes’ e fu indossato dalla moglie per il battesimo della figlia. Da questa deriva la conseguente eliminazione di quasi tutta la biancheria sotto le gonne  i nuovi abiti, morbidi e leggeri, lasciavano spazio solo alla camicia ed eliminavano il peso che le donne era abituate a portare L’ispirazione neoclassica – Poiret comincia a lavorare sulla nuova linea e sull’idea di una donna innovativa. L’ispirazione era la moda neoclassica degli anni del Direttorio, ma non come un semplice revival: si concentrò sulla struttura di quel modello cercando di coglierne gli elementi fondamentali, per poi progettare un abito completamente nuovo  il risultato iniziale fu un modello diritto a vita alta in cui la tradizione settecentesca fu unita a fonti orientali ed etniche. Usò materiali innovativi, con stoffe e colori della cultura extraeuropea e della pittura fauves, dai colori molto accesi (da giallo arancione rosso blu verde viola a toni pastello) Il modello chiamato ‘Joséphin’ era un abito di ispirazione Impero, ma con la sopravveste di rete nera ricamata in oro e la rosa appuntata sotto il seno toglieva rigore. Propose anche altri abiti come la tunica ‘Cairo’, il modello ‘Eugénie’ e il mantello ‘Ispahan’. Dopo la trasformazione, doveva trovare un mezzo adatto per comunicarla (la stampa di moda in bianco e nero e stile uniforme non andava bene)  decise di agire da solo: trovò l’artista Paul Iribe con cui ebbe l’idea di realizzare una pubblicazione, destinata all’élite della buona società, di un volume con suoi disegni dei suoi abiti. Nel 1908 uscì “Les robes de Paul Poiret racontées par Paul Iribe”, un album con 10 tavole a colori, fatto stampare 250 volte  metteva a confronto la novità dei modelli con la sua ispirazione secondo un linguaggio grafico. I disegni rappresentavano figure femminili collocate in ambienti in stile Impero. La novità non era solo l’ordine stilistico ma anche le figure femminili rappresentate, dai colori piatti e uniformi, erano diverse (alte sottili senza forme evidenti e capelli corti). L’album fu inviato a tutte le sue clienti e a quelle che avrebbero potuto diventarle e fu messo in vendita come cartella di stampe d’arte per collezionisti. Poiret dichiarava così la sua attenzione per il mondo delle arti figurative. L’immagine “Poiret” – Coerenza formale: incaricò Iribe di progettare il marchio della Maison a forma di rosa e usò i particolari delle tavole dell’album per realizzare una comunicazione dell’azienda attraverso carta intestata, biglietti d’invito e fatture. Nel 1909 la sede fu trasferita in un hotel particulier del XVIII sec con un parco intorno. L’interno venne ristrutturato e arredato in stile Direttorio con elementi orientali, in maniera da diventare la cornice adeguata dei modelli che presentava alle clienti. Usava l’interno dell’atelier come palcoscenico, ma non solo, Poiret si servì anche del parco come sfondo alle sfilate e luogo delle sue feste. L’orientalismo – Tra 1909 e 1910 inizia a Parigi la stagione dei Ballets Russes che fece della città il centro delle ricerche nella danza e musica (mondo ignoto con fascino irresistibile, storie di favole esotiche, scene dal folklore orientale). Ciò che colpì gli spettatori occidentali fu la rivoluzione nei balletti: la danza classica era vestita in tutù e calzamaglia con scene semplici, qui avevano costumi mirabolanti e scene elaborate e colorate. Tutti notarono una somiglianza tra i costumi dei balletti e i modelli di Poiret (accusato di aver copiato Baskt, ma sicuramente ne fu influenzato)  da quel momento scomparvero dai modelli i richiami con il Direttorio a favore di richiami dalle culture etniche, orientali e arabe. Il passaggio fu rappresentato dalla jupe-entrée, una gonna lunga e diritta che veniva serrata con una cintura sotto le ginocchia, impedendo alla donna di muoversi bene ma solo di fare piccolissimi movimenti  sembrava la negazione di ciò che aveva realizzato prima del 1910 liberando il corpo femminile (forse era solo un esperimento) Poiret non pensava alla donna come una suffragetta o un’intellettuale dipendente: era una signora che non doveva avere rapporti concreti con la vita reale  lui la libera nel corpo ma non nel ruolo: non più madre e moglie ma una femme fatale erotica, trasformata in oggetto di desiderio e di lusso. L’immagine della donna che sognava fu esplicitato con la jupe-culotte, un paio di pantaloni da harem da portare come abito da casa, sotto una tunica che arriva al polpaccio  fece scandalo, in quanto andava contro il segno della divisione dei generi che la moda aveva inventato L’immagine della donna colta raffinata elegante ed erotica si era sviluppata venendo a contatto con l’Oriente (“Mille e una notte”). 16 Il secondo album pubblicitario dei modelli prende spunto dall’orientalismo: aggiunge alla linea di base, diritta e sobria, colori ed elementi decorativi preziosi orientali ed esotici. Il nuovo album fu affidato al disegnatore Lepape e fu pubblicato nel 1911 con il nome di “Les choses de Paul Poiret vues par Georges Lepape”, lo stile del disegnatore era più sensibile al colore, all’ambientazione e al giapponismo  le figure femminili, con il turbante, mostravano una vita pigra, morbida e lussuosa circondata da cuscini e tende colorate. Questo fu l’ultimo album prodotto direttamente da Poiret  poi couturier come Poiret, Worth, Chéruit, Doucet, Lanvin e Redfern finanziarono una rivista di moda in edizione limitata, “La gazette du Bon Ton”, dove venivano pubblicizzate le realizzazioni di moda parigina. La Festa della Milleduesima Notte – Poiret usò tutti i modi possibili per far parlare ai giornali di lui, l’idea che colpì di più fu una serata in costume, chiamata ‘La Festa della Milleduesima Notte’, che si svolse il 24 giugno 1911 nel giardino della Maison. Fu la realizzazione di un sogno  aveva radunato molti artisti per realizzarla; la casa era ricoperta da tendaggi così che da fuori non si vedesse nulla; entrata sorvegliata da anziani che controllavano i costumi e nel caso non fossero a tema proponevano sostituzioni con abiti della Maison; si entrava a gruppetti accompagnati da un nero seminudo; cortile di sabbia sotto un velo blu e oro con fontane in vasche di porcellana; enorme gabbia dorata con all’interno la moglie di Poiret circondata da dame di compagnie che cantavano canzoni persiane; specchi, sherbet, acquari, volatili, abiti e piume; altra sala con una montagna di cuscini su cui l’attore de Max raccontava Mille e una notte; giardino scuro e misterioso con tappeti e sabbia sulla scalinata per attutire i rumori (come in una moschea); fiori di ibis e natura come in una foresta, alberi con frutti blu e viola, scimmie, ara e pappagalli; intorno a lui concubine, arrivati i 300 invitati iniziava il buffet, personaggi come pitonessa con diamanti nei denti, venditore di scimmie; nelle tenebre il bar con liquori che brillavano; balli con Regina Badet, Trouhanowa, Zambelli; esplosione di fuoco nel giardino; suoni di flauti e cetra; cuochi indù preparavano antipasti e specialità del loro paese  evento che aveva dato la miglior rappresentazione del suo mondo creativo. La sua tendenza alla teatralità era sfociata nella più folle e coerente messa in scena pubblicitaria, anche se Poiret non la considerava tale. Poiret voleva presentarsi alla società come un artista e uomo di mondo, per questo cercò l’amicizia di pittori come Derain e Vlaminck, collezionò opere d’arte moderna e aiutò giovani talenti come Dufy, Man Ray ed Elsa Schiapparelli. Sapeva inventare iniziative promozionali come il viaggio in Europa del 1910 per mostrare le sue collezioni, accompagnato da nove indossatrici. La Secessione viennese e l’Atelier Martine – Dal viaggio non attirò solo clienti, ma conobbe direttamente realtà diverse da cui prendere ispirazione. Dall’esperienza russa ebbe un preciso taglio professionale, aveva come guida Lamanova, couturière moscovita. L’Europa dell’est gli fornì elementi decorativi da aggiungere a quelli esotici e nei modelli seguenti  il modello “Fleuri” fu ornato con applicazioni verdi e rosa di Cracovia e la giacca del 1913 con un gallone preso dalle divise dei cocchieri moscoviti L’incontro che lo segnò di più fu quello con Vienna, dove conobbe Klimt, Emilie Floge e Hoffmann: rimase affascinato dalla Secessione Viennese, che suscitò in lui riflessioni sul ruolo della moda  un modello estetico in cui moda, mobili, vasi e posate erano uniti alle architetture di Olbrich e Otto Wagner e ai quadri di Klimt: si cancellava la vecchia divisione gerarchica di arti maggiori e minori. Tornato a Parigi nel 1911 aprì l’Atelier Martine, uno spazio in cui un gruppo di ragazzine guidate da Madame Serusier dava libero sfogo alla propria creatività nelle arti applicate. Fu dotato di un punto vendita, partecipò a varie esposizioni, realizzò arredamenti e collaborò con artisti come Fauconnet per i mobili e Dufy per i tessuti. Nel 1911 affidò a Dufy la decorazione di tessuti, attirò l’attenzione dell’industria tessile e nel 1912 Dufy fu cooptato dalla Bianchini – Férier. Queste iniziative colpirono il mondo del design e dell’architettura, tanto che fu dedicato a Poiret un articolo di ‘Art et Décoration’. Grazie al successo aveva bisogno ancora di espansione  la produzione di profumi. Con la collaborazione del dottor Midy, che aveva un laboratorio farmaceutico, nel 1911 fu creato il primo profumo e venne fondata la ditta Rosine e il laboratorio Colin che produceva scatole e oggetti pubblicitari. Ai profumi fu accostata anche un’intera gamma di prodotti di bellezza, venduti nella sua profumeria. La fama di Poiret gli permetteva di dettare la moda, senza ricorrere alle mediazioni delle signore. (dimenticato lo scandalo della jupe-culotte e accettato la nuova versione abat-jour con breve gonna rigida.). Era accettato anche nel mondo degli artisti; Nel 1913 fece un viaggio pubblicitario negli Stati Uniti, accompagnato dalla moglie e dalla modella Madame Denise (film di sfilata censurato). Nel viaggio partecipò a feste e conferenze che celebravano il gusto francese. Nello stesso momento a NY si stava svolgendo una mostra in cui erano esposte per la prima volta le opere delle avanguardie europee. Gli anni della guerra – Nel 1914 scoppia la guerra. Dopo un momento di blocco la Francia cercò di salvare la produzione di moda. Poiret inizialmente prestò servizio come sarto al fronte, ma nel 1915 fu spostato agli Archivi del Ministero della Guerra, come presidente del Syndacat de défense de la grande couture francaise collaborò all’organizzazione della Fete Parisienne, una manifestazione che si svolse a NY in cui presentò le novità della moda parigina con lo scopo di mantenere rapporti con il mercato americano e per sollecitare sostegni per la Francia in guerra e creare un clima di solidarietà  non sfilò con abiti orientali ma si allineò alla tendenza di quegli anni con gonne accorciate e ampie, sostenute da crinoline e con elementi di gusto maschile Nel 1916 aveva lanciato anche un profumo “patriottico” con il tricolore dal nome Mam’zelle Victoire. Nel 1917 tentò di aprire una succursale a NY (Poiret Incorporated) che vendeva tutte le tipologie di arti decorative, ma rimase sono un progetto a causa delle difficoltà di guerra. Il dopoguerra – Dopo la guerra nulla fu come prima. Poiret aveva gravi problemi economici e fu costretto a vendere o ipotecare tutte le sue proprietà, inoltre erano morti due suoi figli e aveva divorziato dalla moglie. Fece un viaggio in Marocco, dove ritrovò 17 Gli artisti e le avanguardie – Nel 1919 trasferisce l’atelier e acquista una nuova casa. Dal 1920 cominciò a frequentare l’ambiente degli artisti avendo come guida i coniugi Sert, lui un pittore spagnolo e lei un personaggio di spicco, che la portarono al centro della Parigi delle avanguardie, cominciò a capire le loro idee di rinnovamento della cultura occidentale. A Venezia fu presentata a Diaghilev, il fondatore dei Ballets Russes, che rappresentavano il punto di incontro di tutti i linguaggi estetici più rivoluzionari del momento. Diaghilev ricercava l’artista che meglio poteva contribuire a realizzare un’opera d’arte totale, ma non aveva tanti soldi quindi Chanel decise di finanziargli la ripresa di “La sagra della primavera”  fu l’inizio del suo coinvolgimento nella vita teatrale: nel 1922 Jean Cocteau le affidò la realizzazione dei costumi per Antigone con scenografia di Picasso (la loro collaborazione durò 14 anni). Nel 1924 Diaghilev diede la scrittura di “Le train bleu” a Cocteau, di cui i protagonisti erano due nuotatori, una tennista e un giocatore di golf, e affidò la realizzazione dei costumi a Chanel  erano veri indumenti sportivi ispirati a casi reali: la tennista aveva un completo bianco, il golfista una camicia bianca, cravatta stretta, calzoni zuava, pullover e calzettoni a righe e i nuotatori costumi da bagno di maglia con calzoncini corti e canotta sbracciata  ci si vestiva in modo da rendere evidente la propria identità Chanel oltre al rapporto con gli artisti d’avanguardia era anche al centro della società alla moda, che stava cambiando abitudini, comportamenti e stile di vita e che frequentava il suo atelier. Parigi era diventato un punto di riferimento: la cultura si stava svecchiando e americanizzando. Il profumo e l’influenza russa – In questo ambiente Chanel conobbe il granduca Dimitrij, nipote dello zar russo ucciso durante la Rivoluzione, vissero insieme per un anno (lei ricca donna di successo e lui esule). Grazie a lui Chanel entrò in un ambiente ignoto, la corte russa, con regole e modelli culturali affascinanti, da cui trasse ispirazione per il suo lavoro: qui scoprì il profumo, amatissimo dalla corte (lei lo aveva sempre associato all’idea di un imbroglio per nascondere la puzza e alle cocottes) e cambiò idea. Conobbe il chimico Ernest Beaux, impiegato alla corte russa, dalla loro collaborazione nacque il profumo più famoso del XX sec  il chimico mise insieme essenze naturali e componenti sintetiche con lo scopo di stabilizzare la fragranza e farla durare nel tempo. Coco scelse tutto il resto. Il suo profumo non assomigliava a nessun odore riconoscibile ma l’insieme degli ingredienti era dosato in modo da avere una fragranza del tutto nuova e specifica, gradevole e artificiale. Scelse il nome ‘N°5’ e la confezione era una semplice bottiglia di farmacia trasparente su cui venne applicata l’etichetta bianca con scritta nera  l’insieme era un’assoluta novità nel campo della profumeria. Chanel N°5 fu la prima realizzazione a uscire dalle sue boutique per entrare nel mondo dell’industria: nel 1924 contratto con Les Parfumeries Bourjois per creare una nuova società, Les Parfums Chanel incaricata della produzione e distribuzione del profumo (dal dopoguerra il profumo aveva cominciato a essere un bene di lusso usato da tutte le donne) L’influenza russa si vide negli abiti che propose in quegli anni. Fu attirata dalla roubachka, tipico abito dei contadini russi, con camiciotto e cintura  il suo modello era una semplice variazione del capospalla diritto e appoggiato sui fianchi, copiato dai marinai e stallieri, ma che lei trasformò in un capo da donna. Rimase affascinati anche dai ricami sugli abiti dell’amante: erano disegni a motivi geometrici o di figure fantastiche della tradizione popolare. La sua collezione del 1922 era ispirata a questi due temi di derivazione contadina  ‘povertà del lusso’: riusciva a tradurre, in un linguaggio che piaceva all’alta società, gli elementi vestimentari maschili lineari e spogli, trasformandoli in segni di libertà e distinzione. Nelle collezioni successive l’influenza russa era nella produzione di pellicceria: in Russia serviva per difendersi dal freddo e non era uno status symbol, Chanel provò a tradurre le fodere e gli ampi bordi di volpe o cincillà nel linguaggio occidentale dei mantelli per giorno e sera  cambiò i tessuti, non animali, ma per la sera seta lamé e per il giorno lana. Tra 1924 e 1925 i modelli assunsero una linea “a tubo” con vita bassa, cintura annodata ai fianchi e gonna diritta o con effetti di sbieco che ne favorivano la caduta. L’orlo sempre più alzato verso il ginocchio  gli elementi di influenza maschile ormai invisibili, trasformati in elementi di tagli e comfort. Nel 1925 Exposition Internationales des Arts Décortifs (da cui prende il nome l’Art Déco) e i couturièrs esposero al Palais des Elegances, fu il trionfo dell’abito à la garconnes  ma gli abiti di Chanel non erano finalizzati a uno schema decorativo, i suoi erano abiti funzionali adatti alla vita moderna. Questo la portò al massimo dell’astrazione. Nel 1926 presentò un abitino nero, da indossare in qualsiasi occasione al posto di creare abiti diversi per ogni situazione  la destinazione dell’abito era indicata dagli accessori con cui veniva abbinato. (paragone con la Ford nera) Stile inglese, gioielli e bijoux – Il vestito nero è il risultato finale della semplificazione dell’abito femminile. Negli anni successivi la sua ricerca si concentrò sui tailleur e sull’abbigliamento informale; si ispirò di nuovo dai vestiti del suo nuovo amante, il duca di Westminster, attraverso cui aveva sperimentato lo stile di vita dell’aristocrazia inglese. Le collezioni tra 1927 e 1930 si specializzarono nei completi con giacca diritta di modello maschile, gonna e blusa coordinata, più gilet a righe e cappotti sportivi ispirati alla sartoria inglese. Si arricchirono dei tweed, che fece in Scozia. La divisa sportiva femminile era composta da blazer di tweed, cardigan di lana, camicia bianca e pantaloni morbidi. Le sue creazioni erano di ispirazione maschile ma sempre rigorosamente femminili: non capi unisex ma abiti da donne che rispondevano alla filosofia vestimentaria dell’uomo ovvero comodità, semplicità, tessuti morbidi e piacevoli, stile impeccabile e distinzione Quando i suoi modelli raggiunsero il massimo rigore si lasciò andare a concessioni alla civetteria e alla contaminazione tra generi, cominciando ad adottare gioielli vistosi i gioielli aveva una funziona nuova: servivano a decorare e a rendere femminile l’abito; a individualizzare il modo di portarlo, a dare spazio alla fantasia di chi lo indossava che in questo modo personalizzava un 20 modello uniforme. Lei preferiva i gioielli falsi a quelli veri e costosissimi. Nel 1924 aprì un laboratorio per produrre gioielli falsi e bijoux fantastici, copiandoli da quelli veri ma esagerandone le proporzioni e i colori. Lo stile degli anni Venti – Alla fine degli anni 20 lo stile Chanel era raggiunto, non era nato da un’idea precisa ma si è andato costruendo nel tempo attraverso esperienze e stimoli culturali: abiti diritti e semplici, giacche e blazer sportivi, colori neutri, materiali morbidi e gioielli finti.  un uniforme per la donna borghese moderna Il problema era rompere con il passato, in una società che guardava ancora ai modelli ottocenteschi e non aveva quindi modificato il modo di pensare. Chanel non aveva radici e un passato a cui ancorarsi come la borghesia quando aveva iniziato la scalata al potere  la ricerca di un’identità individuale si incontra con la ricerca di un’identità sociale che le donne cominciavano a compiere, attraverso l’autodeterminazione affettiva e l’autonomia economica derivata dal lavoro (la parità di genere = donne con stessi comportamenti degli uomini). Chanel non aveva famiglia e l’autonomia economica era la sua sopravvivenza. Essendole preclusi i comportamenti femminili doveva adottare regole di vita maschili  seguì una strada ‘irregolare’ per essere libera e indipendente. Fece scelte emancipate di condurre la propria vita affettiva libera e probabilmente ciò le creò anche conflitti interiori per via dell’educazione delle suore, conflitto che risolveva nell’onestà dei suoi abiti  inventò un abbigliamento femminile che andasse bene a quelle che, come lei, si vestivano per lavorare e vivere insieme agli uomini e non abiti per affascinare gli uomini o per dimostrare uno stato sociale. Le sue clienti erano signore dell’alta società, che fino a quel momento si erano vestite per conquistare un marito ed esporre la ricchezza ma erano anche quelle che cominciavano a sentire i segni del cambiamento e avevano voglia di dare una svolta alla propria esistenza  creare un vero ruolo femminile borghese, con una funzione attiva nella società. Il suo compito era inventare una moda che comunicasse l’identità e il loro ruolo sociale delle donne del nuovo mondo La prima fase era la rottura con il passato, ora bisognava costruire il nuovo linguaggio  fu importante il rapporto con le avanguardie artistiche Anche la produzione industriale non era più finalizzata solo alla quantità ma anche alla qualità, al comfort e all’estetica. Chanel applicò questi modelli alla ricerca dell’abito femminile che doveva avere un unico scopo, la funzionalità. Per questo guardò ai capi sportivi e a quelli maschili, che univano eleganza alla comodità. Nella moda femminile invece tutto era soggetto al lusso, l’unico elemento di differenziazione era l’occasione a cui l’abito era destinato, il materiale e la decorazione. Chanel creò un’uniforme da donna, che eliminava abbellimenti, fronzoli e colori arditi, che poteva essere usata da tutte in ogni occasione e che doveva passare inosservata. Ristrutturò il suo atelier in uno spazio neutro fatto solo di specchi e di una scala  scena perfetta per i suoi abiti, nulla che li abbellisse o incorniciasse. (affinità tra gli abiti di Chanel e il lavoro di Gropius). Per Chanel non era un problema la copia dei suoi abiti, anzi lo considerava un segno di successo  il suo abito non era un segno di distinzione, era un abito moderno adatto a tutte; la distinzione stava per saperlo portare, nell’essere giovani e moderne da essere chic in un vestito ‘dal taglio monacale’ e nell’essere sicure di sé da non aver bisogno di ‘mascherarsi’. (somiglianze tra il dandy ottocentesco e Chanel)  lo stile Chanel era lo stile di vita individuale della donna Coco Chanel. Il cinema e l’America – Nel 1929 ci fu il crollo della borsa di Wall Street: il lusso era diventato irraggiungibile per la maggior parte della popolazione e l’America era diventata povera e austera. La voglia di vita e di divertimento del dopoguerra fu sostituita da un modello di comportamento più adulto e impegnato. Anche la moda era cambiata: la moda anni 20 era fuori moda e si rischiava di perdere i clienti americani. Chanel si accorse di tutto ciò e capì che il nuovo stile di vita non sarebbe nato né a Parigi né in Europa ma negli USA. Intuì anche che per affrontare il futuro bisognava studiare il cinema, strumento di comunicazione e spettacolo che stava cambiando il modo di pensare (non più teatro che non era più in grado di imporre modelli culturali, ma cinema che raggiungeva velocemente tantissimi spettatori). Le dive venivano da Hollywood. Nel 1931 Chanel accettò l’offerta di Samuel Goldwyn di vestire le sue dive nei film e nella vita privata  inizia l’esperienza americana, da 1 milione di dollari l’anno. Chanel studiò il reparto costumi dei film il cui compito era valorizzare e accentuare le diverse personalità delle dive, nulla a che vedere con il costumista teatrale. Si rese conto che la cinepresa era una macchina che imponeva nuovi tipi e nuovi volti: a Hollywood scoprì un nuovo tipo di donna che non era quella ottocentesca e nemmeno quella degli anni 20  era una figura femminile così emancipata da aver recuperato quella seduzione, frivolezza e sex appeal che erano stati prima rifiutati. Donne affascinanti e fatali che seduceva gli uomini trattandoli da pari (Greta Garbo, Marlene Dietrich e Gloria Swanson) Inoltre a NY si rese conto della realtà economica della moda americana, i quartieri con le vie di moda, i grandi magazzini e i discount bazar, che vendevano copie di originali a prezzi più bassi, tra cui anche i suoi modelli. Tornata in Europa realizzò una collezione ispirata al viaggio, facile e con tessuti poco costosi ma anche con abiti da sera dalla linea scivolata di sbieco, e lavorò agli abiti per il film di Goldwyn  doveva vestire Gloria Swanson e per Ina Claire: il primo fu un disastro e il secondo un successo; in ogni caso fu una pubblicità incredibile per Chanel e il prestigiò aumento ma le dive considerarono i suoi abiti poco spettacolari.  importante per lei fu capire che il sistema della moda ormai era complesso e che ogni elemento aveva la sua funzione. Non era compito dell’haute couture abbassare i prezzi, per questo c’era la confezione, il suo compito era la previsione e l’invenzione creativa, che potevano svilupparsi solo in una produzione ristretta e senza limiti di prezzo. 21 Dopo la crisi la ricchezza si era concentrata nelle mani di pochi, quindi era necessario inventare nuove cose che non avessero un aspetto sobrio. Erano donne che godevano della propria libertà e ostentavano la propria femminilità. Bijoux de Diamants – Nel 1932 l’International Diamond Guild, associazione che riuniva produttori e mercanti di diamanti, le chiese di progettare gioielli con gemme autentiche a scopo benefico. (in realtà era una campagna pubblicitaria, promossa dal mercato dei diamanti) Chanel lavorò con Paul Iribe, il suo nuovo compagno, e creò una serie completa di pezzi, snodabili e trasformabili che espose nel suo appartamento, la mostra “Bijoux de Diamants”, accompagnata da un catalogo con fotografie  giustificò il suo passaggio ai veri gioielli come una ricerca di autenticità in un periodo di crisi. Era una nuova concezione del lusso, investimento in un bene sicuro in un momento incerto. Ma negli anni successivi tornò alla bigiotteria e con Fulco Santostefano della Cerda, artista siciliano, creò i bijoux Chanel più famosi ispirati a forme classiche, medievali, barocche, bizantine, russe e indiane. La dimensione delle pietre era esagerata, un modo per dichiararne esplicitamente la falsità. I pezzi furono realizzati dalla Maison Gripoix, veri gioiellieri del falso, e i prezzi erano altissimi, tanto da trasformare in lusso anche un semplice falso. Chanel proponeva di indossarli a cascata, anche mettendo insieme pezzi dal gusto diverso. Moda anni Trenta – Il panorama della moda degli anni 30 era molto variegato: Coco si specializzò in modelli più facili da indossare rispetto a quelli delle sue rivali. Il mercato richiedeva più fantasia, glamour e forse una maggiore aderenza all’immaginario cinematografico  anche lei usò tulle, merletto, ricami di paillettes per abiti romantici con grandi maniche, maggiore aderenza e gonne ampie. Il tailleur e le giacche avevano stampo più femminile Riferimenti a mode antiche come colletti bianchi sui semplici fourreaux neri: piccoli ruches, jabot o grandi collari. Poi fiori da posare in testa o appuntare allo scollo o alla cintura. Anche se il successo continuava, Chanel non rappresentava più la moda di punta del momento se non per gli accessori. La rottura del 1936 – Nel 1936 miseria e disoccupazione portarono alla vittoria elettorale del Fronte popolare e scioperi dei lavoratori francesi, tra cui le operaie della Maison. Chanel licenziò 300 persone; propose anche di donare l’azienda alle lavoratrici mantenendone la direzione, ma rifiutarono. (gli operai rivendicavano diritti garantiti: contratti collettivi, settimana lavorativa di 40 ore e ferie pagate). Di fronte al rischio di non riuscire a realizzare la collezione di autunno, Chanel cedette: reagì con rabbia, disprezzo e paura. (lei non aveva mai avuto una vera educazione politica e probabilmente si era fatta influenzare dal compagno Iribe, nazionalista di destra, antisemita, anticomunista e xenofobo)  il mondo che aveva costruito entrò in crisi: il compagno era morto, la casa di moda adottava le nuove regole e la sua creatività non sembrava più essere in sintonia coi tempi. Inoltre si sentiva minacciata dal successo di Elsa Schiapparelli. Rispose creando abiti che, oltre al nero e bianco, avevano colori brillanti e modelli in tendenza con i travestimenti giocosi: dal 1938 comparvero nelle sue collezioni tinte e forme ispirate ai vestiti da festa dei contadini o degli zingari  gonne ampie di taffetas multicolore, a righe o quadri, maniche a sbuffo, pantaloni colorati, bluse e boleri decorati con ricami o merletti folk russi. Nel 1939 tentò un discorso ideologico proponendo un abito con colori nazionalisti blu bianco e rosso. Continuava la collaborazione con Cocteau ma i risultati non erano più gli stessi degli anni 20  è come se il suo percorso creativo si fosse scontrato contro l’eccesso e il lusso degli anni 30 e il suo senso di ordine e rigose fosse in crisi. Continuava a presentare collezioni con abiti che l’avevano portata al successo ma non erano in grado di fare proposte alternative alla concorrenza di Vionnet o Schiapparelli. Forse Chanel non capiva più le donne, non le era amica e quindi non era più in grado di far loro una divisa.  la scelta di un abito non corrispondeva più a una scelta di vita, ma a un affare di moda La Seconda guerra mondiale e la chiusura della Maison – Nel 1939 scoppia la Seconda Guerra Mondiale: Chanel chiuse la Maison e lasciò aperta solo la boutique dei profumi. Licenziò le operaie, le quali ricorsero al sindacato che cercò di convincere Chanel a sospendere la chiusura; ma non ci fu nulla da fare  forse si era resa conto che non aveva più nulla da dire nella moda, che la società era cambiata e lei non riusciva a farla combaciare con il suo modo di pensare i vestiti e piuttosto che uscire lentamente dal mercato aveva subito troncato la sua attività. Negli anni della guerra visse al Ritz, meta degli ufficiali tedeschi che occupavano la Francia; qui ebbe la sua ultima storia d’amore con un ufficiale nazista che la coinvolse in una missione di spionaggio. Dopo la Liberazione di Parigi nel 1944 fu arrestata e interrogata, e rilasciata scappò in Svizzera dove rimase in esilio volontario per 9 anni. Qui cercò di dare alle stampe la propria leggenda/storia: nel 1976 uscì un libro in cui parla in prima persona. Il ritorno alla moda – il dopoguerra riproponeva a un pubblico di massa una moda aristocratica, elegante, scomoda e difficile da portare. Chanel era scomparsa dal mondo della moda, le uniche cose che resistevano erano i tessuti e il suo profumo, anche se nel 1953 le vendite calarono. Pierre Wertheimer decise di ammodernare gli uffici di NY della Parfums Chanel e di cui Coco curò l’arredamento. Tornata a Parigi decise di riaprire l’atelier. Il suo scopo era trovare un fabbricante americano che produca una linea di pret à porter su una base royalty, ma Wertheimer preferì occuparsii direttamente dell’iniziativa e sostenne metà dei costi della collezione di apertura, che alla fine fu di alta moda. La sfilata avvenne nel 1954 ma non ebbe per niente successo  non la capirono e la interpretarono come una riedizione della moda anni 20, rimanendone delusi. Ma Chanel decise di continuare, Wertheimer la sostenne e stipulò un ulteriore accordo: Les Parfums Chanel avrebbe sostenuto tutte le spese della Maison in cambio della riaffermazione di proprietà della griffe Chanel per i profumi. La produzione di alta moda ormai non era più un guadagno, quello che rendevano erano gli accessori, i profumi e il pret à porter. Fece un secondo 22 Linee guida per i suoi modelli: costante uso della diagonale e sperimentazione di forme geometriche come quadrato, triangolo, rettangolo, sezione aurea, quadrante, spirale logaritmica. L’abito era il risultato della composizione o scomposizione di queste figure, l’aderenza era il risultato di un calcolo dell’elasticità delle stoffe e della loro deformazione a causa del peso  l’uso dello sbieco: ogni tessuto, a seconda della sua materia e tessitura, ha un suo modo di cadere formando delle pieghe. Contrastare il verso del tessuto con lo sbieco comportava diversi accorgimenti: gli abiti realizzati con quadrati e rettangoli venivano appesi al manichino fino a quando non raggiungevano la loro lunghezza massima su cui regolare l’orlo delle gonne. In generale nessuna creazione di Vionnet dichiarava esplicitamente la propria struttura geometrica perché il materiale usato di sbieco generava sul corpo petali, volute, drappeggi in cui era difficile coglierne l’architettura nascosta. Nelle collezioni tra il 1921 e il 1922 ricercò gli effetti di ‘caduta’  pannelli appoggiati sulle spalle o appesi in altri punti, liberi o annodati, balze più o meno lunghe, verticali o orizzontali, petali e frange. A tutto ciò si aggiunse uno studio che permettesse di ricamare sullo sbieco senza creare effetti indesiderati. Si cominciò a ricamare sull’abito finito e non sulla stoffa attraverso la tecnica vermicelle au droit fil. Vionnet considerava il ricamo connesso alla struttura dell’abito e non una decorazione  aveva il valore di luce e disegno, completava la forma del modello e sottolineava le linee di forza 50, Avenue Montaigne – La sua proposta di moda piaceva sia al mercato francese che americano. Nel 1922 l’atelier aveva bisogno di espandersi, fu quindi acquistato un hotel particulier in Avenue Montaigne, la cui ristrutturazione fu fatta in uno stile alla moda e si diede importanza oltre all’aspetto estetico anche alla sua funzionalità come luogo di lavoro. La piccola impresa era diventata una grande azienda, nella sua sede lavoravano circa mille persone suddivise in 20 atelier specializzati. Vionnet ricordava la propria esperienza di lavoratrice che aveva dovuto percorrere tutti i gradini della professione di sarta prima di diventare quello che era: introdusse quindi delle innovazioni che riguardavano i rapporti contrattuali e le condizioni di lavoro si cuciva sedute su uno sgabello. Nell’edificio c’erano mensa, nursery, infermeria e dentista per le operaie; fondò una cassa di soccorso per malattie; introdusse congedi di maternità e ferie pagate e istituì un corso di formazione di tre anni. Nonostante questo quando nel 1936 ci furono scioperi in tutta la Francia le impedirono per un giorno di entrare nella Maison. Il copyright – Vionnet riuscì a imporre il copyright dei modelli, novità fondamentale per l’haute couture parigina. Tra i problemi dell’alta moda vi era la diffusione delle imitazioni, intorno a cui si era sviluppata un’industria della contraffazione: la legge difendeva dai falsi la produzione artistica ma gli abiti non rientravano in questa categoria  nel 1921 Tribunal correctionnel de la Seine emise una sentenza che assicurava ai modelli di abiti la protezione come qualsiasi altra produzione artistica. Dopo la sentenza la Maison pubblicò un comunicato sul come riconoscere gli originali ovvero attraverso l’etichetta con firma e impronta digitale del couturier e documentò tutti i capi della Maison con fotografie accompagnate da dal numero e dalla data, poi raccolte in “Album di copyright”. Prêt à porter – Il successo della Maison fu immediato: nel 1925 aprì una succursale a Biarritz specializzata in abiti per vacanze e sport. Ma la vera sfida era il mercato americano: nel 1924 presentò la collezione primaverile “Made while you wait” a NY e in accordo con Saul Singer, fondò una nuova società, Madeleine Vionnet Inc, finalizzata alla vendita di abiti taglia unica, novità nell’alta moda, nata per assecondare la clientela USA abituata a comprare capi confezionati. Aprì una boutique Vionnet sulla Fifth Avenue, pubblicizzata sui giornali di moda  successo ma l’esperimento non superò i 6 mesi, la clientela élite preferiva comprare a Parigi e nei magazzini di lusso, diversamente la clientela meno facoltosa comprava falsi. Nel 1926 tentò un secondo esperimento nel settore pret à porter, con socio lo store John Wana-marker’s  creò 40 capi venduti in tre taglie e compresi di etichetta ma non ebbe tanto successo; non era ancora il momento per l’alta moda di fare il suo ingresso nel mercato ready-to-wear. La Maison si occupava quasi solo di abiti, anche il profumo del 1925 non diventò mai commerciale ma era venduto solo su richiesta e solo dalla Maison parigina. Stile anni Venti – Verso il 1925 i suoi modelli si semplificarono: linea più squadrata, riduzione di elementi di decoro, scomparvero sovrapposizioni, petali e ciò che aumentava il volume in favore di singoli elementi e del ricamo. Il nuovo ideale di bellezza arrivava dagli USA  una donna che lavorava, ballava e faceva sport, con uno stile che metteva in risalto la giovinezza e il corpo sottile e scattante. Vionnet ammorbidì il parallelogramma con lo sbieco, montando frange a lisca di pesce, ricami e crepe romain broccato, disegni geometrici fatti con intarsi e nervature che modificavano le tensioni del tessuto e pieghe con profondità dall’alto al basso per non irrigidire figura. Le sue creazioni erano studiate in modo che l’architettura del vestito poggiasse sulla struttura portante del corpo per evidenziarne la naturale armonia. Lei era la ‘moda’ visto il successo tra il pubblico ma in realtà Vionnet non faceva nulla per essere un personaggio alla moda: non conduceva una vita pubblica ma lavorava isolata nel suo studio come un’artista che segue il proprio processo creativo e il proprio obiettivo estetico. Quando nel 1929 ci fu la crisi cambiò lo stile di vita e Vionnet divenne ancora di più un punto di riferimento. Gli anni Trenta – Una nuova definizione della giovinezza e snellezza, entrambe hanno smesso di dipendere dalla linea stretta e diritta. Nella società occidentale e nella moda l’adolescenza lasciva il posto a una giovinezza più matura e il lusso stava per essere sostituito da quello vistoso delle dive del cinema hollywoodiano. Anche le arti lasciarono le avanguardie e ricercarono uno stile che fu definito “neoclassico”, così come i regimi totalitari cercavano parallelismi con l’Impero Romano  anche la moda adottò linguaggio “classico”: il fisico modellato dallo sport venne preso come simbolo di una bellezza statuaria accarezzata da abiti bianchi che valorizzavano il sex appeal. Il metodo Vionnet diventò di moda in quanto sottolineava il corpo senza costringerlo, i suoi modelli erano più sciolti, naturali e meno revival.  realizzati con i pannelli sciolti da accomodare addosso 25 secondo panneggi e torsioni calcolati e adattati alla struttura fisica. Erano abiti che dialogavano direttamente con il corpo e lo usavano come sostegno reale. (Era la stessa la logica di un drappeggio morbido che guidava lo scollo “ad acquasantiera” che formava un cappuccio morbido sul davanti). Col tempo il sistema di taglio Vionnet si stava evolvendo. La gonna ampia – Nel 1934 ci fu la svolta nella produzione: Vogue rappresentò lo stile Vionnet attraverso un vestito dalla gonna larga coperta da file di volant. Da quel momento il modello scivolato sul corpo e quello dalla gonna ampia procedevano in parallelo. Negli anni successivi gli abiti si fecero più lussuosi e sensibili al gusto hollywoodiano: la vita segnata, spesso alta, dava spazio a gonne larghe sostenute da diversi accorgimenti tessili. Usò tessuti nuovi e antichi o broccati, simboli della Maison. Sperimentò il merletto usato per confezionare abiti per cappe maniche e sopravvesti. Inventò nuove tecniche di decorazione: inediti effetti di contrasto applicando vari materiali sui tessuti (velluto su merletto o tulle, strass su merletto, sete su velluto, lamè su tulle o crinolina). Reinventò procedimenti di tintura e usò il velluto in vari modi. Sperimentò la pieghettatura in rilievo su un taglio circolare. La collezione della primavera 1939 fu l’ultima, scadeva il termine della società rifondata nel 1922 e fu messa in liquidazione. Scoppia la guerra e nel 1940 la Francia è occupata dai tedeschi. Fu venduta la Maison e tutto ciò che c’era dentro. Nel 1952 Vionnet donò a Union francaise des arts et des costumes tutto ciò che le rimaneva del suo lavoro; morì nel 1975 a 99 anni. XI. ELSA SCHIAPARELLI (1890 – 1973) Una giovinezza inquieta – Elsa aveva alle spalle una situazione familiare estremamente privilegiata. Elsa Schiaparelli era nata a Roma nel 1890 in una famiglia di intellettuali e voleva fare l’attrice ma la posizione sociale della famiglia non glielo permetteva; scrisse delle poesie che furono pubblicate con il titolo ‘Arethusa’; per punirla la famiglia la mandò in un convento in Svizzera, ma lei cominciò uno sciopero della fame e costrinse i genitori a recidere dalla decisione; non riusciva a trovare la sua strada. Un’amica della sorella che si occupava di orfani aveva bisogno di aiuto nell’impresa, Elsa colse l’occasione e partì per Londra passando per Parigi, il primo contatto con la città delle avanguardie. Fu anche il primo approccio con la sartoria: fu invitata a un ballo per il quale si creò da sola il primo abito da sera. Londra aveva una situazione sociale che conservava ancora i tratti culturali impressi dalla regina Vittoria ma uniti a tanti movimenti di innovazione; conobbe il conte William de Wendt de Kerlor e lo sposò nel 1914 e nel 1919 a causa della guerra si trasferirono a NY dove l’impatto fu fortissimo. Anche la sua vita privata cambiò: ebbe una figlia con una salute cagionevole, divorziò e morì suo padre. Elsa si trovò sola a NY senza più sostegno economico: cercò un lavoro qualsiasi e conobbe vari personaggi della scena dadaista (Gabrielle Buffet che si occupò di sua figlia, Man Ray, Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Baron de Meyer, Marcel Duchamp). Fu importante l’amicizia con Blanche Hays con cui nel 1922 si trasferì a Parigi, dove Gaby Picabia la ospitò in casa sua ed Elsa trovò lavoro in un antiquario. Gaby la introdusse nel giro di dadaisti. Tutto sembrò ricominciare tra lavori saltuari, amicizie anticonformiste e dimore precarie. Fu in questo periodo che avvenne l’incontro che segnò il suo destino: entrò per la prima volta in una Maison rimanendone affascinata, quella di Paul Poiret. Cominciò a inventare abiti, mantenendo sempre colore e ricamo, caratteristiche dello stile Poiret. Scelse il settore femminile dello sport. Lo sport e la maglia – Negli anni 20 la cultura del corpo e dell’attività sportiva divennero una moda diffusa, tanto da inventarne un abbigliamento specifico. Sport come sci golf tennis erano competenze normali tra le signore della buona società, dando loro anche la possibilità di entrare in agonismo. L’eleganza sportiva arrivava da Suzanne Lenglen, famosa tennista, simbolo della donna alla moda  con grande scandalo entrò nei campi indossando un completo di Patou composto da gonna a pieghe senza sottovesti e una corta blusa, calze di seta bianca e una fascia colorata intorno alla testa. La nuova divisa che lasciava libero il corpo e che univa al bianco estrosi tocchi di colore venne introdotta nei campi da tennis. Elsa capì che questa poteva essere una strada di sicuro futuro e cominciò a realizzare dell’abbigliamento sportivo. Nel 1925 finanziata da Mrs Hartley acquistò la Maison Lambal, una piccola sartoria, e nel 1926 ‘Women’s Wear Daily’ le dedicò un articolo. Ebbe un discreto successo personale e trovò un nuovo finanziatore, Alphonse Kahn, uomo d’affari che aveva già investito nella moda. Nel 1927 presentò la prima vera collezione: maglieria con colori brillanti ispirati al futurismo e a Poiret, realizzati con materiali nuovi come il kasha, cardigan abbinati con gonne e calze e sciarpe coordinate. Il golf “armeno” – Il modello che però la lanciò definitivamente nella moda fu un golf particolare: lo aveva visto addosso a una sua amica e aveva scoperto essere realizzato da una donna armena rifugiatasi a Parigi  era un particolare punto a maglia ottenuto con due fili di lana che permetteva di realizzare un capo più consistente di quelli europei e che le permetteva di inventare effetti di disegno utilizzando i due fili di colore diverso. Quando raggiunse l’effetto desiderato fu lei stessa a indossare il maglione trompe – l’oeil attirando l’attenzione delle signore e di un buyer americano che gliene chiese 40 copie. La nuova moda si impose a Parigi attraverso le attrici e i personaggi del rotocalco. Fu presentato da Vogue francese e americano. Il successo le permise di scatenarsi con la fantasia  sui golf comparvero cravatte da uomo, nodi, fazzoletti da collo, scialli, schemi per cruciverba ed effetti misti. Negli anni seguenti la ricerca di radicalizzò e la maglia divenne immagine del corpo, allora la riempì di tatuaggi con cuori trafitti e scritte allusive. Tutte le signore alla moda ebbero un maglione trompe-l’oeil anche se Elsa ne limitò sempre la produzione per dare loro un valore elitario e di alta moda. Il successo fu tale che dovette assumere una responsabile per questo settore, Miki che parlava inglese e poteva fare da tramite tra l’atelier e le sue connazionali. Dallo sport all’haute couture – Nel 1928 trasferì l’attività in un fatiscente appartamento, nella zona della moda, dove espose l’insegna “Schiapparelli pour le sport”: presentava abiti sportivi ben costruiti e progettati per i movimenti richiesti, ma colorati e decorati con immagini e scritte (pesci rossi ancore stelle cuori trafitti …) 26 La diffusione del nuoto e le vacanze al mare avevano portato alla trasformazione del costume da bagno che veniva realizzato con lavorazioni a maglia più elastiche e aderenti che eliminavano la copertura di braccia e gambe e avevano profonde scollature sulla schiena  questa novità fu ripresa da Elsa e divenne una sua specialità insieme al pijama da spiaggia e ai completi di spugna siglati e di colori inusuali. Anche per lo sci cercò soluzioni più eleganti proponendo completi più colorati ed estendendo allo sci i pantaloni johdpur, di solito usati per equitazione. Nei primi anni 30 la collezioni di allargò alle toilettes da città e da sera  trasformando la maison in una vera e propria couture. Nonostante non avesse conoscenza della cultura manuale tipica della sartoria, i suoi vestiti dovevano ispirarsi all’architettura: li concepiva senza mai dimenticare il corpo pensandolo come struttura principale, a cui dovevano sempre far riferimento le linee e i dettagli. Da qui derivò la fine della moda anni 20 con linee diritte, cintura morbida e gonne corte  tailleur di tweed, gonne – pantalone e abiti da sera con giacca furono le specialità della Maison. Le frequentatrici della Maison cominciavano ad essere attrici di rilievo, ma Elsa aveva bisogno che la sua moda venisse notata nei luoghi dell’alta società  quindi scelse di indossali personalmente a party e occasioni mondane. Elsa si sentiva un’artista che faceva un abito come modo per intervenire nella cultura estetica di un’epoca e delle donne che lo indossavano  il vestito era il primo strumento di comunicazione e doveva nascere da un lato dallo studio di chi doveva metterlo e del contesto in cui si inseriva e dall’altro dalle idee che attraverso il suo aspetto potevano essere veicolate. Per questo cercò sempre rapporti diretti con i suoi committenti per influenzarli e condividerne le esigenze (compagna di feste e consigliera di bellezza) La moda secondo Schiaparelli – Inizio anni 30 Elsa aveva creato una silhouette che corrispondeva all’idea di donna che si stava facendo strada dopo la crisi del 29 che stava creando forte disoccupazione; la ricchezza era un bene rarissimo che si poteva comunicare solo attraverso il lusso e l’estrosità in cui Schiaparelli era maestra. La sua moda nasceva da un’idea femminista che doveva comunicare la donna del nuovo decennio  i suoi abiti dovevano proteggere la donna dai contrattacchi maschili: difensiva di giorno e aggressivamente seducente la sera. Quindi difesa e sicurezza erano i principi della divisa dell’esercito di donne che di sera si trasformava in una battaglia dei sessi. La nuova donna degli anni 30 non doveva avere un’ingenua fiducia negli uomini anzi doveva costruire un mondo autonomo in cui gli uomini erano la controparte, un nemico da fronteggiare per farsi spazio nel mondo del lavoro. Nacque così nei primi anni ’30 la silhouette ‘a grattacielo’  con linee diritte e verticali e spalle larghe e squadrate, con il seno protetto dai revers e imbottiture soprattutto nelle spalle, dove si concentravano le decorazioni che sottolineavano la femminilità dell’indumento ma enfatizzavano l’effetto di armatura e la sagoma virile del torace; cui contribuivano anche i rigonfiamenti delle maniche e dello scalfo. Si ispirò al guardaroba maschile per creare un’immagine femminile sottile ma agguerrita (dolman da cosacco, uniformi da ferrovieri, giacche da cavallo, costumi da torero, cappe militari, vesti dei dogi).  conquistato il comfort doveva connotare in modo più femminista l’abito per permettere alla donna, attraverso decorazioni e forme, la ricchezza interiore. Per fare sembrare gli abiti più femminili alla struttura semplice e poco mutevole, la divisa, affiancò una fantasia sfrenata che si espresse in decorazioni e accessori (come cappelli e copricapo) per una cultura femminile lussuosa eccentrica ironica e seducente che si espresse molto negli abiti da sera. Dal 1931 ingrandì la sede e la allestì con uno stile coerente alle sue innovazioni; si era allargato anche il suo staff con un responsabile per ogni settore ed ebbe molte collaborazioni (Jean Clement e Roger Jeanpierre accessori, Jean Schulemberg bijoux) anche con artisti (Dalì, Cocteau, Giacometti, Leonor Fini, Christian Berard) e fotografi (Meyer, Man Ray, Hoyningen – Huene, Horst, Beaton, Avedon). Nel 1933 aprì una sede a Londra ma che chiuse nel 1939. Negli anni seguenti lavorò sulla stessa silhouette ma variandone l’immagine e la logica decorativa: nel 1933 propose la linea “a scatola” con angoli retti; poi la linea “a cono” con pijama da sera e infine la linea “uccello” con beretti alati, cappe alate su giacche, coda ad ali e decorazioni con piume. Presentò anche la silhouette “Temporale” che sviluppò nella linea “Tifone”. Sperimentò una grande quantità di materiali diversi: naturali artificiali sintetici e rielaborati chimicamente (stoffe sintetiche, rayon, latex, velluti spessi, velluti trasparenti impermeabili, lamine di cellophane; sue invenzioni Rayesca, Elsacioc e Jeresca) lavorando in collaborazione con industrie tessili per la ricerca di effetti particolari. Le collezioni a tema – Nel 1935 trasferì la Maison in un palazzo settecentesco, la Boutique Schiap era al piano terra: la formula ‘pronto da portare via subito’ le portò fama, vendeva anche oggetti come accessori, profumi, bijoux, indumenti sportivi e indumenti non su misura  l’idea era offrire alle clienti sia la possibilità di vestire Schiaparelli dalla testa ai piedi sia scegliere un solo particolare estroso da aggiungere alla divisa quotidiana. La Boutique divenne tappa obbligatoria della moda parigina, la nuova sede fu anche una svolta per la sua attività creativa. Per l’inaugurazione dell’atelier creò un tessuto stampato a pagine di giornale che parlavano di Schiaparelli con cui realizzò abiti, bluse, fodere, accessori e cappelli da spiaggia (ispirazione da venditrice di pesce o collages cubisti). La vera novità riguardò le collezioni che dal 1935 ebbero cadenza stagionale (4 all’anno) concepite ognuna intorno a un tema d’ispirazione che faceva da filo conduttore tra abiti, accessori, sfilata e pubblicità. In questo modo poteva creare un’intera immagine femminile armonizzata.  collezione estiva ispirata all’Oriente esotico: pantaloni ad harem, sari, piume colorate, drappeggi, grandi cappe ma anche oggetti d’avanguardia come il cappe de verre, un mantello corto e trasparente  collezione d’autunno ispirata all’attualità con fatti e personaggi reali, dal nome “Fermati, guarda, ascolta” (giubileo di Giorgio V d’Inghilterra con abiti blu e viola, Sinistra francese con rosso rivoluzionario, conflitto italo – etiopico con modelli ispirati dalla 27 offriva possibilità di lavoro: l’unico settore che resisteva era quello della moda e fu li che si indirizzò sperando di usare la sua creatività. Per fortuna riuscì a vendere uno degli ultimi quadri della galleria (di Dufy per Poiret), con i soldi aiutò la famiglia e si pagò un corso per imparare a disegnare figurini, il suo maestro era Jean Ozenne. Cominciò a vendere i suoi disegni prima alle modisterie e poi alle case di moda; ricevette l’offerta di collaborare regolarmente con la pagina di moda di “Le Figaro”; nel 1938 Robert Piguet gli propose di entrare nel suo atelier come modellista e mise nella collezione “Cafè Anglais” un abito di Dior. I giornali cominciarono ad accorgersi di lui. Nel 1939 progettò i costumi per l’opera teatrale “L’ecole de la medisance” di Sheridan; furono i primi abiti che firmò Dior, la guerra, l’haute couture – Nel settembre 1939 scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, al momento dell’armistizio nel 1940 Dior si trovò nella zona della Francia non occupata dai tedeschi. La moda si riorganizzò presto: molte Maison avevano trasferito l’attività in Costa Azzurra, dove Dior si recava per prendere idee, consegnare disegni e rivedere gli amici  la vita elegante francese si era concentrata in Provenza. Le sfilate del 1940 furono le ultime con giornalisti e buyer americani: dopo l’occupazione dei nazisti tutti i paesi alleati cessarono i rapporti con la moda parigina + il governo nazista vietò le esportazioni + la Francia diventava fornitore ufficiale della Germania che cominciò a requisire materie prime, derrate alimentari e combustibili, ma anche lana, cotone, iuta, cuoio, e limitò l’uso di tessili + tentò di trasferire tutta l’attività di moda da Parigi a Vienna e Berlino  Lucien Lelong riottenne la possibilità di produrre moda a Parigi ma furono imposte regole: i modelli per ogni collezione furono limitati a 100, poi 70 e infine a 60, le confezioni erano sottoposte a controlli e fu ridotto l’uso dei tessuti. (si riuscì a conservare il 97% dei lavoratori) La stampa di moda fu sottoposta a controlli di censura e interruppero la comunicazione tra creatori e pubblico. Anche la clientela cambiò in modo radicale: solo francesi (qualche tedesca), di cui alcune signore dell’alta società, cantanti e attrici, ma soprattutto due tipi di donne: mogli figlie o amanti dei collaborazionisti e i BOF cioè le mogli degli uomini arricchiti dal mercato nero; entrambe senza buon gusto e disposte a ostentare la loro ricchezza. Grazie a loro e ai prezzi altissimi gli affari delle Maison andavano bene. Nel 1941 Piguet invitò Dior a riprendere il proprio posto di lavoro, ma tornare a Parigi lo preoccupava e quando si decise il suo posto era stato preso da qualcun altro. Però Lucien Lelong gli propose di lavorare come modellista nella sua Maison, ma date le circostanze e il poco materiale a disposizione i modelli proposti dagli atelier non si differenziavano molto da quelli della moda di strada con gonne corte e spalle larghe. In entrambi i casi furono sperimentati ogni tipo di tessuto: per sostituire l’introvabile cuoio usarono legno sughero carta e finta pelle e si ridussero i consumi usando il minor quantitativo possibile di stoffa.  la donna con i suoi abiti era l’immagine della miseria: scarpe con suole a zeppa di sughero, effetti di calze disegnate sulle gambe, gonna corta perché mancava tessuto, spacco per andare in bicicletta a cui si contrapponeva il cappello unico elemento di fantasia realizzato con scarti di materiale inutilizzabili per altri usi. Rimaneva uno spazio di sperimentazione nel cinema, in particolare nella realizzazione dei vestiti di scena per i film in costume e Dior si specializzò nei modelli romantici e Belle Époque. In questo campo ebbe la possibilità di ricercare una silhouette femminile diversa da quella imposta dalla Maison per cui lavorava: busto che stringeva la vita ed esaltava il seno, gonne ampie gonfiate con la crinolina e drappeggi che lo riportavano a un tempo lontano e alle immagini di sua madre. Nel 1944 quando la Francia fu liberata ricominciò un ritorno alla normalità ma molto lentamente; mancava tutto, i trasporti erano interrotti e tutto era destinato alle necessità di guerra. Fortunatamente Lelong aveva lottato per non far fermare la moda parigina, che aveva ricevuto un duro colpo (la Maison stava già preparando la collezione invernale). Il “Theatre de la Mode” – Robert Ricci fu incaricato di organizzare una grande manifestazione a sostegno del programma di aiuti per mostrare la vitalità della moda francese e della couture > Ricci e Caldaguès progettarono una mostra di bambole vestite dai sarti parigini, lo scopo era mandarle in giro per il mondo per far conoscere le novità, in questo modo si risparmiava tessuto  manichini alti 70 cm in filo di ferro a cui vennero applicati visi in bronzo. Parteciparono anche molti artisti. Era il “Theatre de la Mode” inaugurato nel 1945 al Pavillon Marsan; fu un successo enorme e la mostra fu poi portata a Londra, Leeds, Copenaghen, Stoccolma, Vienna e Usa. Anche Dior aveva partecipato al progetto, molto probabilmente i modelli presentati sotto il marchio di Lelong erano suoi. La mostra oltre a essere una grande promozione, era segno che i tempi stavano cambiando  la produzione doveva riprendere Dior e Boussac – Nel periodo bellico molte case di moda avevano chiuso lasciando un vuoto. Dior e Balmain si misero in società per fondare un atelier ma l’idea morì sul nascere. Dior rimase quindi da Lelong in attesa di un’occasione migliore. Dior fu presentato da un’amica a Marcel Boussac, importante industriale cotoniero francese, che stava tentando di rilanciare la grande sartoria francese investendo molto nel settore ma non aveva un modellista: il progetto era creare una maison innovativa nel gusto e nell’aspetto, piccola ed elitaria, capace di produrre uno stile diverso ma conservando l’artigianato di qualità, doveva rappresentare gusto, ricercatezza, perfezione artigianale, lusso, esclusività ed eleganza. Bisognava creare una nuova griffe, dopo l’accordo, l’impostazione dell’impresa era nelle mani del couturier che costituì la squadra con cui lavorare e cercò la sede perfetta per comunicare il gusto Dior (da queste due scelte dipendeva la riuscita del progetto). Ogni collaboratore aveva un compito diverso: direzione dei saloni e delle vendite, promozione, responsabile ufficio stampa, direttrice dello studio, direttrice tecnica, consigliere artistico e direttore amministrativo. La notizia dell’enorme investimento aveva fatto il giro delle redazioni di riviste, ma si decise di rivolgersi principalmente alla stampa americana per creare attenzione intorno all’impresa e al nome Dior. Per la sede si cercò una collocazione all’interno del perimetro del commercio di lusso e vicino a un albergo; si scelse il Plaza. 30 La Maison Dior – La ristrutturazione fu affidata a Victor Grandpierre in stile Luigi XVI – 1900, con boiseries bianche, mobili laccati e tinte grigie. I lavori iniziarono nel 1946 mentre veniva creata la collezione primaverile e mentre procedeva la promozione, in cui vennero coinvolti amici di Dior (Carmen, Nicole Riotteau, Madame de Laba e Yvonne Minassian sfruttarono le loro conoscenze nell’alta società). Tutta Parigi parlava di Dior, anche le giornaliste delle grandi testate se ne interessarono: Vogue e Harper’s Bazaar con Carmel Snow il cui impegno era quello di sostenere la ripresa della moda parigina  i modellisti creano, ma senza le riviste, le loro creazioni non sarebbero mai né riconosciute né accettate. L’impresa interessò anche a molti imprenditori che offrirono a Dior i propri contributi: Serge Heftler – Louiche, un amico d’infanzia, gli propose di costruire una società per i profumi con il nome della nuova griffe, Dior decise di chiamarlo “Miss Dior” e l’anno dopo fu formalizzata la SARL dei Parfums Christian Dior. Poi un industriale americano gli propose di utilizzare nelle collezioni le sue calze ‘Prestige’ in cambio di 5000$ e pubblicità nei magazzini americani. Dopo ancora un produttore di seta cinese che vendeva shantung (utile per industria tessile francese ancora sotto effetto della guerra) con cui venne realizzata la giacca “Bar”, simbolo della collezione. La restaurazione del lusso: il New Look – Il 12 febbraio 1947 giorno della sfilata a cui era presente tutto il mondo d’élite e le giornaliste che contavano ma mancavano molti compratori americani  vennero presentati il modello ‘Acacia’ con busto aderente, vita stretta, fianchi segnati e gonna fino a metà polpaccio; altri capi con la stessa linea ‘a 8’ pulita, seno sottolineato, vita stretta e fianchi accentuati; poi modelli con gonne larghissime, la silhouette ‘Corolle’ sostenuta dalla sottoveste, busto modellato e vita sottile era la vera novità. In entrambi i casi c’erano gonne allungate, vita marcata, baschine delle giacche accorciate: una moda dalle linee femminili che valorizzavano chi le porta. Caratteristiche revival: influenza del secondo ‘800 reso più aggraziato dal gusto del ‘700  modellare il corpo della donna secondo una silhouette che ne enfatizzava le curve con l’aiuto del corsetto, uno dei cardini intorno a cui si costruiva il nuovo modello sartoriale. Al busto piccolo e arrotondato era aggiunta una gonna ampia, lunga fino al polpaccio che si appoggiava su una sottogonna rigida, restituiva un’immagine di femminilità ma anche di lusso, costruita attraverso ls quantità di materiale usato e la scomodità, difficoltà di movimento di un abito per apparire e non agire.  l’intento di Dior era quello di ripartire da prima della guerra e con la linea ‘Corolle’ riprendeva le tendenze di moda prima della guerra. Ma la progettazione era rigorosa e la confezione aveva richiesto molta professionalità dell’équipe. Non era facile in quanto era difficile trovare i materiali e bisognava tornare alle abilità manuali dimenticate. Le spettatrici della sfilata assistettero a una rappresentazione teatrale mai fatta da nessuna Maison e furono testimoni di una rivoluzione della moda e del modo di mostrarla. Carmel Snow fu la prima a definirlo New Look, furono soprattutto i giornali americani a diffondere la notizia che attirò buyer statunitensi e dive di Hollywood. Il tailleur ‘Bar’ con la piccola giacca di shantung crema e l’ampia gonna di lana nera a pieghe (immagine dell’imperatrice Eugenia) divenne il simbolo della collezione e del nuovo stile, è ancora oggi uno degli indumenti più documentati nella storia della moda. La collezione autunno-inverno 1947 confermò la linea del New Look accentuandone le caratteristiche: il modello ‘Diorama’ dal corpino aderente, allacciato davanti, a maniche corte, cintura di cuoio nero intorno alla vita e gonna amplissima bordata all’orlo  l’obiettivo era arrivare alla clientela americana, che usciva vincitrice dalla guerra e cominciava ad avere benessere generale esteso anche a media e piccola borghesia creando un nuovo tipo di consumatore, la società di massa che si stava sostituendo alla borghesia. L’America guardava all’Europa per apprendere la sua cultura. Parigi tornò ad essere un punto di riferimento per intellettuali e artisti e Dior capì che la moda era francese e solo puntando sulla “francesità” la couture poteva ritrovare il primato: si ispirò al Secondo Impero e alla Belle Époque con un sottile richiamo al Settecento, stili che erano stati dell’aristocrazia, poi della grande borghesia e ora della media borghesia americana, che si sentiva salvatrice della cultura occidentale. L’America voleva una moda che comunicasse i suoi valori, la sua ricchezza, il suo senso della famiglia e della comunità  Dior offrì l’immagine di una donna-fiore, fragile, priva di ironia, non femminista, che si occupava di moda e non di attualità o politica, imparava a scegliere e ad avere gusto, una donna irreale che assomigliava al ricordo che Dior aveva di sua madre, signora borghese, perbene e ossessionata delle apparenze. Dior la rappresentò in maniera semplice e diretta, scegliendo il lusso più comprensibile fatto di quantità e di lavorazioni preziose e i segni convenzionali da principessa o grande dama. Eliminò anche qualsiasi accenno alle avanguardie Stile Dior, dai segni precisi subito riconoscibili  gonna a corolla, cintura stretta, cappello minuscolo, scarpe con il tacco, pennacchio e spilloni. Collezioni 1948 – 1949 definite con termini di tipo grafico o dinamico per evidenziare l’effetto che il vestito sviluppava attraverso il movimento: abiti con strutture asimmetriche o effetti di sovrapposizione geometrici. Collezione autunno-inverno 1949 – 1950 “Milieu de siècle” fu l’apoteosi del modello Dior: infinite variazioni su tutti i temi a seconda dei modelli, alternando i tessuti per ottenere effetti asimmetrici a forbice e a mulino a vento, grandi colli, aderenze morbide, gonne a campana e drappeggi. Modello da sposa ‘Fidelité’: casto abito di raso con colletto, maniche lunghe e sopragonna drappeggiata su sottana di tulle La donna Dior – Gli abiti di Dior potevano servire solo al tipo di vita del ‘bel mondo’ chiamato Café Society, che richiedeva un guardaroba molto vario per le diverse occasioni della giornata  era un mondo fatto di dive hollywoodiane, sovrani in esilio o in carica, playboy ed ereditiere, armatori, finanzieri, vecchia aristocrazia e intellettuali alla moda: erano i soggetti privilegiati delle riviste di costume, di cui tutti seguivano feste, vacanze, matrimoni, amori, dolori Dior vestì questo mondo e nessuno si sottrasse al suo potere. Erano capi pensati per comunicare uno stile di vita elitario e lussuoso, difficili da indossare (bisogno costante della cameriera), difficili da portare, scomodi, pesanti e ingombranti (indossati per apparire e non per agire). 31 C’era un nuovo bisogno di lusso ostentato che corrispondeva a grandi feste e party (molti a tema e in maschera) per cui Dior realizzava gli abiti. Nella sua carriera creò anche costumi per molti film americani e francesi  Dior era il perfetto interprete del rito dell’eleganza. L’America – Nel 1947 Dior si recò in USA per ritirare l’Oscar della moda, accompagnato dalla troupe di Vogue, ma l’accoglienza furono molte donne, che contrarie al New Look, fecero manifestazioni e cortei. Era difficile imporre alle donne americane, che avevano conquistato molti diritti, il suo stile; era come tornare indietro di mezzo secolo. Abolizione della legge L – 85 che durante la guerra aveva regolato la produzione vestimentaria negli USA limitandola nella qualità e nella varietà  il mercato dell’abbigliamento fu di nuovo libero. Il viaggio aveva quindi lo scopo di promuovere il New Look attraverso il suo creatore e la comunicazione. Quando Dior ripartì tutti avevano sentito parlare di lui con il risultato che non solo i grandi magazzini di lusso ma anche l’industria di confezione seguì il suo stile. I Little Below the Knee Club, contrari, avevano perso la battaglia, ma Dior capì che la scelta stilistica della scomodità aveva rischiato di mettere in crisi la diffusione del New Look  dal 1948 lavorò su modelli con caratteristiche come morbidezza, ampiezza e silhouette per dare al corpo agilità e libertà. Il mercato della moda – L’America rappresentava per la moda un mercato più ampio e ricco di quello europeo. Quando nel 1940 gli USA avevano interrotto i legami con la moda francese, si erano riorganizzati per una produzione interna e per la creazione di una moda americana, progettata da designer di alta qualità. Ma nel 1945 i rapporti ricominciarono, forse per il fascino dello stile francese  il pubblico statunitense, abituato al ready – to – wear era meno esigente di quello francese, non chiedeva il prodotto di lusso esclusivo ma desiderava cambiare. Le poche donne che potevano spendere cifre altissime rimanevano ma accanto vi era chi cercava una moda più abbordabile. Il boom economico avvicinò all’acquisto di moda un pubblico sempre maggiore con precise esigenze  l’abito confezionato ma che fosse raffinato, ben fatto ed esclusivo Ciò permise a Dior di sperimentare qualcosa di nuovo, il pret à porter di lusso e nel 1948 aprì una sede a NY decorata in stile Dior. La prima collezione, interamente realizzata negli USA sfilò nel 1948. Lavoro sulle licenze che nel 1949 portò alla ridiscussione del contratto e alla prima licenza: le calze prima Prestige furono prodotte sotto il nome della Maison Dior in scatole grigie, nel 1950 seconda licenza delle cravatte gestite dalla Stern Merrit & Co. Nel 1952 fu inaugurata la sede di Londra ma fu deciso che la creazione di tutte le collezioni sarebbe avvenuta a Parigi per evitare spostamenti stagionali. Per arginare il mercato delle copie cominciò a vendere i modelli degli abiti delle collezioni (pratica di solito inusuale) L’immagine dell’haute couture – Era necessario che l’haute couture continuasse il suo spettacolo per sostenere tutti i costi; gli elementi che contraddistinguevano il New Look erano la lunghezza della gonna e la linea; fin dalla prima collezione del 47 la novità che aveva colpito era stata l’allungamento della gonna al polpaccio o alla caviglia negli abiti da giorno. Dior creava spettacoli facili da ricordare e comunicare, in ogni collezione scelse di sviluppare solo due temi con nomi che riassumevano le caratteristiche della silhouette con lo scopo di suggerire immagini grafiche o dinamiche a cui collegare gli abiti; anche i singoli nomi dei modelli avevano nomi che facevano riferimento all’ispirazione o all’immaginario (nomi di fiori donne paesi musicisti) La sfilata era preparata seguendo un rituale sempre uguale con Dior al centro del progetto  mito del couturier creatore, l’idea dipendeva solo dal suo gusto e dalla sua capacità evocativa. Nella prima fase lavorava con stretti collaboratori per buttare giù le idee, poi da solo lasciava che le idee si sviluppassero (associazioni libere o memoria involontaria). Dopo la fase progettuale c’era la selezione dei disegni insieme allo staff, i modelli scelti venivano affidati alla Maison per la realizzazione. Il nome veniva dato al momento della prima prova generale e ogni collezione prevedeva da 170 a 200 modelli che dovevano dare un’immagine di armonia complessiva passando dai capi più vendibili a quelli più spettacolari  l’evento veniva organizzato in ogni minimo particolare e provato su un pubblico ristretto perché da qui dipendeva il successo. Il pubblico era composto da compratori, giornalisti e rappresentanti del “bel mondo”. Anche la comunicazione al momento giusto era essenziale, dal giorno dopo i quotidiani dovevano parlarne, raccontarlo, discuterne ed enfatizzare l’evento e dal mese successivo dovevano pubblicarne fotografie e disegni con commenti. Lo stile Dior – Il New Look durò 7 anni: ebbe il suo apice nella “Ligne Muguet” e fu cancellato dalla linea “H”. Era chiaro che stava per nascere qualcosa di nuovo. Passata la crisi del dopoguerra stava sparendo la donna – fiore, l’industria della confezione stava arrivando anche in Francia ed era tornata Chanel presentando una collezione comoda per donne moderne. Il New Look era finito, ridotto alle mille cattive copiature e il modello femminile stava cambiando. Per la collezione autunno del 1954 Dior creò il “modello H” basato sulla lunghezza e sull’assottigliamento del busto, sulle parallele che formano la lettera H si costruirono abiti tailleur e mantelli, seno poco marcato e alto, giromanica verticale, effetti di drappeggi sotto la vita. Fu una rivoluzione che inizialmente portò sconcerto e poi pubblicità. Nelle collezioni successive il modello diritto venne riproposto nelle variazioni “A” e “Y”, ma a parte alcuni modelli, Dior non abbandonò mai il suo gusto e continuò a vestire una figura femminile dalle curve del corpo ostentate che amava gonne larghe e ricami fioriti  la diffusione e la concorrenza di altri stili mettevano in dubbio il New Look e l’haute couture mostrava segni di crisi; capendo il cambiamento in corso la Maison si dedicò al pret à porter e inaugurò la grande boutique. Nel 1957 a dieci anni dalla prima collezione la fama di Dior era giunta al culmine, ma lui morì inaspettatamente. Decisioni sul futuro dell’impresa: la Maison continuava, per non rompere con la tradizione la creazione restò all’équipe costituita da 4 persone scelte da Dior con un ruolo preciso, in quanto era stato creato uno stile un gusto una tecnica e un’organizzazione che nessuno doveva disturbare con influenze esterne  da questo momento l’immagine di Dior sarebbe stata legata al nome di Yves Saint Laurent, entrato nella Maison come assistente e di cui Dior aveva inserito dei modelli nelle sue collezioni. 32 La Francia aveva una tradizione nella confezione e una buona distribuzione, quindi una buona alternativa all’haute couture, emblema del segno della democratizzazione della moda e della possibilità per le donne di accedere a un mercato prima privilegiato all’élite; ma anche la necessità di un nuovo gusto più vicino agli standard di vita quotidiani. Le riviste di moda francesi aiutarono le lettrici a un nuovo gusto e i magazzini cominciarono ad avere un consigliere con il compito di visionare tutte le collezioni di confezione di lusso e di haute couture per avere armonia nell’immagine. L’alta moda era in crisi perchè stava perdendo clienti, soprattutto americane; Dior aveva colto il cambiamento introducendo la linea di pret à porter di lusso destinata al pubblico statunitense  negli anni ’60 cominciarono le vere linee pret a porter come alta moda. L’industria della confezione in Italia – In Italia non c’era la tradizione della confezione, ostacolata dai sarti artigianali che si occupavano di tutti gli strati della popolazione, dal fare abiti per élite a fare aggiustamenti per classi sociali più povere; il settore cominciò nei primi anni 50 e nacque principalmente nelle aziende tessili, con anche iniziative imprenditoriali nuove; la produzione principale riguardava l’abbigliamento maschile, ma anche quello femminile. Nacquero per l’occasione delle associazioni: nel 1945 Associazione italiana industriali dell’abbigliamento (AIIA); l’industria italiana necessitava di strumenti organizzativi e commerciali per il proprio sviluppo / nel 1955 a Torino Salone mercato internazionale dell’abbigliamento (SAMIA) / nel 1957 Milano Mercato internazionale dei tessili per l’abbigliamento e l’arredamento. In quegli anni la confezione non si era preoccupata dello stile o della creazione di tendenze; il problema sul “contenuto moda” si pose nel 1959 e l’AIIA diede vita al Comitato moda con lo scopo di promuovere un’azione di coordinazione fra creazione produzione e distribuzione  l’haute couture dettava lo stile del pret à porter: le industrie avevano un anno di tempo, dopo l’uscita delle sfilate, per creare pret à porter ispirati all’haute couture e far uscire le proposte sfalsate di un anno; sistema che durò fino al 1963 – 1964, Comitato suggeriva alle aziende di cercare un proprio stile di differenziazione ricorrendo a disegnatori esperti o usando stimoli originali dell’alta moda  ma poche aziende cercarono la collaborazione se non saltuaria di designer  1969 Torino aperta la Modaselezione dedicata alla produzione di abbigliamento industriale di alta qualità; anche se nello stesso periodo stavano nascendo delle piccole aziende molto innovative > industria di confezione stava terminando (anche per rialzamento dei costi dovuti alla crisi petrolifera)  a favore di un pret a porter più giovane e d’avanguardia (con richieste dal pubblico diversificate) senza simboli di lusso  per affrontare la crisi tutti i settori dell’abbigliamento si unirono nella Federtessile (Federazione nazionale delle industrie tessile e dell’abbigliamento) e gli imprenditori cominciarono a investire sul sistema capillare di piccole imprese collegate a filiera, e fu individuato il nuovo ruolo di progettazione creativa. La moda giovane degli anni Sessanta – prime manifestazioni vestimentarie fine anni ’50 con blousons noirs, blousons dorés o jeans come abbigliamento da città (prima solo da lavoro); 1958 – 1959 compaiono i primi stilisti di pret a porter; solo dal 1965 che comincia una vera e propria moda nuova, con accorciamento fino alla mini; anni 1966 – 1967 nasce 35 movimento hippie che sceglie abiti folclorici e vestiti di cuoio, gilet e abiti e blue jeans; dal 1970 anarchia con mode che si mescolano e danno vita alla tenuta militare e al kitsch  attore di questi cambiamenti: studente, che cominciava a riconoscersi in gruppi di ideali, culturali, politici, musica, luoghi di ritrovamento, colori, abiti  molto spesso adottarono gli “stili” > teddy boys, mods, rockers, beatniks, hippies, moda pop ecc come gruppo di appartenenza; recuperavano abiti in viaggi in Oriente oppure in magazzini dell’usato. Moda pop: femminile ricalcava le forme infantili, maschile inventava colori fantasiosi e vari e decori psichedelici  moda più vicina alla fase infantile che non a quella adulta. Inghilterra e Francia colsero la novità e aprirono boutique, negozi esclusivi concepiti per un pubblico di adolescenti. La minigonna femminile era la divisa di una ragazzina che si rifiutava di crescere e non aveva implicazioni erotiche, ma esprimeva anche grazie ai colori la voglia di vivere. Il progetto era quello di partire dalla presenza di una nuova clientela di adolescenti con esigenze alternative e lanciare mode con proposte innovative più consone; le mode traevano ispirazione dai teenagers, dai loro miti musicali e cinematografici; la moda non era più creata per élite ma confezionata in serie per un pubblico democraticamente allargato, e al couturier si sostituì lo stilista, che a volte proveniva dall’alta moda come Karl Lagerfeld. L’haute couture cambiò radicalmente e propose uno stile ispirato alla fantascienza il cui mito invadeva l’Occidente > abiti diritti, privi di riferimento al passato, che ostentavano le strutture con cuciture visibili e uso di materiali tecnologici assolutamente inusuali, con geometria che imperava sullo stile  simbolo di ragazza spigliata, proiettata nel futuro, nel progresso. Pret a porter aveva ora ruolo paritario a haute couture e gli anni ’60 avevano creato un sistema di realizzazione del progetto che passava da creatore di moda a industriale a vendita  haute couture se ne accorse > es. Courrèges nel 1965 fece sfilata con abiti haute couture ma anche pret a porter > totale rivoluzione del couturier, ora stilista, che era meno legato alla perfezione dell’oggetto e più alla cultura moderna. Distribuzione grazie a boutique monomarca a Parigi e poi in tutta Europa (solo Balenciaga di tutte le case di moda non accettò il cambiamento e infatti chiuse nel 1968) /USA con grandi magazzini che uno dopo l’altro chiudevano tutti i settori dell’haute couture. Francia stilisti cominciarono a uscire dall’anonimato e firmare le proprie collezioni, oppure lavoravano con marchi ma che gli riconoscevano lo stile creativo  1971 creata la società Createurs & Industriels per stabilire rapporto fra stilisti e industriali; creazione della Chambre syndacale du pret a porter des couturiers et des createurs de mode che organizzava manifestazioni unitarie dei due settori. Il pret a porter italiano – in Italia l’unica azienda che trasse vantaggio da questi cambi repentini fu Max Mara che propose una linea pensata per i giovani div. sartoria che sentendosi superiori cercò di creare pret a porter di lusso  ma il nuovo stava seguendo i modelli inglesi e francesi, e in Italia si fece grazie a boutique che mescolavano abiti d’importazione con piccole collezioni prodotte direttamente  es. a Milano si creò il “quadrilatero della moda”, quartiere ricco di queste realtà in cui era necessario creare abiti d’avanguardia con professionalità nuove: creativi, con gusto internazionale, capaci di adattarsi alle novità rapidissime, insensibili all’elitaria haute couture, e con idea che abito 36 fosse una forma di divertimento; insieme a produttori di materiali innovativi ma poco costosi. In una decina di anni il mercato della moda si sviluppava intorno a spazi tradizionali ma soprattutto boutique specificatamente per mercato giovanile; anche le manifestazioni e sfilate si adattarono: sfilate dedicate alla confezione e pret a porter; cominciarono a diventare sinonimo di nuovo nomi come Krizia, Missoni, Karl Lagerfeld, Walter Albini, Miguel Cruz, Alberto Lattuada, Ken Scott. La professione di stilista: Walter Albini – stilista doveva essere la figura chiave come creatore di contenuto, ma la moda di confezione era fortemente legata come riconoscibilità al marchio aziendale o al nome della boutique che la distribuiva > far emergere un nome significava creare un terzo polo nel sistema di produzione,con industria di piccola serie progettata e seguita da un unico creativo > Walter Albini fondò con Papini una piccola società, la Misterfox e la collezione autunno – inverno del 1970 – 1971 a palazzo Pitti ebbe un enorme successo. Era necessario non disperdere in tanti canali la proposta dello stilista ma presentarsi sul mercato con un’unica idea forte e riconoscibile che qualificasse una grande varietà di prodotti  fu scelta Milano, che non aveva legami con il passato dell’alta moda, era stata capitale del boom economico, delle avanguardie, del design, della contestazione. Gusto generale era quello della voglia di appartenere a un’ideologia o a un gruppo con rifiuto del modello tradizionale che ebbe due conseguenze: ricerche di vestiti provenienti da aree precapitalistiche (indumenti e accessori orientali, sudamericani, africani, zingareschi e folk) e da aree marginali (abbigliamento più neutrale possibile: camicia e pullover, pantaloni di velluto a coste o jeans, scarpe comode)  Albini comprese di dover creare clima di gusto dove queste esigenze potessero riconoscersi controllando una collezione completa > 1971 sfilò collezione autunno – inverno con 180 modelli, prodotti da 5 aziende (ogni abito aveva infatti etichetta “Walter Albini per …”); nel 1972 presentò poi collezione di abiti solo con il suo nome, “WA”, rompendo con 4 delle aziende del team (rimaneva solo Misterfox); nel 1973 ancora presentò collezioni a Milano con marchio “Misterfox” e a Roma con “WA”  i risultati non furono quelli sperati: l’Italia non era pronta per l’affermarsi in proprio di uno stilista italiano. Lo stile – invenzione di uno stile con cui presentarsi al pubblico per il popolo dei giovani che aveva tanti interessi e standard di vita tradizionali > bisogno di identificazione con stile che non cambiasse nel tempo: Missoni con materiali e colori della maglieria; Krizia con stile ironico e eccessivo per mode nuove di hot – pants, midi, maxi, kitsch, revival, con stretto legame con avanguardie storiche e pop art; Scott con grandi stampati; Albini con revival dei primi decenni del secolo, perché dopo anni ’60 con spinta verso modernità c’era stato forte recupero del passato (nel campo cinematografico con Hollywood e registi, Parigi proponeva arte e stili decorativi primi decenni, YSL proponeva collezioni ispirate a anni ’40), con ricerca di un look totale e desiderio di trovare un modello di eleganza e lusso privo di legami con alta borghesia ma anche con movimenti contestatori: in una fascia intermedia fra i due estremi. La seconda generazione – 1975 tutti gli stilisti avevano seguito l’esempio di Albini e spostato le sfilate a Milano, capitale del pret a porter; a questo punto cominciarono a 37 Mode di strada, ricerca di avanguardia, produzione industriale – alla tendenza degli anni ’80 si aggiunsero nuove mode, come Gaultier a Parigi e Westwood a Londra (dal movimento punk, dava svolta alla creatività inglese reinterpretando in modo irriverente e sarcastico i simboli della società britannica)/ ma anche mode opposte come minimalismo, con prodotti con purezza di tagli e quasi assenza di colori ma con tessuti ricercati, come Zoran, Donna Karan, Jil Sander, Prada, Helmut Lang  contrapponevano alla facile adozione di oggetti griffati una scelta di materiali preziosi e intelligente sobrietà / mode di cui i giapponesi furono i maestri: stilismo nipponico poi ripreso in Francia da Kenzo e Issey Miyake / moda primi anni ’90 con gruppo di stilisti dall’Accademia di Belle Arti di Anversa, Belgio, con un’estetica della decostruzione dei capi e sperimentazione radicale (es. Martin Margiela che utilizzava etichette bianche per sottrarsi alla logica delle griffe); in contrapposizione a ciò stile italiano fu massimalista cioè con effetti ricercati e opulenti, che cadevano nell’alta moda con inventiva  pochi stilisti come Armani e Moschino si attennero legati all’industria con stile sobrio e rigoroso. La fama di Milano nel mercato del pret à porter continuò grazie alla qualità del prodotto ma non alla capacità innovativa (tranne per Antonio Marras che portò novità con abiti influenzati da tradizioni sarde); negli anni ’80 solo Armani e Dolce&Gabbana mantenere ruolo internazionale, anche se 2005 Armani creò “Armani Privé” sezione dedicata all’haute couture e sfilò a Parigi; successo made in Italy fu mantenuto grazie ai grandi marchi come Max Mara che gestivano marketing e creatività. Vecchi marchi e industria del lusso – rilancio di vecchi marchi: Pucci che nel 2000 venne acquistato da gruppo LVMH e la cui direzione passò da Pucci, a Christian Lacroix a Matthew Williamson, troppi cambiamenti che non diedero continuità / Gucci nel 1990 affidata a Mello e proprietà di Investcorp e de Sole con Tom Ford come responsabile delle collezioni e della comunicazione; obiettivo era conoscere il passato del marchio (si acquistarono vintage e ricerche di foto passate) per stile futuro: collezione autunno inverno 1995 – 1996 come rivisitazione anni ’70 con abbigliamento maschile con completi aderenti, pantaloni a vita bassa, colore e velluto e abbigliamento femminile con giacche, pantaloni scampanati a vita bassa, camicie di raso, cappotti + scarpe di vernice con morsetto a staffa argentato (“G”) così come le fibbie e le borse per mostrare la griffe, perché era una moda lussuosa che ostentava  successo internazionale ma nel 1999 PPR la acquistò e uscita di Ford e de Sole > fine della stagione Gucci. Nuove forme di consumo – sistema di fabbricazione e consumo cambiava radicalmente un’altra volta fine XX sec: produzione decentrata in paesi a basso costo con grande distribuzione di catene come Gap, Zara e H&M  i consumatori volevano sempre novità effimere e passeggere, non abiti come status symbol o di grande qualità > nata moda di confezione in serie per il mercato globale, progettata secondo ricerche dei mercati, analisi dei consumi, marketing in cui ruolo creativo passava in secondo piano. XV. HAUTE COUTURE E INDUSTRIA DEL LUSSO: CHANEL Rivoluzione dei costumi anni 60 e 70, affermazione delle culture giovanili, processo di democratizzazione e diffusione del consumo di massa avevano favorito lo sviluppo del pret à porter sempre più qualificato e creativo. Nessuno si rivolgeva più all’haute couture per comprare creatività (industria della collezione con i propri stilisti che non avevano bisogno di andare a Parigi per acquistare modelli). Continuavano a presentare collezioni due volte l’anno, rimaneva la clientela privata, ridotta nel numero e nelle richieste; il loro vero volume d’affari erano i profumi, le licenze e il pret à porter, spesso inadatto a fare 40 concorrenza a quello degli stilisti. Le collezioni non avevano più modelli destinati a una diffusione allargata, ma erano principalmente meravigliosi abiti da sera; intorno alle passerelle c’erano giornalisti di tutti i media internazionali, pochi clienti e invitati eccellenti  straordinaria esibizione di abiti che nell’immaginario erano irraggiungibili, il potenziale dell’haute couture non era quindi esaurito. Negli anni 80 i proprietari delle maison parigine cominciarono a riconsiderare il lusso, meno esclusivo, guidato da logiche di marketing orientate al mercato di massa, ma ancora finalizzato a creare uno status symbol; prima fra tutte Chanel. Karl Lagerfeld e la Maison Chanel – Nel 1982 Karl Lagerfeld cominciò a lavorare come consulente artistico per l’haute couture nella Maison Chanel, ciò creò stupore: una delle case di moda parigine più antiche si affidava a uno straniero, specializzato nel pret à porter. Lagerfeld era nato ad Amburgo ma lavorava a Parigi dal 1954, aveva iniziato la carriera nell’haute couture ma dagli anni 60 lavorava per aziende e firme pret à porter. Negli anni 80 era considerato uno degli stilisti più famosi nel panorama della moda d’avanguardia (aveva creato marchi come Fendi e Chloé). Era quindi comprensibile lo stupore che una delle case di moda più antiche e tradizionalistei si mettesse nelle mani di qualcuno che non aveva pratica nell’alta sartoria perché aveva deciso di lavorare lontano dal mondo aristocratico e lussuoso della couture  si capì che era per una strategia di rilancio della Maison Chanel, per coinvolgere anche la boutique. La Maison Chanel – Dopo la morte di Coco nel 1971 il compito creativo fu affidato a Gaston Berthelot affiancato da due premiers d’atelier, Jean Cazaboun e Yvonne Dudel. Avevano continuato a proporre modelli che ne avevano decretato il successo negli anni 50 e 60; per tutti gli anni 70 la sopravvivenza della Maison fu affidata all’atelier con i professionisti che avevano lavorato con lei e che quindi ne conoscevano i segreti. Ma loro non avevano le stesse capacità creative e di inventiva. Alla fine degli anni 70 la moda non era più dettata dalle maison di haute couture ma dagli stilisti che presentavano su passerelle meno lussuose i prototipi di abiti poi prodotti industrialmente e messi in vendita in boutique di tutto il mondo. La nuova scena fu occupata da “donne in carriera”, nate dopo la guerra, che non apprezzavano gli abiti di haute couture inadatti al loro stile di vita; inoltre Parigi aveva perso il privilegio di essere l’unico centro che diffondeva nuove mode (anche NY, Firenze, Londra e Milano). Già dalla seconda metà degli anni 70 Chanel non era più un marchio di punta e i clienti stavano diminuendo. Proprietario del marchio era (ed è tutt’ora) la famiglia Wertheimer che nel 1954 aveva acquistato l’intera Maison e nel 1965 la guida era passata al figlio Jacques, che non aveva capacità imprenditoriali. Nel 1968 fu lanciata una campagna pubblicitaria di Chanel N°5, consentendone una distribuzione incontrollata che gli fece perdere l’aura di prodotto di lusso. Nel 1973 la sede fu spostata in nuova sede a NY. Nel 1974 Jacques fu sollevato dall’incarico e alla guida passò il figlio Alain che non aveva esperienza. Il problema fu affrontato sia correggendo gli errori sia interpretando il nuovo scenario della moda. Innanzitutto si riportò la distribuzione del profumo in canali più controllati e fu valorizzato questo settore (1978 primo spot pubblicitario e lancio di N°19 e di ‘Cristalle’). Furono creati anche cosmetici e nel 1975 la linea Beautè. Seguendo l’esempio dei couturier parigini si sperimentò il metodo delle licenze per proporre la Boutique Chanel (con borse, scarpe, foulard, cravatte, pret à porter) che cominciò ad espandersi nel mondo; però le entrate non compensavano la perdita d’immagine. Si ripensò tutta la strategia Chanel: potenziale del settore boutique e necessità di ruolo che le spettava nel sistema della moda parigino (la moda che ormai faceva notizia era quella degli stilisti)  si decise di affidare a Karl Lagerfeld il compito di far rinascere il nome Chanel L’haute couture di Karl Lagerfeld – La collezione presentata nel 1983 da Karl non suscitò grandi entusiasmi perché o riprendeva troppo lo stile classico di Chanel o era troppo innovativa; Karl non aveva ancora avuto modo di studiare l’universo Chanel quindi aveva proposto dei temi che erano sicuri per la clientela abituale: tailleur di tweed con blusa coordinata, blu unito al bianco e per la sera forreaux di pizzo mussola e organza; accessori bottoni gioiello, colanne di perle, scarpe bicolore e cappelli piccoli. In mezzo agli altri c’erano però due modelli più apprezzati e più innovativi: il primo era un tailleur nero con la giacca lunga e diritta portata su pantaloni con abbottonatura alla marinara, con camicia bianca maschile lavorata a nervature e colletto chiuso da un papillon nero e allacciatura nascosta da un cannoncino affrancato ai calzoni con un grosso bottone scuro  in dialogo tra la collezione di Coco del 1954 e la moda contemporanea: le donne emancipate di Coco si erano vestite con abiti ispirati all’abbigliamento virile così le donne in carriera degli anni 80 stavano adottando giacca e tailleur pantalone, rubati dall’armadio maschile, come una divisa / il secondo era un semplice fourreau di crepe di seta nero con scollatura sulla schiena e maniche lunghe trasformato in un modello da sera, con collo, polsi e vita decorati con l’applicazione a ricamo di catene, pietre, perle finte, perline dorate, coralli e nappe  non era una semplice ispirazione dal passato ma un lavoro di decostruzione del mondo Chanel e di un’analisi semiotica: l’obiettivo era separare i segni esteriori dai significati di Coco per costruire un codice senza tempo, fondamentale per creare un mito moderno. L’esperimento combinava tubino nero e bijoux, trasformando i bijoux in un trompe-l’oeil ricamato. Il “patrimonio spirituale” di Chanel – “Chanel è un look, un mood, una concezione da portare in un altro decennio. È abbastanza forte da adattarsi a tutte le epoche”. La moda e la silhouette sono cambiate, dagli anni 80 e 90 lo stilista decide di rendere pubblico il proprio percorso per usarlo come chiave interpretativa. Nel 1989 fu organizzata la mostra “Chanel. Ouverture pour la mode à Marseille”: vanno considerate la sua vita e la sua carriera, strettamente legate, per capire il suo genio e vanno eliminati preconcetti. Ripercorrendo la storia di Coco si scopre che il suo lavoro anni 20 e 30 non era stato così unico, le innovazioni più importanti erano state fatte da altre donne (Vionnet e Schiapparelli) e alcune innovazioni ritenute di Coco in realtà non lo erano (tagliarsi i capelli corti e i bijoux falsi). La stessa collezione del 1954 non era così innovativa, aveva semplicemente riproposto un gusto. Secondo Karl il suo punto debole fu il rifiuto dell’evoluzione fino a diventare lei stessa ‘fuori moda’ agli occhi del pubblico. L’audacia e il coraggio di respingere il cambiamento furono un’espressione della sua sete di potere e di dominio del mondo della moda. Tutto ciò però non metteva in 41 discussione il peso che Chanel ha avuto nella storia della moda: vivere i cambiamenti culturali e tradurli in moda  il suo più grande merito è stato quello di vestire la donna dei suoi tempi La chiave interpretativa proposta da Karl fu appunto la filosofia del cambiamento, del saper evolvere interpretando i tempi e i desideri delle donne, ciò che non avevano fatto i direttori artistici precedenti continuando a riproporre le stesse cose (anche il classico si evolve). Il patrimonio di Chanel consentiva di adattarsi alle mode più diverse  Karl arrivò a una libertà di contaminazione tra presente e passato; dopo aver fatto una ricerca sulle fonti ricavò i segni che avrebbe trasformato in un codice simbolico. Il risultato di questo lavoro è un gruppo di disegni, datati 1991: prima serie ripercorre la storia di Chanel, in cui a ogni decennio è dedicata una tavola con schizzi di modelli, sono pochi e scelti con cura per rappresentare una sintesi della decade, datati e riprodotti con fedeltà, anche nella grafica. Ogni modello è accompagnato da didascalie e titolo generale: anni 10 cappello linea fluida e jersey; anni 20 tubini neri tailleur sportivi e completo di maglia bianca; anni 30 abiti da gran sera di pizzo pochette tailleur con spalle imbottite bijoux e marchio doppia C; dopoguerra tailleur nero o di tweed abito da cocktail di mussola e accessori. Karl trovò un foulard prodotto nel 1965 con disegni stilizzati, ovvero i simboli dell’ultima fase della sua carriera nella moda. Il lavoro di decostruzione e selezione aveva messo in luce una serie di segni visivi che potevano essere disancorati dal periodo in cui erano nati, fissati in un eterno presente e indémodable; fu creato un codice fatto di emblemi potenzialmente eterni che potevano essere usati in qualsiasi modo e situazione  lo stilista era libero di esprimere la propria creatività, ma quei segni erano l’unico vincolo, il modo per riconoscere lo stile Chanel. La nuova moda Chanel – Dal 1983 Karl aveva tutta la direzione artistica della Maison: haute couture, pret à porter, accessori e pubblicità. Fu dal prêt à porter che cominciò il ringiovanimento della moda Chanel  la clientela della couture era ancora la stessa, signore dell’altissima società internazionale tradizionaliste e raffinate; la clientela del pret à poter invece era composta da giovani donne in carriera e fu di loro che si concentrò. La collezione primavera-estate 1984, la prima ufficialmente firmata da Lagerfeld, presentava i classici tailleur di tweed color pastello, il tubino nero, abiti da sera in pizzo ma anche una rivisitazione più trendy dello stile anni 20: modello informale del 1928 all’origine di gonne a pieghe al polpaccio, con o senza spacco sul davanti, abbinata a tuniche di jersey rigate, camicette bicolori e una giacca cachemire da indossare con canottiera più lunga e una giacca cardigan di cachemire a righe; anche i costumi Train Bleu furono riportati ma secondo le regole della pratica sportiva più recente (completo da cricket tennis scherma polo e motociclista) con attrezzi e accessori pensati per essere indossati nella vita quotidiana e inoltre fu proposto un tailleur e una giacca senza maniche in denim (materiale povero e molto popolare) ma che ebbe poco successo. La collezione primavera-estate 1985 proponeva giacche con spalle allargate e imbottite, gonne ben sopra il ginocchio (poi metà anni 90 shorts e alle minigonne) e introduceva la pelle, rossa o nera.  fare di nuovo moda essere al passo con i tempi e magari anticiparli! Stupire il pubblico con proposte originali e trasgressive, pensate per la nuova mondanità internazionale (mogli dei petrolieri arabi e charity-ball-set) Il codice Chanel – Ben presto i segni, esportati dalla loro collocazione originaria, cominciarono a cambiare aspetto e materia. Nel 1977 la Maison creò un catalogo con diverse versioni di ciascun segno, maggiormente ridotti (scarpe borsa cintura camelia bottoni e bijou); mostrava le innumerevoli maniere in cui era possibile creare oggetti diversi pur restando fedeli a un codice. Collezione 1984-1985 la borsetta 2.55 diventò una decorazione ricamata in trompe l’oeil con paillettes su un tubino nero / Collezione 1986 un tailleur classico fu ricamato con paillettes nere e i bordi della giacca e delle tasche rifiniti con applicazioni di una passamaneria che simulava la catena d’oro con il nastro di pelle + motivo a losanghe usato nei più svariati modi e segno distintivo di Karl / Collezione 1990-1991 giaccone di tweed con enormi maniche di nappa e motivo a losanghe che creava pastiche accompagnato da cappello a forma di borsa 2.55. Le camelie furono appuntate ovunque, come parte dell’abito o come spilla, cambiavano colore e materiale, potevano diventare cappello orecchini borsa orologio e disegno di un tessuto, perfino scenografia. Il tailleur cominciò a subire mutazioni: anni 90 in tinte fluo, la sua giacca o si allungò sui fianchi o fu accorciata e modellata, indossata su una gonna di jeans o mutande da uomo; anche il tessuto trattato o in modi impertinenti (sfilacciato o sfrangiato) o raffinati e ricercati (ricamato da Lesage). Nuovi collaboratori giovani e creativi, capaci di portare il non ancora visto. Le mode di strada entrarono in passerella attirando clientela più giovane. Collezione primavera-estate 1991 il classico blazer fu confezionato in tessuto elasticizzato coperto di paillettes giallo sole, verde o blu cobalto, indossato su pantaloni da ciclista neri e corti al ginocchio / Collezione successiva con maggiori novità: giacca di tweed abbinata a minigonne di jeans e stivaletti da motociclista; giubbotti chiodo di pelle nera e stivaletti da moto abbinati a gonne da ballo, arricciate e con spacchi sul davanti, e con berretto di pelle, camelia e bijoux / Collezione autunno- inverno 1990 – 1991 comparvero sulla passerella i primi piumini / Collezione 1994 i costumi da bagno, abbigliamento tecnico per sport e ginnastica. Le scelte di Karl tenevano conto di un cambiamento dei costumi che arrivava dagli USA (jeans maglietta e scarpe Nike) Il mito Coco – Tutto ciò poteva funzionare solo grazie alla sopravvivenza del mito di Coco Chanel, che andava periodicamente riproposto al pubblico. Lagerfeld lo aveva capito fin da subito, come si vede nei disegni del 1991 in cui è Coco l’indossatrice reale o presunta dei modelli (fotografie o nome nella didascalia o figurino con le sue fisionomie). Anche la scelta delle modelle icona, identificate dal pubblico come l’incarnazione dello stile e di quel modo indipendente e unico di essere donna che aveva caratterizzato Chanel (lei era l’ideale di sé stessa, si vestiva bene e faceva venire alle altre donne il desiderio di somigliarle). 42 donne, unito a una mitologia del lusso (grazie anche alle performance di haute couture, al pret a porter di assoluta avanguardia e all’alta gioielleria) > la nuova Dior doveva vendere lusso moderno ma trasgressivo, le donne dovevano avere lo status symbol della griffe ma anche la sensazione di osare novità eccentriche. Marketing e creatività – sistema doveva essere retto da marketing e comunicazione, con campagne pubblicitarie per raggiungere un pubblico vasto e diverso da quello tradizionale di Dior, e anche tramite il rifacimento delle sede principali; ma il cuore della comunicazione rimaneva la moda e quindi la sfilata: l’haute couture, con limitata possibilità di vendita degli abiti “importabili” (se non per pochi personaggi di spettacolo che creavano facevano ancora più notizia) aveva la reale funzione di comunicazione e attrarre l’attenzione, essendo un grande spettacolo; anche le sfilate di pret a porter non erano semplici abiti che si sarebbero potuti appendere ai manichini, ma era pensata come uno spettacolo; Galliano introdusse la pratica di uscire e farsi vedere sulla passerella a fine sfilata, vestito in modi particolari che riprendevano il tema e chiudevano la sfilata: atto di marketing perfetto perché aspettato con curiosità. La sfilata spettacolo – le sfilate di Galliano assumevano sempre più forma di grandiosi spettacoli teatrali: collezione primavera – estate 1998 rese omaggio alla marchesa Luisa Casati (38 modelli erano ispirati alla vita della donna, che finiva con finale grandioso su scalone ricoperto di farfalle di carta; i modelli non erano di per sé troppo eccentrici, ma la scenografia, il trucco, le pettinature, i cappelli e la recitazione delle modelle lo rendevano spettacolare); collezione autunno – inverno 1998 “Principessa Pocahontas”: scenografia tipica con sabbia del deserto, profumi di spezie, tende e arrivo di un gigantesco treno “Diorient Express” da cui scendevano le modelle; collezione successiva ispirata al Surrealismo con temi che aveva fatto anche Schiapparelli. La “Nuova Generazione Dior” – collezione spettacolare a Versailles con vari modelli, ispirati al film Matrix (con vestiti di cuoio, metallo, tessuti plastificati), alle nobildonne inglesi a caccia di volpi (con vestiti irriconoscibili), alle fanciulle orientali (vestiti di tulle trasparente e giganteschi orecchini); collezione 2000 fece scandalo: modelli ispirati ai clochard che sembravano stracci recuperati dal cestino, tagli asimmetrici e irregolari, cuciture a rovescio, assemblaggio casuale, oggetti come spaghi, tappi, bottiglie, posate, giornali attaccate ai vestiti  ma in realtà i materiali erano molto ricercati, stampati apposta, e le cuciture erano costruite con maestria; nonostante le critiche la collezione ebbe successo di vendita, anche perché fra le critiche c’era quella che lo rimproverava di creare abiti non per le clienti borghesi, ma lui voleva ciò, la sua nuova clientela erano infatti donne giovani ispirate a moda di strada come punk o grunge, con gusto anche un po’ trash delle russe con “fidanzati” con carta di credito illimitata  tutto ciò fu sentito come un oltraggio a Dior e l’haute couture, ma in realtà era perché la moda era cambiata, era ora una tendenza artistica avanguardistica e l’abito perdeva i vecchi significati: sintetizzava culture diverse, rifiutava l’euforia anni ’80, divenne una sfrontata esibizione di lusso, esempio di cambiamento e creatività nuove. Le donne che lo indossavano erano sfrontate e arroganti, volevano sfoggiare i segni del lusso come la griffe visibile su ogni abito (“CD”), erano ribelli e libere, sessualmente 45 ambigue (con icone come Kate Moss e Gisele Bundchen) ed era necessario per loro vestire quelle poche marche come Dior, Vuitton, Chanel, Gucci, Prada. Collezione primavera – estate del 2001 si ispirò alle “represse donne degli ani ‘50”, madri con bigodini, abiti pre-maman, simboli della vita di middle class; seguite da Wonder Woman e altre eroine moderne, emancipate e femministe, con modelli che univano suggestioni di amazzoni e soldatesse greche. Collezione primavera – estate 2006 ispirata alle rivolte che erano scoppiate in tutte le periferie della Francia da parte di una gioventù francese considerata di seconda categoria perché figlia di immigrazione > modelli con ispirazione diretta a Damien Hirst, allusioni alla ghigliottina e quindi alla Rivoluzione, con vergato sul collo o decolleté come tatuaggio da lager, scheletri e pezzi di corpo disegnati a ricamo, e tutto rosso sangue. Viaggi e “nouveau glamour” – Galliano si concentrò su due modelli di ricerca: incursioni in mondi lontani e ritorno alle origini della Maison  per influenze estere prese spunto da Medio Oriente, Russia, Cina e Giappone con tagli, tessuti, materiali e colori trasfigurati nel suo linguaggio eccentrico, con significato preciso di una globalizzazione che rispettasse le diversità culturali, e che ebbe grazie al suo background multietnico e ai numerosi viaggi; nel 2006 per i suoi 10 anni in Dior creò 12 versioni della Saddle Bag ognuno ispirato a un paese diverso / per ritorno alle origini: sfilata autunno – inverno 2002 “Nouveau glamour” ispirata a USA e Hollywood anni ’40 e ’50. 2003 collezione ispirata alla danza (flamenco, danza classica, raggae, tango, can can); 2004 tema del viaggio specialmente in Egitto > modelle come regine e divinità dei faraoni; collezione successiva ispirata a Mitteleuropa con regine, imperatrici e principesse e antico lusso di corte; 2006 ci fu enorme crisi finanziaria mondiale > drastica riduzione dei consumi > dirigenza Dior fece attenzione al marketing e alle richieste, che erano ora nell’eleganza più ricercata, più tradizionale della Maison, in particolare dalle ricche cinesi che non volevano più eccentricità, arroganza porno – chic, audaci destrutturazioni, ma richiedevano l’antico chic parigino. Il “New New Look” di John Galliano – 2005 sfilata come film biografico della vita di Christian Dior: la sfilata era divisa in varie sequenza, partendo da Dior e madre Madeleine che erano vestiti come a inizio ‘900; poi per raccontare il lavoro di Dior con modelle che mostravano il modo di costruzione del modello in atelier; c’era poi la sequenza di presentazione delle tre collaboratrici di Dior, le direttrici che lo aiutarono a mettere a punto la silhouette; poi il risultato: il New Look mostrato in 6 modelli che mostravano le variabili; le clienti celebri, le dive di Hollywood; poi le vere clienti della Maison, le aristocratiche francesi e le debuttanti famose; a conclusione della sfilata 3 scene per sottolineare il legame di continuità ideale fra Dior e Galliano: una rivisitazione delle ballerine di Degas con materiali della tradizione andina, poi tributo al lavoro dell’atelier con 4 Catherinette (Catherine patrona dell’haute couture) e infine un omaggio alla passione per i balli mascherati  la maggior parte dei modelli erano ispirati alla fotografia di Bassman che sfocava certi parti per metterne a fuoco altre, e il risultato era quello di una specie di radiografia dei modelli in cui si potevano vedere l’iter progettuale di Dior, l’attenzione su dettagli sartoriali e costruttivi, sui ricami, sui colori ecc, ma soprattutto la collezione era 46 frutto di una ricerca dall’archivio della Maison che aveva prodotto un dialogo passato – presente non come semplice omaggio e riproposta, ma come proposta di una nuova moda. I sessant’anni della Maison Dior – evento fu celebrato in grande stile con pubblicazione di un coffeetable book, una mostra, la ristrutturazione della boutique e l’haute couture a Versailles con un party. Sfilata all’Orangerie “Bals des artistes” ricca di simboli del lusso di Luigi XIV e Dior, e i temi principali erano due: le feste in costume e l’arte con 45 modelli ispirati all’arte e agli artisti con cui aveva lavorato Dior; fu un grande successo, e raggiunse l’obiettivo di esaltare l’haute couture con la sua maestria professionale per offrire un’immagine “assoluta” del gusto per il teatro e i costumi (come passione di Christian); la sfilata era stata dedicata alla memoria del collaboratore e amico di una vita di Gallain, Steven Robinson (morto giovane poco prima), per cui lo stilista mise alla prova tutte le sue capacità di immaginazione teatrale, di giocare con i costumi per evocare epoche diverse e realizzò una sorta di sogno a occhi aperti, quello di ridare vita all’arte; oltre a tutto questo c’era il tema della morte, influenzato dalla perdita dell’amico e dal viaggio in Andalusia dove aveva osservato la corrida e il modo di vestire dei toreri, e il loro costante equilibrio fra vita e morte (nel modello “Goya” con le forme della Vergine sivigliana del Venerdì Santo) e infine uscì lui stesso vestito come torero con il traje de luces azzurro e oro. 47
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