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STORIA DELLA MODA XVIII-XXI SECOLO, Appunti di Costume E Moda

Riassunto di Storia della moda del libro Storia della moda di Enrica Morini

Tipologia: Appunti

2018/2019

In vendita dal 08/10/2019

SoleF1
SoleF1 🇮🇹

4.4

(15)

7 documenti

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Scarica STORIA DELLA MODA XVIII-XXI SECOLO e più Appunti in PDF di Costume E Moda solo su Docsity! STORIA DELLA MODA LA PAROLA MODA: ‘maniera’ (façon) il termine deriva dal latino maschile . LAMPUGNANI: > testo ‘Carrozza da Nolo’, descrive gli abiti e modi di vestire, con varie fosse e usanze. (‘Giovani alla Moda’). (consumo vistoso) <<< Nel 600 domina lo sfarzo, esaltazione e esibizione. Esso è il secolo della Moda (chiamato cosi da Lampugnani). Il 600 ha la difficoltà ad alimentare questo sistema di segna, e qui la moda sfugge nettamente al controllo! La moda diventa quindi una nuova forma di potere, con la ricerca della novità ! L’impulso alla moda è dato specialmente si dai giovani, ma anche dall’avvio dell’attività mercantile e la nascita delle città. =(avvento delle botteghe con manufatti ) Gli abiti iniziarono ad essere cuciti= dando vita alle prime sartorie. Abito quindi è segno distintivo, partendo dalle corti fino ad arrivare ai cittadini. Si cerca sempre di più il nuovo, l’originalità ed esclusività. (esaltazione ricchezza e potere) I giovani sono molto attratti da questo mutamento, soprattutto gli uomini, che fanno uso di abiti scoperti fino alle caviglie (le caviglie allora no scoperte = le donne nel tardo 800 !!) > iniziando qui una vera e propria differenza di genere !! (esibizione della foggia) La rivoluzione francese 1789 > abolito ancien regime I mercanti e banchieri cercano di imitare gli abiti della nobiltà. LEGGI SUNTUARIE: leggi che cercano di limitare lo sfarzo nelle corti (tutti quelli che non erano nobili e non potevano indossare determinati tessuti e accessori…( venivano multati) Leggi poi promulgate fino al 1700 !! Dopo la Riv. Francese si stabilisce la scelta libera di indossare qualsiasi tipo di foggia e abbigliamento. LA DIFFUSIONE DELLE FOGGE. LE POUPEES DE MODE La diffusione delle fogge nelle varie corti europee, già alla fine del ‘300 era garantita dalle poupees de Mode. Queste bambole, veri e propri manichini in miniatura, venivano abbigliate secondo i dettami delle ultime mode e giravano per le corti europee diffondendo le nuove fogge e i nuovi accessori. Le poupèes erano un importante strumento per i sarti, per essere aggiornati e per presentare le novità alle proprie clienti. Spesso le bambole venivano fatte con le sembianze della nobile cliente. In breve tempo queste costosissime bambole diventarono ricercatissime, ambiti doni di nozze. I negozi di rue Saint-Honorè ben presto si organizzano per la produzione, la vestizione e la vendita di queste piccole ambasciatrici dello stile. Le bambole viaggiavano per tutta Europa scortate e protette addirittura da immunità diplomatica. Alcune poupèes, destinate alle clienti più ragguardevoli venivano addirittura costruite a grandezza naturale. Le bambole-modelle erano anche chiamate PANDORE. Dopo la scoperta del Nuovo Mondo, le preziose bambole varcheranno anche gli oceani per evitare che le dame trasferitesi nelle Americhe, potessero rimanere indietro con le ultime novità. Parallelamente iniziano a diffondersi dei primitivi cartamodelli funzionali al lavoro dei sarti. Oltre a questo tipo di mezzi di diffusione delle fogge vestimentarie più ad uso dei professionisti del settore, ci sono altri tipi di cataloghi di fogge e raccolte di abiti, pubblicate negli anni con vari scopi e obiettivi. IL TRACHTENBUCH DI MATTHAUS SCHWARZ Questa particolarissima opera rappresenta quasi un unicum nel suo genere. Matthaus Schwarz era un banchiere tedesco, nato ad Augusta nel 1497, molto benestante. Egli decise di raccogliere in un libro tutti gli abiti da lui indossati nel corso della sua vita. Quest’opera seppure in forma estrema e inusuale, esprime molto bene il senso della valorizzazione dell’individualismo e l’importanza data all’abbigliamento alle soglie del Cinquecento. Suo padre era un mercante di vini e dopo gli studi di Heidenheim, anche Matthaus intraprese una carriera in ambito commerciale. Viaggiò in Italia, a Milano e Venezia, per imparare le tecniche contabili. Nel 1516 iniziò a lavorare per la ricca famiglia dei Fugger, potenti banchieri tedeschi. Il maggior interesse di Matthaus sembra però essere la moda. La classe mercantile, in questi anni, mostrava il proprio prestigio e il proprio ruolo nella società soprattutto grazie all’abbigliamento. I ricchi mercanti, potevano infatti permettersi abiti che prima erano appannaggio esclusivo dei nobili. Le leggi suntuarie cercavano di limitare questa imitazione e Schwarz attento a scegliere i suoi ricchi abiti senza contravvenire alle leggi. La sorprendente attenzione di Schwarz nei confronti degli abiti si tradusse nella compilazione di una vera e propria autobiografia del vestire. L’opera, chiamata anche Klaidungsbuchlein, è composta da 137 illustrazioni accompagnate da didascalie, che ritraggono il protagonista dell’opera in altrettanti outfit indossati in specifiche occasioni. Gli abiti ritratti attraversano tutta la vita di Schwarz, dalla nascita alla vecchiaia, fino al 1560. Fu reso nobile da Carlo V nel 1541 e morì nella sua città natale intorno al 1574. Il primo abito raffigurato è il ventre materno, seguono poi alcuni abiti infantili. Quando si arriva agli abiti adolescenziali, le illustrazioni diventano veri e propri ritratti di Schwarz che si curava anche delle pose da tenere per far risaltare gli abiti rappresentati. Ogni immagine è preceduta da una breve descrizione dell’abito e dell’occasione d’uso e sotto ogni illustrazione egli specifica la sua età. Il libro contiene anche uno dei primi nudi integrali della storia, in quanto Schwarz, molto attento al suo aspetto, decise di farsi ritrarre nudo all’età di 29 anni, quando a suo dire, era diventato grasso. Le immagini furono commissionate all’artista Narziss Renner, fino al 1536 poi furono realizzate da artisti della bottega di Christoph Amberger. Oggi rimangono pochissime copie di questo originale libro, definito anche il primo libro di moda. L'originale si trova presso l’Herzog Anton Ulrich Museum di Braunschweing, una copia si trova invece presso la Bibliotheque nationale di Parigi e una seconda è conservata presso la Gottfried Wilhelm Leibniz di Hanover. LE RACCOLTE DI ABITI Nel Cinquecento fiorirono diverse pubblicazioni che raccoglievano abiti. Queste raccolte non avevano lo scopo di fornire ai sarti materiale per il proprio lavoro, ma erano come dei “cataloghi” dove erano possibili trovare fogge e costumi tipici di diverse parti del mondo. In alcuni casi in queste raccolte troviamo abiti di luoghi lontanissimi ed esotici, che venivano ricostruiti grazie ai racconti e agli schizzi dei viaggiatori uniti a riferimenti leggendari . Alcuni autori di questo tipo di raccolte furono chiamati COLLECTORES. Il primo a creare questo tipo di opere fu Enea Vico, che pubblicò nel 1556 “Diversarum gentium nostrae aetatis habitus”, contenente 98 tavole con costumi di varie parti del mondo. Altri importanti collectores furono: Francois Desprez – Ferdinando Bertelli – Jost Amman – Abraham de Bruyn – Jean-Jaques Boissard – Bartolomeo Grassi – Pietro Bertelli. Rapporto con gli europei e gli altri paesi – in particolare America-. Concezione che gli europei avevano con l’esteriorità degli altri. LE PRIME NARRAZIONI DELLA SCOPERTA 1492: Cristoforo Colombo scopre l’America. Dal XV secolo le scoperte di nuovi territori danno nuova linfa a produzione e riscoperta di opere geografiche e da esse sono alimentate; porta ad una nuova vita. L’indiano convertibile è convertito ed è trasformato in nobiluomo, subendo una decontestualizzazione sia geografica sia culturale. Il viaggio verso l’Europa strappa i Tupinamba dal loro contesto di appartenenza ed è trasfigurato in un viaggio simbolico che segna, secondo la prospettiva di d’Abbeville, la transizione da uno stadio selvaggio allo stato di civilizzazione. I Tupinamba sono resi uno spettacolo della conversazione per gli occhi di tutta la città di Parigi. I corpi dei nativi americani sono il luogo dove gli artisti europei, i viaggiatori, i conquistatori e i missionari depositano stereotipi e costruiscono convenzioni. Anche i corpi degli americani diventano terreno di conquista. Con l’obiettivo di rigettare alcuni stereotipi (negativi) sugli indiani Tupinamba, d’Abbeville usa altri stereotipi (positivi) che diventano veri lopoi narrativi, tipici del secolo successivo (come ad esempio la figura del “nobile selvaggio”.) La nudità dei Tupinamba viene considerata da d’Abbeville non come un elemento positivo in quanto tale, ma come un elemento carico di significati. Per d’Abbeville gli indigeni sono puri e innocenti nonostante la loro nudità. I Tupinamba sono visti come incapaci di scegliere la copertura adatta per partecipare alle cerimonie cristiane ma, d’altro canto, sono capaci di costruire accessori e decorazioni corporali, ammirabili per tecnica e fattura. Sui corpi degli indiani è giocata in questo come in molti altri testi una battaglia simbolica dove gli “altri” sono specchio per gli Europei che hanno perso la loro purezza e sono sovraccarichi di inutili orpelli. Ma per d’Abbeville questo corpo “altro” deve essere rivestito con gli abiti della legge dell’uomo civilizzato e deve entrare nella comunità dei credenti. I corpi americani non possono essere lasciati nudi e “naturali” o semplicemente decorati, a questi corpi va insegnato ad essere coperti nel modo appropriato, ben prima che siano abbigliati. Gli europei “vestivano” il Nuovo Mondo in modo da poterlo accettare, pretendendo di salvarlo. IL SETTECENTO Fino al Settecento il concetto di “moda” combaciò sostanzialmente con quello di lusso e interessò fondamentalmente solo gli ambienti della corte e degli strati più ricchi della popolazione. Con Luigi XIV si assistette all’esplicitarsi di una vera e propria funzione economico-sociale del lusso. Il Settecento vide un cambiamento di rotta sostanziale. Sebbene le corti rimanesse ancora il fulcro del discorso della moda, l’alta borghesia iniziava ad avere dei modelli di consumo propri, che avevano come centro le grandi città. Una spinta importante verso questa direzione era stata data dalla riforma protestante che aveva promosso una nuova etica. Si diffonde la moda borghese. L’abito maschile era composto da: Marsina, sottomarsina, camicia, calzoni(coulottes). Ai tessuti colorati di seta, damascati, broccati si preferì l’utilizzo di lana in tinta unita, scuri. L’espansione del consumo non interessò però solo l’alta borghesia, ma anche un gruppo più ampio di mercanti, piccoli bottegai e proprietari terrieri che erano più propensi a comprare nuovi prodotti e si affacciavano a nuove forme di consumo e a dar vita a loro volta a nuove mode. Prima della rivoluzione industriale, era tuttavia difficile per questa piccola borghesia cittadina, accedere a un gran numero di abiti nuovi che rimangono comunque costosissimi. Si dava quindi importanza agli accessori, che risultavano più accessibili. (Non si potevano acquistare nuovi abiti, ma ci si limitava a cambiare accessori, si cambiavano le decorazioni, merletti, cappelli.) Uno degli abiti più in voga, alla metà del secololo, era la robe à la francaise. Era una diretta derivazione del MANTEAU (O MANTUA) seicentesco e soprattutto della ROBE VOLANTE della seconda metà del XVII secolo. Questo abito poteva raggiungere delle ampiezze molto larghe e si indossava con il panier (sottostruttura rigida che andava ad appiattire il davanti). Era composto da una sopravveste, una sottana e una pettorina. La sopravveste, aperta davanti e allacciata in vita, aveva dietro due gruppi di pieghe, montate all’altezza delle spalle e del collo, che ricadevano per tutta la lunghezza dell’abito. L’apertura del davanti mostrava la sottana, spesso realizzata nello stesso tessuto, e la pettorina, un accessorio di forma triangolare che copriva il busto ed era solitamente ricco di decorazioni. La Mantua era stato l’abito di corte adottato da Madame de Maintenon, più accollato rispetto agli altri abiti. Il nome deriva dalla città di Mantova, da dove provenivano ricchi tessuti e sete preziose. Questo abito non prevedeva sottostrutture rigide, ma l'utilizzo di una serie di sottogonne. La robe volante era tipica invece del periodo della Reggenza. Era un abito più sciolto e comodo rispetto al Manteau e meno sfarzoso, in qualche modo, della robe à la francaise. Non per questo era un abito meno economico. Erano abiti che necessitavano di una grande quantità di stoffa. Aveva delle profonde pieghe sul davanti e sul dietro che rimanevano sciolte, facendo si che il tessuto non fosse aderente al corpo. Solitamente la robe volante avevano uno scollo a V ed erano indossate sopra un corpetto attillato e un certo numero di sottogonne. Viene chiamato anche Adrienne. La robe à la francaise era molto simile a la robe volante, soprattutto nella parte posteriore, mentre nella parte anteriore era più accostata al corpo. La robe à la francaise era composta da una sopravveste, una sottana e una pettorina. La sopravveste era aperta davanti e mostrava la sottana, spesso realizzata con lo stesso tessuto e la pettorina, una copertura per il busto di forma triangolare ricca di decorazioni e applicazioni. Nella manica venivano inseriti dei merletti. (per coprire il polso) Un’altra foggia tipica era la robe à l’anglaise, mutuata dalla moda inglese. Prevedeva un corpetto attillato e una gonna, montata a piccole pieghe in modo da essere più abbondante sui fianchi e sul dietro (maggiore ampiezza), aperta sul davanti per lasciar vedere la sottana. Lo scopo era dare ampiezza all’indumento senza ricorrere al panier, che fu sostituito con imbottiture e rigonfiamenti a tournure. Rimane accollato sia davanti che dietro. Da pesanti broccati, verso la fine del secolo, c’è una tendenza ad utilizzare dei tessuti più leggeri e sottili come sete e cotone. FICHU=fazzoletti utilizzati per nascondere una scollatura troppo profonda. Una particolare variante della robe à l’anglaise è la robe a la polonaise, dove sul retro vi era un sistema fatto con dei lacci o con dei bottoni che tenevano sollevata la sopragonna con un effetto drappeggiato (il tessuto veniva rimboccato). Per ottenere un risultato ancora più vaporoso, quindi, la gonna poteva venire sollevata, utilizzando nastri, lacci o bottoni, fino a creare un effetto a festoni rigonfi. L’effetto era facilitato dai tessuti di seta leggera (taffetas, garza, mussola) che ormai caratterizzavano l’abbigliamento femminili. Queste erano le due principali fogge del ‘700. Le modifiche a queste fogge erano minime, però c’era una grande variabilità data dai tessuti, colori, accessori e decorazioni. Per esempio le pettorine della robe a la francaise venivano riccamente decorate con nastri, gale, fiocchetti. Ai polsi venivano indossati merletti di volta in volta differenti. Al collo e ai bordi venivano cambiate le passamanerie, applicati bordi, reti d'oro e argento, fiocchi ecc... Una derivazione della robe à la francaise è il casaquin. Si tratta di una versione accorciata della robe à la francaise con pieghe sul dorso, da indossare come casacca su una gonna, destinato ad un uso più privato e casalingo. (in casa, situazioni formali o occasioni private) Ci sono due tendenze diverse: la robe à la francaise, in cui c’è questa tendenza ad aggiungere, arricchire e favoriva un decoro estremo e sfrenato, mentre la robe all’anglaise favoriva una tendenza alla semplificazione e una sua rielaborazione più diffusa fu la Redingote, derivata dal costume da equitazione normalmente indossato dalle signore inglesi (abito utilizzato per cavalcare -riding coat-), che introduceva nell’abbigliamento femminile alcuni elementi maschili, come il doppio petto, il colletto rivoltato, il gilet, i grandi bottoni. Le francesi utilizzarono questo abito da passeggio e da città. Per quanto riguarda la moda popolare, più semplice ovviamente era la foggia adottata dalle classi popolari e dalla piccola borghesia. Si trattava tuttavia di un completo, con corpetto, giacca (chiamata CARACO) e gonna, che con le dovute modifiche, soprattutto per quel che riguarda il tessuto, venne anch'esso adottato dalla ricca borghesia prima e dall'aristocrazia poi. (1780 circa). IL GRAND HABIT Una tipologia che fu di esclusivo appannaggio della corte era il Grand Habit. Questo era l’abito di rappresentanza per eccellenza, indossato nelle occasioni più formali della corte. Era sfarzoso e decoratissimo, irrigidito da corsetti steccati e paniers monumentali, arricchito con grandiose decorazioni. La sua principale caratteristica era il lunghissimo strascico. Con il tempo, i tessuti da pesanti e riccamente operati, diventarono più leggeri, ma più carichi di decorazioni applicate. MARCHANDES DE MODES = Antesignano dello stilista. In Italia non esisteva. Con il cambiamento delle modalità di consumo mutarono anche i luoghi in cui il consumo veniva praticato. Da venditori a domicilio o ambulanti si passò a botteghe e a professionisti specifici. Nacquero così nuove figure professionali che rendevano l’acquirente non più l’unico responsabile dell’assemblaggio del suo outfit ma lo aiutavano e accompagnavano nella scelta. Tutto ciò aveva comportato una modifica anche nel sistema corporativistico francese. LE CORPORAZIONI DI ARTI E MESTIERI I cambiamenti nel sistema delle corporazioni di arti e mestieri francesi corrisposero ad un riconoscimento del lavoro femminile. Già nel 1595 era nata la Corporazione delle lingères che si occupavano di vendere all’ingrosso e al dettaglio “ogni tipo di tela di lino e di canapa...” e in generale tutti gli articoli che vengono confezionati con tali materiali. Si trattava di una corporazione femminile che si occupava sia di produzione che di vendita. Ciò voleva dire tenere il controllo sia della scelta delle merci da acquistare che di quella da proporre al cliente, essendo pronte a rispondere alle mutazioni del gusto e del mercato. Ciò che sarti e sarte fanno con i vestiti, le lingères fanno con la biancheria, sia essa per la persona, per la casa o anche per la chiesa. Si tratta di donne mercante che prima di avere una loro corporazione specifica lavoravano insieme ai mercanti di stoffe. Prima del 1620 si calcola, che le lingères fossero 400, mentre agli albori del Settecento se ne contano 659. Alla vigilia della rivoluzione saranno un migliaio abbondante. Nel 1675 era nata la corporazione delle couturières (sarte), derivazione di quella dei tailleurs (sarti). Anche qui si tratta di una corporazione femminile che aveva il diritto di vestire donne e bambini. Considerando la crescente semplificazione dell’abito maschile e la sua graduale uscita dal discorso della moda, si può comprendere quanta importanza avesse assunto questa corporazione a partire dal XVIII secolo. I Mercier erano però coloro che gestivano di fatto il commercio della moda nella Francia settecentesca. Nel 1776 saranno uniti ai drappieri, insieme ai quali detenevano il monopolio del commercio di stoffe. I Mercier fornivano un servizio di mediazione tra la corte, i produttori e il resto della società e di fatto vendevano tutto ciò che era necessario per essere alla moda. All’interno di questa corporazione lavorava un gruppo di lavoratrici chiamato marchandes de modes. Il loro mestiere nasce alla fine del Seicento, per poi diventare una vera e propria corporazione nel 1776, anno in cui ci fu una totale riorganizzazione delle corporazioni. LE MARCHANDES DE MODES Il mestiere di marchandes des modes raggruppava al suo interno molte professioni del commercio della moda e queste donne si ponevano come intermediarie tra la produzione e la clientela. Queste lavoratrici mobilitavano intere schiere di artigiane e fornitori, collaboravano con sarti, fabbricanti di corsetti e magliaia. L’invenzione è il centro del loro lavoro. L’invenzione è il punto cruciale del cambiamento di rotta operato da queste professioniste. (Erano consigliere dei clienti). Secondo l’Encyclopedie pubblicata da Diderot e d’Alembert, la loro attività comprende: “La vendita di tutto ciò che riguarda le acconciature e gli ornamenti degli uomini e delle donne e che si chiamano gale e guarnizioni. Spesso si occupano anche di disporle sugli abiti e inventano anche il modo di farlo. Fanno anche i copricapi e li montano come le acconciatrici. Il loro nome deriva dall’oggetto del loro commercio erchè vendono solo articoli di moda. E da poco tempo che le marchandes de modes si sono costituite e Olte alle poupèes de mode, già in uso da secoli, in questo periodo la moda si diffondeva anche attraverso la stampa specializzata, che nasceva in questi anni. Al contrario dei repertori cinquecenteschi che raccoglievano le “curiosità”, dando un quadro generale sui vestiti in uso in tutto il mondo, l’intento di questa nuova stampa è quello di comunicare la moda. Il primo periodico a inserire la moda fra i suoi argomenti fu “Le Mercure Galant” fondato da Donneau de Visè nel 1672. In seguito questa pubblicazione cambiò nome in “Le nouveau Mercure Galant”. In questa nuova versione comparvero anche articoli con illustrazioni corredate anche dagli indirizzi di alcuni fornitori. Si tratta di una delle prime forme pubblicitarie. Con il crescere della richiesta di materiale relativo alla moda nacque un mercato specifico di figurini di moda. Tra il 1778 e il 1787 fu pubblicato, da Jean Esnaut e Michel Rapilly, “La Galerie des modes” che raccoglieva numerosi figurini in una serie di fascicoli. Nel 1779 venne pubblicato invece un volume che raccoglieva 96 stampe eseguite da famosi artisti specializzati nel genere, dal titolo “Galerie des modes et des coutumes francais...”. Questa opera voleva dare un saggio del gusto parigino e arriva a mostrare anche gli abiti della borghesia e alcuni lavoratori della moda all’opera. Contemporaneamente andava a diffondersi la prima stampa di moda. Ne è un esempio “Le journal des dame” in Francia e “The Lady’s Magazine” in Inghilterra. Il primo femminile dedicato esplicitamente alla moda fu il “Cabinet des modes” che uscì dal novembre del 1785 al febbraio 1739, seppur con diversi cambi di nome, edito da Francois Buisson. Il prezzo era elevato e vi lavoravano importanti giornalisti ed incisori, ma il pubblico era costituito da ricchi borghesi e aristocratici. Il giornale aveva un formato snello ed era di buona qualità, al suo interno vi erano notizie di vario genere, anche relative alla politica o alle arti con commenti di carattere filosofico e morale. Inoltre in questa pubblicazione la comunicazione di moda diventava un vero e proprio strumento pubblicitario, facendo da tramite tra creatori, produttori e consumatori. LA RIVOLUZIONE FRANCESE. Durante gli stati generali vi era una severe regolamentazione degli abiti ammessi. Gli stati generali del 5 maggio 1789 non fecero differenza ed erano previste precise regole vestimentarie imposte dal Gran Maestro delle Cerimonie. Il Clero: abiti ecclesiastici adatti al proprio rango all’interno delle gerarchie delle Chiesa. Nobiltà: Marsina di seta nera o di panno decorata con galloni d’oro, e sottomarina abbinata, un mantello, culottes di seta nera, calze bianche, cravatta di pizzo, una spada e cappello con piume. Terzo Stato: Abito di panno nero, calze nere, mantello corto di seta nera, cravatta di mussola tinta unita e cappelli a tricorno nero. Non avevano diritto alla spada. Questa rigida differenziazione vestimentaria venne subito criticata dagli esponenti del Terzo Stato, in particolare da un suo rappresentante, il conte di Mirabeau. Questi chiese di poter indossare i suoi abiti per salvaguardare… le liberà individuali’. Questa richiesta faceva specchio a quella di poter votare come individui e non deliberare per Stati I rappresentanti del Terzo Stato smisero di seguire il regolamento, se non nelle situazioni più formali, tanto che questo venne abolito definitivamente il 15 ottobre dello stesso anno. Probabilmente questo può essere considerato il primo atto della nascita di un vero e proprio ‘abito borghese’ . La città era il nuovo luogo dell’apparire e i valori rivoluzionari dovevano essere chiaramente esibiti, anche attraverso l’abito. Il tricolore veniva esposto dappertutto e in ogni modo. (francese) Divenne anche la divisa dei soldati della Guardia Nazionale creata da Lafayette. La coccarda dei rivoluzionari divenne l’unico simbolo obbligatorio per identificare i cittadini francesi. L’abito diventò un linguaggio rivoluzionario. L’abito non era più un modo per comunicare il proprio status, ma acquisiva significati diversi e nuovi, seguendo un codice tutto da inventare. Il principio filosofico dell’UGUAGLIANZA fu il primo che si cercò di mettere in luce attraverso l’abbigliamento rivoluzionario. Questa volontà non si tradusse in una democratizzazione del lusso nell’acquisizione di stili vestimenti di corte da parte dell’intera popolazione. Viceversa si trattò di un totale cesura con il passato. Infatti eliminando i privilegi di ordine gerarchico, si dovevano annullare anche quelli di tipo rappresentativo. ABITO RIVOLUZIONARIO L’egaitarismo rappresentò un livellamento generale verso il basso. Furono eliminate le preziose fibbie per le scarpe, per essere sostituite con lacci o con fermargli caratterizzati da decorazioni a tema politico. I gioielli, nella maggior parte dei casi, persero le pietre preziose: troviamo, ad esempio anelli con pietre della Bastiglia. Furono eliminati gli abiti di seta e si preferiscono a questi abiti di cotone o lana. Allo stesso tempo si semplificarono le acconciature e per gli uomini si preferì il taglio corto e disordinato chiamato à la Titus, così chiamato dall’acconciatura scelta dall’attore Talma che interpretò il ruolo di Tito nel Bruthus di Voltaire, messo in scena il 30 maggio 1791. Dal rifiuto di uniformi imposte a rappresentare il proprio Stato, si passò di fatto al tentativo di creare delle nuove uniformi civili che rappresentassero un popolo di uguali, fedeli ai valori rivoluzionari. L’immagine del rivoluzionario si concretizzò nella divisa del ‘sanculotto’. Il termine sanculotto deriva dal francese ‘sans culottes’ e fu inizialmente coniato, negli anni tra 1791 e il 1972 in accezione spregiativa dagli aristocratici francesi per indicare coloro i quali, tra i partecipanti al processo rivoluzionario in corso, indossavano i pantaloni lunghi, anziché i calzoni corti e le calze di seta caratteristici dell’abbigliamento della nobiltà. Il termine dunque andò ad indicare una forza attiva della Rivoluzione Francese appartenente alla piccola borghesia e al proletariato soprattutto di Parigi, che sostenne le posizioni più radicalmente democratiche. L’abito del sanculotto corrispondeva in pratica all’abito delle classi lavoratrici e comprendeva: -pantaloni larghi e informi -la ‘carmagnola’, la giacca degli operai. -gli zoccoli dei contadini -la pipa -spesso veniva portato anche un fazzoletto al collo ABBIGLIAMENTO FEMMINILE: Anche nel caso delle donne, la parole d’ordine fu : semplicità. Il completo più diffuso era quello composto da caraco, (una giacobina popolare che venne ripresa anche dalla nobiltà) gonna e fichu (fazzoletto per coprire scollature profonde!). In particolare si impose un modello di croco con una cortissima baschina sul dietro detto ‘à la Pierrot’. I cappelli erano considerati troppo lussuosi, quindi per le acconciature si preferì optare per nastri e cuffie, in ogni caso le acconciature non erano molto ardite o alte. Alcune donne azzardarono un taglio corto alla Titus. Il nuovo vestito femminile doveva essere in ogni caso adatto alla città e fatto per muoversi più agilmente, stare in mezzo alla folla. In alcuni casi vennero assunte delle caratteristiche vestimentarie tipiche maschili. Ci furono anche alcuni gruppi di donne proto-femministe che azzardarono i pantaloni, o una divisa rivoluzionaria, ma furono solo casi isolati che non ebbero diffusione, il fenomeno fu represso si esaurì in breve tempo. Un caso particolare fu quello di Thèroigne de Mèricourt (eroina un po leggendaria) che portò i capelli corti e scelse un abito da amazzone come divisa rivoluzionaria. I simboli rivoluzionari diventarono delle vere e proprie mode e le marchandes de modes si occuparono di questa trasformazione dei segni identitari. Si passò dai segni del gusto di Ancièn Regime ad una nuova iconografia. Questi nuovi abiti ispirati alla rivoluzione furono rappresentati nei figurini di moda delle pubblicazioni dell’epoca. Nacquero quindi abiti à la Costitution o à l’ègalitè, fibbie à la Bastille o au Tiers Etat e così via…. LA LIBERTA’ NELL’ABBIGLIAMENTO. Il 29 ottobre 1793 ( 8 brumaio dell’anno II) fu sancita la libertà totale nella scelta del proprio abbigliamento. Nel periodo precedente c’erano stati dei disordini dovuti ad alcuni gruppi che tentavano di imporre ad altri alcuni capi simbolo dei rivoluzionari. In particolare, l’ultimo e più eclatante era il caso di alcune donne rivoluzionarie (cittadine) che avevano tentato di imporre con la forza il berretto frigio alle donne delle Halles. Poiché queste imposizioni erano contrarie al principio rivoluzionario della libertà e del diritto di vestirsi secondo la volontà individuale già invocato nel 1789 nel corso degli Stati Generali, non si potevano permettere imposizioni di senso contrario. Si comunicava attraverso simboli, il più famoso dei quali era senza dubbio il BERRETTO FRIGIO. Questo copricapo veniva donato agli schiavi liberati nella Roma Antica e divenne il simbolo di libertà dalla schiavitù e dalla tirannia. Oltre a questo simbolo se ne aggiungerò altri presi dalla repubblica romana esplicitando un gusto neoclassico che negli anni successivi si imporrà spiccatamente. Unico elemento obbligatorio rimarrà la coccarda tricolore. Questa libertà si tradusse in un “disordine vestimentario” che stupiva i visitatori stranieri, mentre le riviste di moda presentavano al pubblico ogni novità proposta. Questa libertà vestimentaria rendeva più semplice costruirsi un proprio stile e contemporaneamente, costruirsi un personaggio. Perfino i capi della Rivoluzione si presentavano vestiti nelle maniere più disperate. Robespierre preferiva abiti eleganti e tradizionali, come marsine di seta, culotte e cravatte bianche, Marat si presentava invece come un uomo del popolo, con la camicia aperta sul petto e senza calze, oppure mescolando tutta una serie di elementi incoerenti tra loro. Danton si poneva nel mezzo, prediligendo un abbigliamento da nuovo ricco, ricercando l’eleganza ma senza rigidità. Questa nuova libertà di abbigliamento permise anche ai controrivoluzionari di esprimere la propria lontananza dai principi della rivoluzione. Ecco quindi che comparvero abiti dai temi controrivoluzionari, consentiti grazie a questa nuova proclamata libertà. Quello che è certo è che la moda rivoluzionari non divenne egalitaria come ci si augurava all’alba della rivoluzione, ma era chiaro che esistesse un ceto alto che chiedeva una moda di élite e che nonostante tutto le sete e le mussoline più raffinate non lasciarono mai veramente il posto a panni e tessuti più popolari. IL DIRETTORIO: Dopo la morte di Robespierre ci fu una reazione alla fase più cupa del terrore che si espresse in una ripresa di feste e balli. Si trattava dei BALS DE VICTIMES a cui potevano prendere parte solo coloro che avevano avuto un parente ghigliottinato. Parallelamente all’organizzazione di questi balli nacque anche uno stile specifico. Ecco allora comparire i capelli tagliati ‘ à la victime’ o nastrini rossi al collo come il taglio della ghigliottina, o ancora nastrini rossi incrociati intorno al busto ( croisures à lavictime) In questo periodo le donne iniziarono ad usare una lunga tunica di mussolina bianca impalpabile di chiara ispirazione classicheggiante (ispirate alla cultura classica ). Questi richiami alla cultura classica erano alimentati dall’interesse destato dalla scoperta di Ercolano e Pompei e dalla pittura in tema storico classico di David. Ciò che probabilmente influenzò maggiormente l’immaginario collettivo fu però il teatro e la scelta di rappresentare soggetti classici. La nuova donna vestita con una tunica leggera e uno scialle si ispirava a questo immaginario classico. Leroy divenne la guida assoluta del buon gusto femminile negli anni dell’Impero e quando Napoleone divorziò da Josephine, impose che la nuova sposa, Maria Luisa D’Austria, fosse ugualmente vestita da lui, per mantenere invariata l’immagine pubblica dell’Impero. Non fu l’unico Marchand de Mode a fornire la famiglia imperiale; ci furono ad esempio Cop, il calzolaio più famoso di Parigi, oppure Duplan, il coiffeur esclusivo dell’Imperatrice Maria Luisa. La produzione francese raggiunse un prestigio internazionale anche grazie al nuovo fasto imperiale. Fuori dalla corte però la realtà era ben diversa e in città predominava il nascente spirito borghese. Quando la crisi economica si abbattè sulla Francia alle fine dell’Impero ci fu un abbandono del lusso e il ritorno della monarchia borbonica fu salutato con una nuova consapevolezza borghese. L’ABITO BORGHESE Con la Restaurazione e il conseguente ritorno dei Borbone non si arrestò l’ascesa sociale della borghesia e il denaro sostituì gli antichi privilegi di nascita. Privato e pubblico diventarono due sfere nettamente separate, la città offriva una serie di svaghi e iniziarono anche le prime vacanze al mare. Il lusso borghese si contraddistingueva per la ricerca del comfort nella vita quotidiana e nel mito dell’eleganza. L’eleganza borghese riguardava soprattutto il modo di essere, denotava una ‘superiorità morale’ secondo Balzac. “ Benché l’eleganza sia meno un arte che un sentimento, essa proviene ugualmente da un istinto e da un’abitudine “ dal “Trattato della vita elegante “ (BALZAC) L’UOMO BORGHESE L’eleganza si distingueva quindi dal LUSSO. Il vero uomo elegante unisce educazione ed abitudine, senza esagerazioni o sprechi. Occorreva essere semplici, sobri, ma con naturalezza, facendo coesistere educazione ed abitudine. L’abito rappresentava il ruolo sociale dell’uomo e la sua posizione all’interno della società e d’altro canto, ne determinava il comportamento adeguandolo all’occasione. L’uomo adottò la divisa di Lord Brummel ( il prototipo del dandy) cercando di assimilarne la ricerca della semplicità e dell’anonimato. La distinzione risiedeva nei particolari: il nodo della cravatta, il candore della camicia, il tessuto della giacca ecc…… Era l’inizio della grande rinuncia maschile !!!!!!!! Gli abiti maschili appaiono tutti uguali, soprattutto perché i colori utilizzati diventarono principalmente quelli scuri. Le fogge si uniformano e l’abito maschile iniziò ad assumere la sua forma definitiva. Lo psicologo Flügel cercò di spiegare questo fenomeno teorizzando la cosiddetta “Grande Rinuncia”. L’uomo borghese smise quindi di cercare l’espressione di sé attraverso la bellezza o l’estenuazione del lusso, ma si preoccupò solo di essere “pratico”. Ci si doveva vestire ‘correttamente’, in modo adatto alle occasioni, ma non un modo elaborato. Si doveva essere rispettabili e razionali. L’uomo è un membro attivo della sfera pubblica, il suo abito è moderno, proiettato nel futuro. Alla diffusione del completo a tre prezzi, contribuirono anche i cambiamenti nel sistema produttivo che introdussero delle prime forme di standardizzazione. Il campo della moda rimarrà quindi lungamente prerogativa femminile. LA DONNA BORGHESE Le donne, con un processo già iniziato nel periodo napoleonico, uscirono dalla sfera pubblica e la loro vita veniva limitata alla gestione della casa e della famiglia. 
 L’abito doveva mostrare le virtù della donna che lo indossava. Le donne protette e nullatenenti, passarono sotto la tutela dei loro padri e mariti. Erano una rappresentazione della ricchezza degli uomini, che potevano permettersi di mantenerle senza che esse facessero il minimo lavoro, nemmeno casalingo. Erano sciocche e ignoranti, inesperte; dovevano mostrare di essere caste e adeguati ai ruoli che la società imponeva loro, disinteressate alla vita pubblica delegando questo aspetto all’uomo. L’abito vide un progressivo irrigidimento: La gonna assunse una forma a campana, prima grazie a elementi decorativi, poi grazie a sottovesti. Il punto vita tornò lentamente alla sua posizione naturale. La forma e la postura del busto furono forzate da un corsetto steccato; Le scollature vennero limitate agli abiti da sera, mentre per tutte le altre occasioni si preferivano abiti accollati. Le maniche divennero un elemento decorativo, iniziarono a gonfiarsi e arricchirsi. Collarette e mantelline contribuivano alla costruzione di una forma rigida. Negli anni ’30, si arrivò al culmine del processo di irrigidimento delle fogge e di camuffamento del corpo femminile. Il corpo assunse la forma di tre triangoli (!!!!) La linea delle spalle era esagerata e le maniche presentavano enormi rigonfiamenti. Il corsetto garantiva un vitino di vespa e la donna era irrigidita in una forma arrotondata. La vanità femminile doveva mostrare la ricchezza dell’uomo e la donna aveva il solo compito di farsi ingabbiare in queste mise eccessive e scomode, dimostrando di avere gusto e criterio di scelta. Da una parte vi era il desiderio di emergere, dall’altra il desiderio di accettazione sociale. La struttura di base degli abiti era arricchita da decorazioni e accessori soggetti alle mode. Negli anni ’40 sparirono le grandi maniche vaporose del decennio precedente a favore di una riduzione del busto e di un ampliamento della gonna. Nella prima metà dell’800 nel periodo romantico, si diffusero anche delle mode storiciste recuperando di volta in volta elementi di epoche passate. La moda duratura fu quella dell’abito aristocratico sostenuto da sotto strutture rigide. Al verdugale, al guardinfante, al panier, si sostituì la crinolina: una stoffa di cotone o lino, resa rigida da trame di crine, inventata da Nicolas-Charles Oudinot nel 1930 che poi divenne una gabbia metallica brevettata nel 1856 da Auguste Parson. MAGASINS DE NOUVEAUTES Nel periodo napoleonico alle marchandes de modes si erano sostituiti i magasins de nouveautes, che vendevano tutti gli articoli riferiti all'abbigliamento e agli accessori. Esponevano la merce e spesso erano collocati nei Passages, gallerie coperte dedicate al commercio. Piano piano questi luoghi si organizzarono e negli anni '40 iniziarono ad apparire le prime suddivisioni in reparti omogenei. Era l'inizio di un nuovo modo di acquistare e di un nuovo rapporto tra venditore e cliente. La nascente produzione industriale permetteva di vendere a prezzi più accessibili; la merce era esposta e visibile a tutti, anche a chi non aveva intenzione di comprare. LA CONFEZIONE. Nel 1824, a Parigi, Pierre Parissot aprì "La Belle Jardine" dove vendere abiti maschili destinati al lavoro, confezionati in serie e nuovi. La cucitura doveva ancora essere eseguita a mano, quindi la serialità riguardava solo il taglio delle pezze. Presto molti seguirono questo esempio. Nacque il sistema di lavoro razionalizzato dello sweating system che radunava sarti o sarte, confezionisti e tagliatori in un unico atelier i quali affidavano ad operai a domicilio la finitura del capo. Per la donna il discorso era ancora diverso, perchè questo tipo di confezione era riservata a quegli indumenti che non necessitavano di essere modellati sul corpo. I GRANDI MAGAZZINI Dopo un periodo di crisi economica durata un paio di anni si assistette ad un vero e proprio boom economico intorno al 1850. Le grandi Esposizioni Universali diventarono luoghi di esaltazione del nascente capitalismo e si cercò di trasformali in forma stabile con la creazione dei GRANDI MAGAZZINI. Il primo a venire alla luce fu il Bon Marchè nel 1852, vennero poi il Louvre, il Printemps e via dicendo. Subito il loro successo fu tale che iniziarono ad inglobare le case intorno finendo per occupare interi isolati. Il profitto sui singoli articoli era basso, questo significava che la merce doveva essere venduta in enormi quantità  e per far ciò era essenziale il rapporto con l'industria. Ogni reparto era specializzato in un determinato settore merceologico ed era gestito da un responsabile che aveva sotto di sè gruppi di commessi pronti ad aiutare i clienti che dovevano perdersi in tanta abbondanza di merci e cedere infine all'acquisto. Le vetrine erano il vero richiamo per il cliente che diventavano vere e proprie installazioni e le esposizioni interne diventavano vere e proprie messe in scena per pubblicizzare l'articolo di stagione. CHARLES FREDERICK WORTH In un contesto storico in cui sono sempre più diffuse modalità   d'acquisto impersonali, iniziarono a nascere figure professionali nelle quali riporre la propria fiducia e che sapessero consigliare durante gli acquisti. In questo contesto entra in scena Charles Frederick Worth, che creò un nuovo modo di fruire la moda. C.F. Worth è considerato infatti il PRIMO COUTURIER in senso moderno. Worth viene indicato come il padre fondatore della Haute couture. Egli creava nuove fogge e proponeva i propri modelli, curando al contempo l'intera immagine della donna che vestiva. C.F. Worth era nato in Inghilterra, in una piccola cittadina del Lincolnshire, il 13 ottobre 1825. Era stato apprendista in due noti negozi di tessuti londinesi per poi trasferirsi a Parigi nel 1845. Dopo aver imparato il francese fu assunto prima come commesso nel grande magazzino La Ville de Paris e poi nel magasin de modes di Gagelin, uno dei principali della città, specializzato in tessuti e scialli preziosi e di importazione. Dopo soli 5 anni divenne il responsabile del reparto sartoria. Ben preso si fece notare all'interno del magasin soprattutto per la sua idea di utilizzare una commessa che poi divenne sua moglie, come modella per presentare gli scialli in vendita. C.F. Worth iniziò quindi a proporre presso il magasin di Gagelin i primi capi pronti che furono presentati anche alle Esposizioni Universali ottenendo anche i primi successi. Nel 1853 entrò in società   con il nuovo proprietario di Gagelin, Octavio-François Opiguez-Gagelin, insieme al collega Ernest Walles. Dopo quattro anni iniziarono i primi dissensi tra i soci e nel luglio del 1858 fu sciolta la società . In aprile Worth si era già   messo in società   con un vecchio collega de La Ville de Paris di origine svedese, Otto Bobergh. Worth e Bobergh aprirono un atelier al n°7 di rue de la Paix che in quel momento non era al centro del bel mondo parigino, sebbene vi si trovassero altri negozi molto affermati, ma lo diventò ben presto quando fu costruito il nuovo teatro dell'Opera, che modificò l'immagine del quartiere. La maison offriva un servizio alle clienti benestanti non del tutto sicure del proprio gusto: oltre alle stoffe, infatti, venivano proposti abiti esclusivi progettati da Worth, con varie opzioni di tessuti e colori che venivano realizzati poi su misura. La maison contava una ventina di impiegati. Worth dichiarava che il suo lavoro consisteva principalmente nell'invenzione e che le sue clienti lasciavano a lui ogni scelta. La sua consacrazione arrivò dopo circa due anni, quando sua moglie fu mandata dalla Principessa Pauline von Metternich, nipote di Klemens von Mettermich, che era stato cancelliere austriaco presente al congresso di Vienna, a proporle i modelli creati dal marito a prezzi convenienti. La principessa acquistò due modelli, uno da giorno e uno da sera che indossò in occasione di un ricevimento a corte. Questo fece si che gli abiti di Worth venissero notati a corte dall'imperatrice Eugenia che divenne ben presto una cliente del couturier. La società del secondo impero era una società  amorale e opulenta, conservatrice e molto lontana dalla rivoluzione. L'imperatrice aveva il mito dell'Ancièn -Regime e la moda dell'epoca esprimeva una nostalgia per la moda pre-rivoluzionaria che si concretizzava nell'utilizzo di abiti sempre più larghi e che necessitavano di metri e metri di tessuto, sostenuti da crinoline esagerate. Worth non modificò la foggia di moda in questo periodo, ma propose modelli più semplici. Aveva una grande conoscenza dei tessuti e ciò gli permetteva di correlare strettamente la forma dell'abito al tessuto utilizzato. ROSA GENONI Rosa Genoni nacque a Sondrio nel 1867. A 10 anni partì dalla Valtellina e andò a Milano a fare la "piscinina", cioè l'apprendista in sartoria. Ma non si fermò al lavoro; studiò alle scuole seriali, imparò il francese, si avvicinò ai circoli socialisti e alle prime battaglie femministe. Nel 1884, già  maestra all'atelier Dall'Oro, andò a Parigi per un convegno sui lavoratori e ci restò 3 anni, acquisendo i segreti del mestiere sartoriale. Al ritorno si fece notare dalla Maison Hard et Fils all'epoca la più rinomata di Milano, dove diventa première. In questo atelier, come era uso all'epoca, venivano riprodotti abiti francesi grazie all'utilizzo di figurini rubati o acquistati a prezzi elevatissimi dalle maison parigine. Ella riteneva che fosse necessario creare una nuova moda italiana prendendo ispirazione dalla pittura del Rinascimento, dichiarando: "Il nostro patrimonio artistico potrebbe servire di modello alle nuove forme di vesti e di acconciature, che cosi assumerebbero un certo sapore di ricordo classico e una vaga nobiltà di stile". Con il suo lavoro, Rosa Genoni, si impegnò a portare avanti questo progetto e propose un abito ispirato alla Primavera di Botticelli realizzato in raso rosa pallido, con una sopravveste in tulle color avorio ricamata con perline, canutiglie e paillettes a creare un motivo floreale. Accanto questo realizzò anche un manto da corte ispirato ai disegni di Pisanello in velluto di seta verde con inserti in raso giallo e merletto ricamato, ricamo in filati metallici d'oro e d'argento, cannucce e conterie in vetro. Questi abiti le valsero il Grand Premio per la sezione Arte Decorativa da parte della Giuria Internazionale all'Esposizione Universale di Milano. Rosa fu anche molto attenta ai problemi sociali: nel 1905 organizzò alla Società   Umanitaria corsi professionali femminili, dove insegnò dirigendo per anni la sezione sartoria, biancheria e modisteria. I ricami dell'abito ispirato alla "Primavera" di Botticelli vennero in parte eseguiti dalle allieve della Scuola Professionale Femminile della Società  Umanitaria di Milano. Nel 1928 aprì la prima scuola di cucito per le detenute del carcere milanese di San Vittore. Si battè per la formazione di un associazione di lavoratrici nel campo della moda ed era a favore della produzione di abbigliamento su scala industriale, che considerava uno strumento di democratizzazione della società. Le esortazioni della Genoni non produssero grandi risultati, ma portarono comunque alla nascita del comitato per "Una moda di pure arte italiana" fondato in Lombardia nel 1909 a cui aderirono molti imprenditori attivi nel settore. La volontà   di creare una moda italiana fu espressa anche nell'ambito dell'Esposizione Universale di Torino del 1911 dive venne realizzato il "Palazzo della Moda". Tuttavia queste iniziative non ebbero risultati apprezzabili e molte maison italiane continuarono ad usare i figurini francesi. La moda continuerà  ad essere ancora per un bel pezzo dipendente da quella francese, tanto che i tentativi per la creazione di una moda italiana saranno definiti "utopistici" da Nino Caini, direttore della rivista "La Donna", una testata del primo 900. I MOVIMENTI REFORM. Artisti e intellettuali, dalla metà dell'800 in poi, iniziarono ad interessarsi all'abbigliamento perchè ravvisavano un eccessivo artificio nella moda dell'epoca, una bruttezza nelle falsificazioni industriali e un eccesso di decorazione che ritenevano dannoso per il gusto estetico. A queste considerazioni si aggiungevano le preoccupazioni dei medici per l'utilizzo del busto, che si temeva causare problemi di salute e soprattutto si temeva potesse pregiudicare le gravidanze. Un ulteriore voce di dissenso era quelle che proveniva dai primi movimenti femministi che reclamavano un abito più pratico, igienico e salutare. AMELIA BLOOMER L'americana Amelia Bloomer nel 1851 decise di adottare un abbigliamento più pratico e iniziò a indossare corti gonnelloni con pantaloni alla turca. Rivendicava un abbigliamento che permettesse alle donne di muoversi liberamente e chiedeva la possibilità di votare. Il suo abbigliamento fece scandalo, soprattutto per l'acquisizione di un capo simbolo della mascolinità come i pantaloni. (anche se indossava pantaloni non era uno scandalo eccessivo perchè era comunque coperta il problema era infatti l'acquisizione di un capo che non la comprendeva!) Le polemiche furono talmente feroci che alla fine Amelia dovette tornare agli abiti tradizionali. UN ABITO RAZIONALE PER LA DONNA Nel 1881 la viscontessa Haberton fondò in Inghilterra "The Rational Dress Society, sostenendo l'uso di pantaloni alla turca o gonne pantalone. Annoverò fra i suoi più autorevoli membri anche Oscar Wilde. Ada Baillie della National Health Society, invece, si rese conto che i tempi non erano maturi per proposte di questo tipo e preferì concentrarsi sull'abito taglio princesss che non stringeva troppo la vita e si poggiava sulle spalle, cosa che permetteva di limitare l'uso del busto. Un aspetto interessante di questo movimento era il legame che veniva a crearsi tra le istanze sanitarie e le rivendicazioni femministe. In realtà  fu solamente il pericolo per la maternità  che permise ai medici dell'epoca di venire ascoltati in merito alla necessità di limitare l'uso del busto. I PRERAFFAELLITI Gli artisti entrarono in questo dibattito ideando capi d'abbigliamento coerenti con le proprie creazioni artistiche. La Confraternita dei Preraffaelliti fu un'associazione artistica,(inglese) influente in età vittoriana, nata nel settembre del 1848. I Preraffaelliti si ponevano come obiettivo quello di abolire i modelli artistici dell'accademia, cercando di riportare in vita i costumi di un passato immaginario e nostalgico tendando inoltre di unificare fra loro i concetti di vita, arte e bellezza. I Preraffaelliti ritraevano donne con capelli sciolti e con vestiti che non richiedevano busti o crinoline. Erano abiti che rispecchiavano la loro estetica: si trattava di abiti morbidi, fluidi dalle ampie maniche, che potevano essere drappeggiati sul corpo. KÃENSTLERKLEID Il progetto di riforma dei modelli estetici e culturali borghesi si diffuse in tutta Europa e sempre piu spesso gruppi di artisti proponevano vestiti estetici. Gli artisti s'incaricano di una missione educativa della borghesia, modificando gli oggetti di uso quotidiano in chiave estetica, nel tentativo che l'abitudine al bello potessi portare ad un gusto più raffinato (portare il bello nella vita delle persone!) Henry van de Velde, artista e architetto, si occupò soprattutto di arredamento. E' considerato uno dei fondatori dell'Art Nouveau. Egli presentò, nell'ambito di una mostra dedicata agli abiti d'artista nel Kaiser Wilhelm Museum di Krefeld in Germania, sei modelli ideati per la moglie dal taglio semplice e sciolto, con vita alta e donna lunga, decorati con lo stesso stile dei mobili da lui realizzati. LA SECESSIONE VIENNESE Gustav Klimt, il massimo esponente della Secessione Viennese, creò per sè e per la sua compagna e modella (rappresentata in molti quadri) , Emilie Floge, dei modelli di ispirazione orientale, dalla linea semplicissima e sciolta, ma dai tessuti ricchissimi ( che riprendevano i decori, e le caratteristiche estetiche dei quadri di Klimt) Emilie Floge dirigeva una famosa casa di moda insieme alle sorelle e attraverso il suo lavoro contribuì a diffondere un nuovo modello di abbigliamento, realizzando capi che, seppur non fossero ugualmente innovativi come quelli disegnati da Klimt, ne condividevano tuttavia lo spirito. La Wiener Werkstatte (scuola d'arte della Secessione ) ebbe un laboratorio stabile dedicato alla moda diretto da Wimmer-Wisgrill, ma gli abiti realizzati in questa sede non furono quasi mai realizzati e rimasero spesso solo su carta. L'ABITO ALLA GRECA Un'altra ispirazione per una proposta di abito estetico che fosse compatibile con uno stile di vita più naturale e dedito al "bello" fu rappresentata dall'Antica Grecia. Le scoperte archeologiche del 1870 avevano riacceso l'interesse per il mondo antico e la moda ne fu ovviamente influenzata. Oscar Wilde vedeva nell'arte greca la soluzione ideale per la creazione di un abito finalmente igienico e razionale. Isadora Duncan alcuni anni dopo utilizzò una candida tunica per le sue esibizioni di danza. Ma colui che possiamo considerare come il massimo esponente della moda estetica di ispirazione classica è certamente Mariano Fortuny . MARIANO FORTUNY Mariano Fortuny y Madrezo nacque a Granada nel 1871, per poi trascorrere l'infanzia tra Roma e Parigi e trasferirsi definitivamente a Venezia nel 1889. Egli fu artista poliedrico e all'inizio del 900 aprì una piccola officina di stampa su seta. Tra i suoi primi lavori ci furono veli e scialli con motivi decorativi ispirati all'arte cretese da lui battezzati knossos. Successivamente brevettò un metodo di stampa policroma che permetteva anche l'uso di polveri di rame e alluminio. Studiando l'arte classica decise di reinventare il chitone ideando una tunica chiamata Delphos, ispirata all'auriga di Delfi: si trattava di un cilindro di seta plissettata che avvolgeva la figura. La peculiarità  risiedeva nel plissè realizzato con un metodo brevettato da Fortuny nel 1909. La plissettatura, eseguita inizialmente attraverso un processo manuale, veniva realizzata con lunghi del pollice, poi fermata con un'imbastitura e quindi pressata. Le dense onde verticali di ogni Elo che componeva la veste potevano raggiungere circa 450 pieghe. Con il medesimo sistema di plissettata veniva realizzato un altro abito, il peplos, ispirato alle Korai, dall'orlo irregolare e decorato con perline di vetro du Murano, che permettevano all'abito di cadere dritto. Fortuny studiò anche i temi di taglio degli indumenti orientali ed etnici e lavorò alla creazione di tessuti dati ad una loro reinterpretazione attraverso tecniche di stampa e colorazione. Gli abiti di Fortuny erano realizzati con tessuti iridescente e mettevano molto in risalto le forme femminili, furono pertanto indossati da donne dalla forte personalità   , come Isadora Duncan, Peggy Guggenheim, Eleonora Duse o la marchesa Casati Stampa che, nello stupore generale, indossò un delphos per un importante ballo. Proust e D'Annunzio furono affascinati da questi abiti e li descrissero nelle loro opere. Fortuny morì nel 1949 e sua moglie donò la loro dimora al comune di Venezia, che oggi ospita il Museo Fortuny. I suoi abiti ispirarono moltissimi stilisti negli anni successivi, e forse possono essere considerati come la sintesi di tutti i progetti di riforma di abito susseguitisi fino a quel momento. I FUTURISTI Le avanguardie artistiche del primo Novecento scelsero un linguaggio provocatorio e a volte violento come forma di espressione. I futuristi pubblicarono il loro manifesto su "Le Figaro" del 20 febbraio 1090, comunicando la propria idea di modernità. Per i futuristi il mito erano le nascenti metropoli, la tecnologia, la velocità, la macchina, l'aereo, la luce elettrica: tutto ciò rappresentava l'arte del presente, la nuova bellezza. I futuristi misero in discussione l'abito maschile, prediligendo l'asimmetria e il colore. Balla realizzò per sè stesso abiti innovativi che dovevo restituire effetti dinamici grazie a forme e colori. Balla non accettava il meccanismo effimero della moda, ma credeva nella creazione di una vera e propria forma estetica adeguata al mondo de futuro. Nel 1914 fu pubblicato in francese "Le vètement musculin futuriste. Manifeste" che fu successivamente ripubblicato in italiano l'11 settembre nel 1914 con il titolo "il vestito antineutrale". I futuristi ritenevano che la moda del momento fosse povera di idee è sotto le false insegne della distinzione e della sobrietà. stile di Lepape era diverso da quello di Iribe, più influenzato dalla pittura giapponese e con un grande senso del colore. Anche questa volta l'album fu accompagnato da un rinnovamento dell'identità visiva della maison. In seguito alla pubblicazione dell'album nacque una rivista dal titolo La gazette du bon finanziata da Poiret, Worth, Cheruit, Doucet, Lanvin e Redfer- padreideatore del tailleur-. LA MILLEDUESIMA NOTTE Poiret organizzò anche delle feste grandiose per far parlare di sé: la più maestosa di tutte fu un ballo in maschera chiamato "La fete de la mille et deuxième nuit" organizzato il 24 giugno 1911 nel giardino della maison. La festa espresse il gusto di Poiret per un oriente onirico e spettacolare che rappresentò l'apoteosi della passione parigina per l'orientalismo e che rimase a lungo nell'immaginario collettivo, attirando l'attenzione della stampa anche internazione. Fu un evento grandioso, per il quale tutti gli invitati dovevano vestirsi a tema ed erano controllati all'ingresso, il palazzo e i giardini erano allestiti grandiosamente e celati alla vista dall'esterno, artisti di vario genere si esibirono nelle sale allestite come la dimora di un sultano per confondere e inebriare i sensi. L'INFLUENZA DELLA WINER WERKSTATTE Poiret con queste manifestazioni voleva mostrarsi non solo come sarto e imprenditore, ma soprattutto come artista e uomo di mondo; era amico di pittori, collezionava arte moderna e aiutò tanti giovani talenti, come Man Ray, Elsa Schiapparelli e Dufy. Ma lavorò molto per ottenere il suo successo e nel 1910 organizzò un viaggio promozionale attraverso l'Europa per mostrare le sue collezioni accompagnato da 9 indossatrici. Questi viaggi furono anche l'occasione per stringere collaborazioni e per trovare nuove ispirazioni. A Vienna venne in contatto con la Winer Werkstatte e conobbe Gustav Klimt ed Emile Flòge. L'incontro con gli artisti della Secessione e la coinsapevolezza che moda, arte, arredamento, evanti mondani, architetture, potessero essere tutti strettamente interconnessi gli diede nuovi spunti creativi. Nel 1911 aprì in rue du Fabourg Saint-Honorè l'Atelier Martine (dal nome della seconda figlia) che si occupava di arredamento in cui un gruppo di ragazzine guidate da Madame Serusier dava libero sfogo alla propria fantasia. Sebbene questa sua iniziativa non raggiunse mai lo scopo iniziale di produrre una vera rivoluzione estetica. L'Atelier Martine fu dotato di un punto vendita e fu fortemente sostenuto dalla maison. Parallelamente fu intrapreso un progetto di decorazione di tessuti che Poiret affidò a Dufy, che attirò invece le attenzioni dell'industria tessile. I PROFUMI Un'altra iniziativa di Poiret per espandere il proprio mercato fu la produzione di profumi, che fu curata dalla ditta Rosine (dal nome della prima figlia) fondata da Poiret con questo scopo. Ai profumi si affiancarono poi prodotti di bellezza di ogni tipo e Poiret aprì una profumeria a suo nome sempre in rue du faubourg Saint-Honorè. Allo stesso modo, aprì una società che produceva le scatole e il materiale pubblicitario, nonchè le bottiglie di profumi, niente era lasciato al caso e tutto doveva essere coerente con l'immagine della maison. Nel 1913 Poiret e la moglie compirono un viaggio pubblicitario negli Stati Uniti: Denise fece da modella, perchè alla frontiera il filmato fu confiscato per timore che si trattasse di pornografia. Quando si trovarono a New York contemporaneamente si tenne anche la prima esposizione delle avanguardie artistiche europee: certamente questo contribuì a creare attenzione intorno a Poiret e il suo viaggio fu un successo. IL SUCCESSO Il successo era ormai universale. Se le sue proposte non erano accettate tagliava corto, anche di fronte alle nobildonne. Quando ad esmpio, la baronessa de Rothschild criticò un suo abito, Poiret le impedì di assistere alla sua sfilata e le annunciò che finchè non se ne fosse andata la sfilata non sarebbe iniziata. GLI ANNI DELLA GUERRA Durante gli anni della guerra Poiret, fu dapprima chiamato a prestare servizio come sarto in un reggimento di fanteria, poi fu destinato agli Archivi del Ministero della Guerra. Poiret in quegli anni era presidente del Syndacat de defence de la grande couture francais e collaborò all'organizzazione nel 1915, della Fete Parisienne promossa da Vogue presso il Ritz-Carlton di New York. Parteciparono tutte le maison rimaste aperte durante la guerra. Qui Poiret, presentò abiti diversi da quelli di gusto orientale, più in linea con tendenza del momento che prevedeva abiti con gonne più corte e ampie, sostenute da crinolina e con elementi maschili. Oltre a queste iniziative che volevano portare sostegno alla Francia, lanciò anche un profumo "patriottico", che voleva essere di buon augurio, dal nome Mam'zelle Victoire. IL DOPOGUERRA Dopo la guerra tutto cambiò. Poiret aveva dovuto vendere o ipotecare le sue proprietà per far fronte alle difficoltà della guerra. L'azienda era in difficoltà, ma ancor più lo era la sua vita familiare:due figli erano morti di febbre spagnola e le difficoltà avevano logorato il rapporto con la moglie, portandoli al divorzio. Si prese una pausa e si recò in Marocco con uno dei figli e con Dufy. Tornò con la voglia di riprendere il lavoro e istallò in giardino una tenda araba dove organizzava feste tutte le sere, coinvolgendo le vecchie glorie della Belle Epoque. Le collezioni diventarono sempre più lussuose e sapienti, i materiali sempre più ricercati, i decori elaborati. Le sue collezioni postbelliche erano sempre più lussuose ed elaborate in contraddizione con il modello femminile del primo dopoguerra. In questi anni gli vennero chiesti per lo più abiti di scena e abiti per feste in maschera e sebbene egli fu in grado di intraorendere anche la nuova tendenza degli abiti semplici e lineari, il suo successo diminuì poco a poco. Nel 1922 si era recato di nuovo negli Stati Uniti e programmava una esportazione dei suoi modelli, ma la nuova moda à la garconne decretò la fine del suo successo. Nel 1924 dovette affidare la maison ad una società di banchieri vendendo tutte le sue proprietà, sperando di poter ritrovare la tranquillità per lavorare ai costumi per il film L'inhumaine di Marcel l'Herbier. Il 24 dicembre organizzò il trasferimento della maison presso la nuova sede vicino gli Champe-Elyseez, inscenando un incendio della vecchia sede durante la festa d'addio con il trasferimento a piedi degli invitati nel nuovo atelier, dove erano riunite tutte le attività della maison. Poiret vendette Rosine e Atelier Martine per organizzare una serie di eventi per rilanciare la maison in occasione dell'Exposition Internationale des Arts Decoratifs et Industriels Modernes tenutasi a Parigi nel 1915. Questo suo tentativo di tornare in auge fu fallimentare e finì per affossarlo definitivamente. Poiret non sapeva più farsi interprete della nuova moda e si limitava a criticarla. Nel 1927 ruppe con l'amministrazione della maison, che continuò ad usare il suo nome fino al 1933. Nel 1932 Poiret provò ada aprire una nuova maison utilizzando il numero di telefono come griffa, ma questo esperimento ebbe breve durata. Nel 1933, anno della pubblicazione delle sue memorie, fu chiamato dal Grands Magasins Le Printemps per realizzare ogni anno una collezione di abiti, ma presto si interrupe anche questo contratto. Colpito dal morbo di Parkinson, debilitato per le privazioni della miseria ma anche della Seconda Guerra Mondiale, Paul Poiret morì in ospedale la sera di venerdì 28 aprile 1944 a 65 anni. JEANNE LANVIN La maison Lanvin è la piu antica casa di moda tuttora in attività. Jeanne Lanvin nacque a Parigi il primo gennaio 1867 ed è la prima di 11 fratelli. All'età di 13 anni iniziò a lavorare presso la modista Madame Bonni con il compito di fare le consegne e venne soprannominata "la petite omnibus" per poi diventare qualche anno dopo una apprendista della modista. Nel 1889 a soli 22 anni aprì la sua boutique da modista al piano ammezzato di rue Boissy d'Anglas n. 16. Il suo lavoro venne apprezzato e dopo 4 anni potè spostarsi al 22 rue du Fauburg Saint-Honorè aprendo la maison Lanvin (Mlle Jeanne) Modes. (una maison inizialmente specializzata nella realizzazione di cappelli.) Nel 1896 si sposò con il nobile italiano Emilio di Pietro, da cui divorziò nel 1903, e nel 1897 nacque l'unica amatissima figlia Marguerite. Il rapporto con la figlia fu centrale nella vita privata e lavorativa di Jeanne Lanvin e Marguerite fu la sua grande musa ispiratrice. La madre creava i vestitini per la figlia da cui non si separava mai e le clienti iniziarono a notare l'eleganza della bambina. Nel 1908 inaugurò un reparto dedicato all'abbigliamento bambino, fu la prima a fare un'operazione di questo tipo. Ben presto la produzione di abiti per bambini superò quella di cappelli. Man mano che la figlia cresceva aumentavano le linee proposte e nel 1909 nacquero i reparti "Femme" e "Jeune fille". Nello steeso anno s'iscrisse al Sindacato de la couture sancendo il passaggio da modista a couturière. Jeanne Lanvin aveva un innato senso imprenditoriale e negli anni succesivi si moltiplicheranno i nuovi reparti della maison. Nel 1913 aprì un reparto pellicce, che forniva alle clienti anche un servizio di custodia surante il periodo esttivo. Nel 1915 e partecipò all'Esposizione Universale di San Francisco presentando i suoi modelli e iniziando un duraturo rapporto commerciale con gli Stati Uniti. Nel 1920 durante una serata presso la maison Poiret, Lavin incontrò il famoso architetto Armand.Albert Rateau e insieme diedero vita ad un padiglione dedicato all'arredamento d'interni in stile Art Dèco al n. 15 di rue Fauberg Saint-Honorè. In seguito aprì anche un reparto dedicato agli abiti da sposa. Nel 1923, Lanvin comprò una fabbrica di tintura a Nanterre per occuparsi in proprio della tintura delle stoffe e proporre così delle nuance sempre nuove e particolari. (in particolare il colore blu, che amava particolarmente in tutte le sue declinazioni -Blu Lanvin-, ma anche il verde, bianco e nero). Nel dopoguerra in Francia iniziò una fiorente stagione per il turismo balneare e città come Deauville e Biarritz diventeranno luoghi molto frequentati dai parigini del bel mondo. Lanvin, come molte altre maison aprì delle boutique in queste stazioni balneari e inaugurò il reparto"Lanvin sport" che forniva abbigliamento casual per varie tipologie di attività sportive. Nel 1924 nacque anche "Lanvin Purfums" presso gli Champs-Elisèes e nello stesso anno venne presentato il logo della maison Lanvin, disegnato da Paul Iribe, che rappresenta una madre e una figlia che si prendono per mano. La scelta di questo logo venne anticipata da numerose stampe apparse sulle riviste che ritraevano mamme e figlie vestite Lanvin. Sarà la prima a proporre un profumo unisex. Dopo aver partecipato con successo all'Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Parigi del 1925, nel 1926 Lanvin lanciò una linea di abbigliamento su misura per uomo, prima couturière parigina a lanciarsi in un'impresa del genere. Lanvin Tailleur-Chemisier si insediò al n. 15 di rue Fauburg Saint- Honorè ingaggiando tre sarti parigini e diretti dal nipote di Madame Maurice Lanvin. Lo stesso anno fu nominata Cavaliere della Legion d'onore della Repubblica Francese, mentre l'anno dopo uscì Arpège il suo profumo più celebre. Nel 1935 durante la prima traversata del transatlantico Normandie, Lanvin fece sfilare alcuni modelli della sua collezione. Nel 1937 parteciò all'Esposizione Universale di Parigi, mentre nel 1939 presenziò all'Esposizione Internazionale in occasione dell'innaugurazione del Golden Gate Bridge. Al suo apogeo la maison Lanvin contava ben 1200 dipendenti, 23 atelier, numerose boutique e filiali in tutto il mondo. nel 1945 partecipò al "Theatre de la Mode", un'esibizione itinerante di piccoli manichini vestiti da grandi couturièr con lo scopo di rivitalizzare la moda francese dopo la guerra e celebrare il savoir-faire francese. Lanvin aveva una personalità unica e molto riservata. Amava stare lontana dagli eventi mondani, salvo rare occasioni. Fu però amante dell'arte contemporanea e riuscì ad avere intorno a sè una cerchia di amici intimi tra cui figuravano importanti artisti dell'epoca. Amava molto viaggiare e durante i suoi viaggi raccoglieva idee e materiali per il suo lavoro. "Madame" ricevette nel 1938 la rosetta come ufficiale della Legion d'onore e si spense a Parigi il 6 luglio all'età di 76 anni. La succedette la figlia che aveva sposato il conte di Polignac nel 1924, e che continuò a creare collezioni fino al 1950. In seguito saranno numerosi altri creatori che si succederanno per portare avanti il lavoro iniziato da Mme Lanvin, che da semplice apprendista modista seppe creare un impero commerciale. MADELEINE VIONNET Madeleine Vionnet nacque nel 1867 a Chillieurs-aux-Bois e crebbe ad Aubervilliers insieme al padre, dopo la separazione dei genitori. A 11 anni fu avviata al mestiere di sarta sebbene fosse una brillante studentessa. Nel 1893 trovò lavoro presso la maison Vincent a Parigi dove diventò première due anni dopo. Nel frattempo si sposò ed ebbe una bimba, ma nel 1895 la bambina morì a causa di un incidente e divorziò dal marito un mese dopo. A questo punto si trasferì a Londra dove lavorò prima in un manicomio come guardarobiera, poi nell'atelier di KATE REILY. In Inghilterra probabilmente ebbe modo di vedere gli spettacoli di Isidora Duncan che si esibiva indossando una tunica alla greca, mentre nella società inglese era molto presente il dibattito portato avanti dalla Healty and Artistic Dress Union che, nel 1890 aveva sostituito la Rational Dress Society. Agli inizi del secolo tornò a Parigi e fu assunta come première dalle sorelle Callot, mentre in seguito fu assunta come modellista da Douchet che le chiese di innovare la proposta della sua maison. Vionnet propose abiti nello stile delle tuniche indossate da Isidora Duncan da portare senza corsetto, ma le sue idee non vennero ben accolte dalle clienti e dalle storiche vendeuses, assistenti alla vendita di Douchet, e l'unico campo in cui le fu data libertà fu la produzione di deshabillè, un tipo di abito nato come indumento intimo che poi si evolse e venne utilizzato come abito per ricevere ospiti in casa -in partcolar concepire un suo modo di vestire. I suoi primi esperimenti per creare uno stile vestimentario personale unirono elementi maschile e elementi ripresi dal mondo delle uniformi. Coco non amava il ruolo della femme fatale attribuito alla donna in quegli anni. Cominciò a modificare cappelli, semplificando quelli che acquistava per se. Chiese poi a Balsan di aprirle una modisteria a Parigi. Nel 1909 ottenne di poter utilizzare la garconniere che Balsan aveva in Boulevard Malesherbes. Poichè Coco non aveva delle vere conoscienze da modista si associò con Lucienne Rabatè, una promessa della modisteria, che portò due lavoranti. Nello stesso periodo conobbe un amico di Balsan, Arthur Capel (noto come Boy), un uomo d'affari inglese che sostenne l'iniziativa anche in senso finanziario. Boy sarà per Coco il più grande amore della vita. Egli finanzierà l'apertura della nuova sede della modisteria in rue Cambon, dove iniziò a vendere i primi cappelli con l'etichetta Chanel Mode. Nel 1913 fece una vacanza al mare a Deauville. Boy le finanziò l'apertura di una nuova boutique nella cittadina della Normandia e qui iniziò a sperimentare nuovi capi d'abbigliamento che poi propose alle sue clienti com abiti casual per le attività sportive. Iniziò a vendere maglie da marinaio, pullover, blazer di flanella reinterpretati a partire dagli abiti di Boy. Copiando il gurdaroba dei suoi amanti voleva vestire le donne moderne. Allo scoppio della guerra Coco rimase a Deuxville su consiglio di Capel in attesa di comprendere l'evoluzione degli eventi. In effetti questo andò a suo vantaggio: quando i tedeschi arrivarono nei pressi di Parigi la cittadina balneare divenne luogo per rifugiarsi e quella di Chanel si trovò ad essere l'unica boutique aperta. Chanel mise a punto anche le uniformi delle infermiere volontarie, modificando quelle delle cameriere. Vestì quelle donne che erano in fuga dalla guerra e che avevano necessità di muoversi agilmente e andare a piedi, conducendo una vita diversa dal solito. Utilizzò per l'abbigliamento un materiale che fino a quel momento era stato destinato all'intimo, e che fece la sua fortun: il jersey. Boy e Coco decisero di aprire un boutique anche a Biarritz che, durante la guerra, era diventato il luogo di attrazione vista la vicinanza con il confine spagnolo. La sorella di Coco, Antoinette, assunse lla direzione di questa nuova boutique, che subito seppe attirarsi i favori delle èlite spagnole. Nel 1916 l'impresa di Chanel contava all'incirca 300 lavoranti. Nello stesso anno apparve per la prima volta un suo modello su Harper's Bazaar con la dicitura: The charming chemise dress. Nello stesso anno vennero pubblicati anche dei modelli su Les Elegances parisiennes e dall'anno successivo in poi i suoi modelli furono presentati con regolarità all'interno delle riviste di moda. Nel 1918 Boy sposò una lady inglese per morire l'anno successivo in un incidente stradale, era l'inizio di una nuova vita per Coco. Nel frattempo la sua fama andava aumentando e il successo, soprattutto nel mercato americano, era arrivato. Chanel usava nella sua produzione colori neutri, inusuali, soprattutto il bianco, il nero e il beige e alla fine della guerra iniziò ad usare, al fianco del jersey, tessuti come la seta, il raso, il velluto, lo chiffon e il pizzo. In questo periodo ingrandì il suo atelier spostandosi dal 21 di rue Cambon al 31 per poi espandersi, inglobando i civici dal 29 al 23. Nello stesso periodo dello spostamento dell'atelier iniziò a frequentare il mondo artistico e intelletuale parigino avendo come guida i Sert, Joseph e Misia. Conobbe Picasso, rimase affacsinata da Djagilev e dai suoi Ballets Russes e in segreto finanziò la ripresa della Sagra della primavera di Stravinskij con il quale ebbe un breve flirt. Nel 1922 iniziò il suo sodalizio con Cocteau che le affidò la realizzazione dei costumi per la sua Antigone con scenografie di Picasso. Il sodalizio con Cocteau durò per circa 14 anni. In questo contesto Chanel incontrò il granduca Dimitrij Pavlovitch, un nobile russo decaduto, imparentato con lo zar e sfuggito alla Rivoluzione russa, che divenne il suo amante. N°5 Grazie al suo nuovo compagno iniziò a frequentare l'aristocrazia e fu probabilmente grazie a lui che Coco scoprì il profumo, che fino a quel momento aveva snobbato. Sempre grazie a Dimitrij, probabilmente, conobbe Ernest Beaux, un chimico di Grasse, il cui padre aveva lavorato alla corte degli zar. Insieme a lui Chanel creò il più famoso profumo del secolo, che utilizzando un processo produttivo innovativo, metteva insieme essenze naturali e componenti sintetiche, per creare un profumo che non assomigliava a nient'altro. La confezione era basica, con un'etichetta semplice, il nome era insolito: era stato chiamato così perchè era stato scelto il 5° campione di profumo che Coco aveva annusato. In questi anni l'influenza del suo amante russo si vide anche all'interno delle sue collezioni. Fu soprattutto la roubachka, il tipico camiciotto dei contadini russi, ada attirare la sua attenzione, insieme ai ricami con disegni a motivi geometrici o di figure fantastiche. La sua collezione del 1922 era tutta incentrata su questi elementi, mentre nelle collezioni successive l'influenza si manifestò tramite le pellicce, largamente utilizzate. Negli anni successivi i modelli divennero a "tubo" con la vita bassa e una cintura sui fianchi, mentre l'orlo si alzava sempre più verso il ginocchio. L'Esposizione Internazionale delle Arti Decorative del 1925 vide il trionfo dello stile à la garçonne. Intorno alla metà degli anni venti, Coco iniziò una relazione con il duca di Westminster, grazie al quale conobbe il tweed che diventerà un elemento imprescindibile dei suoi celebri tailleurs. In questo stesso periodo propose un abitino nero, adatto per ogni occasione a seconda degli accessori indossati. Si trattava del modello 817 che Vogue, nel numero 1 ottobre, paragonò all'ultimo modello di Ford. Il nero come colore che poteva rappresentare sia l'eleganza sia la serietà del lavoro. Il vestito nero era il risultato di un processo di semplificazione a cui Chanel sottopose il vestito femminile. Negli anni successivi lavorò sul tailleur. Le collezioni tra il 1927 e il 1930 si specializzano in completi composti da una giacca dritta dal modello maschile, gonna e blusa coordinata. Si aggiunsero poi gilet e cappotti sportivi ispirati alla sartoria inglese. I suoi rimanevano comunque abiti femminile che prendevano dal guardaroba dell'uomo la praticità e comodità. Chanel inserì nell'abbigliamento femminile anche i pantaloni, da utilizzare soprattutto per il mare, dando vita alla moda dei pigiami da spiaggia. Blazer di tweed, cardigan di lana, camicia bianca e pantaloni morbidi erano parte della divisa sportiva che aveva ideato per le donne degli anni '20. I BIJOUX Dopo aver portato i suoi abiti al massimo rigore iniziò a impreziosirli con gioielli sempre più vistosi. I gioielli avevano, per Coco la funzione di decorare e rendere femminile l'abito, per contribuire a personalizzarlo. Lanciò la moda delle lunghe catene dorate con perle accostate a pietre colorate. Negli anni 30 la maison arrivò all'apice della fama, contando quasi 4000 lavoranti e vendendo circa 28000 modelli all'anno. Nel 1934 iniziò ad abitare all'hotel Ritz. All'inizio del decennio Chanel fece anche delle esperienze hollywoodiane, collaborando con Goldwyn in occasione di due film. La pubblicità per Chanel fu enorme, ma la collaborazione non ebbe lunga durata poichè le dive ritenevano gli abiti di Chanel troppo semplici e poco spettacolari. Da questa esperienza capì che l'haute couture non aveva il compito di abbassare i prezzi e farsi democrazia e iniziò un processo di differenzazione della produzione della maison producendo gioielli sia veri sia finti. Il mercato degli anni '30 richiedeva più fantasia e più glamour: lo stile di Chanel non era più la moda del momento, ma i protagonisti erano i bijoux. In questi anni ebbe una relazione con Paul Iribe con il quale lavorò su alcuni pezzi pregiati, snodabili e trasformabili. Gli anni '30 furono anche il periodo delle rivolte sindacali dei lavoratori. Al contrario di Vionnet, che aveva già concesso da anni tutto ciò che i lavoratori richiedevano e che quindi non ebbe danni da scioperi, Chanel prese la cosa sul personale. Coco non volle vedere le delegate, allora le operaie le negarono l'accesso alla maison. Mademoiselle licenziò 300 persone senza ottenere nulla e fu costretta a concedere quello che le lavoranti chiedevano, credendo che la rovina della Francia fosse iniziata in quel momento. In questi anni creò abiti con tinte più vivaci ispirati agli abiti di zingari e contadini. Durante la seconda guerra mondiale Chanel chiuse la maison, lasciando aperta solo la boutique che vendeva profumi. Le operaie licenziate in tronco si rivolsero alla Champre Syndacale, ma non ottennero nulla. Chanel era ferma nella sua decisione, diceva :" Non è tempo da vestiti". Probabilmente però si era resa conto che non riusciva più ad avere una voce autorevole nel mondo della moda, non riusciva più a interpretare i desideri delle donne. Il Ritz era diventato il ritrovo dei nazisti che occupavano Parigi e qui ebbe la sua ultima storia d'amore con un ufficiale nazista che voleva coinvolgerla in una operazione di spionaggio, forse sfruttando la sua conoscienza con Churchill che aveva incontrato quando frequentava il duca di Westeminster. Chanel sembrava sparita dal mondo della moda. Nel 1954, a 71 anni, riaprì l'atelier con una sfilata che ebbe feroci critiche, ma che in realtà vendette molto bene. I suoi abiti non erano coerenti con le mode del momento, ma lei voleva creare uno stile unico e riconoscibile, che poteva eludere i cambiamenti repentini delle mode. In questo contesto nasce il celeberrimo tailleur di Chanel dalla linea smilza con le classiche impunture e catenelle, con bordi ricamati a sfilatura. Ben presto tutte le donne del jet-set internazionale lo adottarono e lo resero celebre. Nel 1955 il profumo tornò prepotentemente in auge dopo che Marylin Monroe aveva dichiarato di andare a dormire indossando solo 5 gocce di Chanel n. 5. Nel 1955 venne presentata anche la famigerata borsa con tracolla a catena impunturata a rombi, la 2.55. Nel 1957 Chanel ricevette il Neiman Marcus Award. Chanel morì il 10 gennaio 1971 al Ritz all'età di 88 anni. 🌸 ELSA SCHIAPARELLI 🌸 La famiglia Schiaparelli fu una famiglia di intellettuali piemontesi che eccelsero in diversi campi del sapere. Il padre di Elsa era un orientalista e fu nominato direttore dell’Accademia dei Lincei nel 1875, in seguito, nel 1903 ebbe la cattedra di lingua e letteratura araba alla Sapienza. Lo zio di Elsa, Giovanni Schiaparelli, era un astronomo, fu direttore dell’Osservatorio di Brera. In suo onore furono battezzati un asteroide, un cratere sulla Luna e uno su Marte e lo Schiaparelli Dorsum, una catena montuosa sulla superficie di Mercurio, nonché il leader inviato su Marte nel 2016. Lo zio Luigi era invece uno storico paleografo e diede vita alla Fondazione Schiaparelli. Lo zio Ernesto, archeologo ed egittologo, fondò il Museo Egizio di Torino. La figura di Elsa Schiaparelli è da sempre messa in contrapposizione con quella di Coco Chanel, che la definiva con disprezzo “l’artista che fa vestiti” o “l’italiana che fa vestiti”. Le due donne venivano da mondi completamente diversi e diversa era la loro concezione di moda, sebbene avessero in comune il desiderio di vestire la donna moderna, dandole un abito comodo con il quale muoversi liberamente. Chanel diceva : “Quello che faccio è copiato da tutti” Schiap invece ribatteva “ Quel che creo è inimitabile.. disegnare vestiti… è un arte, è una delle arti più difficili e deludenti perché appena il vestito è nato, già appartiene al passato” . Elsa nacque a Roma il 10 Settembre 1890 e abitava con la famiglia a Palazzo Corsini, la residenza che spettava al direttore dell’ Accademia dei Lincei di Roma. Dalla sua autobiografia traspare uno spirito ironico, anticonformista e stravagante. La sua famiglia aveva una posizione sociale tale che le avrebbe consentito una vita agiata senza troppi problemi, ma le aspirazioni di Elsa andavano in un’altra direzione. Avrebbe voluto fare l’attrice, ma la sua posizione sociale lo impediva. Scrisse poi un libro di poesie in stile vagamente dannunziano, intitolato Arethusa che attirò le ire della famiglia. Fu spedita quindi in collegio in Svizzera, ma, a seguito di uno sciopero della fame fu richiamata a casa. Colse l’occasione di trasferirsi a Londra per collaborare con un’amica di famiglia che aveva deciso di occuparsi di bambini orfani. Durante questo viaggio ebbe anche il primo approccio con la sartoria: Elsa racconta infatti di esserci presentata ad un ballo al quale era stata invitata portando un abito da sera da lei realizzato tenuto insieme con gli spilli. Ad una conferenza di teosofia conobbe, nel 1913, il conte Wilhelm de Wendt de Kerlor, che divenne presto suo marito. Durante la guerra la coppia si trasferì a Nizza mentre subito dopo il conflitto mondiale i due si spostarono negli Stati Uniti. La vita. NY era completamente differente da quella che aveva lasciato in Europa. Contemporaneamente anche il matrimonio iniziava a logorarsi. Elsa ebbe una figlia, ma ben presto il marito l’abbandonò, lasciandola da sola con una bambina dalla salute cagionevole da accudire. In quel periodo fu molto importante la figura di Gabrielle Picabia, moglie dell’artista dadaista Francis Picabia, che aveva conosciuto durante il viaggio verso NY. Lei si propose di aiutarla con la bambina mentre Elsa cercava lavoro e iniziava a barcamenarsi tra impieghi come traduttrice e in ambito commerciale. La introdusse anche nell’ambiente artistico, presentandole dadaisti ed esponenti delle avanguardie. LA FINE DEGLI ANNI TRENTA Negli anni successivi realizzò delle collezioni ispirate alla natura, prima la natura ‘bassa’ ovvero prati, boschi, piccoli animali, poi la natura ‘alta ovvero il cosmo, stello e lo zodiaco. Fu poi la volta del tema della maschera che riprendeva gli elementi della Commedia dell’Arte. All’inizio della guerra realizzò delle ironiche collezioni revival, recuperando la tournure. Schiap non chiuse l’atelier per scelta politica, ma ebbe moltissime difficoltà nell’organizzare il lavoro. Propose abiti con grandi tasche, pensanti per le donne che dovevano scappare all’improvviso, lasciando le mani libere. Dopo l’invasione Elsa si rifugiò negli USA e in questa occasione le fu assegnato il premio Neiman Marcus, prima europea a riceverlo. LA FINE DELLA GUERRA Negli anni della guerra lavorò con la Croce rossa internazionale e tornò a Parigi dopo la liberazione, partecipò con cinque modelli al “Théatre de la mode.” La situazione però era molto complessa, mancava tutto per realizzare abiti e la clientela era cambiata. Voleva creare un nuovo stile e s’ispirò agli incroyables , con colletti alti e scialli voluminosi, ma non ebbe molto successo. Realizzò quindi un intero corredo leggero, versatile e trasfomabile contenuto in una borsa che pesava in tutto solo 5kg, ma la collezione ebbe molta pubblicità e poco successo di vendita. Non era più capace di dare risposte alle domande delle donne di quegli anni e si limitò a creare accessori e abiti sportivi, fino a dover chiudere l’atelier il 13 dicembre 1954. Lo stesso anno pubblicò la sua autobiografica, mentre Chanel riapriva i battenti della sua maison. Schiapparella morì a Parigi il 13 novembre 1973 all’età di 83 anni. LA MODA ITALIANA TRA LE DUE GUERRE Dopo la prima guerra mondiale in Italia ricominciarono i tentativi per creare una moda italiana emancipata dalla moda francese. Il 16 marzo 1919 venne inaugurato a Roma, in Campidoglio, il primo congresso nazionale dell'industria e del commercio dell'abbigliamento. Nella relazione del comitato promotore si sottolineavano i propositi del Congresso: "non mancandoci nè genialità, nè buon gusto... dobbiamo cercare di far entrare il nostro paese nell'orbita dei centri irradiatori della moda e del vestire". Il Congresso si chiuse il 18 marzo con la nomina di una Commissione che avrebbe dovuto presentare al governo il progetto per la creazione di un Istituto nazionale dell'abbigliamento e di un Ente della moda, ma tutto ciò non avenne. FIGURE CHIAVE In questi anni due personaggi furono i maggiori fautori dell'idea di una moda italiana autonoma: Fortunato Albanese e Lydia De Liguoro. Fortunato Albanese presentò al ministro per l'industria Cantoni, nel 1917, un opuscolo dal titolo "per una moda italiana" dove esponeva la sua idea circa la fondazione di un Ente Nazionale per la moda, elencando anche i difetti del sistema industriale italiano. Nel 1918 redasse un opuscolo dal titolo "il perchè del I Congresso Nazionale fra le industrie dell'abbigliamento", mentre nel 1919 tenne diverse conferenze circa "il valore economico e sociale della moda". Lydia de Liguoro invece era l'anima di LIDEL, rivista nata nel 1919. Il nome Lidel era uno pseudonimo della sua creatrice e contemporaneamente era l'acronimo di: Letture, illustrazioni, disegni, eleganza, lavoro. La rivista Lidel, mirava a promuovere la moda italiana e l'artigianalità. LIDEL Lydia De Liguoro era fortemente nazionalista e aderì a uno dei primi gruppi proto-fascista, quello delle "ardite" di Milano e succesivamente divenne membro del "Fascio femminile nazionale di Milano". Sebbene Lidel fosse una rivista lussuosa, nel 1919 Lydia iniziò una crociata contro il lusso, al fine di porre rimedio alla crisi economica post-bellica. Negli anni subito dopo la guerra infatti era sentimento comune ritenere irresponsabili le donne che spendevano molti soldi in abiti. La sua campagna contro il lusso si concretizzò in un semplice slogan:" Non comprate!" Nel 1920 la De Liguoro dovette rivedere le proprie posizioni durante la sua partecipazione, in qualità di rappresentante del Fascio femminile nazionale di Milano, al Secondo Congresso degli industriali e commercianti dell'abbigliamento indetto a Roma. Qui la De Liguoro dovette far fronte agli attacchi degli industriali allarmati dalle possibili conseguenze della sua crociata contro il lusso. In questi anni sorsero numerose iniziative contro il lusso: ci fu il caso della rivista genovese La Chiosa che indusse un referendum per adottare come unico vestito il tailleur, quello della contessa Rucellai a Firenze che diede un ballo dove l'abbigliamento consentito era la "tuta" progettata da Thayaht e ci fu, inoltre, l'iniziativa dei futuristi, con Marinetti che aveva elaborato un manifesto Contro il lusso femminile pubblicato nel 1919. Lydia modificò la sua posizione in questi termini: "Non bisogna combattere contro il lusso, ma contro il lusso d'importazione straniera". Lydia iniziò quindi a promuovere l'idea di effettuare i propri acquisti in Italia mettendo in luce i pregiudizi verso gli abiti realizzati dalle case di moda italiane. Usando un linguaggio patriottico, enfatizzava le potenzialità dell'artigianato italiano e degli artisti italiani per lo sviluppo di uno stile che fosse genuinamente italiano. Pose l'accento sul fatto che i tessuti fabbricati in Italia e venduti a poco prezzo all'estero venivano trasformati in abiti in Francia che venivano rivenduti in Italia a prezzi altissimi. Lydia venne molto apprezzata da Mussolini per questa valorizzazione della produzione italiana. I PRIMI GRANDI MAGAZZINI Nel corso del secondo decennio del '900 nacquero anche i primi grandi magazzini italiani a prezzo fisso. Nel 1917 fu fondata La Rinascente, nome ideato da Gabriele D'Annunzio, per opera della famiglia Borletti, che rilevò i vecchi magazzini Bocconi. Nel 1919 venne creata la UPIM(unico prezzo italiano milano) finanziata con capitali della Rinascente. Solo nel 1931 vennero fondati i magazzini Standard che divennero "Standa" nel 1937 durante la campagna di italianizzazione intrapresa dal regime fascista. I grandi magazzini italiani furono rivolti meno alla clientela più altolocata, ma ebbero più successo tra i ceti medi. In ogni caso la loro definitiva affermazione si ebbe nel secondo dopoguerra. LA MODA FASCISTA Il regime facsista fece proprie le battaglie per emancipare la moda italiana, rendendole parte del proprio programma di governo e sfruttandole per il proprio fine nazionalistico. Il regime fascista utilizzò la moda anche per ridefinire il ruolo della donna. Durante il fascismo la De Liguoro continuò ad essere una delle voci più forti nel dibattito circa la necessità di costruire un'industria nazionale in grado di competere con il sistema produttivo francese. Era convinta che le industrie italiane, con l'appoggio della stampa di regime, dovessero impegnarsi per attirare le attenzioni delle donne alto-borghesi, spingendole ad acquistare italiano. Era anche persuasa della necessità di organizzare delle esposizioni per presentare le nuove mode e le idee dei designers italiani. ( x valorizzare creatività italiana) Nel 1927 si tennero due importanti eventi per la promozione della moda italiana. A Como si tenne un'esposizione dedicata alla seta con il supporto del governo italiano che raggruppava diversi rappresentanti dell'industria serica italiana. Paul Poiret fu uno degli ospiti d'onore dell'evento. A Venezia si tenne invece una sfilata di moda dove furono presentati, per la prima volta insieme, abiti italiani e francesi. La sfilata si tenne al Lido e fu organizzata da due riviste, una italiana (Fantasie d'Italia) e una francese (Foemina). Lydia de Liguoro fu presente all'evento descrivendo in un articolo gli abiti, sottolineando la bellezza delle creazioni italiane, la loro originalità e il loro gusto raffinato. LA FINE DEGLI ANNI 20 Gli anni '20 terminarono con la crisi economica originata dal crollo della borsa di Wall Street. I primi anni '30 furono importanti per creare un'immagine della moda italiana. Due matrimoni tenutesi in quegli anni, infatti, contribuironio a pubblicizzare i modelli italiani, creati e realizzati in Italia. L'8 gennaio 1930 si tennero le nozze tra il principe Umberto di Savoia e Maria Josè del Belgio. La futura "regina di maggio" indossò un abito realizzato dalla sartoria Ventura, a partire da un bozzetto desegnato dal principe stesso. Il velo fu invece realizzato a Bruges, dono del popolo belga. Il 24 aprile 1930 si celebrarono le nozze tra Edda Mussolini e Galeazzo Ciano. La figlia del duce scelse un abito della sartoria Montordi di via dei Condotti. Montorsi venne acclamato con il più italiano dei sarti, ma il modello dell'abito era però francese, di Coco Chanel, anche se nessuno lo avrebbe mai fatto presente. Il modello di donna androgina, (che utilizzava il suo abbigliamento per affermare se stessa nella società), della flapper e della garconne, che si era affermato negli anni '20, era inviso al regime che l'aveva rinominato "donna crisi", non solo per l'aspetto esteriore ma anche per aspetti virili. Al suo posto cercò di far affermare, non senza di difficoltà, un modello di donna florida e dalle forme mediterranee che doveva essere "sposa e madre esemplare". Questa preferenza venne motivata dal regime adducendo il fatto che la donna magra non piaceva all'uomo e che non sarebbe stata in grado di procreare una prole sana e forte per la patria. LA CAMPAGNA ANTI-MAGREZZA Il regime iniziò così una vera e propria campagna anti-magrezza, in cui la ricerca di un corpo magro, come indicato dalle mode del tempo, veniva stigmatizzata come un'abitudine non salutare, che avrebbe portato a malattie e debilitazione fisica. LIDEL fu una delle prime riviste a portare avanti questa campagna anti-magrezza. La parola d’ordine per Lidel divenne ‘snellezza, non magrezza’, quest’ultima era assolutamente ‘da scartare’. I figurini pubblicati su Lidel nel 1932, infatti, presentavano donne formose e floride, contrariamente alle immagini presenti solitamente nelle riviste femminili e di moda. LE RIVISTE DEL PERIODO FASCISTA Altre riviste attive durante il Ventennio e che fecero proprie le istanze del regime per la costruzione di un nuovo modello di donna furono: "La Donna", fondata nel 1906, era rivolta ad un pubblico più modesto. "Lei" che durante la campagna contro l'uso del "lei" nel 1937 divenne "Annabella". "Sovrana" che nel 1938 cambiò il proprio nome in "Grazia". "Moda" era invece il periodico ufficiale della Federazione nazionale fascista degli industriali dell'abbigliamento, sostituito, nel 1941, da "Bellezza", una rivista più lussuosa e patinata. Oltre a queste riviste ve ne erano poi due che esprimevano la voce del regime in modo ancor più diretto: "Vita femminile", mensile fondato da Ester Lombardo a Roma nel 1922 e "Dea", mensile nato nel 1933 con lo scopo di "valorizzare il prodotto italiano, arginare con la concorrenza l'invasione delle riviste straniere di moda". Le donne dei ceti più elevati, però, continuavano a leggere i periodici stranieri, come "Vogue",“harper’s Bazaar” e “Marie Claire” che si facevano arrivare attraverso la Svizzera. Continuavano a preferire la costosa moda francese, lasciando alle occasioni ufficiali gli abiti italiani. Allo stesso tempo le riviste italiane dovettero omettere i nomi dei sarti francesi di cui pubblicavano le immagini gia a partire dal 1934, metre dal 1937 i modelli italiani furono i soli a poter essere mostrati sulle pagine delle riviste. La censura divenne sempre più stretta nel tentativo di imporre una moda nazionale anche attraverso lo strumento della stampa specializzata. LO SPORT Le attività sportive, che erano iniziate a diffondersi negli anni '20, erano un terreno di scontro tra cattoliti e regime fascista. Il regime incoraggiava le attività sportive femminili organizzando anche gare agonistiche tra le giovani appartenenti alle varie organizzazioni fasciste. Il mondo cattolico invece riteneva che lo sport fosse causa di sterilità femminile e contribuisse a tenere la donna fuori di casa, condannandolo come uno dei principali nemici della famiglia. Entrambi i mondi però erano concordi nel condannare i tentativi di emancipazione femminile. In questi anni lo sport divenne un fenomeno di massa, ma gli strati più bassi della popolazione ne rimasero comunque esclusi, mentre in ambienti borghesi e aristocratici lo sport, anche femminile, divenne una vera e propria moda che vedeva diventare gli eventi sportivo delle vere e proprie occasioni mondane. L'ENTE NAZIONALE DELLA MODA Nel 1932 a Torino nacque l'Ente autonomo pe la mostra permanente nazionale della moda. Torino fu scelta per la sua importanza come città industriale per la lunga tradizione nell'ambito dell'abbigliamento IL DOPOGUERRA In Italia nel 1949 venne costituito "il Cento italiano della moda" sulle ceneri dell'Ente nazionale della moda, per iniziativa di Dino Alfieri, ex ministro fascista della Stampa e Propaganda, con il sostegno di Franco Marinotti, presidente della SNIA-Viscosa e di Aldo Fercioni, titolare di una sartoria milanese. Questo organismo che aveva sede a Milano, doveva creare un collegamento tra industria tessile attraverso una serie di sfilate e manifestazioni. Gli anni tra il 1948 e il 1949 possono essere considerati come il periodo che diede inizio a una profonda trasformazione nello stile italiano, in cui si iniziò a prendere coscienza del potenziale creativo fino allora inespressso. CHRISTIAN DIOR Protagonista assoluto del primo dopoguerra, grazie al suo stile divenuto simbolo della moda della seconda metà degli anni '40, è stato senza dubbio Christian Dior. Dior nacque nel 1905 a Granville in Normandia, da una famiglia borghese: il padre possedeva una fabbrica di concimi che era della famiglia dal 1832 e la madre era figlia di un avvocato. Nel 1911 i Dior si trasferirono a Parigi dove fu installata la sede legale dell'azienda. Negli anni '20 il giovane Christian si divertiva con amici quali Picasso, Cocteau, Poulenc, Breton, Leger, Honneger, Satie, Radiguet e tutto il gruppo di artisti delle avanguardie dell'epoca. Frequentava teatri, gallerie d'arte, cinema e tutti i luoghi dove si trovavano nuove forme di espressioni artistiche. LA GIOVINEZZA Dopo la laurea avrebbe voluto studiare presso l'Academie des Beaux-Arts, ma la famigia si oppose fortemente e fu iscritto all'Ecole des Sciences Politiques, ma gli fu concesso di proseguire i suoi studi di musica e composizione. In ambito musicale conobbe gli amici che poi lo accompagneranno lungo il corso di tutta la sua vita. Fra il 1928 e il 1929 Dior divenne socio di Jean Bonjean e insieme aprirono una galleria d'arte. Ben presto però iniziarono i problemi economici e personali. Il fratello di Christian dovette essere internato in un ospedale psichiatrico e la madre non resse al dolore. Il padre, in seguito al crollo della borsa del '29, andò in fallimento e la famiglia Dior fu costretta a disfarsi della maggior parte dei beni prezioni che possedeva. Anche Bonjean andò in rovina e Christian si ritrovò a dover vendere tutti i quadri della galleria. Il giovane Dior a questo punto si ammalò di tubercolosi e dovette trasferirsi alle Baleari per curarsi. Al suo ritorno la situazione economica della famiglia era peggiorata e Christian dovette cercare un lavoro più stabile. La moda era uno dei settori che ancora resisteva e sperava di potere mettere a frutto la creatività che aveva mostrato nell'inventare travestimenti e maschere per il suo gruppo di amici. Con la vendita dell'ultimo quadro della galleria d'arte (un quadro di Dufy che era statao utilizzato per l'allestimento delle zattere di Poiret all'Exposition International del 1925) aiutò la sua famiglia e potè dedicarsi allo studio del disegno del figurino. A seguito di questo periodo di studio iniziò a vendere i suoi primi modelli e Paul Caldagues gli propose di collaborare stabilmente alla pagina di moda de "Le Figaro". I PRIMI ANNI Nel 1938 iniziò a lavorare presso l'atelier di Piguet. Ben presto si fece notare nel mondo della moda e le giornaliste iniziarono ad accorgersi di lui. Durante la guerra fu mobilitato come riserva per poi ritirarsi a casa della sorella nel 1940, al momento dell'armistizio. La vita elegante della Francia si concentrò in Provenza, che non era occupata dai tedeschi e al contrario di Parigi, dove non potevano più recarsi buyers e giornalisti americani. Gli archivi della Chambre syndicale, che contenevano tutte le informazioni produttive e commerciali furono requisiti e fu solo per merito di LUCIEN LELONG che fu possibile riottenere gli archivi e continuare a produrre moda a Parigi. Il problema divenne la scarsità di materiali, ma grazie a coloro che si stavano arricchendo grazie al conflitto (collaborazionisti e affaristi del mercato nero) i bilanci della maison restarono in crescita per tutta la durata della guerra. (manennero i bilanci attivi). Nel 1941 gli fu proposto di riprendere il suo lavoro a Parigi e divenne modellista presso Lucien Lelong, insieme a Balmain. I tempi erano però difficili, i gusti dei nuovi ricchi non erano molto raffinati e i materiali erano pochi e poveri. L'unico ambito che consentiva una sperimentazione era quello del cinema e Dior lavorò per diversi film in costume. Dopo la liberazione di Parigi la rinascita fu molto lenta, ma De Gaulle stesso si auspicava una ripresa dell'industria della moda, molto importante per l'economia del paese. In questo contesto iniziarono a nascere nuove case di moda, in sostituzione di quelle che avevano chiuso a causa della guerra. Balmain e Dior volevano mettersi in società, ma la loro iniziativa fallì, perchè non riuscirono a mettersi d'accordo. Balmain aprì quindi la propria maison e Dior rimase da Lelong. L'INCONTRO CON BOUSSAC Dior aveva ormai passato i 40 anni quando incontrò Marcel Boussac che cercava un talento per rilanciare la Maison storica Gaston et Philippe. In realtà Boussac e i suoi collaboratori dovettero rendersi conto che il genio di Dior poteva essere adatto per un tipo diverso di impresa commerciale: si poteva creare intorno a lui una maison innovativa nello stile ma dove si lavorava secondo le tecniche più tradizionali e raffinate. La nuova maison doveva avere un'immagine perfetta per rappresentare la couture francese anche all'estero: gusto, ricercatezza, stile, perfezione artigianale, lusso, esclusività ed eleganza. Boussac investì nell'impresa sei milioni di franchi e un credito illimitato (si arrivò ad investire 60 milioni di franchi). Dior ottenne uno stipendio, un terzo dei guadagni e l'incarico di direttore. LA NASCITA DELLA MAISON DIOR Creata la società era necessario formare la squadra di lavoro e trovare una sede adatta. La sede fu individuata in un Hotel particulier in Avenue Montaigne che fu ristrutturata da Victor Grandpierre, che progettò gli interni in uno nstile Luigi XVI-1900, uno stile inventato, molto amato dai borghesi di inizio secolo. I lavori iniziarono il 16 dicembre del 1946 e contemporaneamente si iniziò a preparare la collezione primaverile che si sarebbe dovuta presentare a febbraio. La nascita di questa nuova maison attirò molta attenzione e venne creato anche un reparto profumi, con la prima fragranza "MISS DIOR" che doveva esser presentata al pubblico insieme alla prima collezione. Grazie alla risonanza che gli organi di stampa stavano dando alla notizia dell'apertura del nuovo atelier, a Dior giunsero proposte di collaborazione da un'industria statunitense di calze e da un produttore di seta cinese che gli propose dello shantung (quanto mai provvidenziale in un momento in cui l'industria tessile francese ancora faticava a riprendere i ritmi di un tempo). Le giornaliste si mobilitarono e gli amici di DIor allertarono tutto il bel mondo parigino. Un ruolo centrale lo ebbe Carmel Snow, capodirettrice di Harper's Bazaar che aveva assunto l'impegno di rilanciare la moda francese. IL NEW LOOK Il 12 febbraio 1947 era l'ultimo giorno delle sfilate di primavera e il freddo parigino era pungente. Alla sfilata erano intervenuti tutti quelli che contavano. Gli unici assenti erano molti compratori americani che non avevano atteso l'ultimo giorno di sfilate per ripartire. All'ingresso veniva spruzzato Miss Dior che veniva così presentato agli intervenuti. I primi ad uscire furono i capi della linea "En 8" con busto aderente, vita stretta, fianchi segnati e gonna lunga fino al polpaccio. Poi, la vera sorpresa della sfilata, furono i capi della linea "Corolle", gonne larghissime, sostenute da sottovesti, busto modellato, vita sottile. La portata di novità di questi modelli era grande e la differenza con le gonne corte e le giacche dalle spalle larghe e squadrate indossate dalle presenti alla sfilata era sostanziale. Questi abiti avevano le caratteristiche di un revival, s'ispiravano al secondo '800, con alcuni richiami al '700. Il busto della donna era modellato dal corsetto e la gonna ampia si appoggiava su una sottogonna rigida. Dior aveva saputo costruire così una nuova immagine di donna, femminile e lussuosa. Un lusso che era costruito dagli strati di tessuto, che rendevano l'abito scomodo e che impacciavano i movimenti, un abito fatto per apparire. Le donne con questi modelli diventano qualcosa da osservare, tornano ad essere un abbellimento della vita dell'uomo, per questo Dior venne molto criticato perchè sembrava un passo indietro rispetto alla figura femminile. Fu Carmel Snow a definire questo nuovo stile "New Look" in un telegramma con il quale si congratulava con Dior per il suo trionfo e questo nome fu immediatamente adottato da tutti. La stampa francese era in sciopero, quindi a diffondere la notizia e a decretare il trionfo della collezione, furono i giornali stranieri. I buyers che avevano lasciato Parigi in anticipo furono costretti a tornare indietro e acquistare i modelli di Dior. La collezione Dior rappresentava la rinascita dell'alta moda francese e simboleggiava la voglia di ottimismo e serenità dopo gli anni della guerra, grazie a abiti costruiti con metri e metri di tessuto, lavorati con metodi quasi dimenticati e con cura artigianale. Quello rappresentato dal New Look era un lusso scandaloso in un periodo in cui si faceva ancora molta fatica a trovare molti beni, tra cui le stoffe. Il target di riferimento di Dior e Boussac non era però la clientela francese, bensì quella americana. Perchè, mentre l'Europa veniva americanizzata, l'America guardava all'Europa attratta dalla sua cultura e dalla sua storia. Dior intuiva che quella che lui rappresentava era la Francia immaginata dagli americani, con il suo stile raffinato ed elegante, portatore di un lusso esclusivo e ricercato. La donna- fiore di Dior era rassicurante, senza guizzi femministi nè ironia, una donna irreale che corrispondeva ai desideri di un immaginario maschile che credeva di appianare i conflitti di genere accontentado la vanità delle donne. Da quel momento l'alta moda si separava dal reale, chiudendosi in un mondo autoreferenziale. La couture veniva investita dal potere di trasfigurare ogni donna nella "Donna". (Non sono capi da indossare tutti i giorni.) Il MODELLO "BAR" segna la rottura con il passato. (gonna ampia con l'utilizzo di molti metri di tessuto+giacca avvitata). L'allungamente delle gonne realizzato da Dior, creava attese nelle prossime sfilate perchè si scommeteva sulle lunghezze delle collezioni future. Era una caratteristica che destava attenzione. Vi era una silhouette inedita rispetto al periodo. GLI ANNI SUCCESSIVI Negli anni successivi gli abiti mantennero la stessa linea di base, ma avevano strutture asimmetriche o sovrapposizioni geometriche che andavano a suggerire le linee di fine '800. La linea Corolle rimase intatta nelle proposte per la sera, ma venne resa sempre più sontuosa. La collezione Milieu de siècle degli anni 1949-50 portò alla massima espressione il modello lanciato da Dior; un'infinita variazione di linee, con tessuti che si alternavano per ottenere effetti asimmetrici, grandi colli, drappeggi, gonne a campana o morbidamente aderenti. Gli abiti di Dior non erano fatti per la vita di tutti i giorni, erano destinati alle elites, alle occasioni mondane: un universo di apparenze fatte per dimenticare la realtà. Si trattava di un lusso ostentato, una rappresentazione teatrale della bella vita, una favola o un film. Riproduceva attraverso l'uso particolare del tessuto, che richiamava al passato. DIOR E L'AMERICA Subito dopo la sua sfilata d'esordio, Dior ricevette il Neiman Marcus Award. Quando si recò in America Dior fu accolto da moltissime manifestazioni di dissenso da parte di gruppi di donne contrari al New Look. Probabilmente il caso era stato montato ad arte per creare un dibattito intorno al couturier e spingere la sua collezione, che poteva rappresentare un modo per rilanciare le vendite nel settore moda dopo la guerra. Il risultato fu che il New Look riempì i grandi magazzini americani, sebbene in forma più semplificata. Una volta tornato a New York Dior cominciò a lavorare al progetto dell'apertura di una filiale a New York. Boussac finanziò l'apertura della filiale americana e la sede sulla Fifth Avenue fu allestita con lo stesso stile dell'atelier parigino. Da qui iniziò un lavoro sulle licenze. Furono vendute le prime calze Dior, poi fu la volta delle cravatte e a quel punto le licenze iniziarono a moltiplicarsi. Nel 1952 fu aperta anche una sede londinese, ma si decise di concentrare il lavoro creativo in Francia e poi delocalizzare nelle sedi estere solo la produzione. Iniziò a questo punto anche la vendita dei modelli degli abiti delle collezioni, per mettere un freno alle contraffazioni. Nel 1954 il marchio Christian Dior rappresentava il 49% delle esposizioni di couture verso gli Stati Uniti. successivo, presso Palazzo Pitti. Il 22 luglio 1952 ebbe luogo la prima sfilata presso la sala Bianca di Palazzo Pitti. Nel giro di poco tempo, Firenze divenne una meta abituale per buyer e giornalisti di moda italiani e stranieri. Anche le più importanti riviste internazionali dedicarono alle sfilate italiane articoli regolari, senza mai togliere, però, spazio agli articoli dedicati alla moda francese. Tuttavia, già alla prima sfilata presso Palazzo Pitti, alcune case di moda romane avevano deciso di non partecipare, per cercare di presentare le proprie collezioni nella capitale. Un anno dopo alcune sartorie romane (tra cui Fabiani, Simonetta, Sorelle Fontana, Shubert, e Fausto Sarli) diedero vita al SIAM(Sindacato Italiano alta moda) che aveva proprio lo scopo di di organizzare delle sfilate a Roma per valorizzare la sartoria romana. Iniziò in questo periodo la rivalità tra Roma e Firenze che si litigavano lo scettro di città della moda, a cui si aggiunse presto Milano. MUSEO BONCOMPAGNI LUDOVISI: collezioni di foto. -Fare una relazione- Inviarla entro il 7 di giugno presso la sua mail. Fare una descrizione di un abito in particolare o di una casa di moda o della visita in generale. 2-3 pagine EMILIO SHUBERTH Nacque a Napoli, l'8 giugno del 1904, ma presto si trasferì a Roma dove lavorò presso la sartoria Montorsi. Nel 1938 aprì una modisteria in via Frattina e nel 1940 aprì un atelier in via Lazio, trasferendosi poi, l'anno successivo in via XX settembre. Mantenne sempre uno stretto riserbo sul suo passato e sull'origine del suo cognome, tanto che nacquero molte leggende sul suo conto. I suoi abiti erano sfarzosi e ricchi, opulenti e glamour, avevano nomi bizzarri e spesso egli utilizzava delle particolari lavorazioni che accostavano spago, filo di seta,paglia e strass, quindi diverisi accostamenti di tessuto. Fu molto amato dalle dive del tempo e recitò nel ruolo di se stesso nel film Era lui...si!si! al fianco di Sophia Loren. Shuberth era un personaggio stravagante, amava farsi fotografare con stuoli di indossatrici portando molti gioielli, le unghie laccate e il fondotinta. La ricchezza dei suoi modelli e la loro opulenza ottocentesca, attirò spesso le critiche della stampa(poichè lo consideravano troppo eccentrico ed esagerato). Nel 1957 Schuberth firmò un accordo con Delia Biagiotti, madre di Laura, per l'esportazione di una linea di moda pronta firmata da lui, chiamata Miss Schuberth. Nel 1953 Schuberth dedicò alla principessa Soraya (che era sua cliente) una collezione di 30 abiti chiamata Rosa Imperiale. Morì nel 1972 e le sue figlie donarono il suo archivio all'Università di Parma. GABRIELLA DI ROBILANT Nata a Firenze nel 1900, discendeva dai conti de Bosdari. Sposò Andrea di Robilant nel 1920 e si trasferì a Venezia. Qui iniziò a frequentare Cole Porter ed Elsa Maxwell, Gabriele d'Annunzio (poco amato) e Jean Patou che ebbe molta influenza sulla futura scelta lavorativa di Gabriella. Dopo la separazione dal marito, nei primi anni '30, iniziò a dedicarsi alla moda, facendo realizzare da alcune sarte veneziane i suoi primi abiti semplici e sportivi, seguendo la lezione di Chanel e Patou stesso. Nel 1932 si stabilì a Milano dove aprì il suo atelier Gabriellasport in via Santo Spirito, a seguito del successo di una sua presentazione di abiti avuta luogo l'anno prima presso una nota profumeria in via Manzoni. Ben presto arrivò il successo e nel 1937 fu invitata negli Stati Uniti a presentare i suoi modelli. Nel 1942 si trasferì a Roma e rilevò la sede romana della Sartoria Ventura a piazza di Spagna. Da questo momento la maison iniziò a produrre anche abiti di alta moda, acquistando i modelli dalle maison francesi, per accontentare le vecchie clienti dell'atelier rilevato, continuando a lavorare per tutta la durata della guerra, coadiuvata da Madame Anna, storica direttrice della Sartoria Ventura. Nel 1948 Gabriella si trasferì a Palermo, dopo il matrimonio con un nobile siciliano, ma non riuscendo a tenere a freno i costi dell'atelier, dovette licenziare Madame Anna (che spendeva troppo soldi per le stoffe, facendo comunque abiti bellissimi ma mandando gabriella alla rovina)e poco dopo rimase la sola responsabile dell'atelier. Nel 1952, dopo essere stata invitata nuovamente in America per presentare i suoi modelli, chiuse l'atelier, stanca di dividersi tra Roma e la Sicilia, scatenando le ire delle sarte del suo laboratorio. SIMONETTA Simonetta dei duchi Colonna di Cesarò nacque a Roma il 10 aprile 1922. Aprì il suo atelier nel 1946in via Gregoriana e subito i suoi abiti si distinsero per l'ingegno con il quale trovava delle soluzioni per ovviare alla mancanza di materiali del primissimo dopoguerra. Il suo primo marito fu il conte Galeazzo Visconti, quindi in un primo momento i suoi abiti riportavano sull'etichetta il nome "Simonetta Visconti". Dopo il secondo matrimonio con il sarto Fabiani nel 1953 il marchio mutò e fu lasciato il solo nome "Simonetta". Presto iniziò l'interesse delle riviste di moda e il suo lavoro fu notato anche all'estero. I suoi abiti iniziarono ad essere richiesti anche nei grandi magazzini americani e Bettina Ballard, fashion editor di Vogue la definì "The best businesswoman in the italian couture". Gli abiti di Simonetta furono amati dalle dive di Hollywood, ma una delle sue clienti preferite era l'artista Leonor Fini (che aveva progettato la bottiglietta del profumo di Schiapparella SCIOKING). Le sue collezioni si differenziavano per uno stile raffinato ed essenziale, spesso esaltate da un singolo dettaglio caratteristico. Spesso le venne rimproverato, però, un eccessivo legame con la moda francese. Nel 1957 lanciò una linea di moda pronta, quello stesso anno Simonetta venne insertita nella classifica delle 10 donne più eleganti del mondo dal New York Dress Institute. Nel 1962, Simonetta e Fabiani, si trasferirono a Parigi ed aprirono un atelier insieme. L'atelier vide un grande successo iniziale che però non durò nel tempo e Simonetta rimase a Parigi fino al 1973, anno del divorzio da Fabiani e del suo ritiro dalla moda. GIOVANNA CARACCIOLO La principessa Giovanna Caracciolo Ginetti di Avellino, nacque a Velletri nel 1905 e fondò nel 1947, insieme alla contessa Barbara Rota Angelini Desalles, l'atelier Carosa. Giovanna Caracciolo fu presto lasciata sola a continuare quest'attività. Gli abiti Carosa erano caratterizzati da un certo gusto sartoriale francese, forse a causa della formazione culturale della principessa. In ogni caso la sartoria Carosa contribuì molto all'affermazione della moda italiana. Dopo la partecipazione alla prima sfilata nella residenza di Giorgini, iniziò a presentare le sue creazioni anche all'estero. La principessa amava Balenciaga, ma il suo gusto era molto distante dallo stile di Christian Dior, in particolare non amava la schematicità delle sue linee ad H, ad A e a Y. Nel 1956 un modello di Carosa, insieme a quelli di Antonelli, Schuberth, Fabiani, Veneziani, Marucelli, Capucci e Simonetta, fu protagonista di un'altra iniziativa pubblicitaria di Giorgini. Indossati da modelle aristocratiche, questi abiti dell'alta moda italiana sbarcarono a New York con il transatlantico Cristoforo Colombo. Il successo di questa iniziativa fu grande e gli abiti apparvero anche in diverse trasmissioni televisive. In questa manifestazione furono coinvolti anche Dali, Elsa Maxwell e Marilyn Monroe. La sartoria Carosa, grazie al buon gusto della principessa ed abilissimi collaboratori divenne una delle sartorie più frequentate dall'alta società tra gli anni '50 e '60. Nei primi anni settanta la sartoria soffrì la continua ascesa del pret-à-porter e la principessa fu costretta a chiudere il suo atelier nel 1974. IRENE GALITZINE La principessa russa Irene Galitzine nacque a Tblisi in Georgia nel 1916. Dopo aver lavorato come indossatrice e addetta alle pubbliche relazioni dalle Sorelle Fontana, aprì un suo atelier dove faceva riprodurre modelli francesi. Non prese parte alle prime iniziative di Giorgini a causa della sua passione per i modelli francesi. Fu solo nel 1959 che fu convinta a presentare dei modelli originali, per la passerella della Sala Bianca, ricevendo anche il Filene's Talent Award come migliore creatrice dell'anno. Ma fu nel 1960, con la creazione del suo modello più famoso, il pyjama palazzo, che raggiunse il vero successo. Si trattava di un completo casacca e pantaloni in shuntung di seta dai colori sgargianti, pensato per le vacanze a Capri. L'ispirazione le venne dopo la visione di The King and I a Broadway e i tessuti furono fatti realizzare appositamente dall'azienda serica comasca Terragni. Il pyjama palazzo conquistò presto attrici, regine e first lady e Diana Vreeland, fashion editor di Harper's Bazaar, che ne inventò il nome, volle immortalarlo nei saloni di Palazzo Doria. Nel 1962 ottenne il Sunday Times Award, nel 1964 fu insignita del premio Isabelle d'este. Nel 1966 il suo nome fu incluso nella Fashion Hall of Fame dal New York Fashion Group. Nel 1988 tornò per la prima volta in Russia per presentare la sua collezione a Mosca. Irene Galitzine morì a Roma nel 2006. FERNANDA GATTINONI Fernanda Gattinoni nacque nel 1907 in provincia di Varese, da una famiglia della buona borghesia. Si trasferì non ancora diciotenne a Londra con la famiglia e iniziò il suo apprendistato preso Molyneux. Tornata in Italia, andò a vivere a Roma, dove iniziò a lavorare presso la sartoria Ventura, diventando assistente personale di Madame Anna. Dopo che la sartoria Ventura fu acquistata da Gabriella di Robilant, Fernanda Gattinoni decise di mettersi in proprio aprendo il suo atelier nel 1944. Il suo stile era caratterizzato da un uso sapiente del drappeggio e da un'inclinazione alla sobrietà e all'essenzialità che riteneva il segreto affinchè un abito potesse rimanere attuale nel tempo. Vestì molte dive del tempo tra cui Ingrid Bergman, Audrey Hepburn, Anna Magnani, Kim Novak, Lucia Bosè. Lavorò molto anche con il cinema, realizzando i costumi indossati dalla Bergman in Europa '51 e Viaggio in Italia di Rossellini. Maria de Matteis, costumista del film Guerra e Pace del 1956 di King Vidor, le chiese di realizzare i costumi per Audrey Hepburn. La collezione successiva alla lavorazione degli abiti per il film fu chiamata Natascia e fu ispirata allo stile impero, mentre l'anno successivo lanciò una linea ispirata alla classicità chiamata Nike. Fernanda Gattinoni non volle mai partecipare alle sfilate collettive a Palazzo Pitti, preferendo lavorare per la sua clientela privata. Negli anni '60 lanciò una linea di pret-à-porter e durante gli anni '80 iniziò ad essere affiancata dal figlio Raniero. Dopo la morte di Raniero, la direzione artistica fu assunta da Guillermo Mariotto mentre Stefano Dominella è diventato amministratore delegato. Fernanda continuò a partecipare alla vita dell'atelier fino al 2002, anno della morte. JOLE VENEZIANI Nata nel 1901 in provincia di Taranto, si trasferì con la famiglia a Milano nel 1907. Da ragazza, in seguito alla morte precoce della madre, iniziò l'apprendistato presso un'azienda francese di pellami. Nel 1938 aprì il suo laboratorio dove produce pellicce apprezzate nel mondo dall'alta moda, innovando le tecniche di lavorazione e utilizzando la pelliccia anche per la realizzazione di capi d'abbigliamento tradizionalmente realizzati in tessuto. Nel 1944 aprì un atelier in via Montenapoleone 8, allargando la produzione alla sartoria, per poi creare una linea di accessori, un profumo e diverse linee, tra cui la linea Veneziani Sport, lanciata nel 1951. Carmel Snow rimase molto affascinata dagli abiti presentati da Jole Veneziani alla seconda sfilata organizzata da Giorgini a Firenze. Lo stile Veneziani era essenziale e si distinse per l'uso della pelliccia in molte delle sue collezioni. Fu una sperimentatrice e fu una delle prime ad utilizzare le fibre sintetiche nell'alta moda, collaborando con l'industraia tessile- come Elsa Schiapparelli-. Fu una delle voci più autentiche della nascente moda italiana, con uno stile molto personale, che faceva spiccare le sue creazioni. Negli anni'60, viste le crescenti difficoltà economiche del settore dell'alta moda, cercò di iniziare avanti un rinnovamento dello stile, presentando abiti caratterizzati da contrasti netti. Durante gli anni della contestazione le sue pellicce furono prese di mira da lanci di uova durante ka serata inaugurale della scala e iniziò il declino. Jolanda Veneziani morì a Milano nel 1989. GERMANA MARUCELLI Germana Marucelli nacque nel 1905 a Settignano, in provincia di Firenze. La sua famiglia si occupava di tessuti, stoffe e sartoria dal tempo dei Medici. A 14 anni iniziò il suo apprendistato presso la sartoria degli zii. Divenne abile figurinista e sarta e compì numerosi viaggi a Parigi. Negli anni si trasferì a Genova e lavorò per la sartoria Gastaldi, poi per un breve periodo lavorò come modellista. Divenne famosa per la sua memoria formidabile: era in grado di riprodurre un modello dopo averlo visto sfilare una sola volta. Nel 1938 inaugurò il suo atelier a Milano. Durante la guerra fu costretta a chiuderlo per poi riaprire nel 1945. In questi anni si sviluppò il suo stile personale, originale, frutto di una ricerca autonoma. Anticipò negli anni '40 il gusto del New Look, utilizzando forme che valorizzassero la femminilità. Importante fu il suo rapporto con l'arte e con gli artisti. Si circondò di personaggi quali Giuseppe Ungaretti, Alberto Savinio, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Felice Casorati, Giò Ponti, Franco edizione del Mercato internazionale dei tessuti per l'abbigliamento e l'arredamento. In questi primi anni le collezioni non avevano un contenuto moda rilevante, era rivolta alla media borghesia, solita indirizzarsi a piccole sarte che copiavano abiti francesi. Nel 1959 l'Associazione di categoria degli Industriali della confezione(l'Alla-associazione italiana industriali abbigliamento) si interessò a questa questione, promuovendo un coordinamento tra creazione, produzione e distribuzione, cercando di diffondere le novità e le ultime tendenze attraverso una rivista di settore. In questo periodo le collezioni di moda prendevano come modello l'haute couture, ne semplificavano lo stile per riproporlo con un ritardo di un anno sul mercato. Questo ritardo per lungo tempo non presentò problemi, perchè le donne a cui si rivolgeva l'industria non seguivano le mode o, comunque, avevano bisogno di tempo per assimilare le novità. Ad un certo punto prò diventò un problema la scarsa differenziazione dei prodotti dei vari marchi e vi furono dei cambiamenti sociali che resero necessario affrontare la questione del contnuto moda. Era necessario che i marchi trovassero ognuno un proprio stile riconoscibile ed era strategico migliorare la comunicazione sulle riviste. Era altresì importante rivolgersi a dei creatori per creare delle vere e proprie collezioni che non fossero una mera riproposizione in chiave semplificata delle proposte dell'alta moda. Se riviste femminili come Grazia o testate di moda come Linea o Bellezza proponevano sporadicamente abiti di moda pronta sulle loro pagine, furono riviste nuove a dedicare maggiore spazio alle industrie della moda tramite servizi monografici: Arianna e Amica. Nei primi anni '60 solo alcune aziende si servivano di designer. Un esempio era quello di Lison Bonfils, redattrice di Elle, che forniva consulenze a Max Mara per la collezione '55-56 che da quell'anno iniziò ad avvalersi di stilisti che erano impiegati sempre per brevi periodi. Nel 1969 fu aperta a Torino la prima edizione di "Modaselezione", dedicata all'abbigliamento industriale di alta qualità. Da alcuni anni, però, partecipavano alle sfilate di Pitti alcune aziende più piccole ma molto all'avanguardia. Allo stesso tempo, a Milano, Roberto Manoelli e Assomoda innauguravano "Milanovendemoda" dove iniziarono ad essere presentate le proposte della moda boutique internazionale. La grande industria della confezione entrò negli anni'70 in un periodo di crisi strutturale. Piccole aziende sapevano rispondere meglio alle esigenze di mercato. A causa delle rivendicazioni sindacali e della crisi petrolifera erano venute a mancare quelle condizioni che avevano favorito lo sviluppo iniziale delle aziende del settore moda. Il settore era diventato maturo e stavano iniziando a prevalere nuovi stili di vita, soprattutto per quanto riguarda i giovani, che si rivolgevano verso una moda più semplice, economica e originale. L'alta moda, inolte, stava perdendo quel ruolo centrale che aveva avuto nei primi anni e le nuove tendenze iniziarono a provenire dal pret-à-porter più giovane e innovativo. Il pubblico di massa era più attratto da questo nuovo settore perchè era considerato meno di èlite. In questi anni, a causa della crisi economica, vi fu anche una concentrazione dei consumi italiani, che provocò la perdita di competitività del prodotto italiano e la conseguente ascesa dei prodotti importanti ddai paesu in via di sviluppo. Nella seconda metò degli anni '70 si assistette quindi al fallimento o alla totale riorganizzazione delle maggiori industrie italiane dell'abbigliamento. Nel 1975 le industrie del settore tessile-abbigliamento fondarono la "Federtessile", Federazione nazionale delle industrie tessile e dell'abbigliamento, per affrontare la crisi del settore. Si iniziò quindi a preferire un modello produttivo basato su piccole imprese collegate che potessero rispondere con agilità alle richieste del mercato della moda. LA MODA GIOVANE Gli anni '60 rappresentarono un punto di svolta decisivo nello stile di vita e di consumo, nonche nel modo di vestire in Europa e negli Stati Uniti. Negli anni tra il '63 e il '65 si sviluppò l'embrione del pret-à-porter di stile, che si sviluppò notevolmente negli anni successivi. Iniziava un accorciamento delle gonne che ebbe il suo compimento con la nascita della minigonna. Londra diventò la capitale dello stile: era nata la Swinging London. Nei teenager di tutto il mondo si diffuse una sfrenata passione per l'Inghilterra, grazie alle tendenze che vi nacquero sia dal punto di vista musicale che stilistico. LO SWINGING LONDON Mentre i Beatles e i Rolling Stones iniziavano la loro carriera, nel 1961 Mary Quant iniziò a proporre la minigonna. Nata nel 1934, aveva aperto la sua prima boutique a King's Road, nel Chelsea. Nel giro di una decina di anni divenne la protagonista di quella che veniva definita "Chelsea Revolution" e riuscì a costruire un impero della moda giovane. Il total look, di cui la minigonna era solo il tocco definitivo, prevedeva capelli a caschetto (il parrucchiere più richiesto per questo taglio era Vidal Sasson), labbra pallide e ciglia finte e un corpo giovane e snello. La minigonna rappresentava la libertà, la giovinezza, la femminilità, fu definito "youthquake". Anche Andrè Courreges, dopo aver creato la sua maison nel 1961 propose degli abiti corti e strutturati, per poi esagerare l'accorciamento nelle stagioni successive, quando il corto fu proposto da tutti gli stilisti. Mary Quant però sostenne che non erano stati nè lei "nè Courreges ad inventarla, ma le ragazze per strada". Nel 1964 nacque invece BIBA, la boutiqu della polacca Barbara Hulanicki che proponeva uno stile diametralmente opposto a quello della Quant. Con la sua insegna in stile Art Nouveau proponeva abiti rètro, un misto di stile vittoriano e di dèco. Anche a Parigi nacquero dei negozi specializzati nella moda giovanile. Le boutique si moltiplicavano modificando l'aspetto di alcuni quartieri e andando a contribuire in modo particolare allo sviluppo del pret-à-porter. I designer di cui vendere i modelli in negozio erano scelti per caratterizzare la proposta di moda della singola boutique. Alcuni esempi furono: Laura in Rue General Lecler, Dorothèe in Rue de Sevres, oppure Jungle Jap di Kenzo in Galerie Vivienne. Le mode proposte traevano ispirazione dagli stili di vita dei giovanissimi, dalla musica che ascoltavano, dai film che vedevano. La moda non era più creata su misura, ma era confezionata in serie (seppur limitata) per un pubblico allargato. Nel 1966, presso il Golden Gate di San Francisco, nacque il movimento hippy, che portò alla ribalta abiti folclorici, vistiti di cuoio e gilet. Contribuì a rilanciare anche i jeans che divennero l'abbigliamento giornaliero per gli studenti durante il periodo della contestazione. Il movimento hippy promosse anche la moda maxi che comparve nel 1969/1970. Nel 1971 furono di moda la tenuta militare e il kitsch. I protagonisti di questo movimento furono i giovanissimi, che non erano mai stati considerati come un possibile target dalla moda, fino a questo momento. I giovani cominciavano a riconoscersi in un contesto internazionale, seguivano gli stessi gruppi, condividevano ideali politici e culturali, ascoltavano stessa musica, vestivano allo stesso modo. I giovani iniziavano ad adottare degli stili propri ignorando l'alta moda, considerata "vecchia". Nel corso degli anni '60 nacquero gruppi che seguivano determinati stili, ne sono un esempio i Tedy Boys, i mods, o i rockers in Europa e beatnik e hippy negli Stati Uniti. Gli abiti scelti dai giovani si acquisivano attraverso canali distributivi totalmente diversi, venivano privilegiati abiti presi dal mondo del lavoro, abiti usati o acquistati durante i viaggi in oriente. Il segno distintivo degli stili giovanili era il loro netto contrasto con l'abbigliamento dei genitori, creando una vera rottura e incomunicabilità con il mondo degli adulti. I giovani diventavano un vero e proprio gruppo sociale che si riconosceva in un proprio sistema identitario di valori. In questo contesto nasceva la figura dello stilista che progettava una collezione da produrre con metodi industriali per un marchio proprio o per altre aziende. La maggior parte dei designer inglesi veniva dal mondo delle accademie d'arte, mentre altri erano esperti del settore. Il modello americano si era trasformato, la confezione aveva perso la sua connotazione negativa, era subentrata una spensierata logica consumistica. Questo nuovo sistema di creazione e distribuzione della moda riguardò anche gli Stati Uniti, dove tutto il processo aveva avuto inizio. Luoghi come Paraphernalia, Serendipity o Tiger Morse's Teeny Weer richiamavano le attenzioni dei giovani di New York. LA NUOVA HAUTE COUTURE Intorno alla metà degli anni '60 anche l'haute couture vide una radicale modifica del proprio stile. Propose abiti ispirati, così come era immaginato nelle opere di fantascienza e nei fumetti. Alcuni esempi di questo stile ci vengono da Ungaro e Poco Rabanne che proposero abiti dritti con impunture, materiali tecnologici, plastici e inusuali. Si moltiplicavano abiti dalle forme geometriche che erano pensati per corpi giovani e asciutti. Pierre Cardin nel 1959 fu uno dei primi a proporre una linea pronta venduta in boutique monomarca o punti vendita controllati e diffusi. I couturier trovarono nel sistema produttivo industriale un'alternativa per esprimere la propria creatività. Nacquero ad esempio Yves Saint Laurent Rive Gauche nel 1966, Miss Dior nel 1967, Givenchy Nouvelle Boutique nel 1968. Solo Balenciaga non volle accogliere il cambiamento in atto, ritenendo la strada dello stilismo uno svilimento della professione di couturier. I suoi abiti scultorei erano ammirati come opere d'arte, ma anche egli dovette soccombere e arrendersi alla fine della grande couture aristocratica: chiuse il suo atelier nel 1968. IL PRET-A'-PORTER Negli anni '70 i grandi magazzini americani iniziarono a chiudere i loro reparti couture, visto che ormai le preferenze del pubblico erano rivolte alla moda pronta. I giovani stilisti erano molto apprezzati, firmavano delle collezioni proprie o lavoravano per marchi che rendevano palese il nome dei designer che ideavano le proprie linee. Era quindi necessario stabilire corretti rapporti tra stilisti e produttori. Con questo scopo venne creata nel 1971 la società Createurs & Industriels: gli stilisti avrebbero avuto il compito di progettare e firmare le collezioni, gli industriali dovevano produrle e finanziarne la comunicazione. Da quello stesso anno iniziarono ad essere proposte delle sfilate con un calendario predefinito. Il ruolo dello stilista e quello del couturier apparivano sempre più simili e venne creato un avvicinamento dal punto di vista formale delle due professioni: venne creata la Chambre Syndicale du pret-à-porter des couturiers et des createurs de modes, che si proponeva di organizzare manifestazioni congiunte. Il lavoro dello stilista veniva posto in continuità con quello del couturier, ma, d'altro canto, esso rappresentava la punta più alta del lavoro della confezione. Veniva a crearsi una situazione di ambiguità nata dalla dualità stessa del nuovo sistema moda francese e dal difficile rapporto tra il mondo della couture e quello della confezione. 
 LA NSCITA DEL PRET-A'-PORTER ITALIANO (Grazie all'impulso degli Stati Uniti) La grande industria italiana non era adatta ad affrontare un cambiamento così radicale come quello dell'avvento delle mode giovanili e non sapeva rispondere con successo alla richiesta di prodotti industrali con un contenuto moda che accontentasse un pubblico giovanile. -La moda giovanile era molto più veloce e imprevedibile poichè veniva dal basso-. La Max Mara fu l'unica grande azienda che seppe intercettare il pubblico giovane creando una linea ad hoc, la Sportmax. L'alta sartoria italiana aveva iniziato a proporre seconde linee di alta moda pronta, che però rimanevano ancorate alle proposte stilistiche delle collezioni di alta moda. Dal 1967 le passerelle di Palazzo Pitti furono dedicate esclusivamente a queste seconde linee di pret-à-porter di lusso. (linee boutique di pret-à- porter, l'alta moda si ritira all'interno degli atelier, per la specifica clientela). Queste collezioni di prèt-à-porter di lusso non erano ancora capaci di esprimere un'originalità stilistica, ma contemporaneamente iniziarono ad essere aperte delle boutique che vendevano abiti d'importazione e piccole collezioni proprie, destinate ad un pubblico giovane. Nacquero quindi punti vendita destinati a giovani e alla "moda giovanile" simili a quelli già presenti in altre capitali europee. Nel 1963 a via della Spiga fu inaugurato Cose, creato da Nuccia Fattori, che proponeva maglierie e abiti francesi, insieme ad alcuni abiti prodotti in proprio. Nel 1966 fu aperto da Gabriella Barassi Gulp, in via Santo Spirito, il cui arredamento molto all'avanguardia, era realizzato da Amalia del Ponte. BOUTIQUE "FIORUCCI" Nel 1967 Elio Fiorucci, che dopo l'apprendistato presso la fabbrica di pantofole del padre era stato folgorato dalla moda londinese, aprì la sua boutique "Fiorucci" vicino San Babilea. Capì che la novità della moda del momento stava nel suo nascere dal basso, senza essere imposta dall'alto e decise di aprire un grande negozio dedicato alla moda giovane con prezzi bassi e buona qualità, nonche un'offerta molto varaia e rinnovata molto spesso. In breve tempo vennero aperte succursali a Londra (1957), a New York(1957) e a Los Angeles(1979). Anche in questo negozio esisteva una linea propria, creata appositamente per la boutique stessa. monomarca diventa il luogo deputato agli acquisti o da visitare per conoscere le ultime novitò della moda. Le classi medie riconoscevano la continuità con la couture e utilizzarono le creazioni degli stilisti come rappresentazione del proprio potere e del proprio ruolo sociale. Lo stile italiano aveva saputo imporsi, rispondendo al desiderio di mostrarsi alla moda e dava la possibilità di scegliere fra i vari stili distintivi delle varie griffe. Armani significava funzionalità e discrezione, (lusso discreto e comodo) con una classicità moderna senza tempo adatta alle esigenze della modernità. Ferrè proponeva un'immagine di donna più raffinata ed intelletuale, che accostava elementi etnici ed elementi presi dall'haute couture, portando avanti una sperimentazione sui materiali. Versace era aggressività e provocazione, era uno stile preso dal mondo dello spettacolo. Gli stilisti iniziarono ad estendere i prodotti marchiati dalle loro griffe attraverso un diffuso sistema di licenze, che iniziarono ad articolare dei veri e propri total look. Le sfilate diventavano show mirabolanti, con protagoniste le top model più famose e l'immagine del marchio doveva essere sempre coerente e costantemente veicolata attraverso tutti gli strumenti di comunciazione disponibili. Il pret-à-porter era diventato "la moda" che no era più eterodiretta e destinata a delle elite ristrette e aristocratiche. Iniziavano ad esistere stili diversi in cui persone diverse potevano riconoscersi. Oltre alle tendenze che rappresentavano la nuova società rampante degli anni '80 emersero nuovi stili, derivati dagli stili di strada che rispondevano ai bisogni dia ltri gruppi sociali. MODA DI STRADA E' il caso di Vivienne Westwood o Jean Paul Gaultier. La creatività della Westwood, che aveva iniziato la sua esperienza nella moda all'interno del movimento punk, rappresentò l'inizio di una rinascita stilistica per Londra che divenne il luogo delle ricerche più eccentriche e estreme. Altri stili traevano origine dallo sportswear americano, dando vita a modelli ricercati nei tessuti ma dal taglio pulito e rigoroso. Questa moda era destinata a colore che volevano differenziarsi dai nuovi ricchi eccessivi e vistosi. Esempi di questo stile sono Donna Karan e Jil Sander. Questo stile diede poi vita al cosidetto"pauperismo di lusso" di cui saranno interpreti Prada ed Helmut Lang. La ricerca di un'eleganza intellettuale diede vita ad uno stile intimista si cui divennero i maestri gli stilisti giapponesi che introdussero muovi linguaggi e portarono nuove ricerche stilistiche. LA NUOVA RICERCA STILISTICA I primi stilisti giapponesi a sfilare a Parigi furono Kenzo e Issey Miyake negli anni '70. Ma le proposte più dirompenti arriveranno negli anni '80 con le creazioni di Rei Kawakubo, che aveva dato vita a Comme de Garçons, e di Yohij Yamamoto che iniziarono un nuovo modello culturale e vestimentario che ibridizzava senza esotismi la tradizione orientale con capi occidentali. Negli anni'90 dalla ricerca dello stilismo nipponico, prese spunto un'avanguardia europea formata da alcuni stilisti formatisi presso l'Accademia delle Belle Arti di Anversa. Questi stilisti cercavano la decostruzione del capo e la sperimentazione più radicale, arrivando perfino a cercare di negare la logica della griffe utilizzando delle etichette bianche, come nel caso di Margiela. La moda italiana rispose a queste sperimentazioni con il lusso e l'opulenza, ma le vendite iniziarono a registrare delle flessioni visti i costi sempre maggiori. Negli anni tra l'89 e il 90 molti nomi della moda italiana si trovavano a Parigi cimentandosi con l'haute couture d'oltralpe. I problemi della moda italiana furono aumentati da alcune situazioni contingenti: la morte di Moschino e l'assasinio di Gianni Versace, la rottura del sodalizoo creativo tra Anna Domenici e Mariuccia Mandelli che erano il duo creativo di Kritzia, il difficile rientro di Ferrè dopo l'esperienza da Dior. Nonostante questo, il pret-à-porter italiano sopravvisse, ma solo pochi nomi, come Armani e Dolce&Gabbana, seppero mantenere la posizione guadagnata negli anni'80 nel mercato internazionale, mentre uno dei pochi che riuscì a mantenere alta la capacità innovativa fu Antonio Marras, grazie al recupero di antiche tradizioni artigianali e culturali sapientemente reinterpretate. (trae ispirazione dalla cultura e tradizioni sarde). LO STILISTA Nel nascente mercato del pret-à-porter si affermò una nuova figura professionale: lo stilista. Era una figura che si differenziava sia da quella del couturier, sia da quella dell'imprenditore aziendale, che aveva caratterizzato la prima fase dello sviluppo del pret-à-porter. Lo stilista non creava l'abito per il cliente esistente, doveva prima decidera quale fosse il suo mercati di riferimento e non controllava il lavoro aziendale ma doveva conoscerne le potenzialità. L'ideatore/progettista proponeva una linea di modelli a un'azienda produttrice a cui era legato da contratti. All'inizio la produzione di moda confezionata legava la propria riconoscibilità al marchio aziendale o al nome della boutique che la distribuiva. WALTER ALBINI E' stato l'antesignano della figura dello stilista in Italia. Fu colui che per primo seppe cogliere le potenzialità e le ambiguità del nuovo sistema produttivo della moda rappresentato dal pre-ò-porter. Intuì che in un contesto in cui diventava di prima importanza il ‘contenuto moda’, il creatore di questo contenuto dovesse diventare la figura chiave dell’intero processo. Fare emergere il nome dello stilista e metterlo in primo piano rispetto al nome del produttore, significava ratificare l’esistenza di un terzo polo all’interno del sistema produttivo, che prevedeva una produzione industriale (non in larga scala) progettata e seguita da un ‘creativo’. Gualtiero Angelo era il suo vero nome che nacque a Busto Arsizio il 3 marzo 1941. La famiglia avrebbe voluto che si indirizzasse verso studi classici ma, fin da giovanissimo scelse una strada diversa. Si iscrisse, unico uomo, all'istituto d'arte, Disegno e Moda di Torino. A soli 17 anni iniziò a collaborare con giornali e riviste, facendo schizzi dalle sfilate di alta moda, prima da Roma, poi da Parigi dove si recò terminati gli studi e dove rimane per quattro anni, dal 61 al 65. Qui incontrò Coco Chanel, rimanendo folgorato dalla sua personalità, tanto che lei, insieme a Poiret, fu costante fonte di ispirazione nel corso della sua vita professionale. Nel '63 creò la sua prima collezione per Gianni Baldini. Sempre a Parigi incontrò Mariuccia Mandelli, la famosa stilista conosciuta come Krizia. In seguito a questo incontro si trasferì a Milano ed iniziò con lei una collaborazione che durò tre anni. Presso Krizia fece esperienza della collaborazione con l'industria, prendendo familiarità con le varie lavorazioni e con i diversi tessuti. Verso la fine degli anni '60 disegnava per le principali case di moda italiane: Billy Ballo, Cadette, Cole of California, Montedoro, Glans, Annaspina, Paola Signorini e Treli. Collaborò con Gimmo Etrò alla realizzazione di tessuti stampati. La ricerca parallela sul taglio e sul tessuto fu una delle costanti del lavoror di Albini al quale si deve l'impostazione di un nuovo rapporto, finalmente coordinato, fra lo stilista e il fabbricante di tessuti. Nel '69 Albini partecipò con Alberto Lattuada, Miguel Cruz, Karl Lagerfeld, alla manifestazione Idea Como, promossa dall'Associazione italiana Fabbricanti Serici, con lo scopo di presentare, finalmente con unità di stile e colori, la produzione tessile per l'estate 1970. Albini proponeva uno stile per ognuno delle aziende con cui collaborava, ma un segno ricorrente sono i riferimenti agli anni ’20 e ’30 da cui lui era profondamente affascinato. (stile per ogni marchio per cui lavorava!!) Determinante fu l'incontro con Luciano Papini, con il quale fondò una piccola società per la produzione di abiti chiamata Misterfox (nome suggerito dalla giornalista Anna Piaggi). La prima collezione di questo marchio, che sfilo a palazzo Pitti nel 1970, ebbe tanto successo da mettere in difficoltà la capacità produttiva dell'azienda. Si trattava della famosa collezione ANAGRAFE: otto spose rosa in lungo, otto vedove in nero corto. Sempre per Misterfox, la stagione successiva, disegnò una collezione Preraffaellia presentata a Maremoda Capri. Nel frattempo Albini continuava a lavoare anche per altri marchi. A questo punto iniziò una riflessione sul sistema di presentazione delle collezioni. Albini capì che i tempi erano maturi per lasciare le sfilate collettive di Palazzo Pitti che erano nate per presentare una moda molto diversa da quella industriale. La proposta dello stilista doveva essere unitaria, forte e riconoscibile, non dispersiva. Decise quindi di presentare le sue collezioni, il 27 aprile 1971, per la prima volta a Milano, al Circolo del Giardino e non nella storica Firenze. Nel frattempo aveva stipulato un accordo con Effetiemme (prima società italiana di distribuzione del pret-à-porter) per la progettazione delle collezioni di alcuni marchi sotto il loro controllo. Disegnò per la prima volta secondo un progetto unitario per cinque case di moda specializzate in settori differenti, creando un suo stile. Si trattava di Basile (tailleur e capispalla), Escargots (maglieria), Callaghan (jearsey), Mistero ( abiti eleganti e da sera), Diamant’s (camiceria). I marchi erano 5, ma la collezione era unica e con uno stile unitario ! Quello stesso anno iniziarono a sfilare a Milano anche Ken Scott e Cadette, seguiti poi a breve da Missoni e Krizia. Le idee di Albini sulla moda e sul suo sviluppo erano molto chiare. Unità si stile, diverso rapporto con i tessutai ma soprattutto con la consapevolezzza che l'alta moda, così come era intesa negli anni'50, era ormai destinata a scomparire per lasciare spazio a nuovi modelli produttivi, in particolare la necessità di una diversa concezione dei rapporti tra progettista e produzione. Milano infatti non era solo vicina alle industrie tessili, ma anche alle fabbriche di macchine e utensili. Il nuovo sistema di progettazione della moda richiedeva infatti anche il ripensamento e la reinvenzione dei macchinari atti a produrla. Nello stesso anno, al Circolo del Giardino, presentò la collezione P/E 1972, conosciuta come "Le Bandierine" o "Le Marinarette", dove disegnò personalmente tutti i tessuti realizzati da Etro. In passerella, dopo aver scandalizzato con una modella a seno nudo, Albini propose alcuni passaggi da uomo. Dopo il successo si rifugiò in Tunisia mentre la stampa continuava a seguirlo e ad amarlo, definendolo il nuovo astro italiano. Nell’aprile 1972 presentò, nuovamente al Circolo del Giardino, la stagione A/I 72 73, una collezione molto ricca con una sfilata lunghissima. La stampa internazionale lo acclamò, Women’s Wear Daily lo paragonò a Saint Laurent, mentre quella italiana si dimostrava più fredda. Albini desideroso di fondare una linea tutta sua, ruppe tutti i contratti con i distributori ed i produttori, tranne quello con Misterfox , per cui disegnò una collezione che sfilò a Milano per la P/E ’73. Decise di fondare la WALTER ALBINI, sempre prodotta da Misterfox, per la quale creò il logo WA. Con l'aiuto di Mrs. Joan Burnstein, proprietaria di Browns, fece sfilare a Londra 6 abiti da uomo e 27 da donna, battezzando questa collezione con il titolo di Grande Gatsby. La prima vera e propria sfilata del marchio WA fu nel 1937 a Venezia, città che amava e dove aveva preso una casa sul Canal Grande, presso il caffè Florian, riproposta poi a New York. Era ormai internazionalmente riconosciuto il suo talento creativo. Il marchio Misterfox diventò una sorta di seconda linea di WA. Era la prima volta che veniva adotta la formula, poi molto imitata, di una prima linea di immagine forte e trainante, di vendita ristretta, economicamente sostenuta da una seconda collezione più facile, per il grande numero. Sempre nel 1973 aprì lo showroon di Via Pietro Cosa a Milano, tutto specchi, dove far sfilare le collezioni di Misterforx. Ma Albini non era sufficientemente sostenuto dal punto di vista commerciale e non era ancora possibile guadagnare con le royalties, ossia le rendite sul marchio. Il '74 e il '75 furono anni di crisi, pur nella particolare bellezza delle sue creazioni, caratterizzati da raffinati tessuti stampati su disegni che riprendevano i decori delle murrine (vetri di Murano), o il paisley o, ancora, lo stampato a motivi cachemire, che dalla moda passerà con successo all’arredamento con una fortuna che durerà molte stagioni. Disegnatore eccellente, fu il primo stilista a festeggiare, nel 74 nel suo atelier i 10 anni di attività con una mostra di tutti i suoi disegni dagli anni ’60 al ’72. Per l’A/I ’73’74 presentò due collezioni, una a Venezia per il marchio WA, una a Milano con il marchio Misterfox. Iniziò a viaggiare molto in Oriente, soprattutto in India. A questi viaggi si ispirarono le sue collezioni successive. Nel 1974, a Milano, al salone Pierlombardo, presentò una collezione uomo autonoma, separata dalla donna, anticipando i tempi. Nel '75 a Roma presentò la sua prima collezione di Alta Moda per la primavera/estate, in collaborazione con Giuseppe Della Schiava, che produceva le sete stampate su suo disegno. Si trattava di una collezione ispirata a Chanel e agli anni '30. Rosita e Ottavio Missoni hanno fondato la loro azienda dal carattere fortemente familiare nel’ 53. I due si erano conosciuti in occasione dei giochi Olimpici di Londra nel ’48 a cui Ottavio partecipava come ostacolista. Egli aveva già iniziato con un amico, il discobolo Giorgio Oberweger, un’attività di maglieria sportiva. Rosita Jelmini veniva invece da una famiglia di sarti. I due si sposarono nel’53 ed aprirono la prima attività. La loro prima cliente è stata Biki, seguita poi dalla Rinascente nel ’58. Nel 1966 sfilarono per la primo volta al Teatro Gerolamo di Milano presentando una collezione completa di maglieria disegnato con la collaborazione di Emanuelle Khanh. In questa collezione figuravano degli abiti da sera in maglia di lurex stampati con motivi astratti. L’anno successivo iniziarono a sfilare a Palazzo Pitti, diventando protagonisti di un involontario scandalo: le modelle non indossavano il reggiseno perché si sarebbe visto sotto ai capi e le luci della passerella crearono un effetto di trasparenza che provocò un nude look non previsto. Nel ’69 incontrarono Diana Vreeland che permise loro di venire conosciuti sul mercato americano. Il successo dell’elemento caratteristico dello stile Missoni, chiamato dagli americani put-together, risale a quello stesso anno, mentre negli anni seguenti si moltiplicarono i successi sul mercato internazionale. Ben presto ampliarono la produzione a tessuti per l’arredamento, a accessori e gioielli, mentre nel ’76 inaugurarono la prima boutique (monomarca) a Milano. Nel ’78 celebrarono a 25 anni di carriera con una retrospettiva presso la Rotonda di Via Besana a Milano dal titolo ‘Missoni 25°’ portata poi al Whitney Museum of American Art di NY. I coniugi Missoni amavano pensare ad ogni capo di abbigliamento come a un’opera d’arte, da acquistare per il piacere di indossarlo. Nel ’94 festeggiarono i 40 anni dell’azienda con una mostra dal titolo Missonologia, che ebbe luogo prima a Firenze e poi a Milano. Nel 1997 l’azienda fu affidata ai tre figli: Angela, Vittorio e Luca. Nel 2003 fu organizzata una sfilata Missoni al Life Ball di Vienna, a favore dell’AIDS Life, in occasione dei 50 anni dell’azienda. Nel 2011 Ottavio Missoni pubblicò la sua autobiografica per i suoi 90 anni. Ottavio Missoni morì nel 2013 dopo un periodo di malattia probabilmente causata dalla tragica scomparsa del figlio Vittorio in un disastro aereo in Venezuela. VERSACE Gianni Versace nacque nel 1946 a Reggio Calabria. Sua madre Franca era una sarta , specializzata in riproduzioni di modelli francesi, quindi il suo rapporto con la moda fu molto precoce. Apprese le basi del mestiere dalla madre e si considerò sempre un sarto, ritenendo indispensabile per uno stilista conoscere le tecniche della sartoria. La sua terra natale gli fu sempre di grande ispirazione: un esempio ne è la testa di Medusa, logo del brand, oppure la passione per le fogge dal sapore classicheggiante costruite con un uso sapiente del drappeggio. Proprio per approfondire queste tecniche aveva studiato le lavorazioni di Madelein Vionnet e Madame Grès, cercando di rendere la classicità un elemento contemporaneo, non un revival. La storia fu sempre un suo elemento di ispirazione, in particolare l’epoca bizantina, il Rinascimento e il 700. Trasferitosi a Milano, nel 1972 diventò stilista per Callaghan al posto di Albini, poi lo stilista della linea principale di Genny e successivamente di Complice e Alma. Fondò la Gianni Versace nel 1978 insieme al fratello Santo e a Claudio Luti, presentando in quello stesso anno le prime collezioni donna e poi uomo. Nel 1982 presentò per la prima volta i sui capi in una speciale maglia metallica, chiamata oroton, innovativa e non aggressiva, che era possibile drappeggiare a piacimento e che divenne un elemento distintivo del marchio e che da allora appare in quasi ogni collezione Versace. Spesso utilizzò materiali innovativi ed insoliti, come plastica, vinile e neoprene accostati a cristalli o seta. Negli anni successivi alla nascita della griffe con il suo nome continuò a disegnare per altri marchi. Nel 1985 creò la linea Istante, nel 1989 la linea di alta moda pronta Atelier Versace e la linea dedicata ai giovani, Versus. Nel 1993 inaugurò invece una linea per la casa, Signature, mentre nel 1997 nacque Versace make- up. Nelle sue sfilate erano protagoniste le top model più importanti degli anni ’80/’90 e collaborò spesso con celebri fotografi, quali Richard Avedon, Helmut Newton, Bruce Weber, Her Ritts, per le sue campagne pubblicitarie. Collaborò spesso anche con esponenti del mondo della musica e lavorò anche per il teatro. Lo stile Versace fu sempre caratterizzato da una sessualità senza pudori, una spregiudicata e un’inventiva senza limiti, una creatività sfrontata che conciliava mode di strada e couture. Dopo la sua tragica scomparsa nel 1997, la gestione dell’azienda passò ai fratelli Santo e Donatella. GIANFRANCO FERRE’ (1944-) Gianfranco Ferrè nacque a Legnano, il 15 agosto 1944. Si laureò in Architettura al Politecnico di Milano nel 1969 e proprio in quegli anni avvenne il suo casuale debutto nel mondo della moda: Ferrè disegnava bijoux ed accessori che regalava ad amiche e compagna di Università. Le sue creazioni vennero notate da Rosy Biffi, talent scout e titolare di una boutique d’avanguardia, che ne parlò ad Ileana Pareto Spinola e Anne Sophie Benazzo: conquistate da questi oggetti realizzati in modo ancora artigianale, li ospitarono nel loro show room e li proposero ai buyers. Capiti quasi per caso sotto gli occhi di alcune redattrici di moda ( Anna Piaggi ed Anna Riva, le prime) uno di questi accessori finì sulla copertina del mensile ‘Arianna.’ In questo periodo Christiane Bailly e Walter Albini iniziarono a commissionargli accessori per le loro collezioni . Nel ’73 intraprese il primo dei suoi numerosi viaggi in India, dove trascorse lunghi periodi di lavoro sino al 1977: per conto di un’azienda genovese di abbigliamento, la ‘San Giorgio Impermeabili’ di proprietà della famiglia Borelli, disegnava e faceva produrre in loco la collezione Ketch. Fu l’occasione per visitare ogni parte del Paese, studiandone l’artigianato e le potenzialità produttive, anche su incarico del Governo Indiano. Ferrè venne letteralmente sedotto dall’India, dove si consolidò la sua formazione e prese vivo il suo percorso creativo. Nello stesso periodo, nelle sue soste in Italia, mantenne una serie di rapporti di collaborazione e di consulenza per gli accessori e rapporti di consulenza stilistica con aziende di maglieria e costumi da bagno, che sfilarono per la prima volta nell’ambito i Maremoda Capri, per i quali otterrà il primo dei tanti premi che costellarono la sua carriera. Nel 1974 iniziò a lavorare per il pret-a -porter , disegnando la linea ‘Baila’ affidatagli da Franco Mattioli, un imprenditore bolognese che, nel 1978, diventerà sua socio. A maggio del 1978, infatti, risale la fondazione della società ‘ Gianfranco Ferrè’. Con sede in Via San Damiano prima, poi in Vita della Spiga. Nell’ottobre dello stesso anno fu presentata la prima collezione di prêt-à-porter femminile, che si svolse all’Hotel Principe di Savoia di Milano. A colpire furono il rigore delle linee e la pulizia dei colori, elementi distintivi del suo stile. Altri elementi cardine del suo stile furono la progettazione architettonica dell’abito e le linee decise, nonché un lavoro di ricerca sulla camicia bianca. Al lancio dell’abbigliamento maschile nel 1982, ed alla creazione di una gamma articolata di accessori e prodotti realizzati su licenza in collaborazione con numerose aziende leader nei rispettivi settori merceologici, si aggiunse poi, nel ’86 l’esperienza dell’Alta Moda , con sfilate a Roma, per sei stagioni. Nel 1983 partecipò alla elaborazione del piano didattico della nascente ‘Domus Academy’ scuola post- universitaria di Design, Design management e Fashion Design, dove fino al 1989, diresse il corso Design dell’abito. Nel maggio del ’89 Ferrè fu nominato Direttore Artistico della maison Dior per le linee femminili di haute couture, pret-a-porter e fourrure. L’incarico presso Dior venne poi riconfermato nel 1993 sino al 1996. Nel ’95 lanciò la linee giovane GFF, poi la linea Gianfranco Ferrè Jeans. Nell’autunno del ’98 furono festeggiati i 20 anni di attività della Gianfranco Ferrè attraverso un insieme di eventi determinanti per il futuro della società, che culminarono con l’inaugurazione a Milano della nuova sede negli spazi completamente rinnovati dell’ex Palazzo Gondrand di Via Pontaccio. Nel 2002 la Società Gianfranco Ferrè venne acquistata dalla IT Holding di Torino Perna e Ferrè stesso ne divenne Direttore Artistico (dipendente). Nel marzo 2007 Ferrè è nominato Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Morì nel 2007 a seguito di un emorragia celebrale. FRANCO MOSCHINO 1950-1994 Nato ad Abbiategraddo nel’50, Moschino entrò all’Accademia delle Belle Arti di Milano a soli 17 anni, coltivando il sogno di diventare pittore. Il gusto per le stampe e il colore, infatti, restò sempre una delle sue cifre distintive. L’incontro con la moda avvenne per caso: dovendosi mantenere gli studi iniziò a lavorare come illustratore freelance per importanti riviste. Nel 1971 iniziò a collaborare con Gianni Versace e dopo 6 anni diventò il designer del marchio d’abbigliamento Cadette che abbandonò nel’82. Nel ’83 venne presentata la prima collezione con il suo nome prodotta da Aeffe. Un anno dopo la nascita della linea Moschino donna nacque la prima collezione uomo, nel ’86 la linea Moschino Jeans e nel’87 durante un party a tema ‘Luna Park’ fu lanciata la prima fragranza femminile. “Copio e dissacro gli stilisti altrui, racconto quello che succede tentando di capire le motivazioni della gente” queste parole del disegnare sintetizzano perfettamente la sua visione della moda: uno strumento per riflettere con ironia sulla società. Ogni dettaglio sulle passerelle Moschino acquistava un preciso significato segnando tra i primi uno dei percorsi che seguirà la moda negli anni successivi: la reinvenzione. Franco Moschino amava partire dai classici del guardaroba come i tailleur di Chanel che dissacrò con ironia, oppure gli accessori esagerati, opulenti, ma di materiali tutt’alto che preziosi, o ancora le donne fatte di cravatte degli yuppies del tempo. Franco Moschino fu tra i primi a fiutare il successo delle seconde linee, creando cosi nel ’89 Moschino Cheap and Chic uomo e donne. Tra 89 e 90 furono aperti i primi negozi in Italia, mentre Moschino da vero provocatore iniziò una dura campagna di sensibilizzazione sull’ecologismo: “ Essere alla moda vuol dire essere coscienti del male che si può fare alla natura. La natura è meglio della couture “. Queste le sue parole. Alla fine degli anni ’80 Moschino iniziò a portare sulle passerelle pellicce ecologiche, inaugurando quella che diventerà un’abitudine per altri grandi nomi della moda. Nel 1994 Moschino mori prematuramente all’età di 44 anni, riuscendo però a festeggiare il decennale della sua casa di moda, anniversario celebrato con una mostra retrospettiva, un libro dal titolo ‘X anni di caos’, ed una sfilata evento. MIUCCIA PRADA Il marchio fu fondato da Mario Prada nel 1913 e all’inizio produceva accessori in pelle. Miuccia Prada nacque nel 1946, e dopo la Laure in Scienze Politiche e una breve esperienza nella recitazione Piccolo Teatro di Milano, entrò nell’azienda di famiglia negli anni’70 occupandosi della progettazione di accessori. Nel 1977 incontrò Bertelli, suo futuro marito, con il quale assunse la direzione dell’azienda. L’invenzione del logo, composto da un triangolo rovesciato risale all’inizio degli anni ’80. Dello stesso periodo sono gli zaini di nylon nero che sono diventati un classico. Nel 1979 fu lanciata la prima collezione di scarpe, mentre nel 1988 fu presentata la prima linea di pret-a- poter donna. Nel 1933 nacquero la collezione Miu Miu e la collezione uomo. Nel 1997 nacque la linea dedicata al tempo libero caratterizzata dalla ormai celebre Linea Rossa. Nel 1995 iniziò l’impegno della coppia in campo artistico, con la nascita della Fondazione Prada con l’intento di promuovere mostre ed eventi artistici. Gli anni ’90 sono il periodo in cui Miuccia sviluppa il suo stile e la sua filosofia relativa alla moda. La sua ricerca di concentrò sul ‘bad taste’, affermava di fare ‘vestiti brutti con stoffe brutte’ ! Sono gli abbi delle stoffe ispirate a tovaglie o alle carte da parati anni ’50 -’60. Il minimalismo divenne una delle sue cifre distintive, ma nel nuovo millennio arricchì il suo stile con broccati e tessuti preziosi, gonne a palloncino, piume, corpetti all’uncinetto , abiti lampadario. (minimalismo portato fino agli anni ’90-2000) Gli abiti sono , per Prada, un modo per esprimere concetti frutto della sua ricerca e della sua visione, distillando l’essenza della modernità, attingendo all’eredità culturale e fissando la società in mutamento. (stimolata dalla cose che non gli piacciono !!!) GUCCI (1881-1953) Gucci è stata fondata a Firenze da Guccio Gucci che, dopo aver lavorato all’Hotel Savoy, svolse un apprendistato a Milano. Aprì la prima bottega di articoli da viaggio nel 1921 in via della Vigna Nuova. Nel 1938 inaugurò una succursale in Via Dei Condotti a Roma. Durante il periodo dell’autarchia si distinse per l’utilizzo di materiali insoliti come la canapa e il bambù. Nel dopoguerra nacquero alcuni dei prodotti che diventeranno dei classici dell’azienda:la borsa con il manico di bambù ( 1947), il mocassino con il morsetto (52’53), il foulard Flora (1966) disegnato per Grace Kelly, la borsa Jackie O’ (primi anni ’60).
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