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Storia della moda XVIII-XXI secolo - Enrica Morini, Sintesi del corso di Costume E Moda

Riassunto del libro Storia della moda XVIII-XXI secolo dell'autrice Enrica Morini

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018
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Caricato il 05/09/2018

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Scarica Storia della moda XVIII-XXI secolo - Enrica Morini e più Sintesi del corso in PDF di Costume E Moda solo su Docsity! 1 Storia della moda XVIII-XXI secolo Enrica Morini Il lusso è una delle chiavi interpretative più rilevanti per comprendere la moda occidentale. Non esclude che il modo di vestire sia utilizzato anche per comunicare altri significati (a seconda delle culture), ma le idee di ricchezza e esclusività dell’abito sono un dato costante e indiscutibile delle trasformazioni della moda. Moda è diverso da abbigliamento: l’abbigliamento riguarda tutta la società nel suo complesso, la moda è stata dal Medioevo prerogativa di un piccolo gruppo che ha usato le trasformazioni dell’abito per manifestare la preminenza. Il collegamento tra foggia dell’abito e ruolo sociale è nel mondo antico e extraeuropeo fissato da regole che appartengono alla sfera della tradizione e sono soggette al principio della stabilità nel tempo (saldezza del principio originario da cui discende il patto su cui si fonda la civiltà). Questo modello è messo in crisi nell’europa fra il XIII e il XIV sec quando la fissità è stata sostituita dalla regola della trasformazione e modernità, l’abito rappresentava la posizione o il ruolo sociale della persone secondo regole non rigide. L’introduzione del principio di cambiamento della moda ha visto la trasformazione strutturale dell’UE e il suo passaggio dal mondo antico a una concezione moderna dello stato/potere/evoluzione sociale. Il possesso e la gestione della ricchezza rimangono fondamento del potere reale ma le due cose hanno cominciato ad avere caratteristiche diverse. uno dei compiti principali della moda era mettere in evidenza i segni della ricchezza/potere scegliendo gli strumenti più consoni alla cultura e vita del periodo storico. La struttura gerarchica della società europea si conservò per secoli, alcuni avevano l’incarico di produrre, altri quello di consumare ed esso doveva essere proporzionale al potere/visibilità. Il principio dell’ineguaglianza trovava ragione del volere divino. Il lusso della corte era anche immagine dello Stato e della sua concezione economica precapitalistica (sperpero=virtù). Forte motore economico: trasformava la ricchezza che la nazione forniva al signore in committenza di lavoro e eliminava l’eccesso di produzione. Solo con Luigi XIV lo sperpero esplicitò la propria funzione sociale ed economica, ma superamento del modello precedente: la nobiltà porta la propria magnificenza alla rovina e lo stato favorì la crescita della classe dei fornitori/finanziatori. Il potere costituito di natura aristocratica/divina si organizzò per difendere la propria preminenza istituzionale del meccanismo di ascesa sociale e cercò di reprimere qualsiasi possibilità di confusione delle rispettive posizioni. La rottura operata dalla riforma protestante creò le premesse per una nuova cultura relativa al lusso. calvinisti e puritani: la ricchezza segno del favore divino non poteva essere sperperata per piacere ma doveva essere gestita per la comunità. L’aspetto esteriore non ha relazione diretta con l’importanza sociale della persona. Modestia/Moderazione diventarono le doti da esprimere con l’abito. Anche nel mondo cattolico ci furono richiami evangelici che si opposero ai modelli di vita di corte. 2 L’abito diventò ancora segno di comunicazione, ma parlava di una rarità morale attraverso particolari sartoriali specifici. La borghesia inventò la propria moda, non più derivata dal mondo aristocratico ma da un ideale di vita. Poté permettersi di riaprire la questione del lusso che era anche un modello di consumo, per produrre ricchezza. I filosofi illuministi specificarono i concetti di lusso (semplice effetto della legittima pulsione all’emulazione sociale e poteva essere ben utilizzato all’interno dell’organizzazione economica mercantile e capitalista) e fasto (legato al principio economico dello spreco). Restava da delineare i confini entro i quali il lusso era accettabile. Nel corso del ‘700: crescita di un modello di consumo borghese. Segni di una nuova etica dell’apparire sociale: L’abbigliamento maschile venne semplificato (al posto della seta la lana, i sfarzosi ricami diminuirono). La sobrietà per chi voleva distinguersi dallo sperpero di aristocratici/cortigiani. immagine=ruolo: la nobiltà operosa e la borghesia legarono il proprio status di potere al lavoro. Marginalizzata la funzione della corte a favore di altri centri di potere l’ostentazione diretta dell’abito comunicò le qualità necessarie a questo scopo (valori astratti, intelligenza, o concreti, salute). la cultura borghese cominciò a proporre un ideale di donna lontano da quello delle cortigiane del ‘700: gli scopi della vita della borghese erano il matrimonio e i figli, eliminando ogni ruolo pubblico. Il suo abito diventò lo specchio di questa virtù privo di elementi teatrali e rigore, non più forme rigide ma vestiti leggeri e comodi (attenzione al corpo e alla salute, medicina e filosofia 700). Era la camicia di sotto promossa a vestito, alla vita un nastro e uno scialle. Si sottolineavano sia l’adesione alla cultura illuminista, sia il rispetto per il corpo. La prima moda borghese si sviluppo in due modi diversi: quella maschile si istituzionalizzò, quella femminile mutò nel tempo. Nel XIII sec la differenza di genere fu la chiave di lettura del modello vestimentario moderno: l’accostamento al potere dell’uomo borghese portò ad una codificazione del suo abito corrispondente al ruolo, divenne una divisa, le sole cose modificate erano marginali. Le donne, private di ruolo pubblico, si qualificarono per il loro stato, per lo status sociale ed economico del loro uomo. donne case divennero oggetto di spese lussuose. Le scelte individuali di gusto dovevano corrispondere a un codice condiviso, le mode dovevano essere tali nel gruppo di riferimento cui il soggetto apparteneva. Per tutta L’Ancien Regime erano state decise dalle corti e dall’aristocrazia E non erano destinate alla circolazione diffusa. 700/800: negazione ruolo culturale direttivo della corte E affermazione della borghesia — > aristocrazia non poteva più proporre una moda diversa da quella borghese. Dovevano nascere luoghi professionali per la creazione della moda. Ancien Regime: distinzione tra ideazione (della corte) e realizzazione (artigiani in statuti corporativi). L’unica fase autonoma era la fabbricazione dei tessuti, nasce una potente casta di mercanti, Il tessuto era costoso E il segno più lussuoso. Gli altri artigiani erano esecutori che lavoravano su commessa diretta, La borghesia avrebbe capovolto questa logica. XVIII sec: Meno restrizioni per le corporazioni della moda, diventarono possibili le commistioni. Il compratore non era più l'unico responsabile dell'assemblaggio della moda, era aiutato da un professionista. Merchandes de mode: uscirono dalla logica corporativa. Nuova figura professionale, nacque una possibilità per la professionalità femminile. 5 La diffusione delle nuove mode avveniva attraverso strumenti diversi, dalla bambola rivestita delle ultime mode alla più moderna stampa che poteva raggiungere un pubblico più ampio. Nel 500 erano stati pubblicati antichi repertori di costumi, ora comunicavano le mode. Gli articoli fornivano anche gli indirizzi dei fornitori, prima forma pubblicitaria moderna. La stampa periodica non era adatta, ma Con il crescere della richiesta di moda crebbe anche lo spazio per informazioni adeguate. Vennero pubblicati fascicoli relativi ad abiti e acconciature. Nel 1779 Venne pubblicato un volume con 96 stampe offrendo informazioni sullo sviluppo del settore: si parlava di famosi artisti che si erano specializzati in questo genere. Le immagini davano informazioni sia sugli indumenti che sulle buone maniere adatte all'abito. Abiti provenienti da ogni strato sociale. Venne anche concepito un repertorio di immagini finalizzato a promuovere all’estero il gusto francese. Prese forma la prima stampa femminile che univa alle informazioni di moda un intento educativo illuminista: Nuova cultura della femminilità. La prima Vera rivista femminile di moda fu “cabinet des modes”, il cui pubblico era la nuova società formata dagli illuministi, Che attribuiva alla moda un significato fondamentale per la trasformazione che stava perseguendo. L'editore trasformò la comunicazione di moda in una sorta di strumento pubblicitario, favorita da rapporti con la corte la moda era diventata un fatto commerciale. I problemi sorsero con la rivoluzione, quando il giornale dovette chiudere. L'ultima rappresentazione ufficiale dell’Ancien Regime fu il corteo degli Stati generali nel 1789. Il gran maestro delle cerimonie aveva imposto regole vestimentarie per rendere visibili le differenze gerarchiche. Questa discriminazione Venne messa in discussione immediatamente E il terzo stato chiese di poter indossare i propri abiti, il principio era lo stesso del problema politico con la contrapposizione tra Re e terzo Stato. Il regolamento vestimentario Venne abolito nel 1789. L'importanza della rivoluzione francese nella codificazione del modo di vestire borghese iniziò da questo atto. L'affermazione del significato politico dell'abito, Contro la tradizione del suo codice gerarchico, Diede il via alla trasformazione con segni esplicitamente caratterizzati in senso rivoluzionario o controrivoluzionario. Il luogo dell'apparire si spostò dalla corte alla città, il popolo parigino impose i propri codici di comunicazione non verbale: potere comunicativo dell’abito. La nuova Francia si rappresenta con il tricolore (es. coccarda da applicare sul vestito che diventò l'unico oggetto vestimentario obbligatorio come segno distintivo dei cittadini francesi) e divenne la divisa dei soldati della guardia nazionale. La rappresentazione del principio dell'uguaglianza fu contrapposta lusso: il privilegio gerarchico si mostrava attraverso il lusso, Eliminando il secondo si eliminava anche il primo. Alcuni segni vennero sostituiti con oggetti meno preziosi, anche le acconciature si semplificarono. La moda cambiò punto di riferimento: non Più la corte ma l’Abito borghese e operaio. Nella rivoluzione la foggia del vestito non subì modifiche ma venne rivisitata in base al significato sociale che doveva comunicare. L’Egualitarismo non fu una ascesa sociale collettiva ma un Livellamento al basso. La trasformazione fu più evidente nell'abbigliamento maschile: nuove uniformi civili più sobrie E meno lussuose. 6 Nell'abbigliamento femminile il principio dell’uguaglianza era più difficile da cogliere: il denominatore comune era la semplicità, Il cambiamento di vita e di centro di attrazione sociale crearono un vestito da città, fatto per camminare ed essere comodi. Vennero assunti alcuni segni maschili come i capelli tagliati corti. Il presupposto di una vera società di uguali avrebbe dovuto caratterizzarsi attraverso un abbigliamento indifferenziato ma difficilmente una divisa rivoluzionaria sarebbe stata accettata nella società borghese, L'uguaglianza rimase principio teorico, La borghesia trovò i modi di comunicare le differenze anche attraverso gli abiti. Il principio borghese che regolò la logica vestimentaria fu sancito dalla Convenzione: nel 1793 fu decretata la libertà totale di abbigliamento. Questa libertà si comunicava attraverso simboli, il primo e più semplice fu il berretto frigio di panno rosso (simbolo degli schiavi liberi dell’antica Roma). Libertà dalla schiavitù fu rappresentata in modo più complesso dall’insieme di segni militari e morali dell'iconografia della Repubblica romana, che diventò il modello obbligato dell'immagine pubblica. Il gusto neoclassico e la cultura archeologica diventarono le principali fonti d’ispirazione. Ma libertà cominciò a voler dire anche mancanza di regole imposte, la stessa elite rivoluzionaria aveva comportamenti contrastanti. La libertà vestimentaria contribuiva alla creazione del personaggio. La rivoluzione non stabilì regole e segnò il passaggio da una moda che esibiva la separazione di casta a una che proclamava idee politiche e differenze individuali che si sarebbero trasformati in segni di distinzione sociale. Tutti i simboli della rivoluzione ebbero anche la forma di mode. Le MM si occuparono della nuova iconografia trasformando abiti, acconciature, accessori che venivano pubblicati sui giornali di moda per essere scelti dai lettori. Solo nel 1791 vennero pubblicati modelli per coloro che non condividevano gli ideali rivoluzionari, ma che scelsero l’abbigliamento per comunicare le proprie idee e le proprie fedeltà. La libertà proclamata del governo rivoluzionario garantiva anche ciò. Si sperava che la democrazia potesse essere estesa anche al lusso. La società che stava vivendo la rivoluzione era quindi molto quotidiana e frivola, fatta anche da signore borghesi che stavano adottando un nuovo modello di vita creato dalla rivoluzione. Erano le mogli dei nuovi potenti e dei nuovi ricchi. L'uguaglianza non sarebbe passata attraverso la moda, se non trasformata nel suo linguaggio. La società si era presto suddivisa e la varietà delle offerte pubblicate sulle riviste testimoniano l'esistenza di un ceto alto che richiedeva una moda di elite. Nonostante I richiami ideologici del tessuto nazionale, I figurini parlano di materiali preziosi. Con la caduta di Robespierre finì la fase ideologica della rivoluzione. Il direttorio cominciò con feste e balli: Bals de Victimes cui potevano partecipare solo quelli che avevano avuto parenti ghigliottinati durante il terrore. Erano rituali pagani e orgiastici e produssero segni negli abiti che si trasformarono in mode femminili, con l'ideologia contraria a quella passata (scialli rossi, capelli alla victime). La reazione maschile si servì di meno precisi, ma più vistosi: I giovani borghesi avevano indumenti ispirati alla moda inglese, di cui venivano esagerati gli effetti sartoriali. La divisa era fatta per contravvenire alle regole dell'abbigliamento sanculotto. L'uso dei segni vestimentari era ormai legato al passato. L’Abbigliamento maschile della borghesia che aveva raggiunto il potere aveva solo due strade: quella della divisa militare e quella dell'abito da lavoro —> Grande rinuncia maschile alla moda. 7 Il direttorio segnò un fondamentale momento di passaggio nella moda femminile borghese. Durante la rivoluzione gli abiti erano strumenti per comunicare significati ideologici, ora l'abito fu affrancato dalla politica. Dopo la caduta di Robespierre le donne cominciano a indossare abiti dritti di mussolina bianca che ricordavano le tuniche classiche. Si aggiunse la riproposta della cultura classica da parte del pensiero ‘700: l'apertura pubblica del Louvre mise a disposizione una conoscenza diretta dell'arte antica mai prima possibile. Ma ciò che influenzò direttamente l'immaginario collettivo della fine del ‘700 fu il teatro che l’illuminismo aveva indicato come educatore della nuova società. Il fenomeno ebbe un’accelerazione durante gli anni della rivoluzione, quando il riferimento ai valori e alla cultura della Repubblica romana divenne il tramite linguistico con cui trasmettere la nuova etica. Alla metà degli anni ’90 quello che era stato un movimento erudito e artistico si stava trasformando il gusto della città gusto, fonte d'ispirazione non solo per le arti maggiori ma soprattutto per quelle applicate. Le Figure femminili avevano un abito bianco che ricordava la tunica antica e uno scialle ispirato a quello delle matrone romane. La mancanza di Riviste di moda non ci permette di seguire gli sviluppi del fenomeno. Probabilmente fu uno stile di strada proposto dalle MM E dalla pittura d’avanguardia. “Le Journal de dames et des modes” che cominciò a uscire nel 1797, pubblicò modelli scollati dalle maniche corte, come nei ritratti dello stesso periodo. L’Illuminismo aveva lasciato una nuova concezione del corpo e dell’igiene, la tradizione borghese prevedeva una vita attiva, la rivoluzione aveva rotto con i rituali del palazzo sostituendoli con il gusto della città. La festa continua del direttorio si svolgeva nelle case dei nuovi potenti e nei luoghi pubblici alla moda (es. Palais Royal dove erano le MM). L'abito femminile si adeguò: si ridusse a una camicia di cotone leggero con la vita alta. Ai piedi sandali, Per poter portare le cose una minuscola sacca. Modo di vestire nuovo sia della foggia sia negli usi: non c'era distinzione tra abito formale e informale, La semplicità del modello e la sua trasparenza risaltavano il corpo. Non corrispondeva a un principio di uguaglianza: nuove Distinzioni. L'abito poteva essere di tessuti più o meno costosi, fatta a casa o da una sarta, in totale trasparenza o mitigato. La moda richiedeva la soluzione più lussuosa. La mise era poi completata da una stola: accessorio di lusso in tessuti preziosi. Nel 1798 I soldati di Bonaparte tornando dall'Egitto portarono in Francia gli scialli cachemire. Fu una moda incontenibile, non si fermò nemmeno quando Napoleone cerco di limitare l'introduzione in Francia. Lo scialle è un accessorio obbligato. Anche i gioielli tornano a fare la loro comparsa sulle parti nude del corpo femminile, E furono ispirate all’antichità. Tanta ostentazione corrispondeva alla cultura del gruppo sociale salito al potere, Nato dalle ceneri della rivoluzione e desiderosa di godere dei privilegi appena raggiunti. Questo nuovo mondo cancellò il principio rivoluzionario dell'uguaglianza e proclamò nel 1795 una Nuova Costituzione che prevedeva una Repubblica basata sulla proprietà e sul censo. Impossibile una moda casta e modesta, le nuove signore dei salotti parigini non erano note per le loro virtù domestiche. il loro modello era lussuoso, eccentrico, eccessivo. Merveilleuses: giovani donne votate alla moda, ne seguivano i dettami e anticipavano le frivolezze. 10 Non eliminava le differenze, le sostituiva con alcune più borghese e moderne legate al denaro. Era finita l’epoca del lusso sfrenato e iniziava un mondo di risparmio, senza gli eccessi del passato. Il lusso borghese prese le strade dell’eleganza e del confort. Nuova cultura materiale finalizzata alla comodità, all’igiene, al benessere: no aspetti esteticamente ricercati ma fatti per la gestualità quotidiana. Erano lussi funzionali in chiave progresso. la rivoluzione industriale fece si che le case si riempirono di oggetti, la tecnologia offri lussi alla borghesia (acqua corrente, gas, elettricità). cultura del benessere quotidiano, beni nella sfera dello sviluppo economico capitalistico e producevano quindi ricchezza. Una logica analoga accompagnava la teoria dell’eleganza: “superiorità morale”. le maniere erano sottomesse alle leggi dell’eleganza. Serie di principi che riguardavano l’intera borghesia dell’800, fatta di individui nati uguali ma che cercavano di distinguersi dagli altri. L’eleganza proviene da un’istinto e da un’abitudine. l’educazione, l’istinto, l’intelligenza facevano la differenza tra gli individui. Le due modalità per raggiungere la capacità di gestire una vita elegante e distinta non erano facili per un borghese che non aveva vissuto nella grazia dell’aristocrazia. Il rischio era imitare i nobili dell’ancien reg., circondandosi di oggetti costosissimi. la nuova società non amava l’ostentazione dello spreco. semplicità, sobrietà erano il nuovo vivere sociale e si mostrava innanzitutto nel modo di vestire. l’abito era l’uomo sociale, da un lato comunicava la sua posizione e il suo ruolo, dall’altro ne determinava il comportamento adeguandolo all’occasione. la scelta dell’abito appropriato non era eleganza, che dipendeva da come lo si portava, ma buona educazione. Ci si vestiva per comunicare il proprio ruolo e stato sociale. nero e bianco erano i colori ammessi nella vita pubblica, il principio egualitario richiedeva una divisa che non ostentasse differenze gerarchiche: le differenze erano nei particolari. L’abito femminile assumeva una caratteristica simbolica precisa: comunicare la virtù della donna che l’indossava. Le donne non avevano spazio pubblico, ma solo familiare. Personificavano al virtù della loro classe: erano sciocche, nullatenenti e protette. Erano il solo lusso che l’epoca si permettesse. Ci fu un irrigidimento dell’abito, la gonna assunse una forma a campana, le scollature vennero limitate agli abiti da sera, la novità furono le maniche che si arricchirono di decori —> processo di occultamento del corpo femminile, forme rigide alteravano la silhouette, culmine negli anni ’30 quando il corpo assunse una forma di 3 triangoli. La gonna era irrigidita in una forma arrotondata ma era corta e lasciava i piedi visibili. l’austera e un po' infantile giovane donna della restaurazione lasciava il posto alla bambola decorata. la borghesia stava scoprendo un nuovo modo per mostrare potere/ricchezza: la vanità femminile. L’ulteriore passo verso la democrazia con la sostituzione della dinastia Borbone con una monarchia costituzionale aveva acceso il desiderio di distinzione. Ampiezza, scomodità, eccesso di decorazioni: caratteristiche fondamentali. feste e balli erano perfetti per mettere in scena con estremo sfarzo le differenze di reddito. L’adeguatezza delle signore al loro ruolo pubblico stava nel gusto e criterio di scelta, c’era un modo specifico per distinguersi. la moda femminile divenne perfetta per mostrare le distinzioni sociali senza intaccare il modello etico dell’apparire maschile. 11 Un elite riconosciuta, professionale, proponeva le novità che si affermavano nella società “bene” e poi si diffondevano in tutti gli strati sociali: sistema di distinzione e di omologazione. Il tempo percorso fra il primo apparire di una moda e la sua diffusione segnava distanza tra i gruppi sociali. la struttura simbolica di base che gli abiti dovevano comunicare era costantemente arricchita da significati aggiunti, solo raramente si cambiava la linea dell’abito. Le mode non nascevano come fatto separato ma come parte di un gusto generale che coinvolgeva tutto il vivere sociale. Nella prima metà del secolo, il movimento romantico diffuse una moda storicista che si manifestò attraverso la letteratura, il teatro. Dal medioevo al rinascimento tutto era fonte d’ispirazione. anche l’abito femminile percorse lo stesso cammino. Serie di riferimenti alla cultura medievale in un gusto neogotico. il maggior successo fu l’abito aristocratico per eccellenza, con busto e gonna ampia, revival di un segno che assimilava le nuove signore alle dame di corte dell’ancien reg. Non mancavano richiami alle colonie con esotismi. Il museo diventava il luogo dove reperire gli esempi da imitare. Il revival e il Kitsch che caratterizzarono i manufatti di questo periodo costituivano una negazione dell’eleganza ma diventarono una parte importante della cultura medio borghese che aveva scoperto in essi una fonte di ricchezza per il commercio. L’arricchimento rapido dato dal sistema capitalistico stava creando una situazione di benessere improvvisa, che non aveva dato tempo alla media borghese di educarsi al buon gusto dell’aristocrazia. Ci si lasciò andare al piacere di possedere cose mai avute prima, pensando che fossero più preziose tanto più assomigliavano a quelle delle classi dominanti del passato. la moda rimase a lungo esente dalle esagerazioni più vistose e limitò lo spazio della copia alle feste in costume. Le sarte seppero limitare le citazioni storiciste alle decorazioni. La diffusione delle mode agli strati sociali richiedeva strumenti moderni che vennero messi a punto da nuovi professionisti. Il commercio degli articoli di moda si era sviluppato nel periodo napoleonico, alle MM si erano sostituiti i Magasins de nouveautes che comprendeva tutti i settori riferiti all'abbigliamento e ai suoi accessori. Adottarono l’abitudine di esporre la merce in modo che fosse visibile anche all’esterno. Volantini e manifesti furono il primo veicolo pubblicitario diretto. Dagli anni 40 la loro organizzazione divenne più moderna: catalogo delle proprie merci da fornire al pubblico, in cui era descritta la suddivisione della struttura commerciale in reparti omogenei. In questo periodo subì una trasformazione fondamentale anche il rapporto con la clientela: guadagnare poco su ogni cosa per vendere di più, prezzi fissi e conosciuti, nessun acquisto obbligato, possibilità di rimborso. Il dato fondamentale erano i prezzi: Non più un mercato di lusso con prezzi esagerati ma il contrario. La produzione industriale immetteva sul mercato grandi quantità di prodotti e aveva costi più bassi di quelli artigianali. Lo sviluppo dei MN e poi dei grandi magazzini ebbe nell'industria tessile un’alleata fondamentale. La vera novità di questa fase della società borghese fu la confezione. Gli abiti delle classi sociali più alte continuarono ad essere confezionati da couturieres, I cui modelli venivano pubblicati sulle riviste. I ceti medi e piccoli non potevano permettersi gli stessi fornitori ma rifiutavano anche di ricorrere al mercato dell’usato. 12 Il problema riguardava soprattutto gli uomini, consci delle esigenze di decoro e di proprietà. Per rispondere a questa domanda, Parissot creò un'impresa in cui vendere indumenti maschili, confezionati in serie e nuovi, che all'inizio erano destinati solo al lavoro. Il successo fu tale che in breve confezionò anche abiti borghesi di tipo corrente. Fu dagli anni 40 che la realizzazione di abiti pronti ebbe un vero sviluppo. La confezione femminile riguardava solo indumenti che non richiedevano di essere modellati sul corpo e seguì una logica diversa da quella maschile. Si rivolgeva a un mercato di signore ricche ed eleganti a cui proponeva capi e accessori costosi ultima moda. Si diffusero due nuove professioni: le confezioniste e le sarte-confezioniste, le prime fabbricavano su carta modello, le seconde realizzavano, oltre ai normali indumenti su misura, preconfezionati da vendere direttamente. La produzione di indumenti pronti non riguardò l'abito intero ma ci fu una novità dagli anni 40, quando l’industria tessile iniziò a commercializzare pezze stampate già pensate in funzione del modello finale. “Robe de Paris”: taglio da mettere in vendita con una litografia di una figura femminile vestita secondo la ripartizione della stoffa e la maniera in cui tagliarla. Le indicazioni potevano essere sia per una sarta che per una signora capace di cucire. Era ancora un tessuto venduto metraggio ma consentiva di vendere abiti completi quando ancora non si pensava a modelli femminili già fatti. 1848: grave crisi economica, fine della prima fase dello sviluppo industriale, serie di rivolte/rivoluzioni in UE. Iniziò una ripresa che dal 1850 diventò un boom economico mondiale. il capitalismo ebbe nelle esposizioni universali i suoi riti di auto-esaltazione. I grandi magazzini furono la forma stabile delle grandi esposizioni, la merce poteva essere ammirata ma anche acquistata. Degli anni 50 cominciarono a sorgere i nuovi grandi magazzini, Queste imprese cominciarono subito a ingrandirsi, approfittando della trasformazione urbanistica fino ad arrivare a occupare interi quartieri. Il successo delle imprese attirò l'attenzione di finanziatori che investirono grandi somme in questa nuova forma di attività commerciale. La regola del grande magazzino era la stessa delle MN: ridurre il margine di profitto sui singoli articoli per aumentare le vendite e il giro delle merci/capitali. Richiedeva una produzione in serie capace di offrire costanti novità, sono l'industria tessile e la produzione di confezione ne erano capaci. Fino agli anni 70 l'oggetto principale della vendita commerciale furono la moda E gli oggetti di artigianato. Ogni reparto, Specializzato in una merce, era gestito individualmente da un responsabile. L’Assenza di qualsiasi coercizione all’acquisto era l'obiettivo della messinscena del grande magazzino: la signora borghese doveva essere indotta ad entrare, dimenticare i propri principi etici E lasciarsi andare agli acquisti. Per questo vennero utilizzate calcolate tecniche scenografiche. La facciata assunse lo stile eclettico della nuova architettura pubblica, ma il vero strumento di adescamento erano le vetrine: affascinate da esse, le signore dovevano voler entrare, all'ingresso venivano disposte le occasioni e le merci a basso prezzo. La donna comprava anche senza bisogno se pensava di fare un affare. Difficilmente chi entrava lo faceva per acquistare un solo oggetto preciso, E se questo era lo scopo iniziale, la miriade di merci invitava l'acquisto grazie alla messinscena spettacolare delle esposizioni interne con allestimenti temporanei per gli articoli di stagione. L'allestimento poteva riguardare un solo reparto O l'intero magazzino. Le esposizioni mensili erano I veri eventi commerciali del magazzino. 15 Il risultato fondamentale fu modificare la silhouette femminile: il davanti aderiva al corpo, il dietro assumeva forme decorative complesse. Revival della corte di Luigi XIV. La proposta di Worth divenne vincente negli anni 70 quando il panorama politico francese mutò: la vecchia classe dirigente Venne spazzata via dalla guerra prussiana e Parigi fece l'esperienza della Comune. La borghesia che usciva da quest’esperienza chiedeva di trovare nuove forme di lusso e revival per collegare il potere con le immagini grandiose dell'antica aristocrazia. Il couturier assunse il compito di arbitro unico del gusto della moda. L'abito doveva mutare foggia per assecondare l'evoluzione sociale ma anche continuare a richiedere molti metri di tessuto, Worth ridusse il busto con un effetto a vita alta, la sopragonna si avvolse con effetti di drappeggio. Propose anche un abito nuovo in cui poteva mettere in luce la qualità del suo taglio: era realizzato in un solo pezzo, eliminando la divisione fra gonna e corpetto. Da esso derivò una nuova moda che si impose nel 1874: quella della corazza, Un corpetto modellato che arrivava ai fianchi e si allungava sia davanti che dietro. La silhouette era ancora cambiata: dalla forma rigonfia si passava una struttura longilinea dall'aspetto corazzato, primi elementi di mascolinità introdotti da Worth. La figura femminile perdeva il suo tratto fragile, la forma del corpo veniva ostentata nella semplicità delle sue curve naturali, senza allusione alla nudità, la donna veniva armata con una corazza: stava emergendo la figura della femme fatale. La paura che le donne potessero minare l'ordine sociale assunse una forma assillante. L’immagine data da Worth era però ambigua, poteva essere una difesa o una prigionia. Worth si mostrò perfetto nell'interpretare gli stimoli che si muovevano nella cultura borghese, I suoi abiti risposero sempre alle necessità di ostentazione della classe dominante di quei decenni. I suoi modelli erano ricchi e vistosi ma tutto era armonizzato con una sapienza estetica. Erano unici in una società in cui tutto cominciava a diventare riproducibile, erano elementi di distinzione che l'alta borghesia era disposta a pagare ad altissimo prezzo. Per lui fu garanzia di una clientela elitaria e di un prodotto di qualità. La cosa unica era il modello/ prototipo che veniva poi sviluppato in più varianti per le clienti. L'autenticità era sancita dall'etichetta cucita all'interno, Erano segreti dato che le riproduzioni dei suoi abiti sulle riviste sono quasi inesistenti. Giornalisti analizzarono il suo personaggio avvalorando la sua leggenda. I suoi abiti erano artificiali perché ostentavano una forma illusoria del corpo femminile ed erano sempre più ispirati a modelli storici o artistici ed esponevano decori d’epoca. Negli anni 80 concentrò la propria creatività sul gusto storicista, con stili di tutte le epoche. Le fonti erano i quadri. Le fogge rimanevano all'interno delle mode consolidate, Le decorazioni si arricchivano di richiami al passato. Tutti questi decori fecero scomparire la linea verticale degli anni 80 E tornò la tournure sotto le gonne, una gabbia metallica che sosteneva l’ampliamento posteriore della gonna. Negli anni 90 il figlio maggiore assunse la maggior parte dei compiti creativi E si assistette a trasformazioni di Foggia e di decorazioni: prime concessioni al giapponesismo. Worth non fu tra i promotori del nuovo gusto ma adottò tessuti di quella corrente estetica. Abbandonata di nuovo la tournure, la figura femminile assunse l'andamento verticale destinato per anni ai modelli domestici: la gonna si alleggerì dagli elementi decorativi, assunse una forma a campana, ma le donne non erano ancora pronte a tanto rigore. Pur conservando il busto steccato e i riferimenti storici, l’abito si semplificò. primi sentori di una nuova epoca anche se l’art Nouveau non aveva ancora sconfitto i gusti storicisti. 16 le signore che si vestivano da Worth erano un establishment che voleva essere alla moda senza troppe rivoluzioni e senza mettere in discussione la certezza di gusto della Maison. La semplificazione strutturale non impedì nuovi revival. Worth morì nel 1895, per diversi anni la Maison continuò ad essere un punto di riferimento fino alla fine degli anni ’20 del 900, poi altri assunsero il suo compito. Dal 1870 Worth diresse da solo la Maison anche se negli anni ’60 aveva coinvolto i figli. Aveva realizzato abiti perfetti sia dal punto di vista del gusto che della confezione, ma anche costruendo dal nulla il personaggio del couturier. Questo ruolo doveva essere riconosciuto e riconoscibile e lui decise di comunicarlo attraverso i segni che utilizzavano gli artisti. Trasformò il suo aspetto in modo eccentrico e si atteggiò a tiranno delle sue clienti. Questo era finalizzato a rafforzare l’idea di originalità del prodotto di proprietà intellettuale. Affermarsi di una figura professionale che non produce generiche tendenze ma creazioni esclusive, autentico è solo l’abito con l’etichetta. Ciò si contrapponeva alla tradizione di pubblicare figurini per far si che gli abiti venissero copiati dalle sartorie e dalle donne stesse. Il Couturier non era più un semplice artigiano, rivendicava il ruolo di lavoratore intellettuale che aggiungeva alla sapienza di mestiere la propria creatività. Convinse le proprie clienti di essere delle elette, e la Maison non era aperta a tutti. Questo non significava che egli non avesse chiaro qual era il vero mercato del gusto: tutti i rituali della mitologia artistica che vennero messi in atto servivano per conquistare Parigi e poi l’America. Si era reso conto che la clientela borghese non poteva dargli il successo che cercava, Solo le dame dell'aristocrazia potevano. L'aristocrazia e l'alta borghesia erano i modelli di riferimento del gusto. Ogni gruppo sociale andava trattato secondo regole E aveva un certo peso, egli riuscì a coordinare le loro esigenze utilizzando gli strumenti della modernità: la vendita esclusiva di modelli da realizzare all'estero, La comunicazione attraverso le riviste di moda. Gran parte dell'aristocrazia europea si servì da lui, il successo della maison non dipese dall'essere fornitore ufficiale di varie case regnanti, ma dal vestire le nobildonne più in vista leader della moda. In eguale misura fu curato il mondo dello spettacolo e della mondanità, che fu un tramite indispensabile con il grande pubblico. Fu per raggiungere l'immaginario borghese che cominciò a presentare i modelli sulle rivista “L’art de la Mode” prima testata che sceglieva di rivolgersi all’elite. L'obiettivo non era propagandare I propri modelli per farli copiare alle sarte, ma era accrescere la sua fama. Ciò gli era indispensabile per la clientela più importante, Quella americana, attratta dalla cultura europea. La moda di Worth arrivò a un pubblico più vasto attraverso sistemi di comunicazione e diffusione, I magazzini di moda americani e inglesi acquistavano a Parigi abiti per essere copiati. Fu alla fine degli anni 80 che “haper’s bazar” assunse il ruolo di “L’art de la Mode” e la maison lo utilizzò per pubblicizzare i propri modelli. l’opulento stile della borghesia ottocentesca trovò critiche, preoccupati dal processo di omologazione, artisti e intellettuali cercarono di fermare l'estetica dell'effimero proponendo modelli culturali alternativi. Anche la moda femminile partecipava alla stessa considerazione negativa. le reazioni presero la forma di richiami ai principi originari della cultura borghese: sobrietà, funzionalità. 17 Negli Usa alla fine degli anni ’40, Amelia Bloomer aveva fondato la rivista “The Lily” per dedicarsi agli interessi delle donne. nel 1851 decise di indossare un’abbigliamento più pratico e cominciò ad indossare corti gonnellini con pantaloni alla turca: un vero scandalo, non si poteva accettare che la donna indossasse l’indumento simbolo della mascolinità. L’idea fu ripresa nel 1881 dalla viscontessa Haberton che fondo in Uk un movimento che interveniva sull’abito femminile in nome dell’igiene e della salute. Per il momento ci si doveva limitare a ragionare sull’abito intero che non stringeva troppo in vita e si appoggiava sulle spalle, limitando l’uso del busto. L'aspetto più rilevante dei due movimenti era legare la riforma dell'abbigliamento all'emancipazione femminile. Il dibattito sull'abbigliamento coinvolgeva anche i principi basilari della cultura borghese tradizionale: si pensava che il busto pregiudicasse la gravidanza, scopo dell’esistenza femminile. Gli uomini rivestivano i corpi con indumenti adatti all'attività fisica, le donne venivano private di forma corporea. Nacquero diversi modelli ideologici sugli aspetti salutisti, naturali e estetici. Il filone estetico interessò la produzione degli artisti. Alla fine degli anni 40 i preraffaelliti avevano creato abiti femminili, le donne della confraternita avevano capelli sciolti e abiti senza busto o crinolina. il movimento arts and crafts proponeva il ritorno al lavoro manuale recuperando la raffinatezza delle lavorazioni artigiane. Riproponeva un'ideale di gusto elaborato sulla base del medioevo, visto come luogo di integrazione fra le classi sociali. Proposta di una società che poneva lavoro e creatività artigianale in preminenza in una società coesa. In tutto ciò l'artificialità dell'abito femminile che mostrava le differenze sociali non aveva senso. La Ricerca di un nuovo canone cui ispirare l'abbigliamento femminile si intrecciò con la scoperta della cultura giapponese E con la moda che ne seguì. L'abito estetico uscì dalla cerchia artistica E diventò un segno di riconoscimento delle signore della società intellettuale intorno agli artisti d’avanguardia. Il progetto di riforma del modello culturale borghese ottocentesco si diffuse in tutta Europa e il vestito estetico ne divenne simbolo. Gli artisti volevano modificare la forma degli oggetti in chiave estetica per indurre un gusto più raffinato E portare la società borghese a un salto culturale. Volevano modificare anche il modo di produrre oggetti: rivoluzione del sistema delle arti applicate. Nel 1900 in Germania ci fu una mostra sull'abbigliamento d’artista, fu la prima volta che indumenti venivano esposti in un museo. Più rivoluzionari furono i risultati raggiunti da Klimt che disegnò modelli ispirati alle tradizioni orientali, semplici nella linea e raffinati nei tessuti. La ricerca di un abbigliamento estetico per una società che voleva vivere più naturalmente, ebbe una svolta in relazione alla moda greca. Erano state portate alla luce le antiche città greche E ciò aveva influenzato la moda. L'idea di un ritorno all'abito delle origini si andava diffondendo in ambiti culturali lontani e diversi. Il vero interprete moderno dell'abbigliamento greco fu l'artista catalano Furtuny che non si limitò alla riedizione dell'abito greco ma si estese ai sistemi di taglio, rielaborando tecniche di colorazione e stampa. L’Equazione corpo/donna/bellezza era raggiunta. Furono vestiti indossati da donne di diversi gruppi di elite senza legami con le mode che passavano. 20 nel 1906 l’atelier stava avendo successo e si espanse trasferendosi e riorganizzando il lavoro in reparti specializzati. mise a punto la sua prima vera sfida alla moda, eliminando il busto e sostituendolo con una cintura rigida alla quale era cucita la gonna. invece del busto utilizzò una guaina lunga che aderiva uniformemente al corpo. Ciò faceva si che tutta la biancheria venisse eliminata. Poiret lavorò su un’idea di donna innovativa, ispirandosi alla moda neoclassica del direttorio. non voleva riproporre un’epoca ma si concentrò sulla struttura del modello vestimentario, cogliendone gli elementi fondamentali a cui agganciare la creazione di un abito nuovo. il risultato iniziale fu un modello dritto a vita alta, la tradizione del ‘700 fu affiancata da fonti orientali e etniche, con materiali innovativi, con colori e stoffe extraeuropei e legati all’avanguardia. Il modello chiave della collezione fu “Josephine”, dichiarava l’ispirazione all’impero. Realizzata la trasformazione negli abiti, era necessario un mezzo per comunicarla, la stampa di moda non era adatta. Decise di trovare un artista adatto e pubblicando le immagini degli abiti come voleva che fossero colte dal pubblico. Nel 1908 uscì “Les Robes de Paul Poiret recontees par Paul Iribe” un album con 10 tavole a colori, in cui si metteva a confronto la novità con il punto d’ispirazione, utilizzando un linguaggio grafico nuovo: i disegni rappresentavano figure femminili collocate in ambienti sommariamente definiti con oggetti che richiamavano il periodo Impero. Il colore era riservato solo alle figure femminili. Anche le figure femminili erano diverse: alte, sottili, senza forme, capelli corti. L’album fu inviato a tutte le clienti e alla dame del gran mondo ma venne anche messo in vendita. dichiarava la sua attenzione per il mondo delle arti figurative. la coerenza formale che Poiret aveva cercato nel comunicare la sua moda si confermò nell’immagine grafica della maison. La sede della Maison si trasferì nel 1909 in un hotel particulier del XVIII sec con un grande parco intorno. L’interno venne arredato per diventare una cornice dei modelli. la prassi di utilizzare l’interno come palcoscenico era consolidata, Poiret si servì anche del parco che divenne il secondo marchio della Maison e il luogo delle feste. nel 1909 iniziò a parigi la stagione dei ballets russes, diventando centro della danza e della musica. mondo culturale ignoto e irresistibile. le storie parlavano si storie esotiche e di folklore. Ciò che colpì maggiormente gli spettatori occidentali fu la rivoluzione nella presentazione dei balletti: fino a quel momento la danza classica era in tutù e calzamaglia e le scene semplificate. Adesso i danzatori avevano costumi mirabolanti e scene elaboratissime. Tutti notarono una somiglianza con i modelli di Poiret. Scomparvero dai suoi modelli i richiami al direttorio e si fecero più forti quelli per le culture etniche, orientali e arabe. Il punto di passaggio fu rappresentato da una gonna lunga e dritta chiusa con una specie di cintura sotto le ginocchia. negazione di tutto quello che aveva realizzato prima, probabilmente era solo un esperimento, comunque lui non pensava ad una donna emancipata. fu all’inizio dell’anno successivo che l’immagine di donna che lui sognava venne esplicitato quando presento la “jupe-culotte”, che prevedeva dei pantaloni. Non voleva essere una rivoluzione, erano pantaloni da harem da portare come abito da casa sotto una tunica: immagine di una donna colta, erotica. odalische e non femministe li avrebbero indossati. successivamente aggiunse colori orientali, elementi decorativi preziosi, femminilità esotica. 21 L’immagine di lusso era legata allo stile di vita raffinato, che non aveva a che fare con i vecchi modelli borghesi. il nuovo album fu affidato a Lepape, con una formazione accademica. le esili figure femminili con il turbante vivono un’esistenza pigra. Questo fu l’ultimo album prodotto direttamente da Poiret, poi le realizzazioni di moda parigina vennero pubblicizzate attraverso “La Gazette du bon ton”. Poiret utilizzò ogni mezzo per fra parlare i giornali, l’idea che più colpì fu una serata in costume “La festa della milleduesima notte”, nel 1911 nel giardino della Maison. Si trattava di mettere in scena la sua immaginazione, un sogno privato. tutti furono chiamati a partecipare come attori protagonisti. La casa era coperta con pesanti tendaggi, dalla strada non si vedeva ciò che accadeva all’interno, l’entrata era sorvegliata e i costumi degli invitati venivano controllati e nel caso venivano fatte modifiche. In gruppi un nero seminudo li portava da Poiret. C’era un’enorme gabbia dorata al cui interno c’era la preferita di Poiret, sua moglie, circondata da dame di compagnia che cantavano canzoni persiane. Poiret stava in fondo, come un sultano, attorno a lui le concubine. Era li che venivano portati gli invitati, ad ossequiarlo. Quando tutti furono riuniti liberò la moglie e iniziò il buffet. Tendenza alla teatralità sfociata nella più folle messa in scena pubblicitaria. Poiret non voleva presentarsi come sarto o imprenditore ma come un artista, per questo cercò l’amicizia di pittori e mescolò il suo lavoro a quello di artisti. Collezionò anche opere di arte moderna e nel 1910 fece un viaggio in europa per mostrare le sue collezioni. L’aspetto culturale e professionale erano legati. Da questo viaggio Poiret ricavò clienti ma soprattutto conobbe direttamente realtà diverse. L’europa dell’est gli offrì nuove idee e decorazioni popolari che si aggiunsero a quelle esotiche. L’incontro che lo segnò maggiormente fu quello a Vienna con Klimt. la suggestione fu enorme e scatenò in lui riflessioni sul ruolo della moda: la creazione di abiti francese faceva parte di un generale movimento di gusto, dalle arti maggiori alla vita quotidiana. Vienna gli rivelò un modello in cui abiti/oggetti erano legati all’architettura/quadri. Si cancellava la divisione fra arti maggiori e minori. nel 1911 aprì L’atelier Martine, uno spazio in cui un gruppo di ragazzine dava libero sfogo alla propria creatività in tutti i campi delle arti applicate, rimanendo però sempre dilettantesca. intuizione che la griffe di moda poteva veicolare anche prodotti non di abbigliamento. nel 1911 affidò a Dufy la realizzazione di tessuti per l’abbigliamento, il livello professionale attirò l’attenzione dell’industria tessile. Un successo maggiore doveva avere un’idea di espansione della maison: i profumi, che iniziò nel 1911. A questa produzione venne associata un’intera gamma di prodotti di bellezza, prima volta che un couturier lo faceva. La fama di Poiret era costituita, i suoi modelli influenzavano la moda senza ricorrere alla mediazione delle signore dell’alta società. nel 1913 Poiret e la moglie partirono per un viaggio pubblicitario negli Stati Uniti, in un periodo in cui gli Usa si interessavano molto all’europa e alle sue trasformazioni culturali. l’anno dopo scoppiò la guerra. la francia tentò di salvare la produzione di moda. inizialmente Poiret fu mobilitato, poi lo si mise al compito che meglio poteva svolgere: fare moda. Collaborò all’organizzazione della Fete Parisienne promossa da Vogue nel 1915, insieme alle maison ancora aperte. la presentazione delle novità della moda parigina doveva mantenere un rapporto con gli Usa e aveva un obiettivo patriottico: sollecitare i sostegni per la francia in guerra. Poiret scelse di allinearsi con la tendenza dell’epoca con gonna accorciate e ampie con crinoline e elementi di gusto maschile. 22 la guerra finì ma nulla fu come prima, Poiret era provato economicamente, due figli erano morti e divorziò. Dovette rilanciare la griffe con un capitale insufficiente, decise di darsi tempo e parti per il Marocco, stimolo creativo per ricominciare. Tornò alla moda installando nel giardino una grande tenda araba dove tutte le sere c’erano feste e dal 1921 coinvolse nell’impresa, diventata di tipo teatrale, tutte le vecchie glorie della belle epoque. le sue collezioni si fecero più sapienti e lussuose, ricchi di soluzioni sartoriali nuove, aria di lusso antico. In quegli anni gli vennero richiesti molti costumi di scena, e diminuì il suo successo tra la clientela dell’haute couture. nel 1922 fece un viaggio negli Usa pensando di poter vendere lì, ma era scoppiata la moda a la garçonne di Chanel: l’anno dopo dovette fare i conti con la fine del suo successo. La soluzione fu affidare la gestione amministrativa dell’azienda a un professionista e cercare sostegno finanziario negli affari, ma alla fine del 1924 dovette dare la maison a un gruppo di banchieri. La maison venne spostata in una nuova sede con una trovata spettacolare: un incendio “bruciò” la vecchia sede e durante la festa d’addio tutti gli invitati andarono nel nuovo atelier che riuniva tutte le attività di Poiret. Pensò che l’occasione per il rilancio potette essere “l’exposion international des arts decoratifs” del 1925 a parigi ma il consiglio di amministrazione non volle sostenere le spese. Pointer vendette l’atelier martine per sostenere le spese per realizzare zattere che vennero messe sulla Senna destinate all’esposizione degli abiti. Fu però un disastro finanziario. I suoi modelli erano troppo complicati e lussuosi, aveva capito il nuovo gusto ma si limitava a criticarlo. L’america con la sua cultura moderna era arrivata in ue. La società d’elite della belle epoque era scomparsa con la guerra e al suo posto c’era un modello culturale interclassista che non accettava più le distinzioni. Le donne non si riconoscevano più nei lussuosi idoli di Poiret, volevano essere giovani e libere, quindi moda facile, semplice e comoda che poteva essere riprodotta senza un sarto eccezionale. Nel 1927 ci fu la rottura con l’amministrazione della Maison che continuò senza di lui fino al 1933. nel 1933 ebbe gran successo la pubblicazione delle sue memorie, fu chiamato dai Grands magasins du printempes per realizzare una collezione di abiti ogni anno, ma il rapporto durò solo 6 mesi. La vota privata di Chanel ebbe un’importanza fondamentale nel suo percorso creativo a partire dalla sua infanzia, processo di rimozione, personalità difficile, terrorizzata dalla solitudine, necessità di inserirsi in ambienti che non le erano propri, mancanza di radici, si inventò un’identità che adeguò ai mondi con cui aveva rapporti, autobiografia che aveva solo alcuni elementi di quella reale. dalla leggenda della sua esistenza nacquero le sue mode, travestimenti attraverso cui costruiva il proprio personaggio e comunicava la sua identità. le persone e gli ambienti che frequentò diedero forma all’abbigliamento di un modello ideale di donna emancipata e libera che lei stessa impersonava. lavoro & sua biografia: legame inscindibile. nata nel 1883, il padre era bevitore e donnaiolo, la madre morì nel 1895. il padre abbandonò i figli e sparì, i nonni poveri misero i due maschi a lavorare e mandarono le 3 25 Quello che offriva alla donne era sia un modo di vestire che uno di vivere e pensare: l’eleganza derivava dalla funzionalità e dall’adeguatezza alla situazione. “Les elegances parisiennes” una delle poche riviste di moda che uscivano in francia in quegli anni, pubblicò 6 completi di Chanel. Dal 1917 i suoi completi venivano pubblicati con regolarità. La moda parigina degli anni di guerra pur accettando la rivoluzione dell’abbigliamento femminile, non aveva perso di eccentricità. Chanel si aggregò il meno possibile alle tendenze generali, preferendo seguire la propria linea di semplicità e rigore. “Les elegances parisiennes” nel 1917 dedicò un articolo ai tessuti della primavera illustrando con modelli di Chanel la novità del jersey. La maggior parte della sua clientela era statunitense, Vogue pubblicava regolarmente le sue creazioni. La fine della guerra fu contrassegnata da un arricchimento della sua produzione: ai modelli in jersey si aggiunsero abiti da sera più fantasiosi in tessuti usuali e femminili. Ribaltamento dell’idea della crinolina che non veniva più usata sotto la gonna ma sovrapposta ad un abito dritto formando una specie di gabbia trasparente. Anche le decorazioni si adeguarono al ritmo di vita più euforico e festoso del dopoguerra. Alla fine della guerra Capel sposò un’altra donna, Chanel fu sacrificata per ragioni di stato sociale. Ma la storia con Capel finì solo nel 1919 quando lui morì e lei iniziò una nuova vita. Nel 1919 aveva trasferito l’atelier, cominciò a frequentare l’ambiente degli artisti con guida i Sert, lui pittore spagnolo, lei personaggio al centro della Parigi delle avanguardie. Con queste guide Chanel si trovò al centro della società di artisti internazionali che animavano Parigi e capì le loro idee e il loro rinnovamento della cultura occidentale. A venezia fu presentata al fondatore dei ballets russes. il teatro l’aveva sempre affascinata, intuì il significato della ricerca teatrale che quell’uomo stava facendo: per ogni particolare ricercava l’artista che meglio poteva contribuire alla realizzazione di un’opera totale. Gli spettacoli però non gli garantivano guadagni adeguati, Chanel pensò che potesse dare un contributo all’arte: finanziò in segreto la ripresa di La sagra della primavera. Era come ricominciare da capo. Fu solo l’inizio del suo coinvolgimento nella vita teatrale, Cocteau gli affidò la realizzazione dei costumi per Antigone, la loro collaborazione continuò per 14 anni. nel 1924 Le train Bleu parlava della nuova moda delle vacanze in costa azzurra, giovani spensierati che approfittavano del sole per praticare gli sport. I costumi di Chanel erano veri indumenti sportivi ispirati a casi reali. Era un omaggio a chi ne competeva in materia, nemmeno sulla scena ci si doveva travestire ma vestire in modo da rendere evidente la propria identità. Il rapporto con gli artisti dell'avanguardia non impedì a Chanel di essere al centro anche della società alla moda che stava cambiando le abitudini e lo stile di vita della borghesia internazionale nel dopoguerra. Parigi era diventata un punto di riferimento, La sua cultura si stava svecchiando E americanizzando, Era possibile mettere a confronto le esperienze culturali e sociali più diverse. In questo contesto Chanel conobbe il granduca Dimitri, Nipote dello zar ucciso durante la rivoluzione sovietica. Vissero insieme per un anno, grazie a lui entrò in un ambiente ignoto, con regole e modelli culturali affascinanti da cui trasse ispirazione per il suo lavoro, Scoprì il profumo. Fu lui a indicarle Beaux un chimico E da questa collaborazione nacque il profumo più famoso del 20º secolo, il profumo non somigliava a nessun odore riconoscibile, era gradevole e artificiale. Anche il nome non somigliava nessun altro: N° 5. la confezione era 26 una semplice bottiglia di farmacia trasparente su cui venne applicata un'Etichetta bianca con la scritta nera, qualcosa che si presentava al pubblico con la stessa forza d'avanguardia di una creazione astratta. Tutto era stato pensato per non ricordare altro che l'oggetto che si aveva di fronte. Fu la prima realizzazione uscita dalle sue boutique per imboccare la strada dell'industria. Creò una nuova società, Les Parfums Chanel, incaricata della sua produzione e distribuzione. Coco non aveva esperienza finanziaria, stipulò un contratto che garantiva di non doversi occupare del profumo, in cambio del 10% delle azioni. L’Influenza russa esercitata dal granduca Dimitri si vide soprattutto negli abiti che propose in quegli anni. Fu un indumento ad attirare la sua attenzione: il tipico camiciotto con la cintura che faceva parte dell'abbigliamento tradizionale dei contadini russi. La sua foggia era una semplice variazione del capospalla diritto e appoggiato sui fianchi che aveva copiato ai marinai, ma era realizzato in tessuto, tecnica di tradizione femminile di un capo da uomo. Rimasta affascinata dai ricami sui capi dell’amante, disegni di motivi geometrici o di figure fantastiche diversi da quelli dell’Occidente. La collezione che presentò nel 1922 era incentrata su questi due temi di derivazione contadina. Coco aveva inventato la povertà di lusso: riusciva a tradurre in un linguaggio che piaceva alle signore dell'alta società gli elementi vestimentari maschili più lineari. Nelle collezioni successive l’influenza russa si fece sentire nella produzione di pellicceria: in quel paese essa serviva per difendersi dal freddo, non era un semplice status symbol. Chanel provò a tradurli nel linguaggio occidentale dei mantelli per il giorno e la sera. Quello che cambiava era il tessuto e gli accessori. Da quel momento le variazioni diventarono più libere. Nel 1925 i modelli assunsero una linea a tubo con la vita bassa, l’orlo si alzava verso il ginocchio. Tutte le citazioni e i riferimenti maschili che aveva costruito per costruire il “suo” abito erano diventati invisibili, trasformati in elementi di taglio. il 1925 fu l’anno dell’exposition international des arts decoratifs da cui prese il nome l’Art Deco: erano esposte le creazioni dei couturiers, fu il definitivo trionfo dello stile a la garconne. Ma la ricerca di Chanel non era finalizzata a uno schema decorativo: il suo oggetto era un abito funzionale alla vita moderna e ciò la portò al massimo dell’astrazione. nel 1926 presentò un abitino nero che poteva essere indossato in qualsiasi occasione, contravvenendo alla regola. la sua distinzione d’uso era data dagli accessori. Vogue lo paragonò all’automobile, alla ford nera con cui l’industria USA cercava di raggiungere il mercato di massa. il vestito nero può essere il risultato del lavoro di semplificazione che Chanel fece all’abito intero femminile. La sua ricerca negli anni successivi fu sull’abbigliamento informale. Lo spunto venne dal guardaroba di uno dei suoi amanti, il duca di Westminster, aveva sperimentato lo stile di vita dell’aristocrazia inglese. La collezione del 1930 si specializzò nei completi composti da giacca dritta di modello maschile, gonna, gilet, ispirati alla sartoria inglese, e si arricchirono dei tweed che fece tessere in Scozia. Ma le sue creazioni erano sempre femminili, non erano unisex ma abiti da donna che rispondevano alla filosofia vestimentaria maschile: comodità, semplicità. Quando il suo modello ebbe raggiunto il più assoluto rigore si lasciò andare a concessioni, alle contaminazioni fra generi e gioielli vistosi. 27 Per chanel i gioielli servivano per decorare e rendere femminile l’abito e individualizzare il modo di portarlo, personalizzavano un modello molto uniforme e non era necessario che fossero di pietre preziose, perché aveva un valore mistico. Nel 1924 aprì un laboratorio per produrre gioielli falsi ma esagerandone proporzioni e colori. Alla fine degli anni ’20 lo stile Chanel era stato raggiunto: abiti dritti e semplici, blazer sportivi, colori neutri, materiali morbidi, gioielli finti. Si era costruito nel tempo attraverso diverse esperienze E conteneva tutti gli stimoli culturali di quei due decenni. Il risultato era un'uniforme per la donna borghese moderna. Il problema era rompere con il passato in un momento in cui la società continuava a condividere la visione generale ottocentesca. Chanel non aveva nessun passato a cui ancorarsi. La sua ricerca d'identità individuale si incontrò con la ricerca d'identità sociale che le donne cominciarono a compiere in quel periodo, che venne accellerato dalla guerra. Le chiavi di tale processo erano l'autodeterminazione effettiva E l'autonomia economica derivata dal lavoro. Chanel non aveva alcuna famiglia che potesse limitare la sua indipendenza, l’autonomia economica era per lei una necessità. Essendole preclusi I comportamenti femminili dovette adottare quelli maschili. Il rigore nei confronti del lavoro E l'onestà dei suoi abiti furono una risposta etica al disordine della sua vita privata. le sue clienti erano le signore dell'alta società ma anche quelle che cominciavano a sentire I segni del cambiamento. Il suo compito era inventare una moda che comunicasse l'identità E il ruolo sociale delle nuove donne. Questa fu la prima fase, alla fine della guerra voleva costruire il nuovo e per questo le servirono le avanguardie. Superato il periodo di rottura era impegnata nell'elaborazione di un linguaggio positivo, di uno stile maturo, stava costruendo la forma espressiva del 20º secolo. Chanel rimase sempre fedele ad un principio, la funzionalità. Spostò il concetto di funzione sull’attività che dovevano o volevano svolgere e che l’indumento doveva favorire. Dovette studiare la sartoria maschile, per coglierne la filosofia funzionale. Inventò l'uniforme che eliminava tutti gli abbellimenti E le variazioni della moda antica che poteva essere utilizzata da tutte e in ogni occasione. Forse era meno cosciente di fare sull'abito femminile lo stesso lavoro che il movimento moderno faceva sull'architettura e design. Quando ristrutturò gli immobili per ingrandire l'atelier realizzò uno spazio neutro, fatto solo di specchi, scena adatta per i suoi abiti con nulla che li abbellisse. Chanel dichiarava che essere imitati era un segno di successo, la distinzione dell'abito stava nel saperlo portare. Nei suoi comportamenti c'erano somiglianze con i dandy ottocenteschi: il modello vestimentario era in primo luogo il suo e lo impose attraverso un tipo di vita pubblica che sovvertiva le regole del perbenismo borghese. Nel 1929 crollo della borsa di Wall Street. Il lusso diventò irraggiungibile per una parte maggiore degli americani che erano tornati dall’Europa agli USa. La spensierata Vita del dopoguerra fu sostituita con un comportamento più adulto E impegnato che non corrispondeva all'idea che la moda aveva proposto fino ad allora. L'haute couture parigina rischiava di perdere la sua vera clientela. 30 contrario del pret-a-porter, dell’abito che va bene a tutti, era individuale, espressione di uno stile di vita. Era necessario inserirlo in un contesto adatto che completasse la sua funzionalità: gli accessori. Riprese la produzione dei bijou limitando la gamma a catene e perle e qualche spilla. Riprese i suoi cappelli e inventò complimenti nuovi. Sapeva che la ricerca del campo dell'alta moda non avrebbe potuto continuare se non fosse stata sostenuta economicamente dalla vendita di accessori e profumi. Lo stile Chanel era un’alternativa al new Look. Anche il profumo tornò in auge. Chanel morì nel 1971 al Ritz. Madeleine Vionnet era una sarta in un paese della provincia francese. Fu allevata dal padre a cui fu consigliato di darle un futuro più nelle regole, abbandonò gli studi e diventò sarta. Nel 1893 trovò lavoro nella maison Vincent a Parigi. si sposò ed ebbe una bimba che però morì e lei divorziò. Andò a Londra e fu prima guardarobiera in un asilo per malati di mente e poi nell’atelier di Reily, specializzata in capi da giorno dal taglio inglese e nella confezione di modelli acquistati a Parigi. In Inghilterra c’era un dibattito sul modo di vestire delle donne, nel 1881 trasformarlo per motivi igienici, nel 1890 riforma estetica. Ci si schierò a favore di un modello derivante dall’abito dell’antica Grecia. Isodora Duncan danzava a piedi scalzi con una tunica bianca. Il suo percorso risentirà in modo profondo di questi principi. Agli inizi del nuovo secolo torno a Parigi alla Maison Callot come premiere. Era una delle grandi maison di lusso, il suo compito era realizzare i modelli in tela degli abiti. Nel 1907 diventò modellista alla maison Doucet che le aveva chiesto di ringiovanire la sua produzione, Vionnet realizzò abiti molto innovativi ispirati alle performance della Duncan. I suoi modelli non prevedevano il busto, non era ancora l’ora giusta, fu repressa nelle sue proposte. L'unico campo in cui le fu lasciato spazio fu quello dei Deshabilles, vestito da casa da indossare per ricevere visite. Nel 1912 apri il suo primo atelier sostenuta da Lantelme una delle poche clienti che avevano apprezzato il suo stile, che però morì improvvisamente. Il suo posto venne preso da un’altra cliente, Lillaz. Fin dall’inizio si unì anche Chaumont, collaboratrice più importante per tutta la carriera. una storia di emancipazione concreta. non ci sono molte testimonianze sulla produzione di questi anni, i due soli modelli mostrano un abito dritto e scivolato sul corpo senza busto, l’ispirazione doveva essere il kimono, di cui le interessava la semplicità della struttura sartoriale. Anche i movimenti d’avanguardia dovettero avere peso nell’impianto geometrico dei suoi modelli. Nel 1914 con la guerra chiuse l’atelier e viaggiò per l’Ue, nel 1918 con la fine della guerra riaprì l’atelier. Fondò una società Madelaine Vionnet et Cie e fece una produzione rivoluzionaria: abiti di sbieco. si parlò di “Robe a la greque” con ispirazione al mondo classico. aveva cercato un modello vestimentario su cui elaborare l’abbigliamento della donna moderna ed era tornata alle origini, ricominciò da capo, dall’antico abito mediterraneo e lavorò il tessuto senza tagliarlo secondo le forme del corpo ma in modo che potesse seguire autonomamente le fattezze corporee. Normalmente le parti dell’abito vengono tagliate rispettando il senso di tessitura, il taglio in sbieco prevedeva invece l’uso della stoffa in obliquo. Non fu lei a inventare questo metodo, già in uso nell’800. L’aspetto esteriore poteva far pensare alla classicità greca, la loro struttura nascosta derivava da matrici diverse: la geometria. 31 Le spalle diventarono il supporto di indumenti dritti, formati da pannelli che si articolavano intorno al corpo in modo dinamico. Studiò le diverse tipologie di vesti bidimensionali. i suoi abiti non venivano progettati attraverso il disegno ma lavorando il tessuto su un corpo particolare, usava un manichino di legno da artista, solo alla fine schizzo e figurino venivano fatti dalla disegnatrice. Era un percorso contraddittorio se la stoffa doveva essere tagliata senza seguire l’anatomia. Si trattava di lavorare su un abito concepito come piatto, che solo sul corpo diventava tridimensionale. Partiva dal risultato finale e lo svolgeva fino ad ottenerne il sistema di costruzione. chiavi del nuovo abito: materia tessile e corpo, entrambi liberati, valorizzati nelle loro possibilità espressive. Le proporzioni anatomiche e I movimenti naturali erano i fondamenti della nuova bellezza ed eleganza. Il peso del tessuto e la sua elasticità dovevano essere valorizzati da forme, Creando un equilibrio perfetto, mai effetti disarmonici. Proporzioni, Armonia, Perfezione. Questa concezione deriva dall'osservazione diretta del comportamento dei tessuti usati in sbieco. Il metodo che elaborò aveva connessioni con la cultura artistica degli anni 10. Nel Cubismo era presente lo studio della struttura geometrica armonica che restituisse all'arte il suo compito di ricerca della perfezione E non di semplice imitazione dei fenomeni visibili. Dopo la guerra Vionnet scelse collaboratori che venivano dal mondo dell’arte, come Thayaht. Era molto interessata alle innovazioni apportate al linguaggio figurativo E alle ricerche Sulla geometria e le proporzioni. Thayaht realizzò l’immagine grafica dell'azienda, In particolare il logo della griffe. Fu da tale sodalizio che nacque nel 1922 la versione haute couture della tuta femminile dell’artista. Nel 1921 la maison sperimentò la struttura proporzionale della pittura greca attraverso il ricamo provando a usare la superficie del vestito come fosse stata quella di un vaso da dipingere. Il tema divenne quasi un simbolo della maison. Un’altra suggestione fu quella di una nuova rappresentazione della struttura proporzionale del corpo umano, che consentisse di rappresentare l’uomo universale, anche le avanguardie si cimentarono in questo problema. Dall’esigenza di trovare un rapporto armonico fra la misura dell’uomo e quella delle cose derivò una molteplicità di ricerche. Tutto convergeva in una ricerca artistica che studiava l’essenza delle forme per originare un nuovo modello di di armonia e bellezza. Scelse di progettare le sue opere non utilizzando strumenti da sarta ma un manichino d’artista: una forma umana le cui misure non corrispondono a taglie ma a uno schema proporzionale perfetto. Abiti che non imitavano le linee esteriori del corpo ma che lo utilizzavano come sostegno di piani geometrici che costruivano solidi perfetti. I suoi vestiti furono forme dinamiche ricavate dalle misure e dalle proporzioni armoniche della figura umana. Fin dalla ripresa nel dopoguerra rispetto idee di guida: costante uso della diagonale, sperimentazione di figure geometriche. Senza che comparisse nessuno degli accorgimenti sartoriali tradizionali usati per far aderire il tessuto alle forme del corpo. L’aderenza era il risultato di un accurato calcolo dell’elasticità delle stoffe e della deformazione cui venivano sottoposte per effetto del loro peso. E qui comincia l’uso dello sbieco. Contrastare il verso del tessuto significava trovarsi di fronte a comportamenti della materia diversi da quelli previsti dal drittofilo. Richiedeva 32 accorgimenti particolari e anche la lunghezza dei capi era soggetta alle naturali dilatazioni della stoffa lungo la diagonale di caduta. Questa deformazione strutturale era studiabile dal punto di vista fisico. Perciò gli abiti realizzati con quadrati e rettangoli venivano appesi al manichino fino a che non avessero raggiunto la loro massima lunghezza su cui regolare l’orlo. In generale nessuna delle creazioni della Vionnet dichiarava esplicitamente la sua struttura geometrica. La ricerca dello sbieco e la geometria di svolse in modo graduale. Nelle collezioni fra il 1921/22 ricercò sopratutto gli effetti di “caduta”. A tutto ciò si aggiunse lo studio di un modo che permettesse di ricamare con il filo sullo sbieco senza creare tensioni ed effetti fisici indesiderati. Dava grande importanza al ricamo, ma lo considerava un elemento connesso con la struttura dell’abito e non una decorazione. Completava la forma definitiva del modello e ne sottolineava le linee di forza. La proposta di moda di Vionnet venne accolta positivamente sia sul mercato francese che Americano. nel 1922 si espande. Fu firmato uno statuto della Madelaine Vionnet et Cie che prevedeva l’ingresso di Bader come nuovo socio. Il primo atto fu l’acquisto di un hotel particulier per dare alla maison una sede più adatta. La conversione di casa d’abitazione a locale commerciale creò problemi ma si cominciarono i lavori per ristrutturare la palazzina dell’800. nel realizzare la nuova sede si diede grande importanza alla sua funzionalità come luogo di lavoro. Vionnet non dimenticò la sua esperienza di lavoratrice e introdusse una serie di innovazioni che riguardavano sia i rapporti contrattuali sia le condizioni di lavoro. Nell’edificio c’erano una mensa, una nursery, un’infermeria, e un dentista per le operaie, fondò anche una cassa di soccorso per le malattie, introdusse i congedi per maternità e le ferie pagate. Nel 1927 istituì anche un corso di formazione per insegnare l’uso dello sbieco. Nel 1936 anche la maison fu coinvolta negli scioperi, anche se aveva già messo in pratica tutto ciò per cui si lottava: fu uno sciopero che ebbe un forte effetto simbolico, tutto quello era stato coscienza individuale diventò un diritto sancito dalla legge. Vionnet condusse un’altra battaglia riuscendo a imporre una novità fondamentale per l’haute couture: il copyright. uno dei problemi dell’alta moda erano le imitazioni. la legge difendeva dai falsi la produzione artistica ma fino ad allora le creazioni dei couturiers non venivano assimilate a quelle degli artisti. 1921: sentenza che assicurava a modelli di abiti, costumi e mantelli la protezione della legge allo stesso titolo di tutte le creazioni artistiche. Dopo la sentenza la Maison fece pubblicare su Vogue un comunicato un cui spiegava il modo per riconoscere gli originali (etichetta) e documentò tutti i capi della Maison attraverso fotografie accompagnate dal numero e dalla data di realizzazione, raccolte in un album di Copyright. Il successo di Vionnet fu immediato, nel 1925 fu aperta una succursale specializzata in abiti per le vacanze e per lo sport. La vera sfida era il mercato Usa. nel 1924 presentò la collezione a NY e fu formata una nuova società, Madelaine Vionnet Inc, finalizzata alla vendita di abiti “one size fits all”, novità nel settore dell’alta moda, nata per assecondare i clienti Usa abituati a comprare abiti confezionati. Nonostante il successo l’esperimento non proseguì, probabilmente la clientela d’elite preferiva acquistare gli abiti Vionnet di haute couture a parigi o nei magazzini di lusso, quella meno facoltosa si accontentava delle copie. 35 La sua prima vera collezione fu presentata nel 1927, era soprattutto di maglieria dai brillanti colori, che s'ispirava sia al futurismo che a Poiret ed era realizzata con materiali nuovi. Gioco d'accostamento di colori e materiali. Il modello che poco tempo dopo la lanciò nella moda fu un golf particolare. L'aveva visto addosso a un’amica e aveva scoperto che era stato eseguito da una donna armena. Era un particolare punto a maglia, ottenuto con due fili di lana, che permetteva di realizzare un capo più consistente e di inventare effetti di disegno utilizzando i due fili di colore diverso. Idea del “Golf trompe-l’oeil” con un grande fiocco sul davanti che doveva essere bianco con lo sfondo nero e l’interno del golf era bianco. Fu lei stessa a indossare la maglia in pubblico e immediatamente attirò l'attenzione sulla novità. La nuova idea si impose a Parigi attraverso un canale che stava diventando normale per la diffusione delle mode: quello delle attrici e di personaggi da rotocalco. La fantasia di Elsa si scatenò e sui golf comparvero cravatte da uomo, fazzoletti da collo, ma anche effetti misti. Negli anni seguenti la ricerca sul trompe-l’oeil si radicalizzò E la maglia divenne immagine del corpo, allora la riempì di tatuaggi come fosse il petto di un marinaio. Anche il mercato delle copie se ne impadronì. Nonostante la richiesta crescente, Elsa ne limitò sempre la produzione per conservare un valore elitario e di alta moda. Nel 1928 trasferì abitazione e attività in un vecchio appartamento. Le sue collezioni erano abiti sportivi ben costruiti E progettati per i movimenti richiesti, Ma colorati e decorati con immagini e scritte. Dal punto di vista della struttura presentava novità che in parte interpretavano la moda del momento, in parte derivavano da contaminazioni di generi vestimentari diversi. La diffusione del nuoto E delle vacanze al mare trasformò il costume da bagno, più elastico e aderente, eliminando la copertura di braccia e gambe, e con scollature sulla schiena. Questa novità fu ripresa da Elsa E divenne una delle sue specialità insieme a quella del pijama da spiaggia. Anche per lo sci cercò soluzioni più eleganti proponendo completi colorati ed estendendo questi sport I pantaloni usati nel costume da cavallerizzo. Nei primi anni 30 la collezioni si allargò alle Toilettes da città e da sera trasformandosi in una vera Maison de couture. Nonostante non aveva la conoscenza della cultura manuale tipica della sartoria, elaborò idee molto precise a proposito del modo in cui dovevano essere concepiti i vestiti. Sentiva che essi dovevano ispirarsi all’architettura. più il corpo viene rispettato, più vitalità acquisisce il vestito, l'armonia deve restare. Da qui derivò la sintesi che doveva segnare la fine della moda degli anni 20 con le sue linee dritte E le gonne sempre più corte. I tailleur di tweed E le gonne pantalone diventarono la specialità della casa , Insieme agli abiti da sera completati con la giacca. Anche i decori cominciarono ad essere più provocatori. Il problema era la relazione fra la couturier E il bel mondo da cui provenivano le sue clienti. Fra le frequentatrici cominciarono a esserci attrici di rilievo ma questo non era sufficiente per colpire l'immaginario dell'intero gruppo internazionale che guardava Parigi. Era necessario che la proposta di moda venisse notata nei luoghi deputati ai riti dell'alta società. Per questo Elsa decise di indossarli personalmente a party e occasioni mondane, soprattutto quando erano soluzioni nuove e stravaganti. Per poterlo fare doveva essere accettata alla pari della società del lusso, ciò fu reso possibile dal fatto che lei veniva dal mondo dell'aristocrazia E dagli artisti internazionali girovaghi. Anche lei si sentiva un artista, il vestito era il primo strumento di comunicazione interpersonale E doveva nascere dallo studio di chi doveva metterlo E del contesto in cui si inseriva, Dalle idee che attraverso il suo aspetto potevano essere veicolate. Questo la indusse a cercare un rapporto diretto con i suoi committenti per influenzarli E 36 condividerne le esigenze sociali. Compagna di feste e consigliere di bellezza: questo era il ruolo che si era scelto. All'inizio degli anni 30 aveva messo a punto una sua silhouette femminile che corrispondeva allo stile e l'ideale di donna che si stava facendo strada dopo la crisi del 1929. Il mondo era spettro della povertà. Non aveva più senso adottare lo chic dimesso inventato per distinguere la classe del cattivo gusto eccessivo dei nuovi ricchi del dopoguerra: la ricchezza tornava a essere un bene rarissimo che si poteva comunicare attraverso il lusso E l'estrosità di cui Elsa si mostrò maestra. La sua ipotesi vestimentaria nasceva da un idea fondamentalmente femminista. Non si trattava di lavorare Sulla trasformazione artificiale del corpo femminile ma di comunicare la donna del nuovo decennio. Gli abiti dovevano proteggere la nuova donna dai contrattacchi del maschio, così trovava sicurezza. Nella battaglia dei sessi I suoi abiti riflettevano un’intera rivoluzione sociale: difensiva di giorno E aggressivamente seducente la sera. Difesa e sicurezza erano i principi informatori della divisa che l'esercito di donne impegnate del lavoro indossava di giorno per l'emancipazione, di sera si apriva lo spazio di un'altra battaglia, quella dei sessi, armi della seduzione ma una consapevolezza nuova E capacità di usarle. Nell'elaborazione di questo modello Deve avere avuto grande peso la sua storia: le aveva insegnato che l'universo femminile cominciava a costituire un mondo autonomo di cui l'uomo era la controparte: un nemico da fronteggiare per farsi spazio nel campo del lavoro. Vestirsi diventava una filosofia da gestire con sapienza e intelligenza adottando di volta in volta i segni adeguati. Per la battaglia quotidiana divisa guerriera con particolari presi dall'abbigliamento da uomo. Nacque così la silhouette a grattacielo, linee dritte verticali e spalle larghe e squadrate. I vestiti venivano muniti di imbottiture che si collocavano soprattutto sulle spalle. Su di esse si concentrava il gioco delle decorazioni, la loro collocazione enfatizzava l'effetto di armatura. Il saccheggio del guardaroba maschile non si limitò ai segni secondari come l’imbottitura ma coinvolse tutta una serie di indumenti piuttosto inconsueti che contribuirono al diffondersi di un'immagine femminile sottile ma agguerrita. Chanel voleva cancellare l'immagine della donna ottocentesca liberando il corpo dalle costrizioni, Elsa andò oltre: conquistato il comfort, Si trattava di collocare in modo più femminista l’abito, permettendo alla donna di trasmettere la ricchezza del proprio mondo interiore. Cercò di dare un apparire nuovo a una componente della sua psicologia che non doveva essere perduta: La femminilità. a una struttura semplificata e poco mutevole affiancò una fantasia sfrenata che si espresse attraverso decorazioni ed accessori. Dal 1931 cominciò a ingrandire la sede della maison. Insieme all'attività si era allargato anche lo staff con un responsabile per ogni settore operativo. Nel 1933 aprì una sede a Londra che creò sempre problemi sia finanziari che organizzativi di una produzione che doveva svolgersi lontano dall'atelier parigina. Fu chiusa nel 1939. Elsa continuò a lavorare sulla stessa silhouette variandone l’immagine e la logica decorativa. Nello stesso periodo sperimentò una grande quantità di materiali. Tutto ciò era finalizzato alla ricerca di effetti particolari che otteneva spesso mischiando elementi diversi o usandoli in modo mimetico. Nel 1935 la maison fu trasferita in palazzi del 600. La boutique Schiap apriva le sue vetrine al piano terra E diventò l’ingresso attraverso cui passava anche la clientela dell’atelier. 37 Anche In questo Elsa ereditò da Poiret: la sua produzione non si limitò alla sartoria ma spaziò dai profumi agli accessori, dai bijoux agli indumenti sportivi E a quelli che non avevano bisogno di essere realizzati su misura. La nuova sede rappresentò una svolta anche per la sua attività creativa. Per l'inaugurazione del nuovo atelier fu creato un tessuto stampato a pagine di giornale che parlavano di lei, con cui furono realizzati abiti e accessori. La vera novità riguardò le collezioni che dal 1935 ebbero una cadenza stagionale E cominciarono a essere concepite ognuna intorno a un tema d’ispirazione che faceva da filo conduttore tra gli abiti. Scoprì che seguendo questo metodo riusciva a progettare non solo l’abito ma un’intera immagine femminile armonizzata in tutte le sue parti. Scoprì che il sistema le permetteva di scatenare la creatività. La collezione estiva propose abiti da sera ispirati all'oriente più esotico. Non mancarono elementi di eccentricità E di ricerca di materiali diventati segno di riconoscimento della sua moda. La collezione dell’autunno affrontò l’attualità E si ispirava a fatti e personaggi reali. La novità della stagione furono le cerniere su tutti i vestiti della collezione. Realizzate in colori contrastanti rispetto al vestito così da accentuarne la loro visibilità. In ottobre presentò la collezione “eskimo” basata sull'uso di inserti di pelliccia a scopo decorativo. Nel 1935 andò a Mosca per rappresentare la couture francese alla prima fiera internazionale sovietica, Che Stalin aveva organizzato per aprire canali commerciali con l'estero E cominciare a modificare il modello di vita dell’uRss. Fu un viaggio culturalmente rilevante. Il motivo del volo e dei nuovi mezzi di trasporto che solcavano i cieli fu alla base di due sfilate del 1936. La collezione dell'inverno 1936/37 si adeguò alla moda che tutte le case parigine stavano proponendo, Abiti bianchi in sbieco. La linea “neoclassique” fu realizzata per accontentare una clientela ma interpretò a suo modo l’idea. Nella stessa collezione presentò un cappello che aveva il significato di una presa di posizione a favore del fronte popolare: una versione haute couture del berretto frigio simbolo degli scioperi. Anche lei aveva risolto molto presto la situazione contrattuale delle persone che lavoravano nel suo atelier garantendo salari più alti della media, tre settimane di ferie l'anno, forme di assistenza in malattia. Le sue operaie non si unirono allo sciopero del 1936. Dal 1936 cominciò un periodo particolare, Fu come se avesse sentito il bisogno di chiarire a se stessa I contenuti culturali del lavoro che stava facendo sul linguaggio dell'abito, cercando di approfondire la riflessione sul corpo E sul rapporto fra soggetto e indumento. Già negli anni precedenti aveva usato segni maschili per l'abbigliamento della donna, usando in modo inusuale la grammatica tradizionale della moda. L'unica cosa che non aveva mai fatto era stata seguire i metodi e I contenuti tradizionali dell'altra moda: non è interessato a creare abiti tali da rassicurare il desiderio di status della buona borghesia. Voleva che le donne fossero se stesse. La forma di lusso che offriva alle sue clienti era permettere loro di non seguire le regole del senso comune E emanciparsi anche nell'aspetto. Quello che stava facendo agiva sulla cultura dell'apparire, Sul significato dei segni vestimentari tradizionali che venivano stravolti. Probabilmente la spontaneità con cui aveva condotto l'operazione non aveva consentito di chiarire appieno soprattutto a se stessa il senso profondo del suo lavoro. Qualcosa nella sua maniera di fare moda somigliava al sovvertimento delle regole dell'espressione e della comunicazione messo in atto dagli artisti dada e surrealisti. Si rivolse a due di loro per capire meglio quanto il segreto linguaggio dell'inconscio potesse modificare il linguaggio degli abiti E interpretare le nascoste pulsioni del soggetto. 40 Lavorò per la Croce Rossa internazionale E per il programma di aiuti alle popolazioni in guerra. Tornò in Francia nel 1944, dopo la liberazione, partecipò a tutte le iniziative per far rinascere l’haute couture francese. La situazione era difficilissima: Mancava tutto il necessario E anche la clientela dell’alta moda era nuova. Elsa si pose il problema di inventare una moda che eliminasse le brutture della guerra E potesse accordarsi con il nuovo standard di vita. Provò con lo stile Direttorio degli Incroyables. Questa collezione, Una delle più intelligenti da lei realizzate, Ottenne molta pubblicità, Ma non ebbe successo di vendite. Le donne si ostinavano a voler sembrare ragazzine. nel 1946 tentò di ricominciare da dove aveva interrotto il lavoro ricercando collaboratori del passato, affidò a Dalì l'incarico di disegnare la confezione per un nuovo profumo, lussuoso flacone dalla forma di un sole dorato circondato dal volo di rondini che si ergeva sopra un mare oro. Ma i tempi erano cambiati e la società era totalmente diversa: la moda d'avanguardia degli anni 30 non era adatta ai nuovi desideri di apparenza. La risposta dell'emergente ricca borghesia internazionale la diede Dior nel 1947. Negli anni successivi il suo interesse nei confronti dell'alta moda sembrò diminuire in favore di una produzione di oggetti e capi sportivi da vendere nella boutique E soprattutto dei profumi. L'unico spazio che conservò intatto alla sua creatività fu quello degli accessori con carattere eccentrico e ironico. Ma le donne del secondo dopoguerra guardavano con sempre minor interesse alle sue proposte. Nel 1954 con un drammatico deficit finanziario, chiuse l’atelier. Tutte le storie di Dior cominciarono dal 12 febbraio 1947 quando con una sola sfilata cambiò la moda femminile dell’occidente: un risultato che non era mai riuscito a nessuno. Da quel momento sembrò essere giustificata l’ipotesi di una moda parigina tiranna cui nessuna donna osava opporsi. Mitologia costruita dalle riviste di settore E dalla pubblicità con la complicità di un immaginario collettivo risposta credere più all'eccezionale e alla favola che non al lavoro e alla professionalità. Dior non aveva iniziato il suo lavoro nella couture in occasione di quella collezione, La sua storia era lunga e complessa, il rapporto con la moda si era evoluto con tutti i passi necessari per raggiungere dei seri risultati professionali. Era nato nel 1905 da una solida famiglia borghese. Agli inizi degli anni 20 era uno studente di buona famiglia che scoprì e venne affascinato dalla nuova Parigi. Frequentava le gallerie d'arte dove esponevano gli artisti più innovativi, I balletti, Il teatro, il circo, la musica, il cinema. Su ogni cosa interminabili discussioni per capire e criticare. Avrebbe voluto iscriversi all'Accademia di belle arti ma la reazione familiare fu durissima. Fu avviato alla carriera diplomatica, In cambio ottenne di poter approfondire gli studi di musica e nacque l'amicizia con un musicista d’avanguardia e con quelli che sarebbero stati i suoi compagni di sempre. Il primo nucleo degli amici omosessuali di Dior si era formato. Erano gli stessi che lo accompagnarono lungo tutta la sua carriera. Fra il 1928 e 1929 tutto ciò prese la forma di un’attività concreta: diventò socio nell'apertura di una galleria d'arte con artisti di punta accomunati da un ritorno soggetto umano, al sentimento, All'eleganza delle forme. Tutto procedeva nel migliore dei modi ma la fortuna si capovolse. Nel 1930 il fratello minore dovette essere internato in ospedale psichiatrico E la madre morì. Anche gli affari del padre vennero travolti dagli effetti della crisi del 1929 il fallimento fu inevitabile. Ci fu 41 anche la rovina economica della galleria, I clienti del mercato dell'arte erano scomparsi travolti dalla crisi. Nel 1934 ebbe la tubercolosi E dovette andare a curarsi alle Baleari. Quando tornò la situazione della sua famiglia si era aggravata ed era necessario che Dior cercasse un lavoro. La realtà economica della Francia era durissima e non offriva un’occupazione. L'unico settore che esisteva era quello della moda E fu lì che si indirizzò sperando di poter utilizzare la creatività usata nell'invenzione dei travestimenti per il passatempo preferito del gruppo: le sciarade in maschera. Per un caso fortunato riuscì a vendere uno dei quadri che gli era rimasto dalla galleria. Con il guadagno sistemò i problemi più gravi della famiglia e si concesse un periodo di studio: imparò a disegnare figurini. Alla fine riuscì a vendere i disegni, E collaborare regolarmente la pagina di moda di “le figaro”. Provò a proporre idee originali e inventare un suo stile che incontrò un certo successo. Nel 1938 Piguet gli propose di entrare nel suo atelier come modellista. Il mondo della moda lo aveva accolto, Le giornaliste cominciarono ad accorgersi di lui, Anche gli amici sostennero in ogni modo la sua ascesa. Tutto cambiò: nel 1939 scoppiò la guerra e Dior fu mobilitato nella riserva a sostituire gli agricoltori impegnati al fronte. Al momento dell’armistizio nel 1940 la Francia era divisa in due ed egli si trovò nella zona non occupata dai tedeschi, decise di ritirarsi in compagna. Ma la moda si riorganizzò presto e Dior venne interpellato da “figaro” con la proposta di continuare ad illustrare. La vita elegante della Francia libera era concentrata in Provenza, Dior ritrovò gli amici e la vita di un tempo. Le sfilate del 1940 furono le ultime a vedere la presenza dei buyer e giornalisti Usa, da quando la Francia fu occupata dai nazisti cessarono i rapporti, il governo di occupazione vietò le esportazioni: drastico ridimensionamento della clientela. A ciò si aggiunse il problema dei materiali necessari alla confezione di abiti e accessori. con la firma dell’armistizio del 1940 la Francia diventava fornitore ufficiale della Germania. Tutto ciò ebbe effetti immediati sulla vita e il modo di vestire dei francesi e sulla couture. La moda rappresentava per la Francia anche un fattore di prestigio e fu questo che dovette attirare l’attenzione del governo nazista: intenzione di trasferire nelle nuove capitali del Reich tutta questa attività. Fu per merito di Lelong, presidente della camera, che la Francia riottenne i priori archivi e la possibilità di continuare a produrre moda a Parigi. Ricominciare a lavorare con una certa sicurezza, alcune case di moda, Accreditate dal governo tedesco, potevano disporre di una quantità di materiali superiore a quella consentita per il consumo normale dei francesi, sufficiente a garantire una produzione accettabile anche se molto ridotta rispetto al passato. Quantità modeste che lasciavano poco spazio alla fantasia del creatore. Gli Interventi del governo di occupazione per intralciare la moda parigina E favorire quella prodotta in Germania non si fermarono: anche la stampa passò momenti difficili, Vogue francese cessò le pubblicazioni, gli altri erano sottoposti a controlli censura. Alcuni passarono direttamente in mani tedesche. Nel tentativo di aggirare tutti questi ostacoli furono pubblicati a Montecarlo 3 album stagionali con le nuove mode di Parigi che ebbero una buona diffusione all’estero. Per rappresaglia nel 1943 le autorità proibirono la pubblicazione di fotografie di modelli di abiti. Si interrompeva la tradizionale comunicazione fra i creatori di moda e il loro pubblico. 42 I cambiamenti imposti dall'occupazione E dalla guerra interessarono anche la clientela, Che cambiò radicalmente. Scomparse quasi tutte le straniere. La composizione sociale delle signore che frequentavano gli atelier conservava poche tracce dei decenni precedenti, C'era ancora il bel mondo parigino ma il vero pubblico era rappresentato da due nuove categorie: mogli, figlie e amanti dei collaborazionisti, E I cosiddetti BOF che con il mercato nero stavano facendo fortuna. Le seconde erano disposte a sperperare fortune per ostentare la propria ricchezza, grazie a loro E a prezzi elevati gli affari delle maison prosperavano e i bilanci furono in crescita per tutta la guerra. In questo contesto nel 1941 Piguet invitò Dior a riprendere il proprio posto di lavoro. Egli decise di accettare l'offerta ma era troppo tardi. Non rimase però senza impiego, Lelong gli propose un ruolo da Modellista nella sua maison. C'era la necessità di confrontarsi con il gusto eccessivo e poco raffinato delle nuove clienti, e la costante mancanza di materiali. Le maison accreditate dal governo di occupazione godevano di molti privilegi, Ma non sufficienti da sfuggire alla situazione generale. Il risultato fu che le linee proposte dagli atelier non si differenziarono molto da quelle della moda di strada: gonne corte e spalle larghe. Furono sperimentati tessuti spesso con esito disastroso. Ridussero i consumi usando il minor quantitativo di stoffa possibile. A tanta miseria si contrapponeva un elemento di fantasia: il cappello. Se questa era la situazione della moda destinata alla vita reale, rimaneva uno spazio di sperimentazione nel cinema, In particolare nella creazione dei vestiti di scena per i film in costume. Dior si specializzò nei modelli romantici e belle epoque, nei quali ebbe la possibilità di ricercare una silhouette femminile opposta a quella che gli imponeva il lavoro quotidiano nell’atelier Lelong. Erano modelli con la Buona eleganza borghese delle dame della sua infanzia, cose lontane dall'esagerazione sfacciata delle signore del mercato nero. Nel 1944 si potè cominciare a pensare a un ritorno alla normalità. Tutto era però molto lento. La guerra non era finita E continuava a mancare ciò che serviva alla vita normale. I trasporti e le vie di collegamento erano interrotti. La produzione destinata alle necessità di guerra. A questo punto risultò chiaro a tutti l’importanza del lavoro diplomatico di Lelong: impedendo che fosse estirpata l'industria della moda E costringendola a sopravvivere aveva creato i presupposti per una sua ripresa francese. si poteva ricominciare da una realtà esistente. In quei mesi si stava lavorando alla realizzazione di un’idea che avrebbe dovuto rilanciare a livello internazionale il gusto francese. Nel 1944 l’Entriaide Francese propose a Robert Ricci responsabile delle relazioni pubbliche della chambre syndacale de la couture parisienne, di organizzare una manifestazione a sostegno del programma aiuti. La Chambre accolse la proposta e ne affidò la realizzazione allo stesso Ricci che progettò una mostra di bambole vestite dai sarti parigini. mandare in giro per il mondo bambole- manichino per far conoscere le ultime tendenze era un’idea antica quanto la moda francese, non si trattava di recuperare una raffinata tradizione del passato, ma di trovare una soluzione al problema della carenza di tessuti. Non solo tutte le maison, ma tutti gli artisti che in quel momento erano a Parigi parteciparono all’impresa realizzando i manichini, gli abiti e gli accessori per vestirli, gli scenari in cui inserirli. era il “theatre de la mode” inaugurato nel 1945. Ottenuto il risultato di riunire l'industria della moda intorno a un progetto volto al futuro e alla ripresa, se era rimesso in pista qualcosa che era continuato ad esistere ma che non era più così conosciuto. Anche Dior aveva partecipato all'impresa e forse in modo più preciso di quanto non appaia: probabilmente i modelli presentati sotto il marchio di Lelong erano suoi ed erano 45 Dior le offrì l'immagine di una donna-fiore, fragile, tanto raffinata quanto priva di ironia e di fremiti femministi. Dior rappresentò tutto questo in maniera semplice e diretta scegliendo da un lato il lusso più comprensibile, quello fatto di quantità e di lavorazioni preziose, e dall'altro i segni più convenzionali dell'abito da principessa. Eliminò dai suoi modelli quell'idea di avanguardia che aveva contraddistinto lo stile degli anni 30. L'alta moda scelse di vivere in una sfera separata e autoreferenziale: non parlò più di donne reali, non si confrontò più con gli eventi esterni. l’Immagine di moda non doveva più essere una semplice informazione, doveva passare il messaggio che la couture aveva il potere di trasformare qualsiasi donna reale nella “Donna”, esemplificata dalla modella. Lo stile Dior fu tramutato in un linguaggio fatto di segni precisi immediatamente riconoscibili E facilmente comunicabili alle lettrici delle riviste di moda. Nelle stagioni successive il riferimento storico divenne ancora più esplicito e più sapiente: le linee delle collezioni erano definite con termini di tipo grafico o dinamico che evidenziavano da un lato l'ispirazione che aveva seguito nel disegnare i modelli, Dall'altro l'effetto che il vestito sviluppava attraverso il movimento. Ormai fissata la silhouette di base, Gli abiti avevano strutture asimmetriche attraverso cui venivano restituite le linee costruttive dei modelli fine 800. La collezione “Milieu de siecle” per il 1949/50 rappresentò l'apoteosi del modello Dior: non più una sola linea ma un’infinita variazione su tutti temi, alternando i tessuti per ottenere effetti asimmetrici. Per la sera, abiti da favola. I simboli della collezione, dedicati a Venere e Giunone, Presentavano la gonna o lo strascico a balze, paillettes, piume, strass. Dalla metà del secolo era evidente che la Couture parigina sceglieva di porsi in uno spazio particolare che poteva servire come riferimento di gusto o di sogno rispetto alla realtà di tutti i giorni, ma che certamente non ne seguiva le esigenze. Gli abiti Dior potevano servire solo a un certo tipo di vita: quella del bel mondo. Questo mondo aveva una funzione mediatica. Era l'oggetto privilegiato dell'attenzione delle riviste di costume. Un universo delle apparenze alimentato per far dimenticare la realtà. Dior vestì questo mondo del sogno E nessuno dei protagonisti si sottrasse al suo potere E alla sua legittimazione. Le stesse caratteristiche costruttive dei suoi capi erano pensate per comunicare l'idea dello stile di vita lussuoso ed elitario. Erano difficili da indossare, pesanti e ingombranti, immobilità forzata. Questo però non costituiva un ostacolo, diventava un elemento di fascino. Desiderosa di apparire, Non aveva necessità di agire. Bisogno di lusso ostentato, Che corrispondeva a un'essenza di ruolo. Non è un caso che i grandi party fossero a tema e in maschera. E che Dior abbia partecipato a tutti. Nel corso dei 10 anni della sua carriera realizzò costumi per molti film, questo bel mondo lo considerava il perfetto interprete del rito dell’eleganza. Ma questa era solo un'isola felice, non era il vero mercato della moda. Dior lo scoprì subito nel 1947 quando si recò negli Stati Uniti a ritirare l'Oscar della moda. Lì si era formato un club di donne contrarie al New Look. L'arrivo del couturier diventarono l'occasione per altrettante manifestazioni con cartelli e picchetti che furono riprese e enfatizzate dai mass media. Dior oppose a tutto questo un rassicurante aspetto da tranquillo borghese ma quella rivoluzione si prestava a creare giochi polemici di ogni tipo. Era difficile accettare che qualcuno potesse pensare di imporre qualcosa alle donne americane che avevano conquistato il diritto di voto, di guidare, di lavorare. Era come tornare indietro di mezzo secolo. Chi aveva organizzato il viaggio di Dior aveva le idee 46 molto chiare E uno scopo preciso con l'abolizione della legge L-85 che durante la guerra aveva regolato la produzione vestimentaria negli USa. Alla fine del 1947 la legge scadeva e con questo si tornava a liberalizzare il mercato dell’abbigliamento, momento giusto per lanciare una nuova moda. Dior era l'elemento di novità, promuovere il New Look attraverso il suo creatore. Indispensabile che il progetto commerciale fosse sostenuto dal sistema della comunicazione. Il successo dell'operazione dimostrò senza possibilità di equivoci il potere dei media anche sulla moda. Il risultato fu che non sono i grandi magazzini di lusso imboccarono la strada del New Look ma anche l'industria di confezione poté concentrarsi sulla nuova linea. I magazzini della 7th avenue cominciarono a vendere gli stessi modelli a pochi dollari. Dior aveva però capito che la scelta stilistica della scomodità aveva rischiato di mettere in crisi la diffusione del New Look E a partire dal 1948 cominciò a insistere su caratteristiche come la morbidezza. Era evidente che gli Usa rappresentavano per la moda un mercato straordinario. Quello che Dior affrontò nel 1947 era però un mercato molto differente da quello degli anni 30. Quando nel 1940 gli Usa avevano interrotto i legami commerciali con la moda francese si erano dedicati a una riorganizzazione del sistema produttivo interno e alla creazione di una moda americana. NY non aveva più bisogno di Parigi. Eppure, nel 1945 i fili interrotti cominciarono a riannodarsi, il pubblico Usa era meno esigente di quello che le case parigine erano abituate a servire: l’abitudine a indossare ready-to-wear aveva sollecitato maggiormente il desiderio di cambiare piuttosto che quello di avere un vestito perfetto come quello di Dior. E le toilette di alta moda avevano sempre avuto solo una destinazione di elite. Questo ristretto gruppo continuava a esistere, ma accanto a esso c’era chi cercava una moda più abbordabile. Il boom economico di cui godettero gli usa dalla fine degli anni 40 avvicinò all’acquisto di moda fasce di pubblico sempre maggiori che presentavano precise esigenze. C’era la ridotta elite dell’haute couture, la grande massa che voleva un prodotto a basso prezzo e in mezzo lo strato sociale con esigenze nuove che non voleva rinunciare all’abito confezionato, ma chiedeva il raffinato, ben fatto e esclusivo. Tutto ciò offriva alla Maison Dior la possibilità di sperimentare qualcosa di nuovo, che avesse il marchio del couturier, ma senza i costi e i rituali dell’alta moda. la risposta non poteva essere che il pret-a-porter di lusso. L’ipotesi di aprire a NY una casa di confezioni di grande classe e Boussac finanziò l’iniziativa. era iniziato anche un serio lavoro sulle licenze, Riconsiderazione del contratto delle calze stilato con la Prestige, A questo punto la cosa sembrava inopportuna non solo dal punto di vista dell’immagine ma soprattutto da quello commerciale. La ridiscussione del contratto portò alla rottura e alla prima licenza: Dal 1949 Kayser cominciò a produrre per il mercato statunitense le calze Dior sotto lo stretto controllo della maison. La seconda licenza riguarda un prodotto maschile: Le cravatte. Ci si rese conto che lo statuto della SARL Christian Dior non prevedeva questo tipo di produzione, era necessario ridiscuterlo E rivedere il sistema dei dividendi. Le licenze si moltiplicarono e con loro i mercati raggiunti. Pret-a-porter di lusso e licenze dovevano soddisfare il mercato internazionale ma esistevano ancora possibilità di miglioramento interno del sistema. Nel 1952 si giunse alla conclusione che era preferibile concentrare a Parigi la creazione di tutte le collezioni. Per arginare il mercato delle copie si decise di rendere usuale una pratica che al momento si seguiva solo in alcuni casi: vendere i modelli degli abiti delle collezioni. Nel 1954 Dior rappresentava da solo il 49% delle esportazioni di couture verso gli Usa. Per sostenere tutto ciò era necessario che l’haute couture continuasse il suo spettacolo. 47 Gli elementi dello spettacolo su cui si concentrò per un decennio l'attenzione della stampa erano due: la lunghezza delle gonne e la linea. Fin dalla prima collezione del 1947 la novità che aveva più colpito era stato l'allungamento delle gonne, simbolo del New look e Dior lo utilizzò nelle stagioni successive per indicarne i mutamenti. Scelse di sviluppare in ogni collezione solo due temi cui venivano attribuiti nomi che riassumevano le caratteristiche fondamentali della silhouette. Le denominazioni scelte avevano lo scopo di suggerire immagini grafiche o dinamiche cui collegare le complesse strutture sartoriali degli abiti. Anche i singoli modelli erano accompagnati da un nome, L'evocazione faceva riferimento all’ispirazione del couturier o all'immaginario del pubblico. La Rappresentazione teatrale della sfilata era preparata con metodo e seguendo un rituale sempre uguale che vedeva Dior al centro dell'intero progetto. Il mito del couturier creatore trovò in lui la più perfetta personificazione, l'ideazione dipendeva solamente da lui. Il lavoro creativo si svolgeva nella casa in campagna, Accompagnato solo dei collaboratori più stretti. La prima fase cui l'intero gruppo partecipava consisteva nel buttare giù idee di ogni tipo per identificare il tema. A questo punto, da solo, lasciava che le idee si sviluppassero. Terminata la fase progettuale, iniziava la selezione dei disegni insieme al suo staff. Il nome veniva dato al modello al momento della prima prova generale, Quando si decideva quali abiti sarebbero entrati nella collezione. Ogni collezione comprendeva dai 170 ai 200 modelli ed era essenziale che essi colpissero il pubblico nel loro insieme, immagine di armonia. La sua riuscita era essenziale, perché su questo spettacolo si giocava ogni volta il nome della griffe. La sfilata con il suo rituale e il suo pubblico selezionato era essenziale. La sua comunicazione al momento giusto era essenziale per lo stesso motivo. La sapiente composizione del suo pubblico garantiva che dal giorno dopo I quotidiani cominciassero a raccontare l'evento perché dal mese successivo le riviste di moda ne pubblicassero fotografie e disegni. Il New Look durò 7 anni. Era chiaro che stava per nascere qualcosa di nuovo. Chiusa la crisi del dopoguerra l’immagine di donna-fiore stava per essere accantonata. L'industria della confezione stava prendendo forma anche in Francia E si rivolgeva a signore che volevano vestirsi senza sottostare ai rituali sociali previsti dalla couture. Poi accadde un fatto imprevisto: Chanel era tornata dall’esilio E aveva presentato una collezione rivolta a una donna moderna E occupata in cose più interessanti che inseguire i minimi cambiamenti delle mode. Le dichiarazioni di Chanel erano polemiche, ma avevano un fondo di verità di cui Dior prese atto: il new look era finito. Anche il modello femminile stava cambiando. Nel 1954 era l'ora di una linea H del tutto diversa basata sulla lunghezza e l'assottigliamento del busto. Una rivoluzione. Lo sconcerto iniziale nei confronti di quella che venne chiamata la linea fagiolino si trasformò presto in pubblicità. Nelle collezioni successive il nuovo modello diritto Venne riproposto in variazioni che continuarono la serie delle lettere dell'alfabeto ma Dior non abdicò mai al suo gusto per assumere quello di altri e continuò a vestire una figura femminile che ostentava le curve del suo corpo, che amava le gonne larghe e i ricami fioriti. La correzione era necessaria ma l'innovazione era stata creata senza cancellare del tutto quella che ormai era diventata l’immagine Dior. La maison Dior aprì un dipartimento di prêt-à-porter inaugurò la cosiddetta grande boutique che sostituì il piccolo luogo di vendita. nel 1957 a 10 anni della prima collezione la fama di Dior era giunta al culmine. Ma il 27 ottobre morì improvvisamente. Il 15 novembre in una conferenza stampa si comunicò la decisione sul futuro dell’impresa: era stato creato uno stile, Un gusto, Una tecnica, Un'organizzazione che caratterizzano la 50 rivestirono di un contenuto artigianale E di un gusto che riproponeva le tradizioni di un paese antico E una cultura estetica che affondava le proprie radici in una produzione artistica tra le più famose del mondo. Tutto senza cadere nella vecchia trappola di citazioni dirette da quadri celebri. Il pubblico americano decretò il successo di quella forma che è stata la prima forma della moda italiana. Gli Italiani si sono imposti negli Usa con la maglieria e la calzatura. Ci sono disegnatori e creatori come Pucci che negli Usa hanno avuto un’influenza enorme che in Italia non è assolutamente compresa. Il secondo fattore che Vogue riteneva eccitante erano i tessuti, partner essenziali. Quando gli alleati cercano di identificare I comparti produttivi non totalmente danneggiati dal conflitto per meglio indirizzare il sistema di aiuti al paese, si resero conto che l'industria tessile poteva essere uno dei più importanti. La staffa era l’unica merce del settore moda che veniva prodotta in modo industriale dalla fine dell’800. Gli Aiuti alleati si concentrarono prima sulla fornitura di materie prime, Poi furono messi a disposizione I mezzi necessari per rinnovare macchinari e programmare lo sviluppo. Nel giro di pochi anni ripresero e rinnovarono la loro attività, concentrandosi sulla produzione di qualità che doveva presto entrare in competizione con i più famosi concorrenti stranieri. un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell'intero settore fu svolto dalla SNIA Viscosa sotto la direzione di Marinotti che già alla fine degli anni 40 aveva iniziato a promuovere l'organizzazione di sfilate di moda a Venezia. Al centro del progetto non c'era tanto la moda, quanto la stoffa. La madre doveva diventare il veicolo promozionale privilegiato dei nuovi tessuti artificiali. Le sfilate che si susseguirono a Venezia vedevano le più importanti sartorie italiane impegnate a presentare modelli confezionati con le sete artificiali realizzate con i filati prodotti dalla SNIA. L'ipotesi che abbigliamento e tessuti potessero affrontare insieme la sfida del mercato convinse molti. Nel 1953 ci fu un accordo che prevedeva la creazione di un rapporto privilegiato fra ogni casa di moda e un'industria tessile. Dar vita a una sinergia economica fra i due partner, favorire il dialogo sia sulla parte creativa dei due settori sia su quella tecnica. Tale collaborazione non interveniva sulla grande produzione ma su un nuovo ambito di ricerca che caratterizzava un’elite di tessutai che puntavano sulle novità E sulla perfezione. Il connubio con le case di moda Fornì slancio e spunti creativi nuovi ad entrambi i settori. I sarti potevano lavorare con materiali esclusivi di prima qualità e avevano un sostegno finanziario. Stampatori e tessutai potevano partecipare direttamente all'invenzione della moda sperimentando le novità. Gli italiani cominciarono ad acquistare pagine sulle riviste specializzate per presentare i modelli di sartoria con l'indicazione del marchio del tessuto utilizzato, forme di comunicazione rivolta ai consumatori di stoffe ancora presenti sul mercato della moda (sartorie e industria ready-to-wear Usa). L’Inventore del sistema che mise in relazione in modo organizzato e professionale la creatività italiana e il mercato americano fu Giorgini che comprava il meglio della produzione artigianale italiana per i grandi magazzini sulle due coste degli Stati Uniti. Era una professione che gli consentiva di conoscere alla perfezione la realtà dei due paesi. Nel 1950 intuì che era giunto il momento di Investire sull'abbigliamento italiano come settore adatto all'esportazione E puntando sull'immagine internazionale di Firenze, organizzò nel 1951 la prima manifestazione internazionale di moda italiana a casa sua. Di fronte ai buyer di 4 magazzini americani E ad alcune giornaliste sfilarono 10 firme di alta moda E 4 per la boutique. Il successo ottenuto fece continuare l'esperimento cercando un'organizzazione anche logistica meno artigianale: per le due edizioni successive Venne utilizzato il grand hotel di 51 Firenze, ma risultò insufficiente: nel 1952 la moda italiana era una realtà concreta sia per la stampa si per il mercato americano E aveva bisogno di presentarsi con un'immagine forte e ben radicata nella tradizione culturale del paese. Nel 1952 la sfilata si fece nella sala Bianca di palazzo Pitti, sede ufficiale della passerella del made in Italy. Nel 1952 però alcune sartorie romane decisero di presentare le collezioni stagionali nella propria città, dando vita ad un nuovo polo. Le sfilate della sala Bianca erano collettive: le case di moda si susseguivano con 18 capi di ciascuna secondo un calendario tematico. Il confronto E la concorrenza fra le case di moda, la necessità di assumere comportamenti professionali, le precise richieste dei consumatori americani portarono sarti e artigiani a ricercare una propria cifra creativa E caratterizzare le collezioni attraverso temi e linee guida. Firenze divenne una meta abituale per i buyer e per i giornalisti di moda italiani e stranieri. Senza raggiungere mai lo spazio che era assegnato alla moda francese, le novità italiane cominciarono a comparire anche sulle riviste specializzate. Anche La stampa internazionale prestò grande attenzione al fenomeno E dovette rinnovarsi per poterlo affrontare in modo professionale. Ormai la moda era un sistema produttivo sempre più complesso e richiedeva una comunicazione adeguata. Il panorama italiano aveva diverse riviste specializzate. Il clima creato dal successo della moda italiana favorì anche la nascita di testate nuove. Riviste femminili riservarono alla moda uno spazio sempre più importante. Una vera comunicazione di moda, che potesse stare al pari con quella fornita dalle grandi riviste internazionali, aveva però la necessità di professionisti che in Italia mancavano di una vera tradizione. Rispose una nuova generazione di fotografi che si dedicò, In modo occasionale o esclusivo, a questa particolare specialità. Allo stesso modo si affermò la prima generazione di modelle professioniste che gradualmente sostituirono le nobildonne. La promozione della moda italiana all’estero coinvolse una serie enti statali o di categorie che organizzarono innumerevoli fiere e presentazioni. Nel 1952 ci fu la “NY fair of italian manufacturers”. Nel 1956 il centro per la moda italiana e il turismo di Firenze organizzò una crociera a NY cui parteciparono case di moda milanesi e romane. La forma di comunicazione più spettacolare di cui godette la moda italiana fu offerta dal grande schermo. Cinecittà fu rimessa in funzione nel dopoguerra, Polo di estrema importanza per il cinema degli anni 50. Fu utilizzata dalle major americane, ebbe una parte fondamentale nella ricca produzione italiana di quel periodo. Roma divenne capitale dell'industria cinematografica mondiale con una concentrazione di attori famosi. Le case di moda romane pensarono di utilizzare la loro celebrità per farsi pubblicità. Le sorelle fontana furono tra le più abili a servirsi di questo potenziale. Tutte le sartorie romane vantavano fra la loro clientela nomi celebri. Il sodalizio con il cinema consentì alla moda italiana di uscire dalle pagine delle riviste specializzate raggiungendo un pubblico molto vasto. La fine della guerra aprì un nuovo capitolo nel modo di vestire dell’intera europa occidentale. L’influenza americana sulla sua cultura ebbe un peso incommensurabile. tradizione vecchie furono sostituite con un modo di vivere che aspirava a una più democratica società dei consumi, strada della modernità adeguandosi il più possibile ai metodi che gli Usa aveva messo a punto nei decenni più recenti con l’industrializzazione. 52 Anche la moda risentì di questo clima, importando un sistema di produzione che era stato inventato in UE ma che aveva avuto il suo vero sviluppo negli Usa: la confezione industriale o ready-to-wear. la parziale riapertura delle frontiere commerciali degli Usa fornì l’occasione per organizzare una serie di scambi culturali che portarono gli imprenditori Ue a visitare aziende americane. Fu la scoperta del futuro. Il settore moda scoprì il RTW: non era la confezione che si conserva in Ue, limitata alle fasce più alte o più basse del mercato, ma un vero e proprio sistema di moda, gamma di offerte estremamente ricca e di alta qualità. A partire dalla fine degli anni 40 l’Ue cominciò ad adottare il modello di consumo che arrivava d’oltreoceano, cancellando la struttura sociale gerarchica che faceva parte della sua storia e adottando i caratteri tipici di una civiltà di massa. L’adozione di un abbigliamento informale e alla portata di tutti esprimeva la messa in crisi a livello individuale sia dei tradizionali modelli di comportamento sia dei rituali di diffusione delle nuove mode. Processo graduale che richiese più di un decennio. la strada più rigorosamente industriale fu adottata dalla Francia. L'obiettivo era creare un prodotto di moda che fosse alternativo all’haute couture ma soprattutto alla confezione di basso prezzo che si era diffusa negli anni 30: senza i costi della prima E la mediocre qualità della seconda. Pret a porter per tradurre ready-to-wear divenne il modo per definire una produzione industriale di qualità, Che si adeguava agli stili proposti dell'haute couture. La relazione diretta tra produzione e pubblico era fondamentale, Bisognava guidare le donne verso un altro gusto, diverso da quello elitario dell’haute couture e più vicino al loro standard di vita quotidiana. Coinvolgere la stampa nel progetto di promozione della moda industriale. Colsero le potenzialità del modo di vestire adottato dagli americani E cominciarono a proporre alle francesi le collezioni stagionali. Redattrice specializzate cominciarono a creare mode scegliendo con grande libertà tra le diverse proposte delle aziende o promuovendo direttamente vere e proprie tendenze. Bisognava abituare le lettrici a un’offerta nuova nel gusto, nella distribuzione, favorendo la ricerca dei capi nella prima rete di boutique. Si mossero i grandi magazzini che iniziarono ad affidare a un consigliere il compito di visionare tutte le collezioni di confezione e di haute couture per identificare il gusto da proporre. I notevoli progressi nell'industria dell'abbigliamento misero a disposizione di tutte le donne dei modelli di buon gusto. Diversi couturier disegnavano modelli che erano realizzati in serie da industriali. L'alta moda aveva cominciato a sentire I primi segni di crisi. La clientela privata cominciava a diminuire I propri ordini, Attratta dalla produzione di un RTW sempre più raffinata. Dior aveva colto il mutamento di costumi e aveva risposto con una linea di pret-à-porter di lusso destinata al pubblico statunitense, altri couturier lo fecero. In Italia fu però negli anni 60 che le sartorie diedero vita a vere proprie linee di pret-à- porter che cominciarono a sfilare con l'etichetta di alta moda pronta. In Italia la produzione di abiti in serie non aveva tradizioni. Contrastata dalla presenza di una fitta rete di sarti artigiani in grado di rispondere alle richieste di abbigliamento di tutti gli strati della popolazione. Il settore mosse i primi passi negli anni 50, stimolato da un modello di consumo che avrebbe potuto modernizzare l'Italia. Nacque principalmente all'interno di alcune aziende tessili, Ma non mancarono iniziative imprenditoriali nuove. La maggior parte della produzione riguardò l'abbigliamento maschile, ma anche quello femminile fu sperimentato sia in linee particolari sia in modo esclusivo. Il modello di riferimento era la grande industria americana: le aziende si svilupparono presto con ampi stabilimenti. Nel 1945 nacque l'associazione italiana industriali dell’abbigliamento, nel 1947 l'associazione europea delle industrie di abbigliamento. 55 Anche a Parigi si assistette allo stesso fenomeno, le boutique si moltiplicarono contribuendo allo sviluppo del pret-à-porter. Progetto: partire dalla presenza di una nuova clientela di adolescenti, con esigenze alternative rispetto alla corrente produzione di abbigliamento, E lanciare mode selezionando le proposte più innovative e stilisticamente più consone. le mode non potevano trarre ispirazione che dagli stili di vita dei teenager. Stile contro Couture: su quest’idea incominciarono a lavorare i giovani disegnatori francesi creando modelli legati fra di loro da un'idea moda forte e riconoscibile. Anche l'Europa stava arrivando a una nuova concezione della moda, non più creata su misura per una ristretta clientela di Elite dagli atelier parigini, ma confezionata in serie, per un pubblico democraticamente allargato. All’estro del couturier si sostituiva quello dello stilista. Si trattava della traduzione europea del modello di consumo americano. Era stato necessario il salto di una generazione perché la confezione perdesse la connotazione negativa. Alla metà del decennio anche l’haute couture cambiò radicalmente e propose uno stile ispirato all’era spaziale, il cui mito stava invadendo l’occidente. Il futuro divenne fonte d’ispirazione per abiti-architettura, collezione di modelli diritti, Privi di riferimenti al passato. La geometria imperava e rivestiva un corpo femminile asciutto, androgino e vagamente infantile. Fondamentale in questo processo di rinnovamento fu il prêt à porter con un ruolo paritario o complementare alla sartoria su misura. L’alta moda non rappresentava più lo strumento principale per diffondere le nuove idee. Gli anni 60 erano maturi per realizzare il progetto che vedeva legati insieme un creatore di moda, un industriale, un sistema di vendita. il primo a percorrere la strada di una linea pronta fu Pierre Cardin nel 1959. Il risultato fu una totale rivoluzione nella figura professionale del couturier che trovò nel nuovo sistema produttivo un’alternativa per esprimere la propria creatività, meno legata alla perfezione dell’oggetto e più vicina alla cultura moderna. la distribuzione avvenne attraverso boutique monomarca. solo balenciaga non accettò il cambiamento, che gli sembrò uno svilimento della professione. le sue creazioni continuarono a rappresentare un punto di riferimento nella moda francese. Ma la stagione aristocratica della grande couture era finita e Balenciaga fu costretto a chiudere il suo atelier nel 1968. nei primi anni 70 il pret a porter aveva conquistato il pubblico. I grandi magazzini di lusso americani chiusero il loro settore couture. la moda era ormai guidata da giovani stilisti. Era giunto il momento di ratificare il cambiamento consolidando sia la professione di creatore di moda sia il suo risvolto produttivo. nel 1971 creata la società “Createurs & Industrieles” con il compito di stabilire corretti rapporti tra le parti: gli stilisti avrebbero progettato e firmato le proprie collezioni, gli industriali le avrebbero prodotte e ne avrebbero finanziato la comunicazione. Si cominciò a organizzare un calendario di sfilate. Le somiglianze tra il lavoro degli stilisti e quello dei couturier che firmavano prêt à porter si facevano sempre più evidenti. Si sottolineava la valenza industriale del lavoro degli stilisti, la continuità fra la loro attività creativa E quella dei couturier, ponendoli all'interno di una logica ancora guidata dalla couture. Creava una situazione di ambiguità. Anche L'Italia rispose alla nuova domanda di moda cercando nuove strade. L’Industria di confezione non era attrezzata per affrontare un repentino mutamento di gusti e di consumi. L'unica azienda che seppe trarre vantaggio dal cambiamento fu Max Mara, creando linee di pret-à-porter di lusso. Dal 1967, riportate tutte le sfilate di alta moda negli atelier, la passerella di palazzo Pitti fu riservata alla presentazione stagionale di queste linee di alta moda pronta più simili alle 56 soluzioni che le maison parigine avevano sperimentato negli anni 50 che non alle più recenti proposte di alcuni couturier. Il nuovo aveva Iniziato la sua strada seguenti i modelli inglese e francese. Si moltiplicano le boutique che mescolavano abiti di importazione con piccole collezioni prodotte direttamente (Cose, Gulp, Fiorucci emporio dove si potevano trovare oggetti, indumenti, accessori a prezzi contenuti e spessissimo rinnovati). fu intorno a queste iniziative che il sistema produttivo del settore moda prese a trasformarsi. Per fare capi di avanguardia erano necessarie professionalità nuove. Forse per questo all'inizio i fabbricanti erano poco più che laboratori artigianali e le prime realizzazioni furono di maglieria che si serve di pochi macchinari. Si trattava di creare abiti di moda per un mercato affamato di moda, disposto a cambiare la propria immagine in tempi rapidissimi, insensibile ai richiami elitari, attratto dall’idea dell'abito come divertimento. Era indispensabile che la figura che inventava la novità fosse omogenea al proprio pubblico e avesse quel gusto internazionale ma che fosse anche un vero professionista della moda. I primi stilisti che operarono in Italia erano francesi o avevano svolto l'apprendistato all'interno della Couture parigina. Essi offrivano competenze e creatività a committenti diversi. in 10 anni il classico mercato si arricchì accogliendo il nuovo prodotto sia negli spazi tradizionali sia soprattutto nelle boutique rivolte al mercato giovane. La nuova moda aveva una forza di rottura e un potere che non tardarono ad attirare l'attenzione del sistema ufficiale. Firenze si organizzò per dare spazio nel proprio calendario delle sfilate alle aziende che producevano questo tipo di confezione. Dal 1967, con la sostituzione delle sfilate di alta moda con quelle di pret-à-porter, anche la sala Bianca di palazzo Pitti aprì le sue porte alle creazioni di stilisti e piccole aziende nascenti. Il primo ad accogliere l'eccezionalità della situazione e la sua ambiguità fu Albini: la qualità artigianale dei capi passava in secondo piano rispetto al loro contenuto moda, la figura chiave del processo doveva essere il creatore di questo contenuto. Mentre la produzione di alta moda era personalizzata, quella della confezione legava la propria riconoscibilità al marchio aziendale o al nome della boutique che la distribuiva. Far emergere il nome dello stilista dall’anonimato significava ratificare l'esistenza di un terzo gruppo all'interno del sistema di produzione, Che prevedeva una produzione industriale di piccola serie progettata e seguita da un creativo. Il primo passo era creare un rapporto paritario con un produttore, Per non essere semplice consulente ma poter determinare in modo totale l'aspetto formale della collezione: scopro che Albini raggiunse fondando una piccola società per la produzione di abiti. La collezione 1970/71, stile revival, ebbe un successo incredibile. Le presentazioni fiorentine erano state progettate in funzione dell'alta moda o di un sistema artigianale che aveva bisogno di collocarsi in una cornice estetica di elite cui ancorare la propria immagine. Il nuovo modello che si stava imponendo non aveva bisogno di legami con passati nazionali illustri, al contrario, cercava di utilizzare uno strumento moderno come la produzione industriale per rivolgersi a un mercato di massa. Albini intuì che era giunto il momento di operare una cesura con il vecchio. Era ormai necessario non disperdere la proposta dello stilista ma presentarsi sul mercato con un'unica idea che qualificasse una grande varietà di prodotti. Si imponeva la separazione da Firenze, fu scelta Milano, città industriale, priva di legami con i riti dell'alta moda e sensibile alla boutique più giovane. negli anni 60 era stata la città del boom, delle avanguardie, del design. Un'altra Italia che non viveva nel mito dei fasti del passato, ma Che cercavano uno spazio attivo nella modernità. Il secondo nodo era il rapporto tra stilista e compratore finale: quello che si offriva non poteva essere un semplice indumento confezionato, Ma qualcosa di più, in una zona 57 intermedia fra il gusto e lo stile di vita della nuova della nuova società emergente. Il modo di vestire pretendeva di significare una scelta di appartenenza. Hippie e contestatori politici avevano radicalizzato i comportamenti che si erano presentati sulla scena all'inizio del decennio: rifiuto del modello tradizionale della società borghese e rifiuto del consumo di merci prodotte attraverso lo sfruttamento, a favore dell'adozione di abiti provenienti da aree culturali o precapitalistiche. Nonostante il rifiuto ideologico della categoria borghese della moda anche questa fu una moda. Albini arrivò a pensare al senso della professione dai stilista dopo che tutto ciò era avvenuto. Egli comprese che, se il problema era culturale e di stile, il compito dello stilista non poteva essere quello di progettare singoli indumenti, ma un clima di gusto in cui il compratore potesse riconoscersi. Possibile solo controllando la collezione completa, tutti gli indumenti e gli accessori necessari ad accontentare le richieste di un compratore per l'intera stagione. Nel 1971 sfilò a Milano con 180 modelli: Punto di svolta fra passato e futuro. I capi erano realizzati da cinque aziende ognuna delle quali era specializzata in un determinato settore merceologico. La Collezione era unica, lo stile era unico, la sfilata era unica, quello che era ancora diviso era il marchio. La figura dello stilista come creatore e garante unico di un'immagine complessiva non era ancora giunta, gli si riconosceva solo quella di coordinatore stilistico di produzioni diverse. Ebbe inizio il vero prêt à porter italiano. Molti nodi erano irrisolti, come il rapporto tra stilista e azienda: Albini nel 1972 presentò una collezione di soli abiti che portava come marchio le iniziali del suo nome. Il prezzo per far nascere la griffe era stata la rottura con quattro delle aziende del team. Furono presentate due collezioni, una con il marchio WA, l’altra con il marchio Misterfox. Fino al 1975 quando da solo presentò due collezioni di alta moda dedicate a Chanel e ai grandi couturier francesi. Nessuno aveva chiaro il ruolo che doveva ricoprire la figura dello stilista. Nel tentativo di inventare una griffe, Albini perseguì una strada di differenziazione del prodotto industriale. I risultati non furono quelli sperati: i tempi non erano maturi affinché il marchio di uno stilista italiano si affermasse. Il secondo obbiettivo con cui i nuovi professionisti si cimentarono fu l’invenzione dello stile con cui presentarsi a un pubblico che non era più costituito dalla ristretta élite. il popolo dei giovani si era variegato seguendo mille interessi diversi o stava operando trasformazioni negli standard di vita tradizionali. Non era più disponibile a riconoscersi in un’unica tendenza calata dall’alto. Diventava necessario che ogni creatore di moda adottasse uno stile ben riconoscibile e lo perseguisse nel tempo, fino a essere identificato con esso, cercando di differenziarsi dagli altri. Albini scelse il revival, si trattava di una proposta culturale in accordo con i tempi, la fine dell’ubriacatura di modernità degli anni 60 fu contrassegnata da un forte recupero del passato. Parigi offriva un panorama espositivo che riproponeva l’arte e gli stili decorativi dei primi decenni del secolo. Fu come se si scoprisse che ogni presente ha un passato che lo spiega e con cui è necessario fare i conti. Albini intuì che anche la moda doveva ripercorrere il suo passato per trovare un futuro. Egli non proponeva il rifacimento di abiti ma l’immaginario di uno stile di vita più raffinato di quello che le mode di strada contemplavano. desiderio di ritrovare un modello di eleganza privo di legami con i movimenti contestatori e la ritualità alto borghese della couture. Aveva intuito che il nuovo mercato era collocato in una fascia intermedia fra questi due, fatto da donne di 25 anni che avevano rotto con i ruoli tradizionali e che stavano cercando un modello di esistenza e di cultura autonomo. 60 Il pensiero di Armani rifaceva il punto sullo stato della professione, ma era avvenuto un fatto che le aveva provocato: l’insuccesso della collezione invernale osannata dai guru della moda ma rifiutata dal mercato. La tentazione di abbandonarsi alla creatività assoluta era stata troppo forte. Il problema era diversificare le offerte per i mercati differenti. Nel 1982 ridiscusse il contratto con il GFT e riprogettò la configurazione dell’azienda: al gruppo torinese la seconda linea per l’Italia, con l'etichetta Armani made in Italy la prima linea che assunse un carattere più artigianale ed esclusivo: la sua realizzazione controllata dallo stilista fu affidata a piccole aziende specializzate. Era la risposta del pret-à-porter all'esistenza di un doppio mercato: quello che già si era configurato negli anni 70 e quello di lusso che alla moda cominciava a chiedere rassicurazioni di status ed identità. Un terzo mercato era quello dei giovani che cercava moda dai prezzi contenuti: lancia la linea emporio Armani, collezioni complete che univano all'alto valore innovativo e d’immagine un prezzo pensato per i giovani. Attraverso questi passaggi fu possibile organizzare un sistema chi sfruttava appieno le risorse professionali di Armani E le collocava in una giusta dimensione di interazione con i consumatori finali. Alla prima linea venne attribuito un compito di immagine e sperimentazione: occasione per comunicare le novità, per dare spazio alle ricerche creative dello stilista. La sua realizzazione doveva avere caratteristiche più artigianali. Alla seconda linea obiettivo della vendita di massa, produzione industriale. La linea giovane realizzata industrialmente ebbe connotazioni forti e trasgressive. Non si trattava di una semplice innovazione produttiva: rispondeva a una situazione culturale e sociale che si stava configurando. Il rifiuto della dimensione politica e il ritorno al privato E quindi di uno stile di vita specifico di cui ricchezza divenne il valore dominante. Nuova corsa alla scalata sociale: i ricchi degli anni 80 provenivano dal commercio, non avevano alcuna tradizione alle spalle. Il loro obiettivo era esibire, Si cominciò a parlare di look, ossia di una struttura comunicativa. La destrutturazione dei modelli tradizionali dell'apparire aveva lasciato un vuoto, non c’erano più rituali certi cui adeguarsi per mostrare la propria ricchezza E non c'erano valori culturali abbastanza profondi per crearne altri. Si scelse la strada dell'ostentazione del consumo mettendosi i soldi addosso. Anche la scelta della abito per creare un proprio personale look non si rivelò essere impresa facile: era necessario un mediatore professionale che garantisse la corrispondenza fra stile di vita adottato E abito adeguato a comunicarlo. Gli stilisti italiani erano pronti a questo compito: la collezione del 1983 fu una svolta, abbandonati gli eccessivi riferimenti al passato, tutti si concentrarono nella ricerca del nuovo linguaggio personale. Ferré si impose con una moda sobria, Versace si focalizzò Sulla traduzione al femminile di capi di abbigliamento maschile. Necessità di una personalizzazione, molti stilisti abbandonarono il centro sfilate della fiera per organizzare le presentazioni in spazi diversi e individuali. l’immagine collettiva del made in Italy era una garanzia di qualità e eleganza, si articolò in tante proposte di gusto diverse. La firma divenne la chiave estetica dei nuovi consumi e assunse il ruolo di status symbol. l’Eleganza anni 80 era aggressiva ed esplicitava in modo diretto il suo significato e il suo costo. Tutti fecero una concessione alle eroine della nuova epoca, le donne in carriera. Battaglia che le donne dovevano combattere per imporsi nel mondo del lavoro sempre più duro, l'abito si trasformò in un’arma. Il nemico fu affrontato esasperando la proporzione del torace. Le spalle si imbottirono E la parte superiore del corpo fu enfatizzata in maniera esasperata. accentuava l'aspetto androgino, riproponeva una silhouette artificiale dopo anni di dibattiti femministi e di movimenti di liberazione. L'abito perdeva la sua qualità di specchio della persona e tornava ad assumere il significato di rappresentazione di un ruolo. Non seguiva più le forme del corpo, le mascherava attraverso protesi che le attribuivano una forza maschile. era un’armatura seducente e lussuosa. 61 La giacca diventò la nuova divisa femminile ma anche un indumento basic con una vita propria. Ogni stilista la interpretò a seconda del proprio modello di gusto e della donna cui si riferiva. Furono gli anni del successo made in italy, diventarono i guru del gusto, la loro firma sanciva ciò che era alla moda. La direttiva era cercata sia dalle signore del nuovo potere, sia dalle yuppie, sia dai ceti più modesti. Il ventaglio era ampio e offriva la possibilità di estendere la gamma delle offerte: nel 1986 avvicinamento all’alta moda di alcuni stilisti ma anche proliferare del casual firmato. la sera più sfarzosa e il tempo libero più normale richiedevano di essere ugualmente garantiti dal look totale. Nacque una moda che metteva a disposizione di un ceto medio la fascia più alta della produzione. era finito il modello secondo cui le nuove tendenze venivano create per una ristretta élite per poi essere riprese da sistemi meno costosi. Lo stilista aveva sostituito il couturier nel ruolo d’interpretare i cambiamenti sociali e culturali e trasporli in tessuti, per una clientela allargata e internazionale. Nell’immaginario collettivo la boutique monogriffe sostituì l’atelier del couturier e divenne il luogo in cui acquistare le novità del look di moda. il consumo di moda assunse un significato culturale preciso: essere alla moda e farlo sapere dava la sicurezza di uno stato sociale raggiunto. il cosiddetto italian look interpretò il desiderio di mostrarsi alla moda attraverso un’offerta di modelli diversificati e facilmente riconoscibili. Armani abbigliamento funzionale e discreto, Ferré donna al limite con la tradizione dell’alta moda, Versace abbigliamento aggressivo e provocatorio. Gli stilisti sostennero la propria attività con atteggiamenti divistici, le griffe dilagarono attraverso estesi sistemi di licenze che articolarono total look, le sfilate fatte per stupire il pubblico. L’immagine che ciascuno si era creato doveva essere sostenuta con tutti gli strumenti di comunicazione disponibili. Il prêt à porter era diventato la moda, ma dopo aver eliminato l'idea che ci potesse essere unico centro di creazione una ristretta élite di riferimento. Potevano cominciare a coesistere stili differenti in cui pubblici diversi potevano riconoscersi e i centri di creazione delle nuove mode potevano moltiplicarsi. la più spettacolare fu quella che nasceva dalle mode di strada e portava i principi eversivi e le rivoluzioni vestimentarie dei gruppi giovanili sulle passerelle di Vivienne Westwood, che aveva iniziato la propria attività all'interno del movimento punk, momento di svolta e rinascita della creatività inglese, reinterpretando in modo irriverente i simboli della società britannica. Restituirono a Londra il ruolo di centro della ricerca più radicale ed eccentrica. Dalla tradizione del più puro sportswear americano arrivò una tendenza che declinava il prodotto industriale con purezza di tagli, totale assenza di colori, tessuti ricercati. Risposta puritana alla divisa della manager, ma anche allo sciupo delle classi emergenti. La nuova moda si rivolgeva a un'aristocrazia del gusto che comunicava la propria distanza dalla società dei nuovi ricchi attraverso un modo di vestire che recuperava l'antica filosofia dei dandy dell’800. La scelta di capi base funzionali e semplici creava nuove forme di distinzione. Alla facile adozione di oggetti griffati si contrapponeva la raffinata intelligente sobrietà. Il potere raggiunto si manifestava attraverso il consumo ma declinato in modo non vistoso. La ricerca di un'eleganza intellettuale decretò il successo anche dell'estetica di tipo intimista di cui i giapponesi furono maestri. La proposta divenne dirompente nel 1981 con modelli che pure ibridando la tradizione orientale con capi occidentali, faceva intuire un modo diverso di intendere il corpo femminile, di Utilizzare materiali e colori. Dai primi anni 90 la proposta giapponese influenzò la nascita di un'avanguardia europea, di cui il gruppo di stilisti formato all'Accademia di belle arti di Anversa fu la forma più avanzata. La moda venuta dal Belgio era caratterizzata dalla ricerca di una nuova estetica che veniva dalla decostruzione dei capi e dalla sperimentazione più radicale, tentativo di sottrarsi alla logica della griffe utilizzando etichette bianche. 62 La moda italiana scelse uno stile massimalista: abiti opulenti, tanto lusso però poteva creare problemi ad un sistema costruito sul prêt à porter, le vendite cominciarono a diminuire. Gli stilisti avevano sfiorato un'altra volta lo spazio dell'alta moda fatta per pochi. La fuga verso L’haute couture rappresentò un ulteriore sfida professionale con cui cimentarsi. nel 1989/90 il luogo del confronto si spostò a Parigi dove Valentino scelse di sfilare per fuggire all'alta moda romana. Pochi dei Grandi nomi del made in Italy si attennero in modo rigoroso al proprio compito di stilisti legati all’industria. La morte di Moschino e l'assassinio di Versace accellerarono la flessione della moda italiana. La sua fama presso i consumatori e l'importanza di Milano nel mercato del Pret-à- porter sopravvissero, più per merito della qualità dei prodotti che per la loro capacità innovativa. fra i grandi degli anni ’80 solo Armani e D&G riuscirono a mantenere intatta la propria posizione internazionale. In contraddizione con le scelte fatte fin dagli anni ’70, nel 2005 Armani cominciò a sfilare a Parigi con una collezione di haute couture, per collocarsi a pieno titolo nell’industria di lusso. In generale il successo del made in italy fu sempre affidato a grandi marchi capaci di gestire in modo professionale il rapporto fra marketing e creatività. Un capitolo particolare della storia degli ultimi decenni fu affidato al rilancio di vecchi brand come Pucci o Gucci, ben poco di italiano in queste operazioni. Nel 2000 il gruppo LVMH acquistò la maggioranza di Pucci, troppi cambiamenti per garantire davvero una continuità alla nuova immagine che si voleva dare al marchio. Significativo fu il caso Gucci. Tom Ford responsabile delle collezioni di abbigliamento e accessori e della comunicazione. l’obbiettivo era recuperare l’immagine di marchio di lusso che l’azienda aveva avuto fino dagli anni 70. Per ricostruire il significato sociale e commerciale del prodotto si dovevano isolare i segni che lo avevano rappresentato e riproporli come elementi forti di un guardaroba attuale. L'obiettivo futuro rendeva fondamentale la conoscenza del passato, si cominciò a costruire un archivio. Ford puntò sull’abbigliamento, settore che Gucci aveva sempre considerato marginale. La storia e una proposta moda molto peculiare furono i fili conduttori dell'identità che il marchio assunse. Nella collezione 1995/96 Ford decise di differenziarsi da tutte le tendenze in voga e ripropose una rivisitazione degli anni 70, figure smilze, unisex, colori incandescenti e tessuti lucenti. anche gli accessori furono ripensati con la stessa logica. per la campagna pubblicitaria scelse Mario Testino, idea di lusso, bellezza e sesso ostentati. gli accessori resero inconfondibile il nuovo mondo Gucci mentre i segni tipici della casa furono ingigantiti su modelli che riproponevano forme storiche. il modern style fece da sfondo alle foto di testino ma fu anche la linea guida della riprogettazione dei negozi. il successo dell’operazione fu enorme ma durò poco. nel 1999 Arnault acquistò un pacchetto azionario di Gucci, complessa vicenda finanziaria e giudiziaria che si concluse con l’acquisizione da parte di PPP dell’intero gruppo Gucci con l’uscita di Ford. Fine della stagione che aveva fatto di Gucci uno dei marchi più ambiti. La fine del XX sec fu rappresentata nel prét a poter dalla moda più di avanguardia, varietà di proposte di percorsi. Un nuovo modello di grande distribuzione, sostenuta da una produzione decentrata in paesi a basso costo di manodopera cominciò a offrire un pronto moda di buon gusto, qualità accettabile e prezzi bassi. Zara, H&M, consumatori meno attratti dall’abito status symbol, l’acquisto era legato al piacere di modificare il proprio aspetto con cose sempre nuove e diverse, tendenze brevi ed effimere. offrivano incessantemente novità alla portata di tutti. Nuova era per la moda: confezione in serie per il mercato di massa globale. il ruolo creativo era di nuovo entrato nell’anonimato. La moda élite non era scomparsa e cominciò ad affrontare il nuovo mercato parlando di lusso. 65 creatività dello stilista poteva liberarsi con l'unico vincolo di confrontarsi con questo sistema di segni. Dal 1983 Karl aveva l'intera direzione artistica della maison. Fu dal pret-à-porter che cominciò il ringiovanimento della moda Chanel. La clientela era la stessa, piccolo gruppo di signore dell'altissima società internazionale, tradizionaliste e raffinate. Il mercato del pret-à-porter era nuovo, composto da donne giovani, con loro era più facile osare. Furono loro il pubblico di riferimento. La collezione del 1984 fu la prima ufficialmente firmata da Lagerfeld E aprì un nuovo corso sia per la moda che per le strategie aziendali. Nel 1983 fu inaugurata una nuova boutique Chanel. La sfilata aveva presentato i classici tailleur di tweed ma anche una rivisitazione più trendy dello stile Chanel degli anni 20. Tutti erano provvisti di accessori ed erano pensati per poter essere indossati nella vita quotidiana. L'avvicinamento alla modernità proseguì nelle stagioni successive, infrangendo i tabù di Coco: spalle allargate, gonne sopra il ginocchio, utilizzo della pelle. L'imperativo era essere al passo con i tempi. Questo valeva per il pret-à-porter ma anche per l’hc che doveva essere sottratta dal suo declino, ripensata per la nuova mondanità internazionale, Meno elegante dei tempi passati. I segni cominciarono a trasmigrare e a cambiare aspetto e materia. Nel 1997 la maison distribuì un catalogo delle innumerevoli maniere in cui era possibile creare oggetti diversi pur restando fedeli a un codice. I segni diventarono variabili che Lagerfeld poteva attingere per caratterizzare le sue creazioni. Lagerfeld riusciva a portare in scena il trasgressivo, il non ancora visto. Il rapporto di amore e odio dello stilista con il mito Chanel produceva soluzioni irriverenti e ironiche. le mode di strada entrarono in passerella aprendo le porte alla clientela più giovane. Irruppero ragazzacce vestite con giubbotti chiodo di pelle nera e stivali da moto, abbinate a gonne da ballo. La gamma degli indumenti messi a disposizione di quella clientela e del suo stile di vita si estese: piumini, costumi da bagno, sportswear. Teneva conto di un cambiamento di costumi nato negli Usa; jeans, maglietta e Nike erano la nuova divisa. Tutto questo poteva funzionare solo grazie al mito di Chanel che doveva essere periodicamente riproposto. Lagerfeld ne era cosciente e aveva messo in evidenza che la storia della Maison ruotava attorno alla sua figura fisica. Nelle tavole è lei l’indossatrice dei modelli. Lagerfeld scelse modelle icona che nel corso del tempo dovevano essere identificate come l’incarnazione dello stile e del modo di essere donna di Chanel. Lo stilista lo fece servendosi del linguaggio della moda, con colpi di teatro. Nel finale della sfilata di pret-à-porter del 1994, 50 modelle portate sulle spalle da giovanotti salirono in passerella indossando una camicetta di lana nera, larghi pantaloni bianchi, sandali con zeppa, fascia in testa e collane, copia di una fotografia che ritraeva Coco sulle spalle di Lifar. le due collezioni di hc del 1996 furono dedicate a Chanel nel 25° anniversario della morte. le sfilate furono all’hotel Ritz. La prima collezione fu un omaggio diretto al suo lavoro ma con alcune citazioni dirette, la seconda proponeva capi dalla linea sottile, giacche lunghissime “interminabili” e l’invenzione di Karl: un’aderente tuta nera di lycra che faceva da base a tutti i modelli. Fino a quel momento tutti coloro che erano subentrati in una maison fondata da altri avevano portato avanti il lavoro o rinnovandolo o mummificandolo. Lagerfeld si proponeva di fra rinascere la fenice facendo in modo che fosse la stessa ma anche completamente nuova. L’intero sistema funzionava alla perfezione intorno a un codice simbolico che parava del presente conservando quel lieve accento che veniva da un passato mitizzato, sorta di patrimonio comune. Tutto funzionava in modo armonico, nel 1996 di fronte al collasso della vecchia couture parigina, Karl affermò che la maison non aveva problemi. A sostegno del lavoro di Karl aveva operato la dirigenza Chanel conducendo una strategia aziendale che vedeva nella moda il sistema più sicuro per far crescere le vendite dell’intera 66 produzione. Le sfilate erano la maniera più certa per affermare lo stile di una griffe. Comunicare il sogno dell’hC ma anche la realtà concreta del PAP. utilizzando il fascino dell’alta moda, facendo leva su profumo e cosmetici pubblicizzati in modo innovativo, il PAP e gli accessori crearono una moda che seppe fronteggiare la concorrenza degli stilisti italiani, dell’avanguardia giapponese e del minimalismo anni 90. l’investimento pubblicitario non face perdere di vista il fatto che Chanel era un marchio di lusso, salvaguardando la qualità. rifiuto della logica delle licenze per controllare direttamente la produzione. Per l’alta moda il problema non c’era: la confezione su misura di ogni capo, l’esiguità della domanda consentono di ricorrere ad artigiani. Il sistema Lagerfeld cominciò a essere considerato il paradigma da prendere a modello quando si rinnova una griffe storica. La prima fase della maison Dior finì nel 1978 quando il gruppo Boussac venne messo in liquidazione giudiziaria. La sua decisione di finanziare Dior nel 1946 aveva dato una spinta determinante al rilancio e al rinnovamento dell’HC parigina del dopoguerra. Il declino era iniziato negli anni 60, non fu capace di adeguare il suo modo di condurre il gruppo all'esigenze di un'economia che si andava mondializzando. Nel 1978 il tribunale di commercio di Parigi assegnò il gruppo Boussac ai fratelli Willot ma breve durata: bastò lo sfortunato investimento in una catena di grandi magazzini americani a provocare una perdita di denaro da creare una falla incolmabile nella società. I tre anni successivi furono un tentativo da parte del governo socialista di fronteggiare il problema dell'impero industriale in declino E della conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro. Nel 1984 l'intero gruppo Venne messo in vendita giudiziaria. Fra i candidati all’acquisto Arnault la cui offerta fu approvata dal governo francese. Nel 1986 acquistò il pacchetto di azioni rimaste nelle mani dei fratelli Willot. A Arnault non interessava diventare un industriale tessile E vendette tutto, tranne la grande distribuzione e Dior. Fino al 1984 si mosse in campo immobiliare. Nel 1981 fu preso dal timore delle decisioni che il governo socialista avrebbe potuto assumere in campo economico, si trasferì negli usa. L’affare Boussac/Willot rappresentò il suo ritorno in patria ma anche il suo coinvolgimento in attività completamente diverse. l’Investimento non dovette essere programmato. Quando visse negli Usa aveva avuto modo di riflettere sulle potenzialità delle imprese francesi E sul settore di lusso che negli anni 80 stava vivendo una situazione particolare, era in declino ma stava mostrando segni di ripresa. Fin dagli anni 50 i produttori di beni di elite avevano dato vita a una lobby con l'obiettivo di promuovere un'industria simbolo della Francia all’estero, ciò non aveva impedito di rendere desuete certe produzioni come l’hc. L'essenza dei beni di lusso si fondava sulla produzione artigianale fatta di piccole manifatture che si erano salvate dal processo di industrializzazione. Non è improbabile che Arnault avesse perseguito l’affare Boussac/ Willot perché gli dava la possibilità di entrare nel nuovo business utilizzando il carisma di Dior. L'espansione non eliminava il problema di fondo che rischiava di bloccare il progetto Dior e cioè l'impossibilità di sostenerlo con la vendita di profumi e cosmetici, il vero strumento in grado di mettere in relazione diretta la griffe di lusso con il mercato di massa. L’avventata vendita della società profumi Dior a Moet aveva dimezzato il potenziale di sviluppo. L'occasione per riunificarlo ci fu nel 1987 con l'accordo di fusione tra Moet e Louis Vuitton, dando vita al primo gruppo mondiale specializzato nel lusso. Canzone che favorì progetto di Arnault fu il calo del valore delle azioni LVMH in seguito al crollo della borsa di Wall Street del 1987. Aveva iniziato ad acquistare azioni Moet già nei primi mesi dell'anno e proseguì. Si aprì una vicenda tra le più complesse della storia finanziaria di Francia. 67 Nel 1988 Arnault assunse il controllo del gruppo LVMH, la profumi Dior era stata recuperata insieme era stato riunito un vero impero del lusso. L'obiettivo del progetto era quello di restituire a Parigi il suo ruolo di centro della moda e della produzione di alta qualità, trasformando piccole manifatture in una vera industria del lusso. La vicenda portò al centro dell'attenzione il settore e diede inizio a un processo di fusioni, vendite, che rivoluzionò l'assetto internazionale di proprietà E dimensioni delle aziende che producevano beni di alta qualità. Nel 1986 il nome Dior offriva una legittimità. Nell’Immaginario collettivo era rimasta traccia del suo antico carisma, ma la realtà era diversa: l’HC era più un costo che un ricavo, la clientela si era ridotta, il marchio era gravato da un numero eccessivo di licenze. Tutto ciò aveva consentito di mantenere in attivo il bilancio ma le licenze dei primi anni 80 avevano reso la situazione incontrollabile, rischiando di dare al marchio Dior un’immagine confusa: recupero delle licenze, produzione e distribuzione furono gestite direttamente. Nel 1984 il problema più grave era che la Maison non era sostenuta da una linea di profumi ma fu risolto. Il nuovo corso Dior fu comunicato attraverso 2 iniziative sull’immagine della griffe, era necessario ridarle identità riallacciandola alle origini, così per il 40° della fondazione della maison fu organizzata nel 1986 la mostra “omaggio a Christian Dior” venne ristrutturata la sede storica. nel 1989 la Maison presentò lo stilista che avrebbe progettato le collezioni HC, PAP, e alta pellicceria: Ferré. fu messa in discussione la scelta di uno stilista straniero alla guida di una delle maison parigine più simboliche. L’oggetto delle critiche era Arnault, che in quel periodo era oggetto di critiche per come stava conducendo l’affare LVMH. La sostituzione della mente creativa fu un passaggio importante, rappresentava fisicamente la fine di un mondo, nato negli anni 50 e che Bohan aveva perpetuato, e l’inizio dell’era Arnault che doveva portare Dior nel mondo contemporaneo. Ferré era il candidato più adatto a fare un’HC di prestigio e un prêt à porter di successo. Lo stilista aveva cominciato a lavorare nella moda dopo la laurea in architettura collaborando con diverse aziende, dal 1978 con un marchio proprio. Il suo stile: nuovo modo di progettare e sapiente uso dell’esotismo. Fu uno degli stilisti che crearono la fama del pret-à-porter made in Italy. La strategia di Arnault era gestire, sviluppare le loro marche in modo che fossero sempre più desiderate da chi cerca la differenza nell'accesso a uno stato sociale che ha valore di simbolo. Restituire alla moda il valore di status symbol. Ferré colse che quanto gli si stava chiedendo era ridare alla maison l'immagine di sogno irraggiungibile e meraviglioso. Nel 1989 prima collezione HC: un omaggio a Dior e il new look, successo. Il risultato più importante fu l'arrivo dei compratori americani e l’arrivo negli stores americani. Ci fu un lavoro negli archivi da cui venne l'ispirazione per i modelli, ma il designer propose un proprio stile, interpretazione del lusso e di un’ideale femminile che identificò con le clienti di Dior. Per questa lady raffinatissima inventò un abbigliamento da giorno moderno ed elegante in cui portò alla perfezione i codici del suo linguaggio. Un lusso vistoso, barocco caratterizzò la progettazione degli abiti da sera. Ferré si innamorò dell’HC e la mise alla prova sperimentando abiti sempre più complessi. l’alta moda era difficile, Lagerfeld e Versace avevano cercato di rinnovarla con contenuti nuovi, Ferré continuò a rimanere legato alla tradizione elegante ed esclusiva del passato. Fu Il mercato americano a decidere, apprezzando gli svelti tailleur da giorno ma rifiutò un abito da sera adatto solo a eccezionali occasioni mondane. fine del rapporto nel 1996. Arnault dichiarò che voleva creatività moderna nello spirito di Dior. Tutti aveva lavorato per consolidare l'immagine di una maison tradizionale dimenticando che il successo di Dior era nato da un atto di rottura. 70 voleva più essere il mezzo per trasformare la donna in principessa, non era lo status symbol dato che i segni di lusso erano celati, non era più strumento di seduzione. Una moda non facile rivolta a un pubblico femminile colto ma anche discreto che voleva indumenti che comunicassero valori interiori e non solo quelli corporei. Galliano s’impadronì di tutto questo e lo trasformò in una esagerata e irrituale esibizione di lusso. Quella che andò in scena non era una parodia dei clochard ma un ragionamento sulla moda e sulla sua avanguardia. era la fine del minimalismo, il lusso aveva vinto perché tutto poteva essere tradotto nel suo linguaggio. Agli inizi del nuovo millennio la clientela della marca parigina era cambiata: aveva un’eta media di 25 anni, donne arroganti e sfrontate. Galliano sapeva interpretare i gusti di questo pubblico. Al rinnovo del contratto nel 1999 gli affidarono oltre alla moda, l’immagine, la pubblicità, le vetrine, il merchandising, campagne pubblicitarie che si caricarono di sensualità provocante, donna libera e ribelle, sessualmente ambigua. La consumatrice ideale dell’industria del lusso ostentava status symbol senza pudore. Quando gli accessori diventarono I soli e veri simboli di riconoscimento del lusso la griffe Dior era una marca assolutamente necessaria da possedere. A questo mondo femminile Galliano dedicò la collezione HC 2001 ispirata alle represse donne americane del secondo dopoguerra E alle loro alter ego di fantasia. La sfilata si apriva con una serie di segretarie a caccia di marito, poi sei giovani madri con bigodini E abiti premaman decorati con i simboli della vita da casalinga middle class. Improvvisamente faceva la propria comparsa Wonder Woman, serie di modelli da amazzone che mescolando il mito greco con suggestioni della moderna guerriglia. Il femminismo proposto non faceva riferimento alle donne reali impegnate a costruirsi un ruolo nella società, proiettava il processo di emancipazione in un mondo immaginario inventato da un uomo. Le donne emancipate non erano mai state il modello di riferimento della maison. L’ultimo Fuoco di questa concezione della moda che univa Avanguardia e lusso, temi sociali e couture, fu la sfilata del 2006, ispirata alla rivolta provocata dalla morte di due ragazzi nordafricani che si era estesa nelle periferie di molte città francesi fino a Parigi. Quello che colpì Galliano fu la motivazione sociale della sommossa, la rabbia di una gioventù francese figlia dell’immigrazione. Le tre settimane di scontri gli suggerirono l'immagine di una nuova rivoluzione francese, allusioni alla ghigliottina, scheletri e corpi disegnati a ricamo, sangue che tingeva di rosso la passerella e i vestiti. Questa collezione fu solo un episodio all'interno di un percorso che aveva imboccato una nuova strada. La perplessità con cui erano state accolte le collezioni precedenti avevano suggerito allo staff di modificare le immagini offerte dalla passerella di HC, tornando a proporre gli spettacoli che facevano sognare il pubblico. Galliano si concentrò su due filoni di ricerca che si alternarono sulla passerella: incursioni in mondi lontani, nel tempo e nello spazio, E sorta di ritorno alle origini, alla moda piena di fascino degli anni 50. Colori e decori di antichi costumi etnici erano trasfigurati da questo passaggio, senza assumere nessuno dei vezzi dell’esotismo. L’idea di una globalizzazione che invece che unificare conservava tutte le diversità culturali. Lo stilista e l’equipe fecero viaggi con lo scopo di trovare ispirazione e stimoli. La seconda via fu inaugurata con la sfilata 2002 “nouveau glamour” che parlava dell'America e Hollywood anni 40 e 50. Riflessioni sull'idea di fascino femminile, di sessualità incarnata dalle dive del cinema. Nell'autunno 2003 fu la danza, molteplici modelli di seduzione che la musica e le movenze del ballo hanno. Dal 2004 il tema del viaggio perse i connotati di ricerca etnica E si fuse con la riproposta del più puro stile Dior. Non era più tempo di esaltazione del multiculturalismo, attentato Twin Towers, frattura oriente/occidente, la clientela americana non avrebbe apprezzato 71 abiti tradizionali dell'Egitto moderno. Priva di rischi di questo tipo fu la visita nella Mitteleuropa. C'erano i segni dell’antico lusso di corte, più esclusivo, la distanza fra il potere regale e i sudditi attraverso abiti rigidi e scomodi. Il ritorno all’età d’oro della couture, agli anni 50, fu giustificato con una decisione collegiale, cosa nuova nella Comunicazione Dior: alla risposta della maison a ciò che accadeva nel mondo. Un primo cambiamento del mercato del lusso c'era stato nel 2001. Alla fine del 2006 iniziò una vera crisi economica che colpì l'intero mercato creditizio. Gli effetti si propagano in tutto il mondo, drastica riduzione dei consumi. Serie di effetti sull'industria del lusso, necessario inventare nuove strategie di impresa E rivedere l'aspetto creativo e l’immagine del marchio con un'attenta politica di marketing. La clientela richiedeva l'eleganza più ricercata, un ritorno all'immagine tradizionale della maison. Era finito il tempo dell’eccentricità. Ci si concentrò sulla grande tradizione Dior, proponendo collezioni che rinnovavano l’antico chic parigino. Anche la maison Dior identificò la propria icona atemporale: il tailleur Bar. Il ritorno a Christian Dior fu celebrato nel 2005 con una sfilata che sembrava un film biografico. L'occasione era il 100º anniversario della nascita di Dior. 10 sequenze, ognuna raccontava uno dei momenti della vita e lavoro di Dior che ne avevano creato il mito. L'introduzione era dedicata alla madre di Dior, poi il lavoro di Dior mostrando il procedimento che seguiva per realizzare un capo, poi presentazione delle collaboratrici di Dior, quindi le clienti celebri E le vere clienti della maison, l’aristocrazia francese. A conclusione della sfilata scene per sottolineare il legame di continuità tra Galliano e Dior, infine un omaggio alla passione di Dior per i balli mascherati. Offrire un'immagine da radiografia dell'iter progettuale di Dior, ma anche concentrare l'attenzione su dettagli sartoriali. La collezione era frutto di un approfondito lavoro negli archivi della maison. Il dialogo fra presente e passato era avvenuto ancora una volta. Galliano aveva compiuto una rivisitazione che nessuno aveva osato fino ad allora. Però l'aveva portato in passerella come proposta di moda E non come ricerca storica, in realtà si trattava di un revival in piena regola. il tema Dior fu di nuovo al centro dello spettacolo del 2007, quando furono festeggiati i 60 anni della maison. L'evento fu celebrato in grande stile con la pubblicazione di un manuale, la ristrutturazione della boutique, E l’HC alla reggia di Versailles seguita da un party. Come tema della collezione Galliano aveva scelto due passioni di Dior: le feste in costume e l’arte. Esplorando la prima collezione di Dior non di moda ma dei suoi artisti preferiti. Ciascuno dei modelli presentati era ispirato a un’artista. La sfilata fu un successo. Amalgamava alla perfezione obiettivi diversi: esaltare l’HC e la sua maestria professionale con modelli che solo i più grandi professionisti di questo settore erano in grado di realizzare, offrire un'immagine assoluta del gusto per il teatro e i costumi di Galliano, rendere omaggio a Dior uscendo dagli stereotipi del revival. C'era l'idea che la moda potesse rivaleggiare con l'arte e l'affermazione che il lusso era di nuovo una realtà. Era la celebrazione del successo del progetto di Arnault. l’HC, simbolo della moda parigina, era stata salvata. La straordinarietà del defilé dipendeva solo in parte dall'enorme investimento di cui era stato oggetto. La campagna stampa che l'aveva preceduto aveva creato un clima d’attesa. Ma ciò che aveva incantato il pubblico era la collezione. Galliano aveva creato qualcosa che andava oltre il normale prodotto HC E superava anche le sue performance precedenti. E non lo dedico a Dior, era un tributo alla memoria del suo più stretto collaboratore. Lo stilista mise alla prova tutta la sua immaginazione teatrale, la sua capacità di giocare con i costumi per evocare epoche diverse E Realizzò un sogno a occhi aperti: ridare vita all’arte, che entrambi avevano amato. 72 In questa favola c'era anche la morte rappresentata dalla Spagna. Inizialmente pensò all'influenza araba, ma l’Andalusia gli offrì qualcosa di più. A Siviglia incontrò un torero e partecipò alla sua vestizione. Fu un'esperienza che gli portò con sé E che gli fece scoprire qualcosa di sé. Si rese conto che quella antichissima sfida E la consapevolezza della tragica prossimità di vita e morte, radicata nella cultura gitana, facevano parte della sua anima spagnola.
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