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Storia della musica l'età di mozart e beethoven, Sintesi del corso di Musica

Riassunto l'età di mozart e beethoven

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016
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Scarica Storia della musica l'età di mozart e beethoven e più Sintesi del corso in PDF di Musica solo su Docsity! L'ETÀ DI MOZART E DI BEETHOVEN I. La musica strumentale 1. La geografia musicale a metà del Settecento Nella seconda metà del '700 l'Italia si appresta a perdere il suo primato musicale poiché i maestri più grandi nel Paese non sono italiani, mentre gli italiani maggiori sono all'estero e assumono le maniere dai paesi ospitanti. Comunque l'Italia continua ad essere considerata la patria della musica: Napoli con i suoi conservatorii prestigiosi; Roma è ancora il centro della musica sacra; Bologna con il nuovo Teatro Comunale e con il sacerdote Martini (autorità musicale indiscussa); la Toscana, sotto i Lorena, attraversa un fiorente periodo per la musica strumentale (soprattutto da camera); Milano, provincia austriaca, è legata a Vienna; Venezia con i suoi 4 conservatorii, la basilica di San Marco e molti teatri (esordio di Goldoni librettista d'opera). Ma anche altri centri prendono importanza. Francia e Inghilterra sono ormai al centro della vita politica ed intellettuale europea: Parigi, con i suoi teatri, i pubblici concerti, gli editori di musica, i costruttori di strumenti, diventa un polo d'attrazione unico; Londra però le contende il primato del mercato musicale. In Europa inoltre c'è l'imponente figurato dell'acculturato e musicofilo Federico II di Prussia, patria delle rivoluzioni copernicana, kantiana e la politica di Federico. Tuttavia il cuore musicale dell'Europa centrale rimane Vienna, capitale dell'Impero, che attrae musicisti da tutta l'Europa. A Berlino, dove Federico suona il flauto con Quantz e ha al suo servizio C.Ph.E. Bach, c'è sempre musica. Al carattere cosmopolita di Vienna, Berlino oppone più tipici caratteri tedeschi. Lipsia, la piccola Parigi, è da tempo legata alla cultura francese; A Dresda c'è l'orchestra di corte più famosa d'Europa, che poi cederà i primato a quella di Mannheim. Le terre tedesche in generale conoscono un periodo di fioritura musicale: la musica entra nella vita di tutti i giorni attraversando più strati sociali. A spiccare sono anche Lisbona e Madrid, dove Domenico Scarlatti ha lasciato una scia di compositori per strumenti a tastiera e dove si stabilirà Boccherini. Amsterdam mantiene la sua importanza nell'editoria musicale. In Polonia nascono teatri e vengono accolti musicisti tedeschi, francesi e italiani. Locatelli porta l'opera italiana in Russia Ormai poi bisogna anche guardare oltre oceano: a Boston, New York, Philadelphia, Charleston nasce una vita concertistica, si importano musiche e strumenti da Parigi e Londra, e si esegue musica in contemporanea con l'Europa. 2. Lo stile galante e la nuova sensibilità Tra il 1740 e il 1760 in una rivista viene criticato Bach padre per le troppe difficoltà, i troppi vincoli nel notare gli abbellimenti, la troppa polifonia. La critica deriva dalla rpesenza di uno stile contrario, che è lo stile galante. Questo termine denota piacevolezza, spontaneità, libertà. Nell' Encyclopédie di Diderot e D'Alembert, Rousseau dedica solo poche righe alle voci di contrappunto e fuga, considerandole più scientifiche che orecchiabili. La scienza non ha quindi più nulla a che fare con la musica, che ora è un'arte. La scrittura è sfoltita a due o tre parti, che separi canto e accompagnamento. I temi sono più brevi e distribuiti con simmetria, i ritmi sono regolari, i battiti sono uniformi, imparentandosi con la danza attraverso i moduli di minuetto, gavotta, polacca, giga. La melodia deve essere suggerita dalla natura, ma può essere abbellita dall'arte; così nascono le nuove classificazioni degli abbellimenti. Nel giro di pochi anni appaiono i trattati di Marpung, Quantz, Leopold Mozart, tutti concentrati sui minimi particolari esecutivi, sul gusto e sulle inflessioni espressive. Ma nella loro meticolosità, questi si rivolgono anche ai dilettanti, e la facilità diviene un requisito importante. Nasce una sorta di “sonatismo delle dame”. Un altro termine che spesso ricorre nei frontespizi è quello di “conversazione”. Una tendenza alla conversazione è presente anche nei trattati di composizione. Se la semplicità del dettato e la facilità esecutiva sono il sintomo di una società musicale che ha ampliato i suoi confini, lo stile galante ha pure una tradizione teorica interna, motivazioni di “poetica musicale” tese a inserirlo in un disegno evolutivo dell'arte musicale. È probabilmente Mattheson il primo a ragionare attorno all'aggettivo “galante”. Intorno agli anni '50 questo stile diventa il centro di ogni discussione, specie ad opera di Marpung, Quantz e C.Ph.E. Bach. In particolare Marpung ricorre al termine “galante” per designare un trattamento fugato più libero di quello di Bach. Il suo atteggiamento è di tolleranza: questo stile galante esiste ed è penetrato addirittura nella fuga, ma va accettato con moderazione; non può certo sostituire lo stile severo della fuga di Bach. Questo tono di legittimazione continua in trattatisti posteriori. Lo stile galante non presenta figure di dominatori musicali; le grandi personalità della prima metà del secolo (Bach, Handel, Scarlatti, Rameau) gli sono estranee. Tuttavia il gusto diffuso dallo stile galante, con sui si privilegia il sentimento sulla ragione, si diffonde con vigore. Questa corrente, che prende ogni settore dell'attività umana, muove dall'Inghilterra, dove prendono piede i romanzi di Samuel Richardson. Charles Avison in un trattato mette su uno stesso piano melodia, armonia, espressione come fondamenti della perfezione, mentre appelli al sentimento sono continui nel trattato di C.Ph.E. Bach (Lettura 1). Si delimitano alcune aree di influenza che preparano il terreno al Romanticismo: dare ruolo predominante a sentimento e natura rispetto alla ragione significa inclinare per l'Inghilterra anziché per la Francia. Rousseau scrive la Nouvelle Héloise, un romanzo che celebra la forza del sentimento e in cui si parla di musica con molto più calore di come è descritta nell'Encyclopedie (Lettura 2): la partecipazione emotiva del soggetto ascoltante va molto oltre l'oggetto musicale in sé e si fa strada una “musica immaginata” da scrittori molto più turbolenta di quella “reale”, ancora alla resistenza del linguaggio musicale. In questo complesso ideale, che ha il suo centro dell'emozione soggettiva, sta la sostanza dello stile galante. Basterà che questo sentimento si evolva un poco e “galante” sarà un mondo vecchio e frivolo, diventando sinonimo di insipidezza. Il sentimento più robusto e la razionalità più spregiudicata dissolveranno il “galante”, ma entrambe le cose hanno le premesse nei decenni 1740-60 di musica terra terra che ha tuttavia sgombrato il terreno dai resti dell'età barocca. 3. La forma-sonata come forma fondamentale Se la prima metà del '700 è dominata dal violino, la seconda metà del secolo vede l'affermarsi del pianoforte a martelli sul clavicembalo. Quest'ultimo, spogliato delle sue responsabilità polifoniche, è forte dell'arte degli abbellimenti, indicata con precisione dall'autore stesso. Per quanto i primi pianoforti non si distinguessero molto dai clavicembali per intensità di suono e per colore, è facile intuire l'avvenire di uno strumento come il pianoforte, capace di far dipendere il colorito dalle pressione delle dita dell'esecutore andando quindi incontro all'esigenza di rendere sempre più “espressiva” la musica. Ma il clavicembalo non fu spodestato con facilità: l'invenzione del pianoforte da parte di Bartolomeo Cristofori è divulgata nel 1711; le prime sonate sono del 1732; i primi concerti pubblici sul pianoforte risalgono a inizio anni '60, ma fino al decennio 1770-80 il clavicembalo restò dominatore; l'indicazione editoriale “per il cembalo o pianoforte” inizia ad apparire nel 1763 e resta comune fino al 1800, anche se nelle sonate di Mozart e Clementi si indica già solo il pianoforte. Un altro posto di rilievo è occupato dal clavicordo che consentiva modificazioni di colorito e quell'effetto detto Bebung, una sorta di vibrato ottenibile con la pressione del dito sul tasto, favorendo così l'intimità della musica domestica. Ma proprio per la sua flebilità sonora, non poteva gareggiare con le possibilità “pubbliche” del pianoforte. Nel contempo l'orchestra acquista un carattere più sinfonico rispetto al concertismo dell'età barocca. Alla massa degli archi si affiancano come sostegno coppie di strumenti a fiato (corni, poi oboi o flauti) che vanno sempre più aumentando fino a sostituire la policromia del concerto barocco con un organismo unitario. Questa direzione analoga che conduce al pianoforte e all'orchestra sinfonica è connessa ad una costituisce un corpus di dimensioni rilevanti (oltre 300 lavori). Le raccolte principali sono quasi tute degli anni berlinesi. Le sue sonate seguono lo schema in 3 movimenti senza Minuetto: il primo movimento è in forma- sonata e il tematismo può essere quasi nullo; la scrittura è più “osservata” che galante. Emanuel forse non era troppo interessato alla forma-sonata; la forma che più gli si adatta è quella della fantasia o del rondò. C.Ph.E. Bach inoltre non aveva ereditato la vena espressiva del padre, fa fatica a scrivere; ma proprio questo sforzo è il suo aspetto più fecondo. La fantasia di Emanuel sembra subire le fluttuazioni del sentimento, caratteristica che affonda le proprie radici nell'opera del padre, di cui ha conservato carte e musiche venutegli in eredità, scrivendo concerti, cantate e fughe di stampo paterno. I suoi concerti scorrono nel solco vivaldiano, haendeliano e paterno, ma presentano grandi novità. La sua influenza è forte tra tutti i cembalisti tedeschi contemporanei, soprattutto in area berlinese ma anche nella Germania centrale. Egli sarà negli anni successivi un richiamo alla serietà e all'impegno. 6. Schobert a Parigi Questi nuovi climi espressivi hanno un riscontro nella produzione strumentale di Johann Schobert, attivo a Parigi. Qui la musica strumentale si stacca dalle tradizioni, allontanandosi dall'arte clavicembalistica. Prevale invece la musica per violino e strumenti ad arco. Ma con Schobert, dalla sonata con il violino sul cembalo che fa il basso continuo, si passa a sonate che prevedono ancora il violino, però in posizione subordinata. Solo due sonate sono per cembalo solo, tutte le altre son con accompagnamento di violino riservando tuttavia al clavicembalo il ruolo di protagonista. Schobert lavora come cembalista di corte (presso il principe de Conti) e la sua sonata, moderna nel primo movimento, si lega alla suite nella conclusione. Egli intuisce il valore della modulazione ma piè frequentemente costruisce frasi con simmetria e ridondanze. Mozart bambino, ricevuto a suonare in casa de Conti, subirà l'influsso di Schobert, riscontrabile nelle sue prime sonate per violino e cembalo (predominio della tonalità minore, attimi di improvvisa serietà). 7. Sammartini, Stamic e le origini della sinfonia moderna Dagli anni '40 si verifica un intensificarsi progressivo di composizioni orchestrali denominate sinfonie (anche grazie alla diffusione del concerto pubblico). Dal 1770 circa, la sinfonia sarà il genere strumentale per eccellenza. La struttura è la forma-sonata e l'uso di un vasto insieme di strumenti porterà al passaggio da 3 a 4 movimenti (con minuetto finale e talvolta un'introduzione lenta). Tra il 1740 e il 1770 il problema della sinfonia è il suo distacco dal concerto barocco: la forma- sonata sostituisce senza difficoltà la struttura dei ritornelli tutti/concertino; il cembalo di ripieno (basso continuo) perde importanza; la massa d'archi, spesso raddoppiata nei bassi, si poggia sulle note tenute dai corni. La loro limitatezza tonale restringe il campo delle tonalità sfruttabili per un po', ma questo rientra nella tendenza galante. Gli ottoni e i fiati che aggiungeranno sostituiranno il cembalo continuo. I punti in cui invece la sinfonia si muove più lentamente rispetto alla sonata clavicembalistica sono quelli della configurazione dei temi (per lungo tempo legati alla tradizione del concerto barocco) e del criterio distributivo secondo lo schema della sonata a tre. Nello svincolarsi dalle matrici di concerto e sonata a tre ha avuto molta importanza la sinfonia d'opera (dalla forma tripartita all'italiana instaurata Alessandro Scarlatti) in cui si rileva più ricchezza di strumenti e più disinvoltura nella scrittura. Prima di Haydn, la sinfonia ha due personalità di spicco: Sammartini e Stamic. Sammartini, diversamente dagli altri italiani, vive in Italia, ma nonostante questo ha fama europea. La sua predilezione per la sonata a tre testimonia come egli sia all'avanguardia; le sue prime sinfonie sono ancora, in sostanza, concerti barocchi nella forma, ma gli spunti imprevisti e le code, un senso più unitario dei tre movimenti, con temi pensati per l'orchestra e non più per il violino, lo rendono comunque avanguardista. Nelle sinfonie successive i movimenti esterni si ampliano, quello lento accoglie abbellimenti galanti. Il suo Andante, nel Dizionario musicale di Rousseau, sarà l'Andante per antonomasia. Il secondo tema prende sempre più rilievo, nella forma-sonata c'è un nuovo contrappunto tra le parti: ogni parte, anche il basso, collabora con proposte motiviche e ritmiche dissimili tra loro, ma tuttavia integrate in un tutto. Grazie a Sammartini Milano diviene il centro strumentale più progressivo d'Italia. L'altro punto di riferimento per la sinfonia pre-haydniana è Stamic, portatore di novità più appariscenti di Sammartini. Cresciuto in un ambiente colto, si trasferisce a Mannheim nel periodo del principe elettore Karl Theodor von Pfaz-Salzbach, il quale voleva fare della sua corte una nuova Versailles. Trasforma l'orchestra di corte rendendola un organismo perfetto, pubblicizzandola molto. A dare all'orchestra di Mannheim la fama di piccola macchina da sinfonia, l'azione di Stamic è fondamentale. Il principe, oltre a dargli un grosso stipendio, gli accorda la libertà di andare a Parigi. Stamic è uno dei primi musicisti a compiere con successo il salto tra la corte e la libera professione in una grande città, dove riscuote un grande successo. Scrive una 70ina di sinfonie e, rispetto a Sammartini, Stamic è musicista fine e meno profondo, ma è più rivolto al futuro. Le sinfonie mature si articolano in 4 movimenti: il Minuetto è al terzo posto, zona di pausa piacevole, prima di un più consistente finale; le orchestre parigine danno a Stamic la possibilità di introdurre nella sinfonia i clarinetti. Nella forma-sonata si fa strada una forte divaricazione tra primo e secondo tema: il primo è ritmico con il predominio dei fiati, il secondo è in mano degli archi. Stamic fa inoltre uso di un ritmo armonico più lento (lunghe sezioni senza cambi di armonia). Anche se non manca in Stamic l'aspetto della meditazione tematica, ciò che colpì di più i contemporanei fu la musica dal tono vitale, “rumoroso”. Da Stamic deriva la scuola di Mannheim, grazie alla quale in questi anni, a Parigi, la musica tedesca compie il primo passo verso la notorietà europea. L'attenzione parigina verso gli stranieri supera quella verso la produzione locale. La sinfonia francese, del resto, rimane legata alla forma dell'ouverture di Lully con la sua struttura Lento - Allegro fugato – Lento. Rispetto a Parigi e Mannheim, Vienna si pone al polo opposto: si parte da inizi umili e legati alla tradizione, in un clima culturale che non conosce la modernità di Karl Theodor, e piano piano arriveranno Haydn e Mozart e poi Beethoven e infine Schubert così che la sinfonia moderna si identificherà con la scuola viennese. Berlino, capitale del regno di Prussia, rimane un po' tagliata fuori da questa nuova corrente sinfonica: né il grande Federico né C.Ph.E.Bach potevano essere il fulcro di interessi sinfonici moderni. La produzione sinfonia di Emanuel è rilevante per quantità e per ricchezza di strumenti ma ha qualcosa di tardivo, specie per i temi usati, di stampo paterno. 8. Johann Christian Bach. Londra e l'incontro con Mozart Johann Christian Bach, appena quindicenne quando il padre muore, va prima a Berlino e poi (con lo scoppio della guerra dei Sette anni) va a Milano sotto la protezione della famiglia Litta che gli permette di studiare a Bologna con padre Martini. Si converte al cattolicesimo, diventa organista del Duomo e scrive opere per i teatri maggiori d'Italia. Il contrappunto che impara non è quello del padre, bensì di padre Martini, e quindi rimane circoscritto alla musica da chiesa. L'influsso più forte è quello di Sammartini. Andato a Londra, protetto dalla regina, Johann Christian vive come libero professionista, insegnando il cembalo, organizzando concerti pubblici e tentando la fortuna nell'ambito dell'opera seria. Viene chiamato a Mannheim per l'opera e gliene viene commissionata una anche a Parigi; ma gli ultimi anni sono di povertà e solitudine. Anche se come organista, a Londra, era svantaggiato, nel sonatismo ebbe invece molta fortuna. Gli inglesi attivi intorno al 1760 mostrano di seguire ancora il modello di Handel (che si attenua solo di fronte a Domenico Scarlatti); Johann Christian Bach invece, avendo acquisito lo stile galante e le idee di Sammartini, parlava una lingua strumentale che era almeno un ventennio avanti a quella dei maestri inglesi. Lo provano le sonate, scritte per pianoforte, strumento che lui, tra i primi, usò nei concerti pubblici. Mozart incontra Johann Christian a Londra negli anni '60 e gli si lega di affettuosa amicizia. Dopo aver conosciuto Schobert a Parigi l'anno prima, Mozart scopre in Johann Christian un polo opposto di leggerezza e serenità poiché usa poco le tonalità minori, e se anche le usa, ci mette una decisione ancora ignota. Le sue influenze sul piccolo Mozart sono universalmente riconosciute III. Haydn e Mozart 22. Lo “Sturm un Drang” e la musica Una delle più radicali opposizioni al gusto galante è il movimento letterario tedesco detto Sturm und Drang, sviluppatosi tra 1770 e 1780 in coincidenza con una svolta musicale. Il gruppo, di cui fanno parte anche Klinger (dal cui romanzo il movimento trae il proprio nome), Goethe, Herder, Lenz e Wagner, raccoglie simpatie tra poeti e intellettuali. Tutti sono giovani, borghesi e avviati come precettori o come dipendenti di principi e si fanno conoscere sui periodici. Shakespeare è il loro autore di riferimento, ma si nutrono anche di Rousseau e Richardson. In campo letterale pongono alcuni capisaldi: sostituzione di Shakespeare ad Aristotele come maestro di regole drammatiche, centrare l'opera sulla figura dell'eroe, proposta di un'arte essenziale che faccia rivivere allo spettatore l'emozione subita dall'autore e di conseguenza uso di un lessico immediato, sfruttamento senza mezzi termini del “brutto” purché segnato dall'attributo della grandezza (natura sconvolta e ostile), sublimi esempi di virtù ma anche di brutto morale, riscoperta del canto popolare e dei miti tedeschi. Lo Sturm un Drang resta localizzato negli anni 1770-80, come breve e violenta stagione creativa. In senso generale, indica l'ingresso in scena di un'arte impegnata con il recupero di una concezione eroica della vita. Ciò che, in musica, si ricerca nello Sturm und Drang arriva solo in pieno Romanticismo. Nel decennio 1770-80, la musica si può circoscrivere a due campi stilistici principali: Gluck (orchestrazione scura, tonalità minori trattate con più ampiezza) e C.Ph.E. Bach (stile della sensibilità). Intorno al 1770 comunque iniziano a comparire alcuni toni più severi: tonalità minori a Mannheim, parole gravi e polso più rapido di Haydn, concitazione di Boccherini, gravità dei Quartetti in minore di Haydn trasmessa al Quartetto in re minore di Mozart (che si oppone alle sinfonie-divertimento- serenate ancora di moda). La tendenza amplificatrice, a fare la voce grossa, si afferma nel settore pianistico: Clementi nelle sonate elimina molti abbellimenti; Mozart suona una sua sonata su un pianoforte con pedale di risonanza restandone entusiasta. 23. L'apice della forma-sonata All'inizio degli anni '70 Vienna stava per diventare il centro musicale d'Europa e per sviluppare quello stile che sarebbe stato definito classico. Il fulcro di questa esperienza sarà strumentale, con una fitta produzione di sonate, sinfonie e quartetti. Al tempo dell'affacciarsi sullo stile galante la forma-sonata riportava lo schema Allegro- Adagio-Allegro BCB'C'. Ma tra 1770 e 1810 nelle mani di Haydn, Mozart e Beethoven il genere forma-sonata assume nuovi caratteri: ogni suo carattere viene potenziato. Il primo passo è il superamento dello poetica dello stile galante: la sonata anni 50 era l'antitesi della fuga, dell'elaborazione polifonica su base imitativa; ora c'è un crescente ritorno del contrappunto, inizialmente di tipo fugato. Vienna, piena di contrappuntisti tradizionali, è l'ideale. Alla fine degli anni '70, gli spezzoni fugati inseriti nel corso della sonata si sciolgono nell'autonomia di più parti simultanee: si rinforza uno stile a dialogo e la poetica galante viene perseguita su un piano intellettualmente più alto, come gioia di pensare e costruire con i suoni. Queste nuove possibilità discorsive si insinuano soprattutto nella seconda sezione del modello sonatistico, in quel momento di diversione tra esposizione e ripresa; questa parte della forma-sonata acquista estensione e intensità sviluppando le idee dell'esposizione con la tecnica della variazione e dell'intreccio imitativo. Questa sezione la si può di strumenti soli, nei recitativi strumentali, nell'abbondanza di passi in progressione. Lo scambio di forme tra concerto e sonata dura a lungo: sinfonie con fughe con temi alla Fux, sinfonie simili a “sonate da chiesa”, movimenti di doppio concerto barocco. In genere tra il 1763 e il 1766 Haydn è molto interessato al concerto e ne scrive parecchi per il violinista della corte Esterhàzy. Progressioni, temi salienti per ritmo, effetti d'eco, tonalità minori senza tragicità sono caratteristiche dei lavori fino al 1766. tra il 1766 e il 1770 avviene una trasformazione sia perché Haydn diviene primo maestro di cappella con il conseguente incarico di scrivere musica sacra sia perché viene un po' bistrattato da gazzette di Amburgo e Lipsia. Fatto sta che all'inizio degli anni '70 Haydn è quasi un nuovo musicista: l'impiego di strumenti soli in campo sinfonico non ricorre più dopo il 1766; alcune delle Sonate che vengono definite Divertimenti in realtà sono già vere e proprie “sonate per pianoforte”; la metrica regolare a quattro battute per volta diventa dominante senza andare verso improvvisazioni concertanti; si intravedono possibilità discorsive sulle modulazioni; i temi prendono più importanza; i soprannomi dati alle sinfonie di Haydn diventano più frequenti, altro sintomo di oggettive facoltà descrittive. Alcune idee tematiche rimandano all'opera di Gluck, ma sono presenti richiami anche a C.Ph.E.Bach. Nella seconda metà degli anni '70, almeno in campo sinfonico, la tensione creativa del periodo 1768-74 si spiana in una certa corrività. Il decennio 1174-84 registra inoltre il maggiore impegno di Haydn nel campo melodrammatico; tutti nati per la corte di Esterhàza, i lavori teatrali di Haydn si affacciano non solo all'amabile mondo goldoniano ma anche all'opera seria: presentano pezzi magistrali per proprietà vocale e integrazione strumentale, ma mancano di strategia teatrale. Dei suoi rapporti col il teatro Haydn prende coscienza con ammirevole lucidità dopo le grandi opere italiane di Mozart. I sei Quartetti op.33 (1782) sono il primo risultato cospicuo del fervore quartettistico che investe l'ambiente viennese nel decennio 1780-90. Le possibilità del linguaggio sonatistico qui i definiscono e si ampliano: la musica di Haydn diventa piena di beffe, senza freni quando le situazioni sono puramente musicali. La duttilità linguistica esibita dai quattro archi è più che degna della formula “maniera fatto nuova e speciale” usata da Haydn presentando la raccolta: il Largo cantabile del quinto Quartetto è un'allusione gluckiana; i temi degli Scherzi hanno la precisione orecchiabile del Singspiel e in genere i secondi temi si muovono nella metrica spaziosa dell'aria vocale italiana. Risultati simili si riversano nel campo sinfonico, specie quando Haydn nel 1785 è incaricato di scrivere per Parigi e per le più importanti orchestre del tempo. Le sei Sinfonie “parigine” (nn.82- 87) composte tra 1785 e 1786 rivelano un Haydn quanto mai estroverso, deciso a usare i più vivaci colori dell'orchestra. Mostrando una propensione al gioco già sensibile nei Quartetti: il compositore non teme di mescolare la raffinatezza con oggetti di marca contadina, invece di una fusione di galante e dotto spesso di assiste ad una fusione di galante e popolare. La capacità rappresentativa ha la sua punta in parti di breve respiro, come i trii dei Minuetti. Come per i Quartetti op.33 tutti questi particolari extrasonatistici acquistano il loro significato dall'energia della forma-sonata sottostante: il principio dell'elaborazione tematica e il gioco delle modulazioni si affermano con evidenza. Questa economia tematica, anticorpo verso le tentazioni teatrali della forma-sonata, è soprattutto evidente nei sei Quartetti op.50 (1787) dove di norma il secondo tema è evitato. Dopo Parigi, Haydn va a Londra: si presenta con alcune sinfonie che risultano nuove anche per il pubblico britannico (es. la n.82, chiamata “Oxford”). Nella prima metà degli anni '90 Haydn realizza le sue ultime dodici Sinfonie scritte per i Concerti Salomon, modello vincolante non solo per i musicisti vicini ad Haydn a Londra e Vienna, ma ancora per Beethoven, Schubert, Rossini e Weber. Nelle sinfonie “londinesi” c'è un'amplificazione di elementi che sono di casa in Haydn da circa un ventennio; rispetto alle “parigine” c'è una maggiore posatezza di forme, specie nell'ultima serie (nn. 99-104): l'orchestra accoglie stabilmente clarinetti, trombe e timpani, prima usati solo nelle sinfonie “solenni”. È lecito supporre che in questa direzione abbiano influito le tre grandi Sinfonie di Mozart del 1788. Nelle “londinesi” c'è ancora un minore radicalismo di pensiero sonatistico: si ritrovano nette divisioni tra canto e accompagnamento e c'è persino un riscatto del basso albertino; inoltre c'è posto per un recupero del solismo concertante, con vari pezzi che alludono al concerto barocco. Ma il codice della forma-sonata è qui più che mai presente. Sulla scia di Sinfonie come le nn.82 e 92 anche le “londinesi” (nn.93-104) si atteggiano a Final Symphonien (magistrali gli Andanti ma si aspetta con impazienza il Minuetto e soprattutto il Finale); in alcune si perfeziona un tipo di Finale che prende la corsa da idee sussurrate in pianissimo; in altre i finali mostrano episodi contrappuntistici che forse hanno il modella nella Jupiter mozartiana; nell'ultima (n.104) il Presto conclusivo ribadisce la fedeltà ai valori rustici. L' Haydn postlondinese si compendia principalmente nei lavori sinfonico-corali, le ultime Messe e gli oratorii La creazione e Le stagioni. Quando ritorna a Vienna nel 1795, Haydn ha chiuso molti conti, non solo con il genere sinfonico: la sua ultima Sonata (n.52) è una grande sonata da concerto, accostabile per l'ampiezza di concezione alle “londinesi” e alle contemporanee Sonate op.2 di Beethoven nella definitiva archiviazione del clavicembalo; anche i Trii per pianoforte, violino e violoncello non sono più sonate per pianoforte “raddoppiate” dagli altri strumenti, ma reale musica da camera nel senso già indicato da Mozart. Le sei ultime Messe racchiudono il senso di una fedeltà austriaca alla buona tradizione cattolica, ma sul piano del contenuto musicale sono opere dignitosamente noiose. Ben diverso è il caso dei due oratorii. La creazione si collega ai primi passi di una coscienza “storica” nella musica e lo sguardo al passato diventa più profondo per l'impiego del mezzo corale e per il ricorso al modello di Haendel (come il coro n.26); inoltre tutto il simbolismo connesso alla materia degli oratorii sommuove la vocazione realistica di Haydn al racconto e al bozzetto; le formule usate per gli elementi naturali e per gli animali nella Creazione e nelle Stagioni rimasero in voga per gran parte dell'800. Quelle assonanze mozartiane avvertibili nelle ultime “londinesi” si accentuano nei lavori contemporanei ai primi anni della fama postuma di Mozart (esempi: molte arie delle Stagioni; gli Adagi dei Quartetti opp.76 e 77). Fuori da quadri della forma-sonata anche la composizione puramente strumentale acquista sfumature inedite: ogni stagione ha un suo breve preludio sinfonico (l'introduzione dell'estate presenta un'orchestra scura, in attesa della luce mattutina). Da molti espliciti segni si avverte che questo Haydn quasi settantenne aveva percepito alcune delle caratteristiche romantiche che gli maturavano attorno. 25. Altre vie del sonatismo. Dittersdorf, Boccherini Il superamento dello stile galante in funzione di una logica sonatistica, è perseguito in modo episodico in tutta Europa da parte della generazione di nati del 1730 e il 1740. Con i compositori successivi agli Haydn e Mozart degli anni '80, la dottrina polifonica e lo stile galante-rococò sono ancora manifestazioni che non trovano un punto di fusione e convivono separate; solo che alla prima manca la passione del pensiero, al secondo manca il coraggio di seguire fino in fondo la via del piacere. Specie in Austria la separazione è evidente e il più versatile è Karl Ditters von Dittersdorf. Virtuoso del violino e letterato, nel 1761 viaggia in Italia con Gluck, poi conosce Haydn e Mozart (una fonte tarda parla del quartetto viennese Dittersdrof-Haydn-Mozart-Vanhal). Dittersdorf persegue un forte internazionalismo, esplicito nella Sinfonia nel gusto di cinque nazioni (con un Allegro “tedesco”, un Andante “italiano”, un Allegretto “inglese”, un Minuetto “francese” con trio “turco” e un Finale internazionale cioè viennese. Nelle sinfonie a programma il modello gluckiano viene fatalmente in primo piano, mentre l'influenza di Haydn e Mozart è presente nei suoi quartetti, sebbene Dittersdorf mostri poca sensibilità all'esperienza sonatistica più radicale. Con l'intensità della sua vita musicale, la Vienna degli anni '70 è ormai la capitale della musica nei paesi di lingua tedesca. Tale non è più Mannheim: nel 1778 l'elettore Karl Theodor si trasferisce a Monaco e il centro si provincializza rapidamente, i membri della scuola si spostano sempre più verso la Francia o verso Monaco. Lo sbocco accademico è manifesto nella creazione di un istituto, la Mannheimer Tonschule, fonda da Vogler nel 1776. A Parigi le iniziative pubbliche hanno sempre più dinamica e l'editoria è sempre più efficiente: la diffusione di Haydn parte da Parigi, dove anche Boccherini pubblica i suoi lavori dal 1767 fino ai tardi anni '90; si stabilisce una corrente italo-parigina che contrasta con il polo viennese compendiabile nella fortuna parigina di Haydn. Il genere preferito dai francesi è la symphonie concertante il cui criterio formale è condiviso da trii e quartetti. Ad eccezione di Lombardia, Piemonte e Toscana (quest'ultima legata a Vienna dalla dinastia dei Lorena), la musica strumentale italiana degli anni 70 va ormai individuata all'interno di tutta l'Europa. A Torino troviamo il violinista Gaetano Pugnani. L'altro vivaio violinistico italiano è la Toscana, in particolare Livorno e Lucca. Direttamente dalla scuola di Tartini proveniva il livornese Pietro Nardini che nel 1766 ritorna in patria da Stoccarda. Proprio in quell'anno si forma a Milano un quartetto nel senso concertistico moderno del termine formato dai toscani Nardini (violino), Manfredi (violino), Cambini (viola) e Boccherini (violoncello). Ma all'inizio del 1768 Boccherini, Manfredi e Cambini sono già a Parigi; Cambini vi si radica per sempre; Nardini si fissa a Firenze; Manfredi rientra poi a Lucca; Boccherini si sposta da Parigi a Madrid. I primi anni di Luigi Boccherini testimoniano le difficoltà per un musicista votato alla musica strumentale di continuare a lavorare in Italia. Appena quindicenne si reca a Vienna con la famiglia ingaggiato nell'orchestra del teatro di corte; nel 1764 è al servizio della cappella Palatina di Lucca; due anni dopo è violoncellista nell'orchestra di Sammartini, la cui conoscenza, dopo quella di Gluck, è l'esperienza fondamentale per Boccherini; degli stessi anni è l'attività col quartetto toscano. Dopo una breve esperienza a Parigi, nel 1768 l'offerta di un posto sicuro vecchio stile, alla corte di Madrid, gli pare preferibile allo stato del musicista libero. Per oltre un quindicennio Boccherini è compositore da camera dell'infante don Luis a Madrid. Con la fine dell'ancien régime i protettori di Boccherini lasciano la Spagna; per breve tempo è sostenuto da Luciano Bonaparte ambasciatore di Francia a Madrid, ma partito anche costui, resta a Madrid con una piccola pensione reale e i pochi guadagni delle sue opere. Nonostante l'isolamento spagnolo di Boccherini, la sua musica resta sempre presente nei mercati musicali dell'Europa. Soprattutto Parigi è il suo trampolino di lancio. Come Dittersdorf e altri, Boccherini ambienta Gluck in terreno sonatistico con unisono sforzati, salti e cromatismi, ma, nel contempo, è anche presente la voce quasi contraria di Vivaldi, inconfondibile in certe aperture in tonalità minore. Le sei Sinfonie op.12, decisa svolta dal modello di Sammartini per la robustezza del tono, si inseriscono da protagoniste nel panorama europeo: la pennellata melodica ha un potere persuasivo; solo i Finali sono deboli e diluiscono in risalti dei Minuetti con loro trii disposti a liberare ricordi concertanti. L'estraneità profonda di Boccherini al sonatismo viennese risulta, a prima vista, soprattutto nei quintetti per archi dove il compositore toscano opera da solo. Il perdurare fino a fine secolo dei quintetti (mentre sinfonia e quartetto iniziavano a spopolare), è indizio di un temperamento linguistico irregolare. Boccherini non lavora su temi singoli, ma su una melodia che attraversa uguale a se stessa primo e secondo tema. Tonalità maggiori e minori. Il problema cardine della forma-sonata, ovvero la contraddizione tra statico (rilievo del tema) e dinamico (sviluppo), non è per lui. Anche a uno sguardo a distanza Boccherini presenta zone di tranquilla mentalità conservatrice: divideva la sua produzione da camera in “opere grandi” e “opere piccole”; resta fedele al Minuetto. Di attuale c'è solo il ricorso alla musica popolare spagnola, con danze andaluse, con spunti descrittivi che troppo modestamente Boccherini ritiene prodotti di raggio limitato, non commerciabili oltre i confini spagnoli; anche l'interesse per la chitarra intorno al 1798-99 riflette i Gluck, ma la nomina è poco più che onorifica e le uniche commissioni sono danze di società, minuetti, contraddanze ecc. Nel 1789 si dirige a Berlino sperando di essere preso al servizio di Federico Guglielmo II, ma ne ritorna solo con l'ordinazione di sei Quartetti (ne scriverà 3) e di sei Sonate per pianoforte (ne scriverà 1). L'estate di quell'anno è la più misera della vita di Mozart. Nel 1790 va in scena Così fan tutte ordinatogli dalla corte, ma la morte di Giuseppe II interrompe l'iniziale successo. Mozart non riesce ad ottenere la nomina di secondo maestro di cappella nemmeno sotto Leopoldo II. Al 1791 risale l'episodio saliente della “vita romantica” di Mozart: un privato gli commissiona un Requiem, ma la psiche emotiva turbata del compositore fa sì che tale lavoro rimanga incompiuto. Nell'estate del 1791 Mozart viene applaudito a Praga con la Clemenza di Tito e ancor più a Vienna con il Flauto magico, ma è troppo tardi per ridare quota al musicista, ormai logorato dalla malattia, che muore il 5 dicembre 1791. Come mai la libertà fu pagata a così caro prezzo da Mozart? Sicuramente l'Austria anni 70 si rivela piuttosto ostile al musicista, ma l'insuccesso nella Vienna giuseppina non ha ancora trovato motivazioni soddisfacenti. La letteratura delle “responsabilità sociali”, per spiegare la rottura con l'aristocrazia viennese”, usa puntare molto sulla carica rivoluzionaria delle Nozze di Figaro, ma la causa del limitato successo di quell'opera è forse da ricercare nella complessità del suo tessuto musicale. Inoltre Mozart presenta tutta la sua ricchezza e novità di pensiero musicale senza programmi e senza ausilio di pubblicità, in un'età che era intrisa di intellettualismi e di dichiarazioni teoriche : l'intellettuale Gluck riesce, il non intellettuale Mozart no, isolato in quel suo andare al cuore dei problemi solo attraverso la musica. Anche come pianista concertista, a Mozart era preferito Cluzio Clementi dalla visione molto più internazionale dell'attività concertistica. Infine il mancato riconoscimento si può anche imputare alla brevità della vita: egli stava per avere successo presso la borghesia più avanzata d'Europa (es. Londra, Amsterdam, Magonza, Mannheim, Monaco), ma era presto perché questi germi nazionali coagulassero a favore di Mozart nella stessa misura in cui sosterranno Beethoven. L'aristocrazia e la borghesia austriache si stringeranno proprio intorno a Beethoven, togliendolo da ogni peso materiale, tollerandone tutte le bizze, e scongiurando la possibilità di vederlo andare all'estero: una nuova saldatura tra mecenatismo e libera professione che Mozart nel decennio 1781-91 non era ancora realtà storica. 26.4 Fino al distacco da Salisburgo La produzione di Mozart non è stata troncata improvvisamente dalla morte, è un universo finito e concluso che abbraccia tutti i generi musicali del tempo; d'altra parte le opere perfette arrivano con relativo ritardo rispetto alla celebre precocità. Il quadro cronologico dell'opera di Mozart può essere in tre fasi: 1) 1763-73 (il decennio della formazione) → periodo dedicato all'esplorazione dei generi musicali, in una dinamica alterna tra presa visione di modelli durante i viaggi ed elaborazione di essi una volta rientrato a Salisburgo. Le Sinfonie del viaggio a Londra (1765) K. 16, 19 e 22 sono in 3 movimenti, tipo sinfonia d'opera all'italiana; le Sinfonie scritte a Vienna (1767-68) sono in 4 movimenti con il Minuetto in terza posizione, aderenti allo stile galante, ma comunque aggiungendo la nota seriosa tipica del barocco viennese. L'alternanza tra stile galante e stile dotto barocco è evidente delle 27 Sinfonie nate durante gli anni dei primi viaggi in Italia; e simile è la vicenda dei Quartetti: se i primi sono caratterizzati dall'ideale italiano della cantabilità, i sei Quartetti viennesi (1773), sul modello di Haydn, sono più rigorosi (movimenti interi sostituiti da fughe, scrittura imitativa, sfruttamento intensivo dei temi, impianto in 4 movimenti). La prima formazione di Mozart è dunque strumentale, ma l'opera non poteva aspettare a lungo: i primi esercizi teatrali (1766-68) sono d'occasione salisburghese, ma con i due lavori del '68 scritti per Vienna, Mozart si trova sulla via maestra del gusto europeo; mentre le opere frutto dei viaggi in Italia saranno messe in ombra da opere come quelle metastasiane. 2) 1773-81 (la maturità, fino al distacco da Salisburgo) → Nelle Sinfonie di inizio 1774, per cui è ormai inutile cercare modelli tra i contemporanei, lo stile galante inizia ad essere superato o comunque impastato con caratteri più sofisticati (es K. 183, 201). le conquiste di quest'anno fondamentale (1774) si avvertono anche in altri settori, sia nel campo dell'opera buffa che nelle prime Sei Sonate per pianoforte solo. Da una lettera a padre Martini l'opera sembra essere in cima ai pensieri di Mozart nel 1776, della cui carenza si consola <<scrivendo musica da camera e da chiesa per ingannare il tempo>>; in effetti il periodo 1775-77 registra un adeguamento alla carica di Maestro di cappella salisburghese con molta musica di commissione locale (es. generi di intrattenimento, Messe). È in questo periodo che avviene l'interessamento all'ambito del concerto per strumento solista e orchestra. Infatti al 1775 risalgono i cinque Concerti per violino, al 1776 i primi tre per pianoforte, tutti messi poi in ombra dal Concerto in mi bemolle maggiore K. 271 (Jeunehomme) del gennaio 1777: una pianista parigina capitata a Salisburgo, la signorina Jeunehomme, sembra essere l'occasione immediata di questo capolavoro scritto alla viglia del viaggio a Parigi. Dopo quattro battute, con il pianoforte che già si intromette a dire la sua, il mi bemolle maggiore assume quella misurata sontuosità che poi non lascerà più fino al Flauto magico e alla Sinfonia “Eroica” di Beethoven; nell'Adagio in do minore il pianoforte rasenta il campo del recitativo strumentale, mentre il Finale ristabilisce la solennità architettonica con un concepimento unitario dei tre movimenti. Altre esplorazioni strumentali avvengono nel viaggio a Mannheim e Parigi del 1777-78: con alcune Sonate per violino e pianoforte, Mozart supera l'accademismo dei Mannheimer; a Parigi le Sonate K. 310 e 304 sono una ripresa di elementi Sturm und Drang, ma negli schemi più duttili della musica da camera, con minutezze non consentite dall'alta retorica della Sinfonia K. 183; accanto a questi esempi solistici minore valore ha la produzione sinfonica (la K. 297 sembra una sinfonia di Stamic ammodernata). Ma il grande risultato sinfonico dell'esperienza Mannheim-Parigi matura appena rimesso pie de a Salisburgo nel 1779-80 (Sinfonia concertante K. 364 per violino e viola; Sinfonia in do maggiore K. 338). La stessa robustezza di concezione si ritrova in alcune opere sacre, ma il Mozart del dopo Parigi ambisce a riaprire i conti con il teatro: agli entusiasmi teatrali a Monaco e Mannheim si aggiunge ora l'incontro con le compagnie di passaggio a Salisburgo (quella di Johannes Boehm e quella di Emanuel Schikaneder) e con le opere da loro rappresentate. Al 1781 risale l'Idomeneo, l'opera seria di Mozart che, sebbene sia metastasiana nel linguaggio poetico del libretto, dal punto di vista della distribuzione scenica è più vicina ad una tragedie lyrique (importanza del coro, musica descrittiva). Mozart può dedicarsi ora pienamente all'opera seria, ma è sempre innamorato della melodia e un assetato di combinazioni musicali. Il timbro severo della classicità apre l'ultimo ventennio del secolo; lo stile galante è finito, non solo per mano di Gluck ma anche da parte di chi gli aveva votato il più smaliziato monumento. 3) 1781-91 (l'ultimo decennio a Vienna) 26.5 Il decennio viennese L'insieme dell'opera di Mozart nata a Vienna nella condizione di indipendenza professionale porta con sé la forte riduzione dei due generi più legati alla vita di corte salisburghese: la musica da chiesa e la musica d'intrattenimento; l'effetto della libertà non rivela cambi di rotta salvo l'impennata dei concerti per pianoforte e orchestra. Ma a Vienna il genio di Mozart reagisce a vari incontri: la conoscenza del contrappunto bachiano, l'occasione pubblica del concerto pianistico, il nuovo tipo di commedia musicale e la lettura di Beaumarchais, l'opera nazionale tedesca. Il Ratto dal serraglio (1782) è il primo vero capolavoro nel genere del Singspiel. È nel comporlo che Mozart mette su carta la sua embrionale poetica teatrale in due lettere al padre che affermano la supremazia della musica sulla poesia (che della prima deve essere <<la devota figlia>>). Nel Ratto si ritrovano arie esilaranti, serenate dense di nostalgie meridionali, vitalità degli strumenti (specie dei legni); inoltre l'importanza attribuita da Mozart all'umile genere tedesco emerge dal ricorso al recitativo accompagnato. La grande esperienza del 1782 è la scoperta nella biblioteca di van Swieten di Bach padre (certamente il Clavicembalo ben temperato e l'Arte della fuga) e di Haendel (oratorii), oltre a nuove letture di W. Friedemann e C.Ph.E.Bach. Documenti dello studio bachiano di Mozart restano le sei Fughe trascritte per tre archi, le cinque Fughe per quartetto d'archi dal Clavicembalo ben temperato, la Fuga per due pianoforti K. 426 e vari frammenti di fughe. Ma il terreno migliore per saggiare questo nuovo innesto del contrappunto nella forma-sonata era quello del quartetto d'archi, che Mozart riprende in considerazione con i sei Quartetti dedicati ad Haydn, raccolta che presenta sia chiare rispondenze con i Quartetti op.33 di Haydn sia l'influenza bachiana (percepibile non solo nelle idee tematiche, ma in una più larga prosa ritmica). Se i quartetti sono il punto di massima compenetrazione con la prospettiva sonatistica, i concerti per pianoforte e orchestra, in cui il suono del pianoforte si contrappone all'orchestra impastandosi con singole famiglie di strumenti (soprattutto legni), ne rappresentano la libera parafrasi. La forma-sonata si trova nel concerto per pianoforte continuamente esposta a radiazioni inedite pur nella tradizionale struttura in tre movimenti: temi del tutto nuovi, gusto della variazioni. Si è qui di fronte ad un virtuosismo dell'intelligenza, con difficoltà digitali di poco superiori a quelle delle sonate per pianoforte solo: un maggiore numero di salti, un uso più audace dell'accordo, un maggiore impegno per la mano sinistra; ma non c'è ricerca di nuove tecniche pianistiche. Tipica dei concerti per pianoforte è la vasta escursione fra estremi espressivi. Gli Andanti tendono al tipo cantabile della romanza; nei Rondò finali scattano corse di provocante ilarità, su temi per lo più popolari. È una somma di esperienze che si riverbera nel contemporaneo sfruttamento del pianoforte della musica da camera. Dopo 4 anni Mozart torna al teatro, penetrando nel regno della commedia musicale con Le nozze di Figaro e il Don Giovanni. La smania dell'opera era alimentata dall'intuizione della comune radice fra dinamica drammatica e forme strumentali, pescando nella vocazione teatrale di sonata e concerto, di esposizione, sviluppi e riprese, di variazioni. Con la sua qualità strumentale Mozart volta pagina nel capitolo della commedia in musica, eliminando quel residuo di pastorale torpore che c'è spesso in Paisiello e negli italiani. Le Nozze di Figaro si immergono nel ritmo veloce e indaffarato della vita cittadina. È questa una nuova velocità interna che nutre la musica d'azione mozartiana sfociando nei Finali d'atto: i Finali dell'atto II delle Nozze di Figaro e dell'atto I del Don Giovanni sono monumenti del pensiero musicale. C'è una sovrabbondanza di segni musicali che spinge le due opere fuori dai generi teatrali da cui muovono. Nelle due opere l'intercapedine fra personaggi buoni e cattivi è destinata a cadere come artificiosa; i protagonisti sono uomini o donne veri, attraversati da forze contrastanti: il loro mistero di personaggi è semplicemente quello di essere. Mozart però affronta anche invenzioni nuove, personaggi mossi da sentimenti complessi. C'è in Don Giovanni qualcosa del personaggio dominante tipo Sturm und Drang (come Prometeo, che si erge enfaticamente fra luci e ombre), ma anche una rinascimentale grandezza e armonia di tratti. Anche le situazioni in cui questi personaggi si trovano spesso calati sono situazioni nuove: quando mai la musica si era ritenuta capace di assumere e realizzare situazioni così delicate e complesse? Che cosa c'è di più instabile e volubile dell'eros che si trova nelle Nozze di Figaro? Da questo punto di vista Nozze di Figaro e Don Giovanni sono tra i pochissimi esempi di teatro non edificante di tutta la sua storia. Una consapevolezza riassuntiva si avverte anche nel campo sinfonico, poco produttivo dal punto di vista quantitativo nel decennio viennese (solo sei sinfonie) ma con un impegno compositivo mai accordato prima; si sta parlando delle Sinfonie K. 385, 425, 504, 543, 550, 551. Le ultime tre nascono insieme nell'estate 1788 dopo le due grandi opere teatrali italiane e sono sempre rimaste nel repertorio su cui si baserà nell'800 la conoscenza del Mozart sinfonico. La K. 543 è un'opera capitale per Beethoven. La Sinfonia K. 550 presenta un Finale che è il riepilogo dello Sturm und Drang. La K. 551 trova nella nominazione “Jupiter” una giusta approssimazione alla sua natura solare, culminando in una Finale che è la congiunzione perfetta di umana, dominatori fino al 1760, ora non sono più soli: nel 1764 un cornista di Strasburgo mostra le possibilità virtuosistiche del corno da caccia; appaiono solisti di oboe e flauto, e poi di clarinetto e fagotto. Dal 1780 i pianisti sono sempre più numerosi; scompare invece l'organo, mentre si affacciano solisti di arpa, chitarra e mandolino. Inoltre, una nuova figura si impone all'attenzione del pubblico, quella del direttore d'orchestra (vd Haydn e Beethoven). All'ampliamento dei confini strumentali risponde poi un ampliamento dell'orizzonte storico delle musiche eseguite: per quanto laboriosi, i compositori del 1770-80 non bastano ad esaurire il fabbisogno delle società di concerti; e si guarda allora alla musica precedente: si comincia a non considerare più la musica come l'arte del presente, si tirano fuori dal passato lavori di autori scomparsi quasi sconosciuti; nasce l'idea che il pezzo di repertorio sia altrettanto pregevole della novità, e il tutto trova eco in recensioni e articoli. Nella didattica, un omaggio ai padri dà più fondamento ai metodi di insegnamento, e Clementi si fa editore di Scarlatti e di Bach. Ma l'estensione della documentazione consente ormai la nascita della storiografia musicale come attività autonoma e, oltre agli ultimi contributi della cultura religiosa in campo musicale, con gli anni 70 si affacciano nuove voci: Burney, Hawkins, Forkel, quest'ultimo orientato a considerare la musica nel contesto della storia generale del pensiero e delle arti. Specie nelle città tedesche si stringono vincoli durevoli tra musica e cultura, sulla base di problemi generali di metodologia critica, di storiografia e di estetica. L'intellettuale musicale tipico del tardo 700 non è più Padre Martini, bensì Reichardt che, come pianista e violinista, frequenta c.Ph.E. Bach, Haydn e Beethoven, ma anche Klopstock, Goethe e Herder; riscopre Bach, Palestrina, Haendel, Gluck. 28.La rivoluzione francese e la musicale La Francia ritorna in primo piano nella considerazione europea, oggetto di analisi e discussione, di esaltazione e di condanna; la Rivoluzione diventa immediatamente un argomento europeo tramite testimoni oculari, lettere o resoconti che da Parigi si pubblicano in riviste, specie in Inghilterra e nelle città tedesche. La Rivoluzione appariva il prolungamento necessario di una rivoluzione già intrapresa nel pensiero, nelle lettere e nelle arti: le idee sui diritti e sul valore dell'uomo, l'esaltazione della virtù, del sentimento. Questa interpretazione non servì a capire la vera Rivoluzione, cioè il Terrore, e infatti non pochi che già avevano salutato la Rivoluzione con entusiasmo la condannarono, mentre per altri sorse il problema di giustificarla. Fu una scossa violenta che rivoltava le coscienze, un patrimonio di esperienze per tutta la storia europea. Nel considerare l'incidenza della Rivoluzione francese nel campo musicale è comune dare molta importanza a episodi di opere nate in prossimità della Rivoluzione puntando sul contenuto letterario del libretto. In termini musicali, unisono, sforzati e tonalità minori di matrice Sturm und Drang sono stati investiti di responsabilità rivoluzionarie. Ma questi accostamenti derivano dalla classica interpretazione della Rivoluzione come una conseguenza di innovazioni precedenti sul piano culturale, e non tengono conto di prodotti artistici nati in tutt'altro terreno e che nulla hanno in comune con una “musica della Rivoluzione”. Gli effetti musicali dell'esperienza della Rivoluzione vanno riscontrati prima di tutto sul piano dell'organizzazione e della fortuna di alcuni generi: c'è la novità dell'intervento statale verso la produzione e la circolazione artistica; la musica strumentale, priva di contenuti immediati, è trascurata; la vita concertistica parigina quasi si arresta mentre l'attenzione si rivolge al teatro; l'Opéra passa in carico alla città di Parigi; l'Assemblea Nazionale proclama la libertà delle attività teatrali da ogni forma di protettorato e nascono compagnie e impresari improvvisati; la secolare chiusura delle attività teatrali nella settimana di Pasqua, occasione del Concert Spirituel, è abolita; una mozione propone che rappresentazioni contrarie allo spirito della rivoluzione vengano interdette e i direttori arrestati e puniti. In questo contesto, il Teatro dell'Opéra presenta una grande immobilità di repertorio; diverso è il caso dell'opéra-comique coltivata ai teatri Favart e Feydeau, due tra i punti più sensibili della nuova vita musicale parigina: nei primi anni della Rivoluzione l'opéra-comique si segnala per il spazio che dà ai fatti contemporanei e alla cronaca, consentito dalla pià agile struttira e dalla divisione di parti cantate e recitate. Inoltre la Rivoluzione provoca una marea di musica da spendere all'aperto, in strade e piazze; sul piano collettivo, il nuovo Stato, eliminata la Chiesa cattolica, tende a creare una nuova religione, con i suoi testi sacri (la costituzione), i suoi nuovi culti (la Ragione), i suoi canti liturgici (odi, marce, inni ecc). Per ricordare le giornate storiche o celebrare i caduti della Rivoluzione, prende corpo una nuova liturgia all'aperto che ha per ministri schiere di suonatori e cantanti e il corpo di ballo dell'Opéra; la messa da requiem trova il suo corrispettivo all'aperto nella marcia funebre. L'attenzione accordata alla musica come mezzo di propaganda dà impulso nuovo anche al ramo della didattica (es.fondazione della banda del corpo di guardia, dopo promossa a Conservatorio di Musica di Parigi) ed inizia anche un'azione di tutela e catalogazione di biblioteche e strumenti abbandonati da aristocratici emigrati o condannati che vanno a costituire i primi fondi musicali della Biblioteca Nazionale. Passa in secondo piano il problema di una tipologia musicale rivoluzionaria: si prende la musica che c'è, i generi pronti. Nel 1790 circa a Parigi circolava un documento che proponeva l'abolizione degli accademici, ma un movimento del genere in musica non aveva corso: Gluck e Sacchini andavano bene, bastava adottare parole repubblicane. Generi come l'opéra-comique erano duttili e molto graditi; Gossec diviene quasi il musicista ufficiale dei primi anni rivoluzionari. Sarebbe comunque esagerato ridurre l'influenza della Rivoluzione francese sulla musica solo al piano funzionale; anche per il linguaggio musicale in sé essa non passata invano. Il primo fenomeno manifesto è lo straordinario salto in avanti compiuto dagli strumenti a fiato per progresso tecnico e varietà di impiego; pari impulso ricevono gli strumenti a percussione. La musica descrittiva, a programma, riceve suggerimenti sempre più frequenti; il genere “battaglia” torna in auge ma diventa popolare soprattutto con le guerre napoleoniche. Un altro effetto del decennio rivoluzionario è aver aumentato la circolazione di tipi musicali fatti di ampiezza, di solennità e ridondanza; molti prodotti di Gossec sono ancora di corto respiro, e le danze liete hanno il passo spigliato dell'opéra-comique; ma un tono lento e voluminoso diviene consueto all'inno rivoluzionario specie quando imbocca la via del mi bemolle maggiore. 29.Le origini del Romanticismo Nell'ultimo decennio del 700, negli anni della Rivoluzione francese e delle guerre europee, tutte quelle correnti che sin dal 1760 circa si andavano allontanando da un ideale artistico basato sul sentimento disciplinato dal raziocinio si fondono con le prime manifestazioni del movimento romantico nel suo significato storico. La categoria culturale del popolare si afferma: i canti popolari riflettono l'animo dei popoli, tutti diversi e riconoscibili perché affondano le loro radici in costumi, storie e leggende particolari. L'adesione al popolare porta con sé una nuova considerazione della natura come un tutto unico con l'uomo. La scoperta della natura alpina è all'ordine del giorno per le prima ascensioni compiute tra 1780 e 1790. Oltre alla natura geograficamente definita, ad avere importanza è la storia particolare, quella della patria. Per esempio, nasce il “mito asburgico”. Maturano e si sviluppano consapevolmente molti semi gettati dallo Sturm und Drang: il circolo romantico di Heidelberg rivolge l'attenzione al Nord, ai miti germanici e alla leggenda nibelungica. Ossian, con il suo séguito di eroi e poeti e approda sulle scene parigine. La passione per l'antico e a scoperta dell'Oriente tendono a confluire nel gusto romantico. Anche l'Italia torna in primo piano: ma non è più la maestra delle arti e del pensiero, è l'Italia pittoresca dei castelli e dei confessionali si guarderà con simpatia crescente. Anche le glorie dell'Italia letteraria sono oggetto di nuove cure e Dante è studiato con passione. A questa riscoperta delle voci più illustri dell'Italia medioevale fa riscontro un diffuso riemergere di sensibilità religiosa. Questa rivalutazione della qualità estetica della religione cristiana si accompagna a un rinsaldarsi de vincolo familiare, a una moralizzazione del sentimento amoroso: la narrativa e il melodramma dell'800 saranno prevalentemente monogami, con i temi annessi della gelosia e del tradimento sentito come colpa. È generalmente riconosciuta una estraneità della Rivoluzione francese al movimento romantico; la Rivoluzione livella e uniforma, adora la Ragion, respinge le fantasticherie. Ma una estraneità del genere non ricorre nella musica. L'amore per il fatto di cronaca, per l'elemento contemporaneo che circola nell'opéra-comique favorisce una componente di realismo, di precisione d'ambiente, di brevità che darà molti suggerimenti all'opera romantica; evidente è poi il contributo portato dall'arricchimento degli strumenti a fiato (basti pensare al corno); anche la metrica spaziosa dell'inno, la frase melodica dilatata daranno suggerimenti non inutili, assieme a temi di carattere popolare, in particolare di danze più ritmate e vigorose del minuetto. Inoltre la Rivoluzione presentava al mondo lo spettacolo di una energia gigantesca. Il vero romanticismo musicale arriva più tardi rispetto a quello letterario, ma il ventennio rivoluzionario e napoleonico servirà più a precisarlo che a distoglierlo, dando agli slanci dello Sturm un Drang un rivale degno, oggetti musicali nuovi, nuova materia con cui misurarsi. 30. Il teatro musicale in Europa fino a Rossini. L'opera francese; Cherubini, Spontini, Mayr Il panorama operistico dei decenni tra 700 e 800 presenta alcune trasformazioni: le voci più significative non risuonano più in Italia, gli italiani di maggior talento sono all'estero, si stabiliscono oltre le Alpi e assumono lingua e caratteri stranieri. Anche Austria e Germania, che avendo avuto Haydn e Mozart parevano le candidate più verosimili alla successione italiana, non sono molto propizie al genere operistico: Mozart era morto nel 1791, Haydn non scrive più opere, Beethoven incontra serie difficoltà a metterne in piedi una; Vienna resta principalmente un terreno di cultura strumentale. Quello che continua fiorente è il genere del Singspiel. Parigi, dove l'opéra-comique, dall'apparenza così disimpegnata, mostra sorprendenti capacità di trasformazione, è la vera capitale del teatro musicale europeo: un successo a Parigi vuol dire un successo nel mondo. Un tipo operistico che ha molto successo è quello dell'opera con l'imprigionamento e salvataggio in extremis del protagonista. In Italia il genere incontra fortuna limitata: che il salvatore sia un uomo, anzi un potente che sopraggiunge con i suoi al momento giusto, questo è poco credibile nell'Italia di fine 700, mentre è materia che circola in abbondanza nella Francia rivoluzionaria. Il tema dell'imprigionamento con liberazione finale si diffonde negli anni 90, specie dopo il Terrore: gli esuli francesi, i casi di cronaca ricca di arresti, alimentavano un senso religioso di precarietà della vita, dove ad orientarsi serviva la fede nella Provvidenza. Musicalmente questo genere operistico ha le sue radici nel terreno sinfonico. Scompare il castrato, simbolo dell'immoralità di un'età che violentava la natura per un piacere estetico; la partitura orchestrale, con molti soli per fiati, assume un peso e uno slancio ignoti alla vecchia opéra- comique; il coro ha funzione attiva, la vocalità solistica si trova spesso incastonata in statici pezzi d'assieme; canti popolari, arie caratteristiche, ambienti precisi, ma curiosamente è un tipo di opera senza melodie; nasce quasi una nozione di “musica drammatica” separata da quella di musica tout court. Tipico è il carattere eroico assunto dal ruolo femminile, la dimensione eroica è tutta interiore, è fedeltà al coniuge e spirito di sacrificio modellati su celebri donne della Roma repubblicana; la donna dedita a opere femminili attraversa un periodo poco fortunato; donne alte, forti, che all'occorrenza impugnano le armi per salvare la vita a compagni o mariti diventano familiari alla narrativa e all'opera. Negli anni più significativi per la rivalutazione eroica dell'opéra-comique si stabilisce a Parigi Luigi Cherubini, il musicista che incarna forse meglio di qualunque altro il fenomeno storico della crisi musicale italiana di fine 700. nato a Firenze, si avvicina all'opera italiana attraverso Giuseppe Sarti con cui lavora a Bologna e Milano; a lungo frequenta la bottega operistica, scrivendo “pezzi aggiunti” per opere di altri maestri. Studia il contrappunto e realizza messe e cantate per chiese e collegi religiosi. Nel 1784 lascia l'Italia, dapprima per Londra, poi per Parigi; nel 1817 è tra i violinisti che suonano la serie delle opere didattiche; infatti per Clementi, che dal 1800 non si presenta più in pubblico come pianista, le difficoltà, i problemi di articolazione, diteggiatura e tocco non sono ostacoli né occasioni di esibizioni, ma vera scuola educativa. Non pubblica solo opere destinate al concertismo professionale, si dedica anche alle basi del suonare fornendo i modelli elementari dello stile e del fraseggio. Inoltrequesto intellettuale del pinaoforte scrive pezzi e cadenze “nello stile” di maestri come Haydn e Mozart, scava nel passato dello strumento pubblicando nel 1791 dodici Sonate di Domenico Scarlatti e, tra 1803 e 1815, un'antologia che si apre con una sintesi di tecnica contrappuntistica, contiene una fuga derivata dal Requiem di Mozart e la Suite francese in sol maggiore di J.S.Bach (proposta come alto esercizio di tecnica digitale). La fama di Clementi cresce con il suo ritiro dai concerti e con i viaggi d'affari; come editore e titolare di una fabbrica di pianoforti visita a più riprese Parigi, Pietroburgo, Berlino, Lipsia,Roma, Milano, Vienna: qui, nel 1807, incontra Beethoven. Dal 1780 al 1820 circa Clementi è un protagonista europeo; su di lui pesa il giudizio negativo di Mozart che lo considerava un puro mecanicus, senza un briciolo di sensibilità o gusto, non per l'aspetto tecnico dominante ma per l'uso di esso in rapporto alla sonata. Clementi non sente la sacralità della sonata come invece la sentiva Mozart; inoltre a Mozart doveva spiacere questo fascio di luce tutto sul pianoforte: l'antiClementi è il Mozar del pianoforte diluito nella musica da camera o nei concerti con l'orchestra, dove le sonorità taglienti sono arrotondate fra legni e archi (un ideale sonoro tuttavia non più condiviso dal gusto del tempo, sempre più interessato al volume e alla meccanicità. Per Beethoven, il Clementi “meccanico” della tecnica pesante di ottave, doppie terze, doppi trilli, è un acquisto fondamentale; il pianoforte di Beethoven, nei suoi presupposti tecnici, è il pianoforte di Clementi, non quello di Mozart. Prevalenza di interessi pianistici, attività concertistica, didattica e commerciale, pubblicazione di metodi e talvolta un fallimento e una fuga per debiti, sono elementi comuni nelle biografie della generazione che succede al vecchio maestro di cappella. La fama di Clementi, negli anni 1790-1810, ha un rivale in Leopold Kozeluh, che a Vienna pubblica sonate per pianoforte coltivando ogni genere compositivo. Molto simile a quella di Clementi è la vicenda biografica di Dusek. Se Londra, tra il 1790 e il 1810, sembra la capitale europea del pianoforte, Parigi è ancora un dominio del violino, del concerto, del quartetto nell'accezione italo-francese. Negli ultimi anni di vita del Concert Spirituel approdano a Parigi gli ultimi campioni della scuola violinistica piemontese, ovvero Antonio Bartolomeo Bruni e Giovanni Battista Viotti. Stretti legami si stabiliscono fra Viotti e il violinismo francese: suo allievo è Jacques Rode, il quale pubblica anche un metodo per violino insieme a Pierre Baillot e a Rodolphe Kreutzer. Virtuoso di nessun strumento, ma importante per la multiforme attività è Ignaz-Joseph Pleyel, austriaco di nascita, allievo di Vanhal e di Haydn; dal 1795 è a Parigi dove pubblica un saggio metodico sul pianoforte e fonda una casa editrice e una fabbrica di pianoforti. Altro viennese trapiantato a Parigi è Antonìn Reicha, di cui Berlioz, nel 1826, divenne allievo. Se Londra e Parigi sono i centri più ricchi di novità, a Vienna, morto Haydn nel 1809, nessuno è più in grado di intavolare un dialogo con Beethoven che domina assoluto; godono tuttavia di una certa fama due compositori, cioè Joseph Jelìnek e Adalbert Gyrowetz. Più importante, per la critica e la storiografia musicale, è però Johann Friedrich Reichardt. Anche l'Italia, specie al nord e al centro, si avvantaggia di una cultura strumentale europea fornita in prevalenza dall'Austria. Milano,dove nel 1808 è istituito il Conservatorio di musica, è il centro principale: qui spiccano il violinista Alessandro Rolla e il pianista Francesco Giuseppe Pollini. L'isolamento italiano dal traffico strumentale europeo è evidente soprattutto nella sinfonia, che in Italia può ancora essere intesa come brano musicale in un movimento solo, spesso legato al servizio liturgico. L'unica voce italiana di importanza europea sarà Paganini. Accanto a pianoforte e violino, con il loro vasto raggio d' esplorazione, altri strumenti meno illustri raggiungono a inizio 800 una più solida consapevolezza tecnica: chitarra, contrabbasso, arpa. L'arpa ha il suo centro a Parigi (Érard nel 1811 costruisce la nuova arpa a doppia azione con i pedali che si abbassano a due livelli): solisti e compositori pubblicano metodi, insegnano al Conservatorio, stampano sonate per arpa sola o duetti. L'arpa entra nelle case importanti come gioiello dell'arredamento stile impero, e gode di un grande prestigio. 32.Beethoven Dopo le trasformazioni del teatro musicale durante la Rivoluzione francese e l'impero napoleonico, i riflessi in pezzi caratteristici di spiriti nazionali e patriottici, e i rapidi progressi i un nuovo tipo do professionismo, l'apparizione del nome di Beethoven riconduce l'attenzione a quell'insieme organico di acquisizioni linguistiche costituito dal sonatismo maturato a Vienna nel decennio 1780- 1790: quartetti, sinfonie, sonate e concerti di Haydn e Mozart. Il sonatismo rigoroso, però, negli anni 90 era ormai una scelta da compiere fra altre possibilità: l'opera italiana ha ancora un'affermazione straordinaria; un nuovo tipo di opera francese di fa avanti energica; in campo strumentale il virtuosismo pianistico londinese è una forte tentazione e anche il genere “concertante” del sonatismo parigino presenta tratti autonomi. La questione se Beethoven sia da definire un classico o un romantico deriva in gran parte di qui: Beethoven assorbe tutte le novità che in modo sparso sono affiorate negli anni 1790-1810, ma le misura con il metro del più arduo pensiero sonatistico sul quale si innesta in via diretta: eredita Mozart e Haydn senza rinunciare a nulla di quanto avveniva nell'Europa musicale, al di fuori di questo magico cerchio. 32.1 Carattere Beethoven nasce a Bonn il 16 dicembre 1770. Dopo Bonn, l'ambito geografico della sua biografia si esaurisce con Vienna, dove si trasferisce nel 1792 con l'idea di tornare prima o poi in patria e invece ci resta per tutta la vita; trascurabili sono piccoli distacchi; viaggi più lunghi, in particolare a Londra, rimangono puri progetti. Nei primi anni a Bonn, i successi come ragazzo prodigio, alcuni concerti, le prime pubblicazioni, fruttano a Beethoven la nomina a organista nella cappella di corte. I primi studi sono strumentali, di pianoforte, organo, violino. L'importanza di Bonn sta fuori dalle mura domestiche (il padre di Beethoven era musicista): lo studio con un vero maestro, il Neefe, grande ammiratore di C.Ph.E.Bach, la conoscenza del conte Waldstein e della famiglia del consigliere di corte Stephan von Breuning. Qui Beethoven è accolto e si interessa alle letture di Klopstock, Schiller, Goethe. L'opéra-comique e il Singspiel tradotto da libretti francesi sono frequenti nel teatro di corte di Bonn. Ottenuto il permesso di andare qualche tempo a Vienna, Beethoven vi si stabilisce nel 1792; studia con Haydn e frequenta Salieri. In pochi anni Beethoven si afferma come artista indipendente, libero impresario di se stesso secondo il nuovo ruolo sociale del musicista; il passaggio dalla corte alla libera professione avviene quando, nel 1794, le truppe della Francia repubblicana rovesciano l'elettorato di Colonia con l'annessa cappella musicale di Bonn. Perso il posto, Beethoven si industria da sé: l'opera teatrale non è nemmeno presa in considerazione; nel 1795 appare la prima volta in pubblico pianista e stampa i Trii op.1, e nel 1810 è ritenuto il primo musicista europeo (e dunque mondiale); anche quando di lì a poco sorge l'astro di Rossini, il suo primato rimane intatto. Nella carriera di Beethoven, un posto determinante spetta ancora all'istituto della protezione: in particolarel'arciduca Rodolfo e i principi Lobkowitz e Kinsky garantirono al compositore una rendita annua molto alta alla sola condizione che restasse a Vienna poiché gli si era aperta la possibilità di trasferirsi a Kassel come maestro di cappella. Il gesto dei tre nobili dava la misura dell'importanza assunta dal musicista nella coscienza del tempo. La grande spina della vita di Beethoven è la sordità. I cui primi sintomi si manifestano nel 1795; Beethoven è costretto poco alla volta a lasciare la carriera di pianista; nel 1802 il compositore accetta l'infermità come definitiva, dopo essere passato attraverso una grande disperazione (di cui sono prova alcune lettere e il Testamento di Heiligenstadt indirizzato ai fratelli). La sordità diviene completa intorno al 1818 e da questa data hanno inizio i Quaderni di conversazione attraverso cui Beethoven comunica ancora con il mondo. Alla sordità si connette il suo destino di solitudine e dei progetti matrimoniali destinati in partenza al fallimento. A prima vista, il carattere di Beethoven ha molti tratti da Sturm un Drang, con abissi di depressione e sbalzi di umore. Si ritrovano in lui molte costanti della sua generazione: l'attrazione-repulsione per Napoleone Bonaparte, la smania dell'uguaglianza giuridica con l'aristocrazia, l'amore intellettuale per l'Inghilterra (patria di democrazia e libertà), la passione per il mondo classico, la fiducia nel miglioramento dell'umanità. Vienna, la città prediletta da Haydn e Mozart, è per lungo tempo guardata da Beethoven con superiorità o insofferenza. Beethoven si lamenta dei troppi musicisti presenti nella città, delle condizioni della musica che peggiorano, delle cattive orchestre, e guarda con ammirazione al Nord. Solo dopo il 1809, dopo l'occupazione francese, si fa strada un po' di simpatia verso Vienna. Ma anche allora quella città non fa per lui: Beethoven testimonia un nuovo ideale di severità che matura nella solitudine. Al carattere di Beethoven è connessa la sua sete di cultura. Pochi altri musicisti parlano tanto di libri e letture: Schiller, Goethe, Kant, Rousseau, Plutarco, storia greca e romana, filosofia indiana. Inoltre ha uno stile letterario tutto suo: doppi sensi, contraffazioni stilistiche, varietà di toni. Con tutto ciò Beethoven è ancora prima di tutto un tecnico: considera il suo orecchio la “parte più nobile” di sé, nessuno strumento ha segreti per lui; della sua musica parla poco e solo in termini tecnici. Da quella cultura Beethoven trae i fondamenti del nuovo posto da assegnare alla musica. Beethoven si entusiasma, nel 1801, al progetto di pubblicare le opere di J.S.Bach e, nel 1809, richiede a Breitkopf la maggiore quantità possibile degli spartiti in suo possesso (Haydn, Mozart, J.S.Bach,C.Ph.E.Bach). Beethoven fa dunque musica anche quando non lavora, per il puro piacere di aumentare il proprio raggio di conoscenze. L'ideologia artistica di Beethoven è quella dell'avanzamento verso una meta irraggiungibile assegnata dalla Natura. Se Mozart si può considerare “arte applicata”, specie quando scrive una parte solo dopo aver sentito la voce che la canterà, Beethoven invece tenta di persuadere il musicista dell'800 che solo saltando dal reale al possibile la musica diventa degna di essere composta. Il tratto saliente del carattere di Beethoven è, almeno fino al 1810-15, l'esaltazione del contrasto come condizione di miglioramento (un motivo di lontano stampo religioso): egli è riconosce il valore della difficoltà, solo attraverso essa si può tentare di superare le proprie limitazioni personali. Per Beethoven andare avanti è un dovere: in Haydn e in Mozart i grandi salti in avanti sono originati da occasioni esterne e ciò non toglie nulla alla bellezza dei risultati, ma che in Beethoven l'impulso a progredire venga solo da lui è una prospettiva che introduce una luce nuova nella storia della musica. 32.2 Linguaggio Nel suo insieme l'opera di Beethoven presenta un aspetto generale meno ramificato di quella di Mozart; spiccano grandi blocchi di lavori: 32 Sonate per pianoforte, 9 Sinfonie, 16 Quartetti per archi; come scogli isolati stanno un'opera teatrale (il Fidelio) e la Missa solemnis. Mentre per Mozart è in voga la suddivisione in generi, per Beethoven è più fortunata quela in stili cronologici, poiché egli lavorava per gruppi di opere di genere diverso (due sinfonie, un concerto, due sonate elaborate insieme). Rispetto a Haydn e Mozart, il catalogo di Beethoven presenta una drastica riduzione del numero di lavori per ciascuna voce. Ogni opera deve avere una giustificazione interna ed è quindi naturale che cresca in ampiezza e varietà. I tempi di creazione si allungano a dismisura; salvo casi trascurabili Beethoven non scrive più per commissione, non ha scadenze da rispettare, se le ha non le rispetta, e il lavoro passa solo al vaglio delle sue esigenze immobile tensione, si comprime l'energia che investe tutto il Finale, scolpito della stessa lingua del coro conclusivo del Fidelio. In tanta compattezza sinfonica la presenza del pianoforte apre nuove prospettive, insinuando nuove sfumature che l'incalzare dell'orchestra non consentiva: è quanto avviene nel Quarto e Quinto Concerto per pianoforte. Questo biennio 1805-06 presenta altri avvenimenti, e innanzi tutto l'arrivo in scena dell'unica opera teatrale di Beethoven, il Fidelio. I suoi poli espressivi sono la Quinta Sinfonia e il Quarto Concerto per pianoforte. La sortita teatrale poco fortunata spinge Beethoven nel lavoro strumentale, nel chiostro del quartetto d'archi, con i tre Quartetti op.59 che testimoniano del momento sinfonico di Beethoven per la vastità di concezione con cui si insediano nel genere da camera dopo cinque anni di intervallo, la misura comoda delle ripetizioni e l'ampia curva delle modulazioni. La forma-sonata è tutta amplificata, ma senza scatti d'impazienza come nelle sonate per pianoforte, semplicemente lasciando che le idee si moltiplichino per gemmazione una dall'altra. Il proponimento di dedicarsi solo al quartetto è distratto dal getto sinfonici ancora in piena attività: a ridosso della Quinta nasce infatti la sua antitesi, la Sesta Sinfonia “Pastorale” condotta a termine nel 1807-08. Beethoven prende le distanze dalla voga romantica del pezzo caratteristico e pittoresco, mitigando la carica descrittiva dei titoli apposti ai movimenti. Gran parte del vocabolario agreste della Sesta è derivato dalle Stagioni di Haydn, ma Beethoven opera una dilatazione metrica continua e si può dire che l'allungamento è la cifra tecnica della composizione. La “Pastorale” segna la fine di quel predominio cittadino che tanto ha influito sul sonatismo di fine 700; per Beethoven, che vive in una popolosa città agli inizi della rivoluzione industriale, la campagna è un bisogno fisico e spirituale, il simbolo di una evasione dalla quotidianità degli affari, la sede propizia per ascoltare voci profonde che rimandano a realtà superiori; per questo i dintorni boscosi di Vienna sono sacri, e un'aura di religiosità pervade l'opera. Una controprova di questo carattere sacrale si trova nella Messa in do maggiore op.86, scritta su invito di Nicola II Esterhàzy, promotore delle Messe di Haydn. 32.4 Beethoven e il primo Romanticismo Nel 1809 circa, anno della morte di Haydn, la carriera di Beethoven si avvia a una svolta: il contratto con i tre nobili viennesi sancisce un invidiabile punto di arrivo per il compositore; a maggio, per la seconda volta, Vienna è invasa dalle truppe francesi, la corte e la nobiltà si rifugiano nei castelli ungheresi; Beethoven resta in città, nella cantina del fratello, maledicendo la guerra che interrompe la vita concertistica e quelle consuetudini sociali di cui la musica ha tanto bisogno. Nel biennio 1809-10 si avverte una scissione fra due rami che andranno separandosi sempre di più: - le grandi opere, in cui continua l'ondata sinfonica - le opere da camera, con caratteri diversi e specifici I lavori del secondo filone, dal tratto più borghese, sembrano saggiare la più larga ansa del movimento romantico e sono pieni di spunti schubertiani e schumanniani. Questa nuova sensibilità è tutta rintracciabile in episodi di lavori strumentali da camera, ma non ha corrispondenze nei difficili rapporti che Beethoven ha con il teatro musicale. Per l'elemento magico, il filo rosso della nuova opera tedesca uscito dal Flauto magico, il Beethoven del primo decennio del secolo ha espresso più volte antipatia, reputandolo soporifero per la ragione e per i sentimenti. Queste istanze del nuovo gusto raggiungono Beethoven il quale aveva tanta cultura da affacciarsi con zelo sulle nuove correnti letterarie, ma non abbastanza da aver chiaro che l'unico libretto confacente al suo talento era quello della forma-sonata; e comincia così la problematica ricerca di un buon argomento operistico. Fra l'opera magica e Rossini, lascia infine perdere il teatro. A impegnare Beethoven oltre i temi del primo romanticismo c'è poi l'altro ramo compositivo, quello delle opere di vaste proporzioni: nel 1810 compone le musiche di scena per l'Egmont di Goethe; nel 1811 scrive un lavoro encomiastico per l'apertura di un teatro, le musiche di scena per Re Stefano e Le rovine d'Atene, e immediatamente dopo inizia la Settima Sinfonia, completata nel 1812 insieme all'Ottava, e presentata in un concerto dove ebbe immediato successo con la replica seduta stante dell'Allegretto. Nella Settima, rispetto alla Quinta, c'è più disponibilità ad assecondare una straripante fantasia che ai contemporanei parve spinta ai limiti della stravaganza. Nell'Ottava ritorna il Minuetto, come uno sguardo al buon tempio antico, e anche il trio conserva un ricordo di serenate per fiati all'aperto; dopo il 1813, per quasi un decennio, non matura più nulla o quasi di puramente sinfonico. Negli anni del Congresso di Vienna Beethoven è una gloria tedesca di fronte ai rappresentanti di tutta Europa; nel biennio 1813-14 il maestro appare spesso in pubblico come pianista. A questo periodo risalgono alcuni lavori di contenuto patriottico. Il 1815, di notevole, vede nascere solo due Sonate per violoncello e pianoforte op.102. Con i primi anni della Restaurazione la vita di Beethoven subisce profondi mutamenti, e anche le sue idee sulla musica si aprono a riflessioni nuove; quell'accostamento ai temi romantici, fallito nel campo teatrale, riemerge intermittente, e tocca attorno agli anni 1816-17 le punte più intense: non solo nei lavori ma anche nella consapevolezza del piano teorico. È di questo momento il rifiuto delle indicazioni italiane di tempo, considerate assurde. 32.5 Le ultime opere Dopo gli anni 1813-16, il cammino di Beethoven muove in una direzione del tutto personale, poco interessata alla scuola romantica, frutto di una trasformazione interna che ha preso coscienza dell'impossibilità di continuare la grande stagione sinfonica. L'ultima fase creativa beethoveniana (1816-27) rappresenta il tramonto del sonatismo impostato sulla contrapposizione dei caratteri tematici e sull'unitarietà della vicenda; la sonata tramonta perché altre forme vi si mescolano, ovvero severe istituzioni come variazione e contrappunto, estranee al modello proprio della forma- sonata; si delinea un nuovo quadro formale in cui i principi della fuga cercano di fecondarsi con quelli contrari nella sonata. L'ultimo Beethoven è la testimonianza di una crisi di valori, se per valore di intende il tema come protagonista-eroe; ora i temi tendono a suddividersi in frammenti, oppure vanno verso il popolare. Beethoven si riorganizza il suo universo con un'ampiezza che va dal massimo dell'erudizione compositiva alla forma più umile. L'apice della formazione settecentesca aveva proposto una struttura in cui le aree tonali condizionavano persino i temi; ora non più, ed è tutto tematico senza gerarchie. Beethoven giunge a questa libertà dopo aver percorso tutt'altra via, quella del sonatismo rigoroso. Il primo passo avviene ancora una volta nel pianoforte, con le ultime cinque Sonate. In nessuna si ritrova la forma tipo in tre movimenti e all'interno al dinamica è mutata. Beethoven non demanda più l'originalità al tema, la sua originalità è tutta di pensiero e di ricerca, e si capisce bene perché la sonata non lo interessi più: il Beethoven degli anni 20 dell'800 non può più vedersi a preparare un secondo tema, a collegare una ripresa con lo sviluppo; meglio una variazione che scavi temi ad ogni battuta e alla fine li affondi. Variazioni, trattate però in modo diretto e sistematico, sono anche l'ultimo grande lavoro pianistico, le 33 Variazioni op.120 su un valzer di Diabelli: l'editore e pianista Diabelli aveva invitato i più noti musicisti viennesi a comporre una variazione a testa su un proprio valzer; una cinquantina di maestri accolgono l'invito e tutti si sbrigano in fretta, mentre Beethoven elabora lentamente le sue 33 variazioni: tutto un repertorio d'invenzioni ruota lì dentro, corteggiando il tema nel ritmo del valzer. Dopo aver posto, con le ultime sonate per pianoforte, i suoi nuovi principi formali, Beethoven porta a compimento, tra 1822 e 1824, l'altra categoria compositiva, quella delle grandi opere, con la Missa solemnis e la Nona Sinfonia. Anche nella Missa è presente il dissidio tra lo storicismo dello stile severo alla Palestrina e la trepidante religiosità del moderno liederismo armonico. Il progetto di un nuovo lavoro sinfonico, dopo la Settima e l'Ottava, si affaccia già nel 1811 ma non viene attuato per un decennio. La prima esecuzione della sinfonia avviene nel 1824, ultima trionfale manifestazione pubblica di Beethoven. Nella Nona Sinfonia c'è un impianto di meravigliosa grandezza, ma il punto decisivo è ancora una volta nel prologo: i temi principali dei tre movimenti precedenti, prima volta nella storia della sinfonia, sono richiamati come simboli alla luce di un grande teatro, incalzati da frammenti di recitativo strumentale, finché una voce umana (reale, di baritono) l'assolutezza strumentale della sinfonia vocalizzando largamente le parole. È una scelta illuministica quella del Finale della Nona, approdo di una meditazione sul rapporto musica/parola durata decenni. Dopo il memorabile concerto del 1824, la vita di Beethoven diviene sempre più uniforme. Tocca agli ultimi quartetti esplorare le regioni scoperte dalle ultime sonate e concludere il corso dell'arte beethoveniana nel triennio 1824-26: sono cinque (opp.127, 130, 131, 132, 135), ai quali si affianca la Grande Fuga, concepita quale conclusione dell'op.130, poi sostituita con un altro Finale e pubblicata a parte come op. 133. l'occasione del ritorno a questo genere viene da un altro dilettante russo che richiede tre quartetti a Beethoven. Gli abbozzi dei primi due (opp. 127 e 132) incrociano gli ultimi della Nona Sinfonia nel 1824; anche qui le dimensioni del prodotto richiesto sono superate e ai tre Quartetti prescritti (opp.127, 132 e 130) ne seguono altri due (opp. 131 e 135). Tutti i caratteri dell'ultimo stile di Beethoven ritornano nei quartetti. Il lato contrappuntistico è ancora acuito dalla presenza dei quattro strumenti fisicamente distinti, e ha le sue punte estreme nella Grande Fuga op.133 e nel primo movimento dell'op.131. Sul versante opposto, l'ideale del canto secondo un modello quotidiano riceve ancora più spicco per la natura cantabile dello strumento ad arco con cui sono raggiunti i vertici di una trasfigurazione cantante affidata allo strumento perseguita da tutto Beethoven. Il mezzo quartettistico aumenta poi le occasioni di un'affettuosa rivisitazione di Haydn. Ornamentazioni di valore tematico, catene di trilli ricorrono come nel pianoforte, ma con un carattere più febbrile rispetto alla purezza del suono a percussione; così è presente il recitativo, esplicito solo nell'op. 132, ma come stile parlante assunto spesso in minute articolazioni dove la voce pare premere sotto uno schermo sottile. Anche il frazionamento della forma generale è più evidente che nelle sonate: i Quartetti opp.127 e 135 sono ancora in quattro movimenti, ma l'op.130 ne ha sei, l'op.131 sette e l'op.132 cinque; e al loro interno la scissione dei periodi è continua, decisa battuta per battuta: comuni, ad esempio, ai tre Quartetti opp.130, 131 e 132 sono temi sfinge di quattro note lente. Non si trova più il nome di Scherzi o Variazione in capo a pagine che sono di fatto l'una e l'altra cosa; c'è una tendenza alla forma aperta, cioè disposta a tutto, che culmina nella Grande Fuga, dove fuga, sonata e variazione tentano una convivenza. Andare oltre la forma-sonata ha voluto dire un controllo di più forme, del suo tempo e del passato, ridotte ad unità e continuità. Così, dal 1816 al 1826, concludendo la sua opera da una parte con la Missa solemnis e la Nona Sinfonia e dall'altra con le ultime Sonate e gli ultimi Quartetti, Beethoven ha condizionato le due vie principali dell'800 musicale: grandi opere, orientate all'imponente costruzione sinfonica, alla sintesi enciclopedica e sistematica; l'infinitamente piccolo, l'analisi, l'attenzione alle minime entità. L'ultimo Beethoven resta a lungo un estraneo nel nuovo secolo: per Berlioz, Mendelssohn, Schumann, il Beethoven determinante è quello dell'”Eroica”, della Quinta, della “Pastorale” delle Sonate op.53 e 57. Presso i contemporanei le ultime opere hanno una diffusione limitata; fa eccezione il Quartetto op.132 che si presentava con l'irresistibile attrattiva del Canto di ringraziamento; ma gli altri lavori erano per lo più accolti con delusione (La Grande Fuga è il caso esemplare). 33. Nuove vie nell'età della Restaurazione Chiusa l'epopea napoleonica, ripristinati i sovrani legittimi, in casi estremi tentata anche la resurrezione dell'antico regime, la struttura sociale dell'Europa intorno al 1815 resta tuttavia borghese. Nessun mutamento di rilievo viene pertanto introdotto nell'assetto della vita musicale: il maestro di cappella e l'evirato non si restaurano; nessun musicista di rilievo spende più le sue energie per illustrare la vita di corte, i suoi punti di riferimento restano il pubblico concerto, l'editoria, la lezione privata.
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