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Storia delle Donne. Libro: legge del desiderio (Legge Merlin), Appunti di Storia

Riassunto del libro. Elementi necessari per superare l'esame

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 08/02/2022

pannap
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Scarica Storia delle Donne. Libro: legge del desiderio (Legge Merlin) e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! La legge del desiderio – Il progetto Merlin degli anni Cinquanta Introduzione La regolamentazione della prostituzione viene abolita in Italia nel 1958, con la legge n.75 del 20 Febbraio nota come legge Merlin. Prima di essere approvata, ha compiuto un lungo iter parlamentare durato ben dieci anni dal 1948 al 1958. La proposta ha suscitato un apio e variegato dibattito, dal parlamento a riviste scientifiche, giuridiche e culturali. Temi etici, di identità, di relazioni di genere. Gli anni 50 sono anni particolari e critici. L’Italia esce da una guerra disastrosa e da venti anni di dittatura e sfocia quasi rapidamente nella soglia della ‘grande trasformazione’ del miracolo economico. La legge è rimasta famosa per aver chiuso i bordelli, è questo che più attrae nel dibattito. Per molti uomini, il mondo senza i bordelli assomiglia a un paradiso perduto: si tratta di dire addio a uno spazio di valore simbolico enorme per la costruzione e riproduzione della virilità: la ‘casa’ rappresenta un pilastro fondamentale dell’ordine patriarcale vigente nella società. Il bordello presuppone l’intervento dello stato a celebrare la maestà sociale del desiderio sessuale maschile, il quale esige di poter accedere al corpo della donna disponibile alla sua volontà; la legge interviene oggettivamente a ridefinire i limiti e le possibilità del desiderio maschile. La battaglia iniziata da Lina Merlin è dunque percepita da molti come la rottura di un ordine ancora più grande e ampio della questione prostituzionale stessa. Si inscrive nel quadro di questa storia, una tradizione pluridecennale della mascolinità contemporanea e s’inserisce così sul piano interpretativo, del rapporto tra mascolinità e mutamento storico. In questo libro l’autore si concentrerà molto sugli atteggiamenti degli uomini nei confronti del progetto. Nella storia si può considerare frequente un’autorappresentazione dell’identità maschile come entità stratificata fra luce e ombra, moralmente doppia: composta da un lato, di un corpo intrusivi, basso e bestiale, con potenziale violento, intrinseco di desiderio sessuale; dall’altro, di una razionalità o spiritualità superiore e capace virilmente di controllare la ‘bestia’ che si nasconde in lui. La percezione del proprio corpo è una dimensione conflittuale, in quanto mette il soggetto maschile in contatto con una realtà che si preferirebbe ignorare e negare. Di una simile mascolinità, la donna è specchio necessario e tragico: la sua subalternità e marginalità, la sua riduzione a muto strumento, risulta indispensabile perché l’epifania della bestialità sia governabile e governata entro coordinate in grado di far quadrare il cerchio, di non mettere in crisi questo tipo di mascolinità. Il rapporto con la prostituta è il riassunto perfetto di questa logica del desiderio maschile; la donna suscita l’infimo ma imperativo desiderio dell’uomo, ed è attraverso la donna prostituta che tale desiderio può essere ‘sfogato’ e dunque domato a piacimento. Lo stesso sentimento e desiderio non può essere sfogato con la legittima sposa, l’angelica madre dei propri figli. Questa logica del desiderio maschile è rovinosa per la società, in più non se ne parla, sulla scena del vizio rimane solo la donna. Innumerevoli interventi maschili nel dibattito sul progetto Merlin individuano la causa fondamentale della prostituzione nella sessualità femminile, e il discorso sulla questione prostituzionale finisce quindi per essere un discorso esclusivamente della donna. Dal punto di vista della moralità pubblica, la questione principale che tanti interventi pongono è se i bordelli siano o no accettabili, siano o no positivi o necessari. Ma necessari a cosa? -Per i difensori della regolamentazione, sono necessari alla soddisfazione del desiderio sessuale maschile, desiderio ‘naturale’. -alla tenuta morale della società, che ha bisogno di luoghi che scarichino questa naturale energia maschile senza danno per la società stessa -alla tenuta sanitaria della società che senza le case chiuse diventerebbe un girone di disgraziati affetti da sifilide. Le due argomentazioni poggiano sulla costruzione dello stereotipo classico della prostituta come agente del vizio e dell’infezione, come donna infima pure. Occorre separare le infime dal resto della società. Vedremo nel corso del libro le argomentazioni degli abolizionisti e dei riformisti. 1 Il progetto Merlin e la regolamentazione della prostituzione Il 6 Agosto del 1948 scoppia la prima bomba in parlamento lanciata da mani femminili, è il progetto della senatrice Merlin. Verrà approvata definitivamente nel 1958. Essendo questa votazione a scrutinio segreto, non è possibile desumere un quadro esatto dei favorevoli e contrari all’interno di ogni partito: si può affermare a grandi linee che a favore votarono i democristiani, comunisti, socialisti e repubblicani; contrari i monarchici, liberali, neofascisti. Cosa prevede:  Abolizione immediata del sistema di regolamentazione della prostituzione  Chiusura su tutto il territorio dei postriboli entro sei mesi Dall’altro lato c’era il movimento abolizionista, che prende spunto da quello della Gran Bretagna, che si estende velocemente nel continente. In Italia i maggiori esponenti erano Anna Maria Mozzoni, donni e uomini democratici, o radicali e nei settori di classe operaia si vedeva lo sfruttamento delle salariate dell’amore, come un ennesimo caso di violenza perpetrato dalla borghesia ai danni delle classi più deboli. Mentre in vari paesi seguendo la Gran Bretagna si smantellava il sistema di regolamentazione, l’Italia di Mussolini, riaffermava con il regolamento del 1923 un severo regime di controllo sanitario e poliziesco sui postriboli e sulle prostitute. Successivamente si interessò della questione nel primo e nel secondo dopoguerra anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che sollecitava i governi a reprimere efficacemente lo sfruttamento della prostituzione e la tratta delle donne. Nel dicembre 1949 ratifica una convenzione chiaramente abolizionista. Intanto in Italia il dibattito è sempre più acceso. Preme molto la questione sanitaria da qui a pag 25 non hai scritto niente perché si parla di norme, sanità boh noia. La regolamentazione I.I Al momento della presentazione del progetto Merlin, la normativa in vigore sulla regolamentazione della prostituzione risale al periodo fascista; i suoi principi fondamentali erano stati fissati con il regolamento ‘Per la profilassi delle malattie veneree e sifilitiche’ (1923). - Si riconoscevano i bordelli - C’era l’obbligo di registrazione sanitaria e poliziesca delle prostitute che esercitavano, le quali dovevano sottoporsi a visite mediche periodiche. - Una donna che si rifiutava di sottoporsi alla visita sanitaria veniva d’ufficio ritenuta sospetta d’infezione e dunque inviata nei reparti dell’ospedale e sottoposta a controlli. - L’azione sanitaria era estesa al di là delle case. Il controllo sulla prostituzione “vagante” recitava: le donne che esercitano fuori dai locali autorizzati e che si sottopongono s visite periodiche, vengono munite di apposita tessera sanitaria dove è riconosciuto volta per volta se sono sane. Il possesso del tessere permetteva di praticare prostituzione anche fuori dalle case senza trattenere le donne per la loro identificazione. - Vi era in più l’intervento della polizia contro atti di libertinaggio (rastrellare qualsiasi donna in sosta provocante nella strada). Il complesso di norme sulla prostituzione funziona così per decenni, da potente strumento di limitazione di libertà per la donna a opera di uomini. Produce una pressione identitaria insostenibile, a fronte della quale, l’incontro con il femminile gatantisce non solo la soddisfazione del desiderio sessuale e la provvisoria evasione dall’atroce quotidianità, ma anche l’opportunità concreta di prendere una vacanza dalle tensioni di identità maschile collettiva, che l’esperienza bellica, esaspera al massimo con competitività e performatività. Non stupisce peraltro che si insista da parte di chi s’indigna contro la chiusura della case di tolleranza, sulla funzione patriottica che avrebbero svolto le prostitute nei confronti dei soldati: così in un racconto paradossale pubblicato nel 1956 da Indro montanelli spiega la relazione che intercorre tra Wanda (archetipo della prostituta) e la nazione. Ancora sul rapporto delle case di tolleranza e guerra, c’è una lettera di un vecchio ufficiale pubblicata dal settimanale Crimen dove si ricorda l’amor patrio mostrato dalle donne di malaffare verso tutti i prigionieri italiani dell’AOI. Il postribolo coloniale era dotato di donne di razza superiore, a evitare pericolose corruzioni della stirpe: infatti, prosegue la lettera, la casa di tolleranza con donne bianche è il centro di ancoraggio ad una sensibilità sessuale e civile. Le ragioni ispiratrici della causa abolizionista sono varie e verranno dibattute dai regolamentisti con argomentazioni che confonderanno le acque, con discorsi derivanti da un mondo patriarcale. 2 – La società italiana e le trasformazioni di genere negli anni Cinquanta Dietro l’esaltazione delle case chiuse, e in generale della regolamentazione, risiedono molto spesso altre preoccupazioni: relative alla funzione simbolica, politica, sociale, che il bordello e il ‘controllo istituzionale’ sulla devianza femminile rivestono nella riproduzione di determinati modelli di mascolinità e relazioni fra i generi. Il tutto diventa preoccupante agli occhi dei tradizionalisti dove la devianza femminile pare minacciare l’ordine sociale e di genere. Il decennio che accompagna la discussione della legge Merlin porta molti dubbi, domande e cambiamenti del ruolo sociale della donna, e per gli oppositori della legge, si tratta di segnali di allarme. Il fascismo con la dittatura rassicurava i posti sociali e le gerarchie, ma nel dopoguerra riprendono i timori di mutamenti incontrollabili della femminilità. Nell’Italia degli anni Cinquanta si osserva infatti una notevole circolazione, per molti aspetti nuova, di dati sociologici. -Sempre più laica e secolarizzata e riflessiva, ci si interroga su temi attinenti alla morale, alla vita quotidiana, alla famiglia e alle relazioni di genere. Per esempio: un’interessante approfondimento sulla condizione femminile a metà novecento viene pubblicata su “Oggi”, in otto puntate dove risultano queste conclusioni: donne che iniziano a fumare, a portare i pantaloni, si parlò pure di legge Merlin ma molte non sapevano di cosa trattasse e per chi lo sapeva, si era registrata una maggioranza contraria. Le considerazioni di Anna Garofalo (giornalista liberale e antifascista): “quando fu presentata la legge si ebbe la sorpresa di constatare che in gran parte le obiezioni e le opposizioni ad essa venivano da donne (…) è un fenomeno non troppo raro che fa della donna italiana la nemica di se stessa, per una antica abitudine all’obbedienza e alla dipendenza. La donna agisce in difesa delle case: difende i figli maschi dal pericolo di non sapere dove andare a sfogarsi prima del matrimonio; difende se stessa dal pericolo di un tradimento del marito, che abbia per base il sentimento, autorizzandolo, se vuole prendersi qualche libertà, a cercarla nell’amore a pagamento (1953)”. Garofalo sottolinea che “sono le speciali condizioni in cui vive, a costringere la donna in quelle condizioni di limitata libertà: lottare per cambiare tali condizioni è necessario”. 2.1 Quinto Stato L’immagine di schiere di donne bellicose in rapida avanzata su tutti i fronti della società, compresi ovviamente l’economia, il lavoro, le professioni, è in questi anni notevolmente diffusa presso l’opinione pubblica maschile. Non rappresenta certo una novità, già a fine Ottocento, pressoché in tutte le società interessate da vasti processi di modernizzazione, questa specie di Quinto stato, in marcia, annunciava a molti uomini foschi presagi per il futuro. Durante la dittatura fascista, gli allarmi della nuova donna erano accompagnati a una campagna per il ritorno delle donne, al giusto focolare domestico, in una posizione che non rappresentasse più in alcun modo una minaccia al mondo maschile. Il colpo nell’Italia repubblicana avviene con il diritto di voto alle donne e quello di essere votate, il suffragio verrà approvato nel 1945. Nel 1948 la Costituzione entra in vigore e sancisce a chiare lettere la parità dei diritti politici e civili fra uomini e donne. Negli anni 40 e 50 le donne organizzano riunioni in parrocchia o nelle borgate, raccolgono fondi per i partiti e le organizzazioni di massa, tengono comizi e imparano a scrivere un manifesto. Mai occupano spazi di visibilità paragonabili a quelli degli uomini. Questo nuovo protagonismo produce molte attiviste che professano l’autorappresentazione e valorizzazione delle proprie capacità come singole e come donne in generale. In più, ottenuto il diritto di voto, per gli stessi uomini, le donne diventano interlocutrici importanti e obbligate. In più sono anni dove anche in senato si parlerà di donne e di diritti: diritto all’aborto, al non essere licenziate in caso di matrimonio, tutela delle lavoratrici… Peraltro, l’accresciuta presenza delle donne nel pubblico ha effetti anche sul privato: quando entrambi i coniugi lavorano, gli uomini temono di perdere a causa della minor cura della casa “una certa comodità domestica”. Guardiamo ora alcuni dati oggettivi riguardanti l’evoluzione del rapporto fra donne e mercato del lavoro negli anni Cinquanta. Secondo rilevazioni compiute dall’Istituto centrale di statistica, alle soglie del ‘boom’ l’occupazione femminile è cresciuta in maniera visibile, soprattutto nel terziario. Nel 1957 si forma un Comitato di associazioni femminili per la parità di retribuzione, composto da 13 associazioni di donne, che organizza fra l’altro tre convegni. Infine, ulteriori crepe si aprono anche in un fronte del mondo cattolico. È ancora una volta la militanza femminile a spingere in tale direzione. 2.2 Le ragazze degli anni Cinquanta Il dinamismo di questi anni è rappresentato anche dai mass media; sebbene siano fortemente marcate da un evidente tentativo di conciliare modernità e valori tradizionali, tali immagini consentono a un numero crescente di ragazze degli anni Cinquanta di prefigurare scenari esistenziali che sempre meno hanno a che fare con quelli delle loro madri. Essi stimolavano comunque l’immaginazione di esistenze ricche di denaro e di successo, diverse dalle donne della generazione precedente. Senza dubbio il mondo del lavoro è il pianto materiale su cui poggiano i progetti esistenziali delle ‘nuove ragazze’ degli anni Cinquanta, ma anche indipendenza, fierezza, volontà e spregiudicatezza. Una ragazza che si firma ‘moderna’ scrive ad Anna Garofalo “l’errore che compiono le donne come mia madre sta proprio in questa ammirazione sconfinata che nutrono per l’uomo in quanto uomo, che spesso non ha ragione di esistere”. Occorre insomma ancora abituarsi, imparare, familiarizzare con i nuovi equilibri gerarchici. Tra rigidità e dinamismi, in questi anni anche e soprattutto il corpo delle donne prende forma. La caratteristica comune delle professioni femminili nuove era l’importanza che vi assumeva per la prima volta il corpo. Alcune immagini di corpi femminili veicolate con frequenza crescente dalla stampa settimanale, si compie anche un primo distacco sul piano iconografico, da un’eterna persistenza di ruoli femminili tradizionali e rigidamente vincolati alla maternità: un movimento di cui le ragazze ovviamente sono o vorrebbero essere le principali protagoniste. Dalle colonne di un settimanale, fra i pareri raccolti intorno alla supposta inferiorità della donna, un autorevole psichiatra torinese avverte che: “forzare le naturali tendenze della femmina mascolinizzandola in ogni manifestazione della vita, influisce dannosamente. Luigi Russo il letterato: “a tutte le ragazze che mi vengono a domandare che cosa debbono fare dopo la laurea, io do sempre un consiglio “prendete marito”. In quegli anni differenti articoli portano la stessa corrente di pensiero, questo decalogo della moglie indipendente che non deve però mai venire a meno del suo naturale compito di appianare gli ostacoli con un sorriso affettuoso. Nel 1958, su La Settimana INCOM illustrata il lavoro extradomestico della donna porta dei non trascurabili danni alla vita familiare: La moglie in carriera viene accusata di “peccati di orgoglio”, si comincia ad avvertire la mancanza di femminilità, di amore matero. Secondo una psicologa statunitense, le mogli professioniste tendono a discutere troppo, a criticare i difetti del marito, ad analizzare insieme a lui le cause dei contrasti senza addolcirli con tenerezza. Insomma, sono portate a reagire da uomini. Se è l’orgoglio femminile l’origine dei guai con gli uomini, ed essendo per definizione inimmaginabile un mutamento della natura maschile, sarà solo attraverso un continuo autocontrollo della donna che eviterà incresciosi incidenti nei rapporti con l’altro genere. La donna non deve avere una reazione risentita. Ma utilizzare attacchi tipicamente femminili. “l’uomo a qualunque razza appartenga, è portato all’arrembaggio, o al tentativo. È la natura stessa che glie lo impone; la donna deve difendersi, e per difendersi deve essere civetta” cioè opporre una sorridente e sottile resistenza che tenga l’uomo sulla corda del proprio desiderio. Non disgiunta da una buona dose di stupidità, quindi, la bellezza appare spesso in questo secondo dopoguerra, un capitale fondamentale da far fruttare se si vuole raggiungere un obbiettivo non solo sentimentale ma anche legato al lavoro pubblico. Negli anni 50, per quanto la donna sentisse l’esigenza e la spinta all’emancipazione e alla libertà, e il riscatto, è ancora una volta legata all’abilità femminile di suscitare e catturare il desiderio maschile. Diventa marcata la differenza di età e di classe. Ci sono le belle signore, che si vestono bene ed eleganti. E poi ci sono le lavoratrici o le contadine, sfatte, avvolte in uno scialle. 2.3 La via della rosa Sempre lungo gli anni a ’50, una nuova descrizione della donna ci appare dai mass media e dai fotoromanzi, che arrivavano in maniera nazionale alle famiglie più ricche e sia a quelle più povere. Per quanto letto con gli occhi di oggi il fotoromanzo ci possa sembrare per nulla rivoluzionario, per quegli anni, comprarlo era un gesto di trasgressione ai valori cattolico-perbenisti. Quella che il fotoromanzo diffonde è una cultura dell’amore che esalta la dimensione affettiva e passionale all’interno del rapporto di coppia che per quegli anni si dimostrava davvero rivoluzionario. Le coppie generalmente si formavano in prevalenza grazie a motivazioni imposte dall’alto (matrimonio combinato), la nuova proposta de fotoromanzo in un certo senso lascia spazio a soggetti coinvolti assieme perché si amano, c’è negoziazione fra uomo e donna. In più viene spesso raccontata la figura di eroine del rosa, che se vogliono arrivare all’altare al fianco del loro principe azzurro devono agire, devono essere brillanti e coraggiose. Famoso il fotoromanzo Grand Hotel dove le ‘eroine’ non subiscono il destino ma agiscono per raggiungere la propria felicità. Ma esclusa dalle copertine di Grand Hotel è per esempio l’indipendenza economica per le donne, il lavoro e gli affari sono territorio esclusivo del marito. >che la guerra abbia cambiato i termini della questione dell’emancipazione, è convinzione diffusa nella società del tempo. Scrive Ada Gobetti nel 1961 che le vicende della lotta partigiana hanno abbattuto il mito della fragilità femminile, dimostrando come le qualità ‘virili’ non siano esclusiva degli uomini. Lo Stato, la Chiesa, la politica in generale risentono di questa discontinuità che si produce nell’immediato dopoguerra, in cui le donne vorrebbero più libertà, dove qualcuna sceglie di fare politica, qualcuna vuole recuperare il tempo perduto e ora votano. Non c’è in questi anni, chi non sia consapevole del ruolo avuto dalla guerra nel segnare la fine di un antico isolamento culturale: non sempre e non per tutti però con effetti positivi. La guerra è percepita universalmente come una rottura traumatica, un’accelerazione del corso storico che ridefinisce i termini delle relazioni di genere. Lo scorrere del tempo, in un certo senso gioca a favore di una maggiore libertà delle donne nella società: è la seconda vicenda che abbiamo elencato sopra> il progresso. >il sé stesso il progresso, esige che si abbandonino i vecchi luoghi comuni sull’inferiorità della donna, e soprattutto sui ruoli nella sfera pubblica. 3.3 La sofferenza dell’emancipazione L’emancipazione stessa, processo in sé necessario porta dinamiche complesse e sta di fatto che spesso nei discorsi dei progressisti quanto in quelli dei conservatori, alla constatazione di un profondo mutamento in corso, si accompagna puntualmente la descrizione di una o più sofferenza. Soprattutto gli attriti che le trasformazioni dell’identità e dei ruoli femminili incontrano nel momento in cui devono convivere, nella società attuale con persistenze patriarcali o feudali ancora diffuse. Secondo alcuni osservatori, le contraddizioni fra dinamiche d’emancipazione e persistenza di valori e modelli legati alla tradizione pesano sulle spalle delle donne innanzitutto in senso psicologico. Questo perché la consapevolezza dei suoi diritti si fa strada e nevrotizza stuoli di casalinghe ancora bloccare in ruoli di subordine. Si parlava di “complesso di Penelope”. Di questo né da notizia Anna Garofalo. Una malattia che prende origine dalle faccende di casa, la donna dichiara di sentirsi inutile, di essere circondata da freddezza e ingratitudine, di provare senso di inferiorità difronte ad altre donne sicure di loro e desiderose di vita. Si accusano anche fenomeni fisici come mal di testa o insonnia per esempio. Il Dottor Origlia situa questo male fra le manifestazioni morbose dell’epoca moderna. Esiste un forte contrasto fra il progresso tecnico e scientifico di oggi, l’industrializzazione in atto e certe schiavitù. Crescono invece gli interessi della vita sociale e culturale. Oltre a problematiche a livello individuale, il mutamento dell’identità femminile ha anche secondo varie opinioni effetti critici sul piano sociale. >la nuova donna moderna rappresenterebbe la negazione della naturale femminilità. Uno dei più gravi effetti femminili è questa mutazione dell’ordine costituito della società. La scienza medica, in un processo evolutivo come questo non può assistere indifferente, ma occorre analizzare in un piano clinico. Origlia nel 1951 scrive: “nei confronti della personalità femminile si rileva un allontanamento sempre più marcato dalla linea naturale ovvero la coincidenza con il ruolo materno. Viene demolito di pari passo l’ideale romantico della donna fragile e bisognosa di protezione. La donna diviene sempre meno uterina e sempre più un individuo autonomo bisognoso di affermazione sociale. Si tratta di un fenomeno epocale dalle conseguenze potenzialmente incontrollabili. La donna ‘viriloide’ è una potenziale minaccia per il genere femminile stesso e per l società e non secondariamente lo è anche per il maschio perché mascolinizzazione della donna vuol dire svirilizzazione o crisi dell’uomo in quanto maschio. Sempre il Dottor Origlia di parla di alcuni effetti sulla mascolinità: “decadenza o trasformazione della personalità anche socialmente, tramite perdita di posizione e di dominio. Decadenza dell’autorità paterna in casa. Varie e numerose fonti autorizzano a ritenere che non solo nei convegni scientifici ma a che nelle coscienze degli uomini si fa strada a partire dagli anni 50 la dolorosa consapevolezza dello stretto legame esistente tra il progresso e l’emancipazione femminile. Come spesso accade gli Stati Uniti anche in questo caso sono come una sfera di cristallo per vedere in anticipo il nostro futuro: il questo dopoguerra il maschio americano ha dichiarato forfait, ha gettato la spugna e raccolto lo strofinaccio di cucina. Il ruolo paterno attribuito alla mascolinità è in grave pericolo. Si assiste e si parla dell’ascesa della donna, l’estinzione del maschio e il passaggio alla sua femminilizzazione. Il crollo di autorità difronte ai figli e lo sforzo disperato di salvaguardare o ricostruire piccoli mondi esclusivamente maschili, per sfuggire all’influsso delle donne moderne. Non è difficile comprendere da questo ultimo punto di vista, quanto agli occhi maschili possa apparire ancora più deleteria la Legge Merlin. Secondo molto scienziati statunitensi, dopo che per anni le ricerche si sono occupate della donna e dei problemi derivanti dalla sua emancipazione, adesso l’uomo è diventato il paziente numero uno. L’Espresso riporta un articolo fatto da psichiatri americani: “l’uomo deve assumere le proprie responsabilità e le proprie funzioni protettive e questo non già perché le donne sono inferiori o più deboli, ma perché l’uomo è portato dalla natura ad assumere la parte del protettore. Oggi anche le donne riconoscono che l’uomo debba assumere la parte che la natura gli ha dato.”. Ovviamente articoli simili gireranno pure in Italia e soprattutto negli anni di discussione della legge Merlin. 3.4 L’emancipazione tentatrice In effetti, la sessualità maschile rappresenta in un certo senso il grande assente fra i temi coinvolti nel dibattito sulla legge. A contrario quella femminile è assolutamente al centro dei riflettori. Nel 1958 un lettore palermitano nel 1958 scrive a una rubrica di un giornale “la donna pur possedendo più dell’uomo buon senso e spirito pratico, a un certo punto e quando si tratta della condotta morale e sessuale manca completamente di logica ed è priva di autocontrollo”. Si parla di devianza femminile di una immaturità dal punto di vista morale, e perdizione delle donne e quindi della rovina morale e sociale. Si parla del tema della contiguità fra libertà femminile e prostituzione. “Causa più o meno indiretta della prostituzione è la mentalità e la sensibilità media tra gioventù femminile odierna”, insomma fra smodate ambizioni edonistiche delle giovani donne d’oggi. Oggi le fanciulle (scrive un clinico) vogliono godere la vita e spesso si cercano un amico altolocato che può provvedere ai loro capricci e respingono le oneste proposte di un galantuomo. Hanno così una relazione e da questa passano ad altre. Si confermano in tal modo istinti meretrici. Non c’è dubbio per la medicina sociale che fra desiderio d’emancipazione e depravazione morale della prostituta sussista una perfetta continuità. La donna ha aspirato a qualcosa in più che la morale cristiana le aveva donato: la parità morale con l’uomo. Ha aspirato a un’indipendenza e per arrivare a questa si è iperfemminizzata (prostituita) o sfemminizzata (cioè lavorare). Prostituzione ed emancipazione procedono parallele, quasi due rami dello stesso tronco. Nel 1958 sulle pagine della “Rivista di Polizia”, la donna deve conservare il bene supremo dell’onore, le donne sono invitate in innumerevoli occasioni all’autocontrollo, alla rinuncia, alla colpevolizzazione del proprio desiderio: è quest’ultimo un nemico, intero da combattere. Un altro desiderio che provoca oscenità agli occhi del sociale è il desiderio di ascesa delle donne, perché contraddice a un comandamento di staticità, umiltà rassegnazione che tradizionalmente rappresenta una virtù della donna perbene; si traduce in immediato pericolo per la tenuta morale della collettività. Persino il senatore Conti, favorevole alla legge, argomenta la necessità di quest’ultima con toni di moralismo misogino: “La maggiore parte delle donne che finiscono nei postriboli, sono le domestiche, ma anche le ragazze di piccoli paesi viziati e desiderose di andare in città; esse dicono, vado a Milano, Roma vado in una casa di tolleranza e lì mangio e godo”. 3.5 Mantidi e virago Nelle pagine precedenti abbiamo visto coma la misoginia può configurarsi all’interno di un determinato discorso maschile. Il discorso misogino maschile si è venuto configurando sempre più chiaramente non come mera denigrazione della donna, bensì come un vero e proprio atteggiamento politico di reazione a vasti e profondi processi di modernizzazione sul piano sociale e culturale, i quali investono le fondamenta dell’equilibrio di potere fra uomini e donne. Se prima era espressione di una superiorità sostanzialmente indiscussa, ora l’atteggiamento misogino diventa il drammatico tentativo di fronteggiare una crisi della mascolinità tradizionale che è già cominciata, e di cui non si intravede l’esito finale. Il tentativo maschile di ricondurre le donne entro il recinto culturale e politico che si ritiene consono all’identità femminile costituisce a tutti gli effetti il momento essenziale di una strategia che tenta di restituire il momento alla virilità la supremazia. La misoginia tenta di recuperare un terreno che si crede perduto, ha funzione reattiva e difensiva. In questi anni, l’aggettivo emancipata indica una donna volitiva proiettata verso il mondo che mal tollera o tende a scavalcare il limite della classica mediazione maschile tra sé e il mercato, il tempo libero, l’attività politica o sociale nella sfera pubblica. Ma il termine esprime anche una profonda ambivalenza, nel momento in cui rimanda a due stereotipi:  Quello di un protagonismo edonistico, allegro e sessualmente disinibito della donna.  Quello intellettuale, polemico della donna spigolosa e tendenzialmente asessuata. Il tema attraverso il quale si esprime la misoginia maschile, in riferimento alla posizione della donna è proprio quello del potere femminile che minaccia l’equilibrio naturale della società. Osserveremo due immagini fondamentali attraverso le quali la misoginia maschile dà corpo all’ambivalenza del potere femminile: - Quello della donna mantide pericolosa per l’uomo in quanto individuo: Donna viziosa, insaziabile, immorale. Risulta irresistibile agli uomini. - Quella del regime matriarcale distruttiva per l’uomo in quanto genere: la guerriera del matriarcato (molte volte coincide con la femminista) al contrario è mascolinizzata, spigolosa e asessuata. Respinge gli uomini e ne è respinta; combatte per ridurli alla passività. - Esempi del primo caso; nel corso della legge Merlin viene evocata piuttosto di frequente l’immagine della donna vipera, astuta e lussuriosa a cui soggiace il maschio buono e onesto. La donna guadagna da quella funzione, salute freschezza, bellezza, intelligenza ed energia e capacità lavorativa mentre l’uomo vi perde proprio dette prerogative che vi guadagna la donna. Qui è evidente la descrizione patetica dell’uomo, preda difronte alla sua mangiatrice. Si parla di un motivo misogino che ha naturalmente una lunga storia nella mitologia maschile delle donne, e che costituisce un interessante campo di indagine per analisi antropologiche e psicoanalitiche. Il carattere vorace, dominatrice potente della donna è di una notevole forza inquietante, stereotipo che ritroviamo di frequente. L’evocazione di una potenza femminile è spesso accompagnata e riequilibrata da una connotazione di devianza e patologia. perché Katia è tornata alla sua vita di abiezione? Per impulso sessuale? No, perché come Lombroso ci ha spiegato, lo fanno per un gusto morale verso tutto ciò che è vietato. E ancora, un commissario di PS: “le malate per natura non possono pretendere di essere trattate come le oneste madri di famiglia, ma devono sottostare a delle giuste limitazioni e a opportuni controlli della loro attività immorale. L’impostazione lombrosiana della questione prostituzionale è sottoposta a una vera e propria esaltazione da parte di autorevoli medici e scienziati; al coro si uniscono parlamentari abolizionisti altrettanto autorevoli. Alla prostituzione verrà dedicato il convegno della Società di medicina sociale nel 1950. Il segretario della stessa società Cesare Coruzzi unisce esemplarmente esecrazione di assiomi di ispirazione lombrosiana sul piano medico. Nella stessa relazione di Coruzzi si parla di dati antropometrici come: mano allungata, sure più sviluppate, piede corto, circonferenza cranica inferiore, diametro della mandibola più sviluppato. Sul piano ‘biopsicologico’: precocità sessuale. “la caratteristica principale della meretrice è la menzogna”. All’interno del parlamento, vari parlamentari favorevoli al progetto Merlin considerano in questi anni, le prostitute come persone mentalmente tarate, e questi rappresentano una variante abolizionista e caritatevole del lombrosismo. Per concludere questa rapida rassegna sulla cultura medica in merito alla prostituzione, consideriamo la riflessione sulla prostituta come oggetto clinico. In Senato, un illustre medico e parlamentare, futuro ministro della Sanità: Monaldi, senatore democristiano, distingue: -un atteggiamento originario: non vi è dubbio, è l’istinto sessuale. -gli elementi in concausa. L’istinto sessuale è universale ma esistono ‘soggetti patologici’ senza freni morali, cioè donne tarate nella psiche in bassezze morali. Le caratteristiche psichiche della prostituta: -non ha il senso della maternità che non affiora nemmeno in epoche avanzate della vita -mancanza di pudore, assopimento di ogni senso morale Tutte caratteristiche non nuove. In parlamento, il socialdemocratico Gaetano Pieraccini è certamente il più grande difensore delle case di tolleranza: la sua battaglia condotta con vibranti orazioni nell’aula di Palazzo Madama, merita una ricostruzione particolare. Antifascista, sindaco di Firenze, medico di fama e uomo politico popolare, è il solo a difendere il bordello in quanto tale. In un suo celebre discorso fatto in aula, pure i suoi avversari applaudirono compresa la stessa Merlin. >Per illustrare i vantaggi del sistema regolamentista, Pieraccini afferma che le ‘tesserate libere’ si prostituiscono in forma volontaria: se vogliono disfarsi del libretto, nessuno glielo impedisce e riacquistano così la libertà di esercitare qualunque altro mestiere. >Parla dei vantaggi del bordello sul piano dell’ordine sociale: il controllo sulle donne anormali: “colà si rifugiano donne criminaloidi che, lasciate fuori e non sorvegliate, chissà cosa farebbero”. >Svolge poi un’allusione di carattere etnico: “Nella maggior parte delle Nazioni, in cui sono ancora aperti i postriboli, si trovano sulla cinta mediterranea, in zone calde e temperate che sono stimoli all’amore. E poi tra popolazioni del Nord e del Sud ci corre una notevole differenza etnica”. 4.2 La discriminazione progressista In questi anni, oltre alle persone che credono alla prostituzione come una predisposizione derivata dalla nascita rafforzando l’argomentazione con la fisionomia e la morale corrotta, c’è anche chi si muove entro una logica che dal punto di vista clinico continua a distinguere la prostituta dal resto della popolazione. In questa impostazione la prostituta presenterebbe ancora delle caratteristiche psicofisiche speciali, esclusive, precipue: esse non deriverebbero però da un sostrato organico, ma verrebbero acquisite nel corso dell’esistenza. I vari interventi a riguardo, paternalistici e classisti. Il già citato psicologo Dino Origlia realizza nel 1950, per il già citato convegno di medicina “un’indagine psicologica sulla personalità della prostituta”. Secondo il quale (riassunto): -non è pensabile un’immediata abolizione della regolamentazione ed una precipitosa chiusura delle case -l’indagine è stata svolta tra prostitute dai 22 ai 38 anni. Di queste, 68 hanno fornito risposte complete; -fra queste si riscontrano pochi tipi ‘femminei’. La femminilità è fatta di dedizione all’uomo senza sviluppare aggressività reattive. -sul piano sessuale si ribadiscono ancora posizioni positiviste come la sensibilità erotica clitoridea. -L’indagine ha esaminato anche il rapporto fra la prostituta e la filosofia: “non è stato possibile il delineare la concezione filosofica preferita della prostituta: questo perché il livello intellettuale medio di queste donne è assai basso. -La prostituta legge pochissimo ma l’uomo la preferisce così. -Ha una discreta moralità: manifesta uno spiccato senso del dovere sebbene non sia disposta verso tutte le soffocanti leggi, si fa scrupolo di osservarle; difficilmente si lascia influenzare da altri contro la propria regola morale. -Inoltre Origlia, nonostante sia consapevole di contraddire l’opinione corrente, ritiene che la prostituta è adatta al ruolo di educatrice, dato che i giudizi che questa donna ha espresso circa la psicologia infantile, ha dei metodi pedagogici eccellenti. -Smantella un luogo comune: la prostituta possiede un notevole senso del pudore accentuato dalla obbligata impudicizia dell’esibizione. 4.3 Prostituzione e salute pubblica Quella sanitaria è una questione sulla quale ci sono stati più dibattiti, sia dalla parte dei abolizionisti che da quella dei riformisti. La regolamentazione delle prostitute considererebbe la garanzia di un controllo sanitario efficace sulle prostitute. Nell’opinione comune, ma anche in parlamento i regolamentisti, non si prende mai in considerazione il ruolo degli uomini nella diffusione delle MST. A garanzia dell’efficacia della vigilanza sanitaria, figurano inoltre nel sistema di regolamentazione le misure già in precedenza accennate: la registrazione della prostituta presso appositi elenchi dalle questure, il libretto sanitario con conseguente visita periodica obbligatoria. Al contrario, uno degli aspetti qualificanti della legge Merlin è il divieto di qualsiasi forma di registrazione, tesseramento, trattamento sanitario obbligatorio nei confronti della prostituta. -questo è uno dei principi che solleva maggiori polemiche da parte dei regolamentisti: tutto questo porterebbe uno stato di disordine, assenza di limite e di controllo. Si sostiene il diritto dei cittadini alla salute, ma ovviamente si pensa e si dà rilevanza alla salute dei clienti. Incalza su questo punto, infatti, Anna Garofalo: “ma chi parla della protezione della medesima dal cliente presumibilmente ammalato? Il medico Carlo Alberto Luzzatti, sottolinea in particolare la necessità di superare non solo l’attuale normativa regolamentista, ma anche una prassi poliziesca e sanitaria che umilia innumerevoli prostitute girovaghe. Per Luzzatti occorre invece moltiplicare sul territorio consultori per puntare sulla prevenzione, educare la gioventù di ambedue i sessi a ricorrere abituando i giovani a considerare i rapporti sessuali come normale esplicazione di attività vitali e come altre attività, devono essere disciplinati e indirizzati. Luzzatti offre: cure gratuite e potenziamenti comunali, per uomini e donne. Così facendo si evita il coinvolgimento della polizia. Il sistema di controllo del momento e la sua efficacia era criticato da molti: l’evoluzione della vita moderna ha comportato maggiore diffusione dei rapporti sessuali fuori dalle case di tolleranza, per cui il problema del nuovo sistema di protezione antivenereo consiste nello studiare l’applicazione di provvedimenti generali, euguali per tutti. Emergono accenti critici nei confronti di una disparità di trattamento fra uomini e donne, sul piano sanitario, motivati ora in base a principi di natura laica ed eugualitaria. Ora ispirandosi a una contrarietà di fondo verso la doppia morale, che deriva da un approccio moralistico di antica data teso a celebrare la continenza o la castità per entrambi i generi. >Un importante aspetto della discussione intorno alla questione sanitaria è quello della diversa incidenza della prostituzione regolamentata e di quella clandestina sulla diffusione del contagio. Questo è un tema controverso a proposito del quale i due fronti si scontrano spesso. Nel 1949 in Senato si citano alcune statistiche secondo le quali le contagianti libere sarebbero in proporzione più numeroso di cinque volte quelle regolamentate.  Nelle intenzioni degli antiabolizionisti, tali dati appaiono più che sufficienti a dimostrare l’efficacia sanitaria della regolamentazione, poiché le prostitute fuori vigilanza, già adesso sono una rovina per la società, le disseminatrici delle malattie veneree. Pensiamo quanto la regolamentazione verrà abolita. Scrive il socialdemocratico Pierucci.  Controbatte Monaldi: le donne nelle case hanno un numero di rapporti molto più alto rispetto alle prostitute libere. Ecco dunque smentita la presunta minore pericolosità del sistema di regolamentazione per la salute pubblica. E che anzi, la percentuale ipoteticamente più alta di contagiate che esercitano fuori dei postriboli rappresenta semmai una conferma dell’inefficacia della regolamentazione, essendo l’evidente riprova che un ferreo controllo poliziesco e amministrativo scoraggia le veneri vaganti dal ricorrere alle strutture sanitarie in caso di necessità.  Quella di un accesso alle cure mediche che sia rispettoso della dignità delle prostitute e delle donne in genere è, non a caso, fra le principali questioni che la legge Merlin si prefigge di risolvere.  Di essere prostitute rischiano di venir sospettate dagli organismi sanitari e di polizia anche donne contagiate che non hanno nulla a che fare con la prostituzione: ciò che poi non le incoraggia a rivolgersi alle strutture pubbliche per le necessarie terapie.  C’è anche da considerare che la prostituzione clandestina è esercitata da innumerevoli donne che vi ricorrono occasionalmente e non si considerano vere prostitute, ma se esse entrano in contatto con il sistema, la loro identità rimarrà marcata per sempre da quella categorizzazione.  Tutto questo clima e l’alone di vergona e mistero che avvolge le malattie veneree, rende difficile la prevenzione e la cura delle malattie cui molte donne, anche attraverso i rapporti coniugali sono esposte. Si ricorda infatti in senato che le casalinghe sono quelle che maggiormente risentono della deficienza dell’assistenza sanitaria in questo campo (…) temono di essere sospettate per prostituzione e pertanto spesso smettono di curarsi.  Con la modifica del quadro d’intervento sanitario previsto dal sistema di regolamentazione, tramonta definitivamente una procedura da sempre odiosa alle donne: la visita ginecologica coatta. ‘buon costume’. Con questa legge non si costituisce un corpo di polizia, ma si vuole sancire il riconoscimento ufficiale di un corpo speciale già esistente, quello delle assistenti sociali. Tutto ciò evoca nell’opinione pubblica una figura inquietante: l’immagine delle donne poliziotto, donne donate di funzioni paragonabili a quelle delle ‘normali’ forze dell’ordine. Gli argomenti usati per contrastare tale prospettiva, tratteggiano quella della polizia femminile come un’idea assurda, illogica. “voler combattere la prostituzione con le donne poliziotte ci sembra una vera ingenuità, in quanto la natura della donna è tale che la rende una prostituta in partenza. Se non fosse sorretta da una sana educazione morale e da pudore, correrebbe il rischio di essere conquistata dagli uomini e allora anziché reprimere la prostituzione la incrementerebbe. 5.2 Sanare la piaga Per molti sostenitori, sul piano morale la questione investita dalla legge si pone in questi termini: è necessario sanare al più presto la dolorosa piaga della prostituzione. Il senatore Caporali, medico, cattolico e come sappiamo presidente della XI commissione del Senato, chiarisce cosa si debba intendere con “curare la piaga”: Abolire tutto ciò che è lurido (…) chiudere quelle carceri ai quali si sono chiuse le stesse donne spontaneamente, per i loro fatali errori, debolezze, degenerazioni”. Anche dalla parte degli abolizionisti si parla dunque di morale: abolire per un miglioramento del costume a scapito delle istanze di libertà e dignità delle donne. Anche il collega di partito e Ministro dell’Interno, Mario Scelba, le cause fondamentali del fenomeno risiedono in ambito morale. Già quando la legge approda in Senato nel 1949 per la prima volta, i toni moralistici sono molto più popolari rispetto a considerazioni sulla libertà e dignità della donna. Perdono peso le preoccupazioni di tutela e uguaglianza tra i sessi. Sono provenienti soprattutto dal mondo cattolico, quelli in cui s’insiste maggiormente sulla moralità per sostenere l’abolizione delle case. Per quanto riguarda i partiti laici come potevano essere quello socialista ma soprattutto comunista, si vede da un’inchiesta Doxa come i bordelli dai militanti venivano considerati il male minore. I limiti della cultura di sinistra emergono soprattutto quando non ci si trova difronte non alla ‘classe’ ma alla natura sessuata delle identità. Poche voci isolate negli anni ‘50 si soffermarono sulla considerazione dell’emancipazione femminile da parte dei partiti di sinistra. Per esempio, Berardi, socialista affermava che lo stato deve proteggere la donna, evitando che la miseria la spinga ai margini della vita polverizzandone la sua moralità e la sua più alta aspirazione, ovvero quella della maternità e della famiglia. Parlando di eliminazione dei bordelli, assume un riscontro significativo il valore della città urbanizzata. A partire da fine ottocento, si esprime diffidenza nei confronti dell’urbanesimo in quanto fattore di degenerazione della civiltà, ma anche svirilizzazione dell’uomo. Ovviamente rispetto alla campagna che prevede la soluzione tonificante del contatto con la natura, le attività sportive. La città è sede di vizio e svirilizzazione, infatti il bordello è un’attrazione urbana, non rurale. È difficile definire l’ampiezza e la natura della convergenza che su questa battaglia si determina fra donne di diversi schieramenti politici. I pochi studi che ci sono, non forniscono indicazioni univoche. Per esempio, all’indomani dell’approvazione della legge, questa è rivendicata dalle democristiane come una vittoria cui esse hanno dato un rilevante contributo, anche se il loro intervento era importante ma non decisivo. Un'altra esponente democristiana Angela Gotelli, afferma che la legge è stata formulata da Lina Merlin senza alcun contributo da parte delle cattoliche. Molte voci provenienti dal partito cattolico rivendicano però una competenza speciale sulla battaglia abolizionista proprio per il suo spessore morale: quasi come questa causa rientri naturalmente tale causa nella loro giurisdizione ideale. Stando a riferimenti vari quanro evasivi, su alcune fonti a stampa, ampi stetttori del mondo ecclesiastico non vedono affatto di buon occhio il progetto Merlin. I cattolici non hanno mai espresso una opinione coeva e unica sulla prostituzione. Il partito democristiano infatti, si è diviso su questo problema e la Chiesa ha preferito non occuparsene: la sua posizione morale è certamente contro il meretricio, ma la pratica è differente. 5.3 La traviata redenta Un’altro aspetto moralistico alla questione prostituzionale verte, sul tema della redenzione della prostituta. È un tema legato a quello della definizione della prostituta come soggetto organicamente corrotto, ovvero persona il cui destino esistenziale è stato determinato dall’ambiente sociale e familiare. Chi ritiene l’esercizio della prostituzione un fenomeno legato alla personalità non modificabile delle prostitute si mostra scettico sulla possibilità di redimerle. Si pensa che le donne liberate dalla legge andranno a ingrossare la valanga della degenerazione e dello scandalo. Siamo in una logica di redenzione dove il peccato stesso deve assumere la massima evidenza per poter essere poi superato grazie a una rinascita virtuosa della donna. Questo è l’approccio complessivo adottato dalla gran parte degli stituti sparsi nelle regioni che offrono accoglienza materiale e morale alle donne uscite dalla prostituzione. Più strutture di questo tipo fanno capo alle suore della Redenzione che chiedono disciplina, silenzio, serietà quasi claustrale. Sul tema del sostegno alle ex prostitute, si realizza inoltre un’importante iniziativa congiunta fra donne d’opposto schieramento politico: insieme alla democristiana Pia Lombardi, la stessa Merlin fonda nel 1950 il comitato di difesa morale e sociale della donna. Ha diverse sedi nel paese e: -assistono le ex prostitute -ricerca di un lavoro All’opinione pubblica piace molto la figura degli istituti ecclesiastici che fomentano la vidione della donna da redimere. Nella città di Milano, le suore dell’ordine della Riparazione gestiscono ormai da un secolo la Casa di Nazareth, un collegio fondato per la rieducazione di ragazze, persone di “animo semplice, facili alle suggestioni, esse possono dedicarsi al bene con la stessa costanza che cui hanno coltivato il male”. Molte di loro sono divenute infatti mogli e madri. 5.4 Le ragion della libertà Nel complesso, le occasioni di dibattito pubblico in cui emerge un sostegno maschile alla legge Merlin dichiaratamente ispirato al principio di uguaglianza fra uomini e donne, appare decisamente minoritario rispetto agli interventi d’isprirazione moralistica a favore del progetto. Le ragioni di questa cosa vanno rintracciate in tre condizioni principali. 1. Appare subito chiato che il provvedimento gode di ampia maggioranza parlamentare e non è certo necessario insistere troppo sulle questioni ideali, ma è urgente controbattere alle obiezioni di merito sollevate dai regolamentisti 2. L'alleanza fra sinistre e cattolici relega di fatto in secondo piano le istanze più emancipatorie, mentre apre la strada a accenti moralistici 3. Una campagna simile, progressista, avrebbe dovuto rivolgere i propri attacchi verso quella stessa cultura fortemente intrisa si valori e linguaggi patriarcali e tradizionali, da cui con tutta evidenza proviene dagli abolizionisti. Non si può dire che siano sconosciuti dal dibattito temi come l’uguaglianza fra i generi, i diritti delle donne e le varie accuse al patriarcato. Per esempio il discorso in senato di Umberto Terracini 1949, definisce il superamento della regolamentazione un problmea di dignità umana e statale. Un secondo senatore comunista, collega esplicitamente il femminismo e abolizionismo ricordando che quando il femminismo avanza, la donna acquista una forza nel lavoro e acquista nello stato un potere sociale, l’abolizionismo è la prima libertà della donna. Ancora interventi da un democristiano: Se in questa aula vi fossero tante donne quante potrebbero corrispondere al numero di donne che ci hanno dato il voo, questo disegno di legge passerebbe. Ecco quindi che tradiremmo il pensiero e il sentimento delle donne del nostro paese. Viceversa, lo psicologo Origlia esprime nella sua già citata inchiesta la convinzione che sia invece proprio la naturale aspirazione alla libertà assurdamente censurata nella donna, cioè, l’atteggiamento di coloro che soffocano le giuste aspirazioni della donna verso una assoluta parità con l’uomo che determinano un motivo potente di prostituzione. Ricade in tale logica l’inchiesta Doxa del febbraio 1949 condotta attraverso interviste sul gradimento di legge e comprendente una raccolta di storie di vita delle prostitute stesse; da queste ultime emergono i gravi condizionamenti che un certo atteggiamento maschile ha esercitato sulle loro vicende. L'indagine ha illuminato uno scenario in cui la responsabilità dell’uomo risalta in modo inequivocabile, come scrive Anna Garofalo: Che l’uomo sia la causa della scelta disgraziata che fa la donna. In diversi inteventi di quegli anni si arriva comunque alla radice: la disuguaglianza si potere fra i generi e quindi la subalternità femminile anche sul piano sessuale, come condizione necessaria al tradizionale equilibrio identitario maschile. Ma la polemica finisce per dirigersi contro gli epifenomeni del dominio patriarcale, sembra a volte proprio che si cerchi di mettere al riparo la polemica, l’essenza autoritaria di un desiderio maschile non capace di autocritica. Sia o no disposto a fare autocritica, il genere maschile si troverà, a causa della rottura di ordine praticata dal neo femminismo messo di fronte alla sua parzialità. (in molti: è la misersia che porta l’uomo alla criminalità e la donna alla prostituzione, anche se il vizio delle prostituta primeggia in quegli anni come la spiegazione unica e possibile; nonostante tutto, non verrà mai messo il discussione il cliente della prostituta, l’uomo).
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