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Storia delle Mentalità, Dispense di Storia Moderna

Riassunto completo capitolo per capitolo del libro Storia delle Mentalità di Pitocco

Cosa imparerai

  • Come la nuova storiografia economica e sociale ha influenzato la storia?
  • Che cos'è la mentalità e come si studia?
  • Come si studia la storia delle mentalità?
  • Come il tempo influenza la storia?
  • Come i personaggi storici influenzano la comprensione storica?

Tipologia: Dispense

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Scarica Storia delle Mentalità e più Dispense in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! STORIA DELLE MENTALITÀ - INTERPRETAZIONI - LUCIEN FEBVRE – STORIA E PSICOLOGIA Buona definizione di progresso: attitudine a scoprire correlazioni e stringere accordi e scambi tra discipline vicine tra loro. Le grandi scoperte si fanno ai confini delle scienze. La psicologia, scienza della funzione mentale, deve inevitabilmente stringere rapporti con la sociologia, scienza della funzione sociale, e con tutte quelle discipline che vanno sotto il nome di “storia”. Oggetto di dibattito tra psicologi, sociologi e storici sarà la conoscenza dell'individuo. La psicologia si occupa dell'individuo e la sociologia del gruppo; la storia invece definisce nell'ambito del passato i loro rapporti reciproci.La storia definisce i rapporti: la psicologia si occupa dell’individuo e la sociologia del gruppo. L'oggetto di studio di uno storico sarà, da una parte, il movimento confuso di masse anonime, dall'altra, l'azione dirigente di un certo numero di individui qualificati come “personaggi storici”. - Le masse anonime saranno oggetto di una psicologia collettiva - I personaggi storici apparterranno naturalmente alla psicologia individuale. Ecco che si stabiliscono i rapporti tra psicologia e storia. Per quanto riguarda l'ambiente sociale, prima di tutto compenetra l'autore di un'azione storica, lo inquadra e ne determina la creazione. Siamo sempre di fronte al binomio individuo-società. Personaggi storici: autori responsabili di una grande opera storica Opera storica: insieme di fatti raccolti, raggruppati e organizzati in modo tale da costituire un anello di quelle grandi catene di fatti omogenei e distinti (politici, economici, religiosi etc) di cui gettiamo la rete sul passato storico dell’umanità; bisogno di riorganizzare il passato che l’uomo ha. Bisogna distinguere fra le opere umane: quelle che interessano solo un piccolo gruppo di uomini particolari e quelle che tendono a unire. E’ opera storica quella che aldilà dal locale e nazionale mira all’umano; capace di irradiamento e espansione pacifica. Il personaggio storico risponde a un esigenza elementare delle comuni credenze. Linguaggio: mezzo d’azione più potente del gruppo sull’individuo. Un individuo non è altro che quello che epoca e ambiente sociale gli consentono di essere. La società è per l’uomo una necessità e realtà organica. L’individuo riceve le determinazioni di questa società che sono un necessario complemento. Ma se in ogni individuo si deve distinguere prima di tutto una certa personalità caratteristica, e poi dobbiamo prendere questo individuo come rappresentante di un certo gruppo umano in una società ben determinata e datata, vediamo che si attenua il contrasto fra individuo e società. Tre serie d'inchieste occuperanno lo psicologo: • dovrà dedicarsi alla ricerca di quello che l'uomo deve al suo ambiente sociale (psicologia collettiva); • dovrà domandarsi che cosa l'uomo debba al suo organismo specifico (psicologia specifica); • dovrà studiare quello che l'essere umano deve alle particolarità individuali della sua fisiologia, ai casi della sua struttura, agli accidenti della sua vita sociale (psicologia differenziale). Problema della psicologia storica; né la psicologia degli psicologhi contemporanei può aver corso nel passato né la psicologia dei progenitori può avere una applicazione globale per gli uomini d’oggi. Quando gli psicologi parlano nelle loro memorie, nelle loro emozioni, nei ragionamenti dell'uomo, essi in realtà trattano delle nostre emozioni, delle nostre decisioni e dei nostri ragionamenti. Blondel diceva che se si prendono due collettività sufficientemente distanti l’una dall’altra nel tempo e nello spazio l differenza delle mentalità ci apparirà subito evidente. Gravità del perpetuo anacronismo incoscientemente commesso da uomini che si proiettano quali sono nel passato: così l’uomo è sempre identico a se stesso. Come possono valersi gli storici di una psicologia basata sull'osservazione degli uomini del XXI secolo per interpretare le azioni di uomini di altri tempi? Tutt'al più questa esperienza può arricchirli di qualche tipo di confronto. Una vera psicologia storica è resa possibile solo dall’accordo stretto fra psicologo e storico in un lavoro di collaborazione. Integrare una posologia storica affatto individuale da crearsi nella potente corrente della storia del cammino verso lo sconosciuto destino dell’umanità. LUCIEN FEBVRE – COME RICOSTRUIRE LA VITA AFFETTIVA DI UN TEMPO. LA SENSIBILITÀ E LA STORIA La storia impersonale, la storia delle istituzioni e della storia delle idee; istituzioni, idee concernenti una una data società per un certo periodo; in questo settore l’immaginazione intuitiva non può avere alcuna funzione. La parola “sensibilità” è stata attestata nella lingua almeno dagli inizi del XIV secolo e durante la sua esistenza si è caricata di significati diversi: nel Seicento designa una certa suscettibilità dell'essere umano; nel Settecento indica l'avere sentimenti umani. In questo saggio la parola sensibilità rappresenterà la vita affettiva e le sue manifestazioni. Ora, alla base della vita affettiva ci sono le emozioni: dal momento che non c'è nulla di più strettamente individuale delle emozioni, la vita affettiva è quanto di più soggettivo c'è in noi. La domanda è che cosa ha a che fare la storia con tutto questo personalismo e soggettivismo psicologico. 1 Un’emozione è senza dubbio qualcosa di diverso da una semplice reazione automatica dell’organismo alle sollecitazioni del mondo esterno; secondo Wallon costituiscono una nuova formula di attività che non va confusa con automatismi di replica. A questo proposito è importante notare che le emozioni hanno un carattere particolare: sono contagiose. Esse implicano rapporti fra uomo e uomo, relazioni collettive, tanto che arrivano a costituire un sistema di incitamenti interindividuali che si diversifica a seconda delle situazioni e delle circostanze, diversificando insieme le relazioni e la sensibilità di ognuno. Le emozioni diventano così come un'istituzione, e ci consentono di assistere alla genesi dell'attività intellettuale. Sorge un’antagonismo fra emozioni e rappresentazioni e si rivela un’incompatibilità. Ma da un lato si è rilevato che non appena si producono emozioni, esse turbano il funzionamento dell'attività intellettuale; si è potuto quindi assistere, nelle società in via d'evoluzione, al lungo dramma della repressione dell'attività emozionale per mezzo dell'attività intellettuale.E più si svilupparono le operazioni intellettuali, più si è andata rafforzando la tendenza a considerare le emozioni come qualcosa di pericoloso, di brutto. In ogni sentimento umano c’è ambivalenza e tra questi stati contrastanti restano solidali e l’uno non può manifestarsi senza che l’altro si ridesti allo stadio latente. Gli storici dicono che è possibile impiegare la psicologia per interpretare i fatti forniti da documenti validi sul carattere, le azioni, la vita di un uomo in primo piano, di uno di quegli uomini che fanno la storia. Il settore della satira delle istituzioni è un magnifico campo di ricerche, di ricostruzione e di interpretazione per lo storico psicologo. Il meccanismo delle istituzioni di un'età, le idee di un'epoca, non possono essere comprese da uno storico senza una sollecitudine psicologica: la cura di collegare, di reinserire in tutto l'insieme delle condizioni d'esistenza della loro epoca, il significato dato alle loro idee dagli uomini di quella data età. L'impresa è dura e gli strumenti principali sono: • i vocabolari; questo studio permette di isolare e di arrivare a comprendere certe condizioni d'esistenza fondamentali a proposito degli uomini che crearono quel vocabolario. Ad esempio, ci consente di rilevare l'aspetto contadino conservato da termini della lingua latina: l'eccellenza di un uomo, egregius, è paragonata al valore di una bestia tratta fuori dal gregge per essere curata a parte, e grege,; il debole, imbecillis, richiama l'idea di una pianta senza palo di sostegno, bacillus; e la nozione di gioia, laetitia, resta legata a quella di concime, laetamen. Ovviamente se si tratta di sentimenti, nessuno studio lessicale permette di ricostruire un'evoluzione d’insieme • l'iconografia artistica, grazie alla quale Emelie Malè è riuscita a ricostruire le mode successive della sentimentalità religiosa. Si è contrapposto all'arte classica divina, razionale e piena di serenità del XIII secolo gotico, l'arte patetica, umana, sentimentale e talvolta sensuale del XV secolo. Bisogna tenere conto dei prestiti e dell’imitazione delle arti vicine. Se il prestito avviene significa che se ne ha bisogno e impadronendosi si rende proprio. • la letteratura, e non solo la registrazione che essa ci dà della sensibilità, ma lo studio del modo stesso con cui essa crea e poi diffonde una certa forma di sentimento fra le masse. Documenti morali forniti dagli archivi giudiziari e documenti artistici forniti dall’arte plastica. Poco a poco le emozioni associano diversi partecipanti arrivando a costituire un sistema di intercettamenti interindividuali che si diversifica a seconda delle situazioni e delle circostanze diversificando insieme le relazioni e le sensibilità di ogniuno. La psicologia riassunta tende alla storia più antica e più recente. FERNAND BRAUDEL – STORIA E SCIENZE SOCIALI. LA “LUNGA DURATA” Una crisi generale travaglia le scienze dell’uomo a causa dell’accumularsi di nuove conoscenze e della necessità di lavoro collettivo. Il desiderio di fermarsi contro gli altri sta necessariamente all’origine di curiosità nuove (negare gli altri è già conoscerli). Le scienze sociali si impongono le une alle altre. Le scienze sociali sono mal informate sulle crisi che la disciplina ha attraversato e tendono a misconoscere oltre il lavoro degli storici la durata sociale (aspetto della realtà sociale di cui la storiografia ha sempre tenuto conto ma che non ha valorizzato adeguatamente). La pluralità del tempo sociale è indispensabile per una metodologia comune delle scienze dell’uomo. 1) Storia e durata - Ogni lavoro storico scompone il tempo passato e sceglie tra le realtà cronologiche su base di preferenze e esclusioni più o meno consapevoli. La storiografia tradizionale è interessata ai ritmi brevi del tempo in un racconto frettoloso, drammatico e di breve respiro. Negli ultimi cento anni, quasi sempre politica, imperniata sul dramma dei “grandi avvenimenti”, ha lavorato sul tempo breve. - Con la nuova storiografia economica e sociale c'è stata un'alterazione del tempo storico tradizionale. Infatti una curva dei prezzi, una progressione demografica, il movimento dei salari, le variazioni del tasso d'interesse, richiedono più ampie misure. Il nuovo racconto storiografico propone così una decina d'anni, un quarto di secolo e il mezzo secolo. - Vi è poi una storia di respiro ancor più ampio, secolare: la storia di lunga durata. A prima vista il passato consiste in una massa di piccoli fatti (clamorosi, oscuri e ripetuti) che traggono il loro quotidiano alimento (microstoriografia). La scienza sociale ha l’orrore per l’avvenimento perché il tempo breve è una durata ingannevole. L’importanza assoluta delle fonti documentarie ha fatto credere allo storico che tutta la verità 2 condizionano reciprocamente.Rientrano dunque nel campo delle indagini culti, cerimonie, istituzioni e associazioni motivate dalla religione, fedeli e clero, credenze e dottrine, atteggiamenti di fronte alla vita e alla morte. In tale programma emergono due obiettivi: - da un lato stabilire le tipologie di cristiani e di confessioni cristiane a livelli della cronologia scelta: - dall'altro seguire diacronicamente continuità e mutamenti da un modello di cristianesimo all'altro. Devono essere sottolineati tre tipi di interdipendenza: • la prima è la geografia: si è potuto seguire la diffusione non solo della Riforma protestante ma anche di quella cattolica, e più tardi dell'indifferenza religiosa, lungo i fiumi e corsi d'acqua e in cerchi concentrici intorno alle città; si è preso coscienza di comportamenti regionali o nazionali; • una seconda interdipendenza mette a confronto storia ed etnografia. La ricerca storica non si limita più allo studio della cultura dominante del passato, che si esprimeva diffusamente attraverso la scrittura e i libri, l'arte e la religione ufficiali; la ricerca si dirige anche verso un'altra cultura europea, che era soprattutto orale, e che è stata per molto tempo tenuta nascosta. Questo portare alla luce una diversa realtà culturale include la restituzione di un vissuto religioso che non è stato sempre conforme al modello proposto dall'alto, e fa sì che l'interesse degli storici si rivolga ad una serie di fatti identica a quella che attira lo sguardo degli etnologi, e cioè alle credenze, ai riti, a documenti che appartengono ad una cultura più orale che scritta (descrizioni di feste, racconti e leggende). Prende corpo in questo modo un’etno-storiografia; • la terza interdipendenza è la relazione tra storia e studio del linguaggio, quello del lessico soprattutto, ma anche quello delle immagini e dei riti; infatti, per quanto riguarda la cultura dominante, che non è comunque il caso di trascurare, occorre procedere al di là del suo enunciato, ritrovare le sue motivazioni inconsce, l'apparato concettuale di cui si serviva spontaneamente, la sensibilità manifestata nella vita quotidiana. Trattandosi di mentalità religiose a livello di coloro che avevano il compito di impartire il cristianesimo ai fedeli, ci interessano soprattutto tutti quegli elementi che ci fanno passare dalla parola individuale alla lingua collettiva: linguaggio teologico, temi e ricorrenze verbali della predicazione e dei canti, i contenuti e le forme dell'arte sacra. 2) Un gigantesco sforzo di culturalizzazione religiosa Importante è indagare sul fenomeno della decristianizzazione, che si fa generalmente iniziare dalla Rivoluzione francese. I responsabili della religione medievali sapevano bene che i loro contemporanei, soprattutto nelle campagne, mescolavano il Vangelo a riti e credenze pagane. Per moltissimi secoli la Chiesa ha parlato simultaneamente due linguaggi: uno rigoroso, destinato ad una élite ristretta, l'altro di compromesso, rivolto alle masse; il cristianesimo dunque accettava di integrare il paganesimo rurale. Ma questo atteggiamento si modificò progressivamente, in ragione di due fatti in particolare: • la nascita degli ordini mendicanti nel XIII secolo, che significò una volontà di predicazione, un desiderio di elevare il livello della vita religiosa prima nelle città e poi nelle campagne; • le sciagure dei secoli XIV e XV (pesti, carestie, guerre, invasioni turche, il Grande Scisma, la disorganizzazione della Chiesa) che provocarono nello stesso tempo nuovi fermenti religiosi e il ritorno in primo piano di pratiche magiche. Alla politica di assimilazione delle credenze magiche subentrò quella del rifiuto, e si volle allora imporre a milioni di persone la religione di una minoranza. Una convinzione prese corpo tra le élites cristiane: l'ignoranza religiosa è causa di dannazione. E come di è voluta ottenere la conversione delle masse? Attraverso la colpevolizzazione delle coscienze, l'insistenza ossessiva sul peccato originale e gli errori quotidiani, la minaccia dell'inferno. All'occorrenza i missionari drammatizzavano questo discorso terribile pregando di notte o tenendo in mano un teschio.Bisognava dimostrare a intere popolazioni preoccupate soprattutto dell'avvenire e inclini a temere guerre, carestie e malattie, che i pericoli di questo mondo non sono nulla al confronto dei pericoli dell'aldilà: era necessario sostituire nel loro animo una paura ad un'altra. Verso il 700 vi è dunque una religione presentata come una scelta personale, un'adesione dello spirito, un cammino verso la salvezza individuale. Si volle trasformare una religione ufficiale e imposta in una religione praticata e vissuta, e l'ideale di pochi in vita quotidiana di tutti. È a questa situazione che rimandiamo per un confronto quando parliamo di “decristianizzazione”. 3) I limiti dell’impresa Sotto l'Ancien Régime vi fu comunque un'importante minoranza di persone “senza collocazione”, che sfuggivano all'inquadramento parrocchiale sul quale si reggeva tutto il sistema religioso, cattolico e protestante: le varie categorie di nomadi ambulanti, soldati, marinai, pastori, emigranti, galeotti. La convinzione della classe dirigente che non esiste salvezza nell'ignoranza, fece sì che si moltiplicassero le scuole: certamente l'Europa dal XVI al XVIII secolo ha avuto molte più scuole del Medioevo. Tuttavia in Francia, alla fine dell'Ancien Régime, il 50% degli uomini il 70% delle donne erano analfabeti; da qui due conseguenze storiche importanti, trattandosi di un cristianesimo legato all'istruzione e al catechismo: • da un lato non è un caso se nell'Occidente di oggi è nelle aree più culturalizzate ed eredi della cultura scritta del passato che la fede religiosa sembra resistere meglio alle scosse; • dall'altro i contadini, trapiantati brutalmente nei sobborghi scarsamente accoglienti, dimenticarono presto le loro già scarse conoscenze religiose; la Chiesa non ha dunque perduto la classe operaia: essa non l'aveva mai veramente conquistata. In rapporto alla precedente situazione di cristianità, la decristianizzazione appare come un fenomeno soprattutto quantitativo: la diminuzione del numero dei praticanti, una volta finito il tempo delle costrizioni e 5 del cristianesimo ereditario. Appare come la fine di una religione basata sulla paura e come una declericalizzazione. PHILIPPE ARIÈS – STORIA DELLE MENTALITÀ Aneddoto di Febvre con il re Francesco I che tornando a palazzo dopo essere stato dall’amante si ferma di fronte a una chiesa commosso. l’uomo attuale ha la scelta tra due interpretazioni: - Pentimento: interpretazione di uno storico classico che riconosce la permanenza dei medesimi sentimenti in tutte le epoche e in tutte le culture. - Innocenza: interpretazione di uno storico delle mentalità che vede il re entrare in chiesa come nel letto dell’amante senza accorgersi della contraddizione. Il pentimento avviene in un secondo momento. Oggi l’opinione comune non tollera la simultaneità emozioni contraddittorie. Alcune cose sono dunque accettabili e e concepibili in una cultura e cessano di esserlo in un’altra; c’è un mutamento di mentalità. 1) Nascita e sviluppo della storia delle mentalità La storia delle mentalità è nata dopo la prima guerra mondiale ad opera di un gruppo di storici come i francesi Lucien Febvre e Marc Bloch, il belga Henri Pirenne, geografi e sociologi. Il gruppo delle Annales fu sicuramente il meglio organizzato e il più combattivo, ma non era il solo: ad esso bisogna aggiungere personalità indipendenti e solitarie, come Huizinga, Elias, Praz. Tutti questi autori riconoscono alla storia un campo di azione diverso da quello in cui era in precedenza relegata, quello delle attività coscienti, volontarie, orientate verso la decisione politica, la condotta degli avvenimenti. Per Huizinga, ad esempio, il campo dell'immaginario, del sentimento, del gioco è altrettanto importante di quello economico. • La prima generazione intorno a Febvre e Marc Bloch - Vi era, da un lato, la storia tradizionale, che si interessava quasi esclusivamente agli individui, agli strati superiori della società, alle élites o alle istituzioni dominate da queste élites. - Dall'altro la storia sociale, che comprendeva la storia economica e la storia culturale e si interessava alla massa della società, a tutti coloro che erano estranei al potere e lo subivano. Questo orientamento faceva sorgere anche nuove scienze, le cosiddette scienze umane (sociologia, psicologia, etnologia, antropologia) che si aggiunsero all’economia. Stentiamo a comprendere come la storia economica potesse essere associata così strettamente alla storia psicologica: il fatto è che entrambe erano la storia degli umili, della collettività. I fatti economici (prezzi, salari, imposte, credito, mercato) influivano sulla vita quotidiana di tutti (carovita, miseria e arricchimento, carestie, epidemie, mortalità). • La seconda generazione La generazione immediatamente successiva privilegiò la storia economica: la scelta di questa generazione si spiega con la formidabile espansione dell'economia mondiale dopo la seconda guerra mondiale. Tuttavia, una delle ramificazione della storia economica era destinata a reintrodurre i fenomeni di mentalità nella grande problematica: la demografia storica. • Una terza generazione? Nel corso degli anni Sessanta si osserva un declino dei temi socio-economici, un relativo allontanamento dalle ricerche demografiche e l'invasione di temi un tempo quasi del tutto trascurati. Questa storia fuoriesce dalla piccola cerchia degli specialisti, penetra i media, talvolta si vende bene nel più vasto pubblico che si è conquistata: volgarmente si chiama la “nuova storia”. 2) Il concetto di mentalità La storia delle mentalità lascia trasparire una costante volontà di capire meglio il passaggio alla modernità con alcuni esempi: - Esempio del tempo, analizzato da Le Goff, nell'ambito del Medioevo, nel suo saggio Tempo della chiesa e tempo del mercante. Il tempo della chiesa era scandito dalla campana che chiamava monaci e canonici al canto delle Ore. Era un tempo irregolare secondo i nostri criteri, dal momento che la giornata era suddivisa alla maniera romana in periodi di circa 3 ore, e la durata della notte, dedicata alla preghiera e al riposo, era ripartita tra il vespro serale, il mattutino della notte e le laudi dell’aurora. Tuttavia, vi erano già ore fisse che imponevano una certa regolarità alla giornata di lavoro dei contadini. Il tempo del monaco e quello del contadino andavano di pari passo, anche se non coincidevano del tutto. Le cose cambiarono con quello che Le Goff definisce “il tempo del mercante”, che era anche il tempo del lavoro. Un tempo che pure doveva regolarsi sulla campana della chiesa, così il tempo dell'operaio era stato inizialmente ricalcato su quello della chiesa. Ma nel XIII secolo, da una parte questo orario non soddisfaceva più le necessità dei lavoratori e dei datori di lavoro, dall'altra non si concepiva ancora possibile l'invenzione di una scansione del tempo più idonea. Perciò, con una sorta di compromesso, il tempo della chiesa venne manipolato per essere adattato al tempo dei lavoratori, ad esempio, la nona, prima corrispondente alle nostre 2 del pomeriggio, viene anticipata a mezzogiorno (corrispondente alla pausa del lavoratore urbano). Ecco dunque apparire il nostro tempo moderno, diviso in due mezze giornate, il mattino e il pomeriggio, a lungo separate dall'intoccabile intervallo del pasto di mezzogiorno. Tutto ciò concerne le abitudini quotidiane e costituisce un tratto essenziale della mentalità. - Esempio del maligno rappresentato dalla fine delle incriminazioni per reati di stregoneria alla fine del 17 secolo, che rappresenta la dissoluzione di una struttura mentale che ha fatto parte integrante della divisione del mondo tra Dio e Satana per secoli, dal momento che i crimini quotidiani di Satana e dei suoi complici attestano la presenza diabolica del mondo. 6 - Ulteriore esempio è quello della contraccezione. A quanto sembra, le coppie non avevano mai tentato di agire seriamente sull'atto sessuale per bloccarne l'effetto riproduttivo; forse si conoscevano alcune tecniche, ma sta di fatto che non erano usate. E improvvisamente, tra il XVIII e il XIX secolo, per lo meno in Francia, queste tecniche si diffondono al punto di modificare il movimento generale della popolazione. Alcuni hanno posto l'accento sul cambiamento di mentalità. Anche se era vagamente conosciuta, la dicotomia dell'atto sessuale esigeva una capacità di previsione e una padronanza di sé che non erano pensabili nell'antica società, e che lo sono divenute solo nel 19 secolo. 3) Il territorio dello storico Questi esempi dimostrano come l'introduzione del concetto di mentalità provoca una straordinaria dilatazione del territorio dello storico. I temi studiano vanno dal lavoro alla famiglia, dall'educazione al sesso, dalla natura alla cultura; ma anche le variazione somatiche, la salute e la malattia, la peste, la delinquenza. Tali oggetti di ricerca vengono studiati in uno spazio geografico ben delimitato, regionale soprattutto, dovuto all'influenza esercitata sugli storici francesi dall'opera dei grandi geografi. 4) Perché una storia delle mentalità? La storia delle mentalità è dunque soprattutto una storia delle mentalità del passato non attuali. L’uomo di oggi non è più convinto della superiorità della modernità. Vede culture diverse e ugualmente interessanti là dove lo storico classico distingueva solo tra le civiltà e barbarie. Il successo della psicoanalisi nel corso della prima metà del ventesimo secolo si spiega forse con la risposta che essa dava ad angoscia individuali. L’interesse nutrito oggi per la storia delle mentalità mi pare un fenomeno dello stesso genere in cui l’inconscio collettivo favorito dalle culture orali e respinto da quelle scritte, sostituisce l’inconscio individuale di Feud o vi si sovrappone. Inconscio collettivo; non cosciente collettivo. Collettivo; comune a tutta una società in un dato momento. Non-cosciente; non percepito o scarsamente dai contemporanei. MICHEL VOVELLE – STORIA E LUNGA DURATA Partire dal saggio di Braudel per chiedersi che cosa sia avvenuto della lunga durata. Lui si batteva su due fronti; uno interno e uno esterno alla storia. Nel campo storico si contrapponeva a un ieri per noi quasi lontano. L’avvenimento identificato ai suoi occhi con il tempo breve era la più ingannevole delle durate. Dava alla storia una opzione sull’avvenire; sotto l’insegna della lunga durata emergono vari concetti chiave che oggi vediamo ritornare come leitmotiv. La storia inconscia per Braudel è quella che si situa nella lunga durata, dietro gli avvenimenti troppo evidenti, che è possibile organizzare in strutture successive in cui si riflettono gli elementi complementari di un sistema. La storia di lunga durata appare non è infedele al modello tracciato all’origine, anche se il suo sviluppo l’ha spesso portata a risultati imprevisti. L’avvenimento combattuto da Brauel è scomparso dal campo storico? - si, se si considera a qual punto di discredito è giunto oggi - no, perché gli avvenimenti hanno la vita dura La ricerca di lunga durata non ha necessariamente bisogno di contesti molto ampi. La tendenza di Braudel è stata seguita; a un primo livello puramente descrittivo è giusto cominciare con un verdetto favorevole al tempo lungo. 1) La vittoria del tempo lungo. Modifica del campo storico La vittoria del tempo lungo nella storiografia è legata a diverse cause essenziali: prima di tutto la modifica del campo storico, poi quella dei metodi e delle tecniche. Mutamenti si avvertono nella storia religiosa, ad esempio la prospettiva plurisecolare che interessa la religione popolare, ma anche la storia politica che, per certi aspetti, abbandona la trama degli avvenimenti per formulare problemi che si concepiscono solo nella durata. Ma è la storia economica a svelare nel modo più esplicito tale cambiamento: essa è uscita dall'ambito della storia dei prezzi, che metteva in risalto la rottura, le situazioni congiunturali, le crisi, volgendosi verso una storia della produzione e dello sviluppo, che la costringe ad operare in una durata più ampia. - Dal movimento sociale alle strutture sociali: nuova storia della lunga durata e delle permanenze che sfidano la mobilità della storia ufficiale; mutazioni che hanno contribuito nel modo più diretto a spingere la nuova storia sociale verso il tempo lungo e verso la storia delle mentalità - La mentalità: campo privilegiato della lunga durata. Di certo il tempo lungo si impone nella storia delle mentalità, che opera nel campo degli atteggiamenti, dei comportamenti, del cosiddetto inconscio collettivo. Non vi sono rotture o avvenimenti all'interno della storia della famiglia, dell'amore, della coppia, della morte: queste evoluzioni sono segrete e inconsce, non percepite dagli uomini che le vivono. 2) La spiegazione tecnica: una nuova concezione delle fonti Si potrebbe dire che questa emergenza della lunga durata è al tempo stesso il frutto della scoperta e della sperimentazione di nuove fonti, e il prezzo delle difficoltà incontrate nello studio di settori nei quali il silenzio dei documenti costringe ad una cronologia più ampia. La valorizzazione di nuove fonti per la conoscenza del quotidiano, di ciò che riguarda la vita delle masse anonime nella sua continuità, è al tempo stesso fondamentale e limitata nella sua portata. Infatti lo sfruttamento di documenti considerati ieri insignificanti si forma nel momento in cui vengono a mancare i documenti scritti. Subentrano allora fonti diverse, lo scritto perde la sua posizione di privilegio e subentrano l'archeologia, l'iconografia o l'inchiesta orale. Tali fonti 7 Persuaso che questi oneri opprimenti siano la principale causa della propria miseria, il contadino è spesso pronto a prendere le armi, fucile o forcone, per proteggersi dai collettori. In tali condizioni perciò la vita materiale delle campagne francesi è difficile: un cattivo raccolto, una forte gelata in aprile, un temporale in luglio sul suo campo, ed ecco che il raccolto diminuito. E raccolto più scarso, cattiva mietitura, significa anzitutto diritti più pesanti, dal momento che essi rappresentano una percentuale; e anche perché decimatori e intendenti dei nobili diventano tanto più esigenti quanto più cattive sono le entrate, e quindi l'insieme della rendita diminuisce. Minore raccolto soprattutto significa qualche mese più tardi la saldatura tra una stagione e l’altra compromessa; saldate le tasse il contadino ha per vivere solo quanto rimane del suo granaio. Il quadro sociale è oppressivo per lui, senza riguardi né considerazione per gli zotici. Richelieu li paragona ai muli che abituati alla fatica si rovinano con un lungo riposo più che col lavoro. 2) L’insicurezza sociale Il quadro sociale comprende: il signore castellano, padrone delle terre, che è il protettore in titolo del villaggio, anche se è più oppressore che protettore; il curato, altro protettore nel campo spirituale, dal quale il contadino aspetta molto. Ma questo basso clero delle campagne non da ai contadini una protezione efficace perché non è ricco, vivendo altrettanto miseramente del suo gregge e spogliato della decima dei vescovi. Come dice Vauban la povera gente è più oppressa che protetta dal signore; è il dramma della campagna francese. Il nobile si accontenta di ricevere le sue rendite, amministrare la giustizia e vegliare affinché i suoi contadini non vadano a caccia, attaccare briga con gli ufficiali regi etc: il piccolo signorotto di villaggio vive come i suoi contadini, altrettanto rozzo e miserabile, ma resta il padrone con i suoi diritti e tenori di vita che lo differenziano sempre meno dall’uomo comune. Sentimenti si affermano con la grande rivoluzione dei prezzi dal 16 fino al 18 secolo. La protezione signorile che esisteva nel passato è scomparsa e rimangono dunque oneri e vessazioni ; la monarchia ha rosicchiato sui diritti feudali e questo basso clero non da ai contadini una protezione efficace. Infine l'insicurezza si misura anche dai rapporti esterni: la vita sociale del villaggio non è meno chiusa di quella economica. I contadini conoscono qualche altro esemplare dei loro contemporanei: gli agenti del re, riscossori dell'imposta; sulla strada passa talvolta un corteggi reale, talvolta alcuni cittadini che amano i viaggi in campagna. Ma i più temibili visitatori del villaggio sono i soldati e i briganti. I soldati devastano i villaggi, rovistando e saccheggiando tutti i beni. Raccolti ancora non mietuti, granai, bestiame e donne sono anche minacciati dai briganti. Senza dubbio ci sono delle varianti regionali; ma al di là di questo è possibile ricostruire atteggiamenti sentimentali dominanti ed evocare così un'atmosfera mentale. 3) Credenze e opinioni Le paure paniche dominavano ogni cosa e spiegano molti aspetti della vita del villaggio: vi è la credenza radicata che una minaccia pesa costantemente sulla vita degli uomini, del bestiame, sui raccolti. Dunque un'atmosfera in cui tutto è oggetto di timore, in cui tutto è possibile. È un mondo in cui nessuno distingue naturale e soprannaturale, razionale e irrazionale. Inoltre la fede rurale, che presenta caratteri originali, lontani da ogni ortodossia cristiana: il culto dei santi si mescola a pratiche di superstizione. La credenza dell'onnipotenza di streghe e stregoni: il diavolo è presente almeno quanto Dio. Infine dobbiamo sottolineare la fede politica: la fede nella bontà reale, esagerata, cieca, vive sempre, appoggiata su una credenza religiosa; da qui la fede nel potere miracoloso, taumaturgico dei re di Francia. È quindi la fede religiosa che fonda la fede politica. 4) Elementi nuovi All'interno di questo complesso le trasformazioni avvengono per piccoli colpi insensibili. Rimane l’immenso dominio delle opinioni e delle credenze contadine. Quel che si può sentire è un rafforzamento della fede religiosa, attestata dalla comparsa del pastore protestante: uomo di solida fede che porta ovunque passa la sua lettura diretta del Vangelo e quella presenza di spirito che lo rende così temibile per il basso clero cattolico, per nulla abituato alle discussioni teologiche. Si può avanzare l’ipotesi che il protestantesimo rurale ha preso ampiezza solo nella seconda metà del 17 secolo quando la persecuzione (prima e dopo il 1685) ha reso impossibile la vita dei contadini protestanti. Dopo la seconda metà del XVII secolo, il pastore non passa ma si ferma, e i cambiamenti sono rapidi: ognuno deve possedere e saper leggere la Bibbia; rapido arretramento delle superstizioni, spirito aperto alla vita esterna, alle relazioni con il mondo francese e anche straniero. La chiesa cattolica è passata accanto alla riforma disciplinare che poteva permetterle di correggere o rinvigorire la fede superstiziosa delle campagne. Il 16-17 secolo furono un’epoca di espansione urbana; la manodopera viene dalle campagne. Per quanto sia seducente la città del rinascimento racchiude nelle mura i fasti di una minoranza. EMMANUEL LE ROY LADURIE – LOTTA E AZIONE DELLE CLASSI INFERIORI I contadini, ostacolando l'incasso della decima, portano il clero alla rovina e finiscono con l'arricchire i signori e i borghesi, che così riescono ad accaparrarsi molto più facilmente la terra ceduta dalla Chiesa. Nonostante quest'originale unità d'azione, contadini e borghesi sono ben lontani dall'agire sempre come un blocco compatto: ben presto si manifestano delle divergenze perché gli obiettivi non coincidono. I contadini tendono all'abolizione della decima, pretesa considerata inammissibile per la borghesia ugonotta che, in quanto proprietaria di terre, è materialmente interessata alla sottomissione contadina: la borghesia si schiererà a fianco dei nobili, contro i villaggi. 10 Prima del 1550 le rivolte contadine, nella Francia del Sud, hanno un carattere limitato e spesso ristretto alle lotte fiscali. Dopo la metà del secolo la questione della decima diventa la massima posta in gioco. I contadini affrontano le questioni cruciali con decisione e le rivolte si arricchiscono di significati simbolici che consentono di fare un’analisi approfondita. 1. Il carnevale di Romans Intorno al 1580, sulle due rive del Rodano, quella della Linguadoca e quella del Delfinato, divampa un'insurrezione contadina provocata dalla miseria e dal costo del grano. Le associazioni giovanili parrocchiali, le reynages, costituiscono le cellule di base dell’insurrezione. Essa è dapprima giurata in alcuni villaggi protestanti, e i suoi primi obiettivi sono modesti: costringere soldati e banditi a non turbare la pace, a far diminuire l’imposta. Ma ben presto il movimento si allarga: si conclude un'alleanza tra i contadini e gli artigiani di Romans; i contadini insorti nei comuni, incoraggiati dall'appoggio delle classi urbane, estendono le loro rivendicazioni e dichiarano che non vogliono pagar niente. Vengono dunque rimessi in discussione i tre pilastri dell'ordine tradizionale: decime, censi e taglie. La faccenda incomincia con una rivoluzione popolare e finisce in dramma elisabettiano. Nell’inverno del 1580, a Romans, divenuto il punto focale del movimento, gli animi di arroventano, eccitati dall'avvicinarsi del carnevale: artigiani e contadini danzano la loro ribellione per le vie della città. È il mondo alla rovescia: un mondo in cui una libbra di tonno rancido e il vino andato a male costano 20 soldi e i cibi più delicati 4 o 5. “A 6 denari la carne di cristiano”: i ricchi interpretano questo slogan come una manifestazione di intenzioni cannibalesche nei loro confronti. La città si divide in partiti avversi, che corrispondono ai vari quartieri e agli animali-totem che costituiscono il premio delle rispettive feste popolari: il partito del montone, della lepre, del gallo, dell'aquila. Ecco che il carnevale viene a rappresentare per entrambi i partiti un mezzo di esagerazione teatrale: si organizzano balli, feste che preludono al sanguinoso combattimento in cui ci si ammazzerà a suon di musica. A Romans il massacro dura tre giorni, durante i quali i gentiluomini potranno finalmente vendicarsi dei rivoltosi: così finisce il carnevale di Romans, mancato atto di capovolgimento sociale. Vediamo con questo esempio come le rivolte meridionali della seconda metà del XVI secolo siano più selvagge, abbiano degli obiettivi politici più ampi, e nello stesso tempo mettono in moto le pulsioni più profonde del meccanismo psichico dell’uomo. Il sanguinoso carnevale di Romans, con la sua lunga serie di dimostrazioni simboliche, è una specie di psicodramma, che rivela nell'insurrezione, nella repressione e nei terrori reciproci, contenuti nascosti che rimangono celati nel caso di consuete e meno espressive rivolte. Con l’esempio di Romans si mette in rilievo l’enorme carica affettiva proiettata nelle rivolte meridionali nella seconda metà del 16 secolo. Sono ribellioni audaci che mettono in discussione istituzioni rispettate dalle istituzioni precedenti che sono più ardite da un punto di vista sociale e hanno sia obbiettivi politica ampi e mettono in moto le pulsioni più profonde del meccanismo psichico dell’uomo. 2. I Croquants della Linguadoca e del centro Schiacciato nella regione del Rodano, il movimento contadino si riaccende fra i monti del Massiccio Centrale. A partire dal 1560, sono sconvolte dalla guerra, dal banditismo e dalle guerriglie e sono colpite da spaventose carestie. Ed è in questo clima che, a partire dal 1582 e per dieci anni consecutivi, imperversa la sciopero fiscale. Nel 1593-95, nel Sud dell'altopiano centrale, lo scontento e gli scioperi fiscali diventano generali. Nel 1595, nella Linguadoca del Nord, si formano della bande di Croquants, i cui obiettivi e metodi sono: • lottare contro la nobiltà, che tratta i contadini come schiavi e li costringe a dare il doppio o il triplo del dovuto; • parola d'ordine, libertà; • solidarietà del Terzo Stato rurale, senza tener conto delle differenze di religione; • se possibile, rifiuto di pagare le decime, le taglie e le rendite; • repressione dei banditi; • azione delle campagne contro i borghesi della città, che tengono alti i prezzi delle merci e arraffano per poco o niente terreni e fattorie, per poi chiederne affitti altissimi; • lotta contro gli agenti del fisco; • azione particolare del Quarto Stato: scioperi e picchetti di scioperanti nei vigneti dei nobili. Queste loro molteplici iniziative non hanno un carattere di programma sistematico, e sono piuttosto vaghe e disordinate: a volte nascono dall'azione spontanea dei contadini, a volte sembrano ispirate dagli intellettuali di campagna. 3. I militanti campenères Nell'angolo sud-occidentale della Linguadoca, negli anni intorno al 1590, il movimento contadino presenta tratti analoghi: l'azione è vivissima ma gli obiettivi sono limitati alla rivendicazione della pace e alla lotta contro il fisco. Tale è per esempio il programma delle leghe campanères. All'interno di questo movimento si fanno strada due correnti, della quali la più radicale, formata essenzialmente da contadini, persiste nel rifiuto di pagare le taglie fino alla primavera del 1594. Si delinea così per il 16 secolo la curva dei movimenti contadini nella Francia del sud. Ma ancora non splendono i lumi del 18 secolo che daranno un significato razionale a questi movimenti informi. Il destarsi delle coscienze è destato da crisi di barbarie e non è duraturo; ci sarà una ricaduta e un riflusso. 11 4. Sabba e rivolte La coscienza contadina di esprime nelle sommosse popolari, vissute selvaggiamente fino alla disfatta finale; ma affiora anche nel sabba, nei tentativi di evasione diabolica. Alla fine del XVI secolo un'ondata di satanismo si abbatte su intere regioni della Francia del Sud, nei Pirenei, nel Massiccio Centrale fino alle Alpi. Le streghe vengono torturate bruciate al rogo nel 1493. Verso il 1590 l'epoca dei sabba è completamente finita: la Riforma è portatrice di una religione più serena, più umana e calda. Ma si tratta di una vittoria parziale e precaria, sia perché il diavolo scacciato dalle Cevenne mantiene le sue posizioni più a Nord, nel Vivarais, sia perché la stregoneria risale come una marea che dilaga in tutto il Meridione, al tempo dei grandi roghi del 1580-60. Per questo fenomeno è stata proposta da Platter una spiegazione di tipo geografico: infatti, i villaggi degli stregoni si trovano là dove gli habitat isolati, i rilievi montani impediscono ai contadini di frequentare la messa o il tempio; là dove le visite pastorali sono difficili e i villani, nella loro ignoranza, non riescono ad avvicinarsi alla Scrittura. Spiegazione statica che si può rendere dinamica inserendola nella vita del 16 secolo perché l'aumentare dei fenomeni di stregoneria denuncia la crescente crisi di in un inquadramento spirituale. L'incremento demografico del XVI secolo sfocia in un ammassamento della popolazione nelle antiche parrocchie, nei sobborghi delle città e sui fiaschi diboscati dei monti. Il clero locale e le autorità civili non hanno previsto né capito e nemmeno notato questo fenomeno di sviluppo, e non hanno preso alcun provvedimento per fronteggiarlo. E dopo il 1560 le guerre civili vengono ad aggravare ulteriormente questo stato d'abbandono: molti preti vengono uccisi, altri se ne vanno perché non si sentono sicuri; dunque l'inquadramento clericale non è affatto garantito. Particolarmente triste è lo stato d'abbandono spirituale in cui versano le montagne, diventate nidi di banditi, di briganti e di terroristi: i contadini, lontano dai preti, sono soli di fronte le proprie angosce e si votano al diavolo. - La volontà di capovolgimento Fra sabba e rivolte esiste una relazione profonda, a livello delle strutture mentali e della psicologia dell'inconscio. In entrambi i fenomeni ritroviamo infatti lo schema del capovolgimento, del rovesciamento fantastico del mondo reale. Tipica di questa volontà ossessiva di capovolgimento è la testimonianza di un piccolo stregone meridionale quindicenne che sottolinea l’ostinata pretesa dell’idea mitica di capovolgere le istituzioni e mettere fanaticamente il mondo alla rovescia. Rovesciare significa comunque contestarlo, negarlo, proclamare la propria ostilità: così non c'è da stupirsi che questo capovolgimento si ricolleghi a certi tipi di rivolte. E anche la stregoneria reca il segno di questa tendenza, ad esempio: un prete che dice la messa con le gambe in aria e la testa in giù, preghiere latine recitate al contrario e così via. Così le prese di coscienza a fine del 16 secolo finiscono nel nulla per abbandono dei loro obbiettivi o sfociano in una barbara irrazionalità. La libertà non trionfa, l’angoscia torna in forze, insieme ai deliri arcaici; e nel comportamento delle masse popolari si vedono riapparire le ricorrenze del pensiero primitivo. JEAN DELUMEAU – I MIRACOLI 1. Una documentazione sulla possessione diabolica a Vervins nel 16 secolo Le documentazioni dei miracoli permettono di studiare la riforma cattolica nel vivo della sua azione. I miracoli hanno costituito un altro metodo per sensibilizzare le folle al dogma cattolico: non è un caso che molti di essi fioriscano nel bel mezzo della polemica che, nel XVI secolo, divide i cristiani tra loro. Ne è un esempio il caso di una ragazza posseduta (Nicole di Vervins): le circostanze di questa possessione e della sua guarigione costituirono altrettanti argomenti a favore del purgatorio, della confessione e della presenza reale nell'eucarestia, rifiutati dai riformati. Frutto o meno della follia di una ragazza, la tragedia riflette lo stato dello spirito religioso di un’epoca. In un’atmosfera da guerra civile incitati da una pratica rigorista non certo stimolati a una moderazione da predicazioni ingiuriose nei confronti dei fratelli separati, i fedeli sono coscienti del malessere provocato da questa situazione; la lotta tra bene e male nel corpo sembra il simbolo di un paese lacerato. 2. I miracoli di Sainte-Anne-d’Aurey La credenza cattolica nei miracoli si collega al bisogno delle popolazioni di ottenere aiuto e protezione nei pericoli concreti dell'esistenza terrena. Per non permettere alla religione popolare di andare fuori strada, la chiesa, dopo il concilio di Trento, si è sforzata di incanalare la sete del miracoloso delle folle, di controllare i racconti di miracoli e persino di imporre dei modelli di miracolo basandosi sui racconti evangelici. Gli archivi della basilica di Sainte-Anne-d'Auray custodiscono un eccezionale dossier di miracoli del XVII secolo. a. Santuario e la documentazione Il procedimento è normalmente il seguente: una persona, sia perché malata, sia perché in pericolo o per qualunque altro motivo, prega Sant'Anna di intervenire e fa un voto, promette cioè, se il miracolo si verificherà, di andare in pellegrinaggio al santuario. Una volta ottenuta l'assistenza divina, il miracolato va a sciogliere il voto a Sant'Anna: dunque il pellegrinaggio è nella maggior parte dei casi un pellegrinaggio di ringraziamento. Il miracolato va poi a riferire il favore di cui è stato oggetto al monaco, che si incarica di trascrivere le dichiarazioni. Per i miracoli più significativi, i carmelitani richiedevano addirittura degli attestati, rilasciati da medici o sacerdoti, oppure facevano fare delle inchieste. Ci sono due tipi di testi; l dichiarazioni fatte alla santa e registrate da un monaco e i processi verbali fatti davanti ai notai dai miracolati e ricopiati. La dichiarazioni presentano un’aspetto uniforme. Non ci interessa se c’è stato un miracolo ma che gli interessati sono convinti di aver beneficiato della grazia divina; studio di sociologia e mentalità. Nella seconda metà del 17 secolo c’è un’epoca di diffidenza nei confronti del misticismo che aveva segnato l’inizio del secolo. Anche se si smette di trascrivere i racconti dei miracoli però si continua ad invocare la santa. 12 funzioni economiche, che nel loro insieme costituivano l'”economia morale” del povero. Un'offesa contro questi principi morali era l'incentivo abituale per un'azione immediata. Sebbene non si possa definire politica in senso proprio questa economia morale non si può nemmeno rappresentare come apolitica perché presupponeva una concezione precisa del benessere comune. L'economia morale, quindi, non si imponeva solo nei momenti di agitazione, ma influenzava diffusamente il governo e il pensiero settecentesco. 2 Nel XVIII secolo, il conflitto tra campagna e città si manifestava sul problema del prezzo del pane e sulle Leggi del grano. Durante il secolo andò crescendo il consumo di pane bianco rispetto alle altre varietà integrali più scure: si trattava in parte di una questione di prestigio sociale che venne attribuito al pane bianco. Per fornai e mugnai era conveniente vendere pane bianco e farina raffinata perché, con questi prodotti, avevano maggiore possibilità di profitto. Paradossalmente, questo era una conseguenza della politica paternalistica di protezione del consumatore: poiché lo scopo del Tribunale del pane era quello di impedire che il pane dei poveri costituisse fonte privilegiata di profitto per i fornai, a questi ultimi conveniva produrre quantità minime di pane comune e cattivo. Alla fine del secolo molti mugnai producevano solo farine più raffinate per il pane bianco, usando gli “scarti” per la pagnotta scura, che venne definita pericolosa per la salute. Con la fine del secolo si può in ogni caso riscontrare una forte presenza di motivi di rango dovunque si osservasse il prevalere del pane bianco di fronte a una minaccia di miscela peggiore. Quando, nel dicembre del 1800, il governo varò un decreto conosciuto come Legge del pane scuro o “Poison Act”, che obbligava i mugnai a produrre solo ed esclusivamente pane integrale, la risposta della gente fu immediata; e la conseguenza ti tali azioni fu l'abrogazione del decreto in meno di due mesi. Il modello paternalistico viveva sia nel corpo della legge statuaria, sia nel costume, sia nel diritto consuetudinario. In base a questo modello, la vendita doveva essere il più possibile diretta, dal produttore al consumatore. L'agricoltore doveva vendere il frumento all'ingrosso al mercato pubblico locale. I mercati dovevano essere controllati: nessuna vendita poteva essere effettuata prima del termine stabilito, segnato dal suono di una campana; il povero doveva avere la possibilità di comprare per primo la farina, con l'uso di pesi e misure controllati. E soltanto quando i bisogni dei poveri erano stati soddisfatti si doveva suonare un'altra campana e i grandi commercianti potevano iniziare i loro acquisti. I mugnai e i fornai venivano considerati persone al servizio della comunità, che lavoravano non per il profitto, ma in cambio di un'equa ricompensa, che era calcolata precisamente secondo le ordinanze del Tribunale del pane, per mezzo delle quali sia il prezzo che il peso della pagnotta venivano stabiliti in base al prezzo corrente del frumento. Naturalmente questo modello non corrisponde all’effettiva realtà del 18 secolo. Gli agricoltori erano giunti al punto di evitare il mercato e di trattare sulle porte delle loro case con i grossisti; alti agricoltori portavano al mercato un solo carico, per far vedere di essere presenti e di praticare il prezzo stabilito, mentre in realtà i loro affari principali li facevano con piccole quantità di frumento, chiamate campioni. Il modello paternalista quindi oltre ad avere un’esistenza ideale era presente nella realtà anche se in modo episodico; cadeva nell’oblio di anni di buoni raccolti e prezzi contenuti per poi tornare in vita non appena i prezzi salivano e i poveri diventavano turbolenti. 3 Poche vittorie sono state più schiaccianti di quella dei fautori della nuova economia politica nella questione della regolamentazione del commercio interno del grano. Si trattava di un'economia autoregolata: il naturale esplicarsi della domanda e dell'offerta avrebbe massimizzato la soddisfazione di tutte le parti e fondato il bene comune. L’unica minaccia reale per questa economia autoregolata erano le fastidiose interferenze dello stato e il pregiudizio popolare. Il mercato non è mai meglio regolato di quando viene lasciato regolarsi da solo; nel corso di un anno il prezzo del grano avrebbe trovato i suoi punti di equilibrio attraverso il meccanismo di mercato. Il modello del libero mercato presuppone un insieme di agricoltori dal piccolo al grande che lungo l’anno portano il grano al mercato. Ciò che va notato a proposito delle insurrezioni popolari è anzitutto la loro organizzazione e il fatto che esse rivelano un modello di comportamento dalle origini remote, il cui elemento centrale è la volontà di imporre i prezzi. L’economia dei poveri aveva ancora un carattere locale e regionale derivando da un’economia di sussistenza. 5 Tale modello riproduce le misure di emergenza per i periodi di carestia, il cui funzionamento, negli anni tra il 1580 e il 1630, era stato codificato del Book of Orders. In sostanza, il Book of Orders, dava ai magistrati la potestà di ispezionare le riserve di frumento nelle rimesse e nei granai; di ordinare quanto grano doveva essere mandato al mercato e di applicare con rigore la legislazione sulla compra-vendita e sulle licenze. In realtà, ciò che colpisce di queste azioni, è la loro compostezza non il disordine; e non c'è dubbio che esse riscuotessero un consenso popolare straordinario. Infatti è profondamente radicata la convinzione che nei periodi di carestia i prezzi devono essere regolati. Ogni tanto la folla cercava di utilizzare un magistrato o altre autorità per presiedere alla tassazione popolare. 6 Molto spesso erano le donne che davano via ai tumulti; ovviamente esse erano anche le più coinvolte nella contrattazione individuale al mercato, particolarmente attente ai prezzi e quanto mai abili a scoprire se i commercianti rubavano sul peso o rifilavano prodotti di qualità scadente. Probabilmente, nel breve periodo, i tumulti e la politica di imposizione dei prezzi furono perdenti. In primo luogo, l'antigiacobinismo della piccola nobiltà di campagna portò ad una nuova paura di ogni forma di iniziativa popolare; la paura dell'invasione, inoltre, diede vita al corpo dei “Volunteer”, e questo permise alle autorità civili di fronteggiare la folla con strumenti più diretti, con una politica repressiva. Possiamo fare un'analogia con la guerra: i benefici reali 15 immediati della guerra sono raramente significativi, sia per il vincitore che per il vinto, mentre invece i benefici che derivano dalla minaccia della guerra possono essere considerevoli. D'altra parte però la minaccia, alla lunga, smette di provocare timore se la sanzione della guerra non viene mai messa effettivamente in pratica.Non si può dire che i tumulti alimentari richiedono un alto grado di organizzazione ma piuttosto il consenso e l’appoggio della comunità e un modello di azione trasmesso con obbiettivi e regole. 7 In breve periodo i tumulti e la politica di imposizione di prezzi furono perdenti. Il problema dell'ordine pubblico non era affatto semplice: il tumulto era una calamità, e l'ordine che a esso seguiva poteva essere una calamità peggiore; ecco perché le autorità si preoccupavano di prevenire situazioni di questo genere o comunque di troncarle sul nascere con ammonimenti o concessioni. Si poteva arrivare a qualche compromesso tra un prezzo economico del mercato, in ascesa, e un prezzo morale, imposto dalla folla. Le sottoscrizioni promosse al fine di calmare i tumulti in realtà avevano spesso l’effetto di alzare il prezzo del pane per tutti coloro che non usufruivano del beneficio della sottoscrizione. All’interno di un contesto di questo genere si può comprendere la funzione dei tumulti; poteva avere conseguenze controproducenti sul breve periodo ma il costo poteva essere quello di arrivare a qualche compromesso tra un prezzo economico del mercato in ascesa e un prezzo morale tradizionale imposto alla folla. 8 Modello di protesta sociale che deriva dalla concezione popolarmente condivisa dell’economia morale e del bene comune nei periodi di carestia. Gli anni 1795 e 1800-01 ci introducono in una situazione storica diversa. Infatti, le forme di azione che abbiamo esaminato erano legate ad un particolare nesso di relazioni sociali e a un particolare rapporto di equilibrio tra le autorità paternaliste e i popolo. Ma nel corso delle guerre questo equilibrio viene sconvolto. Nel 1795 furono adottate misure estese di vario tipo ben documentate; dalle sottoscrizioni dirette per ridurre il prezzo del pane ai sussidi. 9 L’affermarsi della nuova economia politica di mercato segnò anche il tramonto della vecchia economia morale della sussistenza. Un sintomo del suo definitivo decesso è che non si sia potuto accettare così a lungo un quadro riduttivo ed economistico dei tumulti alimentari interpretati come risposte immediate; quadro che è esso stesso un prodotto tipico dell’economia politica la quale ridusse gli scambi umani al rapporto salariale. WITOLD KULA – UN RE, UNA LEGGE, UN PESO, UNA MISURA! I cahiers de doléances (in francese “quaderni delle lamentele”) erano dei registri nei quali, le assemblee incaricate di eleggere i deputati agli Stati Generali, annotavano critiche e lamentele della popolazione, tra le quali maggiormente avanzate vi erano l'abolizione delle decime ecclesiastiche e dei privilegi signorili. Proprio mentre si stava preparando si scoprì che la nazione intera voleva l’unificazione di pesi e misure sostenendo che fosse indispensabile e facile da introdurre. Invitata ad esprimere le proprie esigenze, la popolazione incontrava evidentemente difficoltà insormontabili nel formularle: perfino colore che sapevano scrivere non avevano in realtà alcuna esperienza di come presentare per iscritto le proprie opinioni su argomenti di tale importanza. Non c'è dubbio che la redazione dei cahiers originali sia da attribuire ai notabili del luogo. Sui cahiers del Terzo Stato compaiono molto spesso le questioni relative alle misure e ai pesi. Si ha l’impressione che la denuncia dei cahiers siano rivolte particolarmente spesso contro le istituzioni ecclesiastiche È sorprendente l'unanimità nazionale di fronte al problema dell'unificazione delle misure e dei pesi. Questa unificazione la vogliono tutti i contadini, artigiani e nobili: la differenza consiste nel fatto che ognuno la vuole per ragioni diverse. In una società frammentata in innumerevoli corporazioni e comunità, ogni piccolo gruppo sociale si trova in una situazione particolare, ognuno ha qualcosa da lamentare e un suo modo di valutare le questioni importanti. E tuttavia occorre riconoscere che da questo caos nascevano preoccupazioni comuni e comuni aspirazioni. Possiamo distinguere tre diversi tipi di motivazione nel reclamare l'unificazione delle misure: antisignorili, commerciali e nazionali. 1) Il primo è il tipo di argomentazione che compare con maggior frequenza. Del resto, lo stesso signore riscuoteva dai contadini parte dei tributi con una misura e parte con un'altra; non deve quindi stupirci se spesso le richieste di unificare le misure vengono formulare con riferimenti specifici alle misure signorili, che servivano per percepire le rendite in natura. Questo monopolio metrologico doveva suscitare liti ad ogni passo: creava una situazione in cui ai signori conveniva falsificare i campioni, mentre fra i contadini nasceva di continuo il sospetto che il campione fosse falsificato. Ma questa coscienza da parte dei contadini di essere vittime di un'ingiustizia è fondamentale. - In alcune regioni della Francia la richiesta di unificare le misure passa quasi in secondo piano rispetto all'esigenza della loro stabilità: si tratta in primo luogo di prevenire le modifiche delle misure da parte dei signori. Può anche succedere che, pur esigendo l'unificazione, i contadini non vogliano cambiare le misure del signore. - Troviamo infine anche rivendicazioni più modeste, tendenti unicamente a rendere, per esempio, accessibili i campioni al pubblico. Una richiesta che si incontra molto spesso è il ricorso ad un funzionario del tribunale statale come garante dell'immutabilità delle misure signorili: si chiede, ad esempio, che le misure signorili siano verificate ogni anno presso la sede del tribunale regio. 16 - Gran parte delle liti di cui troviamo traccia nei cahiers riguarda non tanto le misure, quanto il modo di misurare: esisteva in primo luogo il problema delle misure colme o rase. E naturalmente con queste richieste si coinvolgeva nella discussione anche il problema della forma del campione. Il problema più frequente è quello che oppone la massa dei contadini ai mugnai. Il monopolio della macinazione era uno dei privilegi signorili; ma i proventi della macinazione non affluivano direttamente dai contadini nelle tasche del signore, bensì in quelle del mugnaio. Questi allora cercava in ogni modo di aumentare i prezzi per trarne personalmente profitto. 2) Prendiamo ora in considerazione un altro gruppo di motivazioni: quelle, cioè, legate a questioni commerciali. La richiesta di unificare le misure e i pesi è parte integrante della dottrina del libero scambio, che esige al tempo stesso la soppressione delle dogane interne e dei pedaggi, la libertà di trasportare i cereali da una provincia all'altra, l'introduzione di barriere doganali ai confini del paese. Persone diverse ritengono che l'unificazione delle misure sia il mezzo più efficace per restituire al commercio tutta l'ampiezza di cui è suscettibile, e si augurano che con l'introduzione delle misure unificate il commerciante non debba più fare calcoli particolari, e il cittadino non sia più vittima degli inganni. 3) Un altro gruppo di argomentazioni usate nei cahiers a favore dell'unificazione delle misure e dei pesi può essere definito monarchico-nazionale. A volte, leggendo questi testi, si ha l'impressione di vedervi affiorare un nascente sentimento di unità nazionale, di cui l'unificazione delle istituzione dovrebbe essere l’espressione. Le misure e i pesi assumono un duplice significato: da un lato totalmente concreto, come risulta dal modo di formule gli argomenti, dal contesto e dalle circostanze; dall'altro simbolico. Nel rivendicare l'unificazione delle misure nello spirito dell'assolutismo molti cahiers si richiamano alle tradizioni. Si riconosce che tale unificazione sarebbe un fatto nuovo, rivoluzionario, mentre si denuncia il caos metrologico esistente come un residuo dei secoli della tirannia feudale o delle barbarie, quindi come qualcosa di vecchio, tradizionale. - L’area geografica che le richieste di unificazione investono è molto varia: la maggior parte delle volte viene fatta per tutto il territorio del paese, ma spesso si parla solo della propria provincia. Frequente sono le formule indecise, esitanti: a volte sembrano quasi il risultato di una sorta di gara fra vari proponenti (c'è chi propone nella provincia, e un altro subito azzarda “in tutto il Regno!”); altre volte sembrano esprimere un certo timore nel formulare rivendicazioni che suonano troppo audaci (“in tutto il Regno, o almeno nella nostra provincia”). - Nelle regioni più feudali, ossia quelle occidentali, appaiono più numerose le richieste che sollevano problemi puramente locali: evidentemente il privilegio metrologico nelle mani dei potenti doveva essere una tale spina nel fianco della popolazione, da indurla a rivendicare l'unificazione almeno per la propria parrocchia. - Importante è quello slogan ripetuto mille volte in forme diverse, ma sempre con lo stesso ordine: la richiesta che vi sia un solo Dio, un solo re, una sola legge, una sola consuetudine, un solo peso, una sola misura. Le formulazioni perfettamente identiche appaiono a volte in cahiers sicuramente indipendenti tra loro, legati a contesti totalmente diversi, redatti in parrocchie distanti centinaia di chilometri. Tutto ciò rafforza la convinzione che le rivendicazioni apparse in forma di slogan in quasi tutto il paese avessero un carattere ideologico: l'ideologia dell'uguaglianza di fronte alla legge e dell'unità nazionale. Resta a questo punto un interrogativo fondamentale cui rispondere: qual era l'atteggiamento dei ceti privilegiati, nobiltà e clero, di fronte all'unificazione metrologica? La nobiltà sapeva quanto fosse ampia e generalizzata tale richiesta e si rendeva conto che essa sarebbe stata presentata agli Stati Generali con un forte consenso. Così forte da non osare opporsi ad essa apertamente. In tale situazione la nobiltà si limita da un lato a ricordare i suoi diritti, come il diritto di proprietà e i privilegi su cui fonda la propria autorità metrologica, mentre dall'altro agita il terrore che più d'ogni altra cosa spaventa la monarchia: le difficoltà di approvvigionamento. GEORGES LEFEBVRE – LA GRANDE PAURA 1. i caratteri della grande paura La paura dei briganti generò la Grande Paura. Con l'arrivo dei briganti ci si mette in stato di difesa e si da l'allarme alle milizie organizzate. Questi allarmi non costituiscono un fatto del tutto nuovo; ma la caratteristica della Grande Paura è che questi allarmi, anziché restare locali, si propagano molto lontano e con grande rapidità. La Grande Paura fu universale perché venne confusa con la paura dei briganti. Ammettere che i briganti esistessero e potessero comparire era una cosa; immaginarsi che fossero presenti era un'altra. Era facile passare dal primo stadio al secondo, altrimenti la Grande Paura non si spiegherebbe. Ma non era obbligatorio e, se tutta la Francia ha creduto ai briganti, la Grande Paura non si ritrova in tutta la Francia. La Fiandra, il Hainaut, il Cambrésis, l'Ardenne non l'hanno conosciuta; la Lorena ne è stata solo sfiorata; la maggior parte della Normandia non l'ha sperimentata e in Bretagna se ne trovano appena le tracce. Siccome la paura dei briganti provenne per buona parte dalla capitale, gli studiosi ne hanno concluso che anche la Grande Paura ne proveniva. Molti storici rappresentano la Grande Paura come un'ondata propagatasi concentricamente da Parigi, mentre essa ebbe vari punti di origine: i fenomeni di panico 17
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