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Il Ruolo del Papa nella Guerra Fredda e nella Seconda Guerra Mondiale, Appunti di Storia Moderna

Il ruolo del Papa durante la Seconda Guerra Mondiale, con particolare attenzione alla sua tentazione di rimanere imparziale e il suo desiderio di evitare che l'Italia entrasse in guerra. Il testo illustra come la guerra poneva il Papa e la Santa Sede in una posizione difficile, con la necessità di mantenere buoni rapporti con diverse potenze in guerra. Viene inoltre discusso il ruolo degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica nella guerra e come la guerra influisse sulla politica internazionale e sulla percezione della potenza italiana.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 09/07/2018

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michele-parolin 🇮🇹

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Scarica Il Ruolo del Papa nella Guerra Fredda e nella Seconda Guerra Mondiale e più Appunti in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Tecnicamente la guerra scoppia per il destino di Danzica. Risuonerà per tutta la guerra il famoso slogan “non morire per Danzica”. In realtà per Hitler la città è soltanto un pretesto. Preso atto della fine della politica anglo-francese di appeasement, nonché dell’impegno assunto dalle potenze di GB e Francia nei confronti della Polonia nel marzo del 1939, non può raggiungere i suoi obbiettivi se non scatenando un conflitto. E’ una guerra necessaria che Hitler nel frattempo ha già pianificato, garantendosi sul fronte orientale attraverso il patto con l’URSS (patto, che costituisce anche l’elemento tecnico-diplomatico che sancisce la guerra. C’è un tentativo della santa sede di promuovere una conferenza internazionale per convincere i polacchi a cedere Danzica. Ma è troppo tardi per risolvere la questione diplomaticamente. Hitler accetta di ricevere la visita dell’ambasciatore polacco Lipski, ma è inutile discutere se Hitler aveva già dato ordini alla Wehrmacht di dare inizio alle azioni militari e i polacchi rimangono sulle proprie rigide posizioni. E’ superato qualsiasi tentativo di dialogo. Un altro tentativo fuori tempo massimo: inglesi e francesi non entrano immediatamente in guerra ma lanciano un ultimatum: la Germania è chiamata a ritirarsi immediatamente dal territorio polacco, altrimenti queste le avrebbero dichiarato guerra. Fallisce anche perché condotto da un personaggio di basso rilievo, lo svedese Dairus, quindi poco credibile. Inglesi e francesi dichiarano guerra alla Germania. La prima fase del conflitto è combattuta esclusivamente sul territorio polacco. Dopo alcuni giorni i sovietici fanno la loro parte con il pretesto di intervenire per proteggere le popolazioni russe nel territorio tra Ucraina e Polonia, occupando una parte della Polonia. La ripartizione del territorio polacco non è molto fedele all’accordo Ribbentrop- Molotov perché i tedeschi occupano un territorio che va oltre il confine previsto, quindi per compensazione la Lituania finirà sotto influenza sovietica. E’ certo che l’alleanza strategica per la spartizione funziona perfettamente. Ci saranno avvenimenti drammatici come la ribellione a Varsavia in cui i sovietici non muoveranno un dito, perché saranno in un primo momento scrupolosi nel voler mantenere fede agli accordi con la Germania. La situazione cambierà radicalmente dal 1941. Dal punto di vista strategico viene messa in atto la nuova concezione tedesca della guerra: la Blitzkrieg, come avanzata delle divisioni corazzate preceduta da bombardamenti a tappeto (che favoriscono l’avanzata dell’esercito abbattendo ogni resistenza). I polacchi non cedono, nonostante non fossero preparati al nuovo tipo di attacco, ma rispetto alle corazzate è assolutamente obsoleta. Molti anni dopo la guerra il governo polacco pubblicherà un libro di colore sulla questione di Danzica, in cui si rivela che in realtà i polacchi sarebbero stati flessibili con Hitler cioè disposti a cedere Danzica, ma non è vero, perché fino all’ultimo questa disponibilità non c’era stata. Il libro di colore è un mezzo con cui i governi cercano di lavarsi le mani dalle accuse della comunità internazionale. E’ anche vero però che la guerra sarebbe stata scatenata ugualmente. Per Hitler l’idea era che la guerra potesse consumarsi immediatamente a patto che tutta la comunità internazionale accettasse la sua conquista della Polonia, e aveva posto questa condizione al mondo. Nell’attesa della risposta delle altre potenze Hitler sarà anche disposto a prendersi una pausa dal conflitto in Polonia. Lo scoppio della guerra innesca diverse reazioni: • La posizione della Chiesa: Pio XII cerca di lanciare appelli alla pace (era stato nunzio apostolico, cioè ambasciatore della Santa Sede presso la Germania e aveva una conoscenza diretta della realtà, questo lo rendeva pessimista riguardo alla possibilità di convincere Hitler a cambiare posizione). La posizione generale del Vaticano in guerra può essere riassunta nella formula di imparzialità ma non neutralità. Vuol dire che di fronte ai problemi della guerra cerca di farsi mediatore e di restare super partes, ma allo stesso tempo non può fare a meno di riconoscere che c’è una grande differenza tra i diversi attori perché alcuni hanno totalmente subito la guerra come vittime, mentre altri l’hanno scatenata consapevolmente: questo atteggiamento di imparzialità verrà messo a dura prova quando l’URSS si ritroverà a condurre azioni militari nel campo anti-tedesco. In quella fase per il Papa sarà molto difficile sostenere il simbolo dell’ateismo e considerarlo come un partner alla pari degli altri. Una volta scoppiata la guerra una priorità del Papa sarà quella di evitare che l’Italia entri in guerra, perché è la potenza cattolica per eccellenza strettamente legata alla Santa Sede dal punto di vista diplomatico (soprattutto dopo la conferenza). Verranno per questo assunte una serie di misure particolari. Poiché la guerra è condotta da una potenza fondamentalmente neopagana, c’è il timore che Hitler possa avere anche mire in senso antireligioso di cancellazione del Vaticano. Quindi il Papa aveva preparato la lettera delle proprie dimissioni e molti nella fase più drammatica della guerra lo inviteranno a lasciare Roma. Lui non lo farà ma sapeva che se i tedeschi avessero occupato Roma questi avrebbero messo le mani non su di lui ma sul prelato perché la lettera, già pronta, sarebbe stata immediatamente esecutiva. Durante la guerra, date le restrizioni poste dall’Italia, tutto il personale diplomatico internazionale dovrà restare nelle mura dello Stato Vaticano, perché da quando l’Italia entrerà in guerra non avevano più libertà di movimento nel territorio del Regno d’Italia. Il Vaticano diventerà il centro nevralgico delle relazioni diplomatiche e trattative segrete interalleate, e proprio qui si instaurerà un particolare dialogo tra la Santa Sede e gli USA. Roosevelt è molto preoccupato per ciò che accade in Europa senza la minima intenzione di intervenire, ma invia i suoi emissari in Europa per vedere cosa si può fare. Importante sarà la missione di Myron Taylor condotta dal 1939: si protrarrà fino a dopo la guerra. Bisogna tenere presente che in questa prima fase non ci sono ancora dei rapporti diplomatici ufficiali tra USA e Santa Sede, infatti Taylor non era un ambasciatore ufficiale ma un rappresentante personale di Roosevelt. E’ importante per l’America cosa farà l’Italia. Il voto degli italiani in America era rilevante per Roosevelt, che riesce a rinnovare il proprio mandato per ben tre volte. E’ comune preoccupazione sia alla Casa Bianca che in santa sede. Roosevelt chiede alla Santa Sede di fare pressione sui fascisti affinché l’Italia non entri in guerra, perché non avrebbero fatto sconti se si fossero trovati nella scomoda situazione di combattere contro di essa. espellendo l’URSS. Non sarà importante in quel momento ma verrà preso in considerazione quando nascerà dopo la guerra l’ONU. La nuova mira di Hitler è invece la Norvegia a causa di una incauta iniziativa inglese perché erano state messe delle mine nel Mare del Nord lungo il tratto costiero norvegese in funzione anti-tedesca, viene presa come una sfida da Hitler, che la occupa e vi instaura un regime fantoccio. Questa incauta decisione indurrà Chamberlain a dimettersi. Ma le operazioni sul versante nordico sono solo un diversivo perché Hitler vuole condurre un’azione strategicamente importante: vuole regolare i conti con l’eterno nemico francese in un momento di grande debolezza militare dei francesi. La linea Maginot che questi credevano imbattibile in realtà cederà subito alla Wehrmacht. Quella che una volta era una potenza europea, si rivela del tutto inerme all’offensiva tedesca. Sul suolo francese c’è una consistente presenza di militari britannici che verranno precipitosamente richiamati in patria, cercheranno di sbarcare prima di essere raggiunti dai tedeschi, con il tragico episodio di Dunquerque. I francesi sono abbandonati al loro triste destino. La vicenda della caduta della Francia successiva alla caduta di una serie di altre piccole potenze che costituivano gli stati cuscinetto. Non c’è più potenza continentale che sia ostile alla Germania; o perché alleata o perché occupata e sottomessa. L’Europa è una enorme macchia tedesca. La drammatica caduta della Francia porta Mussolini a svincolarsi dai suoi collaboratori che lo avevano tenuto fuori dalla guerra, perché la guerra è ormai alle ultime battute. Anche le pressioni tedesche sono molto forti, per Hitler è arrivato il momento che l’Italia faccia il suo compito cioè di garantire gli interessi sul mediterraneo. Nonostante i tentativi di trattenere il Duce, questi il 10 giugno del 1940 si affaccerà dal balcone di palazzo Venezia e dichiarerà guerra alla GB e alla Francia, che definisce potenze plutocratiche (cioè guidate dalle vecchie e logore élite) che opprimono la giovane e vitale Italia. Vuole condurre la cosiddetta guerra parallela, perché è consapevole di avere poche risorse e possibilità a disposizione: nessun attacco in grande stile, solo operazioni mirate, che gli garantiscano l’apertura di un varco nel mediterraneo per arrivare sull’atlantico, per puntellare la sua posizione nel Mediterraneo, in modo tale da non permettere ad Hitler di avere pretese contro gli interessi italiani e da essere considerato al momento delle trattative di pace, questione di poche settimane. Non è un caso che già poco prima dello scoppio della guerra l’Italia avesse già occupato definitivamente l’Albania. E’ una operazione programmata da Ciano, che determina un ulteriore deterioramento dei rapporti con la Jugoslavia, e che può essere considerata come una manifestazione della frustrazione di Mussolini che non sa come reagire alle conquiste prebelliche di Hitler (vuole dimostrare che c’è anche l’Italia e che anche questa ha degli interessi nel continente). Anche il concetto della guerra parallela è ambiguo: vuole condurre una guerra con il minimo sforzo, perché è quasi vinta, ma con lo scopo di manifestare gli interessi continentali italiani. Ma in realtà i rapporti tra i due leader totalitari si gerarchizza a danno di Mussolini, e trova la sua massima manifestazione nel trattare con la Francia già sconfitta da Hitler (che aveva fatto tutto senza avvertire Mussolini). Quando Mussolini dichiara guerra, il primo paese che attacca è la Francia lungo il confine. E’ la cosiddetta pugnalata alle spalle alla Francia ormai morente. In realtà le truppe italiane saranno messe in grande difficoltà, sia perché male equipaggiate ed organizzate, che perché contrastate dal sentimento patriottico dei militari francesi. Riusciranno a penetrare il territorio francese per pochi chilometri, ma questo basterà a Mussolini per pretendere di sedersi al fianco di Hitler al tavolo dei vincitori. Mussolini vuole un unico armistizio con la Francia per cercare di mettere le mani su tutto quello che può (imponendo tutta una serie di rinunce territoriali in ambito coloniale che la Francia non aveva mai voluto concedere negli anni precedenti). Invece la posizione di Hitler è completamente diversa. E’ vero che la Francia è sconfitta, ma non deve essere umiliata perché tornerà utile nel prosieguo della guerra. Inoltre, Hitler fa presente che a sconfiggere realmente la Francia è stata la Germania e non l’Italia. Per volere del Fuhrer, quindi, ci saranno due armistizi separati con la Francia: • Quello franco-tedesco viene firmato il 21 giugno del 1940 a Compiègne. Hitler impose che venisse firmato nello stesso vagone in cui i francesi avevano fatto firmare l’armistizio ai tedeschi dopo la prima guerra mondiale. Aveva fatto saltare in aria il museo in cui si trovava il vagone, ma aveva salvato il vagone proprio a quello scopo, in piena esaltazione nazionalistica. Prevede la spartizione del territorio francese in due aree: quella atlantica controllata direttamente dai tedeschi per motivi strategici (operazioni verso la GB). Nell’altra parte viene istituito il regime collaborazionista della Repubblica di Vichy, regime collaborazionista della Germania cioè che avrebbe condiviso impegni militari. • Quello con l’Italia del 1940 a Villa Incisa, in cui Mussolini non riesce a ottenere nulla. Tutta la propaganda del regime (Nizza, Corsica, Tunisia) veniva ignorata. Semplicemente si prevede una linea di smilitarizzazione da parte francese del confine tra Italia e Francia e tra le colonie africane francesi e quelle italiane. E’ una profonda frustrazione per Mussolini. La questione della flotta francese. Hitler si accontenterà dell’impegno del regime di Vichy a non usare queste unità contro i tedeschi. Era molto facile da ottenere dato che Vichy non aveva alcuna autonomia e ben presto avrebbe condiviso le operazioni militari con i tedeschi. Sarà la causa della rottura tra Francia e GB. Prima ancora che la Francia venisse sconfitta, ma quando Hitler l’aveva già attaccata, francesi e inglesi si erano confrontati. I francesi chiedono disperatamente aiuto, che gli inglesi non sono disposti a concedere: Winston Churchill (leader inglese che emerge durante la guerra) non ha i mezzi né vuole utilizzare le proprie forze a sostegno dei francesi perché già teme un attacco tedesco sul proprio territorio. Dice ai francesi che devono resistere fino all’ultimo uomo e non devono essere disposti a cedere la loro flotta ai tedeschi. In questa fase drammatica del rapporto franco-inglese nasce paradossalmente l’idea di una unione, come disperato tentativo inglese di salvare il legame con la Francia tenendo viva la resistenza francese. Il governo di Vichy, guidato da Pétain e Laval, entra in attrito con la GB, che comincia a considerarli come nemici e quindi deciderà di affondare le unità navali coloniali francesi nel Mediterraneo. E’ un momento molto drammatico perché gli inglesi si ritrovano costretti a sferrare un attacco ai vecchi amici francesi, ormai collaborazionisti. Ovviamente Charles De Gaulle, al contrario, si dissocerà dal collaborazionismo e cercherà dall’Inghilterra di ravvivare la resistenza del popolo francese. Vinta la resistenza francese, Hitler è il signore d’Europa e Mussolini è subordinato ed ha un ruolo del tutto marginale. Decide di seguire un progetto di distruzione di tutti i nemici: la GB è l’ultimo stato da sconfiggere per avere una vittoria definitiva. La battaglia di Inghilterra è il tentativo di Hitler di piegare la resistenza britannica, molto ambizioso perché prevedeva l’operazione Leone Marino che comprendeva bombardamenti a tappeto e successiva occupazione via mare del territorio britannico. Emerge qui per la prima volta che la strategia di Hitler non seguiva una logica, se non quella di eliminare tutti coloro che erano rimasti in piedi: non aveva particolari motivi per attaccare la GB ma ha bisogno che tutti ammettessero di essere sconfitti prima di poter cantare vittoria. Questa massiccia campagna di bombardamenti devasta intere città come quella di Coventry, ma con sorpresa nonostante le devastazioni non c’è nessuna traccia di resa inglese. Churchill è molto abile nel fare leva sull’onore e sul patriottismo dei suoi cittadini. Erano fermamente convinti che se fossero stati in grado di resistere, sarebbero potute cambiare radicalmente le condizioni della guerra. L’obiettivo di Churchill è quello di convincere gli americani ad intervenire nel conflitto. Per Hitler non riuscire a piegare la resistenza inglese è inconcepibile e costituisce la prima sconfitta dell’esercito tedesco. Maturano quindi le condizioni affinché Churchill possa avanzare la domanda di aiuto agli americani, proponendo di valutare anche una eventuale entrata nel conflitto. Roosevelt si rende conto che non è accettabile la prospettiva di una resa degli inglesi, e decide di fare degli USA l’arsenale della democrazia sostenendo materialmente la resistenza britannica. Nel 1941 Roosevelt, lavorando sulle cosiddette leggi di neutralità, ottiene la legge di affitti e prestiti (grazie al benestare del Senato) per poter rifornire la GB. L’avvicinamento degli USA alla guerra si manifesta ulteriormente quando Roosevelt invia in Europa Henry Hopkins per capire quali fossero le necessità materiali dei paesi che ancora si oppongono al dominio tedesco. Sempre Hopkins verrà inviato anche a Mosca quando si romperà l’alleanza con i tedeschi, per proporre aiuto anche a Stalin. L’avvicinamento culmina con il primo incontro che nell’agosto del 1941 si tiene tra Roosevelt e Churchill al largo di Terranova, perché qui scaturisce la Carta Atlantica, è l’enunciazione di una serie di principi con cui si guarda già al dopoguerra. • Bisogna sconfiggere prima di tutto la Germania nazista, • Poi bisogna instaurare un ordine internazionale in cui i paesi vengano liberati dalle loro necessità economiche, che venga sancito il diritto all’autogoverno dei popoli, ripristinata la libertà di navigazione e altri principi non nuovi ma che dovevano essere restaurati dopo la guerra. La Carta Atlantica è quindi sia il nucleo dell’impegno americano contro la Germania, che quello delle prospettive del nuovo ordine internazionale. Hitler come un liberatore. Il nazionalismo represso dal dominio sovietico non avrà quindi un impatto rilevante, né nell’operazione barbarossa né nel conflitto in generale. Prima di questa offensiva si manifestano alcuni elementi storici interessanti da cui emerge la visione di Hitler. Nel maggio del 1941 Rudolf Hoess vola in Inghilterra. Poco tempo prima la Luftwaffe bombardava l’Inghilterra. Cosa succede? Quando Hitler cambia obiettivo, passando dalla GB all’URSS, inviando il suo collaboratore pare volesse convincere gli inglesi a condividere la campagna contro l’URSS. In realtà Hitler si dissocerà dall’iniziativa di Hoess, che verrà fatto passare per vittima di un esaurimento nervoso. Questo episodio oscuro rivela che i tedeschi sono incerti su come continuare la guerra contro l’URSS. Più razionale è la campagna tedesca in Jugoslavia. Si cerca di dare una sistemazione dei suoi territori che si incentri su una suddivisione di sfere di influenza tra Italia e Germania. La Croazia diventa protettorato italiano, la Serbia resta nucleo indipendente della Jugoslavia. La sistemazione della questione balcanica è il presupposto per attaccare l’URSS. Nel giugno del 1941 comincia l’invasione dell’URSS: Stalin non è esattamente sorpreso perché il servizio di spionaggio lo ha informato. Nonostante questo non sa come comportarsi nei confronti della veloce avanzata della Wehrmacht. Dopo giorni di indecisioni decide di lanciare la grande guerra patriottica, riprendendo i vecchi valori del nazionalismo russo (nonostante questi non fossero più compatibili con l’ideologia sovietica) per animare la resistenza antitedesca. Con le sue ricorrenti purghe Stalin ha eliminato anche gran parte dei quadri di ufficiali dell’esercito, questo lo indebolisce ulteriormente dal punto di vista militare. L’URSS aveva fatto qualcosa poco prima che scattasse l’occupazione, e che gli sarebbe tronata utile: nella primavera del 1941 aveva stipulato un trattato di reciproca neutralità con il Giappone. L’accordo vale come risposta polemica del Giappone al patto Ribbentrop-Molotov, per via del quale si erano sentiti traditi dalla Germania. Quando i tedeschi saranno in difficoltà nella campagna in Russia non potranno contare sul soccorso da est delle truppe giapponesi, che avrebbe subito annientato la resistenza russa. E’ un punto che avrà un peso fondamentale ma anche il limite di questi alleati incapaci di instaurare dei rapporti sinceri (ognuno si allea alle spalle degli altri per trarre il massimo vantaggio). Quando i nazisti si rendono conto di aver intrapreso un’azione troppo rischiosa, il ministro della propaganda tedesca Goebbels lancerà la cosiddetta guerra totale come risposta alla guerra patriottica lanciata da Stalin. Tutti devono sentirsi mobilitati nella battaglia contro la barbarie slavo-comunista. Questo messaggio è rivolto anche agli altri europei, perché tutti devono sostenere lo sforzo tedesco per annientare la minaccia comunista. Sia Hitler che i suoi collaboratori sono pronti a portare la guerra alle estreme conseguenze: non bisogna arrendersi fino a quando l’ultimo uomo non sarà caduto: anche a guerra persa, verranno inviati i bambini a combattere al fronte come ultime risorse. La Germania con queste campagne assurde ha perso il controllo del conflitto. La guerra viene sfruttata per suscitare la ribellione ai domini inglesi e francesi. Non è una situazione molto diversa rispetto a quella della prima guerra mondiale, soltanto che a ruoli invertiti. Il progetto non funziona per problemi di incoerenza nell’alleanza. Si riesce soltanto a realizzare in Iraq il governo del filonazista al-Ghaylani, sostenuto dai filonazisti di Vichy che controllavano Siria e Libano. Mussolini si era proclamato poco tempo prima protettore dell’Islam e ora faceva fatica a sostituirsi in queste regioni ai britannici; vorrebbe suscitare la ribellione di questi popoli e la loro indipendenza. Hitler non vuole perché preferisce che Mussolini si sostituisca agli inglesi in Egitto, dove in realtà in seguito ad un accordo nel 1936 gli inglesi avevano mantenuto solo il controllo di Suez. Questo era stato l’oggetto di un accordo bilaterale anglo-egiziano del 1936. Temendo molto possibili orientamenti filo-tedeschi e filo-italiani in Egitto, gli inglesi erano riusciti ad evitare che l’Egitto entrasse in guerra, ma non aveva potuto evitare che questo venisse attaccato come succede ad opera delle truppe di Rommel. Si consumano varie battaglie, fino a quella decisiva di Tobruch con la sconfitta definitiva delle truppe egiziane da parte di quelle italo-tedesche. Un paese che si trova nel gioco di influenze è l’Iran ma paradossalmente queste influenze hanno a che fare con la sfida tra inglesi e sovietici più che con italiani e tedeschi. Questo perché l’Iran era rifornitore di risorse energetiche. Paradossalmente, dopo l’attacco tedesco all’URSS tra l’altro inglesi e sovietici si ritroveranno dalla stessa parte. Altro teatro vede protagonista la forza espansiva del Giappone nell’area asiatica. La cosa più importante è che la guerra mondiale è scoppiata anche a causa dell’espansionismo del Giappone in Cina e l’attrito con gli USA in questa regione. Ciò che accade ha cause proprie, che sono estranee a quello che accade in Europa, corrispondono ad un inasprimento della situazione di competizione molto precedente rispetto alle aggressioni di Hitler. I Giapponesi hanno stracciato unilateralmente l’accordo di Washington sui rapporti di forza navali per costruire una flotta senza limiti precedentemente imposti. Seconda sfida agli USA: a seguito della fondazione del Manciukuò, i giapponesi passano ad un progetto più vasto con la fondazione di un governo repubblicano cinese a Nanchino sotto diretto controllo giapponese. Questo espansionismo non si limita solo all’area cinese, perché alcune regioni sono state già acquisite ed altre verranno acquisite durante la guerra. La campagna in Asia è legittimata sulla base del pan-nazionalismo asiatico: i territori dell’asia non devono più essere sottoposti a Francia e Inghilterra, devono essere indipendenti. E’ ovviamente una forte strumentalizzazione politica, ma c’è una proposta coronata dal concetto nazionalistico della sfera di co-prosperità in Asia: le immense risorse nella vasta area non devono essere oggetto di sfruttamento degli europei; è meglio che se le tengano gli asiatici, respingendo le ingerenze degli occidentali nella regione. Questo atteggiamento è percepito da Roosevelt come un fattore pericoloso, perché: • I giapponesi stanno portando la guerra in un’area di interesse degli USA; • Hanno violato il principio della open door in Cina, che si trova alla mercé dei loro interessi; • Minacciano, attraverso una proposta politica di base nazionalistica, di estromettere qualsiasi influenza economica americana dall’area asiatica. Roosevelt risponde denunciando il trattato commerciale tra USA e Giappone, di vitale importanza per l’economia giapponese, perché attraverso questo il Giappone acquisiva dagli usa ingenti quantità di risorse. Il problema del Giappone era sempre stata la scarsità di risorse energetiche, tanto da essersi specializzato nella produzione di energia nucleare a scopo civile. Di conseguenza si crea una tensione frontale tra le due potenze che porterà alla guerra nel settore asiatico e del Pacifico. Lo scontro culmina con l’attacco a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941, definito come “giorno dell’infamia”. Il Giappone vuole trascinare gli USA in guerra. Yamamoto affermerà di aver risvegliato il gigante. Alcuni hanno affermato che Roosevelt fosse a conoscenza dell’attacco imminente, ma che non aveva preso misure preventive perché voleva strumentalizzare l’attacco alle spalle per entrare in guerra. Le conseguenze sono paradossali: • Roosevelt può parlare di viltà e infamia dei giapponesi, perché gli americani stavano soltanto conducendo una guerra commerciale legittima, portando gli USA in guerra contro il Giappone; • In Europa Hitler e Mussolini sono completamente ignari di quello che accade nel Pacifico e si apprestano senza alcun apparente motivo si affrettano a dichiarare guerra agli USA, che non avevano nessuna intenzione di entrare in guerra nel continente europeo. Volevano solamente regolare i conti con il Giappone. Italiani e tedeschi non hanno idea della potenza industriale degli USA, credono anzi che gli americani siano degli sprovveduti perché non hanno un esercito e pensano soltanto agli affari. La guerra diventa davvero globale. Differenza sostanziale tra Roosevelt e Wilson. Roosevelt è una versione più pragmatica di Wilson, perché ha conosciuto pregi, successi e limiti della visione wilsoniana quando ha lavorato nella sua amministrazione. Anche lui avrà delle visioni ideali ma sarà molto più flessibile alle esigenze del momento. La stessa Carta Atlantica è una versione rivisitata delle idee wilsoniane, alla luce dei nuove esigenze perché il nemico era molto più temibile di quello militarista di origine prussiana, era ideologico. Mentre Wilson non sopporta l’idea di dover collaborare con potenze non democratiche., tanto che sarà contento della caduta dello zar (credeva che la fine dello zarismo portasse ad un sistema democratico in Russia anche se così non sarà), Roosevelt non esiterà a collaborare con Stalin, sarà disposto a cooperare con l’URSS anche alla fine della guerra. In questa fase prendono corpo tendenze di ribellione al vecchio colonialismo: si organizza il movimento dei Vietminh che ha in Ho-chi Minh il proprio leader (lega per l’indipendenza del Vietnam). In questa fase di ribellione alle ingerenze giapponesi, questi movimenti sono finanziati e sostenuti dagli americani. L’obiettivo è sempre quello di eliminare l’influenza di una potenza per sostituirla alla propria influenza nella stessa area. Tra le vicende più tragiche della guerra, si ricordano le battaglie nel Pacifico: l’evento decisivo è la battaglia delle isole Midway quando gli usa infliggono una pesante sconfitta Anche se è vero che la dichiarazione viene sottoscritta dallo stesso nucleo di Stati che prenderanno parte all’ONU, questa NON è l’atto di fondazione dell’ONU, ma soltanto un impegno ad annientare Hitler. Gli USA cominciano a far affluire molti aiuti anche a Mosca. Il problema che si discute riguarda l’apertura di un secondo fronte, perché se gli americani non fossero sbarcati in Europa, Hitler non si sarebbe mai arreso. È una discussione in cui è difficile trovare un accordo: • Churchill vuole lo barco ma vuole che le forze anglo-americane si occupino dell’Africa prima di tutto, principalmente verso la penisola balcanica perché ha già notato che da Est l’armata rossa sta comunistizzando tutti i territori di occupazione. • Stalin è colui che preme più di tutti perché ha il nemico alle porte. In particolare vorrebbe che il nuovo fronte venga aperto più a occidente possibile, in modo da far trovare la Germania tra due fuochi. La discussione si protrae a lungo e rischia di causare una rottura tra i tre grandi alleati. Tuttavia, quando a seguito di decisioni molto sofferte si arriva allo sbarco in Africa e si viene incontro alle esigenze inglesi, si avvicina anche il successivo sbarco in Europa. La liberazione del Nord Africa è resa possibile dalla sconfitta delle forze nazi- fasciste nella battaglia di El Alamein. Sul finire del 1942 gli americani concludono un accordo con i francesi della resistenza in base al quale lasceranno il comando delle operazioni di sbarco agli USA, in cambio della loro promessa di lasciare le colonie africane alla Francia al termine della guerra. Lo sbarco consente un primo incontro nel 1943 a Casablanca tra Roosevelt e Churchill che sancisce ancora una volta il concetto della resa incondizionata (non solo alla Germania, ma anche a Italia a Giappone). Inoltre si stabilisce che sarà la GB a gestire l’Italia nella fase post-bellica di transizione dal regime fascista a quello democratico. La Santa Sede criticherà il principio della resa incondizionata, perché si teme che gli inglesi si trattengano in Italia per troppo tempo dopo la fine della guerra. La sconfitta del fascismo si consuma il 25 luglio del 1943. Il 10 luglio nel frattempo gli americani erano sbarcati in Sicilia. Secondo la volontà di Churchill, comincia quindi la risalita dal Nord Africa all’Italia, e liberando l’Italia si poteva passare poi all’Austria, per poi spostarsi verso est al fine di arginare l’avanzata dell’armata rossa sui Balcani. Ma questo progetto non verrà messo in pratica perché gli americani si concentreranno piuttosto sulla preparazione dello sbarco in Normandia per liberare la Francia. Si susseguono vari incontri, nel novembre del 1943 si tiene un incontro a Il Cairo tra Roosevelt e Churchill in cui stabiliscono che avrebbero utilizzato la stessa forza sia per sconfiggere la Germania che per sconfiggere il Giappone per la liberazione della Cina. Il terzo incontro è quello di Teheran, a cui partecipa finalmente anche Stalin. Si incontrano lì perché l’Iran è oggetto di una disputa tra interessi strategici legati alle risorse petrolifere, che contrappone gli stessi tre alleati. Viene ribadita la necessità di aprire un secondo fronte in Francia e si parla dell’occupazione, addirittura dello smembramento della Germania. Sullo smembramento Stalin si mostra molto perplesso, perché è realista e capisce che potrebbe scatenare il nazionalismo dei tedeschi. La questione rimane aperta. I fascismo è un regime anomalo, anche alla sua fine, perché nel luglio del 1943 Mussolini accetta di essere messo in discussione dalle sue stesse istituzioni. Viene convocata infatti una riunione del Gran Consiglio, per una richiesta presentata da Dino Grandi (ex ministro degli Esteri, ex ambasciatore a Londra). Reca all’ordine del giorno una mozione che prevede il ritorno del comando delle forze armate al Re, perché la guerra stava andando in direzione catastrofica. Grandi non ebbe bisogno di utilizzare la forza perché Mussolini, avvilito, accetta che la sua proposta venga messa ai voti e viene fatta passare a maggioranza. Di fatto Mussolini era stato sfiduciato dai suoi stessi uomini. Al termine della seduta c’è una ambulanza ad attenderlo, carica di carabinieri inviati da Sua Maestà per evitare eventuali rappresaglie e portarlo subito al sicuro. Mussolini viene portato al cospetto del Re che gli comunica la destituzione. Verrà poi trasferito da prigioniero a Campo Imperatore. Tutto questo avviene mentre gli alleati sono già sbarcati in Sicilia e si apprestano a sbarcare in altre parti del territorio italiano. Soprattutto non si sa cosa farà lo Stato italiano, gli orientamenti sono divergenti. Le forze della Corona si sono improvvisamente rianimate, il Re pensa che basti questo colpo di spugna per cancellare le sue responsabilità. Ma l’obiettivo principale delle forze conservatrici filo-monarchiche è quello di cambiare alleati, non di uscire dalla guerra. In questo modo l’Italia avrebbe secondo questi cancellato le responsabilità della guerra al fianco della Germania. Poi c’è l’orientamento dei gerarchi fascisti (compresi coloro che hanno destituito Mussolini), come Ciano, che credono che l’Italia debba soltanto uscire dalla guerra perché non ci sono più le condizioni morali e materiali per andare avanti, e di provare a salvare il regime fascista, riproponendolo sotto una nuova leadership. Il problema è che c’è la questione dei nuovi alleati, che insistono prima chiedendo agli italiani di liberarsi di Mussolini, poi di dichiarare guerra alla Germania. E’ una situazione complicata: l’Italia ha perso qualsiasi credibilità, sia agli occhi dei vecchi alleati che dei nuovi potenziali alleati. Si forma un nuovo governo guidato da Badoglio, che conduce due trattative contrapposte: • Da un lato deve rassicurare i tedeschi, promettendo di portare avanti il proprio impegno in guerra al fianco della Germania, anche se questi non sono molto persuasi; • Comincia a negoziare segretamente con gli anglo-americani. Arriva al culmine con la stipula del cosiddetto armistizio breve che viene sottoscritto il 3 settembre 1943 a Cassibile. I rappresentanti anglo-americani, i generali Strong e e Smith con quello italiano, il generale Castellano (che si presenta in borghese per evitare di essere ancora visto come un nemico), che viene chiamato soltanto a firmare quindi non c’è nessun negoziato. Si chiama “breve” proprio perché stabilisce la resa incondizionata dell’Italia. Ma castellano deve mostrare l’intenzione italiana di diventare alleata e di combattere contro i tedeschi. Comincia una lunga trattativa con cui si stabilisce che l’armistizio, inizialmente segreto, sarebbe stato annunciato non appena una divisione americana sarebbe sbarcata a Roma in difesa italiana perché si temeva una immediata offensiva tedesca. Ma per intervenire, gli americani pretendono che Badoglio almeno gli conceda libero accesso e pieno controllo di Roma. Questo Badoglio non lo farà, come non aveva seguito gli ordini a Caporetto (è un uomo sfortunato perché appare sempre nei momenti storici più tragici). Vengono rotti gli indugi quando l’armistizio viene annunciato dagli stessi americani. Questo basta a legittimare la discesa dei tedeschi in Italia. Il Re e Badoglio si rifugeranno nel Sud, dove nascerà la King’s Italy. L’ultimo ordine dato alle forze armate italiane è quello di non entrare in ostilità con i tedeschi, se non per legittima difesa. In questo disastro, in cui le istituzioni si salvano e gli italiani vengono abbandonati, si arriva alla stipula dell’armistizio lungo, che è quello che illude l’Italia di potersi rimettere in piedi. Ottiene lo status di paese co-belligerante: ambiva ad essere ammessa nel novero delle n u, ma si deve accontentare di questo status, per cui sarebbe stata impegnata in operazioni minori contro la Germania, mettendo a disposizione ciò che restava della sua flotta (in parte distrutta dagli inglesi). Il penoso tentativo di ricostruire una credibilità. Arriva la dichiarazione di guerra alla Germania, che questi respingono, e arriva una dichiarazione di guerra anche al Giappone che serviva a mostrare il nuovo ruolo italiano di paese impegnato contro i nemici. La rinascita di una attività diplomatica italiana. L’armistizio lungo ha fatto sì che l’Italia non debba più svolgere una rappresentanza diplomatica: le ambasciate dovevano rimanere silenti, la politica estera sarebbe stata guidata dagli alleati. Ma il segretario generale degli Esteri (carica immediatamente ripristinata dopo la caduta del fascismo) Prunas ottiene nel marzo del 1944 il riconoscimento del Regno di Italia (o meglio, della King’s Italy costituitasi al Sud) dall’URSS. Questo vuol dire che Togliatti, leader del partito comunista in clandestinità, può lasciare Mosca e tornare in Italia, dove riconosce come legittimo il governo guidato da Badoglio e si mostra disposto ad entrarvi. E’ la cosiddetta Svolta di Salerno, ovvero l’apertura dei comunisti italiani al governo italiano, oltre che alla Corona, che consentirà la formazione di un vero governo post-fascista, cioè che rappresenta tutte le forze politiche italiane. E’ la premessa per la rinascita italiana. La svolta di Salerno corrisponde alla necessità di voltare pagina rispetto al passato fascista e pone dei cambiamenti nella vita politica italiana: • Vittorio Emanuele III abdica a favore del figlio Umberto II; • Costituzione dei primi governi post-fascisti con Parri e Bonomi, che apriranno a tutti i partiti (ci sarà rappresentanza anche per i Comunisti); • Riorganizzazione delle sedi diplomatiche; ci sono discontinuità importanti come quella rappresentata dall’ambasciatore Piero Quaroni, che aveva una cultura liberale ma aveva servito sotto il fascismo, non era fascista, tanto che quando era ministro deli esteri aveva espresso critiche verso il regime e Ciano per punizione lo aveva inviato alla sede di Kabul. Questo avvenimento è importante, perché con il riconoscimento da parte dell’URSS del Regno d’Italia dopo la svolta di Salerno deve essere inviato qualcuno a Mosca (per occuparsi di diverse questioni come quella dei prigionieri di guerra italiani) e lui sarà l’unico ambasciatore italiano in grado di raggiungerla, partendo da Kabul. Quando Quaroni arriva in URSS si rende conto potenza europea. Pur con molte perplessità (Roosevelt odiava De Gaulle) Churchill riesce a convincere i partecipanti. • I nuovi confini della Polonia che risorge, ma bisogna rimettere mano alla cartina d’Europa. Stalin pretende che il nuovo confine russo-polacco sia la linea Curzon che non era mai stata rispettata, perché in un momento di debolezza russa i polacchi erano riusciti ad andare oltre la linea con il trattato di Riga. La Polonia perde una porzione di territorio in favore della URSS e ne recupera una parte ai danni della Germania secondo i confini dei fiumi Oder e Neisse. Milioni di tedeschi saranno profughi. • Il nuovo governo polacco: come in tutti i paesi in cui l’armata rossa si sostituisce ai nazisti, si era instaurato un governo filo-sovietico con sede a Lublino. Da parte americana e inglese vi è la richiesta che si istituisca un governo democratico. Ma Stalin non aveva molta dimestichezza con la democrazia, quindi non si tengono elezioni ma acconsente soltanto un allargamento del governo filo-sovietico con componenti filo-occidentali. • La dichiarazione sull’Europa liberata è l’impegno formale condiviso da tutti e tre i grandi presenti affinché in tutti i paesi liberati si tengano libere elezioni per istituire governi democratici e venga ripristinato il principio dell’autodeterminazione. Stalin sottoscrive anche questo punto probabilmente perché ritiene sia improbabile che gli altri leader romperanno l’alleanza soltanto per garantire libere elezioni nei paesi sotto l’influenza sovietica. • L’accordo tra URSS e USA per una guerra congiunta contro il Giappone. Roosevelt ha paura di perdere troppi uomini nella liberazione dell’area del Pacifico e quindi vuole l’aiuto dei sovietici. Stalin si farà pagare bene la concessione di aiuto, facendosi riconoscere i vecchi diritti sovietici sulla ferrovia che attraversava la Manciuria e alcuni territori strategici come Port Arthur e le isole Sachalin e Curili • Approvazione del vecchio accordo Tito-Subasic (accordo di Lissa del 1944), cioè quello tra il capo dei filo-comunisti che hanno liberato la Jugoslavia dai nazisti ed il rappresentante delle forze monarchiche. Era stato fortemente voluto da Churchill come garanzia di una influenza inglese in Jugoslavia, ma questa sarà solo una illusione. Tito era come Stalin, cioè firma gli accordi sapendo che non li rispetterà ma sapendo di essere forte. Questa è la conferenza di cooperazione bellica tra i tre grandi in cui ci si illude ancora che questa possa continuare anche dopo la guerra. La conferenza è una manifestazione di come nei grandi momenti storici vengano composti idealismi e realismi. Abbiamo tre personalità: • Churchill è un democratico conservatore (della destra moderata britannica) e viscerale anticomunista, ma mosso da interessi strategici per la GB e dalla ricerca di equilibri in Europa; • Roosevelt è il più idealista dei tre ma è anche convinto a portare avanti la collaborazione tra tre uomini diversi, cioè portatori di ideologie tendenzialmente inconciliabili, è quindi il più disposto a scendere a compromessi; • Infine Stalin, le sue decisioni sono legate alla sicurezza sovietica e non alla diffusione del comunismo: l’ideologia comunista è un mezzo e non un fine da raggiungere in Europa orientale. Ai tempi dello Zar questo corrispondeva all’occupazione dei territori strategici e alla ricerca di sbocchi sui mari caldi. Sono in realtà tutti mossi da intenzioni pragmatiche e interessi strategici. Limite della conferenza di Yalta: lo sforzo di portare avanti una collaborazione che è presto destinata a finire. Questo succede subito dopo la conferenza. Roosevelt torna in America morente e scrive una lettera a Churchill in cui emergono le preoccupazioni per Stalin, che potrebbe non mantenere gli impegni assunti. Questi sospetti troveranno soddisfazione quando il suo vice Truman lo sostituisce. Ha una natura politica molto diversa, detesta tutto ciò che ha a che fare con il comunismo e ritiene che non sia possibile, né opportuno collaborare con Stalin. Questo avviene sullo sfondo della fine della guerra: Hitler si chiude nel suo bunker e si suicida. La guerra in Europa finisce l’8 maggio del 1945 quando Dönitz, il successore designato di Hitler, firma l’armistizio. Ma bisogna considerare altri avvenimenti che saranno importanti per il nostro paese: con i primi governi post-fascisti a cui partecipano tutti i partiti italiani compreso quello comunista si disegna la nuova Italia democratica. Questo processo passa attraverso l’elezione dell’assemblea costituente, contestualmente al referendum tra repubblica e monarchia. Ciò che è più importante è la Costituzione che entra in vigore dal gennaio del 1947. E’ il frutto del lavoro di compromesso delle varie culture politiche italiane di massa (socialisti, comunisti e democristiani). E’ un clima di compromesso: • E’ necessario eliminare gli elementi del regime fascista e allo stesso tempo lo stesso Togliatti (comunista) riconosce implicitamente l’importanza della Chiesa in Italia, acconsentendo ad accogliere i patti lateranensi nella Costituzione. • L’art. 11 disciplina l’uso della forza della nuova Italia democratica che non può non dirsi paese pacifista e ripudia l’uso della guerra come metodo di risoluzione delle controversie, acconsentendo alla limitazione delle sovranità altrui solo quando permesso dall’ONU, per necessità di salvare la pace nella comunità internazionale. Viene introdotto il servizio di leva ma si assiste ad una demilitarizzazione del servizio militare, perché in realtà non aveva un esercito. La conferenza di Potsdam del luglio del 1945 è l’ultima a tre (Truman, Churchill e Stalin) ed è generalmente considerata come quella in cui per la prima volta si manifestano elementi di tensione tra USA e URSS. Viene deciso che un apposito organismo delle tre potenze avrebbe elaborato i trattati di pace con i paesi sconfitti e per ultimo sarebbe stato stipulato quello con la Germania. In virtù dell’interesse manifestato da Churchill per la Francia, questa viene promossa a co-firmataria della resa con l’Italia più a protezione dell’Italia che della Francia, perché c’era il timore che la Francia avesse mire di acquisizione di territori italiani per vendetta. L’Italia fa un’ultima mossa nella speranza di essere riconosciuta nel ristretto gruppo dei vincitori (e per essere inclusa nelle Nazioni Unite) dichiarando guerra al Giappone, ma non servirà a nulla. La Germania dovrà essere smilitarizzata, denazificata, democratizzata e decentralizzata (non deve avere un forte apparato centrale). Quest’ultimo punto si presta a molte interpretazioni ed è una misura mite che viene presa: in America girava il piano Morgenthau che proponeva addirittura la suddivisione della Germania in 7 province agricole, quindi di frammentarla completamente. Sarebbe stato troppo drastico, si preferisce il decentramento. Durante la conferenza accade che Churchill, trionfatore della guerra, perde le elezioni. Stalin lo fa notare con molto sarcasmo, lui replica facendogli presente che almeno il popolo britannico può scegliere i governanti attraverso libere elezioni. Churchill viene sostituito dal laburista Attlee che non ha lo stesso carisma. Truman, uomo poco diplomatico, annuncia nel 1945 che gli USA sono entrati in possesso di un ordigno di inaudita potenza che nessuno aveva e avrebbe avuto per molto tempo (esperimento nel New Mexico nel 1945, realizzazione del progetto Manhattan), la bomba atomica. Questo evento segna l’inizio del clima della guerra fredda. Il termine viene coniato da Walter Lipman. Churchill usa un’altra formula, quella della cortina di ferro che è quella che divide l’Europa in due e va dal baltico fino a Trieste. A Potsdam evapora quindi la vecchia illusione idealista rooseveltiana di protrarre la collaborazione con l’URSS oltre la guerra. Cade l’idea dei quattro poliziotti (USA GB URSS e Cina) garanti della sicurezza nel mondo. Sulla base degli accordi appena presi, l’URSS dichiara guerra al Giappone. Nell’agosto del 1945 gli americani fanno uso della bomba atomica per ben due volte sul territorio nipponico. L’imperatore Hirohito dice che è giunto il momento che il popolo accetti l’inaccettabile. Questi episodi drammatici pongono definitivamente fine alla guerra. Alla fine della guerra si realizzano le previsioni di Tocqueville sull’ascesa delle due superpotenze internazionali, prestigiosi perché avevano vinto la guerra e che ora si ritrovavano ad essere alleati. Si caratterizzano per essere entrambi portatori di valori contrapposti. Affermazione spirito individualista vs sistema che sviluppa una ideologia collettivista (garantire il bene della società anche a costo di limitare la libertà del singolo) Per la prima volta sembra formarsi un nuovo ordine internazionale di tipo bipolare tra attori agglomerati. Il bipolarismo è una peculiarità della storia. La norma è quella di un sistema multipolare, come quella di Vienna, ma dal 1945 fino al 1989 la storia è caratterizzata da un assetto bipolare. Altra anomalia che si manifesta nel 1989: l’assetto bipolare termina senza un conflitto. Quando di solito il passeggio da un sistema internazionale all’altro è determinato da un conflitto globale, perché solo così si ridefiniscono i ruoli tra vincitori e vinti e quindi i nuovi Altra questione che coinvolge l’ONU: l’energia atomica. Si aveva l’impressione che il mondo fosse cambiato e la bomba minacciava il genere umano. Gli stati però alla fine sono riusciti a coesistere. E si è sviluppata oggi una capacità di porre l’ordigno atomico in un contesto di diplomazia. Si cominciano ad avanzare le proposte sulla questione della proliferazione nucleare. Nel 1946 viene proposto il piano Varuk da un alto rappresentante diplomatico americano, che nasceva dal dipartimento di stato, era una visione parziale cioè che rifletteva gli interessi degli USA. Stabiliva la costituzione di una comunità atomica internazionale che avrebbe controllato, prodotto e regolato l’utilizzo dell’energia atomica mondiale. Il timore era che i paesi che fossero arrivati a sviluppare le tecnologie per utilizzarla ad uso civile potessero convertirla ad uso militare. Secondo i sovietici si può risolvere molto più semplicemente, cioè affidando la gestione degli ordigni atomici al consiglio di sicurezza e con il bando delle atomiche. Su questo non poteva esserci accordo. Il trattato di non proliferazione solo negli anni ‘60 Altro elemento del dibattito opportunità di dotare l’ONU di un comando militare e di proprie forze armate, simile alla proposta (fallita) avanzata nella sdn, che finisce con nulla di fatto. Il cap. 7 della Carta prevede, in via eccezionale, il ricorso alla forza come mezzo estremo di risoluzione di una controversia, ma gestito direttamente dalle Nazioni Unite, gli stati membri dovranno mettere a disposizione i propri soldati e questo renderà l’ONU subordinata alle grandi potenze in ambito militare. Fase in cui si realizza completamente l’occupazione della Germania e suddivisione in quattro settori del territorio, che poi si polarizzano in orientale e occidentale. Non c’è il problema delle riparazioni. Molto sommariamente si stabilisce che l’URSS ha diritto a compensazioni per i danni dell’occupazione tedesca. Ci penseranno direttamente i sovietici a saldarle perché in maniera molto pragmatica smantelleranno le industrie del settore della Germania orientale occupato e lo porteranno fisicamente da loro. Altra grande potenza sconfitta è il Giappone, che subisce una sorte simile. Subisce la perdita di tutti i territori occupati. Ma soprattutto deve subire regime di occupazione e amministrazione da pare di altre potenze che all’inizio avrebbe dovuto coinvolgere anche l’URSS. Ma in Giappone arriva il generale McArthur che metterà mano all’assetto istituzionale giapponese, e avrà il compito di smantellare la potenza industriale e militare giapponese. I cartelli industriali giapponesi per suo ordine vengono eliminati. Avviene fino a che gli usa si illudono di avere il controllo in Cina. Quando capiscono che prevale Mao, l’amministrazione americana in Giappone cambierà radicalmente, perché preferiranno a quel punto rilanciare la potenza giapponese e farne un alleato in funzione anticinese piuttosto che smantellarlo. A Potsdam era stato sancito un principio per procedere ai trattati da imporre agli sconfitti: fino a che questi non avessero sottoscritto questi trattati imposti dai vincitori, i paesi sconfitti non sarebbero stati candidabili all’ONU. Questo principio viene fedelmente applicato. In Ungheria ritornano i confini precedenti al conflitto, viene profondamente penalizzata. Trattato di pace con l’Italia. Definisce lo status internazionale italiano dopa la guerra. Ha carattere punitivo soprattutto per volontà della GB che ha considerato l’intervento in guerra dell’Italia nel 1940 come un tradimento dei tradizionali paesi amici, ma il risentimento inglese alla fine della guerra è anche dovuto ad un calcolo strategico: l’idea è che si possa ridimensionare definitivamente un attore mediterraneo, l’Italia, per portare avanti l’influenza indiscussa degli inglesi sul Mediterraneo anche dopo la guerra. Nel febbraio del 1947 un ambasciatore italiano, Lupi di Soragna, firma il trattato di pace imposto all’Italia, facendo però presente che la firma è con riserva, perché il trattato doveva poi essere ratificato dall’assemblea costituente. Resta il fatto che non c’è un margine di negoziazione quindi l’Italia non può che sottostare alle condizioni del trattato. L’Italia perde molto, ma alcuni avevano temuto potesse perdere ancora di più: si pensava che la Francia potesse avanzare pretese sulla Val d’Aosta, però questo non avverrà perché De Gaulle non vuole infierire. In realtà De Gaulle crede che l’Italia, debole e inferiore dopo la guerra, possa essere una ideale sorella minore della Francia. Quindi preferisce mantenere rapporti non tesi. Il confine con l’Austria. Rinasce dopo la guerra come stato indipendente staccato dalla Germania. Risolleva la questione dell’Alto Adige (o Tirolo meridionale): uno dei primi atti diplomatici dell’Italia post-fascista è l’accordo del 1946 tra De Gasperi e Gruber. Stabilisce che la regione contesa resterà sotto sovranità italiana, ma l’Italia si impegnerà a riconoscere e concedere autonomia culturale alla minoranza austriaca nella regione. Sarà di difficilissima applicazione perché ci saranno rivendicazioni addirittura di carattere terroristico, volte a minare l’autorità italiana in questi territori. L’Austria si rivolgerà spesso anche all’ONU, per denunciare il mancato rispetto delle clausole dell’accordo da parte italiana. Fattore di tensione tra questi due paesi. Particolarmente pesanti sono le condizioni militari: • l’esercito italiano non può superare le 250.000 unità; • può possedere quantità molto limitate di armamenti pesanti; • non potrà sviluppare ordigni atomici. Non potrà né tornare ad essere una potenza militare convenzionale, né sviluppare una potenza di nuovo tipo, cioè nucleare. Il trattato di pace porta l’Italia in una condizione di angoscia militare che non si avvertiva dai tempi dei governi liberali. E’ incapace di difendersi, oltre che esposta al confine settentrionale. Ma lì non è tanto l’Austria da temere, quanto la Jugoslavia, paese comunista che ha occupato la zona di Trieste. Questa situazione indurrà nel 1947 l’amministrazione Truman ad una presa di posizione sull’Italia: il presidente fa una dichiarazione con cui afferma che esiste un interesse americano a mantenere un’Italia libera e indipendente. È il presupposto di un rapporto di alleanza sbilanciata che sarebbe nato poco dopo. Questa nuova vulnerabilità italiana trova un momento di drammatica esasperazione alle elezioni del 18 aprile del 1948. Risente ancora del clima di guerra civile che si caratterizza per una serie di spaccature politiche: da una parte si trova il fronte di sinistra di comunisti e socialisti (Togliatti e Nenni, il primo non nasconde di guardare con favore all’URSS, il secondo favorevole ad una terza via al comunismo), dall’altra il fronte formatosi attorno al nuovo partito di massa della DC. Prima delle elezioni si è già tenuta la visita di De Gasperi negli USA, attraverso la quale molti ritengono che De Gasperi stesso sia stato influenzato a non formare governi che comprendessero i comunisti. Per molto tempo i comunisti sono forza organica del governo: collaborano sia alla stesura della Costituzione che alla ratifica del trattato di pace. Le elezioni del 1948 definiscono sia la forma di governo che la futura posizione internazionale dell’Italia, vengono svolte in un clima in cui da un lato l’URSS ipotizza che si possano ridare all’Italia le colonie (addirittura si parla di recuperare Trieste, occupata in quel periodo dai comunisti di Tito), per avvantaggiare il partito comunista in campagna elettorale, ma dall’altra parte anche gli americani (con l’ambasciatore Dunn) fanno campagna elettorale a sostegno della DC, garantendo l’afflusso di aiuti economici dagli USA e assicurando che questi rapporti possano continuare con l’elezione della DC. Gli italiani seguiranno questa seconda opzione. La svolta in politica interna, con la vittoria della DC, darà la possibilità a De Gasperi di segnare la svolta anche in politica estera. Questione di Trieste. Alla fine della guerra le truppe titine hanno occupato il Venezia- Giulia, dando vita a tragici episodi quali quello delle foibe come vendetta consumata sui civili italiani. La questione non viene lasciata a italiani e jugoslavi, perché Trieste è il punto finale della cortina di ferro (che dal Baltico scende fino all’Adriatico). È una ferita aperta nel fianco dell’Italia. Le potenze che intervengono hanno l’idea di tracciare una nuova linea divisoria che sarà il nuovo confine tra i due stati. La linea Morgan è un compromesso suggerito dai francesi (che trova l’accordo di Tito), che prevedeva che la città di Trieste tornasse all’Italia insieme ad un settore A, mentre il settore B sarebbe andato alla Jugoslavia. Tuttavia tutti e tre i territori costituivano il cosiddetto TLI, cioè il territorio libero di Trieste che in una fase transitoria doveva essere internazionalizzato, cioè andare sotto un’amministrazione super partes di un’autorità internazionale. Quest’ultimo punto era temuto da De Gasperi, il quale riteneva che al termine di questa fase transitoria, la Jugoslavia ne avrebbe approfittato per invadere l’intero territorio e non voleva che gli eserciti alleati si ritirassero da Trieste. La Jugoslavia si caratterizza per un atteggiamento di forte autonomia dall’URSS, e questo è curioso per gli occidentali (si cominciava anche a pensare alla prospettiva di un suo ingresso nella NATO). Quindi, proprio perché Tito è in attrito con l’URSS, gli americani non lo vogliono penalizzare nella questione di Trieste ma piuttosto tenerlo buono per osservare l’evoluzione dei rapporti con i sovietici. Nel frattempo però aumenta il risentimento italiano, perché l’Italia invece ha fretta di concludere la questione, così nel 1953 il governo italiano democristiano di Pella decide di forzare la mano, dichiarandosi insoddisfatto di come inglesi e americani stanno gestendo Trieste. Mobilita tre divisioni al confine orientale con la Jugoslavia. Pella arriva a minacciare di indire un plebiscito nel TLI per capire l’orientamento della popolazione (consapevole che si sarebbe pronunciato favorevole alla Le elezioni del 1948 sono l’evento spartiacque in cui la nuova Italia democratica cerca di ripartire sia sul piano interno che su quello internazionale, superando lo status di paese sconfitto nonché le pesanti clausole del trattato di pace. Siamo già in piena guerra fredda, che si caratterizza per la contrapposizione tra due superpotenze che non sono soltanto i due attori più potenti sul piano militare, ma sono anche portatori di due modelli ideologici differenti sulla base dei quali ricostruire l’ordine internazionale dopo la guerra. Da una parte troviamo quindi il modello capitalista fondato su economia di mercato, e sull’affermazione delle libertà individuali; dall’altro troviamo il modello comunista di base marxista che prevede la limitazione delle libertà individuali per costruire una società equa e più attenta ai bisogni della collettività. La guerra fredda è anche una successione di crisi internazionali in diverse aree del mondo. Un primo punto di tensione della guerra fredda è Trieste, il secondo è il confine tra la Turchia e la Grecia, che è esposto all’influenza sovietica che si è affermata grazie all’avanzata dell’armata rossa sino a Berlino. L’URSS alla fine della guerra esercita una forte pressione sulla Turchia per rivedere lo statuto sulla gestione degli stretti: vuole il superamento dell’internazionalizzazione, per passare ad una gestione esclusiva degli stretti condivisa con la Turchia. È il vecchio disegno di espansionismo russo che riemerge, e la Turchia chiede aiuto alle potenze occidentali per resistere a queste pressioni. La Grecia è invece al centro di una guerra civile in cui si contrappongono le forze monarchiche sostenute dagli inglesi e quelle filo-comuniste. Gli inglesi nella successione degli eventi non saranno più capaci di gestire la Grecia e passeranno questo compito agli USA. Le tensioni in Grecia e Turchia si risolveranno solo quando Grecia e Turchia aderiranno alla NATO. Le due superpotenze sono in una fase di ricerca, in maniera brutale o in maniera più persuasiva, di alleati o di satelliti nella creazione dei rispettivi blocchi. Il processo di creazione del blocco sovietico corrisponde alla creazione di tutta una serie di democrazie popolari: l’URSS era riuscita, grazie all’avanzata dell’armata rossa, ad imporre accordi di alleanza che prevedessero una permanenza stabile delle forze armate sovietiche in questi stessi Paesi. La creazione del blocco occidentale filo-americano procede diversamente. Lo studioso norvegese Lundestad ha sostenuto che quello costruito dagli americani dopo la guerra fu un “impero su invito”, nel senso che gli americani corrono in soccorso dei paesi che si sentono minacciati dall’URSS. Roosevelt in tempi non sospetti aveva detto che gli americani dopo la guerra non sarebbero rimasti in Europa, cioè i soldati sarebbero stati richiamati in patria, ma Truman dovrà rinnegare l’idea del suo predecessore per prendere invece impegni in difesa dei Paesi dell’Europa occidentale. Da ciò il concetto della costruzione di influenza americana sul mondo occidentale su invito appunto. Si comincia con i programmi di aiuto economico. Già prima che finisse la guerra era nato lo European Recovery Programme, che viene protratto nel 1947. Serve per i paesi la cui economia è stata messa in ginocchio dalla guerra. Ma la svolta economica arriva quando diventa nel 1947 segretario di stato Marshall. Sarà uno dei protagonisti della guerra fredda, che dà origine al piano di aiuti per risollevare l’economia dell’Europa occidentale. Ma tutto questo avviene nel contesto delle scelte di politica estera di Truman che è privo di qualsiasi approccio idealista (a differenza di Roosevelt). Dà origine alla dottrina Truman o del contenimento della propagazione dell’influenza sovietica e comunista nel mondo. L’obbiettivo preciso della dottrina è quello di porre un argine, un limite preciso alla manifestazione del fenomeno comunista nel mondo. La dottrina si articola in due pilastri: • Quello economico-finanziario è il piano Marshall; • Il pilastro strategico-militare è la NATO, ovvero l’alleanza militare che coinvolge tutti i paesi dell’Europa occidentale. Nel marzo del 1947 Truman chiede al congresso lo stanziamento di un piano di aiuti per 400 milioni di dollari e i più immediati beneficiari di questi aiuti saranno proprio Grecia e Turchia. Truman si è convinto della necessità di fronteggiare la minaccia sovietica perché: • A Potsdam erano già emersi dei contrasti con Stalin (perché Stalin non aveva tenuto fede agli accordi presi a Jalta). • A contribuire a sciogliere i dubbi dell’amministrazione sarà George Kennan è un incaricato d’affari presso l’ambasciata americana a Mosca (consigliere diplomatico dell’ambasciata, quindi di posizione inferiore a quella dell’ambasciatore). Ha una posizione privilegiata perché può osservare direttamente la politica sovietica. Questi invia al Dipartimento di Stato il “long telegram”, che è uno dei documenti diplomatici fondamentali per capire la guerra fredda e la reazione americana alla minaccia sovietica. Descrive la situazione in URSS vista dal suo interno: a. È un sistema che priva i cittadini delle libertà in nome del benessere sociale il quale viene definito in maniera arbitraria; b. È un sistema aggressivo in espansione (l’ideale del comunismo è quello di espandere la rivoluzione comunista in tutto il mondo, e questo processo è stato accelerato dalla guerra attraverso l’uso brutale della forza militare) e come tale minaccia l’area democratica in Europa occidentale; c. È un sistema che ha delle tare interne, cioè non è solido come può apparire esternamente, ha quindi come in tutti i sistemi autoritari delle debolezze sulle quali si può far leva. Ad esempio potenziali conflitti sociali possono scaturire dal fatto che il popolo è più suddito che cittadino, e nel suggerire al Dipartimento di Stato con quali misure fronteggiare la minaccia sovietica, Kennan ritiene che quelli più adatti non siano tanto gli strumenti militari, quanto quelli della sfida economica: siccome il sistema economico americano pone al centro il benessere ed il successo del singolo, è su questo argomento che bisogna far leva per mettere in discussione la legittimità del sistema sovietico piuttosto che sul confronto militare in cui l’URSS è decisamente un avversario temibile. Questa idea anticipa e troverà realizzazione molti anni dopo quando avviene l’implosione dell’URSS proprio per cause di arretratezza economica. Il messaggio da Mosca viene perfettamente recepito dal Dipartimento di Stato, dove uno stretto collaboratore del Presidente, Acheson, recepisce il messaggio e dice che bisogna costruire un perimetro intorno all’URSS per isolarla. La Germania sarà il pomo della discordia nel bocco occidentale: tra chi come la Francia vuole evitare uno stato accentrato tedesco forte, e chi al contrario come gli americani vorrà una Germania forte ed autorevole per la creazione di un blocco occidentale forte per contrapporlo strategicamente ed efficacemente a quello sovietico. In questo contesto di devastazione e crisi nel 1947 Marshall lancia il piano di concessione di ingenti aiuti ai paesi bisognosi. Gli USA hanno imparato la lezione della prima guerra e non concedono prestiti ma aiuti a fondo perduto. Si disfano di tutto il surplus produttivo che era dovuto alla crescita esponenziale della produzione durante la guerra. Enormi quantitativi militari vengono lasciati in Europa, e con questi arrivano anche ingenti aiuti finanziari. Gli americani devono portare avanti la macchina industriale dopo la guerra, ma si vuole scongiurare la crisi di sovrapproduzione che c’era stata dopo la prima guerra mondiale. Durante una conferenza a Parigi Marshall dice che gli aiuti sono rivolti a chiunque, senza barriere ideologiche (anche il blocco sovietico può accedervi), ma a una sola condizione: che si costituisca una organizzazione comune di coordinamento e gestione di questi aiuti, la OECE (che in futuro diventerò la OCSE). Questa unica condizione viene respinta dall’URSS, perché l’idea di Stalin e Molotov è che questi aiuti debbano andare soltanto ai paesi che sono stati aggrediti dalla Germania, inconciliabile con la visione degli americani che invece vogliono che una buona parte degli aiuti vada proprio alla Germania. Stalin reagisce quindi denunciando il piano, che viene definito come uno strumento di imperialismo finanziario, che sottrae la sovranità economica ai paesi. Nel rifiutare il piano, costringe anche i paesi del proprio blocco, che avevano espresso interesse per gli aiuti, a rifiutarli insieme a lei. Per reagire, l’URSS istituisce il COMINFORM nel 1947, che ha lo scopo di coordinare i partiti comunisti per criticare la politica americana attraverso lo strumento della propaganda. Siamo in piena guerra fredda economica. Si arriva molto rapidamente alla prima crisi della guerra fredda che ha a che fare con Berlino. Le tre potenze occidentali si mettono d’accordo per unificare i propri settori perché questo dà maggiori vantaggi economici ai cittadini di questi territori; si arriva alla introduzione di una moneta unica per tutti e tre i settori e alla istituzione di una Banca Centrale Tedesca. Prevale, nella parte occupata dalle potenze occidentali, la logica della ricostituzione di uno stato tedesco forte, anche se i francesi non sono molto d’accordo (preferivano un assetto più decentrato) ma prevale la volontà anglo-americana. superare lo status di paese sconfitto e privo di sovranità. Alcuni propongono di condizionare l’adesione italiana al patto alla eliminazione di alcune clausole dell’armistizio. La reazione di Bevin è furente, l’atteggiamento italiano viene definito ricattatorio ma fa presente che l’Italia è così debole che non può permettersi di opporre nessuna condizione, quindi le condizioni erano che fosse o dentro o fuori il patto. Rimane fuori e questo è ulteriormente penalizzante per la sua posizione internazionale. • Un'altra fase di avanzamento dell’alleanza si ha nel giugno del 1948 con la risoluzione Vandenberg approvata dal Senato americano: è una svolta storica nella politica estera americana, perché per la prima volta il presidente è autorizzato a stipulare alleanze difensive in tempo di pace. È un cambiamento culturale importante per gli americani che superano il tabù di Washington e accettano di occuparsi della difesa europea anche in tempo di pace. Alcuni ritenevano che fosse un grande errore, e c’è un forte dibattito nelle istituzioni. Kennan aveva suggerito di mantenere la competizione con l’URSS più sul piano economico che militare e strategico. C’è un momento in cui il processo di genesi dell’alleanza atlantica sembra potersi arrestare drammaticamente: quando la Francia pone come condizione della ratifica che venga invitata anche l’Italia a farne parte. Lo fanno per un preciso calcolo strategico e non per solidarietà dell’Italia. La Francia aveva la necessità di estendere la protezione militare dell’alleanza anche alle proprie colonie, specialmente all’Algeria (che veniva considerata estensione del territorio francese in Africa). Vuole quindi che l’asse di questa alleanza non sia tutto spostato al nord come vogliono gli altri e l’unico modo per spostarlo è controbilanciarlo con l’introduzione di un altro paese mediterraneo come l’Italia. I francesi sono estremamente determinati perché per riuscire ad includere l’Italia devono sfidare tutti i pregiudizi degli altri paesi (aveva cambiato alleanza in entrambe le guerre mondiali, non aveva autonomia militare, sarebbe quindi stata solo un peso e non avrebbe dato nessun contributo). Oltre a questo vi era il fatto che non aveva aderito al patto di Bruxelles e quindi era automaticamente estromessa dall’alleanza. La Francia minaccia addirittura di porre il veto sull’ammissione della Norvegia alla NATO, fortemente voluto invece dalla GB. Alla fine tutti gli altri saranno costretti ad accettare la presenza italiana. Gli americani saranno costretti ad ammettere che una presenza strategica sul mediterraneo sia utile a contrastare l’influenza sovietica. Tutto questo avviene mentre in Italia si sviluppa un acceso dibattito interno. È una fase cruciale in cui tutte le forze politiche avanzano la propria proposta sulla futura collocazione internazionale dell’Italia: • Ci sono i pacifisti che vogliono una Italia neutrale e non schierata con nessuno: il sindaco cattolico di Firenze Lapira, raccoglie milioni di firme a favore di un non impegno militare dell’Italia; • Ma nel mondo cattolico vi sono però anche molti che propendono per l’alleanza; • I comunisti non possono che contrastare l’alleanza con le potenze capitaliste; • I socialisti di Nenni propongono la costituzione di un terzo polo, cioè di una serie di attori che non sono allineati né con gli USA né con l’URSS. È poco realistica. • Il leader De Gasperi stesso è ostile alle alleanze militari perché non vanno d’accordo con la visione del cattolicesimo ecumenica universalistica del mondo, e non rappresentano la vocazione internazionale italiana che è un paese aperto al dialogo e alla diversità. Ma l’Italia non è in grado di difendersi, l’URSS è una minaccia atea, e De Gasperi ha costituito dei governi post-comunisti in cui non ci sono più i comunisti di Togliatti e sta godendo di ingenti aiuti da parte americana. Tutte queste condizioni concrete fanno propendere il governo verso l’alleanza, di cui sono promotori molti uomini. Uno di questi è l’ambasciatore a Washington Tarchiani dice che visto che ci sono perplessità da parte degli anglo-americani a invitare l’Italia a partecipare, l’Italia ha perplessità a presentare la propria candidatura all’alleanza, spontaneamente decide egli stesso di presentare la candidatura italiana all’alleanza. Verrà ovviamente contraddetta perché fatta senza mandato del governo italiano. Pietro Quaroni sostiene che avrebbe dovuto aderire prima nel patto di Bruxelles senza porre condizioni, e che doveva affrettarsi ad aderire alla NATO. Sempre nell’ambito diplomatico ci sono anche i neutralisti, come l’ambasciatore a Mosca Manlio Brosio, e paradossalmente anni dopo avrà modo di ricredersi perché diventerà segretario generale della NATO stessa. Sorprendentemente l’Italia viene invitata ad aderire l’alleanza, quindi è uno dei paesi fondatori della NATO perché viene di fatto invitata a partecipare alla stipula del patto atlantico. Quello del 4 aprile del 1949 è un trattato reso pubblico prima ancora della sua firma. È un’azione di grande trasparenza dei paesi membri di fronte alla comunità internazionale, fatta per dimostrare che era assolutamente legittima perché perfettamente coerente alla Carta ONU, tanto che il preambolo recita che gli stati fondatori della NATO “riaffermano la loro fede nei principi e negli scopi dello statuto delle Nazioni Unite”, e inoltre viene ripreso il principio dell’autodifesa disciplinato nell’art. 51 (cap. 7) della Carta. Non tutti sono d’accordo: per l’URSS è un tradimento dello spirito di cooperazione internazionale che aveva dato vita all’ONU, perché la NATO era l’alleanza di soltanto una parte dei membri, contro l’altra parte. L’articolo 5 introduce il casus foederis cioè la condizione per cui scatta la solidarietà tra Paesi alleati: “le parti convengono che l’attacco armato ad una o più di esse sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le altre parti”. Per volere della Francia all’art. 6 si aggiunge che “per attacco armato ad una o più delle parti si intende un attacco armato contro il territorio di una di esse in Europa, in America Settentrionale, o contro i dipartimenti francesi d’Algeria. La NATO difende anche l’Algeria. Il trattato istitutivo del patto atlantico o alleanza atlantica è soltanto l’atto con cui si perfeziona la collaborazione economica, politica e strategica del blocco occidentale che si costituisce intorno alla leadership incontrastata degli USA, ma non si tratta della NATO. Quest’ultima è invece l’organizzazione che viene istituita poco dopo per rendere operativo il patto stesso. La NATO prevede una serie di organi: • Consiglio atlantico • Comitato economico • Comitato militare È l’organizzazione concreta (basi militari, armi, soldati stanziati in Europa) che scaturisce dal trattato di Washington del 4 aprile del 1948. È un trattato che funziona bene, tanto che l’Italia spenderà pochissimo in difesa perché sarà garantita dagli alleati. Ecco perché non siamo abituati a parlare di politica estera di difesa, e durante tutta la guerra fredda ci siamo potuti concentrare sulla politica nazionale. Il primo segretario generale della NATO inglese, Lord Ismay disse che la NATO serviva a tenere gli americani dentro (coinvolti in Europa, cosa che non avrebbero voluto ma che era diventato necessario in guerra fredda), la Germania sotto (subordinata per prevenire una rinascita di potenza) e l’URSS fuori (limitare l’espansione sovietica verso l’Europa occidentale). Realizzava quindi contemporaneamente ben tre obiettivi strategici. Nel 1950 si realizza l’ultimo pilastro con l’adozione di un documento americano, il nsc68 (National Security Council 68) con cui gli americani prendono atto della nuova realtà internazionale di guerra fredda: esiste un nemico temibile che li costringe a tenere i loro uomini in Europa, devono cioè militarizzare i territori alleati in Europa per contrastare questa minaccia. In quest’ottica si capisce meglio perché all’inizio degli anni ’50 entrano a far parte della NATO anche la Grecia e la Turchia: erano stati i primi due paesi in bilico, minacciati dall’espansionismo sovietico, e proprio contro questa minaccia Truman aveva coniato la dottrina del containment. Con il loro ingresso nella NATO quindi il cerchio si chiude. E’ anche il periodo in cui muove i primi passi il processo di integrazione europea, che era già stato discusso dopo la prima guerra mondiale ma che rinasce con più forza dopo la seconda. Quello tra il l’integrazione europea e la guerra fredda è un rapporto ambivalente: da un lato la guerra fredda stimola l’integrazione perché i Paesi sono troppo deboli per restare divisi, dall’altra la frena perché la Germania è divisa. Ha tra i suoi principali promotori Churchill, Adenauer e De Gasperi, Jean Monnet, che hanno condiviso i lutti della seconda guerra mondiale e che guardano con favore agli USA, altri attori che si fanno promotori del processo di integrazione europea. Sono ancora più europeisti degli europei, perché ritengono che il processo di integrazione possa avere successo solo con il coinvolgimento della Germania, cosa che la Francia fa ancora molta fatica ad accettare. La prima creazione in questo processo è il Consiglio d’Europa nel 1948 che è un organo consultivo che si presenta come via di mezzo tra la visione francese (vogliono un organismo sovranazionale con forti poteri) e quella inglese (vogliono un organismo che non possa intaccare la sovranità degli stati membri). Non è ammessa immediatamente la Germania mentre lo è l’Italia. Il passo in avanti avviene solo anni più avanti con la creazione della CECA, come prima manifestazione del metodo funzionalista: cercare di conflitti arabo-israeliani. Si caratterizza perché gli arabi lo affrontano con grandi divisioni tra di loro, il fronte è diviso internamente anche dal punto di vista strategico: • Ci sono innanzitutto gli arabi palestinesi, che combattevano per cancellare Israele; • Poi vi erano i transgiordani, che ambivano più che altro a mettere le mani sulla parte orientale della Palestina; • Infine c’è il protagonista del fronte arabo e del conflitto (tutte le guerre arabo- palestinesi vedono prevalentemente il conflitto tra Israele e l’Egitto), l’Egitto, che ha l’obbiettivo principale di mettere le mani sul Negev, di interesse strategico per il controllo del canale di Suez. Israele ha il vantaggio di ottenere un riconoscimento formale dalle potenze più importanti, tra cui ci sono gli USA, la GB e l’URSS. Anche quest’ultima si affretta a riconoscere formalmente Israele per una serie di ragioni politiche: • Israele poteva essere un primo esempio di stato post-coloniale, come frutto di una prematura fase di decolonizzazione; • Vi era una fortissima componente progressista di tendenza socialista; tutti gli ebrei sopravvissuti alla guerra, che erano fuggiti dai paesi dell’Europa orientale, gli aschenaziti, trovano rifugio in Palestina e sono ideologicamente affini all’URSS anche se non sono esattamente comunisti. Questa tendenza progressista della società si riflette nella la politica estera subito sposata da Israele con la linea della non identificazione: non è né filo-americana né filo-sovietica, quanto piuttosto al servizio supremo della sopravvivenza dello stato. Questo fa sì che tutte le potenze fossero interessate ad avere dei rapporti diplomatici con questo nuovo paese. Mentre americani e sovietici competono per avere un rapporto preferenziale con la Palestina, la guerra arabo-palestinese si conclude nel 1949 con l’armistizio di Rodi. Questo stabiliva: • Successo imprevedibile di Israele che riesce a respingere l’attacco congiunto grazie alla divisione strategica dei nemici; • Inoltre, segretamente si accorda con la Transgiordania per una spartizione: la parte araba della Palestina sarebbe passata alla Transgiordania, mentre Gerusalemme sarebbe stata spartita tra gli arabi che avrebbero avuto la parte vecchia mentre l’altra sarebbe andata ad Israele, era una spartizione abbastanza equa. Ma questa spartizione territoriale accentua le divisioni tra i Paesi arabi. La conseguenza immediata di questa guerra è che la risoluzione dell’ONU non può essere più applicata (Gerusalemme era stata spartita e la parte in cui doveva nascere lo stato arabo era invece stata acquisita dalla Transgiordania, che diventa Giordania). Il Medio Oriente diventa importante all’inizio degli anni ‘50 anche per la questione petrolifera. La produzione di petrolio è così alta che comincia ad influenzare il mercato energetico internazionale. Nascono le prime grandi compagnie petrolifere che rientreranno nelle cosiddette Sette Sorelle, tutte controllate da capitali americani, inglesi o per un breve periodo anche olandesi. Saranno in grado di dettare quantità estratta e prezzo nel mercato mondiale del petrolio. Condizionerà sia le economie nazionali dei paesi che le controllano, che quelle dei paesi produttori: si innesca un rapporto squilibrato tra i Paesi che acquistano il petrolio e i paesi esportatori che lo vendono, e lo possono fare alle condizioni imposte dai paesi che controllano le compagnie petrolifere. Tanto che già nel 1950 si ha una prima crisi petrolifera regionale: l’avvento al potere dei nazionalisti in Iran, guidati dal leader Mossadeq, porta al centro del dibattito politico proprio la questione del petrolio e prende la decisione storica di nazionalizzare il petrolio dell’Iran, cioè acquisirne la proprietà, estromettendone le compagnie occidentali, e assumendo la capacità esclusiva di determinarne prezzo e quantità. La decisione a) mette in grandissima difficoltà la Iranian Oil Company, che era la compagnia petrolifera istituita in accordo tra inglesi e iraniani; b) rischia di essere seguita dagli altri paesi produttori, che sarebbe stato molto pericoloso. Altro ambito geografico extraeuropeo rilevante: il Sud America. I paesi di questa regione avevano dato un contributo alla guerra, dichiarando guerra alla Germania e all’Italia, solo alcuni, come il Brasile avevano inviato dei contingenti a combattere in Europa. Quindi alla fine della guerra si pone il problema di definire i rapporti tra gli USA e i suoi vicini. Queste relazioni non erano sempre molto positive. Nel 1947 viene stipulato il patto di Rio, un accordo regionale che riconosce la solidarietà tra i paesi latino-americani: era un patto difensivo. Aveva un significato più di impegno morale, spinto da un sentimento di solidarietà, piuttosto che pratico e strategico. L’Argentina aveva in particolare seri problemi nei rapporti con gli USA. Negli anni tra la seconda guerra mondiale e il periodo post-bellico è guidata dalle forze militari, con il regime autoritario guidato da Peron, che aveva stabilito un’alleanza conservatrice, legata anche al cattolicesimo, e si mostra allo stesso tempo capace di garantire il controllo del regime sulla società grazie alla profonda alleanza con i sindacati dei lavoratori argentini, soprattutto grazie al lavoro della moglie Evita sempre attenta alle questioni sociali. Metteva insieme degli elementi di conservatorismo con elementi di innovazione sociale. Ma un primo elemento da cui sono sorte delle perplessità è il fatto che Peron aveva delle propensioni filo-naziste. L’Argentina infatti deciderà di dichiarare (anche se solo formalmente) guerra alla Germania soltanto verso la fine della guerra, solo per non mostrarsi troppo filo-tedesco, ma in realtà lo era a tal punto che l’Argentina diventerà un punto di approdo dei nazisti che fuggono dall’Europa dopo la fine della guerra. Si tiene un dibattito sulla possibilità di accogliere un paese del genere nell’ONU, che si conclude positivamente. Un altro aspetto che rende la politica estera del regime di Peron molto discutibile a livello internazionale è il fatto che dopo aver nutrito delle simpatie per i nazisti, sviluppa forti rapporti bilaterali con la dittatura franchista, cioè all’ultimo regime autoritario rimasto in Europa. Nasce un rapporto privilegiato, e questo pesa molto sul rapporto con gli USA che diventeranno ancora più tesi. La situazione in Asia. Alla fine della guerra l’unico paese che poteva vantare indipendenza in questo continente era la Tailandia. Tutti gli altri paesi erano in attesa di ottenere l’indipendenza, soprattutto perché i giapponesi avevano sempre soffiato sul nazionalismo asiatico tanto da aver alimentato grandi aspettative di indipendenza in queste regioni: • Il primo paese a raggiungere l’indipendenza è l’India, promessa dagli inglesi. Tuttavia, il dibattito sull’indipendenza si trasforma in un dibattito sulla spartizione tra India e Pakistan. Gli inglesi si ritrovano costretti a negoziare un accordo di spartizione tra le due parti. Il rapporto tra questi due stati indipendenti è da subito pessimo, perché nelle zone di confine come il Kashmir c’è una sovrapposizione tra comunità indù e comunità musulmane. • Un altro paese che in questo periodo ottiene l’indipendenza sono le Filippine, per concessione degli USA che onorano un impegno precedentemente assunto. • Mentre i primi due processi sono pacifici, ben più complicata sarà l’unione dell’Indonesia, che era sotto amministrazione olandese. Prendendo spunto dal Commonwealth, propongono un progetto di unione, ma fallisce e porta all’indipendenza dell’Indonesia. • Uno scenario critico è anche quello dell’Indocina. Era una colonia francese, formata da Vietnam, Cocincina, Laos e Cambogia. La regione più avanzata che si impone è il Vietnam, il cui nazionalismo è una risposta al vecchio colonialismo europeo e alla sovrapposizione giapponese (gli americani sosterranno i Vietminh nella lotta contro gli occupanti giapponesi). Questo nazionalismo si manifesterà in modo ancora più forte dopo la guerra, e i francesi saranno travolti nel tentativo disperato di gestire la situazione. Ma l’evento nel continente asiatico che avrà maggiore impatto sull’assetto internazionale è la nascita della Cina popolare. Alla fine della guerra è chiaro che i nazionalisti stanno soccombendo di fronte alla lunga marcia di Mao. Ha avuto un’intuizione vincente: la rivoluzione comunista in Cina si può realizzare a partire dalle campagne, in un paese arretrato e su base rurale. È molto diversa rispetto a quella avvenuta nel 1917 in Russia, che era invece affidata alle masse proletarie degli operai nella realtà industriale nelle città. La lunga marcia permette a Mao di occupare progressivamente tutta la Cina e costringe i nazionalisti a rifugiarsi nell’isola di Formosa dove nasce il regime di Taiwan. Abbiamo due Cine: la Repubblica comunista di Mao e quella nazionalista di Taiwan guidata da Chiang Kai-shek. È un grande smacco per gli americani, che hanno commesso in Cina un errore clamoroso: Roosevelt aveva erroneamente pensato che la Cina potesse rientrare nel concetto dei four policemen e che quindi potesse essere filo-americana. Nel consiglio di sicurezza siede tra i paesi con diritto di veto la Cina nazionalista. L’URSS chiede che questo seggio venga tolto alla Cina nazionalista e attribuito a quella comunista, che è molto più popolosa e rappresentativa. Ma quando l’ONU è stata fondata a capo della Cina c’era Chiang Kai-shek, e quindi agli americani poco interessava che ora questi non fosse più a Pechino, bensì in un’isola dall’irrilevante peso demografico. L’URSS in protesta NATO. Fa parte dell’architettura difensiva creata dagli USA in questa regione per isolare la Cina. I rapporti con il Giappone vengono regolati con il trattato di San Francisco del 1951, oggetto di contestazione dell’URSS e della Cina. Venivano confermate le perdite territoriali del Giappone, compresa la Corea, ma soprattutto si stabiliva il ritiro delle forze armate americane dal suolo giapponese. Tuttavia subito dopo averlo firmato, Giappone e USA ne sottoscrivono un altro, questa volta di alleanza militare. I giapponesi in sostanza delegano la loro difesa nazionale agli americani. Legano le loro sorti strategiche e quindi il Giappone diventa il primo importante partner degli USA. Il secondo partner degli USA in quest’area è il regime nazionalista instauratosi sull’isola di Formosa, più che mai devono preoccuparsi della sopravvivenza di questo regime, soprattutto perché l’isola dista pochissimi chilometri dalla Cina comunista, che in qualsiasi momento potrebbe invaderla e annetterla. Questo spiega perché gli americani collocheranno delle unità navali permanenti in questa area. Anche questo contribuisce a far precipitare i rapporti tra USA e Cina comunista. La guerra di Corea è un evento drammatico come primo conflitto della guerra fredda, ma avrà delle scie molto importanti che si protrarranno fino agli anni ’70. La dimensione strategica della guerra fredda. Gli USA avevano acquisito il vantaggio strategico grazie al monopolio dell’atomica. Ma dura poco perché anche Stalin (grazie al suo efficace servizio di spionaggio) dopo pochi anni riesce a colmare il gap tecnologico, realizzando un equilibrio strategico tra le due superpotenze, definita come equilibrio del terrore o MAD ovvero mutua assicurata distruzione. Contribuisce a rendere il sistema bipolare stabile, perché nessuno dei due riesce a acquisire un vantaggio risolutivo rispetto all’altro. Quando entrambi avranno perfezionato la tecnologia missilistica, potranno bombardarsi a vicenda con testate nucleari montate su vettori intercontinentali, verrà meno la possibilità di scatenare un attacco preventivo che possa annientare il nemico perché a) non c’era la certezza di distruggerlo completamente, b) avrebbe probabilmente scatenato un contrattacco altrettanto distruttivo. Il timore della reciproca distruzione è talmente forte che inibisce l’attacco. La dimensione strategica del bipolarismo si riassume nel concetto di deterrenza: significa che il timore della reciproca distruzione di fatto scongiura l’eventualità di un conflitto nucleare perché nessuna delle due è disposta ad attaccare per prima. La deterrenza quindi consiste nell’inopportunità di scatenare un conflitto nucleare. Per quanto sia dettata dal terrore, questo equilibrio basato sulla deterrenza garantisce anche la pace, perché se la guerra nucleare tra le due principali antagonista del sistema internazionale diventa improbabile, è normale che è improbabile che scoppi un nuovo conflitto globale. La costruzione della deterrenza conosce una accelerazione quando va alla presidenza il repubblicano Eisenhower, che è fortemente persuaso della necessità di far leva sul nucleare. Nel 1953 la sua amministrazione lancia un programma che prende il nome di “Atom for Peace”: l’idea era che la diffusione nel mondo dell’energia nucleare a scopi civili, garantendo un’accelerazione del progresso economico nel mondo, avrebbe eliminato le tensioni come potenziali cause della guerra. In politica estera persegue una difesa nazionale che si sposta dal convenzionale al nucleare: la bomba è essenziale sia come mezzo difensivo che offensivo. La dottrina strategica si basa sul concetto di rappresaglia massiccia: nel caso vi fosse stato un attacco, l’amministrazione non avrebbe escluso la possibilità di reagire direttamente con l’uso dell’atomica piuttosto che partendo dalle armi convenzionali. La dottrina ufficiale della Casa Bianca in politica estera è la concezione del Roll Back, anche si rivelerà inattuabile. Viene elaborata dal segretario di stato Foster Dulles, e intendeva che si dovesse contenere l’URSS e anche costringerla a regredire, cioè a farla ritirare progressivamente dalle aree sottoposte alla sua dominazione. Impossibile perché avrebbe scatenato un conflitto frontale con l’URSS. Nel 1946 era stato approvato il MacMahon Act, che stabiliva che gli USA non avrebbero condiviso le informazioni in ambito nucleare. La nuclearizzazione delle dottrine strategiche americane contribuisce a rendere gli alleati ancora più succubi dell’alleanza con gli USA. Da un lato la nuclearizzazione comporta che gli alleati siano insofferenti perché non hanno nessuna autonomia, ma dall’altro sono consapevoli di non poter fare a mento della protezione americana. La nuclearizzazione accelera anche il processo di integrazione europea sul piano militare: il piano Pleben viene sviluppato con la proposta di una CED. Nel 1952 viene sottoscritto a Parigi il progetto della CED, per gran parte francese, perché i francesi vogliono la leadership nel processo di costruzione di una Europa militarmente integrata perché vogliono controllare direttamente la Germania. Contestualmente viene lanciato anche un progetto di comunità politica, che sta molto a cuore a De Gasperi. Capisce l’Italia rischia di restare indietro anche nell’integrazione militare, quindi cerca di riguadagnare terreno investendo sull’integrazione politica. Tutto dipenderà dall’approvazione del progetto della CED, che deve essere ratificato dai parlamenti. Il progetto viene sabotato per vari motivi: 1. Quando il progetto viene presentato all’Assemblea Nazionale francese, si alzano le voci delle altre forze politiche, come quelle dei nazionalisti (raccolti intorno alla figura di De Gaulle) che sostengono che non sia prudente privarsi di un controllo della difesa per affidarlo ad organismi comuni. 2. Mentre si tiene questo dibattito si alza anche la voce di Eisenhower che ha investito molto sulla CED in termini politici. Vuole che l’integrazione europea diventi un altro pilastro della NATO. È in questa fase che inizia il dibattito sul fatto che gli europei debbano fare la propria parte in materia di difesa: non devono cioè essere solo fruitori della sicurezza nell’Atlantico, ma devono contribuirvi. Il parlamento francese boccerà clamorosamente il progetto. Tuttavia la colpa non è soltanto dei francesi, perché qualcosa di analogo accade anche nel dibattito politico italiano. Siamo nel 1954, anno della questione di Trieste, le forze di governo italiane strumentalizzano la CED: avrebbero ratificato il progetto se avessero ottenuto Trieste. Anche in Italia quindi contribuisce ad indebolire il progetto CED, come naufraga anche il progetto di integrazione politica che era stato lanciato da De Gasperi. In questo clima di sconforto c’è però un rilancio per opera di Eaden, il quale ha l’intuizione di rimettere in moto il progetto di integrazione militare partendo dal vecchio patto di Bruxelles. Bisognava sfruttarlo, estendendolo alla Germania e rafforzandone l’impegno, permettendo che non soltanto le truppe americane fossero stanziate sul territorio europeo, ma anche quelle inglesi. Nel1954 si riesce a varare la UEO (Unione dell’Europa Occidentale), ovvero l’integrazione militare difensiva europea, la cui struttura si ispira alla NATO. L’art. 5 introduce il casus foederis, esattamente come nella NATO. Vengono chiarite le ultime zone rimaste in una condizione ambigua dopo il conflitto: L’Austria subisce una sorte ambigua alla fine della guerra perché gli anglo-americani non la considerano come un collaboratore dei nazisti quanto piuttosto come prima vittima del nazismo. Non la vogliono punire. Ha subito prima l’occupazione nazista, poi quella sovietica, e la sua libertà dipende dall’impegno preso dai sovietici con il trattato del 1955 sottoscritto a Mosca. I sovietici si impegnano a lasciare il territorio austriaco, in cambio del mantenimento di una politica estera neutrale da parte dell’Austria. Una conseguenza di questa neutralizzazione è che neppure gli americani potranno sfruttare strategicamente il territorio austriaco. Gli americani, infatti, avevano progettato di stanziare delle basi nucleari in Austria; per questo stabiliscono che l’Italia sarebbe stata una base alternativa. Negli anni ’50 si realizza una prima base nucleare a Vicenza. Il motivo della collocazione pare sia stato una valutazione politica, perché Vicenza era un luogo di provato cattolicesimo e quindi la popolazione, prevalentemente democristiana, ben allineata alle scelte del governo DC in politica estera. L’entrata della Germania nel patto di Bruxelles e poi nella NATO è un passaggio cruciale, perché è solo a questo punto, nel 1955, che l’URSS reagisce fondando il Patto di Varsavia. Questo perché fino alla fine hanno sostenuto la causa di una Germania unificata ma neutrale, possibilità che cade completamente quando la Repubblica Federale entra nella NATO, diventa perfettamente integrata nel blocco occidentale. Non fa parte del patto di Varsavia la Jugoslavia di Tito perché insofferente delle pressioni sovietiche volte a ridurre la sua autonomia. C’è un altro dato da inserire nel quadro: nel 1953 è morto Stalin. In un sistema centralizzato come quello sovietico si realizza sempre una guerra per la successione al potere tra le maggiori personalità del regime. Emerge la personalità di Nikita Kruscev, comunista ortodosso di origine ucraina che aveva conosciuto sia la durezza della guerra che gli eccessi di Stalin. Per questo da subito ne prenderà le distanze. Questo è ciò che accade nel 1956, in occasione del XX Congresso: • Un primo momento ufficiale, in cui con un rapporto afferma che bisogna farla finita con il pensiero unico socialista e accettare che nel blocco sovietico possano coesistere più vie nazionali al socialismo; • L’altro è un rapporto segreto ad uso interno del partito comunista, atto di denuncia delle atrocità del periodo staliniano, che però arriva in mani occidentali e quindi viene subito diffuso. Amplifica la rottura con il passato politico molto più di quanto lo stesso Kruscev volesse. Ciò che è più importante è l’effetto del primo punto: già la morte di Stalin era stata salutata con grande soddisfazione in alcune aree del blocco sovietico, ma la dichiarazione definitivamente la dipendenza con la GB. Il trattato del 1936 che assicurava agli inglesi il controllo del canale di Suez viene stracciato da Nasser. Era il personaggio rivoluzionario che serviva al mondo arabo eterogeneo: non solo vuole distruggere lo stato di Israele, ma diventa anche leader del movimento panarabo, che si farà carico di tutte le cause arabe per a) portare l’indipendenza ai paesi arabi ancora colonizzati; b) favorire la nascita di un mondo arabo unito e libero che possa essere proprietario del petrolio che produce e ostile all’Occidente sfruttatore. Soffia sul risentimento degli algerini verso la Francia, e questo spiega i pessimi rapporti tra Egitto e Francia. Nasser è ostile all’Occidente anche perché nel 1954 è nata in Medio Oriente la terza e ultima alleanza strategica regionale, il patto di Baghdad, iniziativa del leader iracheno Nuri as-Said in una fase in cui è filo-occidentale. Vede la partecipazione oltre all’Iraq anche quella dell’Iran, della Turchia, del Pakistan, GB e USA. Viene percepita da Nasser come ostile all’Egitto. Altro motivo, di carattere economico, per cui Nasser è ostile all’Occidente è il fatto che nel suo programma di modernizzazione è incluso il progetto di costruzione della diga di Assuan lungo il Nilo. Inizialmente gli americani si mostrano disposti a realizzare questo progetto, ma il problema è che Nasser ha già in questa fase cominciato a tramare con i paesi del blocco sovietico, acquistando armi dalla Cecoslovacchia per una prossima guerra contro Israele. Gli americani bloccano il finanziamento alla diga di Assuan. Nasser non si arrende e con una misura riesce sia a garantirsi il finanziamento della costruzione della diga che ad assumere un atteggiamento provocatorio nei confronti degli occidentali, decidendo di nazionalizzare il canale di Suez. In un incontro segreto che si tiene nell’ottobre del 1956 a Sèvres, in Francia, viene deliberato un piano di intervento segreto tra tre paesi, cioè GB, Francia e Israele. Tutti hanno interesse ad andare contro Nasser: • Israele sa che Nasser è un temibile nemico che provocava di continuo; • La GB doveva difendere i propri interessi che erano stati lesi dalla chiusura del canale di Suez; • La Francia sia per questioni economiche (le stesse della GB) che per punire il sostegno di Nasser ai ribelli algerini. Il piano di intervento accordato prevede un primo attacco israeliano all’Egitto ed un successivo intervento anglo-francese per prendere il controllo del canale. È esattamente il piano che viene realizzato. Inglesi e francesi confidano anche nel fatto che l’URSS era impegnata nella repressione ungherese e sperano che si disinteressi in questa operazione. Ma non è così perché l’URSS, che naturalmente propende verso l’Egitto in funzione anti-occidentale, minaccia di intervenire direttamente se non si fossero ritirate dal territorio. La reazione arriva anche da parte degli americani, furiosi che i due alleati avessero preso una tale iniziativa senza prima consultarli. Costringono inglesi e francesi a ritirarsi attraverso manovre economiche per far crollare il valore della sterlina. La crisi di Suez si conclude quindi con il ritiro delle forze di occupazione e l’intervento dei caschi blu. Israele ha regolato i conti con l’Egitto, occupando temporaneamente il Sinai; l’URSS assume la protezione dell’Egitto. Le conseguenze politiche della crisi di Suez: • Nasser ha vinto almeno da un punto di vista politico e diventa l’eroe indiscusso del panarabismo; • La crisi accelera ulteriormente la decolonizzazione. Inglesi e francesi non possono più comportarsi come prima, perché il sistema è ormai dominato dalle due superpotenze che sono apertamente anti-coloniali; • Si ridefiniscono anche i rapporti nel blocco occidentale. Gli americani non apprezzano né la repressione francese sugli algerini perché questo crea imbarazzo nell’ONU, né apprezzano i metodi inglesi in Egitto. • Anche il Medio Oriente precipita nella guerra fredda, perché le questioni in questa regione chiamano in causa le due superpotenze; • Comincia a costituirsi un asse strategico tra l’Egitto di Nasser e l’URSS; • Finisce la leadership di Eaden; • La elaborazione della dottrina Eisenhower come forma di garanzia. Viene illustrata nel 1957 e prevede la concessione di aiuti economici e militari americani ai paesi mediorientali che si schierino nel blocco occidentale contro l’URSS. La guerra fredda si irradia dal centro originario di Berlino a tutto il mondo, diventando globale. Questo concetto viene ripreso da Vestad che ha scritto “La guerra fredda globale”. Una delle dinamiche internazionali a cui l’effetto di globale della guerra fredda si lega è la decolonizzazione, perché l’emergere di molti nuovi paesi indipendenti crea spazi geopolitici in cui si può manifestare la rivalità tra le superpotenze. Il continente extraeuropeo in cui la guerra fredda si manifesta prima (con la guerra di Corea) è quello asiatico. In Asia nasce la seconda potenza del mondo comunista. È qui che alcune espressioni del fenomeno della decolonizzazione si legano alla guerra fredda: • C’è tensione tra le due Cine, che non si riconoscono a vicenda. La Cina di Chiang siede al Consiglio di Sicurezza ed è sostenuta da una alleanza militare stipulata con gli USA nel 1954, che è uno dei motivi per cui gli USA fisicamente, con le proprie navi, si impegnano ad impedire l’invasione di Taiwan da parte della Cina comunista. A partire dagli anni ‘50 la Cina comunista lancerà delle offensive verso la nazionalista, soprattutto dai cieli, ma non si arriverà all’invasione vera e propria dei suoi territori proprio grazie alla presenza fisica delle navi USA. Quemoy e Matsu sono due isole piccolissime, ma di importanza strategica formale: sono molto vicine alla costa della Cina comunista e sono sotto la sovranità della Cina nazionalista. Diventano il pretesto per una escalation di tensione tra le due Cine, tra cui si troveranno coinvolti anche gli americani. La situazione si protrarrà negli anni. • In Indocina nel 1954 viene cancellata l’ultima colonia francese, con la caduta del fortino di Dien Bien Phu. I francesi si erano confinati nel fortino pensando che fosse inespugnabile, sperando che durante l’assedio da parte dei ribelli vietnamiti arrivassero gli aiuti delle altre potenze occidentali perché tutti vogliono che il colonialismo finisca. I francesi vengono sconfitti. Contestualmente a questi eventi, nel 1954 si tiene la conferenza di Ginevra per dirimere le controversie nel continente asiatico, precisamente in Corea e Vietnam: • Nel 1953 si era trovato un modo per porre fine al conflitto in Corea, stabilendo il 38esimo parallelo come linea armistiziale, a Ginevra invece si discute della riunificazione coreana. Il dibattito è simile a quello della questione tedesca; tra Americani e Sudcoreani che vogliono libere elezioni e i cinesi che non volevano libere elezioni bensì l’istituzione di due comitati popolari, che avrebbero dato vita ad un’assemblea. Non ci può essere un compromesso e la Corea rimane divisa. • Il Vietnam viene diviso lungo il 17esimo parallelo, nell’attesa di trovare un modo per attuare la riunificazione. Quello che gli USA chiedono per la Corea non lo vogliono per il Vietnam: non vogliono libere elezioni perché c’è una molto forte e diffusa influenza comunista, quindi le elezioni molto probabilmente avrebbero dato vittoria ai comunisti. Anche il Vietnam viene quindi diviso in una componente filo- americana e una filo-sovietica. come accade spesso quando in Africa si verifica una crisi istituzionale, in Congo emerga il cd uomo forte, cioè il dittatore che nella fattispecie del continente africano post-coloniale è un esponente delle forze dell’esercito, non necessariamente un alto ufficiale ma che sappia farsi seguire. Mobutu sarà un leader sanguinario, che sfrutterà le ricchezze del Congo e farà accordi economici con gli occidentali. La secessione in Katanga rientra grazie all’affermazione di Mobutu, ma anche grazie all’ONU. Il progressista Lumumba viene catturato e ucciso, e per molti anni Mobutu riuscirà con il pugno di ferro a tenere il Congo unito. Molti anni dopo, negli anni ‘70 si assiste alla seconda decolonizzazione in Africa che riguarda le ultime colonie portoghesi di Angola e Mozambico. Sono due aree in cui c’è una forte presenza della propaganda filo-comunista con le forze ribelli, influenzate da Cuba che è guidata da Castro e preme affinché vi si verifichi la rivoluzione comunista. Il capitolo più tragico della decolonizzazione in Africa è quello algerino. Si assiste ad una crisi molto grave, perché i militari in Algeria decidono ad un certo punto di reagire con la forza alla guerra civile scatenata dal fronte di liberazione algerino guidato da Fehrat Abbas. I militari francesi in Algeria si oppongono a tutto questo e si organizzano in una armata segreta OASS, che prenderà il potere e si dimostrerà paradossalmente ancora più determinata a mantenere il dominio dell’Algeria dei francesi di Parigi stessi. Gli ufficiali dell’OASS vengono percepiti come una minaccia dai francesi: hanno paura che possano mettere in discussione la democrazia francese pretendendo di esportare la loro visione anche in madrepatria. La figura individuata dai francesi per risolvere questo spinoso problema è De Gaulle, che viene chiamato alla guida della Francia in un momento drammatico e fa qualcosa di inaspettato: i francesi gli avevano affidato la Repubblica, pensando che avrebbe risolto il problema con un rafforzamento del legame tra Francia e Algeria, mentre De Gaulle si convince che non ci sia alternativa alla coraggiosa azione di concedere l’indipendenza all’Algeria. Procede in questo senso con molta prudenza: 1. Prima di tutto si preoccupa di salvare i rapporti economici tra Francia e Algeria, con una politica distensiva; 2. Poi lancia l’idea di un Referendum per l’indipendenza degli algerini, che è il risultato dei negoziati che si tengono tra francesi e rappresentanti del fronte di liberazione nazionale nella conferenza di Evian. Il Referendum si tiene nel 1962 e sancisce l’indipendenza algerina. È la cosiddetta pace dei coraggiosi perché in quel contesto di esasperato nazionalismo ci voleva più coraggio a sedersi ad un tavolo negoziale per trovare una soluzione di compromesso, piuttosto che con la violenza. Il momento cruciale per il fronte dei non allineati è la conferenza di Belgrado del 1961, che vede ancora protagonisti Nasser, Nehru e Tito. Il movimento si sfalderà abbastanza presto, perché non allineamento era principalmente dettato da ragioni opportunistiche, cioè per aspettare di trovare quello che è più conveniente. È ad esempio il caso di Nasser, che quando è non allineato diventa sempre più anti-occidentale e più filo-sovietico (non perché affine al comunismo, ma perché sa di poter ottenere aiuti materiali, cioè armi per la guerra con Israele, solo schierandosi da quella parte). Il non allineamento è quindi solo un atteggiamento tattico e non è portatore di una terza ideologia come il comunismo o di una cultura politica come la democrazia occidentale. Nel 1969 si aggrega al gruppo Gheddafi. Questi aveva preso il potere in Libia a settembre, con gruppo di giovani ufficiali libici, attraverso un colpo di stato contro il regime di Idris Senussi che aveva per diversi anni governato la Libia come conservatore filo- britannico, che si teneva fuori dalle tensioni arabo-israeliane ed era anche molto impopolare perché era direttamente controllato dagli inglesi. Gheddafi è molto suggestionato dall’esempio di Nasser, vuole fare della Libia un moderno paese anti- occidentale e anti-israeliano. Gheddafi però non né ha lo stesso carisma di Nasser, né ha alle spalle un paese ricco e importante come l’Egitto. Cerca di farsi notare espellendo subito dalla Libia la comunità italiana, che rappresentava l’élite della società libica arretrata e priva di strutture politiche. Era la vera borghesia della società libica, quindi Gheddafi si priva della componente più evoluta della società soltanto per dimostrare al mondo che non accetta nulla di quello che è legato al passato coloniale, e insieme a questo atto lancia una serie di accuse contro l’Italia. Ma se da un lato Gheddafi tenta di costruire l’identità del suo paese sull’anti-colonialismo, dall’altro c’è il Gheddafi che per tutta la vita farà ottimi affari con l’Italia. Siamo all’inizio degli anni ’70: la classe politica italiana è disperata dopo l’espulsione perché sembra che il legame con la Libia debba venir meno. Mattei opera anche in Libia alla ricerca del petrolio e nel 1956 era stato stipulato un accordo tra l’Italia e la Libia di Idris con cui l’Italia si impegnava a pagare un indennizzo alla Libia per i danni causati in passato, e la Libia si apriva alla cooperazione economica. Si riesce in questo modo a ricucire il rapporto con la Libia, nonostante fosse stata persa come colonia e ci fossero delle interferenze americane e inglesi che dopo la decolonizzazione avevano posto delle basi militari in territorio libico. Gheddafi riesce a spazzare via tutto questo, perché vuole ridefinire i rapporti di collaborazione con l’Italia su basi più vantaggiose per sé stesso. Non volta le spalle all’Italia, perché aveva bisogno di questa collaborazione economica. La reazione italiana all’espulsione dei connazionali fu gestita dal ministro degli Esteri Aldo Moro. Dimostra grande buon senso tracciando una linea che consentirà all’Italia di mantenere buoni rapporti con la Libia. La soluzione Moro prevedeva che si cercasse di intensificare la cooperazione economica e gli investimenti in Libia per convincere Gheddafi ad essere meno aggressivo in politica estera. Gheddafi istituisce il giorno dell’odio, una celebrazione nazionale in cui i libici ricordano ciò che hanno subito da parte dei colonizzatori italiani, ma grazie alla politica portata avanti da Moro questo non gli impedirà di continuare a stringere accordi con l’ENI. Così nonostante ci fosse una grandissima divergenza di vedute politiche, Italia e Libia diventano economicamente integrate: la Libia ha solo il petrolio e lo vende ad una potenza industriale che non ha il petrolio e non vuole condurre una politica estera aggressiva, cioè non cerca di imporre una influenza politica sulla Libia. Resteranno integrate per molti anni. Negli anni ‘60 si tenta anche di dare all’Africa un assetto politico più organizzato, come con la nascita nel 1963 dell’Organizzazione dell’Unità Africana, come una propaggine africana dell’ONU. La cosa positiva di questa organizzazione è che in un continente profondamente instabile, questa afferma che l’unico modo per tenerlo in pace, è stabilire il principio di inviolabilità dei confini. Non avrà molto successo nel prevenire i conflitti nel continente. Nel 2002 evolverà nell’Unione Africana, che si darà una struttura ancora più simile a quella dell’ONU. Ci sono tentativi di agganciare l’area africana all’integrazione europea. La convenzione di Lomè del 1975, che prevedeva l’associazione di 48 paesi africani all’area della comunità economica europea che ne avrebbe intensificato gli scambi commerciali con i paesi europei più economicamente sviluppati. I paesi africani si impegnavano in cambio a percorrere un cammino di riforme economiche per avvicinarsi il più possibile ai canoni dello sviluppo economico europeo. Tuttavia il problema economico non verrà mai risolto e il continente africano rimarrà irrimediabilmente arretrato. L’America latina. Nel 1951 nasce l’OSA. Tende a dare omogeneità e stabilità al continente ma sulla quale gli americani manifestano subito la loro influenza, perché vogliono che questa organizzazione assuma una chiara connotazione anti-comunista. Ma è una richiesta che suona come una indebita ingerenza americana sull’America latina. Non è l’unico episodio di ingerenza, perché durante la guerra fredda gli americani riprendono la tradizione di ingerenza economica americana sull’America Latina: • In questi anni opera l’impresa americana United Fruit Company, che investe nella produzione agricola di molti di questi paesi, ma era altamente impopolare in America latina perché imponeva, sia nella produzione che nei mercati agricoli, delle cattive condizioni di lavoro per i lavoratori locali. Era così odiata da essere stata ribattezzata “El Pulpo” dai locali, proprio per la sua capacità tentacolare di sfruttare le risorse locali impedendo lo sviluppo di migliori condizioni economiche. • L’ingerenza americana si manifesta anche nel 1954 in Guatemala, dove si verifica un golpe filo-comunista. Gli usa faranno di tutto affinché i comunisti non vadano al potere. La crisi si risolverà da sola. Qualcosa di simile avverrà anche in Costa Rica. Gli americani manifestano indirettamente o direttamente di non gradire questo tipo di evoluzione politica nei paesi latino-americani. Il 1957 come anno di importanza strategica della guerra fredda. È infatti l’anno in cui per la prima volta viene messo in orbita intorno alla terra il satellite Sputnik, che sorprendentemente non è una creazione americana: significa che stavolta l’URSS ha preso un vantaggio nella corsa allo sviluppo scientifico-tecnologico. Questo evento ha anche forti implicazioni strategiche: significa avere la possibilità di colpire a grandissima distanza l’obbiettivo, cioè di poter lanciare missili intercontinentali. Con lo Sputnik si crea il cosiddetto missile gap, che tuttavia verrà rapidissimamente colmato dagli USA con la creazione degli ICBM (intercontinental balistic missile). Fino a poco prima c’erano solo i missili a medio raggio, che se dislocati in territorio europeo erano in grado di raggiungere l’URSS, ma non erano in grado di colpire il nemico da casa. Nel 1957 si crea la parità strategica globale, perché non esisteva più angolo della terra che non si potesse colpire. Il padre fondatore del programma missilistico americano è Von Braun, ingegnere tedesco che ha lavorato verso la fine della seconda guerra mondiale allo sviluppo dei cosiddetti missili della disperazione tedeschi V1 e V2 da lanciare verso la GB. È uno dei tanti scienziati tedeschi che alla fine della guerra passano al servizio americano. Sono perfettamente consapevoli della nuova realtà strategica di un mondo dominato dalla MAD. A questo punto non si poteva sospettare né che fosse filo-comunista né filo-sovietico, ma diventa presto chiaro che Castro è critico nei confronti degli USA. Poco dopo aver preso il potere si reca in visita negli USA per ridefinire i rapporti economici con gli americani. L’incontro sarà una grande delusione perché Eisenhower si rifiuterà di incontrarlo. A seguito di queste delusioni, tornato in patria prenderà la decisione di nazionalizzare le terre da cui si produce zucchero, fino ad allora sfruttate dalle imprese americane. È un punto di rottura definitivo. Emerge il riformismo di Castro contro il quale si verifica l’episodio degli esuli cubani, ovvero di coloro che fuggono da Cuba per rifugiarsi prevalentemente in Florida dove costituiranno una comunità di cubani contrari al riformismo di Castro e quindi filo-americani. Si raffreddano sempre di più i rapporti con Washington e quindi Castro comincerà a cercare un nuovo partner economico per sostenere le riforme. Visto l’orientamento riformista diventa logico rivolgersi verso Mosca. Viene stipulato un primo accordo commerciale con Mosca. Guevara si reca a Mosca e nel 1960 torna in patria con un vero e proprio accordo di alleanza, atto sconvolgente per la caratteristica della guerra fredda per cui le due superpotenze evitavano di interferire nei rispettivi blocchi di influenza. La mossa di Chruscev è clamorosa, una pesante intromissione in quella che gli USA considerano sia la propria sfera di influenza. Cominciano le misure di embargo americane contro cuba e iniziano ad essere varati i primi interventi della CIA per rovesciare il regime di Castro, ormai percepito come una minaccia alle porte di casa. Uno dei progetti di Eisenhower, elaborati poi dalla CIA prevedevano il coinvolgimento degli esuli di cuba che aiutati da forze americane avrebbero dovuto sbarcare a Cuba e riprendersi il controllo dell’isola. Questo progetto viene ereditato dall’amministrazione di Kennedy e incautamente applicato nel 1961 con l’episodio dello sbarco presso la Baia dei Porci a Cuba. Con un sostegno logistico degli aerei americani (gli USA non volevano intervenire direttamente attaccando Cuba), gli esuli sarebbero entrati a Cuba per riprendersi l’isola cercando di sfruttare il malcontento popolare contro il potere di Castro, ma sarà un grande fallimento perché sarà basato su presupposti completamente sbagliati. Alcuni esuli provano a sbarcare ma non c’è traccia del presunto malcontento nei confronti di Castro, che è invece molto popolare. È un grande scacco per la nuova amministrazione. Kennedy deve correre ai ripari con altre iniziative. Nel 1961 viene fondata l’alleanza per il progresso. L’amministrazione vuole isolare la Cuba ormai comunista per evitare che l’influenza ideologica si possa estendere all’America Latina e per farlo istituisce l’alleanza per promuovere lo sviluppo economico regionale coinvolgendo gli USA. Ma il presupposto perché si realizzi è che gli altri paesi della regione siano disposti ad isolare Cuba. Viene fatto con le pressioni americane per espellere Cuba dall’OSA, che riesce e formalmente Cuba viene isolata. Si crea una spirale che acuisce le tensioni, mentre contribuisce a stringere sempre più i rapporti di alleanza tra Cuba e l’URSS ormai disposta a difenderla. Nel 1962 gli aerei americani sorvolano l’isola e scattando delle foto si scopre che su Cuba si stanno costruendo delle rampe missilistiche e in prossimità si trovavano degli ordigni che potevano essere degli ordigni atomici. Quindi Cuba sta diventando la base per un possibile futuro attacco nucleare contro gli USA da pochissime miglia di distanza. Questo fatto era tale da creare una minaccia potentissima per gli USA. Nella logica della guerra fredda, in cui la deterrenza prevedeva anche di evitare di provocare il nemico, questo era un affronto, diede l’impressione di mettere in discussione l’equilibrio del terrore prima rigorosamente rispettato da entrambi. La contromisura adottata dall’amministrazione Kennedy fu quella di realizzare il blocco navale per isolare l’isola di Cuba. Delle unità navali dovevano ostacolare l’entrata di altre imbarcazioni sovietiche o di sottomarini a Cuba, che dovevano essere tra l’altro ispezionate. Se avessero provato a oltrepassare o sfidare il blocco, gli USA avrebbero risposto facendo scoppiare una guerra. Chruscev è molto impulsivo e vuole lanciare un guanto di sfida al primato economico USA (dopo averlo lanciato sul piano strategico lanciando in orbita lo Sputnik) attraverso una serie di provocazioni. È molto ottimista e sicuro che entro pochi anni l’URSS avrebbe superato gli USA anche in termini di sviluppo industriale. Ci sono molti elementi irrazionali nella sua condotta, ma alcuni hanno individuato in questo atteggiamento anche un elemento di razionalità: date le difficoltà sovietiche a Berlino, Chruscev probabilmente sperava che sotto minaccia gli usa sarebbero stati più malleabili e quindi disposti ad ascoltarlo e a trovare una soluzione riguardo al problema di Berlino. Tutto il mondo sapeva cosa stava accadendo e teneva il fiato sospeso perché consapevole del rischio che si stava correndo, soprattutto perché era di interesse americano rendere pubblica la minaccia di aggressione da parte sovietica. Non solo Chruscev decise di non forzare il blocco navale (facendo in modo che tutte le navi o i sottomarini sovietici non arrivassero mai al punto di essere fermati dalle navi americane ed essere ispezionati), ma sentendo di essersi spinto troppo oltre elabora anche una proposta per uscire da questa situazione. Un agente sovietico segreto fa arrivare la proposta alla presidenza per vie informali, cioè attraverso un giornalista americano Scali. Prevedeva che i sovietici ritirassero gli ordigni e smantellassero le rampe missilistiche da Cuba, in cambio dell’impegno americano a non aggredire l’isola. È un compromesso che si basava sul fatto che l’URSS sarebbe tornata sui propri passi. A Berlino il passo indietro era stato la costruzione di un muro, mentre ora costituiva l’accettare di smantellare quanto era stato costruito a Cuba. Kennedy accetta la proposta e inoltre si impegna a ritirare i propri missili Jupiter dal territorio di due paesi alleati, cioè Turchia e Italia. Questo è ciò che Kennedy fa per togliere Chruscev dall’imbarazzo ed evitare di umiliarlo. Ma mentre i Turchi sono molto arrabbiati perché non sono stati consultati, e il ritiro dei missili dal proprio territorio determina un ridimensionamento della importanza strategica della Turchia alla NATO, in Italia il governo dc è contentissimo perché almeno non sarà più contestato da comunisti e pacifisti per la presenza dei missili: più debole era strategicamente, più stabile era il governo. Era in realtà una mossa molto astuta perché gli americani avevano già deciso di sostituire i vecchi missili Jupiter già da tempo, con missili molto più avanzati che sarebbero stati alloggiati su supporti non più fissi ma mobili (cioè a bordo di navi o sottomarini) e quindi difficilmente neutralizzabili dal nemico. Le conseguenze della crisi di Cuba sono di essenziale importanza internazionale: • Le superpotenze prendono consapevolezza del rischio corso e prende slancio un nuovo spirito di competizione pacifica che prenderà negli anni successivi il nome di distensione. Si manifesta con l’invenzione della linea del telefono rosso, come collegamento diretto tra Washington e Mosca da attivare ogni volta si fossero manifestati degli elementi di tensione, per capire se la controparte fosse effettivamente ostile o meno. Era un modo per prevenire eventuali incidenti nucleari. Cioè ad esempio si voleva evitare che ci fossero equivoci (come errori dei sistemi informatici) che portassero a incidenti nucleari. • Ritorno in massa al convenzionale e riduzione del nucleare, per evitare i rischi di un conflitto atomico. Alla dottrina strategica della rappresaglia massiccia si sostituisce la dottrina della risposta flessibile: avrebbero valutato di volta in volta con quale mezzi rispondere ad una minaccia. Kennedy esce trionfatore dalla crisi, nonostante avesse iniziato male. Chruscev ne esce male e la leadership sovietica farà fatica a capire perché Chruscev si fosse comportato in quel modo. Ma chi ne esce più deluso di tutti è Castro perché ha scoperto che i sovietici sono inaffidabili dopo che hanno ritirato il loro impegno all’alleanza. Si rendono conto di avere un interesse condiviso a scongiurare la minaccia di una guerra nucleare. Vogliono evitare di essere trascinate in un conflitto nucleare per una causa di importanza marginale come nel caso della crisi di Cuba. Sono questi i pericoli della globalizzazione della guerra fredda. I grandi protagonisti del fenomeno della distensione dei primi anni ’60 sono quindi: • Il presidente Kennedy, che ha fatto un tentativo di cambiamento alla Casa Bianca; • Chruscev, con fortissime contraddizioni, ma è un uomo in cui alla fine prevale la ragionevolezza • Il pontefice Papa Giovanni XXIII, un uomo riconosciuto come autorità morale in tutto il mondo, anche da chi non ne condivide la fede. L’altro avvenimento che contribuisce a modificare gli assetti internazionali in questo periodo è la rottura dell’alleanza tra Cina Popolare e URSS, che si afferma gradualmente tra la fine degli anni ’50 e la prima metà degli anni ’60. Già la genesi del comunismo cinese, rispetto a quello originario del sovietico, è molto diversa: mentre quella sovietica era quella che si atteneva di più alla teoria si Marx, per cui la rivoluzione sarebbe dovuta partire dal proletariato, cioè dagli operai del settore industriale, l’altro si fondava su una rivoluzione contadina. Questa differenza emerge progressivamente soprattutto perché Mao non vorrà attenersi al modello di sviluppo economico a piani quinquennali di stile sovietico. Le riforme economiche di Mao sono molto estemporanee: alla fine degli anni ’50 lancia la politica del grande balzo in avanti, che era la mobilitazione della forza lavoro cinese che avrebbe dovuto garantire l’industrializzazione della Cina. I sovietici sono molto critici tanto che ritireranno sostegno e tutti i collaboratori mandati in Cina proprio per favorire uno sviluppo simile a quello sovietico. C’è che. Ma vi sono quindi molte differenze tra i due regimi: Un’altra manifestazione dell’idea di De Gaulle riguardo all’integrazione europea è la politica agricola comunitaria, che sta a cuore sia ai francesi che ad altri paesi come l’Italia. Ma De Gaulle vuole che questo settore si sviluppi riconoscendo il primato della Francia come potenza agricola. Arriverà a praticare la cd politica della sedia vuota, non mandando i propri rappresentanti ai vertici delle istituzioni comunitarie. Si creano delle tensioni con gli USA, che sfociano nell’evento culminante dell’uscita della Francia dalla NATO, che viene preannunciato dal ministro degli Esteri Couve De Murville nel 1966. La Francia ritira i propri uomini, le proprie basi e le armi dal controllo della NATO, ma non recede dall’alleanza atlantica quindi non ne denuncia i trattati. Ha delle conseguenze importanti, perché crea dei problemi strutturali all’alleanza atlantica. La NATO si ritrova in gravissima crisi e c’è il rischio che anche altri possano seguire la scelta francese di sganciarsi dalla NATO per cercare maggiore autonomia. La Francia sente di poterselo permettere perché ha la bomba atomica. La NATO deve rispondere alla crisi: • Elabora una nuova dottrina strategica più al passo con i tempi della distensione: diventerà più o meno quella di Kennedy della difesa avanzata e risposta flessibile. Significa garantire la difesa a tutti i paesi della NATO, ma farlo riservandosi di rispondere alle crisi in misura alla gravità della minaccia percepita. • Si apre ad un maggiore confronto politico con la controparte: Se De Gaulle aveva dimostrato che un paese occidentale poteva avere relazioni non tese con l’URSS, poteva farlo anche la NATO in blocco. Viene affermato con il rapporto Harmel del 1967, con cui si afferma che la NATO deve anche cogliere aperture diplomatiche al dialogo politico e al confronto che se sviluppate possono favorire il clima di distensione tra i due blocchi. Nel 1969 De Gaulle esce di scena, ed il suo sostituto Pompidou deciderà di non esercitare più il veto all’ingresso della GB nella CEE, e la tensione nell’alleanza atlantica tende a ridursi alla fine degli anni ’60. L’uscita della Francia dalla NATO ha delle ripercussioni sul ruolo dell’Italia nell’alleanza atlantica, perché è la principale potenza mediterranea rimasta. È l’Italia del governo Fanfani, nuovo leader emergente della DC. È disposta a farsi carico dell’eredità della Francia fino ad un certo punto, perché non può farsi carico del suo ruolo militare (che ne destabilizzerebbe gli equilibri politici: nei primi anni ’60 in Italia è stata varata una nuova formula di governo che è quella di centro-sinistra, così i socialisti di Nenni sono entrati al governo sempre guidato dalla leadership della dc. I governi del centro-sinistra sono la prosecuzione del tentativo fatto anni prima inaugurando una politica estera neo-atlantica per favorire un progressivo allargamento della compagine di governo. Ma la differenza con il tentativo degli anni ’50, il centro-sinistra nasce con il benestare degli alleati GB e USA che si preoccupano molto che l’Italia possa avere dei governi più stabili. Questi governi non saranno brillanti, ma avranno una maggiore stabilità. Prenderanno alcune audaci iniziative di politica estera come accentuare la politica filo-araba e premere per un riconoscimento italiano alla Cina Popolare (che avverrà ancora prima di quello americano), mentre secondo altri manifesteranno totale subordinazione alla NATO. Destituito Chruscev, si ricostituisce una situazione di transizione che vede ai vertici del regime due personalità, Cossighin e Breznev nell’attesa che si ridefiniscano i rapporti di forza che andranno poi a favore di Breznev. Conservatore poco propenso alle riforme e determinato a rilanciare l’influenza sovietica e a mostrare un volto duro alla comunità. La precedente fase Chrusceviana con la destalinizzazione del regime dopo il XX Congresso, ha comunque prodotto dei cambiamenti nel blocco sovietico, non solo manifestatisi con la crisi ungherese e la repressione. Ad esempio in Romania si afferma Ceausescu che manifesta propensioni autonomiste; è un leader comunista, che ha fatto carriera politica nelle fila del partito comunista rumeno, ma vuole affermare la peculiarità della Romania nel blocco per affermare la propria leadership sia internamente che della politica estera. Rivendica autonomia sia a livello economico che a livello politico da Mosca. I rapporti erano gerarchici, c’era una suddivisione del lavoro precisa. Secondo le direttive di Mosca alcuni paesi dovevano specializzarsi nella produzione agricola e altri in produzione industriale, ma lui va contro le indicazioni perché vuole una potenza agricola ma anche uno sviluppo industriale. Anche sul piano internazionale prenderà le distanze dall’URSS, tant’è che qualche anno dopo visiterà la Romania il presidente Nixon, dimostrando che Ceausescu non aveva preclusioni ideologiche a confrontarsi anche con la controparte. Breznev tra il 1967 e il 1968 mostra il suo vero volto quando si ritrova ad affrontare un problema simile a quello ungherese. Si assiste alla cd primavera di Praga, cioè ad una stagione di riforme politiche e apertura culturale a nuove tendenze. La Cecoslovacchia era sempre stata integrata nel circuito culturale del mondo occidentale. È la dirigenza comunista a farsi promotore dell’apertura, ma i leader comunisti cecoslovacchi non si spingono fin dove si erano spinti anni prima i loro colleghi ungheresi, ma chiedono soltanto di avere un sistema politico più rappresentativo della vivacità culturale dello stato che stava esplodendo in quegli anni. Simbolo di questo movimento culturale, sul piano dell’interscambio culturale con l’occidente, sarà il poeta Havel, futuro leader della Cecoslovacchia post-comunista che verrà considerato un intellettuale dissidente (figura pericolosa per i comunisti perché insofferente alle rigide imposizioni ideologiche). Nonostante questo atteggiamento fosse decisamente meno grave rispetto alle pretese ungheresi, l’URSS reagisce allo stesso, con il ricorso alla forza per evitare l’approfondimento di questo corso di riforme. Nell’occasione si parlerà dell’affermazione della dottrina Breznev o della sovranità limitata, cioè che le popolazioni orientali devono stare molto attente ad intraprendere riforme e aprirsi all’occidente o assecondare le istanze che provengono dalla società, e se questi atteggiamenti si spingono troppo oltre, l’URSS sarebbe intervenuta. La sovranità è appunto limitata dalla possibilità sovietica di inviare eserciti in qualsiasi momento. la classe dirigente cecoslovacca viene eliminata, e tra le vittime politiche vi era Dubcek, comunista, ma anche riformista slovacco che viene messo a tacere. Nel mondo occidentale suscita delle reazioni più significative rispetto a quello che era avvenuto ai tempi della repressione ungherese, quando perfino i comunisti occidentali si erano allineati ai sovietici giustificando la repressione. Ma questa volta sono davvero impossibilitati a difendere una così grossolana ingerenza sovietica. C’è una prima presa di distanza, e comincia un processo lungo e doloroso di progressivo allontanamento dalle posizioni del comunismo sovietico, che viene sempre più percepito come un potere che non ha più molto a che fare con il fattore ideologico quanto con la semplice perpetuazione dell’egemonia in vari paesi. La fine degli anni ’60 è il frangente di un’altra dolorosa vicenda internazionale, che è quella che avrà conseguenze più profonde nelle coscienze della comunità internazionale rispetto alle logiche della guerra fredda: la guerra del Vietnam (1955-1975). Le radici del coinvolgimento americano nel Vietnam sono da ricondurre alla sconfitta francese del 1954 e alla conseguente conferenza di Ginevra in cui gli USA decidono di interessarsi al Vietnam per evitare che cada sotto i comunisti. Era avvenuta la spartizione in Vietnam del Nord e del Sud. Al sud Diem è un dittatore fonda un regime corrotto, impopolare, oppressivo nei confronti delle minoranze religiose, che per gli americani è difficile difendere ma che è essenziale sostenere per evitare che cada sotto i comunisti. Per giustificare l’intervento americano in Vietnam viene elaborata la dottrina del domino: lo spostamento di una tessera può determinare la caduta di tutte le altre. Gli USA erano stati meccanicamente trascinati in questo spazio vuoto nonostante non avessero alcun interesse. Il coinvolgimento inizia a metà degli anni ’50 con Eisenhower e tutti i suoi successori continueranno a portarlo avanti. Il successore è Kennedy che era turbato da fatto che i paesi circostanti al Vietnam, pacifici e indifesi, potessero cadere sotto i comunisti del Vietnam del Nord e questo contribuisce ad accrescere l’interesse americano verso questa regione. Il vero salto di qualità avverrà dal 1964. In Vietnam ci sono già consiglieri e delle imbarcazioni militari. Si verifica un incidente nel golfo del Tonchino tra unità navali americane e quelle nord vietnamite. Lo scontro induce Johnson a chiedere al Congresso i poteri per garantire la difesa del Vietnam del Sud da quello del Nord: è la cosiddetta risoluzione del Tonchino del 1964. Entro il 1968 oltre mezzo milione di soldati americani verrà dislocato in Vietnam del sud, ma non contento Johnson si farà anche dare il potere di bombardare il Vietnam del nord cioè di condurre una vera e propria guerra. Ma le attività non si riveleranno risolutive, perché l’esercito troverà gravi difficoltà contro la guerriglia dei nordvietnamiti. Era una strategia volta ad evitare lo scontro in campo aperto, per concentrare l’azione sugli attacchi a sorpresa spesso condotti attraverso villaggi, per poi fuggire, evitando la controffensiva nemica. Questi guerriglieri avranno sempre più dalla propria parte il favore delle popolazioni locali, che percepiranno la presenza americana come assolutamente ostile. È un dramma che mobilita l’attenzione di tutta la comunità internazionale. È la prima guerra mediatica che grazie ai mezzi di comunicazione americani sul posto viene mostrata a tutto il mondo. C’è una crescente mobilitazione della comunità internazionale contro questa guerra. Sono gli anni della mobilitazione studentesca che da Berkeley si dirama in tutto il paese e si irradierà ai paesi dell’Europa occidentale. È una profonda contestazione al potere della Casa Bianca. Nel 1965 Lapira si recherà in Vietnam del Nord a parlare con Ho-Chi-Minh per favorire un negoziato che portasse alla pace con il coinvolgimento di Fanfani del governo italiano di centro-sinistra, ma sarà una iniziativa sterile. Straordinaria capacità di resistenza nordvietnamita: nel 1968 le forze americane vengono sorprese dalla controffensiva del Tet, vari centri del sud vengono sorpresi • Contribuisce a cristallizzare i rapporti di alleanza e influenza delle superpotenze con il Medio Oriente. Il coinvolgimento delle superpotenze è solo militare in una prima fase: dietro alle iniziative di Nasser c’è anche la spinta sovietica, che attraverso i servizi segreti ha informato i partner arabi delle intenzioni bellicose di Israele. Mentre quella che poi nasce tra USA e Israele è anche un’affinità politica, non si può dire lo stesso della controparte. Nasser non ha alcuna affinità politica con l’URSS, che è solo un fornitore di armi per il medio oriente e dalla sua parte all’URSS interessa essere rifornitore di armi perché in questo modo si assicura una certa influenza nella regione e sa che la vendita delle armi è più persuasiva della diffusione dell’ideologia, non vendibile agli arabi. Questa contrapposizione delle superpotenze in Medio Oriente trova conferma nel dibattito in seno all’ONU che è dominato da loro: gli USA sostengono la causa israeliana, ritenendo che Israele non debba necessariamente ritirarsi da tutti i territori occupati, ma solo da alcuni. Gli arabi, sostenuti dai sovietici, ritengono che Israele debba rientrare nei vecchi confini del 1948. Il risultato del dibattito è la risoluzione 242 che non ha carattere vincolante, è solo un invito della comunità internazionale ai contendenti. Introduce il principio della terra in cambio di pace, ancora oggi applicato: vuol dire che se Israele è disposta a cedere quello che si è presa con la forza, allora gli arabi saranno disposti a rassegnarsi al fatto che Israele esiste. Ma tutto dipende da come questo deve essere applicato: • Gli israeliani sostenevano che prima dovesse esserci una disponibilità degli arabi a riconoscere formalmente lo stato di Israele. • Gli arabi la interpretano in senso opposto: avrebbero negoziato la pace soltanto dopo il ritiro di Israele dai territori occupati. Per far accettare questo principio si tengono vare missioni diplomatiche, come quella di Rogers, che però non riesce a convincere le parti. È in questa fase che la politica estera italiana si sposta decisamente in favore dei paesi arabi. Ufficialmente la posizione italiana riguardo al conflitto mediorientale prende il nome di equidistanza. Vuol dire che ufficialmente non era né filo araba ne filo israeliana, ma dietro a questo apparente profilo c’era invece un crescente favore accordato agli arabi, perché Israele comincia ad apparire troppo aggressiva e non è gradito tutto l’incondizionato appoggio che riceve dagli USA. Andreotti la definirà come politica della equivicinanza, per cui gli italiani erano disposti a dialogare con tutti. In realtà di fatto il baricentro si stava spostando verso gli arabi, non solo perché l’Italia era disposta a collaborare co tutti o perché gli arabi ci vendevano il petrolio, ma perché il governo di centro-sinistra tendeva a vedere Israele come espressione filo-americana, cioè è legata ad una potenza arrogante, imperialista, che è aggressiva in Vietnam, e quindi vuole distanziarsi. Ma in realtà c’è anche una preoccupazione strategica italiana, che non vuole che ci siano guerre nel Mediterraneo, perché per vicinanza creano preoccupazioni e tensioni anche nel nostro paese. Inizia un ragionamento: gli americani hanno introdotto il principio dei rifornimenti militari ad Israele, il che a sua volta legittima i forti aiuti militari sovietici a Egitto e Siria. È questo che preoccupa uomini come Moro e Andreotti, che riconoscono che la guerra fredda si è inserita in Medio Oriente attraverso le armi. Ma ci vuole un equilibrio: Gli USA non devono esagerare con le forniture ad Israele, ma allo stesso tempo devono riuscire ad evitare che l’URSS diventi la superpotenza più influente nella regione. La posizione italiana è quindi molto complessa: • Sempre più filo-araba • Alleata degli USA ma allo stesso tempo critica per l’appoggio eccessivo a Israele; • Attenta a che vi sia un equilibrio strategico tra l’influenza americana e quella sovietica nella regione L’evoluzione tra fine anni ‘60 e inizio anni ‘70 della Germania. Quando va al potere il socialdemocratico Willy Brandt, promotore della Ostpolitik. Il presupposto: come gran parte dei tedeschi occidentali è deluso da come gli alleati della NATO stanno gestendo la questione tedesca. Ha capito che agli americani non interessa molto la riunificazione tedesca, bensì soltanto la convivenza pacifica con l’URSS. È improbabile quindi che gli USA scatenino una guerra per Berlino e per la Germania unita. Brandt dice che i tedeschi avrebbero dovuto provvedere personalmente al problema, promuovendo una apertura diplomatica della Germania occidentale al blocco sovietico. Si apre al confronto con URSS e con la Polonia, per la prima volta sono disposti a riconoscere come definitivi i confini orientali della Germania, accettando di aver perso territori che a Jalta erano stati attribuiti alla Polonia. Riconoscendoli migliorano i rapporti con l’est. Miglioramento dei rapporti tra le due Germanie. Questo consente alle due Germanie di entrare nell’ONU nel 1973. L’Ostpolitik va oltre la volontà degli USA, perché non è un’iniziativa diplomatica che parte dal dipartimento di stato e questo non è gradito agli americani stessi. È una manifestazione della tendenza delle superpotenze a mantenere il dialogo al loro livello e non lasciare che avvenga tra i loro stati satelliti. Gli americani spingono sull’integrazione europea, a patto che questo non metta in discussione l’ordine gerarchico internazionale. L’Ostpolitik ha risultati concreti, ed è il presupposto che porta all’atto finale di Helsinki nel 1975, la più grande conferenza della guerra fredda perché vi partecipano le due superpotenze e molti paesi satelliti intermedi e minori dei due blocchi. Si tiene sotto la presidenza di Aldo Moro, presidente della CEE, e porta alla fondazione della CSCE. Segna un cambiamento epocale. Ci sono due livelli: • Dialogo delle superpotenze: emerge l’interesse delle a mantenere la pace • Dialogo tra le potenze di rango minore: hanno interesse a rilanciare una idea di integrazione e guardare oltre la divisione del mondo in blocchi. Il punto di incontro tra questi due livelli e le rispettive diverse volontà è il riconoscimento dei confini come intangibili: quando tutti riconoscono che esiste un blocco occidentale e uno orientale, nessuno può mettere più in discussione l’altro e la pace è garantita. La maggiore conseguenza dell’accordo è che si può cominciare a parlare di diritti umani: gli occidentali sono disposti a riconoscere il blocco orientale ma in cambio vogliono affrontare la questione dei diritti umani. I sovietici per la prima volta sono disposti a parlare di diritti umani, anche se prendono molto gradualmente l’impegno a riconoscere maggiori libertà individuali. Il percorso da lì intrapreso sembrava essere la solita formula diplomatica per continuare a mantenere cristallizzata la situazione, e al contrario, molto lentamente e dalle rivendicazioni di libertà dal basso, porterà all’erosione prima del muro e poi dell’URSS e della guerra fredda.
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