Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Storia delle televisioni in Italia: dagli esordi alle web tv - Irene Piazzoni, Dispense di Storia Della Radio E Della Televisione

Storia della televisione in Italia, dal suo esordio nel 1954 ai giorni d'oggi.

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 24/11/2020

chiarapalumbo24
chiarapalumbo24 🇮🇹

4.3

(62)

8 documenti

1 / 27

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Storia delle televisioni in Italia: dagli esordi alle web tv - Irene Piazzoni e più Dispense in PDF di Storia Della Radio E Della Televisione solo su Docsity! Storia delle televisioni in Italia - Irene Piazzoni Dagli esordi alle web TV I. Gli esordi e gli esuberanti sviluppi nel segno della Rai Radiovisione: i primi passi Nel nostro paese nel corso degli anni ’30 si intensificano gli studi sulle trasmissioni delle immagini a distanza. Ne sono protagonisti l’EIAR con sede a Torino e due aziende leader nel settore, SAFAR e Magneti Marelli. Torino e Milano: le culle della televisione italiana. Nel capoluogo sabaudo nasce il primo centro di radiovisione dell’EIAR, in quello lombardo sono realizzate le più significative innovazioni tecnologiche industriali. E a Roma che sarà costruito il primo vero e proprio trasmettitore, nel 1938. I quotidiani e la stampa specializzata registrano i progressi fornendo cronache delle diverse dimostrazioni alla Mostra Nazionale della Radio (1932) e alla Mostra di Leonardo e delle Invenzioni. Sulle riviste cinematografiche e teatrali compaiono contributi di carattere teorico sulla peculiarità del nuovo mezzo. Ci sono i primi interventi perplessi, critici o timorosi di una possibile minaccia sul cinema. Michelangelo Antonioni era certo della intrinseca limitatezza del prodotto televisivo, in cui la libertà creativa e l'originalità sarebbero mortificate, ma conscio del primato del neonato mezzo nella rappresentazione della cronaca e della realtà. Nella VI Mostra nazionale della Radio, nel 1934, una folla si accalca davanti alla saletta della televisione, sintomo della curiosità che suscita e del fascino che emana un'invenzione tanto attesa. Il regime fascista vigila. È tempestiva l'approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, il 20 marzo del 1931 a disciplinare con le opportune cautele il servizio televisivo ancora in gestazione. Ragioni di prestigio e relativi all'interesse vitale che ha la televisione nella propaganda e nella sicurezza dello Stato spingono il governo a seguirne con attenzione gli sviluppi. Nel dicembre del 1938 l’EIAR annuncia il prossimo inizio di trasmissioni regolari a Roma e Milano. Le trasmissioni sono coordinate dal direttore artistico e produttivo Alfredo Sernicoli, richiamo artisti noti già attivi nel mondo del cinema, della radio, del teatro di rivista, della musica leggera, abbozzando un palinsesto rudimentale: numeri musicali, canzoni sceneggiate, balletti, scenette comiche, imitazioni, adattamenti di commedie, quadri di rivista, conferenze, monologhi, conversazioni umoristiche, dizioni diversi, esibizione di giocolieri e illusionisti, una rubrica per le massaie e una di bricolage, interviste sportive, il varietà con pubblico prudente, originali televisivi, autori e interpreti, caricature. Non mancano le réclame: sono corti che presentano pellicola in uscita. Si provano anche luci ed effetti sonori, scenografie e inquadrature sempre più raffinate, stacchi e dissolvenze. Radio che si può vedere e cinema domestico: così è concepita la televisione. Non si fa ricorso a quello che diventerà il suo tratto più accattivante: la formidabile potenzialità di documentare gli eventi nel loro svolgersi. A Milano gli esperimenti si susseguono. Nel giugno 1939 alla Mostra di Leonardo e delle Invenzioni un padiglione apposito ospita un tele teatrino allestito dalla SAFAR. Il 16 settembre un altro ciclo di trasmissioni è inaugurato alla XI Mostra nazionale della Radio, grazie alla torre littoria installata al parco Sempione. Nel 1940, in occasione della Fiera Campionaria vengono effettuate in diretta riprese in esterni. La radiovisione pare aderire più da vicino alla vita, staccandosi dal suo consueto aspetto di esperienza di laboratorio. Gli esperti si interrogano sui possibili sviluppi, che dipendono dall'installazione di una rete di trasmettitori con cavi coassiali o ponti-radio, e prevedono per il 1945 l'avvio di un servizio su scala nazionale. Il 31 maggio le trasmissioni sono sospese sia a Roma, sia a Milano. La guerra interrompe bruscamente il cammino percorso, che vede il nostro paese in una posizione arretrata sul piano degli investimenti e delle strutture industriali. La Rai torna alle sperimentazioni a Milano e a Roma nel luglio del 1947 con il contributo di tecnici della RCA, e a Torino nel 1949. Torino e Milano sono le stazioni scelte per dare luogo alle dimostrazioni. Nel 1952 i più attrezzati studi milanesi della Rai finiscono per raccogliere il testimone, producendo il grosso delle trasmissioni sperimentali. L'attività viene potenziata e il palinsesto assume una sempre più chiara architettura. Ne è responsabile Sergio Pugliese, dal 1939 dirigente dell’EIAR. Lavora negli Stati Uniti per qualche 1 tempo, per studiare sul posto metodi di lavoro, rendimento delle attrezzature, soluzioni tecniche e artistiche. La settimana-tipo predisposta dalla Rai guarda il modello inglese e a quello americano. Prevede la domenica un programma religioso il mattino, varietà esporti il primo pomeriggio; poi film, rubriche e una commedia tra pomeriggio e sera; nei giorni settimanali uno spazio di un'ora dedicata ai ragazzi, quindi il telegiornale, film, rubriche, spettacoli di varietà, rivista, prosa e musica in serata. I televisori in circolazione sono ancora pochi e cari. Negli anni del dopo guerra la Rai all'obiettivo di proteggere dagli attacchi provenienti da settori del mondo politico. Imposta un poderoso e rapido piano di sviluppo su scala nazionale, così scoraggia il tentativo di società concorrenti di contenderle l'esclusiva. Il monopolio sarà confermato dalla convenzione del 1952, che siglerà anche il passaggio del pacchetto azionario maggioritario dalla Rai all’IRI, vale a dire allo Stato. Così all'inaugurazione delle trasmissioni ufficiali il 3 gennaio 1954, buona parte della penisola è servita e nel giro di tre anni quasi tutti gli italiani potranno vedere la televisione. Non si tratta solo di una conquista tecnologica e di un eccellente prova organizzativa, è anche la traccia netta dell'azione aggregante e identitaria che la Rai tiene a perseguire. Nel 1949 su 46 milioni di abitanti sono solo 2 milioni gli abbonati alla radio. La consapevolezza comune è che la televisione non sia affatto un oggetto per ricchi. La risposta dell'industria italiana non si fa attendere. Alla Mostra Nazionale della Radio e della Televisione del 1953, presentano per la prima volta esemplari tecnicamente perfetti e a prezzi di assoluta concorrenza con quelli di fabbricazione straniera. Nel giro di un breve arco di tempo e se saranno in grado di offrire apparecchi a prezzi più contenuti. Dietro l'ambizioso piano della Rai via il disegno dell'allora Ministro delle Poste e Telecomunicazioni, Giuseppe Spataro, uno tra i fondatori della DC e uomo di peso nell’establishment politico. E Spataro, insieme al presidente Cristiano Ridomi, a vigilare sul testo della convenzione del 1952, la quale, oltre a blindare il monopolio, Mette a punto il controllo dell’esecutivo. La DC detiene la maggioranza in parlamento, quindi i partiti piccoli alleati non possono opporre forte resistenza. Uomo chiave della Rai è l'amministratore delegato e direttore generale Salvino Sernesi. Non è scritto ad alcun partito, ma possiede simpatie socialdemocratiche. Amintore Fanfani, antimarxista, ti liberale, legato alla corrente della sinistra, è un uomo sensibile a ruolo degli strumenti di comunicazione di massa e convinto della loro utilità nella costruzione di un vasto consenso intorno ai valori cristiani. La gestione della Rai negli anni della transizione La programmazione ufficiale è da pochi mesi iniziata quando gli organismi della Rai subiscono una significativa trasformazione, rispondendo ai nuovi equilibri politici. I posti che contano passano dall’indipendente Sernesi a due fiduciari dell'Azione cattolica: Filiberto Guala, amministratore delegato e Giovan Battista Vicentini, direttore generale. Il cambio della guardia coincide con un passaggio decisivo, confermato nel gennaio 1961 dall'arrivo alla direzione generale di Ettore Bernabei: la sinistra democristiana guadagna una posizione di preminenza nel controllo di uno strumento che considera nodale per la formazione culturale delle masse.n Il torinese Guala è un uomo di profonda fede religiosa e di riconosciuta dittatura morale, nonché manager capace. Imposta la gestione della televisione sull'acquisizione di quadri freschi, cooptati con il sistema dei concorsi e formati adeguatamente. Sono in questo modo assunti giovani di talento, come Furio Colombo e Umberto Eco. Guala pone alla testa di due settori chiave, la cultura e i programmi per ragazzi. La costituzione di comitati con compiti di indirizzo e vigilanza e la riorganizzazione verticistica danno conto di un'esigenza di sorveglianza e accentramento. Bisognava fare del nuovo mezzo un potente ed efficace “trait d’union” fra élite dirigenti e popolo, quasi one di acculturazione e di riscatto dall'isolamento e dall'ignoranza, uno strumento saldamente controllato che guidi i processi di modernizzazione e valorizzi e consolidi le radici cattoliche della nazione. Fu predisposto una sorta di vademecum per gli operatori della Rai, intitolato “norme di autodisciplina per le trasmissioni televisive”. In un'interrogazione al Presidente del Consiglio il Ministro dell'Interno, vengono chieste quali disposizioni si intendono studiare per disciplinare, 2 patrimonio umano e artistico, nelle sue miserie sociali, nelle sue culture locali, nella sua trasformazione incipiente, tra residui arcaici e modernità. Più controversa è la riuscita dei primi programmi di rievocazione storica. Il genere risente della mancanza di un modello, di incertezze e metodologiche e strutturali, e della delicatezza di temi capaci di suscitare un forte interesse, ma ancora scottanti. Infine l'informazione sportiva. La cronaca ha un ampio seguito, caratterizzata da toni epici e altisonanti, ma assai puntuale. L'acquisto di televisori subisce un vistoso incremento in corrispondenza dei grandi eventi di quegli anni, come i mondiali di calcio del 1954 e del 1958, le olimpiadi invernali del 1958 e le olimpiadi di Roma del 1960. Un ostacolo che subito si pone è quello delle trasmissioni delle partite del campionato, offrendo la possibilità di trasmettere solo il secondo tempo di un mezzo. Quanto alle rubriche, “La domenica sportiva”, Volta a informare sulla giornata calcistica con i servizi filmati delle partite sugli avvenimenti di rilievo negli altri sport. Sono i programmi di intrattenimento a determinare l'immediata fortuna del mezzo televisivo. Ad esempio “Canzonissima” chi ettaro la porta della gara canora e la firma di autori della levatura di Pietro Garinei e Sandro Giovannini, sono i quiz e i giochi a segnare il destino della televisione: forse perché in essi la vicenda nasce sotto gli occhi del telespettatore, con tutti gli imprevisti e gli accidenti di una cronaca viva, in cui tornano il gusto e l'arte dell’improvvisazione. Primo e più noto è “Lascia o raddoppia?”, realizzato a Milano per quattro stagioni dal novembre 1955 e presentato da Mike Bongiorno. Semplice nella struttura e nello svolgimento, il programma porta alla ribalta personaggi e tipi di diversa estrazione e provenienza geografica, autentici nel loro desiderio di notorietà e emancipazione sociale, la cui performance gli spettatori, raccolti a volte i gruppi nei locali pubblici. La Rai dedica subito al quiz un volume apologetico egli affianca un'appendice di impronta didattica, in cui alcuni degli argomenti sono oggetti di approfondimento: “L’Enciclopedia di Lascia o raddoppia”. Formalmente la televisione povera: ma proprio in questa sua deficienza linguistica e formale, in questo suo attingere alla cronaca, in questo suo tendere a rivelarci il momento germinale di situazioni drammatiche minime consiste la sua novità. Con “Lascia o raddoppia” la televisione mette a segno una serie di imprevedibili en plein, Primo fra tutti la percezione delle sue straordinarie capacità di mitizzazione. L'Italia ebbe a maturare la più importante esperienza collettiva degli anni ’50 diffondendo il gusto del consumo televisivo. Sorge un'altra stella: “Campanile Sera”, che riesce a trasformarsi in un vero e proprio fenomeno di costume. Il gioco prevede tre location, cioè lo studio e due esterne nelle piazze dei paesi in gara, che si cimentano in prove individuali e collettive. Ogni puntata è preceduta da un breve e gusto documentario che presenta i comuni protagonisti, un affresco che diventa occasione di promozione per alcune amministrazioni locali. Centinaia di sindaci iniziano a ricorrere a parlamentari e vescovi per far raccomandare la candidatura del proprio comune al programma. Gli studi romani rispondono nel dicembre 1957 con “Il Musichiere”, presentato da Mario Riva con eccezionali riscontri interrotti solo dalla sua morte nel 1960. I concorrenti sono chiamati a una serie di prove in cui devono riconoscere motivi accennati dall'orchestra e ospiti celebri si restano a loro volta a un'esibizione canora. Il musichiere ispira la pubblicazione di un settimanale omonimo. I primi esempi di spettacolo televisivo si spirano all'esperienze maturate negli Stati Uniti, ma anche in Francia in Inghilterra. Il lavoro di rielaborazione Èèil caso delle penitenze troppo umilianti del gioco “Duecento al secondo”, mutuato dall’americano “Dollar a second”, perché la Rai ingaggia per questo settore e professionisti del teatro di rivista nostrano. Fondamentale è l'apporto di due coppie di autori, Garinei-Giovannini e Scarnicci-Tarabusi. L'impatto della televisione sulla società italiana degli anni ’50 Marzo 1953: le trasmissioni sperimentali sono da poco iniziate. Nel bar pasticceria di Merate la domenica pomeriggio la sala trabocca di gente, famiglia al completo che al prezzo di una consumazione siedono in file ordinate davanti al televisore. Gli apparecchi riceventi sono ancora un bene molto costoso, ma gli osservatori più attenti hanno intuito che la televisione sia già fatto un suo pubblico, un pubblico di impiegati e gli operai i quali acquisteranno, con sacrifici, un televisore. Nei primi anni di erogazione del servizio e la modalità di fruizione prevalente e quella collettiva. Un'indagine del marzo 1956 accerta che 42.800 locali pubblici possiedono un televisore. La 5 televisione è ormai in grado di accostarsi immediatamente a tutti i ceti sociali, e di esercitare quindi una grande influenza su quella entità non ben definita che è la pubblica opinione. La Rai adotta gli stessi metodi promozionali usati nell'immediato dopo guerra per la radio. Organizza nei paesi più remoti spettacoli allestiti dalle cosiddette telesquadre, che portano l'occorrente ad eccezione degli attori, scelti tra la popolazione. Il ritmo di crescita degli abbonamenti è rapidissimo. Nel 1959 si sta ridimensionando il ricorso alla visione collettiva, a favore della prevalenza dell'utenza privata. In breve tempo, l'Italia si colloca in una posizione di primato nel panorama europeo. L'evoluzione del suo consumo presenta una dinamica più accentuata nelle zone povere e riguarda in misura sensibile il pubblico meno abbiente e le popolazioni maggiormente isolate. Incidono i processi di sviluppo e trasformazioni indotti dal boom economico: l'aumento dei redditi, l'emancipazione femminile, la riduzione degli orari di lavoro, ma come osserva il direttore della SIAE Antonio Ciampi, il miglioramento del livello culturale come costume di vita associata e come espressione dell'indole e gusto della popolazione. Però, nel Mezzogiorno la televisione giunge con circa tre anni di ritardo. La reazione del mondo della cultura Arnheim (scrittore, storico dell’arte e psicologo tedesco) sostiene che la televisione sia più simile all'automobile e all'aeroplano che al cinema e al teatro. I cineasti si arrovellano intorno alla questione se essa sia una o no un’arte. Si affacciano approcci di altro tipo, che aprono a questioni e risvolti più propriamente sociali, politici e culturali. In questa fase gli interventi sulla televisione vanno letti alla luce del dibattito più ampio sulla cultura di massa e sull'industria culturale. Un ampio fronte oppone una critica aspra è un rifiuto sdegnato al cospetto di quelle forme di spettacolo ascritto senz'altro alla sfera della cultura delle "massa", considerati di serie B o controproducenti, e alternative a una presunta cultura alta. Si intreccia la convinzione che esse si prestino a una strumentalizzazione da parte delle classi egemoni, che se ne servirebbero per irretire, influenzare o intorpidire quelle subalterne. In questi anni le riflessioni indotte dalla nascita delle televisioni in uomini di cultura e opinion maker sono segnate da visioni pessimistiche o da punti di vista sprezzanti. Eugenio Montale, nel 1948, afferma "nessuno si sentirà più dentro, tutti si sentiranno sempre fuori, sempre partecipi, eternamente in ballo”. La televisione si presenta ai suoi occhi come un subdolo strumento di dittatura nel campo dello spirito e della coscienza. Mike Bongiorno in una domanda "crede lei che la televisione possa essere una buona influenza per la vita culturale italiana?, rispondono, tra cui Barzini, che dipende dai programmi. Barzini pone l'accento sulla responsabilità di coloro i quali dovranno dirigere una “simile spaventosa macchina”. L'Italia sarà ridotta un paese solo, un'immensa piazza, il foro, dove saremo tutti e ci guarderemo tutti in faccia. La vita culturale sarà nelle mani di pochi uomini. Sono pochissime le voci entusiaste. La più cristallina è quella di Mario Soldati, il quale confessa una viva simpatia per la televisione, intesa come una nuova possibilità di comunicare di esprimersi, ma dotata di proprie potenzialità. "La TV sta il cinema come il giornalismo sta alla letteratura”. La televisione è un mezzo con cui si comunica con il mondo, specialmente per chi vive in condizioni di isolamento. Fedele D’Amico esprime una paura: la televisione a un irresistibile potere d'attrazione perché persino una partita a scopa o una chiacchierata sui fatti del giorno richiede uno sforzo intellettuale maggiore che non quello di stupire l'amplesso del video, ma la televisione rende l'uomo docile, non pensante, acritico, facilmente educabile all'ideologia dominante. Anche sul piano dell'elaborazione teorica, gli intellettuali italiani si dimostrano impacciati di fronte al nuovo mezzo, probabilmente è la mancanza di strumenti di analisi e decifrazione che ostacola un approccio lucido e aperto. Qualcuno coglie bene la questione inserendola nel più ampio tema della distinzione tra cultura per pochi e cultura per molti. Ugo Spirito, osserva che "la vera cultura deve avere gli attributi necessari per superare l'ambito di una classe e che le sue espressioni più grandi possono ritrovarsi solo attraverso gli strumenti che abbiano la capacità di raggiungere la massa" e parla della necessità di costruire la cultura di domani, che sarà tanto più grande quanto più capace di diventare il linguaggio di tutti, raccogliendo il contributo dell'esperienza di tutti.in questa differenza d'orizzonte e di respiro è la vera differenza tra la cultura che tramonta e quella che sorge. 6 Per Cesare Zavattini, la televisione è un prodigio in cui si realizza il connubio tra magia e tecnica, un mezzo dalle infinite potenzialità in grado di raggiungere in presa diretta quella accadendo continuo che la realtà, capace di realizzare la poetica e il sogno del neorealismo; la televisione è un luogo di formazione, di sperimentazione, di commistione di linguaggi, è l'occasione per sondare i nuovi percorsi espressivi, è un'arena di partecipazione democratica e strumento di democrazia. Zavattini in vita cogliere in essa la possibilità di rivoluzionare l'idea stantia di una cultura elitaria e diventare veicolo di una cultura nuova, popolare. Quanto alla Rai, i suoi dirigenti guarderanno con rammarico alla disapprovazione e al distacco di tanti uomini di cultura, divisi tra desiderio di accondiscendere i desideri o le utopie, e orgogliosa rivendicazione dell'autentica funzione della TV. Gli intellettuali temono di essere accusati di mentalità piccolo borghese. Centro e periferie Tra il 1952 e il 1953, Milano appare il centro ideale della nascente televisione. La città coltiva la speranza di diventare la capitale della tv. Mantenere il primato di Roma nel controllo esiziale dell'agenzia principe della politica culturale, la Rai è un obiettivo della classe dirigente, in primis della DC. Roma è lo spazio della mediazione politica e burocratica in anni di salda presa dei partiti sul tessuto sociale ed economico. C’è Torino, e soprattutto c'è Roma, ma dietro la Rai concepisce una visione nazionale, in cui l'accentramento è matrice di un processo di unificazione, in un'accezione che esclude o lima o stempera le peculiarità. Nei primi anni ’50 avanzano candidature società legate ad alcuni grandi gruppi industriali e finanziari del Nord, mortificate dal rinnovo della convenzione del 1952 che estende il monopolio della Rai alla televisione. Pochi anni dopo, quando la rete ormai completata, i fautori di un servizio privato tornano a premere, impostando una strategia da salto più convinta e solida da Milano. Qui è fondato, nell'ottobre 1956, il Centro milanese cinetelevisivo, una società di produzione di cortometraggi e documentari televisivi. Circolano inoltre i nomi di Angelo Rizzoli e Arnoldo Mondadori: Basterebbe solo ricordare che il primo è proprietario del Milan e appena acquistato una buona fetta di azioni di "Sorrisi e Canzoni”, mentre il secondo è editore di “Bolero Film”. Il 16 maggio 1957 nasce Televisione Libera (TVL), una società per azioni presieduta dall'ingegnere Gian Vittorio Figari. Predispone l'inizio di trasmissioni installando un impianto all'ultimo piano del grattacielo di piazza della Repubblica e dotandosi di apparati modernissimi importati dagli Stati Uniti. Viene definita come una potente società italo americana. L'intento polemico nei confronti della Rai è scoperto. A Napoli, c'è Achille Lauro, che pensa a una TV per il Mezzogiorno. Se a Milano la prospettiva di un'immaginazione produttiva del centro Rai è uno dei presupposti del dinamismo dei privati, non vanno trascurati altri fattori, come il canone di abbonamento caro e l'annuncio della prossima pubblicità televisiva. I profitti legati alla pubblicità televisiva sono connessi a un possibile futuro sviluppo e per ora il mercato italiano è troppo angusto. Più probabile è che i privati si prefiggono di spezzare in una prima fase il monopolio pubblico su scala locale o regionale, i mercati ben definiti e numericamente cospicui, optando per la pubblicità orizzontale anziché per quella verticale nazionale. Il 3 febbraio 1957 esordisce “Carosello”. Collocato tra il telegiornale delle 20:30 e il programma di prima serata, prevede regole molto rigide, studiate dai dirigenti della SIPRA e della SACIS: il messaggio promozionale degli spot deve essere concentrato nel cosiddetto "codino", di 30 secondi, e preceduta da un pezzo di un minuto e 45 secondi che non può andare in onda più di una volta ne alludere al prodotto reclamizzato. Si trasforma in un vero e proprio spettacolo, composito e sempre diverso, che gioca su alcuni elementi persistenti, come i jingle, gli slogan, le battute. Ci sono scherzi, cartoni e disegni animati, addirittura serie di mini polizieschi, vengono coinvolti i registi di calibro e disegnatori di talento, non che attori e personaggi di fama. Le esigenze sono quelle di costruire un tipo di pubblicità adatto a un pubblico che si sta appena affacciando alla cosiddetta società dei consumi; ammorbidire le resistenze di quanti fanno riferimento a culture politiche economiche che al modello consumistico guardano con diffidenza; sedare i malumori degli abbonati; spuntare lance schierate dai nemici del monopolio pubblico. I privati hanno individuato il grimaldello legislativo: contano di appellarsi all'articolo 21 della Costituzione. Il problema del monopolio pubblico è anche sul tappeto in Europa, lo dimostra la 7 stampo; rafforzare l'organigramma per favorire assunzioni e promozioni. A dirigere il secondo canale sono chiamate due "teste d'uovo": il critico letterario Angelo Romanò e come vice Pier Emilio Gennarini. Il palinsesto è studiato sulla base della complementarità dei due canali: i titoli più popolari e forti vanno sul nazionale, quelli di nicchia o eterodossi o sperimentali sul secondo. Bernabei persegue due traguardi: l'eccellenza dei programmi e l'armonia tra la funzione di servizio della televisione pubblica e le esigenze di loisir del pubblico. Influiscono alcune innovazioni tecnologiche. La registrazione video magnetica libera dall'obbligo della diretta. Il satellite Telestar apre la strada alle dirette da e verso gli Stati Uniti, mentre nel giugno ’67 la Rai partecipa al primo collegamento televisivo con i cinque continenti via satellite. L'adozione di tecniche cinematografiche leggere a 16 mm rende più tempestive e semplici le riprese e più immediate e le interviste. L'ascolto del telegiornale è massiccio. Hanno un forte impulso le telecronache e le edizioni legate ai grandi eventi, di cui si enfatizza la spettacolarità, mentre la cronaca politica si arricchisce in virtù della necessità di dare più spazio ai partiti, i servizi dall’estero si moltiplicano e i cosiddetti speciali approfondiscono un ampio ventaglio di temi. Esso continua ad essere un organo governativo con cui si informano gli italiani su fatti e fenomeni gravi o controversi. Nel ’72 Bernabei viene accusato di essersi liberato delle presenze scomode sostituendole con centinaia di minimizzatori; risultato: un giornalismo celebrativo e di evasione dannoso all'opinione pubblica di un paese che non è più minorenne. TV7 si ispira al quotidiano più che al settimanale nella sua struttura molto articolata e nello sguardo rivolto agli aspetti politici e sociali più che a quelli umani e di costume, agli eventi e alle novità più che alla teatralità della vita comune e ambisce a un ritmo più sostenuto e moderno. Uno sviluppo interessa anche il giornalismo sportivo. Il format storico “La domenica sportiva" nel 1965 cambia veste: l'obiettivo è trasformare in un programma per l'intera famiglia conciliando la funzione informativa e quella spettacolare. È chiamato alla conduzione Enzo Tortora. Zatterin realizza nel 1964 “TV 10 anni dopo" sulla penetrazione della televisione nel paese. Ad appagare la sete di informazione politica nell'Italia degli anni ’70 sono le “Tribune” politiche ed elettorali. A proposito di donne, è Roberto Leydi osservare che da alcuni mesi sono spariti dai teleschermi i programmi cosiddetti femminili. I dirigenti ammettono che la sospensione è dovuta alla loro scarsa funzionalità: non rispondono più agli interessi del pubblico per cui sono nati. La Rai prosegue lungo la linea già tracciata con i programmi di alfabetizzazione e istruzione. Rilevante novità è la via della sperimentazione della scuola media unica nell'ottobre del ’61. Nel ’67 si ha il passaggio alla telescolastica integrativa, volta a fornire un sussidio didattico ad alunni insegnanti della scuola media inferiore superiore: programmi autonomi che si avvicinano al documentario e offrono materiale audiovisivo. I programmi sono pensati non più per singole classi materie, ma per fasce di apprendimento, nuclei di interesse dal respiro interdisciplinare, configurando siccome intervento più metodologico che didattico, verso la promozione e la provocazione di un atteggiamento di ricerca, dibattito, elaborazione critica. Dibattito intenso: si inserisce in un quadro culturale ancora dominato dal pensiero pedagogico di matrice idealista, per cui molti intellettuali faticano a promuovere i mezzi auto visivi a strumento didattico. I giudizi prima nel metodo di Manzi e il suo “Non è mai troppo tardi”. In questi anni è sul tappeto il tema del divario tra adulti assuefatti alla parola scritta e giovani portati alle modalità espressive sincretiche e a mosaico del linguaggio audiovisivo, al quale gli osservatori più aggiornati invitano la scuola ad aprirsi. Le ricadute delle trasmissioni didattiche ad ogni modo sono positive. La diligenza provvede anche un aggiornamento della complessiva offerta culturale. La trasmissione acculturata più nota dell'epoca Bernabei: nel febbraio 1963 si inaugura, il sabato sera dopo lo spettacolo di punta, “L’approdo”. Basata sulla formula del salotto, tra conversazione, conferenza e dibattito, si occupa di letteratura, teatro, musica, arte, architettura, con un occhio all'attualità, ma anche interviste, filmati e intense declamazioni di opere da parte degli autori stessi. Non c'è dubbio che negli anni riesca nell'intento di rendere noti i protagonisti della cultura italiana e straniera e di lasciare testimonianze inestimabili. Perde tuttavia smalto e pubblico, confinato sul Secondo canale: la critica denuncia la mancanza di una direzione unitaria e duratura. 10 Quanto ai programmi sull’arte, si apre proprio ora, per chiudersi alla fine degli anni ’70, una stagione ricca di soluzioni, esperimenti, documentazioni preziose. Intanto la programmazione votata all'aggiornamento culturale si evolve, abbracciando la filosofia dell'educazione permanente indotta dall'aumento dei redditi, dall'inurbamento, dalla scolarizzazione. Negli anni ’60 eventi come la corsa agli armamenti e le esplorazioni spaziali, nonché l’esuberante sviluppo economico, alimentano la curiosità per le scoperte tecnologiche e scientifiche. A sua volta la divulgazione storica si arricchisce e si affina, basandosi perlopiù sulla storia recente, la guerra, la resistenza, la nascita della Repubblica: domina la storia contemporanea, italiana ed europea. Un apporto felice giunge dall'inchiesta giornalistica: il gusto dell'investigazioni, il ricorso alle interviste, la tensione drammatica, lo scandaglio psicologico, la ricognizione di una verità difficile o impossibile da raggiungere nella sua pienezza. Sui programmi di intrattenimento cade la preminente attenzione della dirigenza. Bernabei e ben consapevole della loro capacità di incidere sui modelli di riferimento del pubblico. Meglio per la dirigenza Rai, blindare quanto possibile il settore entro i recinti della qualità, da qui la cura per la fattura, la costruzione, la compostezza, la correttezza linguistica e formale dei testi delle trasmissioni, tutte registrate. Il quiz non conosce significative evoluzioni. “Rischiatutto” condotto da Mike Bongiorno, il varietà abbandona i moduli della rivista, per guardare a formule più moderne che esibiscono il sabato il tasso più alto di creatività e perfezione stilistica. La trasmissione che manifesta appieno la linea impressa è “Studio uno”, diretta da Antonello Falqui. Si tratta di un montaggio di monologhi, sketch, balletti dalle coreografia asciutte e dalle scenografie spoglie, che esaltano i movimenti sui fondali bianchi, inquadrature che accolgono giraffe, bracci, microfoni, telecamere. Importante fu anche “Canzonissima”. Dalla fine del decennio si intravedono nel varietà indizi di una maggiore aggressività: ritmi più dinamici, come quelli impressi dalla soubrette in auge Raffaella Carrà, battute più taglienti negli stati dei presentatori e registi che esibiscono tocchi di sensibilità d’avanguardia. I programmi di musica leggera, accompagnano l’ampliamento del mercato discografico. Se ne giovano le riprese delle manifestazioni canore imperdibili, dal Festival di Sanremo al Cantagiro. La cura rivolta alla prosa, cui è riservata la serata del venerdì, culmina nella messa in scena delle opere di Eduardo De Filippo. Abbondante organizzata in rassegne è l’offerta cinematografica, un ambito trascurato negli anni ’50, ora affidato ad Angelo Romanò: il film d'autore è così accolto su di te le schermi, accompagnato dal commento di critici. Uno sguardo alla programmazione teatrale e cinematografica del periodo non può non coglierne la ricchezza e la qualità, pensando allo scadimento che essa conosciuto nei decenni successivi. È un genere, il cinema, molto amato dai telespettatori: la media di ascolto nelle ore di trasmissione dei film è di 11-13 milioni di persone. Non sono la prosa e il cinema ai settori cui più guarda la direzione: l'ambizione è lavorare sulla specificità del mezzo, liberando su questo piano l'estro degli autori. Il genere che ha più connotato la televisione italiana degli anni ’60 e ’70 è il teleromanzo, che raggiunge successo e ottimi risultati artistici, grazie all'elaborazione sempre più raffinata di un punto di equilibrio tra il rispetto del testo e la spettacolarità, alla riduzione dei capolavori che implicano un impegno espressivo e all'adozione di tecniche e strumentazioni sempre meno rudimentali. Si fa ricorso in proposito al motivo di una vocazione pedagogica venata di un forte paternalismo. L’Odissea di Franco Rossi: primo film a episodi coprodotto dalla Rai e da De Laurentiis in vista dell'introduzione del colore, primo sceneggiato pensato per un pubblico di lingua anglosassone con un cast internazionale. Sceneggiatori e registi si allontanano dai cliché della letteratura d'appendice e spaziano con maggiore disinvoltura su tutto il territorio del romanzo per cementare più solitamente, con i materiali nobili della letteratura romantica e post romantica, ma con incursioni opportune in quella del ‘900, la struttura portante delle loro costruzioni narrative: abili e coscienziosi illustratori, come Anton Giulio Majano, che si misurano con la riduzione e la resa di titoli, dai capolavori mesi ai classici della letteratura di genere a voce più eccentriche. Uno dei più grandi successi degli anni ’60: “La cittadella” ridotta nel 1965 da Majano. 11 “I promesso sposi” diretti da Bolchi e sceneggiato da Bacchelli. Nella riduzione del capolavoro manzoniano si esprime la quintessenza dello sceneggiato classico: le scenografie scarne, minimaliste, irrealistiche e pure esatte e filologiche, l'impianto teatrale, la lentezza epica e solenne, la trascrizione fedele in cui c'è spazio per gli antefatti, gli episodi marginali e i dettagli, la lettura fuori campo che in qualche caso ferma il ritmo delle scene filmiche, che si fanno statiche o lunghe per adeguarsi ai tempi del racconto e delle descrizioni e della resa della lingua, non impediscono di confezionare un'opera appassionante. Non si contano le riflessioni sulla valenza culturale dello sceneggiato. I critici oscillano, tra apprezzamenti estemporanei e generiche condanne del genere tout court, in cui ogni tanto fanno capolino interrogativi pertinenti sull'arte del divulgare. Sono ricorrenti lamenti sulle pratiche contribuirebbero ad avvilire la nobiltà dell’opera letteraria. I trend che si palesano confutano le visioni pessimistiche di una civiltà delle immagini pronta a sostituire quella del libro, visti gli exploit del mercato editoriale. La televisione o fa bene al libro o al massimo male non gli fa. La televisione sollecita per sé interessi o semplicemente curiosità per la cultura, togliendo il pubblico, soprattutto quello dei piccoli centri, dall'isolamento. Il primo gradino di questo riscatto è sempre libero. Il direttore della SIAE, Antonio Ciampi, afferma che la televisione agisce come fattore di rottura e avvia processi culturali che hanno come traguardo il libro, e la creazione di quel lettore medio o di abitudine che manca il nostro mercato librario. Una delle più persuasive osservazioni sulla letteratura in televisione ce la consegna Riccardo Bacchelli: la letteratura va intesa in un significato molto esteso, che supera i confini del testo scritto e tocca la sfera del mito; la televisione dà vita a un nuovo genere letterario, che coniuga avanguardia tecnologica e modalità di narrazione antichi, oltretutto valorizzando il lavoro d’equipe. Il racconto televisivo non attinge solo dalla letteratura, ma anche dalla storia, dalla storia dell'arte e dalla musica, dalla cronaca, dalla vita quotidiana. Vigoroso e anche l'impulso della produzione di telefilm gialli e polizieschi. Gli anni successivi vedono la trasmissione di un gran numero di prodotti, con una predilizione per il giallo-fantastico e il mistero, e l’inaugurazione degli sceneggiati impegnati, sullo sfondo questioni delicate della vita sociale. Lo sceneggiato è il piatto forte anche del palinsesto per i ragazzi, trasmesso in prima serata per catturare insieme il pubblico adulto. Alcuni titoli attingono ai classici della letteratura per l'infanzia: "Il giornalino di Gian Burrasca” da Vamba, adattato e diretto da Lina Wertmuller, con la giovane Rita Pavone nei panni di Gian Burrasca. L'offerta destinata ai minori si amplia e si affina, ma non cambiano la filosofia e i principi cui si spira. Sono ancora rispettate le suddivisione in fasce d'età e la distinzione tra programmi per ragazzi e per ragazze. Manualità, creatività e gioco da una parte, valori sani dall'altra continuano a fare da architrave. Intrattenimento e formazione, evasione e impegno, gioco e stimolo ad attivare intelligenza e interesse sono dosati, in una struttura che ha le sue radici nella tradizione della stampa periodica per i ragazzi. La forza di questa programmazione: l'informazione, i documentari, il corso di inglese, la divulgazione scientifica e tecnologica, i programmi sulla natura e sul mondo degli animali, quelli all'aria aperta, quelli sui libri e poi formato di straordinaria fattura e di grande fortuna. La Rai di Bernabei presta al settore un'attenzione costante, curando o commissionando molte inchieste. Il “dopo Carosello a letto” vale solo per i piccini, e nemmeno per tutti. Il mitico imperativo è valido se si pensa al ruolo cerniera attribuito al principe dei programmi pubblicitari, costruito per catturare l'ascolto di tutti, senza eccezioni. Concepito come spettacolo, composto da scenette brevi, elementari, lineari nella trama, semplici nel linguaggio, accompagnati da motivi musicali riconoscibili, è perfetto per catturare il grosso del pubblico di allora spesso estraneo al circuito del consumo moderno. Parecchi dei suoi spettatori non conoscono i prodotti reclamizzati, ne possono permettersi: eppure la conoscenza il contatto stesso con il mercato dei beni sono di per sé potenti fattori di attrazione. Il programma mette radici, configurandosi come un unicum e dando forma un modello peculiare di advertising all'italiana: finisce per trasferire i suoi personaggi, le sue gag, i suoi jingle, i suoi slogan nell'immaginario collettivo nazionale insinuando la gioia del consumo e nuovi modelli in un popolo aduso al risparmio e al sacrificio. Nel 1967 un decreto governativo dà vita alla Commissione paritetica, cui è affidato il compito di mantenere costante il rapporto fra gli investimenti pubblicitari sulla stampa e quelli sulla 12 libertà di antenna porterebbe non a una salutare concorrenza, ma ad un oligopolio informativo e culturale di conseguenze civili e politiche. Alla fine la legge si configura come il risultato di un accordo tra i due principali partiti di maggioranza, DC e PSI. Infine i comunisti, i quali non approvano la legge ma si astengono, vivono come una conquista l'attribuzione al Parlamento. Ma il quadro complessivo sta mutando con una velocità che i partiti dominano malamente. La legge di riforma della Rai è in ritardo al suo nascere su molti fronti. Il luglio ’76 porterà una novità capitale, da un anno dilaga il fenomeno della radiofonia privata, la Corte, con la sentenza n. 202, che coinvolge anche i pochi operatori del settore televisivo convertitisi all’etere: le emittenti esistenti, purché locali, sono in questo modo legittimate. 3. Dalla rivoluzione dell’etere al duopolio La Rai dopo la riforma: ristrutturazione e nuove strategie editoriali Conferma del monopolio della Rai su scala nazionale; semaforo verde per le emittenti private via cavo; possibilità di ripetizione delle televisioni straniere purché esse non siano costituite al solo scopo di diffondere programmi in Italia e non prevedano pubblicità; messa in cantiere di una terza rete; imposizione di un tetto pubblicitario fissato al 5%; passaggio del suo controllo al parlamento; nascita di una commissione di vigilanza con il compito di scegliere 10 nomi per il consiglio di amministrazione; introduzione di un regime di concorrenza tra le due reti esistenti. Sono questi punti principali della legge 14 aprile 1975, n. 103. Cui si aggiungono accordi a latere che prevedono sfere di influenza privilegiate: alla DC la gestione della prima rete, ai socialisti quella della seconda. La legge appare agli occhi dell'opinione pubblica progressista un momento importante del dibattito sul rinnovamento del nostro paese e una conquista da tagliare ad altre appena raggiunte, perché essa ha fatto tesoro del dibattito teorico che l'ha preceduta e perché i suoi principi vengono incontro alle richieste di una rappresentanza adeguata delle diverse correnti ideologiche e delle componenti della società. Il fronte dell'emittenza libera è quanto mai in fermento, la riforma rende più conveniente trasmettere via etere, uccidendo sul nascere la TV via cavo. L'Italia rischia di diventare terra di conquista invece che interlocutore attivo del mercato. Con questa decisione sfuma la partecipazione del nostro paese all'evoluzione del mercato della conoscenza, della produzione e della distribuzione di forme aggiornate di consumo culturale. Si profilano i primi tentativi dei grandi editori di quotidiani e settimanali di entrare nella partita con altre ambizioni rispetto alle piccole realtà di provincia. La realtà appena varata si fa subito vecchia, tanto è vero che si parlerà presto dell'esigenza di una nuova sistemazione. La Rai è guidata da figure nuove. Grassi è disegnato presidente della Rai nel dicembre ’76. Lo affianca nel ruolo di direttore generale il democristiano Giuseppe Glisenti. Entrambi sono milanesi: è la prima volta per i vertici della Rai, e la stampa non si lascia sfuggire la cosa. Dalla miscela possa nascere anziché un'altra battaglia di una vecchia guerra, una nuova integrazione tra le due culture. Così non sarà, Glisenti resiste meno di sei mesi. Invece, Grassi lavorerà al lancio della terza rete. Quelli che seguono la riforma sono anni di intensi e rapidi transiti. La riforma a riverberi sull'organizzazione e sulle linee editoriali dell'azione pubblica. Alla logica della concorrenza si intreccia quella della valorizzazione delle identità politiche e culturali, distinta configurazione dei due canali: il primo il linea con la tradizione e dal taglio nazionalpopolare; il secondo più sperimentale e anticonformista, espressione della cultura laica e socialista. Tale combinazione contribuisce a forgiare una filosofia e una struttura dei palinsesti diverso dal passato, a suggerire format inediti, a svecchiare i programmi, ispirare modelli e linguaggi di indubbia originalità e a sfoggiare una vena più creativa e libertaria. 1 febbraio 1977: adozione del colore. Un mese prima a chiuso “Carosello”. Aziende e pubblicità chiedono di accedere agli spazi televisivi. Spot brevi, replicabile, concentrati sul prodotto, destinati in qualche caso un pubblico internazionale, studiati per target, agganciati a programmi specifici, inseriti in fasce orarie adeguate appaiono una formula imprescindibile. L'intrattenimento presenta novità significative: “Domenica in” (1976) sulla Rete 1, è il primo programma-contenitore, concepito per l'intera famiglia, ma composto da parti destinate a 15 segmenti di pubblico diversi, in cui generi e funzioni si mescolano e si succedono. Presuppone un ascolto distratto e a intermittenza: non gli impedisce di raccogliere audience alta e apprezzamenti. “L’altra domenica” e “Alto Gradimento”: l'introduzione del dialogo telefonico con il pubblico, la presenza di improbabili personaggi fissi, tra cui il critico cinematografico impreparato Roberto Benigni, il ricorso ai tormentoni. Il talkshow all'italiana inaugurato nel ’76 da Maurizio Costanzo con “Bontà loro”: si tratta di un format giornalistico, ma il loro taglio e il tono adottato trasformano il programma in una conversazione leggera, quasi confidenziale. Intanto la prosa vive un'altra fase seconda, ancorché breve, che annovera gli spettacoli di Carmelo Bene e di Dario Fo. Anche per lo sceneggiato classico siamo agli ultimi bagliori di gloria, negli sforzi compiuti per aggiornare l'impianto e i moduli narrativi producono risultati soddisfacenti. Ci si indirizza verso teleromanzi di taglio cinematografico, che strizzano l'occhio a stilemi non autoctoni e si avvalgono di interpreti stranieri alla ricerca di un pubblico non solo più nazionale. In questi anni si avvia una revisione radicale del rapporto tra testo letterario e riduzione televisiva, che finirà per sfilacciarsi progressivamente, complici fattori culturali ed esigenze di razionalizzazione del modello produttivo tradizionale. La concorrenza tra le due reti non manca di concentrarsi sul momento politico per eccellenza, i telegiornali, il cui ascolto è trainato da strisce quotidiane. I telegiornali del dopo-riforma sono due testate assai differenti, confezionate da due redazioni distinte cui sono confluiti per volontaria adesione ai giornalisti Rai, secondo le proprie preferenze o aree di appartenenza. Per entrambi i Tg si può parlare di un cambio di passo evidente nei contenuti e nel trattamento della notizie: entrano temi delicati e cambia l'approccio dei giornalisti, alla ricerca delle proprie fonti e di una verifica in proprio, di servizi sul posto e di interviste esclusive. Novità di linguaggio, formule e approcci interessano il settore dell'informazione nel suo complesso. Magazine e programmi giornalistici prestano maggiore attenzione alla vita politica nazionale e internazionale, prediligono il confronto di opinioni e i dibattiti, presentano venature ideologiche e un taglio culturale e saggistico estraneo al genere, mirano a sensibilizzare il pubblico, fanno emergere gli attori del mondo istituzionale, sindacale e intellettuale, trascurano i risvolti estetici ed espressivi per concentrarsi sui contenuti. Le reti impostano indirizzi propri. L'uso della diretta che interessa i fatti di attualità salienti. Non c'è dubbio che esso moltiplichi l'impatto delle notizie, esalti la funzione informativa e di servizio, svenire contraddizioni, le fratture, le incertezze. Ma in aggiunto l'insidia dello sfruttamento senza limiti dello strumento mediatico. Si pensi alla lunga diretta, 18 ore consecutive, l'11 giugno 1981, alla dolorosa vicenda di un bambino caduto in un pozzo a Vermicino (Roma), di cui le telecamere Rai registrano i vani tentativi di salvataggio; è un episodio che darà adito a un fiume di riflessioni ma che non fa altro che enfatizzare una potenzialità propria del mezzo televisivo: l'occasione di partecipazione collettiva a un evento che sprigiona una grande forza emotiva, narrativa e simbolica. La questione a proposito di intrattenimento e cultura, non è solo e tanto quantitativa, giova volgere lo sguardo all'organicità e alla compattezza nella proposta complessiva, oltre che alla concezione che la sottende. Ricerca e cadute nell'ovvio, creatività e cattivo gusto, luci e ombre, incertezze ed equilibri. La Rai appare divisa tra obiettivi e spinte contrapposti, tra la missione di servizio consacrata dalla riforma e la necessità di conservare il pubblico del nuovo Far West dell’etere. Sembra essersi perduta la visione alla base di quel modello perseguito per un ventennio: una cultura popolare nel senso di valida per tutti, con una forte tendenza inclusiva e aggregante. Si assiste a un evidente polarizzazione: evasione per un pubblico di massa e cultura per una minoranza. È come se quelle dinamiche conflittuali che attraversano la società italiana si siano riflesse sulle scelte della televisione pubblica, così sul cinema e sull’editoria, traducendosi in una corrispondente fisionomia dell’offerta. Al cuore della questione la crisi del servizio pubblico come situazione, una crisi che in quegli anni non riguarda solo la Rai, né riguarda solo l’Italia. In Italia si salda con gli indizi del declino delle ideologie e la chiusura di una stagione politica. Il dibattito sulla terze rete, partorisce il “topolino” Raitre Nei primi anni '70 il dibattito sul decentramento intercetta un'esigenza allora diffusa: quella di una più significativa presenza delle realtà locali nell'arena dell'informazione e nella 16 rappresentazione televisiva. La riforma raccoglie parzialmente le istanze regionalistiche, prevedendo la nascita di una rete a carattere nazionale, idonea anche ad una separata e contemporanea utilizzazione per diffusione in ambito regionale. È emblematica la vicenda milanese, nell'autunno ’76 sono compiuti dei tentativi nell'ottica del decentramento. La direzione del nuovo Tg2 decide di organizzare e trasmettere l'edizione delle 13 dalla sede di Milano. Nel ’77 il neopresidente Paolo Grassi informa il sindaco del capoluogo lombardo che la Rai è orientata a potenziare gli impianti della sede milanese. Intervengono incertezze e ripensamenti da parte della Rai. È ormai chiaro che sta prevalendo la scelta di dare vita a tante piccole sedi regionali. Il palinsesto raggiunge il 45% degli italiani, con una programmazione quotidiana di circa sei ore. I costi di gestione dovuti alla moltiplicazione delle sedi e del personale sono alti. Sono scarse le risorse destinate ai programmi veri e propri. E deriva un'offerta di basso livello. Il palinsesto nasce vecchio, a colpi di opere liriche, film usurati è un'informazione regionale sul filo dell’improvvisazione. L'armata delle TV private: dalle stazioni locali ai grandi network Negli anni ’70 il sistema radiotelevisivo italiano conosce un’incalzante e radicale evoluzione. Dal ’76, complice la sentenza della Corte Costituzionale la quale liberalizza le TV che trasmettono via etere in un ambito locale e lascia a una legge da varare il compito di fissarne i limiti, la discesa nell'agone televisivo dei pezzi grossi dell'editoria italiana e di un imprenditore edile milanese, Silvio Berlusconi. Al cuore della rivoluzione è la domanda di pubblicità televisiva: alle sue porte preme una miriade di aziende insofferenti di fronte al muro eretto per la Rai a protezione di cinema e stampa. In Italia fino a quel momento la televisione e il suo mercato sono stati mortificati e comprassi anche sul piano industriale, come ha dimostrato la vicenda dell'introduzione del colore. Dal ’76 al ’78, le TV private sono salite a 434, la maggior parte ha ormai scelto l’etere. La ricerca di un consenso non più solo qualitativo e la necessità di contenere i costi determinano la massiccia penetrazione dei prodotti esteri, in primis americani, nei mercati nazionali, la tendenza all'uniformazione del gusto degli spettatori, l’enfatizzazione della vicenda estiva per produrre pubblico. Motivi di attrazione delle emittenti private sono la programmazione non stop e molto estesa, i notiziari locali, la cronaca sportiva, i cartoni animati, i telefilm e i film, il collegamento con sale da ballo, i programmi osé e gli spogliarelli, i quiz e i giochi, una pubblicità grezza, fatta di sponsorizzazioni e televendite, un palinsesto omogeneo scarsamente differenziato nel corso della settimana. É proprio quello che chiedono i loro spettatori: no la cultura, si allo strapaese, chance gratuita di un piacevole e magari eccitante diversivo, evasione assoluta, casualità ed estemporaneità dell'ascolto, oltre che una eventuale coincidenza con i modelli culturali delle comunità di riferimento data dal tono complessivo e dalla veste, nonché da tre capisaldi: l'archetipo radiofonico, il supergenere people e il provincialismo del gusto. Umberto Eco: se la televisione tradizionale ha aspirato ad essere una finestra che dalla più sperduta provincia mostrava l'immenso mondo, ora il cannocchiale è girato dall'altra parte. I comunisti, nel 1980, sotto la direzione di Walter Veltroni creano la NET (Nuova emittenza televisiva), rivolta a una catena di 18 televisioni cui offre gratuitamente metà della programmazione con l'obiettivo di costruire una capillare rete che copra il territorio nazionale. Fattore politico: la persistenza del vuoto legislativo, mantenuto ad arte in virtù della connivenza tra imprenditori del settore e pezzi del mondo politico che induce i primi a creare situazioni de facto e a guadagnare posizioni di preminenza. Gli investimenti crescono e si indirizzano verso le private che garantiscono flessibilità e consentono quello che la Rai non ha mai consentito, dalla campagna a tappeto concentrata in un breve periodo alle sponsorizzazioni fino al cosiddetto soft selling (pubblicità morbida). Dal sistema rigido e controllato impostosi nei primi vent'anni della televisione, si passa dunque è uno sviluppo prospero, ma selvaggio e non disciplinato. Non a caso è questa fase che entrano con forza in campo le grandi concessionarie (Mondadori, Rizzoli) a predisporre ensemble di 17 All'aumento delle ore di programmazione corrisponde uno sfrenato impulso all'ascolto. La crescita del settore è alimentata da quella del mercato pubblicitario. La televisione commerciale ha creato ricchezza e sostiene il trend positivo, in un riverbero reciproco tra immaginario e realtà, desideri e propensione all’acquisto. Sono anni attraversati da profonde contraddizioni: da un lato la diffusione del benessere e la stabilità politica, dall’altro l'aumento esponenziale del debito pubblico e il declino del sistema dei partiti. La televisione è specchio di quella che si rivelerà una stagione affluente, ma in prospettiva sterile, preludio e incubazione della crisi del nostro paese. Un primo indizio è la cristallizzazione stessa del duopolio. A parte alcuni appuntamenti forti, per il resto i telespettatori, dotati di telecomando, si producono nel cosiddetto zapping: passano da un canale all'altro, si soffermano a volte solo per un tempo limitato o semplicemente tengono accesa la TV, rumore di sottofondo cui prestare un'attenzione discontinua. Prevale un ascolto individuale. Umberto Eco conia il termine neotelevisione. Congegni tecnologici, ritmi, identità della proposta editoriale sono investiti da una potente trasformazione, e così generi: informazione e finzione tendono a intrecciarsi. La televisione si trasforma da veicolo di fatti in apparato per la produzione di fatti, da specchio della realtà a produttore della realtà. La televisione diventa a tutti gli effetti organismo che funziona seguendo regole di economia. Al cuore dell'impresa è la quantità di audience raccolta. Trionfa l’infotainment, un ibrido tra informazione e intrattenimento, e trionfa la fiction in tutte le sue declinazioni, telenovela e soap- opera, detective story e telefilm polizieschi, situation comodi e serie musicali. Raccogliere pubblicità e fissare tariffe adeguate comporta per le diverse emittenti la necessità di individuare modalità di rilevazione degli ascolti più precise. La Rai ricorre al barometro di ascolto, basata sull'inchiesta telefonica; le private commissionano diari per famiglie campione e interviste alla società Nielsen. Nell'81 la Rai sperimenta il meter, un congegno applicato a un campione di ricevitori che rileva il canale sintonizzato e trasmette i dati a un calcolatore centrale. Nell'84 nasce Auditel, i cui soci sono in parte uguale la Rai, le private e l’UPA. Il sistema si avvia nell’87, monitorando un numero di famiglie campione sempre più alto e incidendo in misura sempre più forte sull'organizzazione dei palinsesti e sulla fattura dei programmi. I canali Fininvest aggrediscono il mercato con un'offerta che fa perno sui primitivi capisaldi e sulla produzione di varietà e rubriche a basso costo, contando sull'opportunità delle formule e sull'estro di alcuni autori. I criteri di base sono: fidelizzazione e serialità, rispondono a un'esigenza imprescindibile per un'impresa commerciale, perché permettono il massimo sfruttamento dei prodotti al traino di altri. Nel novembre ’88 inizia la storia uno dei programmi bandiera delle reti Fininvest: “Striscia la notizia”, il telegiornale satirico condotto da una coppia particolare di presentatori, attori comici soubrette, e corredato dalle cosiddette veline. È un'invenzione di Ricci, una provocatoria mescolanza di controinformazione e varietà. “Buona domenica” dall'85, condotto la domenica pomeriggio da Maurizio Costanzo e Corrado. “La ruota della fortuna”: racconta correnti devono svelare una frase misteriosa celata nelle caselle che sono coperte ogni giro di ruota. La presenza di format stranieri è molto consistente, per esempio “Paperissima” che alterna la conduzione in studio con ospiti e filmati con episodi di gaffe ed errori acquistati dalle TV locali o inviati dagli spettatori. Il potere della fruizione individuale di tipo aggressivo, non più la visione familiare o di gruppo, ma un rapporto individuale con il televisore. Una cultura più dinamica e fantasiosa, più in sintonia con la mentalità e con i gusti delle fasce urbane, giovanili e femminili della popolazione sia contrapposta all'ufficialità e alla lentezza, al pedagogista e al gigantismo della Rai. L'alba degli anni 80 per la Rai è un momento difficile. Palinsesto comatoso ed elusivo è definito quello dell'81. L'attuale televisione pubblica vive le incertezze del gioco di rimesse di difesa, piena di piccole vittorie e piccole sconfitte, condizionata dei concorrenti che impongono le regole della partita. La sensazione di trovarsi in una fase di transizione. La caratterizzazione autonoma delle reti si stinge, lasciando il posto a un modello in cui due direttrici ideative e produttive conducono al medesimo porto, vale a dire più evasione e spettacolo, meno cultura e informazione, relegate al pomeriggio in tarda serata e per giunta realizzate con disaffezione e disattenzione. 20 La difesa della Rai e del servizio pubblico rappresenta una priorità della direzione che ingaggia una battaglia tutto campo con le reti di Berlusconi, nel luglio 1983 le rilevazioni dicono che Canale 5 supera Rete 1, che l'ascolto totale Rai è sceso al 55% e il fatturato di Publitalia è uguale a quello della SIPRA. Cresce la produzione esterna, crescono le coproduzioni e gli acquisti di pacchetti di programmi. Cresceranno a dismisura anche i costi. Cambiano i ritmi della programmazione, in cui sono espunti pause, interruzioni e tempi troppo distanti, e che si votano alle dinamiche del flusso televisivo, capace di incalzare lo spettatore e coinvolgerlo in un processo che appaia in interrotto. I programmi di intrattenimento con la regia di Gianni Boncompagni “Pronto Raffaella?”, talkshow quotidiano condotto dalla Carrà collocato prima del Tg di mezzogiorno, ne sono ingredienti principali l'ambientazione domestica, l'interazione con il pubblico a casa attraverso il telefono, le lettere, gli ospiti e i giochi. I format pilastro dell'intrattenimento nazionalpopolare da “Domenica in” ai varietà del sabato sera. Su tutt'altro versante, perché rivolti a un pubblico alternativo, si pongono i programmi di Arbore. Il primo è senza dubbio il più felice, nell'85, e “Quelli della notte”, è un contenitore senza struttura surreale, infarcito di nonsense e men toni in cui brulicano personaggi bizzarri, nell'87 seguirà “Indietro tutta!”. Il successo dei programmi di Arbore da slancio all'edizione notturna del TG2. All'attivo della Rai, per qualità e ascolti, in questi anni sono le serie coprodotte e autoprodotte. "La piovra”, la più nota è la più fortunata serie TV, capace di forti riscontri anche sul mercato estero. Un altro asso nella manica della Rai è l'informazione culturale e di attualità. La nuova organizzazione dei tempi del palinsesto comporta il superamento del modello classico di programma giornalistico, a favore di forme più svelte o di una frammentazione dei contenuti all'interno dello stesso contenitore, si affianca la tendenza a una continua promozione in cui la forma finisce per prevalere la sostanza. Vive un declino l'inchiesta televisiva. Per quanto concerne i notiziari, in questi anni quelli Rai sono chiamati a misurarsi con la dura realtà dell'emorragia di ascolti, sottratti molti casi da cartoni animati e quiz, con l'unica positiva eccezione dei Tg regionali. Un contributo significativo alla Rai, in termini di audience, è dato da quel vero laboratorio in cui si trasforma Rai tre dall'87, quando passa sotto il controllo del PCI ed è affidata ad Angelo Guglielmi. In quel momento la terza rete è praticamente ignorata dal pubblico e snobbata dai critici che la reputano noiosa. La rivoluzione che inizia ora porta la rete a sfiorare quota 10% di ascolti e ne definisce un inconfondibile identità. Guglielmi sposa una linea editoriale consona alla sua particolare concezione della cultura e del rapporto tra comunicatori e destinatari, che sfugge dai meccanismi consueti ed è aliena da qualsivoglia paternalismo. Il famigerato share non è una bestia cattiva, ma un sacrosanto misuratore della validità di un programma. Nasce una serie di trasmissioni di servizio, cariche però di un intrinseco spettacolarità, cui si darà la definizione di TV verità. Raccontare la realtà con la realtà per dare corpo a un romanzo popolare, nutrito di storie vere in diretta, aldilà di ogni filtro e manipolazione. “Chi l’ha visto?”, che cerca le persone scomparse con l'aiuto del pubblico delle forze dell’ordine; “Telefono giallo”, dove Augias affronta con finezza casi di cronaca nera o i cosiddetti misteri di Italia con l'apporto di filmati e l'ausilio degli spettatori; “Un giorno in pretura” documenta i processi entrando nelle aule dei tribunali e indagando sui motivi che conducono al reato. La gestione Guglielmi prosegue fino al ’94, anno del radicale mutamento dello scenario pubblico. Poiché è Rai tre a rinnovare l'attualità giornalistica, conferendole interesse e popolarità, e generando una ripresa e una svolta di cui si giovano la Rai nel suo complesso e il genere stesso, che da questo momento diviene un elemento cruciale nella programmazione televisiva. Grazie alla riscossa nazionalpopolare di Raiuno e all'offerta vincente di Raitre, l’azienda pubblica riesce a mantenere e consolidare le posizioni, affermandosi nella fascia nobile del palinsesto. Fininvest a sua volta mostra segni di affaticamento: la guerra degli ascolti comporta un enorme dispendio di risorse. Il rilancio riguarda l'offerta delle tre reti Fininvest. La stagione ’87/’88 è pianificata in grande stile: conquistare le star della Rai Carrà e Baudo e dato impulso all'informazione, Berlusconi prepara il terreno per il definitivo salto di qualità: la richiesta della diretta tramite interconnessione. La legge Mammì 21 Allo studio del provvedimento lavora il Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni e il repubblicano Oscar Mammì. La legge sulle televisioni non giunge importo a causa della caduta del governo nell'89. La legge Mammì, nella sua definitiva versione, licenziata dal Parlamento il 5 agosto ’90, sancisce un abissale distanza dalla precedente normativa risalente a 15 anni prima. Il sistema radiotelevisivo, dati i suoi principi fondamentali: pluralismo, obiettività, completezza e imparzialità dell’informazione, si realizza con il concorso di soggetti pubblici e privati. Il fulcro è l’art. 15, che dovrebbe vietare le posizioni dominanti. Impedisce di possedere televisioni se si possiedono quotidiani che superino il 16% della tiratura complessiva nazionale; impedisce a uno stesso soggetto di realizzare più del 20% delle risorse complessive del settore della comunicazione di massa. La legge stabilisce che non si può essere contemporaneamente titolari di concessioni in ambito locale e nazionale e vieta a un concessionario televisivo di avere partecipazioni superiori al 10% in altre emittenti. Istituisce la figura del “garante” per la radiodiffusione e l’editoria. 4. Verso più fertili e delicati equilibri Da Tangentopoli alla discesa in campo di Berlusconi La legge Mammì ha ridefinito due grandi poli: Rizzoli-Corriere della Sera e Fininvest- Mondadori, e due poli con minore peso finanziario, ma rilevanti, Rai ed editoriale l’Espresso. Si conferma la duplice tendenza del mercato dell'informazione italiano: la multimedialità con vocazione all’oligopolio, che si traduce in un elevato grado di concentrazione, anche nella raccolta pubblicitaria. Al centro del dibattito in questa stagione-cerniera è la Rai. E la necessità di ripensarne l'assetto giunge in primis dagli stessi partiti di maggioranza. Il presidente Enrico Manca lancia l'idea di unificare le redazioni dei telegiornali, togliere loro l'etichetta politica e rimescolare tutto, a favore di un'organizzazione che veda un'unica testata declinata per temi, vocazioni editoriali, pubblico: 11 popolare, uno politico, uno culturale. Tanto più nei mesi successivi si pensa a una riforma della riforma. Si preparano, proprio in questo momento, i telegiornali Fininvest. All'opera è chiamato Emilio Fede, ex Rai, che dal 15 gennaio ’91 vai in onda su Italia 1 con “Studio aperto”. Un anno dopo esordisce quello di Canale 5, affidato a Enrico Mentana. Fede costruisce un giornale dilatato, verboso, dei servizi lunghi, semplice. Mentana, scegliendo un registro informale e colloquiale, un lessico piano, un aggettivazione esuberante, un timbro polemico, un'impaginazione veloce e puntando sul predominio nel filmato ed è la narrazione, da corpo a un vero giornale popolare. Il Tg5 sulle prime sceglie di privilegiare la cronaca, presentata con un'intensità e un taglio molto efficaci. Gli eventi incalzanti che incrocia il suo nascere suggeriscono un ripensamento, che, decisamente sulla politica. I telegiornali Fininvest decollano anche grazie a una serie di avvenimenti di eccezionale portata, come la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dei regimi comunisti dell'est europeo. Nel gennaio ’91 scoppia la guerra del Golfo: i notiziari televisivi non si lasciano sfuggire l'occasione di sfruttare l'impatto, ovviando alla scarsezza di immagini a disposizione con cronache accattivanti. L'anno dopo esplode lo scandalo di Tangentopoli, che coinvolge esponenti di punta dell'establishment politico ed economico innescando il processo di delegittimazione di buona parte del ceto politico. Il desiderio del pubblico di seguire lo svolgimento dell'inchiesta è appagato soprattutto dal Tg5. Intanto i risultati delle elezioni politiche dell'aprile ’92, dove la Lega Nord fa il pieno nelle regioni settentrionali. Non può stupire il pullulare sulle reti televisive di talk show e programmi di approfondimenti dedicati alle effervescente attualità: Maurizio Costanzo Show. Sono arene di dibattito talora aperte alle cosiddette piazze, che spesso si accendono derive populiste, polemica arroventate, conduzioni spigolose, irrituali, provocatorie, sulfuree e interventi che ricorrono all'invettiva, all'insulto, alla continua interruzione, un imbarbarimento del confronto politico. La televisione riveste dunque un ruolo di peso, eppure essa è anche un terreno su cui giocoforza si riverbera il terremoto politico. Calcolano progetti di revisione della Mammì nel senso di una riduzione dell'affollamento pubblicitario e del numero di reti Fininvest e Rai. E circolano voci di una candidatura politica di Berlusconi. I timori di una revisione dell'assetto legislativo sulle televisioni sembrano avverarsi nel giugno ’93, quando Ciampi insedia un comitato interministeriale che elabora un progetto di drastico 22 Gli sviluppi del sistema televisivo: dalla Maccanico alla Gasparri All'indomani delle politiche del ’96 i neo eletti i presidenti di Camera e Senato nominano un nuovo CdA Rai presieduto da Enzo Siciliano, intellettuale ascrivibile all'aria sinistra. I vertici dell'azienda sono rinnovati. Si presenta l'occasione per ridisegnare l'intero sistema delle telecomunicazioni. Il tavolo di lavoro per la legge si configura come una piattaforma di scambi politici che niente hanno a che vedere con il tema delle telecomunicazioni. Il nesso tra riforma costituzionale e riforma del sistema televisivo è messo in luce dal ministero delle Comunicazioni Maccanico. Il disegno di legge preparato da Maccanico è frutto di una laboriosa mediazione con l'opposizione e persino con i vertici di Mediaset. Una prima tranche istituisce l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e stabilisce una norma antitrust che fissa il tetto massimo del 30% del mercato televisivo e del 20% delle frequenze per soggetto. Berlusconi ha impegnato la maggioranza nelle trattative per le riforme istituzionali per poi abbandonare il tavolo una volta messo in salvo le sue televisioni dal pericolo di un ridimensionamento. La riforma Maccanico ha il merito di guardare al futuro dal punto di vista degli sviluppi tecnologici: una sempre più stretta integrazione tra i diversi comparti delle comunicazioni e l'avvento del digitale. Inoltre concede al servizio pubblico di operare in tutti i settori dell’innovazione. La definizione di un virtuoso il sistema dell'informazione televisivo sembra stagliarsi in un orizzonte lontano, viste le polemiche sempre più infuocate che sul tema del pluralismo si consumano in questa fase e che vedono più che mai nell'occhio del ciclone la Rai. La fisionomia editoriale della futura Rai: due reti generaliste a vocazione commerciale, Raiuno consolida e rinnova l'offerta di fiction, informazione, intrattenimento e cultura rivolta alle famiglie e al grande pubblico; Raidue per un pubblico più giovane metropolitano, attenta ai fenomeni nuovi e alle tendenze della cultura di massa, caratterizzata dalla serialità, dall'informazione e dell'intrattenimento, è una terza rete articolata sul territorio, capace di raccontare l'identità del paese e il suo ingresso in Europa. Ma il tentativo è anche quello di imprimere una natura nuova alla Rai, una natura industriale formato new economy. La Rai deve fare i conti con un canone inadeguato e con un tetto di affollamento pubblicitario che la costringere a vendere ad alto prezzo gli spot a disposizione. La prima stesura della legge Gasparri è siglata nel settembre 2002 dal Consiglio dei Ministri. La parte che riguarda la Rai relativa ai criteri di nomina del CdA: i suoi membri sono portati da 5 a 9. Ma il cuore della Gasparri è nelle norme antitrust: il tetto del 30% delle risorse acquisibili nel settore televisivo è sostituito con un tetto del 20% sul SIC (sistema integrato delle comunicazioni), un contenitore che comprende TV, radio, stampa, produzione e distribuzione cinematografica, discografia, pubblicità tradizionale, sponsorizzazioni, televendite, canone Rai, vendite di beni e abbonamenti. Inizia intanto il suo iter il disegno di legge Gasparri, un iter lungo e travagliato. La prima stesura è presentata alle Camere nell'aprile 2003. L'approvazione giunge il 2 dicembre 2003, ma la legge non ottiene la firma del Presidente della Repubblica Ciampi, che la rinvia alle camere rilevando criticità in alcuni punti. Promulgato in tutta fretta, il 24 dicembre 2003, un altro decreto per salvare Rete4 e Raitre. La Gasparri bis e approvata il 29 aprile 2004. I programmi: generi e format in auge Il consumo di televisione nel nostro paese appare in costante aumento: la media è di 3 ore e 27 minuti al giorno, maggiore per le donne, e per il Nord e il Centro. Trasversale è successo di alcuni generi che convogliano i massimi ascolti, astro di riferimento e bussola della programmazione, visto che l'occhio di chi fa televisione è puntato sulle pur discutibili rilevazioni dell'Auditel. Reti pubbliche private si presentano colme di doppioni e cloni, soprattutto in alcune regioni dei palinsesti e per quei prodotti votati all'acquisizione del pubblico: quiz, telefilm, varietà, fiction, alcuni nuovi format, gli alfieri dell’intrattenimento. È favorito tra l'altro dalla centralità acquisita dalle società di produzione televisiva, rami di multinazionali della comunicazione, che adottano la modalità di affidare ad esterni la confezione dei programmi. Emergono così sigle, autonome rispetto alle aziende televisive, che assoldano squadre di autori, registi, attori per ideare, scrivere e realizzare prodotti, commissionati dalla rete o ad esse proposti. 25 Questo fiorente settore si giova tra l'alto del rilancio della fiction all’italiana. Mediaset e Rai iniziano una politica di investimenti che dovrebbe avviare una ripresa, anche se chiedono incentivi. Una legge obbliga le televisioni nazionali a occupare il 50% del tempo di trasmissione con opere europee. Negli anni ’90 trovano ospitalità minore, ma pur sempre larga le serie di importazione. Una tanto eclatante quanto controversa fortuna arride a un genere nuovo: il reality. Il primo caso compare sugli schermi di Raidue nel ’95: “Davvero”, in cui sette studenti veri in un appartamento di Bologna sono seguiti da sei telecamere fisse e due mobili. La canti camera non è un'invenzione nuova, l'aveva già applicata negli anni ’60 Nanni Loy. Il “Grande Fratello” rappresenta un salto di qualità nel tasso di realtà promessa allo spettatore e figlia una seconda generazione di programmi la cui Quinta essenza risiede nel rovesciare il codice del pudore. È l'ora dei reality e dei people show. Meno clamoroso, ma ugualmente trasversale a tutte le reti è il ricorso al cooking show. Ci sono i talent musicali e performativi. Quanto all'informazione, la propensione è quella di ridimensionare i generi nobili dell'inchiesta e del reportage, per privilegiare talkshow, dibattiti e rotocalchi popolari, vale a dire le forme di infotainment meno costose e di più ampia presa. Globalmente le novità che si affacciano non appaiono sostanziali: anzi la critica parla di un certo immobilismo e di una televisione senza qualità, sia per la Rai, sia per Mediaset, le cui reti sembrano incapaci di produrre altro che copie di se stesse. Nessuna novità, dispositivi testuali prevedibili, formati senza anima, tanti format e nessuna produzione originale. I palinsesti delle reti generaliste L'inserimento dei telegiornali e la possibilità della diretta hanno subito effetti benefici sull'intera programmazione delle reti Fininvest. La ricerca di prodotti capaci di fare il pieno degli ascolti e garantire la massima simbiosi tra audience di riferimento e pubblicità rimane la loro bussola. Merita una menzione la creatura di Gianni Boncompagni e Irene Ghergo “Non è la Rai” (1991-95), in cui un nugolo di ragazzine, capitanate da Ambra Angiolini, debitamente orientata dallo stesso Boncompagni tramite auricolari, da luogo a uno spettacolo quotidiano di canti, balli e giochini: collocata nel primo pomeriggio, è seguita da adolescente in delirio. Di enorme impatto è anche la gara canora itinerante “Karaoke”, magister Fiorello, che rispolvera gli antichi fasti degli spettacoli televisivi in piazza con enormi riscontri. Nel 2000 poi inizia celebrare i suoi successi il reality. “Grande fratello” prevede che un congruo numero di personaggi veri, debitamente selezionati tra migliaia di aspiranti in cerca di notorietà, siano messi a vivere nella stessa casa sotto l'occhio delle telecamere in perpetuo funzionamento. “Grande fratello” è tante cose: un feuilleton moderno, la messa in scena della normalità, un'esibizione di psicologie spicciole, un cumulo di banalità, un enorme gioco linguistico. “Maurizio Costanzo Show” in cui sul palcoscenico si alternano personaggi provenienti dal mondo politico, economico, culturale e dello spettacolo, oltre che casi umani e debuttanti. Perno del palinsesto quotidiano di Canale5 si conferma “Striscia la notizia”, che consolida la sua cifra, quell'intreccio tra satira e inchiesta condotta sui toni del paradosso, dello sberleffo, della provocazione e del linguaggio irridente, in cui affiorano venature populiste, anticonformiste, in una miscela inconfondibile. Nelle intenzioni di Ricci il programma mira una continua operazione di smascheramento per dimostrare che la televisione è strumento del falso e del verosimile, è enfasi, retorica, finzione, menzogna. La fiction si concentra principalmente su Canale5. Caratteristica è la stretta sinergia con società di sua proprietà, il che attribuisce peculiarità e sfumature che paiono abbracciare i profili dello spettatore tipo della rete. La presenza dei programmi di informazione e attualità è studiata per toccare obiettivi che sono di mercato: il che si traduce in un'offerta complementare tra le reti, in una più mirata differenziazione per tipologie di pubblico, in una tendenza a privilegiare formati e contenuti più leggeri o i brevi commenti in forma di editoriali. Ad alto grado di spettacolarità e anche l'offerta di programmi e documentari storici e scientifici, fra cui si possono menzionare quelli condotti da Alessandro Cecchi Paone. Tallone d'Achille della Rai al settore dell'intrattenimento leggero, più che mai bersagliato dalla critica per l’omologazione, 26 ovviamente al ribasso, alle reti commerciali, per le cadute nella sciatteria dei testi e nel cattivo gusto delle scenografie, per la mediocrità delle condizioni. Occorre dare conto della ricerca che dai tardi anni ’90 interessa il campo del varietà, dove a quelli nazionalpopolari si affiancano esempi di one-man show. Si tratta di uno spettacolo sperimentato con successo dal comico Beppe Grillo, che si è distinto per i suoi monologhi in “Luna Park” nel ’79, ponte di fibrillazioni notevoli per la Rai per il taglio provocatorio e lo stile personalissimo, tra stupefazioni e affondi, gestualità accentuata e concitato procedere, sempre più diretto nei confronti dell'establishment politico. Seguono due trasmissioni in forma di reportage: “Te la do io l’America" e “Te lo do io il Brasile”. 27
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved