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Storia dell'idea di europa, Sintesi del corso di Storia dell'Europa

Riassunto del testo. anno 2023.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 28/06/2024

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leidy-pineda-gil 🇮🇹

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Scarica Storia dell'idea di europa e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Europa solo su Docsity! STORIA DELL’IDEA D’EUROPA CAPITOLO PRIMO Coscienza europea significa “differenziazione dell’Europa come entità politica e morale da altre entità”, da altri continenti o gruppi di nazioni; il concetto di Europa deve formarsi per contrapposizione, in quanto c’è qualcosa che non è Europa. La prima contrapposizione tra l’Europa e qualcosa che Europa non è, è opera del pensiero greco. Tra le età delle guerre persiane e l’età di Alessandro Magno si forma per la prima volta, il senso di Europa opposta all’Asia, per costumi e per organizzazione politica; un’Europa che rappresenta lo spirito di libertà, contro il dispotismo asiatico. Certo che quest’Europa è ancora assai limitata, come ambito geografico; spesso si identifica con la sola Grecia, come in Isocrate; e anche quando abbraccia una più ampia estensione, i suoi contorni rimangono imprecisi e al massimo si pensa ai popoli e alle regioni in rapporti costanti con il mondo greco; quindi si pensa all’Italia, alla Spagna, alla Gallia e alle coste mediterranee. Esiste tutta una parte che fa parte dell’Europa “fisica”, ma non è affatto Europa “morale”, con costumi e modi di vivere diversi da quelli dell’Ellade: è per esempio la Scizia. Si tratta di popolazioni nomadi, che non conoscono le “città”, cioè non conoscono quel che caratterizza i Greci. Ippocrate parlerà della stirpe degli Sciti che si trova in Europa fisicamente, ma non culturalmente. Precisazione geografica e precisazione morale-politica-culturale non combaciano ancora e questo dissidio spiega come Aristotele possa distinguere non solo tra Europa ed Asia, ma anche tra Grecia ed Europa (che identifica con la Scizia e, in generale, con i popoli nordici). Aristotele dice questo: “I popoli nei paesi freddi e nell’Europa, sono pieni d’animo, ma difettosi di intelligenza e di capacità artistica, perciò vivono costantemente nell’indipendenza , non hanno un governo ben formato e non sono in grado di dominare sui vicini. I popoli asiatici d’altra parte sono intelligenti, ma privi d’animo e perciò vivono abitualmente in servitù. La stirpe ellenica, collocata in una regione media tra questi, possiede gli elementi dell’uno e dell’altro gruppo, essendo coraggiosa e intelligente e perciò vive costantemente in libertà, con governi perfetti e con la capacità di dominare su tutti.”. Quali sono allora i criteri per valutare quest’Europa dal punto di vista morale-politico-culturale? • Il primo criterio è quello della libertà politica ellenica, contrapposta alla tirannide asiatica; libertà significa partecipazione di tutti (cittadini e non sudditi) alla vita pubblica e vivere secondo le leggi. Eschilo per esempio parlava della forza di Atene, composta da cittadini che combattono per la “loro patria”. • Il secondo criterio sono i costumi; per esempio, nelle Supplici, le Danaidi, figlie di Danao, re di Libia, appaiono a Plasgo, re di Arcadia, come straniere, perché avvolte con abbigliamenti diversi e veli. • Altro criterio è una diversa organizzazione politica e capacità militare; nel testo di Ippocrate, ci sono gli Europei che sono autonomi, cioè si reggono secondo leggi e sono padroni di sé, invece gli Asiatici appaiono inferiori perché sono sotto il dominio di un re o despota; gli Europei, da un punto di vista militare combattono meglio, proprio perché combattono per sé e non per un padrone. È tra il V e il IV secolo che sorge una coscienza europea contro una asiatica e dopo la pace di Antalcida (IV secolo a.C.) che Isocrate contrappone l’Europa all’Asia, come l’Elleno al Barbaro. Una contrapposizione che, più tardi, sarà allargata al mondo romano con Romano-Barbaro. Ambrogio esalta i confini del Danubio e del Reno che costituiscono la muraglia difensiva dell’impero romano, cioè del mondo civile, contro il fuori barbaro. E poi fu la volta della cristianità medievale, dove emerse la contrapposizione tra cristiano e pagano legata a quella di Romano e barbaro. In tutte queste visioni, l’Europa non ha ancora acquisito una sua fisionomia morale. Denys Hay ha osservato come il termine “christianitas” sia un termine abituale, a differenza del termine Europa che è usato esclusivamente in senso geografico. Anche nella terminologia usata da Carlomagno rimane sempre con un riferimento geografico, come la stessa Europa menzionata da papa Callisto II all’imperatore Enrico V, nel 1122, all’indomani del concordato di Worms, è puramente un concetto geografico. La cosa interessante è che il termine europeo resterà a lungo ignoto e solo come ha osservato Hay, entrerà nell’uso solo nel XV secolo, con Enea Silvio Piccolomini. Si potrebbe a questo punto chiedersi come l’associazione cristiano-barbaro si associ o no al valore di romano-barbaro. Vi sono in merito a ciò due tesi in antitesi: 1. per E. Sestan il vecchio concetto di barbarie si fonde con il nuovo di fede cristiana, nel senso che il non cristiano è anche il barbaro; 2. per R. De Mattei invece questa equivalenza non esiste: anche dopo il trionfo del cristianesimo, il barbaro continua ad essere il non romano, ossia sinonimo di rozzezza, inciviltà, incoltura. Barbarie resterà anche per gli scrittori medievali sinonimo di non latino. E quindi non bisognerà attendere il Rinascimento, dove il sentimento nazionale degli uomini italiani contrappone il gentil sangue latino (Italiani) ai barbari (oltremontani), basti pensare alla canzone petrarchesca Italia mia. Dunque quello che permane tutto il pensiero politico medievale è il concetto di cristianità e non di Europa. E invece i Greci? La famosa culla della civiltà da cui sono usciti i grandi sapienti e poeti? I greci attuali, l’Oriente europeo compreso geograficamente nell’Europa, sta uscendo dalla sfera morale, mentre l’Inghilterra e la Germania sono gli acquisti recenti. L’inizio di questa separazione tra Occidente ed Oriente risale già al Basso Impero romano. A partire dal IV secolo alla rivalità politica, documentata dalla rivalità e dalle gelosie fra gli imperatori dell’una e dell’altra parte, emerge anche una rivalità religiosa, ossia la lotta di primato tra i vescovi occidentali e il papa Gregorio Magno che lamentano le tendenze eretiche degli orientali, che rappresentano la parte più instabile e malsana del mondo cristiano. Una contrapposizione tra l’Occidente e l’Oriente che emerge nel rimprovero di Liutprando, re dei Longobardi, che muove a Niceforo Foca, imperatore bizantino. Liutprando dice che in Oriente sono nate tutte le eresie, mentre gli occidentali le hanno soffocate. Spesso i papi hanno liberato l’Oriente dalle eresie. Occidentali e orientali si presentano con delle caratteristiche ben delineate in ogni campo: gli Orientali come furbi, traditori, infidi, mentre gli Occidentali come leali, onesti, franchi (per Liutprando, per i bizantini è il contrario). A queste differenze di carattere morale se ne aggiungono altre legate alla vita quotidiana e ai costumi. Dunque è tutto diverso tra Oriente ed Occidente. Quello che emerge di differente tra il periodo del V e IV secolo e il Medioevo è che prima l’Oriente voleva dire Asia e l’Occidente la Grecia, cioè l’Europa civile; ora l’Occidente significa le regioni ad ovest dell’Adriatico e il disprezzato Oriente comprende anche la Grecia. Nel 1054, sul piano religioso, avverrà lo scisma d’Oriente e la separazione definitiva della Chiesa greca da quella romana. I greci non appariranno più come veri cristiani, anzi come degli eretici, poco meno pericolosi dei turchi. Infatti nel 1453 i turchi conquisteranno Costantinopoli e poco dopo anche della Grecia e di Atene, staccando così definitivamente la Grecia e i Balcani dall’Europa morale. Emergerà quindi la contrapposizione tra i Greci o bizantini e i Latino o franchi, che, quest’ultimi, vengono raggruppati come gli uomini delle nazioni occidentali. Quindi si delineano due mondi nettamente opposti e distinti con caratteristiche proprie. Nel momento in cui i greci scompaiono dall’Europa, vi entrarono altri popoli, come l’Ungheria, la Tansilvania e la Polonia che diventano i “baluardi della cristianità” contro l’infedele e vengono accolti nella comunità cristiana europea, associati agli Occidentali. Montaigne inoltre afferma che anche la loro guerra è nobile e generosa, poiché non è avida di dominio e di espansione come quelle europee. Perfino la poligamia è una bella cosa: le mogli mettono ogni cura nel procurare al marito amicizie con altre donne, che invece in Europa non sono gradite. La loro stessa poesia non è barbara; il loro linguaggio è dolce, gradevole ed ha anche affinità con il greco. Montaigne continua parlando di tre brasiliani che una volta sono venuti in Francia e hanno osservato delle cose che li ha stupiti: 1. l’obbedienza assoluta di tanti uomini verso il loro re, un fanciullo (all’epoca Carlo IX), 2. che da un lato vi erano in Francia uomini ricchi provvisti di ogni comodità e dall’altro una folla di mendicanti e affamati. Le due frecciate sono rivolte contro l’assolutismo monarchico e contro la mancanza di uniformità sociale. E un’ultima frecciata contro gli Europei che disprezzano i barbari solo perché hanno costumi diversi da quelli loro. L’altro capitolo era concentrato sui coches, dove l’autore parla della conquista spagnola del Messico e del Perù. Qui alla descrizione dello stato idilliaco degli indigeni, succede la descrizione della crudeltà dei conquistatori. Parla di questo mondo lontano come di un mondo ancora fanciullo, ancora nudo, un mondo bambino ma non inferiore a noi, di gran lunga superiori in qualità morali, coraggiosi e intrepidi dinanzi al pericolo e alla morte. Furono vinti da noi, ma si pensi alla loro sorpresa nel vedere arrivare uomini barbuti, così diversi da loro per lingua e religione, uomini armati con armi a loro sconosciute; si pensi anche all’inganno in cui sono stati trascinati, gli europei hanno protestato amicizia e lealtà, quando invece nutrivano malvagi disegni di conquista. Per scopo di lucro e per incrementare il commercio il risultato fu tante città rase al suolo, tante nazioni sterminate e tanti milioni di popoli uccisi. La storia della conquista del Messico e del Perù è la storia delle barbarie europee, scatenata contro gli infelici innocenti; è la storia di un macello come di bestie selvagge. La polemica antieuropea è forte ed esplicita: idilliaca vita degli indigeni d’America prima dell’azione degli europei e poi desolazione, morte e barbarie apportate dagli europei. Dato tutte queste polemiche e discussioni arriviamo all’opposizione tra barbaro e civile, quindi viene elaborato il concetto di civiltà. Botero nelle sue Relazioni universali parla del processo di incivilimento: processo che riguardava non solo lo sviluppo della coscienza religiosa, il passaggio dall’idolatria alla concezione cristiana, ma anche il trapasso dalla pastorizia all’agricoltura e il sorgere dell’attività industriale e commerciale (elemento economico) e la formazione di governi stabili e a promulgazione di leggi certe (elemento politico e giuridico). Il momento essenziale della civiltà è la città: che significa trionfo dell’agricoltura sulla pastorizia, dell’inizio del commercio e dell’industria, di uno stabile assetto politico, di una vita religiosa continua. Come principio ideale del vivere civile è l’esperienza del mondo greco-latino, basato sulle poleis, sulla città: quell’esperienza continuata poi nel Medioevo con le città italiane e francesi. Altro fattore di civiltà è il fattore costumi, vita sociale: gli scrittori francesi parlano della nudità indiana contro i vestiti europei, semplicità indiana e raffinatezza europea. Il fattore anche di vita di società, che caratterizzerà il periodo illuminista francese del Settecento. La vita di società insieme all’organizzazione politica e all’aspetto economico diventano fattori di civiltà e naturalmente sono aspetti legati all’Europa. Anche il più polemico antieuropeo, Montaigne quando disegna il quadro del mondo infantile ne parla come una società primitiva contrapposta al mondo europeo, al mondo civile. Bisogna ovviamente considerare che gli scrittori e i pensatori di cui parliamo continuarono sempre a pensare con mentalità di europei e a misurare la storia umana e il mondo secondo misure e valori europei. Montaigne identifica la società europea come una civiltà mechanique, una civiltà di tecnica, di mezzi di produzione, di istruzione e non di animo. Una civiltà che è capace di macchiarsi di gravi delitti e che sotto lo splendore della vita cittadina, della cultura si celano barbarie di ogni genere. Ma nonostante tutti questi accenti polemici, la civiltà resta l’Europa a cui viene contrapposta il mondo primitivo e selvaggio degli indigeni americani. Ma solo l’Europa può essere considerata civile? Per molti scrittori, come vedremo, non viene assolutamente considerata un mondo infante o terra primitiva. Scrittori come Botero, Guicciardini, Montaigne e Carletti avevano esaltato “la grande e ricca provincia della Cina”, che senza avere le conoscenze europee, hanno sorpassato gli europei. La polvere da sparo e l’artiglieria sono antiche invenzioni cinesi. Ma anche l’Egitto comincia a suscitare ammirazione: la gloria nel campo delle leggi, della morale, dell’economia (agricoltura) e della monumentalità (piramidi). CAPITOLO QUATTRO Se il Cinquecento ha visto la polemica antieuropea dal punto di vista politico, mostrando la “pazzia europea” (guerre, spirito di conquista), non lo è stato dal punto di vista religioso. Anzi la maggior parte degli scrittori hanno concordemente trovato che gli indigeni erano adatti a ricevere la parola del vero Dio, per convertirsi alla vera fede, quella cristiana. Ora invece alla polemica antieuropea per le questioni “politiche” si aggiunge anche la polemica “religiosa”, vale a dire si combatte anche la religione europea, la religione cristiana. La ragion di Stato ha come conseguenza le guerre continue, i massacri dei popoli innocenti e l’oppressione interna; la religione professata in Europa ha per conseguenza il fanatismo (gli illuministi condannano), l’intolleranza. A partire tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento fiorisce una letteratura di “pseudo-viaggi”, in genere una raccolta di lettere che si fingono scritte da un Turco, un Persiano o comunque un non europeo, che in viaggio per l’Europa, informa i suoi amici di laggiù dei costumi, delle istituzioni, dell’Europa. L’intento è quello di criticare apertamente quello che agli occhi del non europeo sembra difettoso. Lo spirito polemico che anima gli scrittori del Settecento contro istituti politici e tradizioni religiose dell’antico regime questa è proprio la letteratura degli pseudo-viaggi. E soprattutto in questa letteratura si precisa definitivamente il concetto di Europa cioè si è ultimato quel processo di differenziazione dell’Europa dagli altri continenti che il Cinquecento non aveva ultimato e che era ora invece necessario da ultimare. Protagonista fu Montesquieu con le Lettre persanes, scritte nel 1721. Qualche decennio prima, nel 1684, Marana aveva pubblicato anonima un’opera in sei volume, dove si fingeva che lo spione turco Mamut, da Parigi, inviasse continuamente relazioni al governo turco e lettere ad amici e conoscenti in cui parlava dei costumi e della vita degli europei. Montesquieu ricorse invece alla Persia (non hai mai conosciuto di persona e per cui deve ricorrere alle relazioni di viaggiatori e missionari). Egli immagina un personaggio di alto lignaggio, Usbek, che per evitare di cadere vittima dei potenti nemici che ha, decide di allontanarsi dal paese e fare un lungo viaggio in Occidente con un suo amico, Rica. La corrispondenza tra Usbek e Rica, da una parte, i loro amici e parenti, dall’altra, costituisce quest’opera. In queste lettere si parla dell’Europa, e più precisamente di Parigi, il luogo di soggiorno dei due amici. Si parla dell’Europa come di un corpus civile e politico ben diverso dall’Asia. Da questo punto di vista riappare Machiavelli: Europa = molti Stati, ciascuno di potere non illimitato e a forma repubblicana; Asia = pochi Stati e un potere illimitato del sovrano sui sudditi e niente repubbliche. In Europa ci sono molti Stati e vari modi di governo, non come in Asia dove le regole della politica sono dovunque le stesse. Nella maggior parte dei casi, in Europa, i governi europei sono monarchici e Usbek dice che per quanto possa essere grande il potere dei re, non potranno esercitarlo con tanta estensione quanto i sultani. Ma oltre la monarchia vi sono le repubbliche in Europa: ed è questa che attira maggiormente la curiosità degli orientali, perché la maggior parte degli asiatici non ha nemmeno l’idea di questa forma di governo. Le repubbliche nacquero in Grecia, e da qui si diffuse con i coloni greci in Italia, in Spagna e in Gallia. Proprio dell’Europa è il regime repubblicano, quest’amore della libertà, cioè la limitazione dell’autorità centrale a vantaggio della libertà dei singoli. Ciò riguarda solo l’Europa, poiché l’Asia e l’Africa hanno conosciuto solo il dispotismo. Anche per quel che riguarda la giustizia c’è una profonda differenza tra Occidente e Oriente: in Europa, le pene sono miti e soprattutto graduate all’entità del delitto; i Asia, invece, le pene sono terribili ed esagerate. Fino a questo punto la distinzione sembra favorevole all’Europa: emerge il motivo della libertà e l’ammirazione per le repubbliche e giustizia sono dunque le caratteristiche del sistema politico europeo, di fronte a quello orientale. Il lato negativo dell’Europa riguarda i rapporti internazionali, ossia la ripugnanza per le continue guerre, la repulsione verso i metodi di conquista brutale, l’ostilità alla ragion di Stato (“Della ragion di stato”, 1589, teoria di governo che emerse nel XVI secolo e si riferisce al diritto dei governanti di agire in modo contrario ai dettami della legge). Dal capitolo del problema politico si passa a quello inerente alla “vita e costumi”. La differenza tra Asia ed Europa emergerà sin dallo sbarco di Usbek a Livorno, la prima città europea del suo viaggio. Il protagonista non parla di cose che colpiscono a prima vista l’occhio di tutti, come la diversità degli edifici, di vestire, delle principali usanze. Una cosa che emerge è la libertà di cui godono le donne. Montesquieu parlerà dell’intensità delle relazioni sociali in Europa, dove regna l’amicizia, l’isolamento in cui vivono gli orientali. In Francia, l’uomo è fatto unicamente per la società. Un altro aspetto è quello che lo scrittore chiama la “passione per il lavoro”, la “passione per arricchirsi”. In ogni gradino sociale, nessuno vuole essere più povero di colui che egli vede immediatamente al di sopra di sé. “Voi vedete a Parigi un uomo che ha abbastanza da vivere fino al giorno del giudizio e che pure lavora senza posa e rischia di accorciare i suoi giorni per accumulare di che vivere. Lo stesso spirito pervade la nazione, non si vede che lavoro e industria.”. Da qui l’impressione del frettoloso e dell’indaffarato che da l’Occidentale. Con queste osservazioni Montesquieu parla di “febbre da lavoro” che caratterizza l’Occidente, questa attività incessante, contrapposta alla lentezza e inerzia orientale. Con queste note, si potrebbe dire che Montesquieu aveva già preannunciato la società capitalistica moderna, con il suo bisogno di fare e produrre senza sosta. Un’altra questione interessante che sta alla base di questa febbre da lavoro sono le invenzioni. In merito a ciò c’è un importante scambio di lettere tra Usbek e un altro persiano venuto in Europa (in Italia). Quest’ultimo tende a considerare solo l’aspetto dannoso delle armi da fuoco per il cattivo uso che se ne fa. Queste ultime, insieme alla bussola, alla guerra, alla pesta e alla carestia sono state fonti di guai per poli interi che sono stati sterminati. Usbek risponde, difendendo le armi da fuoco e le scienze, senza le quali piomberemmo nuovamente nelle barbarie, in uno stato infelice, ma l’altro persiano risponde che quasi tutti gli imperi che sono stati fondati sull’ignoranza delle armi, sono crollati per averle troppo coltivate. Da qui emerge il pensiero di Montesquieu: da un lato condanna il cattivo uso di alcune invenzioni, ma dall’altro ne esalta i grandi benefici e i progressi che hanno apportato alle società. Ecco perché i cinesi sanno fabbricare il vetro da duemila anni, ma meno bello e trasparente del nostro; non conoscono la stampa a caratteri mobili perché avrebbero dovuto adottare l’alfabeto e non hanno mai voluto abbandonare la loro scrittura simbolica. Se si pensa agli Arabi, hanno inventato l’algebra e anche la medicina, tanto che i cristiani dell’occidente dovettero istruirsi presso i mussulmani. Anche qui noi abbiamo perfezionato e sorpassato questi modelli. Il concetto di progresso è alla base in Europa, oggi noi siamo i primi. Ma non si tratta solo delle scienze, anche delle arti e delle lettere. I cinesi hanno sì forte passione per il teatro, m la loro tragedia non è stata perfezionata come dagli europei. Gli arabi sì hanno conosciuto la gloria della loro poesia ma mai eguagliata a quella europea. E il carattere particolare e glorioso dell’Europa è proprio che in mezzo a tutte le innumerevoli guerre,i delitti, le follie, vi sono stati uomini che hanno coltivato le arti piacevoli. Quando una nazione conosce le arti esce facilmente dalle sue rovine e si risolleva sempre. Guai a quando cadono le arti, che emergono le barbarie: come avvennero con le inondazioni dei barbari che spensero la civiltà romana e la fecero succedere a quel periodo di superstizioni che attraversarono il Medioevo, finché poi le arti cominciarono a rinascere in Italia e a dar vita a una nuova fioritura dello spirito umano. Queste idee erano state espresse nel Siecle de Louis XIV e nella sua Introduzione, il Voltaire spiega che ci sono state quattro età felici della storia dell’umanità in cui le arti sono state perfezionate e rappresentano l’esempio della posterità. Queste età sono: il secolo da Pericle ad Alessandro Magno; l’età di Cesare e Augusto; l’età del Rinascimento; infine il secolo di Luigi XIV. Si tratta di età della storia dell’Europa. Nonostante tutta l’ammirazione per la morale dei cinesi, per le grandi gesta degli arabi, tutto lo spirito polemico antieuropeo in religione e parzialmente in politica, non impediscono che alla fine, l’Europa appare alla testa del genere umano. Se a livello politico si era scontrato con Montesquieu, affermando che non è vero che le repubbliche caratterizzano solo l’Europa, essendocene state parecchie anche in Asia. Ma quando si affronta il problema culturale, Voltaire torna ad essere sé stesso e culmina in lui quel processo di europeizzazione culturale. Parla dell’Europa degli artisti, dei letterati, l’Europa di Newton e di Locke e di Galileo. E quindi parla dell’Europa come di un corpus solo, di un’unità culturale e spirituale ben distinta dal resto del mondo. Ma non è solo un’Europa culturale, ma anche un’Europa dei costumi e della vita di società, che già in Montesquieu era stata messa in rilievo per quanto riguardava il pensiero francese. La differenza più grande fra noi e gli Orientali è proprio il modo con cui trattiamo le donne, che affonda le sue basi proprio nella libertà europea della donna, in contrasto con il costume asiatico di schiavitù. CAPITOLO QUINTO Nella seconda metà del XVIII secolo, contro l’europeismo di mezzo secolo, ecco l’affermarsi di idea di “nazione”: in particolare l’individualità contro l’universalità, il particolare contro il generale. Rousseau la pensa diversamente rispetto a Montesquieu e Voltaire. Le nazioni, queste individualità, sono diverse l’una dall’altra e guai a voler applicare ovunque le stesse regole, a pretendere di imporre leggi uniformi, valide per tutti i popoli. È profondamente contrario a tutto ciò che sminuisce o soffoca la personalità di ognuno, quindi è avverso all’europeismo. Ecco che emergono le critiche verso grandi personaggi come Pietro il Grande di Russia. Montesquieu e Voltaire hanno ammirato ed esaltato nello zar l’uomo che ha fatto della Russia una nazione europea, uno Stato moderno. Ma per Rousseau non c’è la minima traccia di questa ammirazione: anzi l’opera dello zar non è stata un bene, ma un male; egli ha snaturato la Russia, imponendole leggi e abitudini non sue, ma estranee all’anima nazionale. Lo zar ha impedito al suo paese di diventare quello che avrebbe potuto essere, persuadendo il suo popolo che era quello che non era. Il filosofo certo non può negare che l’Europa sia un’unità civile, che tutte le potenze dell’Europa costituiscono una specie di sistema che le unisce con una stessa religione, gli stessi costumi, lo stesso commercio, le stesse lettere; ma questa “società reale” ha i suoi grandi difetti, soprattutto quello di rendere troppo uniforme la vita, di sacrificare l’originalità, la personalità delle singole parti. Perciò nel campo politico non si accontenta dell’attuale sistema dell’Europa, ossia il sistema di equilibrio (politica che venne per la prima volta teorizzata e praticata tra gli Stati della penisola italiana nel XV secolo; Francesco Sforza, duca di Milano che aveva firmato la pace di Lodi, nel 1454, ponendo fine alla guerra tra Milano e Venezia, e soprattutto con i Medici, che trovò la sua massima espressione con Lorenzo dei Medici, definito “l’ago della bilancia” della politica italiana. Era quindi una politica che puntava a impedire l’emergere di uno stato regionale su un altro). A Rousseau gli appariva un sistema sociale imperfetto sufficiente solo per mantenere l’equilibrio fra agitazioni continue, senza crollare continuamente, ma incapace alla fine di impedirle, anzi suscitando ulteriori agitazioni; invece lui vagheggiava un’organizzazione internazionale su basi federali, che trasformasse l’Europa in un vero corpo politico solido e efficiente. Dal punto di vista culturale, invece, era avverso a qualsiasi forma di europeismo, che non rispettasse le caratteristiche nazionali. Alla vigilia della Rivoluzione francese, la coscienza europea entra in crisi: ideali di vita comuni, un solo programma, un solo modo di vivere; oppure un’ideale per ogni patria, programmi diversi e modi di vivere diversi? Da una parte cercare di reagire allo strapotere della Francia napoleonica, il timore che lasciare libere le passioni nazionali, si finisce per mettere a soqquadro l’Europa, precipitando nel caos. Questa è la via dei conservatori, i quali si rifanno ai principi settecenteschi del “sistema di Stati” europeo, basato sul principio dell’equilibrio politico. Questo costituisce la base dottrinale degli uomini dello Stato della Restaurazione e con il massimo esponente, Metternich. Ministro austriaco considera l’Europa come una patria, il suo è un tipico europeismo settecentesco e si appella sul salvaguardare questo equilibrio politico e sull’Europa come un unico corpo. L’europeismo di Metternich significa ripudio del principio di nazionalità. Rifiuta di accettare la nazione, la patria, l’idea di libertà e che la Rivoluzione francese deve essere assolutamente combattuta, poiché è nemico dichiarato. Per questa via l’idea di nazione e di europeismo non potrebbero essere tra loro conciliate: le due idee sarebbero rimaste chiuse in sé stesse e contrapposte le une alle altre. La conciliazione doveva avvenire per tutt’altra via e ad opera di Giuseppe Mazzini, l’anti- Metternich. Mazzini infatti esalta la nazione, la patria, ma pone la nazione in connessione strettissima con l’umanità. La nazione non solo non è fine a sé stessa, ma è il mezzo necessario per il compimento del fine supremo, cioè dell’umanità. L’umanità è ancora l’Europa, l’Europa che sta succedendo alla vecchia e morente Europa dei principi. Sogno di Mazzini non è solo l’Italia, ma Italia ed Europa: e infatti alla Giovane Italia succede la Giovane Europa. Ora come possono operare armonicamente le nazioni per il fine comune? Emerge a questo punto il concetto di missione. Ogni popolo ha avuto da Dio una sua missione; l’insieme di tutte quelle missioni compiute in bella e santa armonia per il bene comune, per la Patria, per l’Umanità. L’idea di missione è dunque il mezzo per accordare lo sviluppo delle singole individualità nazionali e aspirazioni a una più ampia comunità civile. L’idea non era certamente nuova quando Mazzini la riprese: era anzi un motivo ben vivo nella cultura europea, ad opera di scrittori francesi e tedeschi. Sia De Maistre, che Schiller avevano parlato della propria patria come colei che aveva avuto il destino più alto e che avrebbero guidato il mondo. CAPITOLO SESTO Ora bisogna chiedersi come si è arrivato al punto di arrivo unitario, che tende a far scomparire le diversità nazionali per invece far esaltare il carattere unitario. Emerge che tutte le parti, in forme e modi diversi, si è collaborato all’opera comune; e la collaborazione reca inevitabilmente l’impronta dei singoli “geni nazionali”. La civiltà europea può esistere in quanto sono esistite ed esistono molte civiltà nazionali, ciascuna delle quali da qualcosa che le altre non possono dare: il connubio tra particolare e generale, tra nazione ed Europa è dunque concluso. Protagonista di questo momento è Guizot, ex ministro degli affari degli esteri francesi, che paragonando la civiltà dell’Europa moderna con le civiltà che l’hanno preceduta, sia in Asia, sia altrove, comprendendovi perfino la civiltà greco-romana, è impossibile non essere colpiti dall’uniformità che regna in quelle altre civiltà. Esse sembrano emanata da una sola idea e da un solo fatto e se in qualche momento vi è stata una lotta fra due principi, la lotta quasi sempre è rapidamente terminata col trionfo esclusivo o quasi di uno dei due principi. Per esempio in Egitto, la società era interamente dominata dal principio teocratico e nell’India lo stesso. Deriva da ciò la semplicità delle civiltà antiche, la rapida decadenza di paesi come la Grecia, che avevano avuto un meraviglioso sviluppo, ma in cui il principio creatore della civiltà, una volta esauritosi, non è stato sostituito da nessun altro. Completamente diverso è invece il carattere della civiltà dell’Europa moderna (dalla fine dell’Impero romano, quindi Europa medievale e moderna). La civiltà europea è varia: vi coesistono tutte le forme, tutti i principi di organizzazione sociale, i poteri spirituali e temporali, gli elementi monarchici, aristocratici, democratici, tutte le classi, vi sono vari gradi di libertà, di ricchezza. E queste forze si trovano costantemente in uno stato di continua lotta, senza che nessuna riesca a soffocare l’altra e a prendere il possesso della società. Nei tempi antichi ad ogni grande epoca, tutte le società sembravano forgiate sullo stesso stampo: ora prevale la monarchia pura, la teocrazia, la democrazia, ma ciascuna sembrava a sua volta prevalere completamente sull’altra. L’Europa invece offre esempi di tutti questi sistemi di organizzazione sociale. Guizot infatti parla anche dell’immobilità asiatica e il movimento incessante dell’Europa: egli ricollega la tirannide orientale e antica all’immobilità della società, che nell’Oriente una classe ha trionfato, schiacciando le altre, trasformandosi in casta e immobilizzando quindi la vita politica e sociale, mentre in Europa nessuna classe e nessun gruppo sociale ha mai potuto sterminare o soggiogare completamente le classi o i gruppi rivali, ma ha dovuto spartire con essi il dominio. Quindi la vita politica è stata un continuo intrico di contrasti e lotte che rendevano impossibile qualsiasi tirannia. La lotta, in Europa, invece di farsi principio di immobilità, fu causa di avanzamento. Questo comporta che l’Europa moderna è la madre delle libertà, cioè l’impossibilità per una sola forza di soffocare le altre: i principi diversi hanno dovuto vivere assieme, vivere a assieme, accontentarsi ciascuno solo di una parte di dominio: la libertà è stata così il risultato della varietà di elementi della civiltà europea. Mentre per Montesquieu e Machiavelli, la libertà politica aveva avuto le sue origini nelle antiche repubbliche greche e nella repubblica romana, per il Guizot, anche la Grecia e la Roma antiche vengono accomunate ai paesi dell’Oriente. Per il politico e storico francese, il principio della tirannide abbraccia non solo tutte le civiltà extraeuropee, ma tutto il mondo antico, Grecia e Roma comprese e separate dall’Europa moderna: la separazione non è più solo tra Asia antica e moderna, ed Europa; bensì tra Asia più mondo antico, anche greco-romano, ed Europa moderna. Di conseguenza il Medioevo, che invece era stato visto come un periodo oscuro, ora diventa l’inizio della civiltà europea. Ritornando su quanto detto prima, abbiamo visto che da un lato esaltiamo l’unità europea e dall’altro le singole civiltà nazionali. Tutte le nazioni contribuiscono ciascuna per la sua parte e a modo suo per il fine supremo. Però emerge che tra tutte le nazioni, c’è quella che ha dato più delle
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