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La formazione della lingua comune italiana: dal periodo medievale al Cinquecento, Sintesi del corso di Lingua Italiana

Una panoramica della storia della lingua italiana, dal periodo medievale fino al cinquecento. Vengono esaminate le esperienze letterarie fondative, il periodo rinascimentale della formazione della lingua comune, le discussioni umanistiche sulla grammaticità del volgare, la codificazione grammaticale cinquecentesca e la prima grammatica di una lingua moderna. Inoltre, vengono analizzati i dibattiti sulla norma linguistica del volgare letterario, le correnti principali e le reazioni polemiche degli autori fiorentini o toscani.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 19/05/2024

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Scarica La formazione della lingua comune italiana: dal periodo medievale al Cinquecento e più Sintesi del corso in PDF di Lingua Italiana solo su Docsity! Storia dell'italiano. La formazione della lingua comune Letteratura e lingua italiana lOMoAR cPSD|15222555 STORIA DELL’ITALIANO La formazione della lingua comune dalle fasi iniziali al Rinascimento lOMoAR cPSD|15222555 2. PROTOSTORIA DELL’ITALIANO 2.1 Latino parlato “LATINO VOLGARE” ➔ “tutte le particolarità e le tendenze più o meno vive, proprie della lingua popolare e familiare, e che si sottraggono alla norma classica e, in generale, letteraria” ➔ “LATINO PARLATO” aderente alla vita quotidiana e alle esigenze comunicative →Anche definito da scrittori latini come: - plebeius sermus, quando Cicerone se ne serve negli scritti di lingua usuale come le lettere; - vulgaris sermo, vulgari genus orationis, sermo rusticus per differenziare registri stilistici del latino diversi dal sermo urbanus della bona consuetudo letteraria. - Ma i tratti di questo latino usuale sono alla base degli esiti grammaticali delle lingue neolatine? Per rispondere a tale domanda bisogna tener conto di numerosi fattori di differenziazione interni al latino: 1. VARIABILE DIASTRATICA (differenze socioculturali) ➔ poco influente (il latino corrente non era impiegato esclusivamente dai ceti popolari (Vedi Cicerone che lo usa nelle lettere provandone la trasversalità). 2. VARIABILE DIAFASICA ➔ stilistico-espressiva in base al contesto d’uso (molto più influente) in alternativa alla norma classica. 3. VARIABILE DIATOPICA ➔ uso del latino parlato in regioni diverse del mondo romano fissando tendenze locali → frammentazione linguistica del territorio romanzo (Romània) è all’origine delle differenze linguistiche dei dialetti neolatini (come quelli italo-romanzi). Perciò la lingua italiana odierna non discende genericamente dal latino parlato o volgare ma è il risultato di un lungo processo storico che ha nella sua fase iniziale un dialetto italo-romanzo parlato in Toscana fin dall’alto medioevo, fissato in forme letterarie nel corso del XIV secolo e accolto da una ristretta élite di scriventi colti a partire dal XVI secolo. - In quali fonti, diverse da quelle del latino scritto ufficiale e letterario, si rintracciano i tratti del latino parlato? lOMoAR cPSD|15222555 1. TESTIMONIANZE DI AUTORI ANTICHI/COMMEDIOGRAFI (Plauto, Terenzio) E CLASSICI (Cicerone, Petronio) 2. OPERE DI GRAMMATICI PURISTI segnalando pronunce errate (e quindi correnti) 3. TRATTATI TECNICI meno letterari e più comunicativi per le esigenze pratiche di arti e mestieri (Vitruvio con il suo trattato di architettura) 4. AUTORI CRISTIANI che prediligono la lingua corrente per meglio diffondere un messaggio ai fedeli (Scrive Sant’Agostino: “Preferisco esprimermi in questo modo: è meglio essere censurati dai grammatici che non farsi capire dalla gente”) - “CARSISMO DEI FENOMENI LINGUISTICI”: Il latino parlato non rappresenta l’ultima e più recente fase dell’evoluzione del latino → una lingua parlata ha attraversato tutta la storia linguistica del latino come un FIUME NASCOSTO documentato nel latino arcaico ma non in quello classico che riaffiora negli esiti romanzi di zone diverse della Romània → infatti non è esistito un un unico latino parlato in tutta l’area ma più latini parlati localmente (Es: “comer” in Sp e Port da “comedere” diversamente che “mangiare/manger” in It e Fr da “manducare”) - TRATTI COMUNI DEL LATINO PARLATO (specialmente nella tarda antichità - tarda età imperiale) che avranno sviluppi importanti nella formazione degli idiomi italo-romanzi, ovvero che si continueranno nelle lingue moderne sorte dal latino (specialmente il VOLGARE PARLATO IN TOSCANA): 1. PERDITA DISTINZIONE VOCALI BREVI/VOCALI LUNGHE (III Sec. d.c. ) → il valore fonologico della quantità vocalica è sostituito dalla funzione distintiva del timbro vocalico (la pronuncia delle vocali chiuse o aperte mediante accento), scardinando uno dei fondamenti della fonetica latina basato sul ritmo quantitativo (alternanza vocali brevilunghe) e sulla legge della penultima (penultima sillaba lunga=parola parossitona=accentata sulla penultima/penultima sillaba breve=parola proparossitona=accentata sulla terzultima → Dal momento che la qualità vocalica cessa di essere distintiva il timbro vocalico resta l’unico strumento fonologico x distinguere le parole omografe (es: pèsca e pésca) → l’accento intensivo però modifica le parole riducendone l’intensità articolatoria delle sillabe con vocale atona che può anche farle sparire (masculus → masclus → maschio). 2. FINALE VOCALICA delle parole data dalla debolezza articolatoria delle consonanti finali (panem → pane) → anche se ci sono divergenze regionali (x es i dialetti settentrionali presentano consonanti finali) e rimangono parole-monosillabi tracce delle consonanti finali, come “con”. 3. RIDUZIONE DEI CASI COMPENSATA DALLA PROLIFERAZIONE DI PREPOSIZIONI E ARTICOLI per indicare i rapporti sintattici → i costrutti preposizionali prendono progressivamente il posto delle forme semplici declinate: cum + ablativo sostituisce l’ablativo semplice. lOMoAR cPSD|15222555 4. PROTOTIPI DEL FUTURO CANTERO’ E DEL CONDIZIONALE CANTEREI si rintracciano dei costrutti perifrastici con infinito + forma flessa del verbo habère (“ho da scrivere una lettera” in cui il valore di dovere/obbligo formano un senso più generico di qualcosa che si svolgerà in futuro: devo scrivere dunque scriverò) 5. CONGIUNZIONI QUOD E QUIA si diffondono come segnali di raccordo per la sintassi della frase più complessa (tra verbo della principale e proposizione dipendente), poi nel latino merovingio (VI sec) appare que, prototipo del moderno che. 6. CAMBIAMENTO DISPOSIZIONE ELEMENTI DELLA FRASE NELLA SINTASSI TOPOLOGICA per via dell’indebolimento dei morfemi della parte finale della parola. Nel latino classico vi era certa libertà nell’ordine degli elementi della frase, che seguiva però certe consuetudini → l’ordine diretto SOGG → VERBO → OGG apparteneva già al latino letterario ma diviene frequente nel parlato trasferendosi negli idiomi romanzi → la caduta dei morfemi desinenziali ha reso sempre più vincolante la posizione reciproca dei componenti della frase (in assenza dei segnali desinenziali è l’ordine degli elementi che stabilisce il significato della frase). 7. POSIZIONE DEI PRONOMI PERSONALI DOPO IL VERBO AD INIZIO FRASE, mentre all’interno è più libero (oro et rogo te, pater, ut continuo mihi rescribas de salutem tuam) → preannuncio del clitico (monosillaba atona non isolata ma preposta o posposta a un verbo) in seconda posizione nell’italiano antico (LEGGE TOBLER-MUSSAFIA), poiché il pronome personale atono non poteva essere all’inizio di una frase: es. odierni: affitasi. 8. RINNOVAMENTO NEOLOGICO NEL SETTORE LESSICALE: LESSEMI NUOVI O PAROLE NOTE CON NUOVI SIGNIFICATI appartenenti alla lingua corrente e quotidiana → parole designanti nozioni basilari (rispetto ai corrispondenti lessemi del latino classico che sopravvivono con i loro significati nella lingua scritta e scolastica) → Es: “fortuna” che nel latino classico ha un’accezione sia positiva che negativa acquista il senso comune di “buona sorte”. 9. INNOVAZIONI LESSICALI DAL LATINO PARLATO NEI CENACOLI CRISTIANI che avevano assunto un ruolo di primo piano con il passaggio dalla latinità pagana a quella cristiana (392d.c.). → assunzione di nuovi lessemi e significati specifici trasmessi in continuità dal mondo antico all’epoca moderna, dotando di nuovo significato termini classici già noti: - scriptura assume il significato per antonomasia di “sacra scrittura”, “bibbia”; - paganus che designava l’abitante del pagus (campagna) passa a significare “non cristiano”, in opposizione al miles Christi, forse perché le popolazioni rurali rimasero più a lungo legate al culto pagano tradizionale e più avverse al cristianesimo; - si diffonde dal greco (tradotto dall’ebraico) il verbo parabolare (paragone-proverbio, discorso, parola) che sostituisce il verbo classico loqui. lOMoAR cPSD|15222555 b. prevalere della forma grafica tradizionale, cioè latina, ferma restando alla possibilità di pronunciare in modo più libero. → Difficoltà nella resa grafica tipica delle prime fasi di una nuova lingua che caratterizza i documenti altomedievali fino al X secolo. - IX SEC: RIFORMA CAROLINGIA: prescrive il ritorno ad una prassi grafica “corretta” (classica) respingendo attraverso l’insegnamento scolastico tutte le forme intermedie di latino-volgare che abbiamo chiamato “circa romançum”, ma la sua influenza non sarà immediata, come dimostrano sopravvivenze di latino precarolingio → non è facile stabilire quando siamo di fronte ad un tentativo consapevole di dare forma scritta al volgare → incertezze che restano per le prime scritture “d’occasione” che i linguisti pongono come le testimonianze più antiche della nostra lingua: 1. GRAFFITO DELLA CATACOMBA ROMANA DI COMMODILLA (ai margini di un affresco - prima metà dell’800): “non dicere ille secrita a bboce” (non recitare le preghiere segrete della messa, poste dopo l’offertorio, ad alta voce, secondo le prescrizioni liturgiche in voga dal 700, che poi invece saranno dette a voce alta) → caratteristiche linguistiche ibride, parzialmente volgari ma ancora tipiche delle scritture di transizione “circa romançum”: - non+infinito: formula del latino parlato della tarda antichità - ille: dimstrativo (quello) ma forse esempio precoce dell’articolo determinativo 2. INDOVINELLO VERONESE: breve filastrocca contenuta in un libro liturgico e conservata nella Biblioteca Capitolare di Verona, collocabile tra la fine dell’VIII secolo (fine 700) e l’inizio del IX secolo → rimanda ad un chierico che dopo una lunga giornata di copiatura di manoscritti, appone una postilla semiseria sul duro lavoro dell’amanuense, paragonato alle fatiche dei campi: parallelismo tra scrittura e aratura: - se pareva boves, alba pratalia araba, albo versorio teneba, negro semen seminaba - sembrava i buoi (le dita), arava un prato bianco (pergamena) reggeva un aratro bianco (penna), seminava seme nero (inchiostro): - In quale lingua è? Incertezze dei linguisti ma a favore della piena appartenenza al dominio volgare. - Una forma pienamente volgare è: - la finale in -o al posto di -um in albo, versorio, negro. - le forme pienamente ancora latine sono: - -s nel plurale di boves - Imperfetti in -eba, -aba (anziché -eva, -ava) - La -n di semen lOMoAR cPSD|15222555 - Nesso ri+vocale come: versorio (anziché versoio) - se iniziale (che nei testi volgari passa in seconda posizione – legge Tobler-Mussafia): se pareba invece di parebase 3. Prime testimonianze della nostra lingua - C’è una continuità che lega i nuovi idiomi alla latinità medievale come: uso di scrittura nato in ambito mediolatino, minuscola carolina, impiego di consuetudini grafiche trasferite dai documenti in latino a quelli in volgare. - La nuova lingua non nasce come spinta dal basso degli strati incolti (che avevano perduto la competenza passiva del latino tra il VI e VII secolo) ma come un’esigenza di alfabetizzati di mettere per iscritto la nuova realtà linguistica che solo loro, possessori di uno strumento elitario qual è la scrittura, potevano trasferire sulla pagina. - questa esigenza, per divertimento o deformazione professionale, trova spazi solo marginali (tra le righe di documenti, in margine o in calce a testi in latino) almeno fino alla fine del 1100, cioè quando la nuova lingua inizierà a trovare applicazioni in campo letterario costruendosi uno spazio proprio autonomo. TESTI VOLGARI ANTERIORI AL 1200: - area geografica privilegiata: fascia appenninica tra Montecassino e l’Umbria, caratterizzata dalla presenza di molti monasteri benedettini (dai quali archivi provengono molti dei documenti + antichi della lingua ita). 3.1 Formule campane o placiti cassinesi: SAO KO KELLE TERRE (960-963) – Abazia di Montecassino ma provenienti da località campane → la riforma carolingia (IX sec) aveva bandito dalle scritture ufficiali tutti i fenomeni di scripta latina rustica presenti nei documenti (tipo i 2 casi sopra) → il latino di sbarazzava delle interferenze delle pronunce romanze e assumendo un aspetto prossimo del latino scritto antico → si acuisce il divario tra le due lingue: lingua scritta di uso pubblico X lingua corrente di uso privato. - 4 formule di giuramento di testimoni chiamati in causa per confermare la proprietà di terre contese all’Abazia, contenute agli atti rogati in un latino notarile formalmente corretto. Si deve allo scrupolo di chi le ha trascritte di averci restituito fedelmente la lingua della testimonianza sotto giuramento (altrimenti venivano trascritte in latino). - Primo tentativo conosciuto di riprodurre consapevolmente la nuova lingua → diversamente dai testi di latino “circa romançum”: riproduzione di una lingua che lo scrivente ha avvertito come completamente lOMoAR cPSD|15222555 diversa dal latino notarile producendo un testo bilingue (latino ufficiale X nuova lingua italo-romanza) e fissa sulla carta la prima immagine della lingua italiana, non più solo parlata ma anche scritta. - PROBLEMA: qual è il grado di approssimazione della scrittura alla reale pronuncia dei testi? a. sao sta per saccio (forma linguistica campana) b. ko sta per che, kelle per quelle, ki per qui (forma linguistica campana) c. Novità sintattica data dalla frase segmentata ripresa dal pronome anaforico, tipica dell’italiano di oggi (del tipo Gianni non l’ho visto) d. Genitivo di possesso parte sancti benedicti come eredità del latino. 3.2 Formula di confessione umbra: MISERERE. ACCUSOME (1075-1080) – Confessione conservata nel Monastero Benedettino presso Norcia - Uno dei più estesi testi bilingui antichi - prosa ritmata esemplata sul modello di analoghe litanie latine assimilata alle nuove esigenze comunicative: una specie di rosario penitenziale pronunciato con tutte le caratteristiche del latino ecclesiastico in bocca popolare (latino contaminato delle preghiere che si è tramandato fino al Novecento) - Caratteri linguistici pienamente volgari che si riscontrano nei dialetti umbri attuali: - passaggio da -e, -o → -i, -u (battismu per battesimo, nui per noi, puseru per imposero, dalu per dallo, delu, per dello); - so per sono, comandao per comandò, tipiche delle lingue dell’Italia meridionale - scioltezza della sintassi che esprime i sentimenti immediati e la partecipazione emotiva del penitente - legami paratattici (rapporti di coordinazione) tra le frasi con particelle di raccordo vuote che svolgono funzione di connettori testuali, come sì e della congiunzione ke come subordinatore aspecifico polivalente (causale → poiché, finale → affinché) 3.3 Testimonianza di Travale: “GUAITA; GUAITA MALE” – Volterra (1158) – documento per il possesso di alcuni casolari a Travale - uno dei più antichi testi toscani che contiene numerose forme e frasi intere in volgare (la Toscana assumerà un ruolo fondamentale nella storia linguistica dell’italiano solo a partire dal XIV secolo) → la nuova lingua compare dove il giudice trascrive la deposizione del teste ma entra anche nella parte latina, con frequenti volgarismi, come gli articoli determinativi e le preposizioni, alternandosi, forse in maniera premeditata, 2 piani linguistici: il latino del notaio e la lingua parlata dai testimoni. - Guaita, guaita male, non mangiai ma mezo pane – la sentinella fa male la guardia perché non ha mangiato che mezzo pane. lOMoAR cPSD|15222555 È normale che un copista non siciliano di fronte a forme estranee al suo patrimonio linguistico intervenisse a normalizzare il testo. Le parole più protette dalla riscrittura erano quelle assicurato dal dispositivo della rima → per un siciliano che modellava le sue composizioni sul modello rigoroso dei lirici provenzali, esistevano solo rime perfette, ma anche in questi casi i copisti toscani operavano modificazioni. Il toscano aveva un sistema vocalico a diversi gradi (7) di apertura di quello siciliano (5): così il siciliano prevede i dove nel toscano ci sono e, e u per le e → filu/filo, pilu/pelo, cruci/croce, vuci/voce… → dal diverso trattamento delle vocali toniche ha origine la cosiddetta “rima siciliana”, o rima culturale, che in realtà non nasce dai siciliani (che avevano la rima perfetta) ma dalla trascrizione toscana (si sottolinea il ruolo d’intermediazione dei copisti): aviri/serviri diventa avere/servire, usu/amorusu diventa uso/amoroso… →la rima di parole con diversa vocale tonica diventa comune nella poesia toscana del ‘200 (poeti siculo-toscani). PIR MEU CORI ALLIGRARI (di Stefano Protonoraro) - La poesia siciliana ha rappresentato un modo innovativo e moderno di comporre versi → l’eleganza metrico-linguistica delle composizioni dei poeti federiciani costituisce un passo decisivo nell’affermazione delle potenzialità artistiche di una lingua ancora in via di formazione - LESSICO: Basato sul motivo dell’amor cortese, il componimento poetico si basava su un lessico che si serviva di termini astratti per poter descrivere i moti dell’animo → entrano nel volgare italiano molti sostantivi in -anza, -enza, -mento, che trovano corrispondenze col francese antico provenzale - TEMA: motivo amoroso dato dal paragone tra l’oblio dell’innamorato (che dimentica tutti i suoi dolori nel guardare la donna) e la tigre ammaliata da se stessa nello specchio (simbologia medievale) - Espressioni tecniche e lessemi tipici della lirica siciliana - Provenzalismi e francesismi → L’influenza dei siciliani non si esaurisce con Dante e Petrarca ma continua per tutta la storia del linguaggio poetico italiano almeno fino all’Ottocento (veglio x vecchio, augello x uccello, aura x aria, reo x malvagio, feo x fece, condizionale in -ia come saria, avria, potria, lessemi in -anza, come rimembranza, ricordanza) → sicilianismi mantenuti dalla tradizione (inerzia) poetica, in quanto codice poetico mai in contatto con i movimenti evolutivi della lingua parlata, dalla quale, fino al Novecento, il linguaggio poetico ha mantenuto un rigoroso distacco. lOMoAR cPSD|15222555 3. Poeti settentrionali: la poesia didattica del Nord (lombardo-veneta) – prima metà del Duecento - Temi morali o religiosi - Uso del verso alessandrino (doppio settenario) e del decasillabo epico - Lingua volgare per alcuni municipale, per altri una specie di koinè lombardo-veneta → tratti graficofonetici che riflettono gli antichi volgari o gli idiomi attualmente parlati nell’Italia settentrionale. - Le vocali atone finali diverse da -a tendono a cadere: grand, dond, voless… - cadono le vocali postoniche interne per sincope: lemosna, povri… - dh come grafema caratteristico per la spirante dentale sonora intervocalica: hospedhai, mantenudhi… (che poi cadranno per la sonorizzazione della dentale) - grafema x per la sibilante sorda: luxuria, bixa, laxadho (lasciato) o per la s sonora: exemplo, vixende (vicende)… - ausiliare fi(r): fin mantenudhi (sono assistiti) - influenza degli antichi volgari settentrionali praticamente inesistente sulla lingua comune → trattasi di una forte tradizione autoctona e indipendente dalle correnti principali della lingua letteraria medievale (siciliano poetico e toscano). - avrà però un uso sovraregionale (lingua koinè) nelle corti padane tra Quattro e Cinquecento, confinata in filoni marginali (scritture domestiche o private: libri di famiglia, di ricordi, lettere) o riattivazioni colte dei nostri tempi (commedia in dialetto, grammelot padani tipo Diaro Fo, il lombardo antico ricostruito dal teatro di Testori). 4. Sintassi dei primi prosatori PROSA NARRATIVA: genere in voga dalla fine del Duecento PROSA VOLGARE (o prosa toscana medievale nella varietà fiorentina): si forma in ritardo rispetto alla poesia modellandosi su 2 modelli: 1. LATINO 2. FRANCESE ANTICO: come la lingua provenzale ha esercitato un ruolo decisivo nella formazione della lingua poetica, così il francese antico ha svolto una funzione primaria per la lingua, specie nella sintassi, della prosa narrativa - PRIMI TESTI FIORENTINI, frammenti di un libro di conti di banchieri (1211): sintassi scheletrica in funzione della comunicazione pratica → semplici appunti, promemoria, di compere e vendite. - 2 TESTI/TRADUZIONI (redazioni/volgarizzazioni) di opere scritte in francese antico: lOMoAR cPSD|15222555 a. FATTI DI CESARE: volgarizzamento fiorentino di un romanzo in prosa francese (Fait des Romans) che narra le vicende di guerra romana con senso della meraviglia tipico medievale (cesare diventa un eroe arturiano, decontestualizzandolo come faceva l’iconografia medievale) b. IL MILIONE (Divisament dou Monde) di Marco Polo: resoconto dei viaggi in Oriente di Marco Polo Elementi comuni: - LINGUA FRANCESE: lingua medievale internazionale del ceto mercantile (in francese si esprimevano i mercanti o chi intratteneva relazioni con persone di regioni diverse anche italiane: Marco veneto detta in francese il libro a Rusctichello da Pisa). - REGISTRO INTERMEDIO DELLA PROSA ANTICA: tra un livello altro di prosa retoricamente elaborata e un livello basso di scritture correnti e meno controllate (libri di conti, cronache domestiche), ma distanti da esempi di prosa colta medievale, come: a. prosa scientifica dell’enciclopedismo medievale b. prosa dottrinale e filosofica di ascendenza scolastica (Dante o Brunetto Latini) - SINTASSI DELLA FRASE E DEL PERIODO: l’“italiano antico” organizza il testo (porzione macrosintattica) in modo completamente diverso da quello moderno → A e B sono scritti in una lingua simile all’italiano odierno ma che diverge nel modo di strutturare una frase e di stabilire relazioni sintattiche (trattasi di un congegno sintattico che possiede regole diverse dalle nostre): a. MORFOSINTASSI: - maggior frequenza dei pronomi personali soggetto - verbo in seconda posizione dopo un elemento preverbale (avverbio), come: ora fue, appresso andò, al didietro, atende… - sintagma congiunzione+avverbi in funzione introduttiva di frase infinitiva esclamativa, che sottolinea un brusco o inatteso cambiamento della scena narrata, rompendo con la linearità temporale e sintattica dell’enunciato introducendo una nuova situazione contingente, come: bla bla bla…ed ecco venire… - paraipotassi: “ed ecco” funge anche al livellamento di coordinazione (proposizione indipendente) e subordinazione (proposizione dipendente), che nell’italiano odierno si fa quando una subordinata anteposta viene unita ad una reggente attraverso la congiunzione e. b. SINTASSI DEI TEMPI E DEI MODI VERBALI (in discordanza con l’italiano moderno): - uso del trapassato remoto nella proposizione principale (dove in italiano moderno si userebbe un passato remoto, relegando il trap. remoto nelle proposizioni dipendenti in variazione al pass.remoto) con valore aspettuale, cioè non indicando solo il tempo dell’azione ma informando anche il modo subitaneo (l’aspetto momentaneo) e non in continuità, dell’azione (svolta “in quel preciso istante”). - uso del congiuntivo nei costrutti ipotetici esprimendo la potenzialità dell’azione (parte dubitativa o protasi), e il condizionale la “risoluzione logica” (apodosi) nel caso di realizzazione lOMoAR cPSD|15222555 CAPITOLO III MODELLI TOSCANI 1. Fiorentino, toscano, italiano Il primato del fiorentino nella storia linguistica italiana è frutto del prestigio letterario dei grandi autori trecenteschi → non è un primato trecentesco → il volgare delle loro opere non si diffonde già nel ‘300 (fino al ’500 provoca un influsso minimo sugli altri volgari italiani, se non di vocabolario poetico stilnovistico) ➔ FINO AL ‘500 (codificazione gramm.) esistono + volgari con proprie tradizioni scritte non sempre letterarie e non un unico volgare egemonico → l’autonomia di questi volgari crolla nella prima metà del ‘500 dopo la larga adesione al modello del Bembo (Prose della volgar lingua, 1525) → si afferma il modello di morfologia e morfosintassi del fiorentino trecentesco (segmento temporale di una precisa varietà toscana) di Dante, Petrarca, Bocc. Tratti del fiorentino trecentesco (e non genericamente dal toscano) assunti dall’italiano scritto e letterario, cioè acquisiti stabilmente dall’italiano comune fin dalla sua fondazione cinquecentesca: FONETICA VOCALICA: 1. I DITTONGHI IÈ, UÒ, in: piede, pietra, buono, nuovo (con o breve e e breve latina in sillaba libera) sono solo fiorentini ma anche di altri dialetti toscani e siciliano letterario… (p.62) 2. ANAFONESI (esito di i, u, toniche , da i, u brevi, latine) in famiglia (famĭlia), gramigna (gramĭnea), lingua (lĭngua), al posto di e (fameglia, gramegna, lengua) come in altri dialetti toscani. 3. AR intertonico e postonico passa a ER: Margarita → margherita, zuccaro → zucchero, amarò → amerò MORFOLOGIA 1. 1°P plur INDICATIVO in -IAMO (amiamo) – nei non fiorentini era amamo 2. DESINENZA CONDIZIONALE -EI, -EBBE (sarei, avrebbe) – a sud e nord era in -IA : sarìa, avrìa 3. DESINENZA -A per la 1° P sing IMPERFETTO: “io aveva”, mantenuti nell’italiano letterario fino al Manzoni (anche se già nel ‘400 il fiorentino aveva introdotto la forma analogica in -O, non accolta dalle grammatiche del ‘500 che si rifanno al fiorentino del ‘300) CARATTERISTICHE STRUTTURALI 1. ASSENZA DI METAFONESI, cioè di vocali toniche condizionate dalle vocali finali, come avviene in tosotusi, sicco-secca… 2. CONSERVAZIONE DELLE VOCALI FINALI DI PAROLA, in contrasto coi dialetti settentrionali in cui le parole potevano finire per consonanti lOMoAR cPSD|15222555 3. MANTENIMENTO DELL’OPPOSIZIONE FUNZIONALE TRA CONSONANTE DEBOLE E CONSONANTE INTENSA nelle coppie: polo/pollo, bruto/brutto, fato/fatto… TUTTAVIA: → TRATTI NON FIORENTINI restano comunque presenti nella lingua parlata formando, insieme ad altri tratti fonomorfologici locali le pronunce regionali. → TRATTI FIORENTINI NON ASSORBITI DALLA LINGUA COMUNE: - Del fiorentino post-trecentesco, ma usati da autori come Machiavelli e Guicciardini, cioè prima che gli stessi toscani accettassero la norma bambesca, come: a. 3° P plur IND PRES in -ONO (amono, cantono) b. l’articolo plurale “e’” per “i” (e’ gatti) - Tratti fonetici fiorentini come: a. riduzione di uò ad ò (ovo, omo…) b. Gorgia Toscana (spirantizzazione intervocalica delle consonanti sorde occlusive: c,p,t), come: amico, lupo, dito, che può arrivare al dileguo della consonante (amìo). → entrambi documentati in una fase tarda del fiorentino (post norma bembesca) e nel caso b senza una tradizione ortografica che li sorreggesse (fonetismi di livello basso-popolare) → Nel caso a il tentativo ottocentesco di estendere tale tratto fiorentino all’uso generale scritto si è ristretto ad alcuni casi come: figliolo, campagnolo, barcaiolo, gioco. → IL TIPO LINGUISTICO FIORENTINO COME MODELLO DI LINGUA COMUNE NON è QUINDI UN FENOMENO LINEARE: nella storia linguistica dell’italiano la scelta di questo particolare dialetto a matrice dell’italiano avviene principalmente attraverso il CANALE ELITARIO DELLA LETTERATURA → ma l’assunzione della letteratura a modello di lingua comune non è stato un fenomeno medievale e trecentesco ma RINASCIMENTALE → finché i volgari mantennero la loro autonomia il riconoscimento di un modello linguistico dominante ha operato principalmente sotto forma indiretta del prestigio culturale accordato ad alcuni autori ritenuti da subito esemplari. lOMoAR cPSD|15222555 2. Lingua e linguaggi di Dante 2.1 L’italiano di Dante → La lingua di Dante non è così immediatamente comprensibile per un lettore moderno Tanto gentile e tanto onesta pare (da VITA NOVA) → sotto l’apparente trasparenza linguistica del componimento si nasconde un codice profondamente diverso: non c’è parola o costrutto che non presenti minime o massime differenze dall’italiano moderno: a. forme arcaiche (ogne, devèn, li, laudare, vestuta, spirto…) b. parole desuete (labbia per volto) c. parole che si sono mantenute nella lingua moderna ma con funzioni grammaticali e semantiche diverse: - altrui usato come complemento oggetto quando oggi si usa solo come aggettivo (vizi altrui) - posizione pronome clitico la in caso accusativo tra particella negativa e verbo in: no l’ardiscon di guardare oggi impossibile (non la osano di guardare) - ordine sintattico antico in venuta… a miracol mostrare, con complemento ogg. tra prep. a e verbo - mostrasi invece di si mostra con il clitico dopo il primo verbo (legge Tobler-Mussafia rispettata da Dante). - altre sgrammaticature eliminate poi dalla codificazione bembesca, come: che intender… la prova. - terminologia del linguaggio stilnovistico che rinnova il lessico cortese dei siciliani risemantizzando alcuni lessemi chiave: gentile e onesta per nobile di atteggiamento, donna per signora del mio cuore, umiltà per benevolenza, piacente per bellezza spirituale, pare per mostrarsi (evidenza). → Sfatare il mito che l’italiano antico sia rimasto inalterato fino ad oggi, come se Dante avesse inventato dal nulla l’italiano e lo avesse consegnato alle generazioni future in forme perfette e fisse → l’apparente omologia delle strutture linguiste nasconde una diversità profonda → il contributo di Dante per la costruzione di una lingua comune su basi letterarie (operata dalla codificazione grammaticale cinquecentesca) non è stato maggiore di quello di altri autori del Trecento come Petrarca (per il linguaggio poetico) e Boccaccio (per la prosa). → La codificazione della lingua comune nel ‘500 non ha eletto l’ “italiano di Dante” come modello normativo. Ma in che lingua ha scritto Dante? PLURILINGUISMO: non usa un’unica lingua ma più lingue, che si adattano all’erotica stilnovistica (Rime), alla molteplicità dell’esperienza sovrasensibile (Commedia) o alla lingua filosofica di ragionamento argomentativo (Convivio) secondo le concezioni retoriche-stilistiche del lOMoAR cPSD|15222555 Cicerone o di Livio) è qui che si forma quello stile periodico (stile polifrastico) della prosa italiana che avrà come continuatori Boccaccio, Bembo, Guicciardini (ed altri) 2.4 Il “volgare letterario comune” (vulgare latium) Merito di Dante → aver posto il PROBLEMA DELL’ESISTENZA DI UN VOLGARE LETTERARIO COMUNE (“illustre”) tuttavia ristretto ad una collettività ristretta formata soprattutto da poeti → tale ricerca è il tema di base del De vulgari eloquentia (trattato incompiuto del 1305) → PROCEDIMENTO EURISTICO (relativo all'ipotesi-guida di una ricerca scientifica e alla metodologia che vi è connessa) x riconoscere i tratti specificamente linguistici che avrebbero dovuto contrassegnare la LLC (Lingua Letteraria Comune), ovvero quella che chiama vulgare latium, o latinum vulgare illustre: attraverso sottrazione degli elementi troppo municipali dei volgari e effettuando una: → CLASSIFICAZIONE PREVIA DELLE LINGUE in base e al criterio della confusio linguarum e del mito babelico (interruzione del monolinguismo della lingua adamitica) che distingue 3 ceppi europei: lingue romanze neo-latine, lingue germaniche, lingua greca. Le lingue romanze a loro volta si distinguono in: - LINGUA D’OIL (francesi nord) - LINGUA D’OC (“ibero-romanzo” che comprende provenzali e catalani e forse spagnoli e portoghesi, semplificati sul modello occitano-catalano) - LINGUA DEL Sì DEGLI ITALIANI → Prima rappresentazione (seppur semplificata) su basi linguistiche del dominio italo-romanzo → criterio etnico-geografico: esistono regioni geografiche con un relativo idioma peculiare e volgari specifici regionali → Dante individua 14 varietà idiomatiche distribuite su altrettanti territori: il toscano è una di esse ma senza un ruolo dominante (si affianca agli altri volgari disegnano la cartina dialettale dell’italoromanzo) → in realtà gli idiomi mutano da regione a regione ma anche dentro la stessa città, potendo registrare un migliaio di varietà → Dante adotta un parametro “largo” che non tiene conto delle variazioni “minime” identificando 14 varietà dominanti disegnando una cartina dialettale basata sul displuvio appenninico (dove dx e sx sono ricavate dalla posizione relativa ai fiumi): 1. siciliano 2. pugliese (àpuli occidentali) 3. romanesco 4. spoletino (umbro) 5. toscano 6. genovese 7. sardo 8. calabro (àpuli orientali-campania) 9. anconitano 10. romagnolo 11. lombardo lOMoAR cPSD|15222555 12. trevigiano-veneziano 13. aquileiese (ladino-friulano) 14. istriano → CONCLUSIONE: Dopo aver indagato sui singoli volgari italo-romanzi e non aver trovato un idioma che da solo possa definirsi “illustre”, Dante ammette che la LLC vada rintracciata nella lingua della tradizione poetica dai poeti siciliani agli stilnovisti, una lingua, questa, usata anche se da pochissimi. → primo riconoscimento della formazione della collettività linguistica su base esclusivamente e selettivamente letteraria, perché si fonda principalmente sul linguaggio poetico (quello della prosa ancora non ha consolidato la propria tradizione illustre) → Idea data dal fatto che i testi a disposizione di Dante erano “normalizzati” dai copisti: le differenze linguistiche tra autori di regioni diverse venivano azzerate attraverso un processo di “toscanizzazione” operato dai copisti toscani, uniformizzando la faccia linguistica e ripulendola dagli usi locali → l’idea di una lingua letteraria comune è nata da un equivoco che ha percorso per lungo tempo la storiografia letteraria e linguistica italiana, a partire dalla riproposta in chiave “italianista” delle idee dantesche operata da Giovan Giorvio Trìssino (CAP VII.2a), pubblicando la versione italiana del trattato di Dante (1529) su cui costruisce l’alternativa al modello toscano bembesco. 3. Petrarca e la codificazione del linguaggio poetico 3.1 Il metodo del Petrarca lOMoAR cPSD|15222555 PETRARCA: primo grande autore di cui conosciamo gli autografi e redazioni diverse dalle sue poesie: la lingua volgare del Petrarca è possibile studiarla senza filtri linguistici dei copisti (diversamente da dante conosciuto attraverso le copie in cui la certezza assoluta è garantita solo con le “parole protette” dal meccanismo della rima) → Amo Sol, quella fronde ch’io sola amo: sonetto dal Canzoniere (Rerum Vulgarum fragmenta, o poesie scelte in volgare) in 2 versioni autografe: 1. V. definitiva dal Codice Vaticano latino 3195 2. V. più antica dal Codice degli Abbozzi (1336-1338) → METODO AUTOCORRETTORIO DEL PETRARCA: nel passaggio dalla v. antica a quella definitiva c’è una continua revisione di se stesso dell’autore in cerca di una perfezione irraggiungibile (artista prossimo alla sensibilità moderna), appuntando ai margini osservazioni, incertezze e note autocritiche in latino. → TEMA DEL SONETTO: distacco dalla visione della donna amata: il sole-apollo non rallenta il suo corso nonostante le preghiere dell’io narrante e presto l’ombra della sera toglieranno dallo sguardo dell’amante il luogo dove alberga la donna-lauro-fronda amata da entrambi (Laura e Dafne, nome greco del lauro) → fitta trama di relazioni tematico-figurali (procedimento iterativo dei significanti-significati che dà un senso compiuto alla poesia) → STRUTTURA TRIANGOLARE: 3 attori: io-Petrarca, sole-Apollo, fronda-Laura. Io-Petrarca e sole- Apollo prima accomunati dalla 1 persona plurale (stiamo a vederla nella 1 v. e stiamo a mirarla nella v. definitiva, cambiando l’atteggiamento psicologico dei protagonisti e il loro distanziamento contemplativo dalla donna amata, più che il valore semantico del verbo) e poi distaccati dalla forte pausa di metà verso segnalata dai 2 punti. → LE VARIANTI REDAZIONALI tra le due versioni non sono sconnesse tra loro ma provocano spostamenti nel testo da uno stato di coerenza interna ad un altro → una variante ripercuote sull’altra creando un nuovo assetto del testo che si propaga in componimenti diversi fino a ridisegnare un equilibrio dell’intera opera → le correzioni non riguardano il codice linguistico: le correzioni grammaticali non sono tutte “neutre” ma seguono una ratio linguistica → il sistema stilistico-linguistico ha già trovato un equilibrio interno “statico” (in contrapposizione col sistema dinamico delle correzioni di Ariosto nel suo Orlando Furioso, orientate, sui piani morfologico e lessicale, dal nuovo codice di riferimento bembesco → Cap 7, 5.1) 3.2 L’officina linguistica del “Canzoniere” lOMoAR cPSD|15222555 funzione grammaticale (venendo meno l’autocontrollo linguistico in parti molto estese o trascritte a distanza di tempo) → Il Canzoniere è un testo abbastanza controllato (polimorfia regolata) → OPERA DI NORMALIZZAZIONE GRAMMATICALE DELLA LINGUA DI PETRARCA operata dal Bembo, sulla base del Canzoniere autografo → pubblicazione del Canzoniere e dei Trionfi da lui curata (1501) → anche detta “PETRARCA ALDINO”: → tale normalizzazione dell’aspetto grammaticale della lingua petrarchesca che fissa definitivamente un testo canonico, cioè predisposto a svolgere la funzione di modello sia linguistico sia tematico → CORREZIONI DI TIPO MICROGRAMMATICALE (non di sostanza) volte a rendere il testo regolare dal punto di vista linguistico: - elisione o troncamento di forme piene di V (com’huom, dolor) - riduzione della grafia latineggiante pt, mn, ct (come in aspecta) nelle “forme assimilate” (aspetta) in linea con la grafia toscana e in disaccordo con la scrittura umanistica degli autori toscani del ‘500. - inserisce l’h etimologica (huomo) dove il Petrarca la ometteva (nei casi di elisione o scrittura continua come altruom) e sulle forme del verbo avere (ho, havete…) - inserisce la th nelle t semplici (da Toscana a Thoscana, da Tirreno a Thirreno…) - riduzione delle ch o gh + vocale in c o g (da stancho a stanco, da piagha a piaga…) - seleziona un’unica forma quando ce ne sono diverse (spatio, spacio, spaçio; fosse, fusse) - sostituisce Elli per Egli e meu e mei per mio e miei 4. La prosa del Boccaccio Boccaccio è considerato fin dal Cinquecento il fondatore della prosa letteraria italiana 4.1 La sintassi del “Decameron” 3 campioni di prosa del Boccaccio dal Decameron: lOMoAR cPSD|15222555 - Testo 1: l’autore prende la parola (Dico adunque) e introduce l-avvenimento esterno, la peste del 1348 da cui scaturirà la decisione dei 10 giovani di ritirarsi in un luogo appartato per sfuggirle. Per 10 gg in cui si racconteranno 10 novelle al giorno su un argomento stabilito da ciascuno di essi - Testo 2: Inizio della 4° giornata nel locus amoenus dove il re della giornata (Filostrato) invita Fiammetta a prendere il proprio turno nella narrazione - Testo 3: Nel mezzo della 9° giornata all’interno di una novella burlesca del ciclo di Bruno, Calandrino e Buffalmacco. → Colpisce la diversità linguistica – caratteristica del Decameron (diversi stili di scrittura) – delle 3 situazioni che fanno parte dello stesso testo, sia pure in parti non contigue: VARIAZIONE STILISTICOSINTATTICA → PLURISTILISMO: TANTE LINGUE QUANTE SONO LE SITUAZIONI COMUNICATIVE alle quali corrispondono tanti stili di scrittura caratterizzati da: - peculiari tratti sintattici, - peculiari collocazione delle parole in relazione agli effetti ritmico-melodici della frase - procedimenti mimetici che investono la struttura della frase e si propagano alla morfosintassi, - scelta del lessico specifico, o dialettale o allusivo al contesto geografico, al personaggio, alla stessa tradizione poetica stilnovista. Come si realizza tale variazione (tipologia sintattica) nei 3 campioni citati: Testi 1 e 2: piano alto del codice prosastico e Testo 3, narrazione dialogata - Testo 1 (dall’introduzione generale) → esempio di sintassi polifrasisitica, caratterizzato da tutti i fenomeni che contraddistinguono lo stile periodico o ipotattico: periodi molto articolati e di “lunga gittata”; uso abbondante di subordinate prolettiche collocate a incastro tra soggetto e predicato che chiudono il periodo, tipico del latino (consueta postura finale del verbo della reggente introdotta a distanza dal pronome relativo) → modello di riferimento che Boccaccio cerca di riprodurre in volgare a livello di frase complessa, cioè la partitura sintattica solenne e maestosa degli storiografi latini (soprattutto LIVIO), come le continue infrazioni dell’ordine lineare dei costrutti frastici, come le interpolazioni di elementi di vario tipo nel blocco ausiliare + participio passato (erano…pervenuti), o verbo reggente + infinito (cominciò…a dimostrare) → seguendo i moduli sintattici del latino classico, una ordo artificialis della prosa latina (forzando il volgare a dislocazioni inconsuete) che è consapevolmente riprodotta da Boccaccio → in tal senso la sintassi del Boccaccio prefigura la prosa colta umanistica del XV secolo ma se ne distacca ricorrendo a schemi ritmico- melodici ricercati nella conclusione del periodo che calcano con specifici adattamenti al volgare gli schemi accentuativi del cursus della prosa mediolatina Insomma: un modello sintattico di prosa letteraria latineggiante (periodare complesso boccacciano) fondato dal Boccaccio sulla base dei volgarizzamenti due-trecenteschi che si imporrà a partire dal Cinquecento con gli Asolani del Bembo → fino alla crisi dello stile periodico e alla sostituzione dei modelli ipotattici con quelli paratattici e francesizzanti (o europeizzanti) del 1700. lOMoAR cPSD|15222555 - Testo 2: contesto totalmente diverso → parte del giovane narratore protagonista del Decameron che da voce alle singole novelle (la parte narrativa vera e propria dunque è indiretta o di secondo grado) → tono narrativo lontano da quello dove l’autore-io prende la parola in prima persona (proemio, intro, conclu) ed è più descrittivo e “intermedio” tra il registro delle parti autoriali e il registro basso o umile dei singoli racconti (che contemplano anche mimetismi con le zone del parlato realistico) → stile elegiaco delle cornici narrative collega tale modalità descrittiva a quella del primo romanzo psicologico (Elegia di Madonna Fiammetta, 1344) sia nei temi che nello stile e linguaggio: - scenario topico lontano dai contatti col mondo e caratterizzato da immagini rassicuranti - minore tensione compositiva → abbassamento del livello ipotattico del periodare - rimane il modulo temporale cum inversum (prima…che, già…quando) in quanto stile consolidato in prosa e in poesia (stilnovistica e petrarchesca) per introdurre il nuovo, inatteso (era già...quando…) → richiamo alla poesia della cornice narrativa espresso anche dalla struttura di frase scandita in membri ritmici che costituiscono unità melodiche autonome o affiancate alla struttura sintattica complessiva → lettura metrica che consideri non solo i rapporti sintattici ma anche i legami ritmico-melodiche del testo, come: - inversione ordine diretto ausiliare-participio (cacciata aveva) che rappresenta a livello della frase quello che rappresenta nel periodo il modulo di subordinazione inversa cum inversum - variazione delle parole vuote o grammaticali (preposizioni, clitici) sfruttate per dar ritmo musicale - ripetizione a distanza degli stessi significanti (anafore, polisindeti) che producono un effetto di quasi rima e rafforzano il parallelismo totale tra i membri del testo - chiusura del periodo con la coppia di parole ossitone (tronche) - cursus ritmico della prosa mediolatina su tutto il testo - studiata disposizione delle parole che dà effetto di gravità e eleganza stilistica - Testo 3: situazione comunicativa nettamente diversa con diverse soluzioni della lingua e dei comportamenti dei personaggi: dal locus amoenus si passa al pettegolezzo erotico dei personaggi del popolo: movimenti più veloci e importanza della gestualità oltre le parole: al disinteressato ragionare dei giovani narratori della cornice si sostituisce la curiosità maliziosa per i fatti altrui e la burla. → CONVERSAZIONE DIRETTA: tipologia testuale e sintattica del dialogato che è moderna rispetto agli scambi dialogici della prosa narrativa due-trecentesca, stereotipati e lontani dalla riproduzione di un dialogo (come nel Novellino e nel Milione) → basati sua una serie lineare di domande e risposte che non ammettono salti di battuta o digressioni, servendosi di segnali espliciti che saldavano domanda e risposta generando catene anaforiche (effetto-eco) tra frasi contigue in una progressione comunicativa basata su tempi lunghi. Elementi innovativi del Boccaccio: - Dinamismo comunicativo tra una battuta e l’altra → prototipo della mimesi del linguaggio parlato - senza la catena delle anafore lOMoAR cPSD|15222555 CAPITOLO IV GLI UMANISTI E IL VOLGARE Il Quattrocento e l’Umanesimo → momento cruciale per la storia linguistica dell’italiano - Riflessione teorica degli umanisti - Recupero della lezione dell’antichità classica → Il volgare prende coscienza delle proprie origini storiche e si sperimentano nuovi parametri letterari fondati sul latino → MA erroneamente viene considerata un’epoca di transizione dalle esperienze trecentesche al consolidamento cinquecentesco di una norma comune basata sul canone letterario del Trecento toscano → secondo tale prospettiva (dei filologi fiorentini di fine ‘500) i tentativi umanistici di costruire una lingua colta esemplata sul modello latino classico (bilinguismo latino-volgare quattrocentesco) sarebbero una crisi transitoria di snaturamento del volgare (FASE DI REGRESSO della naturalità toscana della lingua del Trecento) → GIUDIZIO RESTRITTIVO DEL VOLGARE LATINEGGIANTE DEGLI UMANISTI → l’umanesimo quattrocentesco anche per la preponderanza della produzione in lingua latina veniva così tagliato fuori dalla linea portante della storia linguistica dell’italiano → PROPOSTA: valutare le riflessioni teoriche e le esperienze linguistiche degli umanisti a partire dalle motivazioni culturali → pratica di una lingua che cercava – proprio attraverso il contatto con il latino classico – di trasformarsi in uno strumento più raffinato di comunicazione non solo letterario ma anche civile e ideologico. 1. Modelli classici Nuova sensibilità culturale in più diretto e intimo rapporto con il mondo classico → ripristino di forme concettuali e linguistiche proprie dell’antichità latina → modelli formali del latino classico: recupero della forma antica basato sullo studio filologico-linguistico dei testi latini e greci, che consente l’eliminazione delle interpolazioni dei copisti medievali e ristabilisce la lezione genuina dei classici esemplati sull’usus classico → METODO UMANISTICO: applicazione rigorosa alla prosa colta quattrocentesca sia latina che volgare del modello (exemplum) ciceroniano (moduli retorico-sintattici del periodare ciceroniano) → prelievo diretto sull’exemplum dell’autore classico → il metodo d’insegnamento degli studia humanitatis (gli humanistae o studenti universitari) fu condizionato a inizio 1400 dalla scoperta dei testi fondamentali dell’antichità (De oratore di Cicerone e Institutio oratoria di Quintiliano) che rivoluzionarono l’oratoria spostandola dalle discipline filosofiche, come la dialettica, a quelle linguistico-letterarie influenzando la formazione di una prosa colta letteraria autonoma dai modelli della scolastica tardo medievale → La trattatistica e l’epistolografia ciceroniana porta uno stile di prosa fluido, elevato e non accademico. → Campi letterari nuovi come la trattatistica → antecedente alla prosa scientifica italiana lOMoAR cPSD|15222555 → I rapporti intensi e cruciali tra latino e volgare di questo periodo costituiscono un bilinguismo latinovolgare che favorisce scambi in entrambe le direzioni → si verificano fenomeni di interferenza sintattica e lessico-semantica ampliati dall’uso simultaneo del latino e del volgare e dalla pratica dell’auto-traduzione: a. il volgare si arricchisce di costrutti sintattici e di forme lessicali del latino classico → la prosa volgare si avvicina al latino nell’ organizzazione sintattico-testuale e nel lessico. b. il latino degli umanisti è influenzato da moduli volgari inediti. Modello classico di latino nel ‘400 → Latino ciceroniano → ritenuto più idoneo x acquisire una prosa nuova elegante e formale Cristoforo Landino → testo di rifondazione su basi umanistiche della letteratura italiana in cui afferma che “è necessario essere latino per essere buon toscano”. Censura lo stile negligente di Boccaccio e prende a esempio di eleganza formale l’Alberti e il Palmieri → la lingua volgare deve arricchirsi con il latinismo lessicale e fraseologico-sintattico a modello dei padri latini. → Parametro umanistico di eleganza formale che prevede l’uso abbondante di latinismi lessicali (ambito intellettuale e tecnico-scientifico) e moduli sintattici peculiari come l’accusativo con l’infinito (che trasferivano nel volgare i costrutti tipici del latino) → l’imitazione del modello classico () porta a una nuova costruzione del periodo e dell’ordinamento dei suoi elementi frasali → I moduli tipici del periodare ciceroniano alla base della formazione di una tradizione della prosa latina si ritrovano nella prosa volgare dell’Alberti e del Palmieri: a. complessità della struttura ipotattica (ampio uso della subordinazione) b. simmetria degli elementi costitutivi della frase (concinnitas) c. ordine delle parole (dispotio) su basi ritmiche e di rilievo degli elementi frasali (ordo artificialis) → ne consegue il carattere sperimentale della prosa volgare umanistica in equilibrio tra forme della tradizione trecentesca che tenta di superare e l’appropriazione dei moduli classici di prosa latina di stampo ciceroniano. → I latinismi lessicali e semantici d’età umanistica arricchiscono il vocabolario intellettuale e adeguano il volgare alla nuova funzione di lingua di cultura → “tradurre”(da una lingua all’altra) sostituisce il sinonimo trecentesco di “traslatare” in concorrenza dell’omonimo “tradurre” (“condurre, trasportare da un luogo all’altro”) → Apporto dell’umanesimo alla formazione del vocabolario intellettuale italiano attraverso i latinismi colti del ‘400: a. lo studio dell’antichità greco-latina rimette in circolo termini o significati della politica e cultura classica (latinismi e greco-latinismi semantici come repubblica, come stato in senso stretto, e accademia, come gruppo di persone riunite a scopo di studio) lOMoAR cPSD|15222555 b. formazione di terminologie specialistiche modellate su fonti classiche (come nel campo dell’architettura, grazie ai trattati di Alberti) 2. Latino umanistico Sia nel latino che nel volgare degli umanisti c’è la consapevolezza del rinnovamento della lingua della precedente tradizione medievale e della rottura delle regole che regolavano la prassi linguistica colta → frattura a livello dell’organizzazione testuale (macrosintassi periodale e sintassi topologica) come nel dialogo-trattato. GRAZIE A: → Recupero formale del modello ciceroniano: inserimento delle lettere e delle orazioni di Cicerone nel curriculum scolastico delle scuole umanistiche dal 1430 → impatto sulla prosa latina da metà secolo quando “gli studenti impareranno a scrivere come Cicerone, e lo stile ciceroniano diventò norma”. → Consapevolezza dello scarto tra il “nuovo” latino ed il “vecchio” latino: questo “nuovo latino” caratterizza per un ornatus elegante, con ripetizioni di stesse parole (in contrasto con il latino tardomedievale caratterizzato per l’uso di costrutti e neoformazioni lessicali vicini al volgare) → Metà ‘400: Distanza tra latinità viva e corrente degli usi pubblici (latino medievale) e latinità classica restaurata (latino umanistico) → salto decisivo dato dalla fissazione di paradigmi morfosintattici, fraseologici e lessicali del latino dell’età ciceroniana operata nelle elegantiae di Lorenzo Valla (1444) che costituiscono la magna carta dell’Umanesimo italiano e europeo. → ELEGANTIAE: opera di ricostruzione grammaticale della lingua latina nel momento del suo “massimo splendore” su un’equazione tra max distanza dalla civiltà romana e culmine delle capacità linguistiche del latino → non un trattato grammaticale sistematico ma una raccolta di exempla che coprono tutto l’arco della latinità con l’obiettivo di ripristinare dentro un corpus esteso, una norma classica del latino, basata sull’usus scribendi di autori vissuti tra il I sec a.C. e il I sec d.C. in contrapposizione netta con la tradizione viva del latino medievale → “latino classico” identificato con la prassi linguistica degli autori tra età repubblicana e età dei Flavi → Esemplificazione grammaticale fondata sulla bono consuetudo di un settore ristretto della latinità che diminuisce drasticamente l’oscillazione diacronica del latino umanistico → Riflessi dell’opera del Valla sulla speculazione umanistica sul volgare: distinzione di 2 livelli: istituzionale e retorico-letterario per cui la lingua latina non rappresenta di per sé una grammatica ma che al suo interno esiste una lingua letteraria fissata da regole grammaticali, stilistico-sintattiche e lessicali apriva il varco alla considerazione grammaticale di idiomi diversi dal latino prescindendo dalla loro immanente dimensione letteraria, tanto più funzionale a lingue come il volgare che non avevano tradizione di scritture letterarie come quella latina. lOMoAR cPSD|15222555 c. punto debole sui tempi composti: manca la segnalazione del trapassato remoto, del gerundio composto, del condizionale passato d. si mantiene la griglia declinazionale del latino anche se non più funzionale alla lingua volgare (schema grammaticale vuoto nella morfologia del nome) e. il modello latino viene superato nell’individuare tratti innovativi del sistema verbale romanzo: - la formazione del passato prossimo e la sua opposizione al passato remoto - la formazione analitica del passivo mediante l’ausiliare essere seguito dal participio passato - la formazione del modo condizionale in confronto anche al congiuntivo (che nel latino svolgeva entrambe le funzioni) 5. Bilinguismo albertiano → confronto tra 3 campioni di prosa colta d’età umanistica: 1. Libri della famiglia di Alberti (1433) 2. Incipit del trattato Della vita civile di Palmieri (1438) Il ritratto di Niccolò Niccoli nelle Vite di Vespasiano da Bisticci (1480) → assenza di un registro omogeneo e diversità delle realizzazioni macrosintattiche → la sintassi del periodo dei tre campioni rispecchia modelli d’organizzazione testuale non affini congrui alla diversa cultura degli autori e all’impatto che il periodare latino esercita su di essi: 1. Alberti → progettualità complessa e ipotattica (sperimentalismo sintattico e sollecitazioni latine) 2. Palmieri → prosa più tradizionale 3. Bisticci → prosa paratattica e giustappositiva vicina alla tradizione autoctona delle scritture mercantili e memorialistiche medievali PROSA ALBERTIANA → complessità sintattica e prosodica data dai seguenti tratti: 1. tensione ipotattica non solo data dall’uso di subordinate gerundiali e participiali ma per la preferenza dell’accusativo con l’infinito 2. ordine libero degli elementi nella frase (ordo artificialis) 3. simmetria degli elementi frasali 4. dittologia (accoppiamento in sequenza binaria di verbi, sostantivi o attributi sinonimici o di significato diverso: maravigliarmi e dolermi…) 5. cumulo di sostantivi lOMoAR cPSD|15222555 6. ritmo interno del periodo scandito dalla ricorrenza di identiche sequenze foniche ai confini esterni della frase (rima) → tendenza a modulare la sintassi volgare sui procedimenti della prosa latina ciceroniana → l’architettura complessa del periodo albertiano rappresenta per il suo sperimentalismo latineggiante la max espressione esercitata dalle strutture latine sulla sintassi del volgare → BILINGUISMO ALBERTIANO dato da fenomeni tipici d’interferenza sintattica tra latino e volgare che è confermato nei Libri della famiglia: a. all’elaborazione stilistico-retorica esemplata su modelli classici (sintassi del periodo) corrisponde, sul lato della fonomorfologia, un adeguamento della lingua all’uso colto fiorentino del primo Quattrocento (passaggi di forme non toscane a esiti del fiorentino colto come il condizionale saria sostituito da sarebbe, escludendo il ricorso a forme popolari) b. la presenza del modello latino è pervasiva in tutti i livelli non strettamente sincronico- grammaticali e investe anche la scelta classicista di un genere tipicamente classico come il dialogo, di cui i Libri della famiglia costituiscono il primo esempio umanistico in volgare → il genere dialogico e l’aderenza formale al modello ciceroniano non sonsentono di stabilire connessioni con la precedente prosa colta trecentesca (né quella di Dante o di Boccaccio costituiscono antecedenti) → nei Libri della famiglia c’è un tentativo di agganciarsi al modello ciceroniano per sfruttare appieno le risorse sintattiche del periodare latino. c. pluralità di stili → Alberti argomenta il suo progetto innovativo servendosi di 4 protagonisti: Lionardo, Battista, Giiannozzo, Adovardo, ai quali è affidato il compito di orientare il tema di ciascun libro: al variare del personaggio varia lo stile peculiare di ogni libro → adeguazione mimetica alle modalità espressive di ogni personaggio (in assenza di un vero e proprio punto di vista dell’autore nelle diverse e contrastanti posizioni assunte dai personaggi del dialogo) d. lingua familiare e colloquiale dal punto di vista della sintassi (parlare più libero) piuttosto che aderente alle reali abitudini linguistiche del fiorentino parlato quattrocentesco che costituisce invece la base fonomorfologica della prosa. e. substrato stilistico della prosa latina che opera sia a livello di organizzazione testuale sia nella sintassi interna del periodo: Tendenza verso il latinismo sintattico in alcune parti ci sono periodi complessi (tensione ipotattica) imitando uno stile oratorio formale → predilezione dell’ornatus ciceroniano dato dall’uso della dittologia e delle interposizioni di elementi frastici nelle sequenze nome-aggettivo o ausiuliare-participio passato che restituiscono la tipica faccia della frase latina. f. TERZO LIBRO: in contrasto la sintassi del terzo libro (tema della masserizia) in cui la sintassi si fa a misura del parlato nonostante conservi un certo rigore formale → si veda in questo senso il richiamo alle scritture familiari nei consigli pratici del personaggio senza educazione letteraria (Giannozzo) → il periodo si frantuma in tante piccole monadi senza connessioni a lunga distanza con frasi lineari e progressione naturale dei componenti frastici. Si cerca un equilibrio tra modelli classici e le scritture private in cui i moduli del parlato coevo sono riprodotti ad un livello di simulazione dell’oralità e non accolti passivamente g. la sintassi degli exempla attua procedimenti schematici della brevitas latina lOMoAR cPSD|15222555 h. altri moduli sintattici dei Libri della famiglia richiamano il modello latino: costrutto dell’accusativo con l’infinito (dico di mangiare); giustapposizione tra verbo reggente e infinito (cercate abondare) omettendo le parole vuote (preposizioni, congiunzioni, articoli) come è tipico del latino classico. → Il confronto con il latino ha determinato una razionalizzazione dei rapporti tra proposizione principale e subordinata → la scelta della sintassi vicina al modello classico ha prodotto il rarefarsi di fenomeni peculiari della prosa volgare antica (uso raro del participio passato assoluto e paraipotassi tipica del medioevo limitata a occorrenze sporadiche nel terzo libro, più basato sull’oralità). → I Libri della famiglia non ispirano una tradizione di prosa colta in volgare ma costituiscono l’esperienza più notevole di bilinguismo latino-volgare quattrocentesco, investendo in profondità le strutture volgari →Procedimenti sintattici caratterizzanti la prosa del volgare dell’Alberti come esempio di sperimentalismo linguistico del primo Quattrocento: raggiungendo in modo sperimentale la forma classica della prosa latina (la sintassi albertiana) nei confronti della prosa coeva (come quella del Palmieri influenzata dai modelli trecenteschi) si riflette in ambiti non linguistici, come l’architettura → in quanto ricerca di una proporzione classica tra gli elementi compositivi. 6. Prosa scientifica La mancanza di una prosa colta che si rifà allo sperimentalismo sintattico albertiano non ne diminuisce l’importanza nella storia della lingua italiana del Quattrocento → l’inattualità del modello linguistico albertiano già a fine ‘400 sono da imputare a: 1. ripresa di una tradizione letteraria toscana dei modelli stilnovistici senza impegnarsi nella prosa argomentativa “civile” 2. Affermazione di un umanesimo volgare che additava nel Boccaccio la prosa e nel Petrarca la poesia come canoni di una lingua letteraria in via di formazione → BEMBO: L’antilatinismo programmatico del Bembo segna dunque il discrimine tra la prima fase dell’Umanesimo sperimentale latineggiante dell’Alberti (continuato dalla prosa polifilesca) e il ritorno al modello linguistico del Trecento toscano come base per la codificazione grammaticale e la prassi pessicografica cinquecentesco → Contributo albertiano: nella lingua delle opere tecniche alla formazione di una prosa e di una terminologia volgari di carattere specialistico → i pochi volgarizzamenti trecenteschi di opere tecnicoscientifiche dell’antichità non intaccarono l’assoluto predominio del latino nel campo della trattatistica specializzata, che rimarrà fino al Settecento → solo col ritorno dell’interesse per l’antichità classica dell’Umanesimo si iniziò a consolidare una nuova visione epistemologica che poneva le basi per una riorganizzazione dei campi della conoscenza. DE PICTURA → l’esperienza linguistica dell’Alberti in campo artistico-architettonico è interessante: la doppia versione latina a volgare del trattato De pictura (capolavoro di auto-traduzione) e bifrontismo latino-volgare) rappresenta un esempio tra i primi di prosa scientifica moderna sviluppata col recupero lOMoAR cPSD|15222555 principe) in cui emerge un tentativo consapevole di lingua che si allontana dal dialetto per assumere una fisionomia regionale o sovraregionale. → Gli spostamenti dei principi nei vari principati li costringe a adattare il loro volgare originario agli altri, attenuandolo fino a farne uno strumento neutro e fruibile in ogni ambiente → patina latineggiante dei documenti quattrocenteschi avvertibile in una 1° lettera è il collante attorno al quale si aggregano le tendenze centripete verso l’italianizzazione (latinismi e qualche toscanismo) 1. le 3 lettere, al di là delle peculiarità individuali culturali di ciascun scrivente (habitus cancelleresco della 1° lettera, lessico più eletto nella 3°) mostrano una veste linguistica affine: l’ibridismo latino-volgare costituisce il fondo comune dei 3 testi mentre le deboli tracce dialettali (cossa, cossì) scompaiono gradualmente nella 3° lettera. 2. Presenza dei latinismi (cancellereschi o umanistici) riguarda la realizzazione grafica etimologica o paraetimologica (facto, nocte, proximo, notitia…) e le scelte lessicali (coniuratione, subiectione) e alcune formule sintattiche della prassi scrittoria cancelleresca. 3. Assenza di una standardizzazione delle caratteristiche grafico-fonetiche e morfologiche che presentano oscillazioni tra forme concorrenti, in linea col latino, coi dialetti o col toscano. 4. Una tendenza alle koinè sovramunicipali è fenomeno già visibile nei testi non toscani del Due-Trecento creando una continuità con la standardizzazione linguistica che avviene tra Quattro e Cinquecento nelle scritture pratiche delle cancellerie padane → la lingua cortigiana può considerarsi l’applicazione in campo letterario delle koinè regionali (prima che l’opzione del toscano letterario si affermasse a inizio 1500 furono scritte in lingua cortigiana grandi opere come L’Orlando innamorato del Boiardo e l’Arcadia di Sannazaro) ma l’assenza di una norma stabile e di un modello linguistico uniforme e prestigioso interruppero sul finire del Quattrocento una produzione rimasta quasi totalmente ai margini della tradizione letteraria. 2. Oralità e predicazione religiosa → Comunicazione religiosa: tipica ricerca della comunicazione a un uditorio scarsamente acculturato: necessità di una lingua comprensibile a tutti a scopo divulgativo, alle prese con le esigenze del vissuto quotidiano e non direttamente coinvolta con la letteratura fine a se stessa ma dedicata alla ricerca intima del contatto più diretto e intimo con l’uditorio adattandosi ad un livello medio di competenza linguistica per non essere una “voce nel deserto” → lingua dei predicatori come uno dei primi esperimenti del volgare come lingua pubblica lOMoAR cPSD|15222555 → Il primo registro volgare predicatorio si forma nel Trecento ad opera degli ordini dei mendicanti francescani e domenicani in Toscana → con Bernardino da Siena il sermone in volgare aquisisce uno statuto autonomo. “PREDICHE DEL CICLO SENESE”, 1427: trascrizione delle prediche come documento di lingua d’uso unico → tecnica omiletica (predicatoria) bernardiniana in cui spiccano i fenomeni tipici dell’oralità e una riduzione a sermo humilis dei contenuti dottrinali delle sacre scritture (dirlo chiarozo chiarozo, “parla chiaro!): a. frequenti interiezioni, frasi esclamative e interrogative dirette testimoniano i tratti prosodici a misura di parlato b. iterazioni (ripetizioni) “a contatto” di elementi verbali c. sintassi lineare e paratattica con frequenti incisi che frantumano il periodo e riproducono il giro breve del parlato spontaneo, caratterizzato da riprese e ridondanze con segnali funzionali (evitando legami a distanza) → ripetizioni di elementi frastici o di intere frasi d. fenomeni lucidi del linguaggio: giochi di parole, ecolalie, neoformazioni lessicali e. onomatopee f. simulazione dei procedimenti del parlato presente anche nella novellistica toscana del Trecento ma che qui viene sfruttata per accattivarsi l’uditorio e non per sfoggio linguistico → Prosa caratterizzata da strutture paratattiche, parallelistiche, iterative (ripetitive) della sintassi in contrasto apparente con l’elitarismo latineggiante della prosa dell’Alberti → più che un contrasto si tratta di un uso tattico della lingua → progetto linguistico del Bernardino (non meno colto dell’Alberti) finalizzato a raggiungere il pubblico con una lingua più aderente al vissuto quotidiano → in questo senso non si tratta di una lingua povera e rozza ma di una lingua in equilibrio tra gli eccessi del dialetto e la più elevata prosa umanistica 3. La comunicazione epistolare Accanto alle comunicazioni ufficiali e diplomatiche (primi tentativi di lingue strumentali sovraregionali) prende corpo una copiosa produzione di lettere (familiari) private, riflettendo un allargamento della pratica della scrittura a forme di comunicazione senza pretese letterarie o esigenze politiche. → si consolida una forma primaria di scrittura (accanto al ricordo scritto, al memoriale, al diario) elaborando in volgare un peculiare registro o linguaggio della comunicazione privata (di cui si conoscevano solo esempi illustri in latino) lOMoAR cPSD|15222555 → Età COMUNALE : momento in cui la comunicazione epistolare si diffonde in modo massicico diventando la scrittura-guida (forma scritta più praticata) → sviluppo della civiltà mercantile per cui si diffonde tra i ceti intermedi un uso scritto in volgare, specie in area centrale e in Toscana → lettere dei mercantiscrittori altamente rappresentative di questo campo di applicazione del volgare, comprendendo: 1. lettere mercantili (pratiche) 2. lettere familiari (private) → spesso nelle lettere d’affari si affianca la nota di vita privata, come uno spiraglio in cui emergono le preoccupazioni del vissuto familiare → legame tra produzione “privata” con la comunicazione orale anche se ovviamente la componente di oralità spontanea è stemperata dall’esercizio della scrittura e le strutture del parlato filtrano solo ove concesso e quando si grammaticalizzano, cioè dove trovano un’adeguata espressione nel codice formale della scrittura. → STESURA FEMMINILE della produzione delle scritture private a ribadire il carattere intimo della prosa domestica 73 LETTERE AI FIGLI DI ALESSANDRA MACINGHI STROZZI (1447-1470) → nobildonna fiorentina alle prese con le sorti economiche della propria casata. → Testo della lettera scritta ai figli Filippo in occasione della morte del fratello Matteo → Patina omogenea dell’epistolario in un fiorentino colloquiale tipico dei documenti privati → caratteristiche macrosintattiche e retorico-testuali delle lettere: a. sintassi paratattica: frasi articolate in una sequenza coordinativa senza subordinazioni con nessi giustappositivi come il che polivalente (congiuntivo) che porta dalle strutture ipotattiche verso la paratassi e la coordinazione (tendenza ad allineare segmenti frastici) → cortrutti ad incastro dove le subordinate sono raccordate da segnali di richiamo secondo un procedimento di sovrappiù grammaticale (che….che…) tipico dell’oralità. → lingua non piatta: le strutture paratattiche conferiscono vivacità e vitalità senza togliere cura e formalità segno di una tradizione toscana di dettar lettere tramandato di generazione in generazione e che contava su: a. formule retoriche (polisindeti, strutture binarie, dittologie sinonimiche) b. formule testuali non letterarie ma tipiche della consuetudo dello scrivere corretto c. partizioni canoniche di organizzazione testuale (saluti, esordio, narrazione, conclusione) d. formule d’ingresso e di conclusione legate al genere epistografico e al registro comunicativo lOMoAR cPSD|15222555 modello (come gli autori toscani del 300) → si respingevano scritture avvertite coscientemente come inferiori a livello sociolinguistico, come la letteratura dialettale subalterna. 2° metà del 400 → INVENZIONE DELLA STAMPA A CARATTERI MOBILI permette la diffusione dei primi libri riprodotti serialmente non più scritti a mano, favorendo: - allargamento utenza libraria - standardizzazione della lingua con la richiesta dei tipografi di norme precise per la composizione - aumenta l’attenzione sul testo scritto e sulla lettura individuale - diffonde le lingua degli scrittori-modello con la stampa delle prime opere – le poesie del Petrarca, il Decameron, la Divina Commedia – catalizzatori alla costruzione di una norma letteraria. 1. Modelli toscani Ambiente mediceo-laurenziano → valorizzazione della tradizione poetica e linguistica toscana dallo stilnovismo alla produzione contemporanea Raccolta aragonese (1477) → raccolta di più autori (antologia, silloge) che stabiliva il canone letterario toscano fondato non solo sui grandi trecentisti ma anche su poeti di corte medicea → documento del progetto politico-linguistico di espansione del modello toscano-fiorentino → Accompagna la lettera di Poliziano indirizzata a Federico d’Aragona, che difende il primato del toscano come volgare-guida della letteratura e pone le sue basi come lingua comune oltre i suoi confini geografici. → Toscano come lingua non dialettale ma già consapevole delle sue potenzialità migratorie e unificatrici perfezionando l’opera avviata dei trecentisti → s’avvia un processo di toscanizzazione della letteratura non toscana in tutto il territorio con modalità specifiche. Poesia toscana tardo-quattrocentesca (dei poeti laurenziani come Lorenzo de Medici, Poliziano, Pulci: → accoglie liberamente le innovazioni del volgare contemporaneo affianco a forme della tradizione poetica antica (sicula, provenzale) e a latinismi umanistici. → Nella morfologia verbale vi è aderenza all’uso linguistico coevo vivo, che segna il maggior distacco dal modello trecentesco, più vicine all’italiano moderno (come “io andavo” anziché “io andava” trecentesco poi riaffermato col Bembo fino al Manzoni). → Nella morfologia dell’articolo usano le forme vive el, e preferite a il, i lOMoAR cPSD|15222555 → Nei possessivi plurali il tipo letterario tradizionale miei, tuoi, suoi alterna col tipo fiorentino vivo mia, tua, sua → Esclusione di fenomeni sociolinguistici avvertiti come “bassi”, come parte di una selezione grammaticale, una norma alta letteraria (come ghiusto per giusto, sugghietto per suggetto…) così come le assimilazioni popolari (mandallo per mandarlo), il passaggio di v in b (boce), il -gli plurale di -llo (fratello-frategli) della poesia popolare INFLUSSI: FORME ARCAICHE: Il recupero dello stilnovismo e della tradizione prepetrarchesca comporta la presenza di forme arcaizzanti come gli astratti in -anza e -enza, già molto limitati in Petrarca. LATINO: amplia il repertorio lessicale con parole dotte e semantico (raccogliendo la tendenza umanistica) ESPERIENZA DEI POETI LAURENZIANI: la grande tradizione letteraria ha posto i poeti toscani della corte medicea in una posizione privilegiata → eredi di una lingua e letteratura già “classica” e imitata fuori toscana, i laurenziani saldarono l’esperienza trecentesca con la nuova sensibilità umanistica dando vita ad un modello linguistico-letterario più duttile e raffinato di quello petrarchesco, caratterizzato da una maggior incidenza del latino e del latinismo (semantico e lessicale) → il recupero della lezione petrarchesca e la tendenza ad un classicismo volgare avverso al latinismo, avvenuto nel primo 500 hanno tolto ai poeti laurenziani il ruolo di modelli di lingua e letteratura che potenzialmente erano in grado di svolgere 2. Modelli settentrionali Se un fattore decisivo per la diffusione di un modello linguistico sovraregionale nella 2° metà del 400 è dato dalla produzione letteraria di ispirazione petrarchesca – il Canzoniere rappresenta un paradigma letterario di temi, forme metriche e lingua – ricongiungendosi a tale tradizione lirica diversamente dai poeti medicei, la poesia lirico-amorosa delle corti settentrionali costituisce un tentativo sperimentale di una lingua comune coscientemente allontanata dal dialetto locale ricorrendo al toscano letterario trecentesco e al latino. → si parla di ibridismo linguistico per definirne il carattere non omogeneo e sperimentale → tuttavia presenta tratti linguistici costanti, come: - uso di varianti fonetiche e morfologiche toscane per mascherare le forme locali (tentativo di sprovincializzare le lingua e avvicinarla ad esiti comuni e sovraregionali di koinè) - DUBBIO: le forme locali rappresenterebbero, dunque, un ingrediente inerziale nell’avvicinamento al toscano o un ingrediente intenzionale per un modello italiano alternativo al modello dominante trecentesco? → è che il volgare letterario del 400 è ancora una lingua lOMoAR cPSD|15222555 sperimentale non ancora fissata a norme precise ma che assimila i modelli letterari toscani attraverso la lettura, di modo che il Petrarca è un modello linguistico artificiale e non sistematico (implicando incertezze per il lettore non toscano). FERRARA → Centro più importante nella formazione di una koinè padana in letteratura → Esempio + significativo dell’acquisizione della cultura linguistica toscana: Matteo Maria Boiardo, la cui koinè padana subisce gli influssi del toscano letterario petrarchesco e del latino (latinismo umanistico) → soprattutto nei componimenti del Canzoniere (Amorum Libri), più che nel poema epico cavalleresco (Orlando Innamorato) tipicamente cortigiano legato a tradizioni autoctone. → Amorum Libri: rappresentante della produzione petrarcheggiante tardoquattrocentesca delle corti padane: apporto dialettale limitato nel lessico ma espressivo nella fonetica e morfologia (soprattutto quando coincide col latino). La pressione del volgare locale diminuisce quando coincidono gli esiti tra latino e toscano (in forme anafonetiche). L’oscillazione testimonia un accoglimento non ancora sistematico del toscano. → Nel lessico valgono le stesse considerazioni dei poeti medicei: il latinismo lessicale è un fenomeno generale della cultura umanistica ma è sicuramente meno accentuato nella poesia (su cui pesa una tradizione volgare toscana) che nella prosa, priva di modelli trecenteschi ugualmente potenti (scarso ancora l’influsso del Boccaccio). - La giustapposizione di moduli lessicali petrarcheschi (toscano-letterari) e latineggianti interessa tutta la produzione lirica quattrocentesca al di là della regione → il latinismo diventa un serbatoio al quale gli autori attingono in carenza del vocabolario locale, in modo da evitare il dialettismo e nobilitare il lessico come forma italiana sovraregionale. - Tra i latinismi boiardeschi di diffusione umanistica, come tentativo di oltrepassare il vocabolario petrarchesco, citiamo: adusto per nero, bruciato, atroce per crudele, concetto per creatura, parto. - Dei pochissimi dialettismi presenti con aspetto toscano citiamo: risoro per conforto, invoglia (avvolge) è l’adattamento toscano del ferrarese invujar… 3. Modelli meridionali 2° metà 400 → Sud (NAPOLI) presso la corte aragonese → diffusione di una lingua comune letteraria dove il dialetto locale si stempera nel contatto col latino e col toscano letterario: come al nord la lingua della poesia lirica fornisce il campione di un volgare letterario affrancato dal dialetto, a modello di Petrarca → anche qui il petrarchismo non si limita all’assunzione di schemi metrici e motivi retorici ma diventa un fatto linguistico → Il ricorso a tratti dialettali viene limitato ai componimenti popolareggianti e non influisce nelle poesie di stretta osservanza petrarchesca lOMoAR cPSD|15222555 - preposizione “de” per di - uso delle proclitiche (se, me, ce, te..) - uso di verbi popolari, di diminutivi espressivi (trecce biondelline, dolce paroline) e di lessico realistico OPPOSIZIONE CITTÀ/CAMPAGNA della poesia rusticale toscana di fine 400 → diventa contrasto tra 2 codici linguistici: LINGUA LETTERARIA/DIALETTO RUSTICO avvertito a partire dalla consapevolezza di una lingua letteraria di carattere unitario → si costituisce una letteratura dialettale subalterna distante dalle forme espressive del petrarchismo linguistico (ben lontano dal filone della parodia dialettale o della dialettalità riportata) → SI percepiscono ora più che mai dislivelli interni tra cultura egemonica (elitaria, depositaria della tradizione letteraria) e le culture subalterne (mondo rurale, culture urbane marginali) che continuano a esprimersi col dialetto locale. → La presenza di una norma implicita nata con l’adesione spontanea alla norma linguistica più prestigiosa giustifica gli esperimenti quattrocenteschi di dialettalità subalterna (continuati anche dopo) non limitati solo alla toscana ma laddove si costituivano modelli dominanti di espressione letteraria. ESEMPIO DELLA CORTE ARAGONESE dove il modello petrarchesco aveva stabilizzato una koinè letteraria distante dal dialetto locale → poeti come De Jennaro e Sannazaro alternarono a versi in lingua composizioni di carattere popolare in dialetto napoletano (gli gliommeri, tipiche forme poetiche napoletane in endecasillabi in rima col primo emistichio del verso successivo del 400-500) in cui si manifesta la consapevole riproduzione de dialetto parlato dagli strati sociali inferiori della città → il codice sociolinguistico più basso (dialetto plebeo urbano) si contrappone al codice aulico della lingua letteraria e i 2 codici possono anche coesistere all’interno dello stesso gliommero. ESEMPIO: “Eo non agio figlio né fittigli” (non ho figli ne guai), GLIOMMERO di DE JENNARO (titolo proverbiale che rappresenta il monologo-caricatura di un personaggio dei bassifondi, un sarto sorpreso a defecare in un vicolo e messo in fuga da un gruppo di megere) → il confronto tra dialetto dello gliommero e la lingua letteraria del de Jennaro petrarchista dà la distanza tra 2 codici che sembrando muoversi in direzioni opposte: verso la deriva della dialettalità parlata (appena trattenuta dalle resistenze della scrittura) e verso la codificazione di un vocabolario standardizzato (elitario, letterario, sovraregionale) per sua natura poco aperto alle sollecitazioni “dal basso”. lOMoAR cPSD|15222555 CAPITOLO VII IL PROBLEMA DELLA NORMA DEL CINQUECENTO 1. Fattori di unificazione: la stampa e le revisioni editoriali (p.189) STAMPA → prima standardizzazione degli usi linguistici nei testi letterari: la lingua si depura du particolarità locali in un processo lento e non pianificato almeno fino a inizio del ‘500, quando la correzione si farà più consapevole e la revisione editoriale sarà affidata a letterati → nuovo criterio di leggibilità: Il testo si fa più leggibile per tutta una serie di accorgimenti grafico-editoriali: l’ortografia moderna tipografica risponde ad una nuova esigenza di normalizzazione della veste linguistica di stampa: - elimina segni diacritici e fenomeni superflui della scripta medievale - si serve di indicazioni paragrafematiche (interpunzione, separazione delle parole, accenti, apostrofi) → Regolarità seriale data dalla tecnologia del mezzo che contribuisce alla diffusione della nuova impaginazione del libro più vicino a come lo concepiamo oggi lOMoAR cPSD|15222555 ESEMPIO Differenze del profilo ortotipografico tra un libro di fine 400 e uno del 500: esempio di 2 edizioni del sonetto voi ch’ascoltate in rime sparse il suono dal Canzoniere di Petrarca (Rerum Vulgarium fragmenta) 1. Versione del 1478 (Ed. del Filelfo) - Caratteristiche di un “testo di passaggio” segnato da tratti tardomedievali: formato grande, grafia gotica, lettere capitali miniate su fondo dorato 2. Versione del 1501 a cura editoriale del Bembo (stampa aldina, di Aldo Manunzio) - formato tascabile - caratteri corsivi nitidissimi (famoso carattere corsivo aldino) che stilizza la scrittura cancelleresca chiamata italics dagli inglesi (grande impatto europeo di questo stile tipografico) - segni paragrafematici nuovi e diversi dalla edizione 1: criteri d’interpunzione (virgola per pausa debole e “;” per pausa media) al posto dei due punti per la pausa breve e medi e il trattino soprascritto per i compendi di lettere, di elisione (apostrofo) e di accentazione (“è” verbo) pressoché definitivi che fissano la norma ortografica dei testi moderni. 1502: Bembo cura l’edizione della Commedia dantesca (Le terze rime) usando gli stessi criteri ortografici già provati nell’edizione di un suo testo latino → tali innovazioni si basarono su manoscritti greci che circolavano nella tipografia aldina (per apostrofo e accento grave) Il Bembo stesso modifica i suoi criteri in edizioni successive: - Il “;” davanti al che pronome relativo (voi; ch’ascoltate) sotituito dalla semplice virgola - L’accento grave per la 3° P del verbo essere (è) si estende come segnale di accento tonico in finale delle parole ossitone (pietà) Per l’edizione del Petrarca (“PETRARCA ALDINO”), il Bembo visiona il codice autografo Vaticano Latino 3195, che influì nelle sue concezioni di lingua letteraria Implicazioni letterarie del Petrarca aldino: → Testo-guida che fissa il canone linguistico petrarchesco del 500 (distanziandosi dalle esperienze petrarchesche del 400) → Fissa una norma di lingua colta che si rifà al toscano letterario del 300 nella sua più autentica facies linguistica (lingua esemplata sul fiorentino degli autori del 300 → le forme fiorentine letterarie sostituiscono le varianti loclai o latineggianti sia nella fonomorfologia che ne l lessico: te → ti, nelo → nel, sopto→ sotto…) nasce una filologia dei testi volgari Officina tipografica elementi decisivi e opera dei revisori → per la storia dell’italiano → che sarà alla base delle lOMoAR cPSD|15222555 c. Koinè greca come esempio illustre si lingua comune fondata su basi letterarie (analoga la lingua poetica dei siciliani, non a caso “Lingua cortigiana”) TRÌSSINO → Letterato vicentino ellenofilo e MAX esponente teorico della corrente italianista del primo 500 Isola 2 momenti significativi: 1. Riscoperta e traduzione in “lingua italiana” del De Vulgari eloquentia 2. Immissione del trattato di Dante nel dibattito primo500 attraverso il dialogo Il Castellano (1529) rendendolo attuale e funzionale alla propria teoria (x esempio traducendo vulgare curiale con lingua cortigiana e vulgare latinum con volgare italiano) → il “volgare illustre” è identificato con la lingua cortigiana che non si identifica con nessuno dei singoli volgari locali ma una rappresentazione più prestigiosa → L’idea di un volgare illustre (già problematizzato da Dante) rappresenta un’utopia linguistica su cui Trìssino costruisce la propria posizione teorica: → ipotesi di lingua letteraria pancronica: in questo senso il canone dei boni auctores del Castellano è molto più allargato che nelle Prose del Bembo, prevendendo un blocco italianista che salda siciliani, lingua lirica toscana di 200 e 300 e gli autori moderni non vernacolari → modello grammaticale eclettico dove forme antiche coesistono con esiti coevi → Grammatichetta (1529) di Trìssimo: accosta forme italiane e toscane nel tentativo di normalizzare la spiccata polimorfia dell’italiano cortigiano e di conferirgli uno statuto autonomo dalla scelte arcaizzanti del Bembo e da quelle contemporaneiste dei toscano-fiorentinisti (è nella morfologia verbale che le forme italiane più contrastano con quelle toscane) B. CORRENTE “TOSCANO-FIORENTINISTA” REAZIONE FIORENTINISTA all’appropriazione di Trìssino delle tesi dantesche in favore della corrente italianista → reazioni polemiche degli autori fiorentini o toscani che trovano limitato il ruolo storico del fiorentino nella costruzione della lingua letteraria comune → Discorso intorno alla nostra lingua (1524) di Niccolò Machiavelli ribadisce il primato del volgare fiorentino sugli altri idiomi e lingue cortigiane in nome del concetto di “naturalità” della lingua fiorentina viva e parlata che da sempre è stata modello per gli autori che hanno scritto in volgare con fini letterari (rifiuta la paternità dantesca del De Vulgari e l’interpretazione italianista del Trìssino) a. Importanza ai fenomeni grammaticali che avvallerebbero la matrice fiorentina dell’italiano letterario distaccando particolarità fonetiche o fonomorfologiche (pronuncia e accenti) che farebbero del dialetto fiorentino un modello egemone su basa linguistica (es: il fiorentino fa cadere le parole su vocali mentre le lingue settentrionali su consonanti: pane/pan). b. Potenza del fiorentino di adattare il proprio sistema fonomorfologico i forestierismi siano essi dialettalismi o parole straniere lOMoAR cPSD|15222555 c. Non può quindi esistere altra lingua comune letteraria del fiorentino parlato e scritto dai tempi di Dante fino a quelli dell’autore (in contrasto con la corrente italianista e con quella arcaizzante) che è alla base di ogni lingua comune (che non può essere, quindi, chiamata curiale o cortigiana) → Le idee fiorentiniste troveranno a metà 500 una sistemazione di compromesso con la posizione vincente del Bembo ad opera di Benedetto Varchi che nel suo trattato L’Ercolano (1570) favorisce la fiorentinità della lingua ma su base dei grandi autori toscani del 300 come modello linguistico dei buoni scrittori. 3. Le Prose della volgar lingua (1525) dell’autore umanista veneziano Pietro Bembo Trattato grammaticale più importante del 500 e forse della Storia dell’italiano che fissa il canone della lingua letteraria nel fiorentino di Dante, Petrarca e Boccaccio. → Scarto delle oscillazioni d’uso in favore di un paradigma linguistico stabile → OPZIONE FONDATA SULLA LETTERATURA: Non si tratta della lingua usata nel 300 ma esclusivamente del registro scritto ricavato opere dei 3 autori → autorizzato/basato su forme, costrutti e vocaboli (esemplificati nel 3° libro) presenti nelle opere letterarie esemplari e non sulla reale situazione linguistica trecentesca fiorentina → modello di lingua elitaria svincolata dall’uso effettivo secondo l’argomento umanistico (esposto nel 1° libro)contro i sostenitori della lingua cortigiana che “non si può dire che sia veramente lingua alcuna favella che non ha scrittore” → Distacco definitivo della lingua letteraria dalle scritture pratiche e cancelleresche sulle quali si basava l’esperienza quattrocentesca delle lingue cortigiane e delle koinè → alla polimorfia di queste, Bembo contrappone la certezza di un uso basato sulle scelte fonomorfologiche sintattiche e lessicali dei classici del 300. INIZIO 500 → La stampa accelera il processo di standardizzazione della lingua (esigenza di norme grammaticali precise per editori e letterati) 1516 → Regole grammaticali della volgar lingua di Giovan Francesco Fortunio → 1° grammatica stampata in Italia e 2° assoluta dopo la Grammatichetta albertiana (composta contemporaneamente ad essa per venire in contro alle esigenze di regole chiare per i dubbi degli scrittori non toscani) Regole: schematica morfologia e ortografia toscana tratta dai testi di Dante, Petrarca e Boccaccio Prose: elegante trattato-dialogo di tradizione umanistica che crea un nesso inscindibile tra il problema della correttezza grammaticale e l’esigenza retorica e stilistica della lingua volgare. Le Prose della volgar lingua (1525) lOMoAR cPSD|15222555 • Dialogo svolto a Venezia datato al 1502, rivendicando la precedenza cronologica all’opera del Fortunio • Forma dialogica connessa alle finalità persuasive dell’opera: prima di esporre la grammatica vanno convinti i lettori con un’argomentazione ad hoc su alcuni punti cruciali, attraverso 3 interlocutori che rappresentano 3 posizioni teoriche sulla norma: a. Provenzalista Federico Fregoso b. Fiorentinista Giuliano de Medici c. Portavoce di Bembo, Carlo Bembo (fratello) I tre personaggi cercano di convincere un quarto interlocutore (latinista Ercole Strozzi) sulla dignità linguistico-letteraria del volgare 1° LIBRO: teorico → sulla varietà delle lingue e sulla dignità del volgare per esprimere concetti alti (Bembo si basa su una tesi del Convivio dantesco sulla scelta della propria lingua e non del greco da parte dei romani) → Sulle origini provenzali della poesia volgare antica per presentare un volgare illustre (il provenzale) trasfuso nei versi italiani innalzandoli a rango di lingua letteraria. → Punti cruciali del classicismo bembiano a. rifiuto di una teoria cortigiana della lingua giacché non si poggia su una tradizione letteraria (non esiste una lingua se non esiste una letteratura) b. riconoscimento della superiorità del fiorentino (o toscano) su ogni altro volgare italiano (ma che contrasta la tesi fiorentinista coeva) c. separazione della lingua delle scritture dall’uso popolare in polemica con le esperienze dei poeti della corte di Lorenzo de Medici che avevano accolto nelle polo opere molti tratti fonomorfologici “vivi”. 2° LIBRO: argomenti retorico-stilistici legati ai problemi di lingua → per ottenere un dettato persuasivo occorre tener presenti suono, ritmo, lunghezza, varietà e ordine delle parole 2º LIBRO Stretta connessione tra grammatica e stile confermata dal fatto che le modificazioni fonetiche del corpo della parola vengono inserite in questo punto della trattazione 3° LIBRO Tratta espressamente le questioni grammaticali lOMoAR cPSD|15222555 parole difficili (latinismi) cercando sinonimi nel lessico corrente, producendo delle specie di archivi personali autodidatti finalizzati strettamente all’interesse degli autori. Ricordiamo: - Vocabulista di Luigi Pulci - Liste di Leonardo da Vinci Inizio 500 → Nuova concezione di dizionario → la tipografia veneziana mise a disposizione strumenti lessicografici non più concepiti come archivi personali. Primo vocabolario così concepito è: - Le tre fontane di Niccolò Liburnio (1526) – corpus lessicale ridotto alle parole di Dante, Petrarca e Boccaccio e distinzione tra voci prosastiche e poetiche che fa di tale dizionario un’applicazione nel campo lessicografico della posizione bembesca (prima della pubblicazione delle Prose del Bembo lo stesso Liburnio sosteneva un codice linguistico più allargato agli scrittori toscani moderni) → interesse anche per la traduzione di voci toscane con parole di altri dialetti (venetismi o settentrialismi) nella cosiddetta “seconda lingua” del compilatore, a ribadire la finalità didattica di un’opera rivolta a scriventi colti non toscani che volevano modellare la loro lingua sul buon uso dei grandi trecentisti Metà 500 → Attività lessicografica sempre più forte: - Vocabulario di Lucilio Minerbi (1535): lessico boccaciano di 4000 parole in appendice al Decameron (le parole vengono tipizzate: verbi all’infinito, aggettivi al singolare maschile…) e vengono registrate anche parole non boccacciane di alta frequenza - Osservazioni sopra il Petrarca di Francesco Alunno (1539): lessico ragionato dei Rerum Vulgarium Fragmenta - esempi d’autore glossati con indicazioni normative. - Le ricchezze della lingua volgare sopra il Boccaccio di Francesco Alunno (1543): il modello di lingua prosastica rimane il Boccaccio ma oltre il Decameron include le opere minori: verbi tipizzati all’infinito, distinzione tra forme antiche e moderne, segnalate varietà regionali o dialittali, tendenza ad uscire dal lessico di un unico autore. - Vocabulario di 5000 vocaboli toschi di Fabrizio Luna (1536): considerato prototipo di dizionario moderno allargato a più scrittori ma in realtà è un’opera caotica (canone di autori antichi e moderni mischiato con la prassi linguistica cortigiana, riferimenti alla lingua d’uso, rinvii incontrollabili, vocaboli omonimi definiti in un’unica definizione…) lOMoAR cPSD|15222555 - Vocabolario, Grammatica et ortographia de la lingua volgare di Alberto Acarisio (1543): riscrittura della grammatica del ’36; un sommario in ordine alfabetico delle osservazioni grammaticali del 3° libro del Bembo → propone la scelta di parole dei grandi trecentisti toscani secondo il bembismo → voci registrate secondo un metodo moderno (lemmario tipizzato) → sono fornite informazioni etimologiche, ortografiche e d’uso (prosa/poesia) → attenzione per la fraseologia, i modi di dire, le locuzioni cristallizzate → precisione delle definizioni in linea con la prassi moderna → si evitano definizioni tautologiche o di notorietà 5. L’adeguamento alla norma Accettazione progressiva ad un modello linguistico egemone sostenuto da grammatiche e repertori lessicali testimoniata dall’opera di conversione al → fiorentino trecentesco della più importante produzione letteraria del periodo → Testi scritti in una lingua ibrida (koinè) vengono riscritti dallo stesso autore “convertito” al modello toscano (o da revisori), eliminando tratti fonetici, morfologici e morfosintattici non in sintonia col modello (così come i tratti grammaticali del toscano coevo) → Il processo di standardizzazione linguistica su base toscano-letteraria compie il suo passo decisivo e in pratica si instaura su scala nazionale, benché ancora non esista una nazione in senso politico (Leopardi, acuto interprete delle vicende storico-linguistiche della lingua letteraria, in alcune pagine dello Zibaldone sottolineava il carattere “unitario” dell’italiano cinquecentesco definendola la “lingua nazionale del cinquecento”). Qualche esempio di standardizzazione grammaticale su base toscano-letteraria: 5.1 Varianti d’autore: le correzioni grammaticali dell’Orlando furioso Caso paradigmatico e contraddittorio: - 3 edizioni a stampa (1516 – 1521 – 1532) lOMoAR cPSD|15222555 - processo di riscrittura in direzione toscano-letteraria - eliminazione tratti di koinè del padano illustre (tratti dialettali e latineggianti nel vocalismo e nel lessico) - lavoro correttorio non sistematico ma esemplare di una tendenza precisa alla quale si conformeranno la maggioranza delle scritture letterarie cinquecentesche - “errata corrige” nella 2° ed. in cui si presentano forme più corrette di quelle usate, documentando tendenze grammaticali work in progress dell’Ariosto (summo > sommo, distino > destino, volontieri > volentieri, devere > dovere e, tra le preposizione di, del al posto di de) → 3° Edizione: adesione alla grammatica del Bembo e rinuncia al “volgar uso tetro” (cioè alla lingua cortigiana della koinè) adottando le indicazioni del 3° libro delle Prose del Bembo: - introduzione dei dittonghi uo e ie (rota > ruota, scola > scuola, vene > viene) - aumento consonanti geminate (aventura > avventura, dubio > dubbio, publico > pubblico) - ma il nesso ti davanti a vocale rimane (tristitia) - sostituzione della finale –o in –a nell’imperfetto 1P (ero > era) - morfologia toscana di C - articoli determinativi il e i al posto di el, e, lo. - Morfologia verbale di futuri e condizionali (tremarò > tremerò, scrivarei > scriverei) pur rimanendo esiti contrari in alcuni verbi a dimostrazione del carattere tendenziale e non sistematico della prassi correttoria dell’Ariosto 5.2 Varianti dell’editore: le correzioni grammaticali del “Galateo” Galateo di Giovanni Della Casa (insieme al Cortegiano è un capolavoro cinquecentesco della trattatistica di comportamento) – pubblicato postumo nel volume Rime et Prose curato da Erasmo Gemini e Carlo Gualteruzzi → la lingua del manoscritto (non autografo ma in copia fedele) presenta tratti fonetici, grafici, morfologici e sintattici del fiorentino colloquiale (modello di lingua colta informale e non arcaica ma dell’uso coevo del 1550, tipico dell’autore che non è un letterato di professione), ben diversi da quelli del testo pubblicato, corretto dagli interventi in senso bembiano del Gualteruzzi. Intervento linguistico correttivo/normalizzante: eliminazione sistematica dei tratti del fiorentino vivo in prol di una lingua fiorentino-arcaizzante filotrecentista (secondo le regole del “corretto scrivere” dettate nel 3° libro del Bembo da Giuliano de Medici) ESEMPI: - Reintroduzione del dittongo in prego > priego, trovo > truovo, prova > pruova secondo la fonetica del fiorentino trecentesco (già abbandonati dal fiorentino coevo) - altri passaggi dalla forma corrente a quella arcaizzante (venezia > Venegia, palazzo > palagio, veleno > veneno, bacio > bascio) - introduzione della i prostetica (stessa > istessa, stimo > istimo, sputava > isputava, nimico > inimico) lOMoAR cPSD|15222555 → 1° ED. Vocabolario degli Accademici della Crusca: stabilisce le h solo per ho, hai, ha, hanno (ma rimane la serie huomo, hora) e vizio, nazione, parziale.. smantellando lo standard bembiano Scelte diverse per le parole straniere: → Grafia delle parole greche con y, ph, th, ch che si mantiene per tutto il ‘500 (philosopho, orthographia) insieme a fi (Sofocle, Telefo) che si affermerà dal ‘600. → I grammatici fiorentini non riescono sempre a stabilire dei criteri ortografici sicuri: → Manca la distinzione tra u e v (considerate un’unica lettera), poi definita sulla base di minuscole (u) /maiuscole (v), iniziali (v) o lettere di mezzo (u). → La grafia ha avuto schemi standard poco prestabiliti fino a tempi recenti: abbiamo visto qui solo alcune tendenze che vanno verificate autore per autore. CAPITOLO VIII lOMoAR cPSD|15222555 L’ITALIANO LINGUA DI CULTURA 1. Norma, comportamento, lingua Cortegiano, I Libro, Cap 34 (Castiglione) → sulla scelta delle parole adatte alla conversazione civile dell’uomo di corte (canone delle forme adeguate allo scritto e alla conversazione colta) che deve aver cura di “usare, e scrivendo e parlando, quelle che oggi sono in consuetudine in Toscana e negli altri lochi d’Italia e hanno grazia nella pronuncia”, includendo francesismi e ispanismi importati nella lingua (lingue del commercio e più conformi all’italiano) → legittima prestiti culturali da 2 lingue vive e non dal serbatoio delle lingue classiche. Francese: assieme al provenzale (nella poesia lirica) svolge un’influenza centrale sul lessico e sulla sintassi della prosa narrativa due-trecentesca e dal 1600 al 1900. Spagnolo: ispanismo cinque-seicentesco parallelo all’affermazione politica della potenza spagnola oltre alle mediazioni lessicali che lo spagnolo porta nell’introdurre termini esotici frutto delle esplorazioni geografiche → Ispanismi nel Cortegiano: termini ed espressioni che circolavano negli ambienti colti del 500 come piccolo vocabolario mondano-esteriore di parole alla moda, dal fascino evocativo di un modo di vivere formale e galante che si esprime con una terminologia comportamentale e delle maniere eleganti e ostentate da tenersi a corte (primor x abilità, accertare x conseguire, attillato x elegante, brio, complimento, baciamano, etichetta, sussiego, flemma, lindo, grandioso...) → il prestito spagnolo non intacca il lessico intellettuale ma la zona del comportamento pubblico → Spostamenti semantici det dal contatto con lo spagnolo nel lessico italiano, per esempio: - complimento si attesta come atto cerimonioso di circostanza da metà 500, sostituendo il vecchio significato di “compimento” (da cumplir) - flemma, dai tratti comportamentali spagnoli lenti nell’agire, acquisisce il senso di “calma” invece che il significato antico di “umore del corpo, catarro”. → questi ispanismi possono generare motivi di polemica e satira sociale in confronto all’austerità del carattere italiano, per esempio nel confronto tra la parola “cerimonia” come funzione sacra (italiano) e atti di riverenza non religiosi (spagnolo) – In Galateo di Della Casa. → Nel Castiglione e nel Della Chiesa emerge la lingua è intesa in rapporto alla sua funzione sociale che aspiri ad una medietà lontana da eccessi e epurata da parole desuete o sintassi inadeguate alla naturalità della conversazione colta → affidarsi ad una norma classica comporta una discrezione che oltre ad essere “media” è un potente fattore di autocontrollo dello strumento linguistico. Vediamo come tale autocontrollo si esercita nelle strutture della frase del periodo lOMoAR cPSD|15222555 2. Dal Castiglione al Tasso. Linee di sviluppo della prosa argomentativa 2.1 Tendenze ipotattiche e sintassi analitica Confronto tra passo iniziale degli Asolani del Bembo (1505) – manifesto primocinquecentesco del periodare boccacciano e analogo passo del Cortegiano (1528) di Castiglione 1. AFFINITÀ nella struttura complessiva del periodo: medesima matrice ipotattica: frase complessa articolata a lunga gittata tendente all’ipotattismo (sintassi con molte subordinate perlopiù prolettiche, cioè alla sx della principale, o di costrutti parentetici) → elaborazione retorico-stilistica che produce periodi molto complessi (lontani dalla snellezza sintattica moderna). - TENDENZA ALL’IPOTATTISMO: costruzione verticale del periodo a grado elevato di subordinazione (non c’è differenza tra i 2 autori sul numero delle proposizioni e profondità di grado della subordinazione) Periodo ipotattico della prosa cinquecentesca come enorme contenitore che ingloba oggetti piccoli e più ingombranti X modello paratattico settecentesco di stampo francese e europeo: periodi poco estesi come scatole piccole in cui non entrano che pochi oggetti, in un ordine precostituito che ammette poche variazioni 2. DIFFERENZA TRA IL MODELLO SINTATTICO BOCCACCIANO (BEMBO) E LA PROSA DI TIPO RAZIOCINANTE-ANALITICO (CASTIGLIONE) → DIFFERENZE STILISTICHE E SINTATTICO-TESTUALI tra i 2 autori: nel livello sottostante alla frase complessa: nella distribuzione quantitativa delle proposizioni parentetiche e nell’ordine dei costituenti frastici. a. BEMBO → periodo costruito sull’uso della disgiunzione e inversione, cioè sull’INFRAZIONE SISTEMATICA DELL’ORDINE LINEARE DEI COSTITUENTI FRASTICI secondo una costante ritmico-musicale che trova il suo punto di attrazione nella parte terminale del periodo, dove l’accumulo della tensione compositiva si esaurisce con l’effetto-rima del verbo conclusivo sul modello boccacciano → L’inserimento delle proposizioni parentetiche svolge una funzione ritmicomelodica (riempitivo fonico) lOMoAR cPSD|15222555 CONCLUSIONE L’analisi delle strutture periodali e dell’ordine dei costituenti della frase mostrano che nei primi decenni del cinquecento si formano 2 filoni di prosa colta che originano tradizioni stilistico-sintattiche antitetiche: 1. Una tradizione letteraria su modello boccacciano rappresentata dagli Asolani del Bembo 2. Una tradizione colta non specificamente finalizzata alla letteratura ma alle pratiche del vivere civile in senso lato rappresentata dal Cortegiano di Castiglione Si tratta di 2 modi diversi di intendere le finalità dello strumento linguistico e due codici linguistici stilistico-sintattici antagonisti: 1. La prassi arcaizzante del Bembo che riproduce moduli arcaizzanti (strutture incidentali usate come riempitivi fonici, architetture periodali modellate su esigenze ritmicomelodiche, costante infrazione dell’ordine lineare dei costituenti frastici…) 2. La prosa del Castiglione che riproduce uno stile prosastico alto ma lontano dalla sintassi trecentesca e dallo sperimentalismo latineggiante della prosa umanistica 2.3 Varianti sintattiche del Tasso Le scelte stilistico-sintattiche del Cortegiano sono in sintonia con gli sviluppi della prosa argomentativa cinquecentesca di livello colto: trattati di argomenti vari (filosofico, politico, retorico, letterario) in contatto con l’epistolografia (lettere) in cui la tensione ipotattica fa posto a soluzioni sintattiche più semplificate in linea con gli scopi colloquiali del linguaggio scritto che vuole rappresentare la disinvoltura della lingua parlata → Stilizzazione dell’oralità tollerata dallo scritto in senso di una simulazione di parlato retoricamente colto e civile per contenuti non solo letterari ma filosofici e intellettuali → PARLAR NATURALE: convergenza di oralità e scrittura del Cortegiano che diventa canone dello stile prosaico colto di alto livello → avvicinamento alla sintassi lineare del linguaggio parlato attraverso fenomeni come: - la riduzione dei complementi a sx del verbo - la riduzione degli iperbati forti → Dimostrato dalla prosa del Tasso che ricrea le modalità della conversazione cortigiana lOMoAR cPSD|15222555 Analisi delle varianti bembesche e tassiane: a. Bembo → negli Asolani, accentua i moduli arcaicizzanti e le inversioni, in un movimento correttorio (dal 1505 al 1530) opposto alla prosa del Tasso, che tende a produrre sequenze non lineari (spostando a sx del verbo i diversi complementi) → tendenza a passaggi da moduli lineari e correnti a soluzioni sintattiche boccacciane (DIREZIONE ARCAIZZANTE → OLTRANZISMO STILISTICO: Bembo arriva ad essere più boccacciano del Boccaccio) → Inversione ordine dei costituenti del sintagma verbale (participio > ausiliare, infinito > v. servile) con incisi nel mezzo. b. Tasso → nei Dialoghi, sul modello del Cortegiano, riduce le inversioni e le infrazioni dell’ordine lineare della frase (mentre nella Gerusalemme liberata abbondavano inversioni e sequenze non lineari, caratteristiche della lingua poetica) → movimento correttorio del Tasso: → Dove prima si aveva l’ordine V > S > O Tasso sostituisce con S > V > O (sequenza lineare) 3. Tra prosa colta e linguaggio specialistico: la lingua della politica e della storiografia Machiavelli → Formazione cinquecentesca di un linguaggio politico moderno → Lingua come strumento affilato e funzionale → Es: Inizio del Discorso sopra Pisa (1499) Analisi dell’aspetto testuale e morfosintattico che delinea la tipologia del discorso politico machiavelliano in quanto lingua come strumento politico d’azione → periodare paratattico →concatenazione di ipotesi e controipotesi messe tatticamente sul piatto della bilancia per valutare la soluzione migliore; la linea politica-militare più sicura. → preferenza per i moduli argomentativi prolettici dove l’informazione principale è espressa da una subordinata completiva viene anticipata rispetto alla reggente che segue. → qui le inversioni non sono preziosismi ma riflettono la logica interna del discorso → la sintassi si articola sulla logica del ragionamento (per questo la prosa di machiavelli è più facilmente leggibile di quella del Bembo o del Tasso) → tendenza a evitare le strutture pesanti ipotattiche che porta a frazionare il periodo in membri frastici brevi spesso coordinati in sequenze parallele. → moduli dilemmatici dati dal parallelismo di preposizioni coordinate dalla congiunzione disgiuntiva o → consentono di scindere un problema e restituirlo nella sua formula binaria valutando le forze in gioco e le molteplici possibilità di azione ridotte a due possibilità praticabili lOMoAR cPSD|15222555 → Anche la struttura del testo segue questa logica: la struttura ellittica che apre il testo (il fatto che… funge da protasi di un costrutto ipotetico in apodosi (se… dovremmo….) e crea l’effetto di presentare il problema scisso in 2 parti → la disposizione parallela delle frasi che articola il discorso evidenzia 2 situazioni prevedibili e lascia una terza possibilità in coda (ma…) che preannuncia la conclusione logica (sicché, x tali ragioni…) non senza un’ulteriore considerazione sull’opportunità della scelta espressa dal modulo dilemmatico (essendo necessaria la forza, si deve considerare se è bene usarla o no) → la pragmaticità del discorso politico affianca l’ideale stilistico di una prosa essenziale in cui l’ornamento retorico è sostituito dalle necessità esplicative seguendo un andamento logicizzante del discorso. → uso di strutture aforistiche: alla spiegazione basata sui fatti subentrano le massime lapidarie legando il Principe alla trattatistica cinquecentesca Da quali fonti deriva il linguaggio politico del Machiavelli? → Il genere deriva dalla trattatistica umanistica sull’ottimo principe, esemplata su quella medievale (testi in latino sul comportamento del sovrano e del modello di vita esemplare) ma con originalità. → 2 strati linguistici autonomi: 1. scritture pratiche mercantili e cancelleresche 2. prosa latineggiante umanistica → Da questi presupposti produce una letteratura scientifica sul modello del linguaggio politico moderno: exempla moderni e antichi (e casi storici) sono usati per avvalorare la dimostrazione e le deduzioni funzionali a calcolare il presente e futuro → uso di moduli sintattico-testuali logicizzanti → tecnificazione del lessico corrente → latino avvertibile negli stereotipi cancellereschi che veicolano espressioni avverbiali formulari in volgare e ancora presente nelle parti formulari di lettere, titoli, intestazioni… ASPETTO CHIAVE: tecnificazione e fissazione della terminologia politica nei significati moderni → parole-chiave del Principe diventate termini politici canonici nella scienza moderna: stato come entità politica e territoriale, repubblica come forma di governo opposta al principato) → Terminologia militare (dal trattato Dell’arte e della guerra) → Attraverso la tecnificazione del linguaggio comune e la presenza di lessico specifico: - andamento ordinato della prosa (sintassi lineare) - termini specifici del settore militare
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