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Storia di Clelia Farnese - Amori, poteri, violenza nella Roma della Controriforma (di Gigliola Fragnito), Sintesi del corso di Storia Moderna

Storia di Clelia, figlia del cardinale Alessandro Farnese, sullo sfondo della Roma controriformata (testo di approfondimento per l'esame di storia moderna)

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

Caricato il 16/06/2015

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Scarica Storia di Clelia Farnese - Amori, poteri, violenza nella Roma della Controriforma (di Gigliola Fragnito) e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! GIGLIOLA FRAGNITO - Storia di Clelia Farnese Riassunto Nascita e infanzia. Le circostanze della nascita di Clelia Farnese, figlia illegittima del cardinale Alessandro Farnese, rimangono oscure: nata, secondo un suo oroscopo, il 22 ottobre 1557; il luogo di nascita e l’identità della madre sono sconosciute. Presumibilmente la madre era di Parma, città dove il cardinale si era trasferito dal 1556; il nome Clelia, che rimanda ad una eroina romana, farebbe collocare la sua nascita proprio a Roma. Il fatto che un cardinale intessesse tresche amorose non è affatto strano per l’epoca. Alessandro divenne cardinale all’età di soli 14 anni: il nonno Paolo III, appena divenuto papa, lo nominò cardinale insieme al cugino per assicurare prestigio sociale e politico alla sua discendenza. L’età minima per divenire cardinali era 30 anni: per questo Paolo III, pur violando le norme del diritto canonico, scelse di nominare Alessandro, che, sebbene quattordicenne, era il più grande di quattro fratelli, figli di Pier Luigi e Gerolama Orsini. Alessandro dunque non sentiva dentro di sé una vera vocazione e non fu mai convinto della scelta del nonno: non abbracciò mai la castità, frequentò numerose cortigiane, in maniera spesso spudorata, il che richiese pure un rimprovero da parte del nonno. Alessandro morì il 2 marzo del 1589. Non sappiamo se ebbe altri figli illegittimi oltre a Clelia, che fu l’unica della quale si prese cura, in maniera comunque cauta e discreta: con l’avvento a Roma di papi rigoristi, era meglio non ostentare il frutto di relazioni peccaminose. Riguardo a Clelia, non è noto con chi trascorse i primi anni della sua vita; il suo nome compare nella corrispondenza del padre quando ella aveva già 7 anni. Probabilmente ad allevarla era stata la nonna Gerolama, nel ducato di Castro, dove la bambina poteva crescere lontano da occhi indiscreti. Il 23 aprile 1566, all’età di soli nove anni, Clelia dette il proprio consenso alle nozze con Giovan Giorgio Cesarini e ricevette l’anello. Nell’agosto del 1569, alla morte della nonna Gerolama, il padre decise di inviare la bambina alla corte dei della Rovere (Urbino), dalla sorella Vittoria, moglie di un della Rovere. La zia fu sempre attenta ai bisogni di Clelia, affettuosa e premurosa nei suoi confronti: lo testimoniano varie lettere di Vittoria al fratello in cui la zia espone le necessità di abiti e gioielli per la bimba, in modo che non sfiguri di fronte alle altre. Clelia poté crescere in un clima caloroso e rimase presso i della Rovere, tra Pesaro e Urbino fino al 3 febbraio 1571, quando si recò a Roma, a Rocca Sinibalda, per la celebrazione delle sue nozze. Clelia portò con sé una dama da compagnia, Bartolomea, e gli affetti stretti nei mesi passati la accompagnarono e la sostennero per tutta la vita. I capitoli matrimoniali. Già dal 1564 si ha testimonianza, grazie ad alcune lettere, del fatto che il cardinale Alessandro Farnese aveva avviato trattative per accasare la figlia: il fatto che ella avesse solamente 7 anni è del tutto normale, era consuetudine esplorare il mercato matrimoniale quando i figli erano ancora bambini. Non si sa esattamente se la famiglia Cesarini sia stata la prima scelta del cardinale, quel che è certo è che egli riteneva questo matrimonio “un parentado proporzionato per l’una e l’altra parte”. La scelta dei Cesarini da parte di Alessandro rientrava nella volontà di innalzare e garantire prestigio sociale e politico alla sua famiglia, progetto perseguito già precedentemente dal nonno, papa Paolo III. Il matrimonio era dunque lo strumento per eccellenza per rafforzare ed espandere la propria rete di influenza. Il matrimonio con Giovan Giorgio avrebbe provocato indubbi vantaggi ai Farnese: egli era figlio unico, quindi unico legittimo erede del suo casato. I Cesarini erano una famiglia in rapida ascesa, godevano di grande prestigio sociale: imparentati con nobili casati capitolini, con la nobiltà feudale, tre membri del casato facevano parte del collegio cardinalizio, avevano ricevuto la carica di gonfaloniere del Popolo Romano, possedevano un ricco patrimonio immobiliare con varie residenze e possedimenti. In particolare si deve a Giuliano, padre di Giovan Giorgio, la massima espansione di tali proprietà e la fisionomia feudale del casato: nel 1564 Giuliano ottenne l’investitura feudale di marchese di Civitanova e signore di Montecosaro. Probabilmente la scelta di Alessandro ricadde sui Cesarini anche perché varie loro proprietà sorgevano vicine a proprietà dei Farnese. Considerato uno degli uomini più eminenti del mondo romano, probabilmente Giuliano auspicò all’inizio ad un matrimonio più prestigioso per il figlio, senza successo. Anche per i Cesarini comunque l’unione con i Farnese era “proporzionata”: Clelia era pur sempre figlia di un cardinale ricco, che controllava uffici civili, cariche curiali e benefici ecclesiastici; avrebbero potuto godere della sua protezione (soprattutto per tenere a bada i creditori) ed ottenere una cospicua dote. Le trattative per il matrimonio tra Clelia e Giovan Giorgio furono lunghe: iniziarono a Pesaro, durante un incontro tra Giuliano e la zia Vittoria (probabilmente non a Roma per tenere ancora nascosta l’esistenza di Clelia) e i negoziati durarono a lungo (il matrimonio sarà celebrato solo nel febbraio 1571). Il primo incontro tra i genitori Giuliano e Alessandro avvenne nel 1565, all’indomani della morte di papa Pio IV: per volere del cardinale Farnese la notizia dell’unione fu tenuta segreta fino all’elezione del nuovo papa, probabilmente perché egli sperava di essere eletto ed in quel caso avrebbe puntato ad un matrimonio migliore per la figlia, ma non avvenne. Dopo l’elezione di Pio V nel gennaio 1566 vennero stipulati i capitoli matrimoniali, precisata l’età di Clelia e stabiliti la dote (30 mila scudi) e la modalità di versamento (in parte in denaro, a rate, in parte in gioielli). Tuttavia trascorsero ancora circa 5 anni prima dell’avvenuta celebrazione del matrimonio (anche se Clelia oramai aveva raggiunto la soglia dei 12 anni , età minima richiesta per contrarre il matrimonio): probabilmente a causa della morte di Giuliano Cesarini e delle difficoltà economiche che la vedova ed il figlio dovettero attraversare. Le nozze a Rocca Sinibalda. I primi di gennaio del 1571 iniziarono i preparativi per lo spostamento di Clelia a Rocca Sinibalda: le nozze sarebbero state celebrate qua, fuori Roma, il cardinale non vi avrebbe preso parte, sempre nell’ottica della sua aspirazione alla tiara e adesione all’austerità di papa Pio V, per cui era deciso a non ostentare la sua figlia illegittima festeggiandone le nozze. Comunque si occupò del corteo che avrebbe prelevato la figlia, assicurandosi che avvenisse con un certo decoro: corteo che iniziò il 3 febbraio e previde innanzitutto una sosta presso la zia di Clelia Margherita d’Austria. Le nozze furono celebrate il 13 febbraio dal vicario generale del vescovo di Rieti nella cappella della Rocca, alla presenza dei testimoni. Il matrimonio si rivelò fin da subito infelice: Giovan Giorgio conduceva una vita da scapestrato e un agente farnesiano racconta che era innamorato di una “putana”; non si sa se Clesia ne fosse al corrente e fingesse o se non sapesse niente. In ogni caso, il cardinale, conoscendo e temendo le stravaganze del Cesarini cercò di tenere gli sposi lontano da Roma, respingendo la proposta di Giulia Colonna (madre di Giovan Giorgio) di tornare a Roma per celebrare le nozze durante i festeggiamenti del carnevale. Tali festeggiamenti erano stati fortemente condannati da Pio V, vi erano stati arresti e processi dell’inquisizione; mentre il papa richiamava i cardinali ad astenersi da banchetti e feste e per porre fine alle tresche dei cardinali emanò una bolla che impediva ai loro figli illegittimi di esserne eredi. Non era dunque il momento adatto perché Clelia facesse un ingresso trionfale a Roma. Il rifiuto del cardinale fu difficile da accettare soprattutto per Giulia, abituata com’era a grandi festeggiamenti e divertimenti. Solamente a fine maggio si iniziò a parlare del trasferimento dei due sposi a Roma: Clelia nel frattempo era rimasta incinta, Giovan Giorgio scriveva ad Alessandro che era infastidito dal fatto che i suoi compagni romani pensassero che non era in grado di staccarsi dalle cosce della moglie. (questa parte scritta in tono rispettoso, mentre parole alquanto rozze e scurrili erano rivolte a Clelia). Era dunque necessario organizzare un viaggio che si svolgesse in condizioni meno disagiate possibile; motivo per cui il cardinale inviò il suo medico Michelangelo Rodino a constatare le condizioni della figlia e decidere le modalità di viaggio: il medico stabilì che Clelia facesse il suo ingresso a Roma di notte su una lettiga, non su una sedia scoperta, com’era volere del cardinale, ancora in vista di una possibile elezione a papa. commedie. Queste feste si tenevano spesso anche nel palazzo di San Pietro in Vincoli, ereditato dal padre: villa suburbana, veniva aperta agli ospiti e utilizzata per eventi mondani principalmente d’estate. La passione per teatro, feste e musica accomunava i Cesarini che sulla scienza pubblica apparivano una coppia unita e affiatata, celando invece numerose tensioni e conflitti familiari. I rapporti coniugali. Già pochi mesi dopo il matrimonio nelle lettere indirizzate al cardinale Farnese apparvero le prime preoccupazioni per la condotta di Giovan Giorgio, espresse dagli stessi suoi parenti. La corrispondenza del cardinale non permette di ricostruire un piano completo, bensì discontinuo in quanto quando il cardinale risiedeva in città le notizie gli venivano comunicate oralmente. I problemi ricorrenti che comunque affiorano dalla corrispondenza riguardano in primo luogo le spese: intanto Giovan Giorgio aveva ereditato dal padre un pensante indebitamento, e nonostante ciò continuava a condurre una vita al di sopra dei propri mezzi. La “familia” dei Cesarini, vale a dire l’insieme di ufficiali e servitori, era estremamente ampia e strutturata sulla base della corte cardinalizia; necessitava di essere ridimensionata per tagliare le spese (nonostante le costanti incitazioni a farlo, Giovan Giorgio snellì in maniera minima il suo personale, a giudicare dai lasciti testamentari). Ma lo snellimento del personale riguardava soprattutto quello femminile: si è propensi a pensare che le tensioni tra moglie e marito fossero in gran parte legate a rapporti impropri tra Giovan Giorgio e il personale femminile. Un altro problema alla base dei disordini di casa Cesarini era il gioco; e fonte di preoccupazione era non solo il rischio di indebitamento ma anche le cattive frequentazioni di Giovan Giorgio; cosa che richiese anche un intervento di Gregorio XIII quando venne a sapere che in casa Cesarini si giocava fino a notte fonda: cosa che portò solamente ad una breve tregua dal gioco. A tutto ciò si aggiungeva il sentimento di abbandono provato da Clelia, la quale, dopo un’infanzia separata dalla madre, nascosta dal padre, sballottata da un parente all’altro, aveva probabilmente sviluppato un forte attaccamento verso il marito e si rifiutava di rassegnarsi ed esser paziente, provocando liti col marito che spesso coinvolgevano anche i familiari de padre; anche se Aurelio Coperchio non mancava di sottolineare che i torti venivano da entrambe le parti e non sempre era facile stabilire chi dei coniugi avesse ragione. Clelia cedeva probabilmente spesso a forme di gelosia e scenate che indispettivano il marito. Il suo malessere si traduceva spesso in veri o presunti malanni che infastidivano Giovan Giorgio, poco incline a cambiare le sue abitudini e già affetto da problemi cardio-circolatori. Clelia accusava invece frequenti indisposizioni, febbri, tonsilliti, emicranie, dolori di stomaco. A questi si aggiungevano altri dolori provocati una volta dal morso di un leprotto, una volta dalla polvere da sparo che le entrò nell’occhio. In più Clelia doveva soffrire di attacchi di panico, apprensioni e paure ma soprattutto a preoccuparla e umiliarla era l’incapacità di mettere al mondo altri figli, a cui si aggiungeva il timore che il marito si rivolgesse altrove. Casa Cesarini non era costantemente scossa da disordini e liti, si registravano spesso anche rappacificazioni momentanee e brevi momenti di armoniosa convivenza. I rapporti turbolenti non sfociarono mai di fatto in irrimediabili rotture a testimonianza di un legame, nonostante tutto, abbastanza forte. Anche dalle lettere di Clelia traspare poco sulle malefatte del marito, anche perché ella preferiva probabilmente informarlo a voce: solo raramente dava sfogo per iscritto ai problemi coniugali. La relazione tra i due si basava dunque su un fragile equilibrio; cosa fece precipitare la situazione della coppia? Sicuramente Giovan Giorgio ebbe una relazione con un’altra donna la quale nel 1582 dette alla luce un figlio, Ascanio. In più, il problema della prostituzione era assai diffuso a Roma e, nonostante i numerosi provvedimenti presi per cercare di diminuirlo (retate, incarcerazioni), continuarono storie che coinvolgevano nobili e prostitute e spesso finivano nel sangue (i nobili spesso si azzuffavano, sfidavano a duello, addirittura si ammazzavano a causa di donne dai facili costumi). Giovan Giorgio non rimase coinvolto in crimini di questo giorno, ma sicuramente non era estraneo del tutto a questa situazione. Anche se non vi sono notizie precise sulla condotta di Giovan Giorgio, le persone alle quali spesso si accompagnava erano protagoniste di violenze e avevano comportamenti che non si adeguavano agi sforzi di moralizzazione nella Roma della Controriforma. In questo contesto di trasgressione crebbe il sentimento di ribellione di Clelia verso i tradimenti del marito. Nel luglio del 1579 gli Avvisi diffondevano una notizia senza però confermarne l’attendibilità: Clelia per gelosia avrebbe ucciso o bastonata la Bella Barbara. Essendo una notizia riguardante Clelia Farnese, figlia di un cardinale potente, non poteva essere diffusa con certezza, ma comunque la tecnica del “dire e smentire” permetteva di far circolare le informazioni. Cosa sia successo esattamente quell’estate può essere solo oggetto di congetture. Un fondo di verità nella notizia ci deve essere; anche se la condotta di Clelia risultò anche all’epoca abbastanza anomala: niente di eccezionale se il marito uccideva la moglie, ma i crimini femminili all’interno delle famiglie nobiliari erano abbastanza rari. Il gesto di Clelia fu dunque la vendetta di una donna umiliata e ferita, che non voleva accettare in maniera remissiva e incondizionata di sottomettersi alla volontà maschile. Clelia si rifiutava dunque di aderire ai modelli di vita femminile propugnati dalla Controriforma. Dopo la vicenda con la Bella Barbara le condizioni di salute di Clelia si aggravarono, era magra e piena di malinconia, e lei stessa in una lettera al padre confessava che la causa del suo malessere era il marito; il cardinale tentò di ospitare a Caprarola figlia e genero, ma quest’ultimo cercò con ogni scusa di evitare l’ospitalità del suocero. Decisivo l’intervento della zia Vittoria, che, allarmata dalle notizie sulla salute di Clelia, sollecitò il cardinale a mandare la figlia a Pesaro: Clelia vi arrivò nel marzo 1580 e vi rimase fino a fine maggio. Il cambiamento di aria, l’affetto della zia, la compagnia della cugina la aiutarono a rimettersi in forma, e quando Clelia fece ritorno a Roma era tornata in sé e profondamente cambiata: era dimagrita e diventata una bellissima donna, pronta a occupare il suo posto nella vita mondana romana. Il cardinale Farnese e il cardinale de’Medici. Tra il cardinale Alessandro ed il genero Giovan Giorgio non era mai corso buon sangue, ma le tensioni furono ulteriormente aggravate dall’amicizia di Giovan Giorgio con il cardinale Ferdinando de’ Medici. L’antagonista tra Medici e Farnese era ormai di vecchia data e i motivi principali erano: l’attribuzione ai Farnese della responsabilità della morte del cardinale Ippolito de’ Medici; la politica espansionistica di papa Paolo III sentita dai Medici come una minaccia al loro Stato; il fatto che i Medici avevano mostrato protezione nei confronti di artisti e letterati di dubbia ortodossia e si erano talvolta rifiutati di estradare uomini sospetti di eresia. Con i papi successivi a Paolo III i rapporti tra Medici e Roma furono vari e altalenanti finché con Pio IV subirono una svolta decisiva. I Medici si riavvicinarono a Roma consapevoli che la lotta con il papato era poco produttiva e che questo stava assumendo sempre maggior centralità nelle dinamiche politiche; maggiori vantaggi sarebbero dunque derivati da un legame saldo col papa. Cosimo I riuscì a far nominare cardinale il figlio Ferdinando e ottenne il titolo granducale: questo fatto non andò giù a Spagna e Impero che rivendicavano prerogative giurisdizionali su Firenze e Siena e neppure alle altre dinastie della penisola italiana. Nel frattempo a Roma il cardinale de’ Medici se la doveva vedere col cardinale Alessandro Farnese, nipote di Paolo III e che godeva di un ampio potere nel collegio cardinalizio. Le tensioni tra i due cardinali sono legate anche ad un complotto che nel 1581 fu organizzato per attentare alla vita del Farnese: i malfattori, arrestati, ammisero di esser stati pagati da Francesco de’ Medici. Alessandro Farnese colse l’occasione per pubblicizzare l’accaduto, passando da vittima e sperando così di facilitarsi la via al pontificato. Tuttavia gli interrogatori dimostrarono che Francesco de’ Medici non aveva nessuna responsabilità nella congiura. Il cardinale Farnese capì che il papa Pio V era schierato dalla parte dei Medici e cambiò strategia, dicendo in giro che scagionava i Medici da ogni responsabilità, smentendo i discorsi da lui stesso alimentati. La sua preoccupazione era che il papa pubblicasse una dichiarazione con la quale scagionava i Medici e accusava il Farnese di averli infamati: si rivolse direttamente a Pio V per chiedere che il suo nome non comparisse nel documento, ma il papa non cedette. Le tensioni tra le famiglie continuarono e la presenza di Ferdinando a Roma contribuì ad acuirle: tra i due cardinali si instaurò una vera e propria “gara” che riguardava gli investimenti edilizi a Roma, il restauro, l’acquisto, la decorazione di edifici religiosi, le opere di carità (elemosine, distribuzione di cibo ai poveri), ma anche le residenze stesse dei cardinali e soprattutto l’ospitalità. La generosa accoglienza di personaggi illustri nelle proprie dimore permetteva al tempo stesso di tessere una rete di relazioni e ottenere notizie. Le ambizioni dei cardinali si scontrarono soprattutto sul piano delle strategie matrimoniali, dove soprattutto Ferdinando mostrò la sua abilità: in particolare i Medici mandarono a monte i progetti del Farnese e fecero sposare Giacomo Boncompagni, figlio di Gregorio XIII con Costanza Sforza; sempre tramite matrimoni strinsero alleanze con gli Este ed i Gonzaga, infliggendo al Farnese una serie di sconfitte (quella più pensate qualche anno più tardi quando fecero fallire il matrimonio di Giuliano, figlio di Clelia, e la pronipote di Sisto V). Il potere politico del cardinale era andato declinando negli anni ma la sua ambizione al seggio papale non era venuta meno e la speranza si riaccese alla morte di Pio V, al quale tuttavia succedette Gregorio XIII. Alla morte di questo tuttavia, nel 1585, sembrò quasi che il sogno del Farnese si realizzasse, nonostante oramai fosse anziano e malandato: con grande rammarico tuttavia fu eletto Sisto V, sostenuto appunto dal cardinale de’ Medici. La mancata elezione del Farnese dipese non solamente dalla rete di relazione intessute da Ferdinando de’Medici, ma anche dalla diffidenza che Filippo II provava verso di lui. Quello fu comunque l’ultimo conclave durante il quale i due cardinali si affrontarono: nel 1587 Ferdinando de’ Medici tornò in Toscana come Granduca; due anni dopo il cardinale Farnese morì. Il cardinal Farnese e il genero Cesarini. Per quanto riguarda i rapporti tra il cardinale Farnese ed il suocero, questi non furono mai distesi; anzi già prima delle nozze nacquero le prime tensioni, quando Giovan Giorgio scomparve da Roma alla vigilia del matrimonio rifiutandosi di sposarsi se la dote non fosse stata versata tutta in anticipo, per far fronte ai debiti lasciati dal padre al momento della sua morte. Giovan Giorgio non aveva tuttavia fatto i conti con la scarsa liquidità del cardinale che non rispettò i patti (la dote sarà versata a rate senza però rispettare i tempi). Alla morte di Giulia Colonna fu il cardinale Farnese a farsi carico dell’amministrazione della casa e dei beni, intervendo innanzitutto sul personale e dando in affitto proprietà e vigilando sulle spese della coppia. Nonostante ciò tuttavia la vita dispendiosa dei Cesarini fu segnata da frequenti ipoteche sul patrimonio fondiario e accumulando debiti (assai consistenti alla morte di Giovan Giorgio). Tuttavia non furono le spese eccessive a costituire un vero motivo di attrito col cardinale (anche lui si indebitava per mantenere la sua immagine di magnificenza), piuttosto la totale mancanza di conoscenza delle più elementari doti di corte da parte di Giovan Giorgio. Durante i primi mesi di matrimonio tuttavia i rapporti tra i due, pur sempre improntati a reciproca diffidenza, furono meno tesi: Giovan Giorgio si impegnava ad avere atteggiamenti meno spavaldi ed il cardinale potette servirsi di lui, della sua carica di gonfaloniere e della sua vasta rete di relazioni. Ad unire i due vi era anche la comune passione per il collezionismo e l’arte. Altro motivo di inasprimento dei rapporti tra i due fu l’amicizia del Cesarini col cardinale Ferdinando de’ Medici, che provocò forte risentimento nel cardinale Farnese. Giovan Giorgio e Ferdinando erano coetanei, accomunati dalla passione per il gioco, la caccia, i tornei, i banchetti, le feste e le donne (lo testimonia una lettera di Ferdinando alla sorella in cui il cardinale si rasserenava di poter vivere in libertà, senza alcun stretto controllo sulla sua vita privata). Ovviamente questo rapporto si basava non solo sulla smania del divertimento; il Cesarini era ben consapevole che la sua amicizia con Ferdinando avrebbe potuto avere anche un peso politico nel momento in cui il potere del cardinale Farnese invece diminuiva durante il pontificato di Gregorio XIII. I rapporti tra cardinale e papa, in origine buoni, non furono sempre distesi. Se inizialmente il cardinale era ascoltato ed amato dal papa, la situazione cambiò con il matrimonio tra Giacomo Boncompagni e Costanza Sforza, che permise al cardinale de’ Medici di saldare il suo legame con il papa. Nonostante il Farnese cercasse di mantenere buoni rapporti ed evitare tensioni, queste non mancarono ed il suo potere subì un palese declino, di fronte al quale il Cesarini capì di dover stringere rapporti con chi contava in curia per avere aiuto e protezione: sfruttando anche la sua carica di gonfaloniere entrò in buoni rapporti con Filippo e Giacomo Buoncompagni e la vicinanza del cardinale de’ Medici con la famiglia del papa contribuì ad intensificare i rapporti. Questa amicizia iniziò ben presto a preoccupare il suocero; in particolare cardinale Farnese, oltre ad essere stato nuovamente sconfitto in conclave, doveva adesso fare i conti con l’ostilità nei suoi confronti di Sisto V, papa che, di origini oscure, disprezzava i potenti ed era più interessato a stringere legami con “i più bassi”. Questa ostilità non aiutava tuttavia Clelia nel portare avanti la volontà del marito, il quale prima di morire aveva intavolato trattative per un matrimonio tra Giuliano e Flavia Damasceni Peretti, pronipote del papa, in vista del prestigio che avrebbe acquisito la famiglia di Sisto con il pontificato (in quest’ottica si spiega anche la sua nomina a esecutore testamentario). Clelia fu molto abile nell’impedire che il padre si intromettessi e compromettesse le trattative e seppe sfruttale la propria socievolezza e le numerosi relazioni tessute negli anni precedenti con gentildonne e rapporti di parentela, non esclusivamente interni ai gradini alti della società ma con tutti gli strati sociali. In particolare Clelia entrò molto in confidenza con Camilla, sorella di Sisto V; fatto che contribuì a spingere il papa a favorire Giuliano Cesarini con gentili elargizioni: un monte di 100mila scudi (il monte era un sistema creditizio introdotto dallo stesso Sisto V) per far fronte ai debiti, il titolo di duca di Civitanova nelle Marche e quello di marchese di Civita Lavinia. Nonostante i favori che Clelia era riuscita ad ottenere dal papa, il padre cercò di allontanarla da Roma in occasione di un su viaggio a Caprarola (per non alimentare pettegolezzi e anche per ridurre le spese che una vita prestigiosa a Roma richiedeva); ma Clelia non resistette e tornò anticipatamente a Roma suscitando l’ira del padre. Iniziò dunque un periodo di forti tensioni tra i due: già prima che ella tornasse a Roma il padre le aveva fatto recapitare da nuovi servitori (quali il Toccolo) lettere anonime il cui contenuto era una sorta di minaccia affinchè ella non tornasse a Roma; e le aveva fatto recapitare una falsa lettera a nome del nipote Alessandro Farnese, che risiedeva nella Fiandre; ma Clelia, non essendo ingenua non c’era cascata e aveva rispedito la lettera al presunto mittente. Da questo scambio epistolare si evince che alla base delle tensioni tra i due stanno sempre i soliti motivi: la paura del cardinale che la presenza di Clelia a Roma potesse infiammare i pettegolezzi e le dicerie, mettendo a rischio la reputazione di tutto il casato. Dal canto suo Clelia non voleva assolutamente lasciare Roma, anche perché in questo modo avrebbe perso le proprietà ed i beni lasciatigli dal marito e la tutela del figlio. Ella scrisse al cugino Alessandro esponendo le sue ragioni, rassicurandolo sulla sua condotta onestissima, mostrandosi disposta a vivere chiusa tra quattro mura circondata dai nuovi servitori scelti dal padre, ad ospitare presso di lei la zia Vittoria. Ma non voleva lasciare Roma anche per le concessioni che il figlio aveva ottenuto dal papa e perché non riteneva che affidare la tutela di Giuliano e dei beni di casa Cesarini fosse cosa saggia, considerando che negli anni precedenti i servitori del padre avevano solamente angustiato lei e suo marito. Tutti gli argomenti usati da Clelia paiono fondati. Tra le principali ragioni dell’accanimento del cardinale verso la figlia vi è sempre la bellezza di Clelia, un problema per la salvaguardia della sua reputazione e dell’onore del casato, a causa delle dicerie che dopo la morte di Giovan Giorgio si erano intensificate. Oggetto di chiacchiere e pettegolezzi erano anche le trattative per il matrimonio tra Giuliano e Flavia, finché ad intralciare i negoziati spuntò il cardinale Ferdinando de’Medici. Nonostante le dicerie riportassero che egli era “tiranneggiato” dall’amore per Clelia, il cardinale si intromise nelle trattative, mirando ad una unione tra Flavia e Virginio Orsini, figlio di Paolo Giordano. Quest’ultimo addirittura era stato accusato dell’omicidio della moglie e di essere il mandante dell’omicidio di Francesco Peretti, zio di Flavia. Con questi precedenti il progetto sembrava destinato a fallire, ma Ferdinando mostrò tutta la sua abilità e scaltrezza. Imparentarsi con Sisto V. Quando Sisto V fu eletto papa, i cardinali cercarono in ogni modo di esercitare la loro influenza sul pontificato, e la strategia più frequente era quella di imparentarsi con il suo casato. I cardinali Farnese e Medici, alimentando il loro antico antagonismo, utilizzarono ogni strumento a loro disposizione, e non mancarono colpi bassi e viltà. Non appena Ferdinando seppe che Giuliano Cesarini era stato proposto ad una delle bisnipoti del papa, lo comunicò a Francesco: era essenziale che i Medici si facessero avanti, suggerendo a loro volta un candidato: Virginio Orsini: quando questo fece la sua visita a Roma nel 1586 suscitò un’impressione favorevole nel papa e nella sua famiglia; ma anche l’idea di un matrimonio tra Flavia e Giuliano continuava a non naufragare del tutto: il papa, esitante di natura, continuava a tergiversare, mantenendo un atteggiamento di equidistanza da entrambi i cardinali (nonostante Ferdinando si sentisse estremamente sicuro di sé e delle sue capacità di negoziazione). Alla fine riuscì effettivamente ad avere la meglio. Ma capiamo perché: le trattative del matrimonio tra Giuliano e Flavia si intrecciarono con l’urgenza di allontanare Clelia da Roma. Nonostante varie voci e dicerie su un probabile nuovo matrimonio della Farnese (anche se sempre vaga rimase l’identità dello sposo), la priorità del cardinale era mandarla nei feudi fuori Roma dei Cesarini o dalle zia. Perché questa urgenza? Ella era considerata un impedimento alle nozze del figlio. La comparsa di Virgionio orsini tra i pretendenti di Flavia spiazzò i menanti, convinti che il cardinale de’Medici, “tiranneggiato” dall’amore per Clelia, non avrebbe mai potuto fare una cosa simile. Cosa c’è di vero in queste insinuazioni? Sicuramente il cardinale aveva sempre mostrato particolare premura nei confronti di Clelia, organizzando eventi dedicati a lei, regalandole gioielli. Nella Roma del Cinquecento questi corteggiamenti tra cardinali e nobildonne erano assolutamente normali, più o meno assidui o ostentati. Dopo la morte di Giovan Giorgio tuttavia, Ferdinando capì che inserirsi nel filone di dicerie già consistente che circondava Clelia e contribuire a creare una immagine moralmente poco limpida della madre del futuro sposo della bisnipote del papa, lo avrebbe aiutato nei suoi progetti. Sapeva inoltre che ad alimentare le dicerie avrebbe contribuito anche lo stesso cardinale Farnese in modo da poter riaccasare e relegare fuori Roma la figlia dalla dubbia reputazione. Entrambi i cardinali avevano intenzione quindi di strumentalizzare per fini politici la reputazione di Clelia. E’ legittimo pensare che fosse lo stesso Ferdinando a progettare l’affissione di pasquinate, mentre è certo che sia stato il committente de “La pesca dei coralli”, dipinto della Zucchi: nei tratti della figura discinta al centro si può riconoscere Clelia, in quelli del giovane alle sue spalle, quelli di Ferdinando. Si sa che in quegli anni Ferdinando, non riuscendo ad avere eredi da Bianca Cappello e assicurare la sua dinastia, stesse pensando di rivolgersi ad un’altra giovane nobile e onesta, con la quale trattare segretamente. Che questa giovane fosse Clelia? Pare improbabile che egli sia fosse rivolto a Clelia, considerando che dopo Giuliano ella non era stata in grado di avere altri figli e anche perché, dati i numerosi pettegolezzi che giravano su i due, il termine “segretamente” non si addiceva molto al loro rapporto. “La pesca dei coralli” era stato commissionato per essere esposto in una stanza pubblica della villa sul Pincio: la presenza delle sembianze della figlia in quel luogo, convinsero il Farnese che era assolutamente necessario allontanarla da Roma onde evitare che interferisse con le trattative per il matrimonio di Giuliano. Tuttavia, nonostante il perpetuo esilio a cui Clelia fu condannata nel 1587, le strategie del cardinale de’ Medici ebbero la meglio e nel 1589 Virginio Orsini sposò Flavia. In quello stesso anno il cardinale Farnese morì, mentre due anni prima il Medici era divenuto Granduca. Il sequestro. Per allontanare la figlia da Roma, dopo che questa aveva sfidato apertamente la sua autorità, il cardinale scelse di cambiare strategia, trovandole un nuovo marito che la conducesse lontana da Roma e dalle dicerie; la scelta ricadde sul marchese di Sassuolo, Marco Pio di Savoia; ma Clelia si oppose fermamente, sia perché non voleva lasciare Roma e il figlio, sia perché rifiutava di sposarsi con un uomo di dieci anni più giovane. Per liberarsi di una figlia scomoda e ribelle, il cardinale dovette ricorrere a drastici rimedi, interpellando anche il nipote Alessandro: quest’ultimo deteneva il controllo degli eserciti di Filippo II nelle Fiandre; inviò il capitano Capizucchi a Roma col compito di arruolare soldati e con l’occasione, lo mandò anche dal papa per avere il consenso a mettere in atto il piano di allontanamento di Clelia da Roma. Il papa, dapprima titubante, accettò e il piano procedette ad eseguire il piano. La notizia fece scalpore e ne nacquero ricostruzioni diverse, ognuno aggiunse particolari e tonalità romanzesche. Certo è che Clelia fu mandata a chiamare dal cardinale, con la scusa di presentarsi al palazzo della Cancelleria probabilmente per salutare Odoardo prima che questi partisse per Caprarola; qui, alla presenza di Mario e Paolo Sforza, il Capizucchi le comunicò l’ordine ricevuto di allontanarla da Roma. Tutti sono concordi sul fatto che ella, sconsolata e smarrita, con “pianti et gridi”, fu caricata su una carrozza e condotta a Rocca di Ronciglione. I motivi per allontanare Clelia da Roma erano sempre gli stessi: porre fine a maldicenze e dicerie, favorire le trattative per il matrimonio tra Giovan Giorgio e Flavia. Come mai la scelta di un gesto così plateale e aggressivo? Si sarebbero potuti utilizzare metodi meno brutali del sequestro autorizzato dal papa per allontanare Clelia da Roma. Per capire ciò bisogna entrare nella mentalità di un epoca in cui l’opinione pubblica pesava quanto e più dei fatti oggettivi: la presenza di Clelia a Roma aveva macchiato l’onore del casato e meritava dunque una punizione esemplare. In ogni caso non era assolutamente intenzione del Farnese ripulire l’onore della famiglia con un delitto o un processo; il sequestro fu ritenuta una misura sufficiente per terrorizzare la donna. Una volta allontanata Clelia da Roma il cardinale era convinto di aver rimosso ogni ostacolo al matrimonio tra il nipote e Flavia: ma quando il Farnese e il nipote Giuliano si recarono al cospetto del papa prima di un breve soggiorno a Caprarola, il cardinale rimase sconvolto quando apprese, dallo stesso Sisto V, che non aveva moglie da dare a Giuliano. Nel frattempo però un altro matrimonio interessava particolarmente l’opinione pubblica: quello tra Clelia e Marco Pio di Savoia. Il matrimonio con Marco Pio di Savoia. La notizia del matrimonio tra Clelia Farnese e Marco Pio di Savoia si diffuse, pur con qualche incertezza e senza che avesse ancora ottenuto il consenso di Alfonso II, che continuava ad opporsi ribadendo soprattutto l’eccessiva differenza di età tra i due. Il Pio tuttavia, senza curarsi del consenso del suo signore, si recò a Roma nel luglio 1587 e, in casa di Mario e Paolo Sforza si iniziarono ad abbozzare i piani matrimoniali, che prevedevano comunque l’approvazione da parte di Alfonso II. Il Pio rimase estremamente colpito dalla bellezza di Clelia, la quale lo soddisfaceva sotto ogni punto di vista; in più era interessato ad imparentarsi con i Savoia per ottenere una condotta nelle Fiandre al servizio del duca Alessandro. Si recò dunque a Caprarola ed il 1 agosto fu annunciato “il parentado”, senza alcun consenso da parte del signore estense. Si diceva che prima di concludere il matrimonio Marco Pio dovette “dare prova di sé”durante un incontro con una signora spagnola, per smentire voci riguardo le sue capacità. L’indomani Clelia fu condotta a Caprarola e qua, senza indugio, avvenne il matrimonio. I menanti raccontarono dettagli pruriginosi riguardo intense “battaglie” della coppia il giorno stesso delle nozze. Si diceva inoltre che il cardinale avesse informato il duca di Ferrara a nozze avvenute, assumendosi la responsabilità della mancata richiesta di consenso da parte del marchese di Sassuolo. Con la notizia di questo matrimonio il dramma di Clelia passava in secondo piano; ma si può immaginare che Clelia non condividesse tutta quella euforia: certo, Marco era un buon partito, signore di un ricco feudo, imparentato con famiglie potenti ed influenti, cresciuto presso una corte raffinata; ma la lontananza da Roma e soprattutto dal figlio continuavano ad affliggere Clelia e a peggiorare il tutto vi erano la rapidità e la violenza con cui la sua vita era stata sconvolta. Perché le nozze avvennero con così tanta fretta? Sicuramente aveva contribuito la volontà del cardinale di rimuovere l’ultimo ostacolo alle nozze tra Giuliano e Flavia Peretti; ma si vociferava anche di una gravidanza di Clelia, visto il continuo andirivieni di medici tra Roma, Caprarola e Ronciglione. Si vociferava addirittura che il padre del bambino fosse Ferdinando de’ Medici: questo spiegherebbe l’intervento del cardinale per convincere Alfonso II a dare il suo consenso alle nozze: facendo sposare Clelia e facendo così credere che il frutto della loro passione fosse in realtà figlio del secondo marito. Clelia comunque non ebbe altri figli, e risulta difficile pensare che fosse veramente incinta conoscendo la sterilità dopo la nascita di Giuliano; sterilità che non si può attribuire a Giovan Giorgio considerando che egli ebbe un figlio illegittimo. E’ probabile quindi che il malessere di Clelia fosse ancora legato alla sua fragilità fisica e psicologica. Il matrimonio infatti non risolse le sue inquietudini; anzi le aggravò, consentendo al cardinale Farnese di assumere la tutela del nipote Giuliano. Clelia non potette opporsi alla clausola del testamento del marito che le affidava la tutela del minore solo in caso in cui ella non si fosse risposata. Clelia poté intervenire solo nell’ambito dell’istruzione del figlio, incaricando di trovare un precettore al figlio Francesco Maria II della Rovere piuttosto che
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