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Appunti di Storia e Web: Storia Sociale dei Media e i Gesuiti - Prof. Gulizia, Appunti di Storia Dei Media

Appunti di due moduli di lezioni universitarie tenute dal professor Stefano Gulizia sul tema della storia sociale dei media e l'impatto dei Gesuiti in Cina. Il primo modulo, di Peter Burke e Asa Briggs, esplora la nascita del libro a stampa e il ruolo dei Gesuiti nel recupero del 'gossip' e la comunicazione astratta. Il secondo modulo, di Antonella Romano, indaga sul sistema informativo dei Gesuiti e la loro presenza globale, in particolare in Cina. una profonda analisi della storia sociale dei media e della comunicazione a lunga distanza, con particolare attenzione alla Compagnia di Gesù.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 29/05/2022

matteo.crespi01
matteo.crespi01 🇮🇹

4.6

(110)

48 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti di Storia e Web: Storia Sociale dei Media e i Gesuiti - Prof. Gulizia e più Appunti in PDF di Storia Dei Media solo su Docsity! Matteo Crespi 964286 Studi Umanistici, Storia II anno, II semestre APPUNTI di STORIA E WEB con il professor STEFANO GULIZIA 2 INDICE MODULO A: PETER BURKE E ASA BRIGGS, STORIA SOCIALE DEI MEDIA 3 Introduzione 3 L’introduzione della stampa 4 I media e la sfera pubblica 8 Habermas e lo studio dei media 10 Lutero e la materializzazione dei media 14 Walking in sixteenth-century Venice di Filippo De Vivo 17 Tecnologie e rivoluzioni 20 MODULO B: ANTONELLA ROMANO, IMPRESSIONI DI CINA 25 Comunicare a distanza (longterm control) 25 Studi di network 27 Il network dei Gesuiti 29 Impressioni di Cina 34 5 Minerva in spazi non accademici, ma in luoghi come le stesse stamperie (fig. 5-6). Infine, sempre Minerva patrona, viene rappresentata in una biblioteca (fig. 8): il posizionarsi dell’artigiano libraio diventa superiore, finché, addirittura, vi sono esempi di visualizzazione separata fra archivio e produzione del libro (fig. 9-10). Il lavoro degli atelier a stampa era usurante: dal punto di vista ambientale le condizioni erano pessime, lavo- rando in costante contatto con rame ed elementi cancerogeni (fig. 11). 1 2 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 6 CENSURA E COPYRIGHT Esiste una censura e un’etichetta di buon comportamento nei social media. Essa nasce con degli scopi ben precisi, quale successo ha avuto soprattutto con l’invenzione della stampa? Il primo indice dei libri proi- biti è di metà XVI secolo. La censura non ha soltanto un aspetto negativo, ma anche uno costruttivo: i censori costituivano i primi nuclei di un canone, soprattutto nella letteratura ebraico. Nella stampa ebraica, piena di affluenti, come le varie traduzioni, sono stati proprio i censori a costituire un primo nucleo di testi che porta alla costituzione di un primo canone. La censura è quindi anche da interpretare come questo tipo di agente. Venezia è un caso importante, poiché inizialmente era la capitale del libro nel XV e XVI secolo: alla fine del XV secolo si parla di 2.000.000 di libri Veneziani diffusi in tutta Europa, un primato che non mantiene a lungo, sorpassata poco dopo da Parigi e Londra. La caratteristica di Venezia, cioè il fatto di essere sul mare e in una posizione favorevole, ha costi- tuito una caratteristica molto specifica del mercato di Venezia. Duecento anni dopo a Londra c’è un grande fiume e soprattutto una strada che diventa un nucleo dove tutti gli stampatori hanno una bottega, questo crea un modello capitalistico molto diverso. Un modello di grabe street è un modello di cluster industriale e la trade zone, dove vi è una discussione continua fra compratori e consumatori, è una zona viene così indivi- duata come la "zona del libro”; nel Seicento vi era quindi una codificazione molto precisa, anche e soprattutto ad Amsterdam, questo associazionismo porta a delle partership. Quando muore uno stampatore, cosa abbastanza frequente visto le condizioni lavorative pessime, spesso e volentieri sono le donne che continuano il lavoro, di cui però non se ne è mai parlato, ma che sapevano fare tutto: conti, contratti e copyright. Il copyright era un aspetto non molto chiaro, cioè non sappiamo quanto fosse effettivamente applicato: quanto indietro andiamo, pensando al copyright odierno, conside- rando la public sfere? TIPOLOGIE DI LETTURA E LE BOTTEGHE Ci sono diverse tipologie di lettura, una critica, dove si comprende, dalle conoscenze dei singoli, il con- tatto di essi con la letteratura proibita, una per esteso, cioè la quantità di libri letti interamente. Solo successi- vamente il libro assume un altro stato, spostandosi più sul versante della consumazione, mentre a volte alcuni leggono solo in parte un libro. Come si cerca un libro? Il processo per noi asso- ciato alle competenze digitali ha tutta un’archeologia anche nel libro storico, cioè ci sono una serie di stru- menti che ci permette di farlo. Quando cerchiamo un libro antico in un’edizione moderna, cosa si guadagna e cosa si perde? Quest’idea della lettura non per esteso provoca una serie di strumenti e oggetti, come il common praise book, un quaderno dove per argomenti vengono copiati dei pezzi da libri con una tradizione, come Plinio, Aristotele, Cicerone, Descartes, etc… una tecnologia che si sviluppa con i filosofi nuovi, come Locke. Questi quaderni rappresentano uno strumento intermedio fra il libro letto per esteso e quello no, erano un modo molto diffuso fino all’Ottocento, basti pensare a Leopardi e allo Zibaldone, una specie di common praise book arrivato da sue conclusioni filosofiche; questo porta anche ad una prosa meno scorre- vole ovviamente. Da questi libri possiamo ritrovare dei funzionamenti come quello dell’odierna Wikipedia, quindi sono fonti. La lettura privata, invece, nasce in un periodo difficilmente individuabile: nel Medioevo non era molto presente, è con l’età delle rivoluzioni che arriva questo fenomeno. Non è però né storicamente comune né necessariamente vincente. Vi sono poi due dibattiti importanti. Uno è sulla stabilità che porta alla cultura stampa, è vero che la stampa produce standardizzazione? Dibattito di fine anni ’70 e ’80-’90, mentre oggi si vedono i media inseriti in una ecologia, dove cooperano reciprocamente e queste forme che si possono storicizzare sono la nuova Lezione 3 7 frontiera. L’altro dibattito è quello di Habermas, anch’esso un po’ datato: o oggi si va oltre, o se ne fa tesoro andando oltre, guardando altri territori. Come si trovano le informazioni in una bottega di un libraio (un bookstore odierno)? Vedendo l’immagine si notano delle scaffalature inusuali, estremamente ordinati e senza un minimo di caos; la figura minuscola sembra quasi uno studioso universitario. Si vede poi una bottega dei mercanti, con cataloghi e oggetti: l’im- magine trasmette un’idea di vendita generale, il libro è una merce in mezzo a tante. La bottega del libro è poi vicina ad un barbiere, una bottega delle armi, etc…. C’è un aspetto di mobilitazione della piazza. Uno degli aspetti più importanti della nascita del libro è anche il recupero del “gossip”, la ripresa della dimensione astratta della comunicazione: chi lavora nei libri in questo periodo è gente che cambia spesso locazione. Tornando alla bottega, un aspetto che colpisce è proprio il fatto di come, immaginata piena di carta, con un valore economico di un certo tipo e che fornisce da base, essendo il libro inizialmente sfascico- lato, ci siano dei fogli di guardia usati per le annotazioni. È rappresentato qui un Aristotele dove sono mostrati degli appunti negli spazi liberi, per realizzare le tabelle: la carta, più che il libro, ha un ruolo fondamentale, il libro è anche un collettore di immagini, pensieri e connessioni sociali. Nel grande libro sulla repubblica delle lettere, ad un certo punto si dice che il libro a stampa era diventato lo strumento di prevalenza, mentre si dice la stessa cosa della lettera poco dopo: c’è una coesistenza perciò delle due cose. Un esempio è Robert Hooke, che cerca di spiegare lo scopo della Royal Society, dicendo che ha tre obbiettivi: la lettura “distratta” dei libri, quindi non dall’inizio alla fine, la consultazione e la conversa- zione degli uomini, la Royal Society era un club vero e proprio di tipo internazionale, e di esperimenti. I libri sono quindi inseriti in questi tre aspetti, perciò non è vero che i nuovi filosofi sono anti-eruditi. Nella bottega dei libri vi era un catalogo che identificava i libri e la rilegatura, un altro esempio è l’asta di Joannis Korbag, seguace di Leibniz: alla morte di quest’ultimo, i suoi libri venivano venduti all’asta e oggi si nota l’evoluzione del catalogo, poiché diventa un’operazione di marketing, arrivando ai grandi cataloghi dell’Otto- cento. Fino alla fine del 600, possedere qualche centinaio di libri si- gnificava essere un professionista. Questo è un esempio dell’album amicorum, visto in precedenza, dove si trovano informazioni impor- tanti; alcuni individuano la lettura come una partita a scacchi, altri con simboli di povertà, c’è una cultura emblematica che emerge da queste condizioni. EDIZIONI ORIGINALI E REPERTORI ONLINE Il cholofon ci da una serie di informazioni, con l’idea di nuove ristampe e dove si vedono dei simboli. I dati eccomici mostrano una crescita esponenziale della costruzione del libro, soprattutto a Milano, ma vi sono altri centri, come Genova e Cremona; il declino di Milano lascia poi spazio a Venezia. Parlando di generi, è abbastanza sorprendente l’importanza data al volgare: c’è una sopravvivenza e un miscuglio con vari generi, ma comunque non toglie la crescita del volgare. Un esempio solo di Venezia vede alcuni stampatori, i quali, per sopravvivere, fanno dei consorzi fra loro. Arrivabene è il primo che traduce in italiano il Corano, mentre Giolito aveva accolto nel suo catalogo tutti i grandi libri di Dante, Petrarca e Boccaccio. C’erano arti che si sviluppavano di più di altre: il gotico medievale e quello umanistico sono diversi. Sono due esempi di libri grossi messi in foglio, con vari simboli: ogni privile- gio a Venezia dura dieci anni; quindi, se c’è un libro che ha successo ci sono tutta una serie di mezzi per avere un basso livello di copyright. Manuzio diventa un brand vero e proprio, famoso e tout court. Vi è un esempio di come imparare dai libri, quando si vanno a visionare quelle copie online, succede che a volte si perdono certe informazioni, non tutti gli articoli permettono di visionare le stesse informazioni. In un esempio si vede un libro sempre di Manuzio, con tutta una serie di informazioni che spesso non ci sono nei repertori online. L’ultimo esempio riguarda la marca tipografica di Giolito, nel cui si cerca di fare un 10 fra autore e lettore, che dipendeva dalla tecnologia del libro a stampa. Robert Danton sostiene che la posi- zione di Google non sia sbagliata completamente, se non fosse che concentra il potere nelle mani di una sola multinazionale, creando un monopolio di beni pubblici. Secondo Maurizio Borghi, il copyright è passato ad essere a un sistema caratterizzato dalla attivazione e disattivazione in qualsiasi momento: autori e lettori sono continuamente richiesti di dare o meno l’assenso. La cosa più interessante di questa discussione è la decentralizzazione fra autore e lettore, cioè che l’uso dei network portano il sapere da essere un qualcosa di oligarchico a un qualcosa di democratico, il che è una delle caratteristiche fondative della teoria di Habermas: un soggetto razionale, astratto e pubblico, costituisce una sorta di antecedente storico. Di questi autori, Mau- rizio Borghi fa riferimento esplicito al saggio di Kant del 1785 in maniera molto intelligente. La cosa fondamentale nel testo di Kant è che reagisce ad un cambio di paradigma, cioè è scritto mentre si assiste a uno sviluppo del concetto di copyright, passando dal protezionismo assoluto, ad una liberalizza- zione. Nel testo di Kant c’è una dicotomia fra idea ed espressione, che ritorna al processo di Google nel 2016: il principio di massimizzare la creatività viene citato e secondo Kant va veicolata l’espressione di questa idea. Kant non era un difensore della proprietà intellettuale, non guardava all’autore come un qualcosa di intangi- bile e da proteggere, ma scrive che “in un libro sia interessante che l’autore parli ai suoi lettori”: nel saggio, la parola “parlare” è preponderante rispetto a quella di, per esempio, “pubblicare”, il che sposta i diritti d’au- tore dall’identificazione del rapporto primario della pubblicazione ad uno più ampio, della performance pub- blicativa. Non c’è solamente un modo per parlare, ma diversi: per Kant sembrerebbe che la proprietà intel- lettuale consiste in un atto comunicativo e l’originalità di questo atto deve essere un’estensione; finché lo stampatore agisce secondo l’estensione di un’idea, è positivo. Il concetto Kantiano del libro come soggetto comunicativo, ha aiutato quindi Google e ci ha anche per- messo di capire questo percorso in questo periodo particolare. Il saggio serve a spiegare come il libro stampa sia muto, ma l’autore sia una voce, un megafono: Kant anticipa l’idea del “canneling”, si sta facendo promo- tore di un messaggio interessante, ponendo al centro non la stampa, ma l’aspetto orale e fonico. Nel saggio c’è tutta una presentazione riguardante l’autore che parla al pubblico, in cui si vede Kant che non mostra il liberalismo della “sinistra laica” dicendo di dover realizzare l’ideale di certi codici, ma ha molto influenzato un’idea che si diffonderà più avanti. Il copyright diventa un’intermediazione fra una comunicazione orizzon- tale, non più verticale; è molto intelligente che i milionari di Google abbiano qui trovato la leva per vincere la causa. Habermas e lo studio dei media* INTRODUZIONE Jurgen Habermas (1929-) è uno studioso tedesco nato nel 1929, scrive il suo testo fondamentale, La trasformazione strutturale della sfera pubblica, nel 1962; scrisse il libro per passare l’abilitazione a profes- sore. Il libro risponde a una serie di sollecitazioni della scuola di Francoforte degli anni Trenta, in particolare provenienti da Walter Benjamin; molti della scuola si erano rifugiati in America come Panofsky. Uno dei problemi fondamentali dell’opera è la traduzione del termine astratto “sfera pubblica”. Il termine tedesco “Offentlichkeit” significa pubblicità, nel senso di rendere qualcosa pubblico, o in maniera concreta, attraverso stampe, o in maniera spaziale, attraverso le relazioni interpersonali. Il titolo è fuorviante perché è stato pensato pur un’utenza di tipo sociologico, gli storici sono venuti dopo, il dibattito è partito con trenta quarant’anni di ritardo rispetto alla pubblicazione. Un capitolo di Briggs e Burke è dedicato ad Habermas. Secondo Habermas nel corso del Settecento si viene a creare la possibilità di un dibattito razionale, critico e astratto che corrisponde alla creazione di una borghesia liberale, in particolare inglese e francese, che era aperto alla partecipazione di tutti, la discussione prima era principalmente nelle accademie. Habermas ha avuto bisogno di due punti: * Lezioni extra registrate Lezione 6* 11 • Sottintende che il Settecento sia un secolo non solo fondamentale ma anche lungo. Esiste una durata lunga di tipo braudeliano per cui certi avvenimenti hanno riscontri negli ultimi anni del secolo prece- dente e nei primi di quello successivo. Parliamo di un periodo che comincia negli anni Novanta del Seicento e prosegue fino ai primi anni dell’Ottocento; un blocco temporale stabile dal punto di vista intellettuale che corrisponde alla sfera pubblica. • Presupporre l’esistenza di un sistema di media che operano insieme nel sistema stesso: i giornali, ma anche avvisi, tariffari economici e i proto-giornali, le coffee houses, come luogo di ritrovo che ha anche una funzione sociale, i club, come circoli massonici e infine i saloni, in particolare francesi. Briggs e Burke impostano il secondo capitolo come un test di fatto, in cui cinque epoche vengono analiz- zate dal punto di vista della funzione dei media e viene messa in esame la teoria di Hebermas: Riforma, guerre di religione in Francia e in Olanda, Rivoluzione Gloriosa e Rivoluzione francese. Il cluster di eventi va dagli anni Venti del Cinquecento fino alla fine del Settecento. La tesi del libro è che per parlare di democratizzazione non si può parlare di un progresso lineare, ma ci sono anche momenti di rottura, si procede con scarti, riprese, scarti e nuove riprese. Questo si può descrivere come una sorta di narrativa a zig-zag. Non è necessario immaginare che la sfera pubblica sia di proprietà di una deta cultura francese o inglese ma è interessante valutare quanto esistesse un qualcosa di simile alla sfera pubblica intesa da Habermas in diverse epoche. Ad esempio, in URSS, per criticare il regime, si trova- vano strutture di dissenso che erano limitate alle cucine dei dissidenti o agli spazi comuni dei grandi condo- mini sovietici; questo da un punto di vista habermassiano costituisce un esempio di pubblicizzazione che ha un livello di libertà d’espressione diversa dalla comunicazione di una sala di caffè inglese del Settecento ma, anche la cucina di un dissidente sovietico, è comunque parte di questa trasformazione che comincia nel lungo Settecento. DEFINIZIONI E CRITICHE AL MODELLO L’eredità della scuola di Francoforte non è a senso unico, esiste un’evoluzione nel pensiero di Habermas, il quale ha rivalutato il ruolo della religione come spazio della vita pubblica e politica, rivedendo la separa- zione classica tra vita pubblica e vita religiosa. Il dibattito è stato ripreso e pubblicato da Aragno in Contro Habermas, una sorta di dialogo tra Paolo Flore D’Arcais e Habermas. Il filosofo tedesco rivendica il ruolo della religione come serbatoio nell’immaginario politico; la secolarizzazione, ossia la distinzione tra religione e vita pubblica, sarebbe un abbaglio di tipo eurocentrico, il razionalismo occidentale avrebbe perso di vista l’aspetto salvifico del ruolo della feda sulla vita mondana. Interessante che la discussione ricompaia nello storico australiano Peter Harrison, il quale ha ribadito che nello studio della modernità scientifica, dalla Rivo- luzione scientifica del Seicento, gli storici hanno sottovalutato il ruolo della religione come serbatoio di valori. A seguito di ciò la società odierna viene adattata all’età moderna, non permettendoci di comprendere a fondo i passaggi storici. La nuova posizione di Habermas si avvicina a queste prospettive. Un problema sollevato da La trasformazione strutturale della sfera pubblica è quanto si possa adattare la sfera pubblica a fenomeni che restano esclusi per scelta di Habermas. Molte critiche dimostrano un’adat- tabilità ad ambienti come la Spagna e l’Italia. Antonio Castillo Gomez in Beyond the Public Sphere sostiene che una letteratura sommersa, clandestina, effimera e occasionale ha avuto un impatto pubblico superiore di quello previsto dalle tesi classiche, secondo Gomez le tesi di Habermas sono difficilmente applicabile alle società d’antico regime. Andreas Gestrich, sempre all’interno di Beyond the Public Sphere, sostiene che il paradigma habermas- siano non funziona perché deriva da una dicotomia tra società civile e Stato che Habermas ha derivato da Engels e Marx; propone pertanto il ritorno di Niklas Luhmann il quale presuppone sì razionalità nella sfera politica ma prevede anche un’attività di tipo ciclico, differenziando non solo in base a una successione di eventi, ma anche analizzando i sottosistemi di comunicazione che ritornano periodicamente. Posizione più sfumata di Massimo Rospocher, curatore di Beyond the Public Sphere, egli sottolinea che nonostante le critiche la teoria di Habermas ha molto da offrire anche se avverte la necessità di far comba- ciare la teoria di Habermas con la global history e con la ripresa del gossip, del rumore, della vita di strada, dell’idea dell’esistenza di comunità a livello comunicativo basso. 12 Posizione che accumuna anche il lavoro di Filippo de Vivo che difende, sempre nell’opera curata da Ro- spocher, un approccio ambientale sulla vita di strada, sulla comunicazione che si sviluppa in maniera orga- nica. Quello che per Rospocher diventa un’evanescenza della sfera pubblica che si forma attraverso canzoni, grida e stampa dozzinale, in De Vivo si accompagna alla fisicità di un luogo come Venezia che presuppone un'altra impostazione rispetto ad altri luoghi cittadini come le coffee houses o i saloni. Lo sviluppo di una sfera pubblica è uno spazio di mediazione tra l’autorità e un individuo (Habermas, 1962). Due orizzonti di lettura estranei alla visione di Habermas: l’aspetto della violenza nei media e il ruolo delle donne nella creazione della sfera pubblica, entrambi sottovalutati. Da un posto di vista europeo non è stato fatto abbastanza per rivalutare l’impatto delle donne alla nascita della sfera pubblica, rimane una cate- goria sottoutilizzata che rende la costruzione meno convincente. Quello che è rimasto nelle varie letture all’interno di Beyond the Public Sphere è l’idea che ciò che noi percepiamo come una sfera pubblica, è sempre spazializzato, un dominio di espressione libera, democratica, razionale e accessibile a tutti. Spazio dove osservatori storici possono entrare e uscire costituendo un’unità in senso unitario, questo aspetto cozza con la realtà empirica che studiamo; il problema è la discrepanza tra l’approccio astratto della sfera pubblica e la documentazione concreta, come se fosse una proiezione. La creazione di un soggetto di massa è un concetto instabile che prevede eccezioni. Uno storico della Rivoluzione francese come Francois Furet ha scritto dal punto di vista habermassiano e il problema della rivoluzione è diventato la trasformazione di una sfera pubblica in un soggetto instabile; il Terrore sarebbe comunque l’evento principale in cui si può misurare la razionalità moderna della sfera pub- blica in senso habermassiano. IL PROBLEMA DELLA SPAZIALIZZAZIONE Nonostante il libro di Habermas contenga i germi di una teoria del declino secondo la quale la sfera pub- blica dalla seconda metà dell’Ottocento decade come forma di comunicazione democratica, gli storici si sono interessati invece sul consolidamento della sfera pubblica nell’età moderna. Per Habermas la sfera pubblica borghese potrebbe essere concepita come un insieme di persone private che si riuniscono come pubblico; la sfera pubblica è formata da persone che si mettono insieme per formare un pubblico. In queste pagine Habermas individua la capacità individuale di riconoscere l’argomento migliore come legittimità nella sfera politica, accordandosi per esprimere un’opinione imparziale. Questa imparzialità si radica nei saloni parigini alla metà del Settecento, in Germania nei club di lettura, in Inghilterra attraverso le coffee houses. Il caffè dell’illuminismo milanese, in Italia, si proponeva in senso habermassiano di parlare agli italiani ignorando le divisioni linguistiche e politiche, rinascendo nella radice britannica una base per esprimere un’imparzialità di giudizio, considerato critico e razionale, una promessa di partecipazione demo- cratica. Per alcuni la teoria si applica in maniera discontinua anche prima mentre altri sostengono che la teoria di Habermas funziona meglio nel lungo Settecento, per altri ancora le distinzioni tra pubblico e particolare sono difficilmente spiegabili dal punto di vista del discorso razionale e la sfera pubblica sarebbe troppo re- strittiva, rimanendo nel mondo borghese. Si parla di sfera pubblica al plurale, come un terreno di discussione con diverse voci, come sfere pubbliche in competizione. Questa ambiguità è una manifestazione della vitalità di Habermas, ambiguità della sfera pubblica come un sito e un dominio, nel chiamare la sfera pubblica uno spazio la costruzione di Habermas è allo stesso tempo la costruzione di un dominio in cui uno può entrare, occupare e uscire. Sito-dominio è una testimonianza della vitalità della teoria di Hebermas, fino a periodi successivi che sono caratterizzati dall’au- tocoscienza politica del proletariato, dandosi forma di rappresentazione pubblica attraverso il sindacato. La sfera pubblica è trattata come una sorta di media che cristallizza un processo di distinzione sociale, un gruppo diventa una persona che rappresenta l’argomento migliore, pubblicizzandolo e prendendolo in ma- niera seria e non distorta. Quello che distingue una forma moderna a una premoderna della pubblicizzazione è la capacità di auto- rappresentazione di un soggetto che sceglie di porsi al di fuori dei vincoli sociali, attraverso l’universalità della sfera pubblica. La caratteristica principale dell’astrazione della sfera pubblica è legata alla capacità della sog- gettività di comportarsi come un correttivo dei propri interessi personali. La spazializzazione non è la maniera 15 LE RELIQUIE È stata rinvenuta una pulce mummificata del 5 aprile 1525 all’interno di un manoscritto appartenuto a Lutero: nel pieno della guerra dei contadini. Egli si allineerà al volere dei principi facendo crollare la ribellione. All’interno di questo momento drammatico rimane un oggetto piccolo, misterioso; la pulce tende ad essere una reliquia che offre una connessione fisica con il corpo. In che modo le persone del Cinquecento associavano una funzione memoriale agli oggetti appartenuti a Lutero? I suoi seguaci hanno sviluppato una sorta di culto? Che relazione c’è tra l’oggetto fisico e la loro funzione devozionale? La reliquia si definisce ad una persona, un evento o un posto. Un oggetto diventa una reliquia dopo la morte della persona: le caratteristiche carismatiche sono trasferite alla reliquia che quindi ha una sorta di potere. La fisicalità del transfer è importante, prima della Riforma la reliquia è un pezzo di corpo o al limite di vestito, associato a un potere curativo. Federico il Saggio aveva un enorme collezione di reliquie, spina nel fianco di numerosi riformatori, compreso Lutero. Lutero polemizza con pratiche devozionali relative ai santi, quindi compie una forte polemica anche con- tro le reliquie. Nella sua campagna mediatica si sviluppa un discorso delle reliquie specifico dell’ambito lute- rano, in controtendenza rispetto alle idee inziali, la reliquia diventa più commemorativa. Si formano alla metà del Cinquecento entusiasti luterani che iniziano a fare una sorta di turismo mettendo in mostra gli oggetti del riformatore di Wittenberg. Comincia nel Seicento una manifattura di falsi luterani veri e propri. I luoghi diventano oggetto di interesse, come la casa natale di Lutero, la quale sarebbe soprav- vissuta ad un incendio disastroso, avvicinando così la casa ad espetti curativi e magico-religiosi. Da distin- guere dal grand tour religioso degli aristocratici. Nel turismo luterano le immagini sono propriamente tede- sche, come boccali di birra. Quando Lutero era in vita, fin dall’inizio, il luteranesimo aveva usato sia oggetti, sia immagini. Per via di derivazioni iconoclaste di altri riformatori si tende a sottovalutare questo aspetto, in contrapposizione alle immagini cattoliche. Lutero in realtà usò le immagini per creare un brand, cominciando dal suo nome. Dal momento che Lutero fece la sua prima apparizione alla dieta di Worms del 1521, il pittore Lucas Cranach fu da subito coinvolto nella creazione dell’immagine standard luterana. A partire dal 1520 c’era già un’immagine canonica che poi divenne ossessiva. L’immagine è classicistica, si rifà all’uso romano di medaglie e monete; c’è un aspetto di branding, la medaglia era accessibile a molti, veniva passata di mano in mano, la fonte dell’immagine era di grande produzione artistica. La produzione di massa dell’immagine di Lutero li squalifica dall’essere reliquie in quanto non sono uniche, moltiplicano i loci del sacro. Il culto dei santi nella controriforma sfrutta la stessa idea. Esempio di un cartone di Cranach in cui si vede come l’immagine di Lutero era destinata ad essere riprodotta, con questo cartone se ne potevano produrre mille contempora- neamente, accanto alla sua immagine c’erano boccali di birra, medaglie ecc. Dopo la morte di Lutero abbiamo un’immagine commemorativa nell’altare principale di Wittenberg, con il riformatore che predica e riceve i sacramenti, immagine più devozionale che di reliquia. Sarebbe stato inconcepibile per il calvinismo questo statuto delle immagini, le quali divennero un modo per distinguere lo sviluppo teologico rispetto ai luterani, i calvinisti praticarono infatti l’iconoclastia ed erano avversi ad esse. Le fattezze di Lutero sono interessanti; gli occhi dovevano essere penetranti, doveva essere senza barba, vestito di nero e con la bocca preminente. L’immagine si consolida intorno al 1545 e queste immagini comin- ciano a creare un senso di domesticità per cui Lutero diventa una sorta di genius loci del luogo domestico tedesco. Queste immagini non erano mai solo figurative ma avevano un motto che la maggior parte delle volte era aggressivo, come frasi contro il papa: “da morto sarò la tua condanna”. Consolidamento dell’imma- gine all’interno della sfera domestico nella cultura luterana. Nello stesso periodo in cui il turismo delle catacombe romane aveva contribuito a rinnovare il senso delle reliquie, nello stesso momento in cui le confraternite erano legate ad una specifica reliquia; nella cultura luterana si sviluppa una cultura della reliquia particolare dove funziona come un veicolo di identità senza potere curativo o devozionale ma che ha una relazione emotiva profonda tra fedele e riformatore. L’imma- gine luterana classica è l’immagine di un uomo corpulento, che enfatizza il piacere del bere e del mangiare, ripudia l’ascetismo e si allinea; Lutero viene idealizzato con i suoi limiti, la creazione di un brand luterano è a 16 metà strada tra un culto dei santi e il culto dei grandi uomini, questa idea è anche a metà via tra il privato e il pubblico, hanno una funzione civica ma si trovano anche in luoghi domestici. CONCLUSIONI Nella Riforma c’è anche una dimensione di gesti, abiti e temperamento che coinvolge la preparazione spirituale, la comunicazione e l’apprendimento. L’identità religiosa si attua in pratiche che diventano, come nel caso di Lutero, un brand per una comunità di fedeli. Il luteranesimo coinvolge sia un’attività fisica sia un’attività intellettuale, la maniera in cui il corpo modula una sorta di postura, un gesto è dipendente dalla performance interiorizzata, come la stampa. È possibile opporre il cattolicesimo come una forma religiosa caratterizzata da un approccio sensoriale, e il luteranesimo caratterizzato dall’interiorità delle parole? Alcuni studiosi, come Ulinka Rublack, hanno inaugurato studi sull’identità luterana e la cultura della me- moria, coinvolgendo l’archivio delle tracce autografe conservate dai seguaci di Lutero. La cultura di Witten- berg diventa anche il luogo di una cultura delle reliquie. Questa interpretazione trova un supporto nell’archi- viazione che si muove dalla materialità alla digitalizzazione. Centralità del rapporto tra Cranach e Lutero, e centralità della vendita delle indulgenze, spesso condan- nate a stampa. Nel 1538 Lutero in un trattato contro il Concilio oppone al concetto di una Chiesa istituziona- lizzata, l’idea di un popolo cristiano in cui la parola può abitare comunemente, insiste sulla parola sacra, che non è quella del predicatore ma, è la parola scritta che funziona come una reliquia. Nel luteranesimo ha rilievo l’assalto del demonio e come reagire ad esso, ossia meditare sulla parola scritta, c’è un conforto spiri- tuale che diventa un nuovo angolo mediatico per respingere l’assalto della tentazione. C’è un utilizzo nuovo del libro a stampa che rimpiazza la reliquia tradizionale, aderendo a una cultura individuale proto-borghese dell’accesso alla stampa per ottenere la grazia. Lutero insiste tra l’opposizione tra la parola sacra e la parola morta che si vede nella decadenza del papato. Nella reinscrizione del messaggio biblico nella stampa c’è una capacità vivificante che si manifesta. La grande diffusione della cultura a stampa veniva percepita da Lutero come un arsenale protestante nella lotta con il papato. Nel trattato del 1538 invoca la capacità della parola scritta di poter essere sempre utilizzata, non parla della chiarezza ma parla della capacità della parola sacra di essere collezionata e quindi invocata ed usata in ogni momento. C’è un superamento in senso mediatico della funzione precedente dell’amuleto testuale: una parola che nella sua fattura anche artigianale era considerata sacra contro la ten- tazione. Lutero ha in mente la capacità concreta della possibilità di replicare storie e parole. Questo fa di Lutero una sorta di uomo miracoloso, questo si vede nella maniera in cui le preghiere di Lutero avevano rimesso in vita l’amico Melantone, secondo la tradizione, grazie ad inni e citazioni bibliche. Lo stesso Melan- tone aveva coltivato una forma di personalizzazione della parola scritta, egli era professore universitario ed aveva speso tempo a firmare autografi ed incentivare gli studenti a scambiarsi messaggi attraverso i quaderni degli amici. Discussione più interessante rispetto alla discussione precedente in cui si sosteneva che Lutero incenti- vasse sé stesso come un santo, con altri che si opponevano a questa visione. I nuovi studi mettono in risalto la reliquia come una forma grafica, in questo si può vedere un legame più diretto con la cultura di Erasmo secondo cui l’identità di un uomo si manifesta attraverso la voce e la mano, la scrittura diventa una feticizza- zione del proprio sé religioso od umanista. Lutero e i suoi collaboratori hanno insistito su questo nuovo tipo di reliquia associata alla cultura a stampa, c’è in questo un aspetto offensivo dal punto di vista teologico perché è un qualcosa di tipico della cultura cattolica. Nel 1530 in un’edizione del Nuovo Testamento c’è Lutero rappresentato come uno dei quattro evangeli- sti, scrittore con una matrice memoriale, testimonianza di un culto di neo-reliquie: ritratti, medaglie, citazioni bibliche aggiunte a mano. C’è quasi un sigillo della lettera, la quale trasforma il libro in un oggetto autografo, se il libro a stampa viene autenticato da una grande personalità acquisisce una parte di funzioni che tradizio- nalmente erano della cultura della reliquia del mondo cattolico. Ci sono diversi problemi se si vuole mantenere la dicotomia tra il protestantesimo e il cattolicesimo per quello che riguarda le immagini e la devozione. C’è un tentativo di assicurarsi autografi, i quali avevano anche un loro mercato, costruito sulla possibilità di ottenere queste forme di intermediazione tra i padri religiosi 17 del movimento luterano e i fedeli. Fin dalla morte di Lutero si forma un mercato in cui il libro vale di più se autografo, quest’ultimo diventa intermediazione tra la parola salvifica e la parola riproducibile a stampa. Walking in sixteenth-century Venice di Filippo De Vivo FILIPPO DE VIVO: L’ARCHIVE TURN Il libro di De Vivo parla dei “bozzoli”, informazioni di barbieri e di spie: un circolo di persone che si ritro- vano e che costituiscono la sfera pubblica, con una comunicazione trasparente e razionale. Non è necessa- riamente borghese: il metodo di comunicazione è comunque caotico. C’è uno sviluppo di tipo ambientale: il rapporto fra media e ambiente viene indagato in Camminare a Venezia. Un attore viene inserito in questa storia dei media e questa è una dimensione importante. Filippo De Vivo è uno studioso importante durante l’interdetto, il conflitto fra Roma e Venezia del 1606- 1607, che ci ha lasciato una letteratura bassa. È un conflitto fra la volontà del papato di monopolizzare la stampa e Venezia che vuole la propria indipendenza. Molti stampatori dell’epoca veneziani ci lasciano testi- monianze di questo. A De Vivo interessa il processo di archiviazione: è il primo che ha ridiscusso il protocollo fra archivi e storia politica, è conosciuto come uno dei rappresenti dell’archive turn, tanti studiosi hanno rivestito energie su questo aspetto e De Vivo si trova in un contesto dove le fonti sono state raccolte, ma finora sempre estrapolate fuori dal contesto. L’ATTIVITÀ DEL CAMMINARE Nella Venezia del XVI secolo vi erano due tipi di fruizione comunicativa, via terra e via mare. Via terra la comunicazione era possibile tramite i ponti, mentre i più abbienti si potevano permettere due tratte marit- time a Venezia. Diversi autori si sono approcciati allo studio di queste tipologie: De Barberi riesce a dare una vista dall’alto di Venezia, mentre si aderisce gradualmente a una visione più idealizzata, cioè ad una rappre- sentazione più lagunare, descrivendo la sua città nei suoi minimi dettagli. Si nota come lo spostamento non sia più solo fisico, ma mentale, finché non si giunge ad un trattato, che porta ad una critica, ovvero all’uso delle proprie gambe per camminare, esaltando le strutture urbanistiche della città, che permettevano la chiusura in caso di rivolte. In questi trattati si nota l’importanza del camminare, infatti, questa attività era propria anche dei ceti meno abbienti, le sfere più alte della società usavano la passeggiata per parlare di politica. Inoltre, essa non era solo ludica, ma anche lavorativa, erano gli artigiani che si recavano a casa dei clienti e le botteghe risen- tivano di questa mobilità: gli spazzacamini ed altri lavoratori a domicilio giravano con gli attrezzi in spalla, rappresentando questa mobilità. C’erano anche delle modalità più economiche in quanto erano presenti dei traghetti pubblici per far muovere la popolazione, in seguito ad Agnadello si rinuncerà ai domini di terra, il che è significativo delle varie soluzioni via mare, come i trattati di pace. Per via dell’acqua alta, la gente era costretta ad andare su questi traghetti, che permettevano di raggiungere certe zone all’interno della città. La città era divisa in vari distretti, il centro era dedicato dei mercati, che attraevano i cardinali e i visitatori, i quali sfidavano la pioggia e le intemperie per queste attività. Il camminare era essenziale per il settore ter- ziario, poiché c’erano facchini che trasportavano gli acquisti presso le case dei più abbienti, o anche chi por- tava delle sedie: il camminare è quindi fondamentale essendo assenti gli altri mezzi di trasporto. Per concludere, c’è anche da sottolineare il ruolo delle donne, che vendevano i prodotti del proprio campo o lavoravano, il che creava degli attriti fra chi aveva un negozio e chi vendeva spostandosi o a domi- cilio. Sempre per questa cosa, le prostitute erano segregate in piccoli quartieri, mettendosi loro alle porte di case legalizzate, mentre nel XVI secolo venne a loro permesso la mobilità, limitata però da orari e dal vestia- rio, anche in chiesa dovevano andare in fasce diverse dalle altre; c’erano delle restrizioni dal punto di vista lavorativo, le attività più periferiche attiravano figure da città esterne. La sfera pubblica è in diretta comunicazione con la mobilità all’interno della città. Oltre ad Agnadello e Lepanto, c’è stato anche lo sviluppo di guide turistiche, descritte dal punto di vista di uno che cammina. C’era Lezione 7 20 avanti: non vi è più una mappa fisicamente standard, poiché si può interagire in maniera diversa, si hanno molte più informazioni collegate fra loro, è una mappa interattiva; si tratta di un network a più livelli, una mappa deve avere anche più di una singola informazione nella medesima visualizzazione. Nella seconda mappa ci sono solo le edizioni nuove, che identificano un “atomo di sapere” di ogni libro, una serie di autori che entrano nello stesso corpus di dati: si connettono le fonti con le bibliografie seconda- rie, è un modello meno sulla base geografica, ma che ci dà una profondità, permettendoci di mettere in comunicazione più dati. Questa mappa identifica un network, perché individua dei collegamenti. È la rappresentazione cinque- centesca di Venezia e veniva usata per scopi politici, un’esemplificazione di questo regime a molti livelli, con- cetti tipicamente Focoultiani, cioè la definizione e l’archiviazione di un qualcosa, in questo caso Venezia. È una rappresentazione mediatica del primo Cinquecento ed è un sintomo della mobilitazione, poiché per- mette di identificare un percorso che si fa camminando. Si spia a Venezia, c’è la chiacchera e il gossip, usato come strumento sociale. La fotografia ritrae una ferrovia, Burke e Briggs mettono bene in mostra l’innovazione portata da essa. Un ulteriore sviluppo di questa dimensione epistemica è visibile nell’esempio dei tre tipi di network. Il net- work centralizzato è quello più classico, come una persona che scrive tante lettere e che quindi è al centro della rete; se si hanno più centri siamo al secondo caso. Il regime epistemico si è stabilizzato e ciò ha portato ad un’evoluzione incredibile, come si vede nel caso C. L’immagine è un esempio non necessariamente di network, ma che si è evoluta da un sapere precedente, essa serviva per lo zodiaco. L’altra immagine, invece, può essere considerata un network? Sviluppa un certo tipo di teoria e di una fase tassonomica. Può essere l’immagine rappresentante informazioni di vario tipo, i dati per arrivare ad essa sono estremamente caotici e sporchi e ciò è ricavabile anche dalle descrizioni della Manchester del passato. L’immagine non ci dà la parte “sporca”, ma quella finale. Questa è la bubble chamber all’interno del Cern ed identifica degli strati, c’è una suddivisione del lavoro, con un team di ricerca etc…: c’è una trasformazione? È per metà un’immagine “pittoresca” mentre per l’altra è un’immagine del capitalismo. Bisogna capire se questa pratica va studiata secondo i modelli della storia ambientale, o della storia economica o entrambi: dal 2000 ad oggi ci sono situazioni che ci suggeriscono questo lavoro, ma che deve ancora venire svolto. Tecnologie e rivoluzioni LA SECONDA RIVOLUZIONE TECNOLOGICA Il primo capitolo parla della stampa, il secondo della sfera pubblica, il terzo la rivoluzione industriale, il quarto la costruzione di un regime comunicativo, una nuova sfera pubblica: vi sono due rivoluzioni tecnolo- giche e le conseguenti evoluzioni dei media; il terzo passaggio prevedrebbe una spiegazione del linguaggio odierno. Manca un evento rivoluzionario che giustifica l’arrivo ad un sistema di comunicazione semplificato dal network. Il capitalismo ottocentesco è legato alla rivoluzione industriale del terzo capitolo, si parla di giornali, romanzi, esposizioni universali. Se pensiamo all’impostazione del libro si nota un’innovazione tec- nologica, seguita da uno sviluppo dei mezzi di comunicazione; questo schema può essere ripetuto due volte: la nascita del libro a stampa è seguita da sperimen- tazioni, finché non si parte col modello industriale classico ottocentesco, che porta alla nascita di un si- stema comunicativo che arriva fino ai giorni nostri. Questa accelerazione violenta è tale da creare una cesura che sono nel Neolitico era stata così forte, ma non abbiamo strumenti per comprendere questo terzo regime, quello dei giorni nostri. C’è un materiale enorme sulla prima e sulla seconda tra- sformazione, traduzioni e documentazione, mentre Lezione 8 21 qui ci manca la teoria e l’oggetto di studio. Seguendo questa impostazione, abbiamo esattamente questo percorso, da un periodo innovativo, che vede la nascita, per esempio, della locomotiva e dei lavori di Watt e Edison, o il sistema comunicativo della Venezia del ‘500, dove una collettività entra ed esce da questo spazio. Il libro ad un certo punto descrive Manchester, luogo classico dell’industrializzazione e della teoria mar- xista, che ha una sfera ambientale che ha colpito questo sistema capitalista, e si parla del fatto che ci sia sporcizia ovunque, benché si produca oro e argento: abbiamo a che fare con una città “sporca”, più della stampa del ‘500. Alexis de Tocqueville osserva che questo regime epistemico è una fonte autorevole per comprendere la sfera pubblica, parla a lungo dei grandi boulevard a Parigi, che altro non è che la creazione di un network che rompe con la tradizione medievale, creando questi viali comunicativi. Si fanno così i conti con situazioni come la crescita dei romanzi, la ridefinizione del giornalismo, la nascita di una società dei consumi, le esposizioni universali, partendo dalle ferrovie fino alle grandi città come Chi- cago, seguendo una innovazione tecnica con il suo relativo sviluppo socio-economico. I cilindri a vapore per- mettevano alle case giornalistiche di stampare migliaia di copie al giorno, gli inventori di questa macchina avevano intenzione di creare una “locomotiva sociale”, che era uno dei punti di arrivo della meccanizzazione sociale del lavoro del giornalista, anche se non andò così, già nel 1939 si vede come il giornale sia un network: vi è una meccanizzazione ma anche una suddivisione ferrea del lavoro, come negli atelier del XVI secolo. Seguendo l’innovazione tecnica, si capiscono i punti sopra citati. RIASSUNTO DELLE TRE FASI Il libro vuole appunto evitare il determinismo. La prima fase è collocata dai primi anni del ‘500 fino alla rivoluzione francese, dove l’innovazione tecnologica è l’invenzione della stampa, che porta alla creazione della sfera pubblica, che corrisponde, secondo la teoria di Habermas, al rendere pubblico qualcosa. L’avvento della stampa è rivoluzionario o no? Eisenstein è la prima storica del libro analizza la standar- dizzazione della stampa, mentre Adrien Johns va contro questa tesi, sottolineando dal punto di vista della storia inglese il fatto della standardizzazione. È importante capire che dei due momenti del libro mentre la rivoluzione industriale di fatto ha caratteristiche rivoluzionarie, la stampa un po’ meno. Alcuni sostengono che c’è un aspetto rivoluzionario della stampa, mentre altri no. Gli effetti della standardizzazione non sono solo legati alla creazione di atelier, ma anche all’invenzione della diplomazia di stato, gli stati italiani, intrin- secamente deboli, iniziano ad istituire le figure di ambasciatori stabili; ciò ha portato alla standardizzazione delle scritture. Analizzando quindi la diplomazia di stato si può notare l’importante fattore della cultura a stampa. Essa si sviluppa attraverso la vendita in negozio, ma anche tramite le fiere, come quelle di Franco- forte e Lipsia, in un sistema né completamente artigianale né completamente corporativo. Si sviluppano in questo periodo tecniche di annotazione e tabulazione che sono dicotomiche: il libro di Giobbe mostra queste annotazioni, che distingue a due a due le varie materie. Un altro esempio lo si vede su un “foglio di guardia” dove si vede questo tipo di tentativo di classificare un contenuto del libro. Qui si vede un’immagine del palazzo dei dogi e nel saggio di De Vivo si parla ad un certo punto di un allagamento, a cui potevano fare fronte solo i nobili che avevano un’apertura sul canale. Sabellico, usando la mappa di De Barbari, rappresenta con un diagramma le passeggiate principali nella città, il che sviluppa un regime di sorveglianza, con tutti i rituali di spostamento individuati da De Vivo. Sabellico riprende la descritio urbis medievale per affrontare il tema della camminata, il che sottolinea l’importanza della mobilità: la diffe- renza fra le professioni più umili e le altre è che le prime basano il loro guadagno su questa mobilità. La seconda fase (1850-1990) presenta la stessa sequenza: la rivoluzione industriale porta al consolida- mento dei mass media, oltre che dei mezzi di trasporto. La differenza fra le due rivoluzioni è che quella indu- striale è più marcata anche a livello socio-economico. Si passa al flaneur, la passeggiata di un borghese che si focalizza di più sull’aura come dice Benjamin ed ha uno sguardo di tipo naturalistico su una realtà ormai industriale. Anche qua convivono più e diversi media. L’artigiano in quanto figura, personalmente inserito in questo meccanismo, non esiste più e anche qua si sviluppano diari, schedine e forme descrittive varie; c’è un fenomeno denominato black-boxing, cioè l’eliminazione di quello che c’era prima. La terza fase non può essere coperta da Burke e Briggs, passando dalla digitalizzazione alle tecniche di network contemporanee. In questa terza fase l’innovazione principale è quella digitale, i sistemi comunicativi non riguardano più la sfera pubblica e i mass media, ma i social media, che sono anche un punto di arrivo, Lezione 9 22 che ha come punto di arrivo la pubblicazione di una mappa o di un network. I grandi numeri del pubblico portano poi a delle conseguenze. Burke testa la validità di Habermas in cinque casi storici dell’età moderna, mentre Briggs segue l’avvento di strutture comunicative, mostrando molti esempi classici, arrivando fino al cinema di Walt Disney. Comparativamente parlando, si vede che siamo di fronte ad un’accelerazione: la prima fase dura circa 270 anni, la seconda 140 (la metà) ed infine la terza 20, nel giro di una generazione. Volendo fare un ragionamento storico ed antropologico, si può parlare di “antropocene”, un periodo di violenze da parte dell’uomo, che spiega come il mondo stia accelerando, facendo progressi che prima impie- gavano molto tempo. Si pasa dai data, ai meta-data, ai big data: con quest’ultimo termine si intende un grande serie di mappe e network pieni di dati; questo si distingue dai rich data, che permettono di fare analisi di dati su più livelli, dando qualcosa in più. Con i meta-data, si prendono le prime decisioni su come archiviare le fonti, a seconda della storia politica di ogni paese: si costituiscono le prime informazioni su come la prassi storiografica entra nei data. Al di là delle fonti, se ci sono state prese di decisioni, bisogna chiedersi quando sono state fatte: la prima fase produce i dati, la seconda li riorganizza, mentre la terza li inserisce nei network. IL NETWORK Un network è un gruppo di persone, tant’è che la prima volta che il termine venne usato in maniera metaforico è stato in uno studio degli anni ’80 sui Medici. Da questo punto di vista, esso è un’emanazione di uno stare insieme, di un aspetto sociale. Persone che stavano insieme per ragioni politiche o lavorative sono un network. Tutto questo, però, pone il tutto in maniera metaforica, ma il termine va legato all’antropocene: pensando a catastrofi naturali come Chernobyl, i network si comprendono meglio nei momenti di rottura. Inoltre, hanno una strana relazione col paesaggio, i “paesaggi tecnico-ambientali”: il network ci permette di comprendere il legame fra tecnologia e ambiente, che lo si vede anche nella mappa di Venezia. Una prima definizione è quindi questa, un’altra seducente idea è che il network è un paesaggio saturato dal potere, non tipico di una fase unica: un equilibrio classico dei bisogni. Bonvesin della Riva scrive sulle bellezze di Milano, elencando, zona per zona, di cosa si poteva trovare: questo è un network, cioè una rappresentazione incre- dibile delle capacità economiche e demografiche della Milano del tempo, vista da un immigrato, che descrive cose belle, ma fa anche un database, un elenco di risorse dell’epoca. Quando si forma, il network è molto astratto, non siamo sicuri del numero di amici di Galileo nel 1611, così come su Albert Einstein non si conosce subito tutto. Essi avevano dei contatti, Einstein aveva degli amici per la teoria della relatività, di cui non sap- piamo bene l’inizio, ma sappiamo i punti di rottura: solo quando il network si rompe possiamo iniziare a delineare a ritroso. Sono molto utili per gli studi post-bellici, per la decolonizzazione: dopo questo fenomeno, si sono venuti a creare dei meccanismi molto più accessibili per lo storico. L’idea di confluenza appartiene al network, che ci permette di valutare di vari livelli dei network. Ottimi esempi di questa confluenza sono l’umiliazione della Germania imperiale, dove il network diventa fondamentale per capire cosa ha preso il posto, così come la Francia dopo il 1945. Quando la Francia ha dovuto ricostruire dopo la guerra, si è visto l’investimento sull’ambiente in una fase particolarmente storica, che ci fa capire come sia più facile la rico- struzione di un network durante un momento di rottura. Il network implica una decisione: si usa il termine in senso metaforico, associazione di persone, oppure in senso diverso? Un network a livello base è un reticolato informativo: Carlo V viaggia ovunque, mentre Filippo II è più burocratico, istituendo i primi archivi e i questionari, il regnante europeo che percepisce più di tutti il network e la sua importanza. Il secondo punto riflette sulla sfera pubblica, uno spazio vuoto che viene occupato da qualcuno all’inizio, ma che poi viene scacciato. Uno dei problemi fondamentali della storiografia dei network è come si entra e come si esce: esso è legato all’ambiente, a uno spazio, non ha quindi una struttura crono- logica. Un network è quasi sempre collocato ecologicamente prima che in uno spazio fisico generale, cioè si deve collocare il network prima in una struttura ambientale, poi geografica: quando Keplero e Galileo iniziano a dialogare, si chiedono come si possa sostenere che la Terra e il Sole non siano come nel sistema tolemaico in due realtà differenti, cioè come posso sostenere questo network; il network è quindi inserito, si parla di Embeddedness (Karl Polanyi). Polanyi è autore de La grande trasformazione ed è il primo a parlare del concetto del fatto che economia e network sono sempre situati; era sostenitore del mercato libero classico, sostenendo reciprocità, come il dono, e distribuzione razionale del reddito. Queste trasformazioni nascono durante la rivoluzione industriale 25 ANTONELLA ROMANO, IMPRESSIONI DI CINA Il libro di Antonella Romano, Impressioni di Cina, indaga il rapporto fra i Gesuiti e la Cina, in particolare il sistema informativo, e finisce nel 1688, data della rivoluzione inglese. I Gesuiti si costituiscono nel 1540 e hanno un ruolo informativo e comunicativo molto importante. Come si è confrontata l’Europa dei saperi (Gesuiti, ma anche dotti ed eruditi) coi Cinesi? In che modo la Compagnia di Gesù costituisce un “ordine informativo”, che caratteristiche hanno come corporazione? Ha degli aspetti di affiliazione molto interes- santi. Ci sono anche altri ordini, ma, di fatto, i Gesuiti sono proprio l’ordine che fin dall’inizio si costituisce con una vocazione globale, in particolare sul campo di Asia, Cina e Giappone, il che permette di aprire una finestra sul network globale dei Gesuiti. Cosa ci fa guadagnare guardare i Gesuiti come network? Adriano Prosperi scrive La vocazione, un libro in cui vengono utilizzate intelligentemente le lettere con le quali i Gesuiti venivano mandati in Asia, anche se nella maggior parte dei casi erano incarichi rifiutati, anche per conservare una certa integrità intellettuale. Daniello Bartoli chiede per esempio diverse volte di venire mandato in Asia, ma viene sempre rifiutato: an- dare nell’est era comunque rischioso; questi aspetti vanno tenuti in considerazione per parlare di questo tema. L’immagine è un emblema (1592) che dice che “un mondo non è sufficiente” (unus non sufficit orbis), ed è situata in un libro di Christophe Plantin, olandese fondatore di un grande atelier, che dimostra l’internazio- nalismo della Compagnia di Gesù. Si tratta di un libro uscito a Lisbona, che costituisce un’enciclopedia dei primi 50 anni di vita dei Gesuiti dal punto di vista informativo; è pieno di emblemi (120-130), che hanno una funzione comunicativa molto importante. Un’altra immagine mostra Ignazio di Loyola, navarro che ha fondato la Compagnia, il quale illumina come una divinità l’edizione a stampa della storia della Compagnia di Gesù di Bartoli a stampa. Ignazio illumina quattro allegorie che sono i continenti (Europa, Africa, America e Asia) a sottolineare ancora la vocazione globale e internazionale dei Gesuiti. A margine da questo discorso c’è una sorta di questionario (ARSI, Archi- vium historicum societatis Iesu) che veniva tenuto a Roma nella sede centrale dell’ordine, dove vi sono dei personaggi inquadri e il penultimo dal basso è propri Bartoli, con giudizi su di lui classificati nell’archivio cen- trale: si vede scritto “melanconica”, che definisce la sua disposizione d’animo. Un’ultima valutazione ufficiale dice che Bartoli è disposto a ogni tipo di lavoro intellettuale, per questo non viene mai mandato in Asia. Questo è un esempio che mostra il network all’interno della Compagnia di Gesù: ognuno aveva un dossier, un curriculum; strutture molto pioneristiche, senza paralleli all’epoca, Paolo Prodighi diceva che è stato proprio grazie a questa predisposizione organizzativa dei Gesuiti che a Roma si è formato un quadro burocratico funzionale allo stato di tipo moderno, la Compagnia è quindi uno strano vet- tore di modernità. Vi sono poi altre valutazioni ovviamente. Comunicare a distanza (longterm controll) COME SI CONTROLLA UN NETOWORK DI QUESTO GENERE? Questo documento è di Juan de Polanco (1560), il primo segretario generale della Compagnia e architetto della struttura comunicativa dei Gesuiti, come Ignazio lo era stato dal punto di vista religioso. Deriva dal fondo ispanico della Sia a Roma. Ci sono cinque punti, riassunti in inglese: • Polanco raccomanda un cambio di procedura per la copiatura dei dispacci fra Roma e la provincia, stabilisce un numero di copie che andavano prodotte, rivoluzionando l’idea dell’archivio interna all’ordine dei Gesuiti. È un documento di valore legislativo interno, 5 copie in spagnolo e 8 in latino, un po’ a Roma e un po’ nei centri provinciali. È un documento latino, le costitutiones sono gli statuti che sono la prima forma di comunicazione, si stabilisce un nuovo rapporto fra Roma e le province, facendo diventare l’Urbe un centro, secondo Lature, di accumulazione (e poi ridistribuzione) Lezione 11 26 costante. L’archivio centrale dei Gesuiti diventa un centro di distribuzione, elencando dove andranno queste copie. Questa è la prima riforma, poiché il vecchio sistema era obsoleto. • Si passa poi all’istruzione per la circolazione nelle province iberiche. • Segue l’istruzione per la circolazione in tutti gli altri posti. Ci si pone il problema della distribuzione al di fuori della Spagna, il che mostra l’articolazione di un network. • Deve essere scelto un nodo centrale, parlando dello stile e del contenuto di questi documenti: sono consigli editoriali veri e propri, che spingono a trovare un nodo centrale e a standardizzare il docu- mento, il che è una rivoluzione. L’archiviazione viene standardizzata a Roma, anche se parte tutto dalla periferia. È un fatto molto interessante, una mimica del mercato a stampa, un vero e proprio network comunicativo. Bisogna tenere conto del servizio postale, soprattutto nelle zone più lontane; viene considerato anche il costo del servizio postale, il che è abbastanza una novità • L’ultimo punto è la ratio scribendi. Si devono produrre tante copie quante quelle necessarie per la provincia e devono essere messe in pratiche le forme elencate: standardizzazione a Roma, soprat- tutto per la lingua e per la forma, i Gesuiti da Goa possono inserire un documento in un contesto diverso, e rispedito nelle varie province di competenza. Si tratta di un documento interno molto recente della storia dei Gesuiti, che ci dà un’idea sulla documen- tazione della Compagnia, composta da 5000 persone informatori in tutto il mondo, che formavano dei bol- lettini, dei newsletter. Ci sono i prezzi dei mercanti, ma non hanno proprio la funzione dei giornali, hanno una funzione molto più pratica di report, dove vi erano difficilmente fenomeni di censura. I Gesuiti erano anche utili come intermediari comunicativi e spesso venivano impiegati per questo, fa- cendo un confronto si può pensare a Sagrego, console veneziano in Siria (fine XVI – inizio XVII secolo), un anti Gesuita religiosamente e anticlericale, si prendeva gioco di loro e ci sono delle lettere dove prende in giro questi Gesuiti sempre intenti a scrivere e copiare; uno spaccato che mostra questa sorta di società veneziana del medio oriente piena di spie, una presenza politica e, coi Gesuiti, religiosa. Essi facevano anche esperi- menti, a cui Galileo era interessato. Tanti hanno scritto sui Gesuiti, come Marcus Friedrich e Paul Nelles, che ha scritto sull’uso della carta presso i Gesuiti. Gli storici, sul libro a stampa, sono stati un po’ troppo abbagliati e i Gesuiti avevano una vera e propria capacità di rivoluzionare questo strumento. Il sistema comunicativo dei Gesuiti fluttuava nel cam- biamento, per due fattori: il volume dei materiali, più carta che arriva a Roma, e la distanza. PUBBLICO DELLA COMPAGNIA E GENERI LETTERARI Steven J. Harris compie uno dei primi lavori, e il più completo, che riflette sui Gesuiti dal punto di vista della comunicazione a distanza. Ignazio da Loyola fin dall’inizio aveva specificato una serie di strutture che dovevano costituire l’ossatura della società, con un’attenzione sia interna che esterna. Per attenzione interna si intende anche il problema di tenere il morale alto, tema ricorrente in Polanco e Ignazio, questo morale alto doveva avere un ritorno nel proselitismo e nella missione religiosa. I network non sono solo religiosi ma anche intellettuali, si rivolgono anche ad europei colti, cittadini della repubblica delle lettere, a cui la Compagnia sottopone documenti eleggendoli come pubblico fondamentale. La proposta di Harris è di valutare il pubblico dei network dei Gesuiti come una situazione a tre strati: • Gli studiosi laici che potevano iscriversi ad un’università gesuita, come il Collegio Romano. • I virtuosi, termine chiave nell’Europa moderna, che indica una persona aristocratica che si interessa di tante cose pur non essendo abilitato a praticare una disciplina; raccoglie curiosità, libri, oggetti, anche vegetali, acquistati da questi virtuosi che si trovavano poi botanica esotica nel proprio giardino. • I cittadini della repubblica delle lettere, che hanno a disposizione un sapere più specializzato rispetto alle altre due categorie. Questo tipo di pubblico è quello a cui i Gesuiti si rivolgevano. C’era una comunicazione interna e una esterna, attenta all’aspetto sociale. Per l’attenzione a questo pubblico troviamo una serie di generi che i 27 Gesuiti padroneggiano e che diventano alla fine del Cinquecento la loro caratteristica principale: disputazioni, libri di matematica, e soprattutto enciclopedie illustrate. Queste ultime sono il genere principale attraverso cui si descrive l’Asia e l’America Latina, diventano anche un reportage di attività proto-sperimentali, e alcune enciclopedie nel Seicento contengono anche tavole tecniche, scientifiche e diagrammi, le tavole anticipano la nascita delle riveste accademiche. In Francia esce un ciclo di pubblicazioni dal nome “ricerche”, le pubbli- cazioni vengono serializzate, la prima rivista scientifica francese nasce nel primo Settecento, i Gesuiti antici- pano la serializzazione. Escono articoli sulla base dei materiali asiatici che vengono messi insieme, vediamo qui un aspetto innovativo del network dei Gesuiti con una funzione pubblica anche a livello pre-accademico. Tra la metà del Cinquecento e la fine del secolo sperimentano generi accademici per i quali vengono ricono- sciuti come maestri, molto presto quindi; i Gesuiti vengono valutati come la massima autorità matematica, astronomica e naturalistica, per via delle loro conoscenze provenienti da tutto il mondo, impadronendosi di generi tipici dei professori universitari, diventando più competenti. Studi di network GLI STRUMENTI DIGITALI: GLI ESEMPI DI COSIMO III E GROTIUS Il termine di “repubblica delle lettere” sottolinea lo scambio di conoscenze in un mondo fittizio, ma che comunque esiste. I progetti di digitalizzazione odierni si sono focalizzati sui metadati, su circa 20.000 lettere, fatti da studiosi olandesi. Comunicavano in diverse lingue, il che richiedeva un lavoro sul linguaggio naturale MLP: il risultato è basato sull’interazione fra computer e lettere. Lo schema è di usare il topic modeling, un modello statistico che ci dice il topic su un argomento, dove una parola può essere inserita in un contesto con altre parole, mettendo in mostra gli argomenti. Le sfaccettature possono essere visualizzate in diversi modi, gli strumenti di ricerca sono diversi. Per l’epistolarium (2019), gli storici hanno criticato l’estrazione eccessiva di dati, non messi poi su una base. Se due termini ritornano, potrebbero essere correlati, ogni lettera divenne un vettore di questo scam- bio di informazioni. I documenti sono stati scannerizzati e si lavora sulle lettere e sulle parole. Tutti questi metadati (le lettere) danno modo di fare emergere vari collegamenti per fare l’analisi storica. Cosimo III de Medici viaggerà molto e ci sarà un “intermediario”, un bibliotecario di corte che ci permette di mostrare i nodi e queste connessioni. La lettera di presentazione a corte sono il primo network e si inter- secano poi diversi network. Un altro caso è quello di Hugo Grotius: il fenomeno della riservatezza era voluta da lui oppure è un “effetto di sistema”? Grotius dava informazioni cercando di non darle, chiedeva poi ai suoi collaboratori di bruciare le sue lettere. Ci sono diversi tipi di reti, dove il JSI costituisce una specie di “Google Earth”, la ricerca storica in rete sta avendo, grazie a degli attori quali i professori che fanno ricerche, un nuovo impulso. Il dibattito è ancora in corso, i sistemi sono complementari, non alternativi, ma ci sono dei rischi, come la deriva che può portare ad errori. Esiste un centro di studio milanese, al Politecnico. Questo personaggio olandese viene introdotto quindi a Cosimo III e si è così creato un network particolare, il che crea una predi- sposizione “a cipolla”, cioè concentrica. Inizialmente si studiava in maniera molto quantitativa, guardando la statistica, ma ora si è capito quanto l’analisi qualitativa sia altrettanto importante. Il caso di Grotius è fonda- mentale, poiché scrive una valanga di lettere. I network sono perciò organismi che collaborano e c’è bisogno di usare una ricerca qualitativa e quantitativa. L’immagine è una visualizzazione della sua posizione, la se- conda figura mostra il network di Grotius insieme. UN UTILIZZO PRATICO DI PALLADIO Per fare un esempio dell’utilizzo pratico di una strumentazione come Palladio, si può esaminare il caso studio degli spostamenti di Carlo V. L’imperatore asburgico e re di Spagna ha viaggiato per tutto il suo impero, a differenza di Filippo II, che ha scelto di stanziarsi a Madrid: sono due situazioni diverse, che porta a porsi Lezione 12 30 I GESUITI CON LA RAZIONALIZZAZIONE DI PALANCO I Gesuiti sono così una sorta di corporazione, come è emerso dagli studi più recenti. Mario Scaduto fa un paragone fra i primi gesuiti e il sistema postale italiano, mentre uno stu- dioso sardo si è occupato di una provincia spagnola. Alla morte di Ignazio, i Gesuiti avevano quaranta colleges ed erano circa in numero di mille. Alla morte di Palanco, si hanno più di 100 uni- versità, in Africa, Brasile e Asia, con 5000 Gesuiti. La città più importante in Spagna è Siviglia, così come Lisbona, mentre Coimbra era sicuramente il centro dal punto di vista accade- mico. In Italia, si possono vedere le collocazioni sulla mappa, da Catanzaro a Siracusa e Messina con Palermo e Napoli sono dei cluster universitari veri e propri. Questi luoghi dovevano comu- nicare con Roma per statuto: Parigi 1540, Coimbra 1542, Praga 1556 etc…. Nel 1554 Palanco assume un manager per regolare un flusso informativo: c’è l’idea del frequens commertium cioè del “com- mercio frequente” di lettere, che porta ad essere più saldi nella fede e informati. Il 29 giugno 1569 arriva a Roma un suggeri- mento sull’opportunità di assumere una persona a Roma ad am- ministrare le “carte che vanno e vengono”, nel tempo e nello spazio. Secondo gli studi di Scaduto, una lettera viaggiava fra i centri della penisola italiana in meno di una settimana, mentre in un mese fuori da essa. I Gesuiti si affidavano anche a corrieri e mercanti, con agenti mobili e ordinari, che operava a intervalli regolari, un ibrido fra due è la base della società dei Gesuiti. Gli annali prevedono tre operazioni indistinguibili: scrittura, osservazione e descrizione; la maniera in cui i Gesuiti insegnavano a scrivere e ad osservare sarà fondamen- tale per la nascita del metodo scientifico. Luis Frois era un Gesuita che lesse i quadrimestres al collegio di Goa per dieci giorni di fila. Ci sono tanti esempi di attesa poi per gli avvisi dal Giappone. ESEMPI DI COMUNICAZIONE MISTA: LA TIPOGRAFIA MEDICEA Bisogna considerare che i Gesuiti si affidavano a mercanti e ad altri corrieri commerciali. Nel 1584 viene esaminata una tipologia di comunicazione mista: la tipografia medicea, ovvero la presenza di traduzione che permette la fruizione di un documento anche nei paesi orientali. Non ha lungamente successo questo espe- rimento a causa della morte del fondatore, Ferdinando de Medici, e del direttore, Giovanni Battista Raimondi: si cerca di evitare la bancarotta, grazie anche al sostegno degli intermediari. Si vede qui un diagramma in cui è fondamentale l’apporto di personaggi esterni che fondono queste stampe. Nel 1589, un gruppo anonimo di tedeschi si offre di portare stampe a Francoforte, mentre un certo Jacob Levantino si offre di portare una traduzione di Euclide in arabo per rivenderlo in territorio ottomano, dove si vede una specie di copyright, la firma di Levantino e l’autorizzazione di Ferdinando; una situazione analoga c’era fra Livorno e Marocco. Nel 1586, un mercante scrive a Firenze dicendo aver incontrato Giovanni Battista Britti a Goa, un agente della tipografia e a sostegno dei Medici. Il ruolo dei Gesuiti in questa impresa stampa lo si vede in un’opposizione di Raimondi al prestito di caratteri mobili arabi ai Gesuiti, che volevano stampare autonomamente. Un altro caso di incrocio, lo si vede nel 1583, quando un gesuita riceve in dono una copia dei Vangeli tradotti in arabo in dono, il che mostra la compresenza di un’economia di favori reciproci. 31 L’USO DELLA STAMPA E IL PUBBLICO Una lettera poteva impiegare dalle due settimane ai due mesi per arrivare a Roma o a Lisbona, fra giugno e settembre arrivavano i Gesuiti nelle due città. Messina, Napoli e Palermo erano appunto gli snodi in Italia, mentre Roma e Vienna erano altre fondamentali. Fra il 1540 e il 1550 il collegio centrale di Coimbra si occu- pava di produrre una copia per ognuna delle missioni estere, ma la situazione era ingestibile, per questo Polanco razionalizzò il tutto rendendo i bollettini da quadrimestrali ad annuali. Nel 1573 viene creata la po- sizione del procurador de la India y Brasil che vigilava sullo scambio specifico i quei luoghi e a Lisbona si crea così una cattedrale di carta assurda. Questi sono una serie di esempi fra i rapporti fra i media a stampa e non, e, paradossalmente, il successo dei Gesuiti è dato dalla continua disseminazione che giustificò l’uso esterno della stampa. Queste copie di lettere vennero stampate solo più avanti, il che sottolinea la difficoltà di stare dietro al copioso lavoro durante questi anni: il numero di traduzioni era troppo grande; quindi, sembrò conveniente stampare la documenta- zione cartacea. Dal punto di vista dei Gesuiti, la cultura stampa è un supplemento, che serve per aiutare a causa della folta documentazione cartacea, che costringeva appunto ad impiegare giorni e giorni per leggere documenti che avevano viaggiato per mesi. In molti casi prevalgono situazioni di disciplina sociale, una struttura gerarchica con propaganda religiosa e ideologia. L’avanzare di una confessione attraverso dibattiti cruenti è legato a chiese dove si può identifi- care un dentro e un fuori, mentre i Gesuiti insistono su aspetti cognitivi e comunicativi, dove l’asse portante sono i network a lunga distanza: l’aspirazione della Compagnia di Gesù è la suddivisione fra proselitismo esterno e interno, operando in armonia con altre preesistenti strutture economiche. Si concentrano su tre categorie di “pubblico”: • Gli studenti dentro al collegio dei Gesuiti, Coimbra era una delle più importanti università. • I virtuosi, personaggi di cultura che non hanno l’educazione formale, a cui i Gesuiti propongono una serie di materiale. Sono il gruppo più grande, sono il pubblico laico e borghese dell’Europa dei saperi, che corrisponde all’evoluzione dei media. Non sono necessariamente collegati all’ordine, ma comun- que nella sfera di influenza. • I conoscenti sono cittadini della repubblica delle lettere, sanno degli esperimenti dei gesuiti, per esempio, sulle mappe cartografiche; partecipano da esterni a tutta una serie di attività, costituendo un pubblico esterno, considerato comunque dall’ordine. IL SISTEMA DEL SAPERE DEI GESUITI: MODELLI E CATEGORIE Su questa base si specializzano su una serie di generi, soprattutto è importante come si impadroniscono di essi. I Gesuiti diventano maestri in ciascuna di queste pratiche, noi veniamo da una storiografia anticleri- cale, che considera i Gesuiti e la Chiesa come antagonisti di Galileo e Giordano Bruno, e solo recentemente sono stati rivalutati gli aspetti di compenetrazione fra gli aspetti nuovi e l’aristotelismo di Simplicio nel Dia- logo di Galileo: in ognuno di questi campi del sapere, veniamo da 40-50 anni in cui i Gesuiti rappresentavano il sapere vecchio, mentre per quanto riguarda la Cina essi si dimostrano dei grandi innovatori, protagonisti di una rivoluzione concettuale che porta novità nella filosofia naturale, nelle enciclopedie illustrate, nei com- menti ad Aristotele, nella matematica e nell’”etnografia” dell’epoca. Quali modelli possediamo per conoscere i network dei Gesuiti? Assumendo per ipotesi che abbiano avuto successo, poiché non è facile determinare l’effettivo successo di essi, soprattutto perché molti (1/10 circa) morivano durante i viaggi, abbiamo a disposizione solo due modelli, uno che deriva da un sociologo, John Law e uno di Bruno Latour, a metà anni ’80, durante il nuovo interessamento ai Gesuiti. Il modello di John Law prevede un’enfasi sugli emissari, non solo umani, ma anche strumentali, anche Latour parla non solo di persone, ma di oggetti e strumenti: si conferisce una sorta di agenda anche agli strumenti materiali. Lezione 14 32 • I devices sono strumenti tecnologici che sono indispensabili per consolidare un evento informativo in un ciclo sostenuto di sapere, come il sestante, la caravella, il cannone, che permettono di arrivare in Asia e di consolidarsi. • I drilled people sono impiegati che hanno ricevuto un training specifico e diventano agenti della co- rona, come finanzieri, cartografi, astronomi e capitani, l’aspetto umano dell’impresa. • I documents sono i documenti cartacei che contiene coordinate che distilla tutto quello che i piloti conoscevano al tempo, come i portolani, un tipo di documento che serve per trasformare il sapere in un ciclo. C’è questa enfasi sulla routine dei Gesuiti, l’habitus del sapere, noi abbiamo un preconcetto che tutto quello che è nuovo crea una forma di catalogazione nuovo: tutte le novità portate dai Gesuiti vengono cata- logate in maniera nuova. I taccuini, i rapporti, vengono incorporati in nuove sintesi. “Long-distance control depends upon the creation of a network of passive agents (both human and non-hu- man) which makes it possible for emissaries (also both human and non-human) to circulate from the center to the periphery in a way that maintains their durability, forcefulness, and fidelity” Quando Latour si inserisce in questo modello cambia poco. Latour è particolarmente interessato all’idea del ciclo, cycle of accumulation, che non è separabile dai mezzi con cui viene registrato: i documenti non mi danno solo un’idea del sapere stesso, ma anche dei modelli di potere createsi all’interno di un determinato network; prevede la stessa durata di Law, ma li collega più agli oggetti del sapere, che siano libri o mappe, sottoposti ad un continuo processo di ristrutturazione e ricombinazione, combinable mobiles, continuamente in flusso, continuamente negoziabili. Un’idea molto sociologica, ma il modello principale, senza nulla di nuovo. Il sapere dei Gesuiti deriva quindi dalla routine, che inscrive in un ciclo burocratico tutto ciò che tro- vano. In che modo i Gesuiti operavano come una corporation nell’età moderna? C’è molto di più della voca- zione del Gesuita inserito nell’Ordine, essi ragionano in termini statali, politici ed economici: agiscono proprio come uomini d’affari. Si evince una simmetria ideale fra esterno ed interno, Carlo V è un imperatore mobile, Filippo II più fermo e stabile: una perfetta simmetria. Le caratteristiche della hijuela erano: la corrispondenza con Roma, occupazione del personale, lavoro senza retoriche, toccare la situazione politica e rimanere con- fidenziale con Roma; il processo di pubblicazione è poi una cosa successiva. Queste informazioni derivano da ciò che ci ha lasciato scritto Polanco: è molto raro trovare informazioni di questo genere, basti a pensare alla Compagnie delle Indie, che presenza la documentazione caso per caso, senza una formalizzazione così codi- ficata; i Gesuiti si organizzano così sin dal principio e pochissimi, salvo ad esempio le accademie nazionali, riusciranno ad ispirarsi a loro in questo modo. La responsabilità di raccogliere, emendare, e distribuire i rapporti che provenivano dai gesuiti provinciali era dell’ufficiale hebdomadarius. La tipologia di pubblico è molto importante, perché si trova un antefatto (anche digitalizzato) bisogna chiedersi per chi è stata scritta. I Gesuiti scrivevano per i superiori dell’Ordine, per i membri della Compagnia in generale, per il pubblico esterno e per amici personali, anche fuori dalla Società. Lo spirito di corpo si divide in due categorie: incoming, che va da fuori a dentro, diretto ad un centro amministrativo come Roma, e outcoming, diretti a Gesuiti in missione a lunga distanza. Il primo ciclo è privato e amministrativo, l’altro è pubblico, e quest’ultimo vede prevalere la scienza, piuttosto che la teologia; erano consapevoli di essere questo canale privilegiato. Francis Xavier, il primo segretario amministrativo dell’Or- dine, era arrivato a pubblicare cinquanta edizioni di lettere dall’Asia: in dieci anni vennero pubblicate quindi migliaia e migliaia di pagine sull’Asia basate sulla struttura delle lettere. La comunicazione si naturalizza nelle strutture informative della “sfera pubblica”. 35 della Indie Orientali, presentando una prima forma di diritto internazionale. Barros scrive le decadi sull’India, un’imitazione di Livio: un primo trattato europeo del primo mondo con una narrazione annalistica. Nel capitolo 2 la Romano si basa su tre fonti, organizzate in maniera tale da sottolineare la decadenza dell’emisfero portoghese e la sua espansione e il concomitante successo spagnolo, tant’è che la Cina è un prodotto “iberico” per gli Europei, nata sotto Filippo II: la Cina sotto gli occhi di gesuiti e mercanti, un prodotto più iberico che non portoghese. Un difetto nel libro è che, nell’uso molto sapiente delle fonti, Romano si concentra sugli aspetti para testuali, cioè sugli aspetti che circondano il testo (omaggi, lettera dedicatoria etc…), traendo chiavi interpre- tative corrette, ma che andrebbero giustificate maggiormente nei testi che cita, poiché si rimane un po’ troppo sulla superficie, tipico di studiosi francesi, che guardano molto le “cornici”, le dediche, le introduzioni etc…. Altro elemento più grave è il fatto che su questa base geopolitica il libro costruisce una narrativa di tipo antropologico e sociale, come se i missionari fossero degli scienziati, ma sono degli evangelizzatori: parla molto poco dell’impatto dei Gesuiti, o dei missionari, dal punto di vista filosofico e religioso, non spiegando come leggevano i riti. LA TEORIA DI RICCI E L’”INGLOBAMENTO DELLA CINA” Matteo Ricci è conosciuto come il proponente di una teoria secondo cui il confucianesimo è una forma di monoteismo: se uno deve produrre una missione di tipo evangelizzante che, secondo Ricci, non è partico- larmente diversa da quella San Paolo, deve adottare una posizione di adattamento. Anche altri gesuiti non erano convinti di questo, guardando a forme non di confucianesimo della religione. È abbastanza compren- sibile che personaggi come padre Ruggieri o Possevino, che scrive la biblioteca selecta, la prima raccolta di testi cinesi in latino, sono piuttosto convinti che serva una forma di tipologia, un sistema per cui una figura si può anche ritrovare in una civiltà diversa e precedete che niente ha a che fare col cristianesimo, che nell’at- tuazione storica diventa la vita di Cristo. Ricci è interessato alla razionalità, non vuole farsi sedurre dalle reli- gioni in loco, ma analizzare razionalmente il confucianesimo. Tutti questi processi di conoscenza reciproca danno sempre luogo ad episodi eterogenei, con attori mul- tipli, “l’inglobamento della Cina è un processo discontinuo, la Cina diventa il teatro di una produzione di saperi, che consentono allo storico di giocare con le scale”; cioè intende la microstoria, il libro è scritto nella prospettiva se si può conoscere la microstoria, lei vuole mettere insieme la prospettiva globale, ma contem- poraneamente sulla microstoria. Da questo punto di vista, vengono dati due riferimenti: Serge Gruzinski, il principale proponente della storia globale (o storia ibrida/meticca), dove dice che scrivere delle Indie orientali è come scrivere delle oc- cidentali. Altro studioso è l’autore indiano Magnan di UCLA dove ha scritto una ventina di libri: in Incontri di corte dice che quando parliamo di Europa e Cina parliamo di una élite, con attori individuati dal punto di vista 36 sociale e proprio in virtù di ciò su rispecchiano nelle élite locali: Matteo Ricci ha presente la partizione delle classi e ne parla in termini molto elogiativi. Tutti i missionari ne scrivono molto bene, il che semplifica la teoria del “gioco a specchio fra élite”; si può parlare quindi di un meccanismo euro-asiatico e che di fatto ci sia questo meccanismo a specchio, dove vengono condivisi una serie di mezzi intellettuali. FONTI E TIPOLOGIE DI DISCORSO SULLA CINA La Romano utilizza in maniera molto intelligente citazioni da libri a stampa, dove uno di essa (1575) rac- coglie lettere di gesuiti che avevano viaggiato in Cina e vengono pubblicati in Europa dopo un lavoro di sele- zione. Viene trovato in Spagna e la Romano ha una citazione da una lettera, sulla quale si focalizza: le lettere vengono da diversi luoghi e la Romano dice che è interessante l’indeterminatezza, città, stati e regioni sono insieme. L’appello alla varietà è interessante perché fa parte di una tecnica classica della narrativa di viaggio: la Romano elenca tre tipologie di discorso sulla Cina: • La storiografia di corte, molto diversa: un progetto sponsorizzato anche dalla Roma papale, presto tradotte in latino, con una forma annalistica, derivati da Livio e Tacito. Abbiamo pochi esempi, ma Barros è uno di questi. • Il racconto di viaggio, di cui ne abbiamo tantissimi, centinaia: tutte le lettere sono dei libri, un ibrido, poiché pubblicano non solo per l’Ordine, ma anche per la società. • Vi è poi l’impresa missionaria, con testi generalmente in latino, orientati su Roma e con delle discus- sioni teologiche. Il secondo capitolo riguarda la costruzione della Cina nel contesto iberico, facendo l’operazione secondo cui tutto ciò che sappiamo della Cina gravita sull’ambiente papale della Roma spagnola, arrivandoci con una dimostrazione a parte. Leggendo i viaggi a parte, vedendo documenti sulla Cina mai visti, che porta ad inda- gare il rapporto fra noi e loro, la Romano procede su due fonti: un trattato gesuita in latino, le Historiae indiche, e Maffei, che ricorda la storiografia, ma il cui libro è un resoconto di etnografia, dove si parla di usi e costumi dei cinesi e sulla religione. Secondo la teoria di Matteo Ricci, la ratio del confucianesimo è assimilabile a quella dei Gesuiti. Maffei è poco studiato, focalizzandosi la Romano sulle cornici. L’altro libro è di Juan Gonzales de Mendoza (1585), stampato a Roma e Lisbona, simile al libro del bergamasco, con una lingua diversa e una prefazione al papa, seguita da una lettera dedicatoria ad uno stampatore. Un’impostazione molto classica, erodotea. Nel capitolo II si parla di Dio, leggermente tralasciato dalla Romano, chiedendosi cosa ce ne facciamo delle altre religioni. CAPITOLI III E IV: DELL’EVANGELIZZAZIONE DEGLI ANNI OTTANTA A MATTEO RICCI La conoscenza della Cina da parte dei Gesuiti si muove su due direttrici: una evangelica, missionaria, l’altra culturale. Entro questi due filoni si misura l’inglobamento, ovvero la messa in carta della Cina come nuovo mondo. La conquista spirituale si inscrive in un periodo storico particolare che è quello della Roma spagnola, in cui sono presenti gli interessi del papato ma anche quelli imperiali di Filippo II. In questo contesto emerge la posizione dei Gesuiti, che è la più importante nella Chiesa post-tridentina. Come conquistare la Cina? In che modo? Con quali obiettivi? queste domande si pongono i Gesuiti. Che ruolo ha la contingenza nell’impresa missionaria e coloniale? Come agivano i Gesuiti? Come il loro network con- sente di ricavare informazioni? Queste sono le domande che si pone la Romano. Dal punto di vista storico è opportuno riflettere sul concetto proposto dal teorico della storia Francis Fukuyama (1952-) in The end of History (1992), dove egli parlava del senso della civiltà occidentale di aver raggiunto la forma di autorealizzazione. La prospettiva odierna è più pessimista rispetto a quella di Fukuyama, il quale aveva in mente la vittoria dell’Occidente nella guerra fredda e la consegna dei paesi sovietici a una modernità orientata alla democrazia liberale. Come Hegel aveva visto le strutture statuali convergere nello Stato prussiano, Fukuyama vede nella democrazia liberale la forma finale in cui il compito della storia finisce. Lezione 17 37 La realtà dei Gesuiti è simile dal punto di vista del rapporto province-metropoli, la prospettiva della fine dei tempi è in questo caso religiosa, non storica, i Gesuiti vogliono integrare in maniera simmetrica le Indie Occidentali e Orientali e far confluire tutto nel focus della Chiesa post-tridentina. PROPOSTE MISSIONARIE Alessandro Valignano (1539-1606), gesuita di Chieti, fu il principale ideologo della missione cinese dei Gesuiti dal 1574, l’artefice della linea comune che i Gesuiti dovevano tenere nell’attività missionaria, egli però dipendeva dai risultati sul campo di Michele Ruggieri (1543-1607). Ruggeri è una sorta di ponte tra la vecchia generazione e quella nuova. Il terzo personaggio italiano fondamentale in questo senso è Matteo Ricci (1552-1610), di Macerata, colui che fece prevalere la linea filosofica dell’adattamento, in cui, per adat- tare il significato dei Vangeli, l’ideale era partire dal razionalismo naturale del confucianesimo, quest’ultimo sapere tradizionale dei cinesi dell’epoca Ming. Ricci, quindi, decide che la cosa migliore è adattare la teologia naturale dei cinesi al messaggio della trinità cattolica. Ricci e Valignano raggiungono una forma strutturale ideologica della missione in Oriente come una strategia, Ruggieri invece, rappresenta il difficile adattamento di un padre missionario più anziano che si trova per un breve periodo con risultati scarsi per via del nuovo stile missionario. Francesco Saverio (1506-1552), santo spagnolo, agisce in una generazione precedente, dal 1541 al 1552 si trova in Cina. Javier era partito da Lisbona ad aprile del 1541, aveva raggiunto il Mozambico nell’agosto e da lì a Goa, da dove aveva fatto spedizioni in Malesia e in Malacca, si era poi spostato anche in Giappone, mentre la Cina è il punto di arrivo dei suoi viaggi. Egli fu beatificato subito dopo la morte e proclamato Santo nel 1622. La vicenda di Javier rappresenta il topos della vita dei Gesuiti in Oriente; la sua vita diventa la misura del missionario orientale, per le caratteristiche combattive, per l’ardore religioso, e per la maniera in cui sulla sua figura erano confluiti gli interessi di Paolo III e di Giovanni III di Portogallo. Vediamo emergere una tradi- zione geopolitica e una di povertà ed obbedienza, carattere distintivo che lo rende un gesuita di riferimento. PARTICOLARITÀ DELLA CINA PER I MISSIONARI Il libro del 1585, Storia del principio e progresso della Compagnia di Gesù nelle Indie orientali di Valignano, è un elogio della Cina per le caratteristiche della popolazione, diversa da quella americana, la terra cinese appare già letterata e acculturata con cui i Gesuiti possono fare i conti da pari. Valignano descrive la Cina come differente rispetto a tutte le altre nazioni dell’Oriente, ciò è dovuto alle persone, al terreno, alla ric- chezza, alla bellezza, ed anche alla bianchezza e alla fisionomia della pelle. Punto quest’ultimo di cultura razziale, l’élite cinese sarebbe adatta all’evangelizzazione anche perché bianca, oltre che per la fertilità territoriale ed economica. Questa teoria proto-razziale è un topos che risale alla Geografia tolemaica con l’idea dei climi e delle zone. Da un lato la missione in Cina fino agli anni Novanta non si traduce in un grande successo materiale o spirituale, anzi non produce quasi nessun effetto, e questo lo si vede in un testo in latino che deriva da Macao, dove il progresso della missione si misura dalla circola- zione delle informazioni, dal controllo religioso e geopolitico. Nell’effetto di un’universalità cattolica, si viene a definire una dinamica tra anni Ottanta e Novanta per la quale la Cina sostituisce il Giappone come centro spirituale della vita gesuita. PERFORMANCE DEI GESUITI Come si propongono i Gesuiti come personaggi? Come si presentano alla corte? Come si presentano ai contadini? Interessante, nell’attività di Valignano e di Ricci, è l’attenzione all’aspetto performativo, l’effetto del vestito e della persona in sé. Ricci in alcuni ritratti viene immortalato come un buddista, singolare perché Ricci aveva sospetti sulla capacità del buddismo come sapere che si potesse cooptare nella teologia cristiana. Valignano concepisce l’attività missionaria come un’ambasciata, un missionario è equiparato ad un di- plomatico. Adriano Prosperi ha scritto L’uomo barocco a cura di Rosario Villari (1998) in cui parla dell’aspetto 40 enfasi all’aspetto buddista e taoista, aspetto che Ricci bollerà come idolatria. Ruggieri fa riferimento ad una letteratura anche popolare, che egli accompagna a testi cristiani, Ricci, al contrario, si pone come scienziato e personaggio in grado di capire il confucianesimo e farlo convergere con la tradizione tomistica, ovvero la tradizione che si rifaceva a San Tommaso. Il discorso di Ricci è legato al livello dell’élite, e questo non senza problemi, infatti, ci sono degli episodi emblematici in tal senso, come ad esempio l’incontro di Ricci con un’accademia di studiosi cinesi, con l’in- contro che finisce con un giudizio negativo di Ricci, il quale si fa beffe del fatto che i personaggi da lui incon- trati non sapevano molto a livello cosmologico. In una lettera del 1595, rispondendo ad una domanda di un corrispondente a Roma, Ricci entra nel cuore della dimensione universalistica della Chiesa cattolica, ma rende anche edotti della situazione comunicativa: ci sono persone che hanno semplicemente sentito la predica- zione, senza gli strumenti per comprenderla, e ci sono coloro che hanno gli strumenti intellettuali per elevarsi alla dimensione della teologia cattolica. L’aspetto della ratio dell’antichissima nova è una riproposta della tradizione confuciana che viene fatta confluire in una dimensione cristiana e cattolica a cui non appartiene, a testimoniare il tentativo di adattamento compiuto da Ricci, adattamento che però poteva essere compreso solo da coloro che avevano un bagaglio culturale adeguato. CAPITOLI V E VI: IL PASSAGGIO DAI MING AI QING Ricci è un esempio di proto-orientalismo cristiano, uno dei punti principali è che i gesuiti fanno un con- fronto fra Sudamerica e Asia, la prima è una tabula rasa, mentre la Cina è considerata una civiltà di grande raffinatezza anche letteraria. La missione dei Gesuiti in Asia è un riflesso del cosmopolitismo della Roma spa- gnola. Nel capitolo V e VI si evince che nel massimo momento di crisi della dinastia Ming, con il passaggio dei Qing a causa dei Tartari, c’erano solo 12 Gesuiti in Cina. Entrano poi i Domenicani e ci si chiede cosa fare dei riti cinesi: vanno accettati o estirpati? I Domenicani dicono che bisogna fare un’evangelizzazione totale, men- tre i Gesuiti non lo fanno mai, anche perché sono pochi, figure affascinanti che tardano ad avere un impatto: c’è un dislocamento fra il successo to tale e la rappresentazione a stampa, sempre in concomitanza con un declino politico. C’è questo effetto globale, si disfa una dinastia interna e una corona che si sfalda, diventando duplice. I personaggi sono Trigault e Martini, Ricci e Ruggieri rappresentano due modi di evangelizzare la Cina, Ruggieri non riesce a studiare la lingua autoctona, il che comporta un’adozione del modello di adattamento: il modello di Ricci è da seguire, adattare il confucianesimo al cristianesimo. I Gesuiti erano necessari al sapere imperiale, soprattutto in ambito cartografico: sono chiamati anche in un ruolo difensivo, nell’artiglieria. Tre padri Ge- suiti saranno pagati per riformare il calendario, solitamente un’arena di conflitto teologico, ma in Cina c’è bisogno di una struttura efficiente anche a livello astronomico, erano post galileiani, a differenza degli astro- logi di corte che erano astrologi. Il tema del successo è quindi sfaccettato. ANTONIO POSSEVINO Quando i Gesuiti tornano, il che è un’operazione molto difficile (una o due volte nella vita), a seconda di dove arrivano si creano delle configurazioni di sapere riguardanti l’audience di un determinato posto. Teian è una parola con una funzione nel confucianesimo e viene tradotta con “Dio”, Ricci adatta e coopta un si- stema esistente. La traduzione dei testi confuciani è molto tarda, nel periodo in questione escono dei frammenti inseriti in un libro di Antonio Possevino che organizza il capitolo V del libro della Romano, scrivendo la Biblioteca selecta. Possevino è importantissimo, il personaggio che nel ‘500 sposta il confine della cristianità di 4/5 chi- lometri, viaggiando scrivendo etnografiche e ricevendo una cattedra all’università di Padova, successiva- mente lavora per la ratio studiorum. La biblioteca selecta è una grossa enciclopedia che contiene tanti testi, la biblioteca del buon Gesuita, con frammenti confuciani. Lezione 18 41 NICOLAS TRIGAULT Questa configurazione (1580-90) presenta dei personaggi che si confrontano con il sapere romano: Roma è quindi intesa come una crossroad dei saperi. Altri esempi sono l’Accademia dei Lincei, nata per isti- gazione, per noi fondamentalmente legata a Galileo, ma che è anche una raccolta di saperi etnografici, come il tesoro messicano, che raccoglie tutto ciò che si sapeva proveniente dal Sudamerica. I Medici avevano grandi interessi nella colonizzazione del Sudamerica e fanno un’operazione di patronaggio, convergono istituzioni religiose e proto-scientifiche e ciò si vede studiando Trigault, il quale torna nell’Europa occidentale, richie- dendo ai Gesuiti libri, per lavorare ed evangelizzare. Gli interlocutori Ming sono interessati a quello. Questa mappa serve per visualizzare negli anni di Ricci dove erano i Gesuiti, le tappe della loro presenza e l’arrivo di altri missionari, un’on- data successiva fino a metà del secolo. È una mappa un po’ statica, migliorabile con Palladio, sarebbe interessante inserire un livello cronolo- gico e di dinamismo. L’organizzazione dei dome- nicani si dipanava dalle Filippine, quindi c’è un tentativo di riconquista spirituale della Cina. La burocrazia cinese si rende conto di aver bisogno di modernizzarsi e della scienza dei gesuiti, pro- prio mentre ci si chiedeva perché perdere tempo con loro in tempo di guerra. Joseph Needham insegnava a Cambridge era un marxista, dove ha scritto un’opera a più volumi sulla Cina. Il suo marxismo oggi sembra molto duro, ma è fondamentale per capire cosa si pro- ducesse dal punto di vista matematico: Needham era un pioniere della sinologia e, benché oggi datato, ri- mane un autore fondamentale; in particolare il suo III volume, dove affronta una distinzione fra scienza del cielo e della terra, immedesimandosi nella situazione del XVII secolo, quando i Ming chiesero ai Gesuiti di fare delle operazioni di calcolo. Il testo fondamentale del capitolo V è quello di Trigault. Questo è il frontespizio del De christiana expe- dizione del 1615: Trigault, dopo la morte di Ricci, vuole perorarne la causa ed è la principale fonte di questo periodo. Francesco Saverio è stato beatificato molto presto, dopo aver passato dieci anni in Cina prima di ammalarsi; era stato il profeta. L’altro personaggio rappresentato è Ricci stesso. Questo libro ha una struttura classicheggiante ed è interessante che esca in Germania, in un periodo di grande discussione interna a Roma: i Gesuiti hanno questa rete, dei materiali di prima mano, però il libro è prodotto ad Ausburg, un luogo geo- politcamente interessante. Questo frontespizio è di un’altra edizione, alternativa in tedesco di due anni dopo di quella precedente, ci sono sempre Saverio e Ricci, ma la mappa è diversa: l’altra mappa era stata prodotta in Olanda, mentre questa è uno schizzo personale trovato nelle carte di Ricci. Questo è un esempio classico della manipolazione e delle decisioni per la circolazione dei testi: c’è un dibattito sulla questione dei riti cinesi, dove sono presenti due posizioni distinte, mentre all’interno di queste discussioni, che si declinano in varie realtà, i documenti sono prodotti sulla base di decisioni prese a livello locale; ad Ausburg si è deciso di stampare in latino, mentre in un altro caso è stata valorizzata un’altra mappa, che rappresenta più vicino l’esperienza di Ricci. Si conclude così l’esperienza di Trigault, né con una vittoria né con una sconfitta: chiede dei libri (629) volumi a stampa offerti da Cosimo II, e li ottiene, quindi l’ambasceria ha successo, ma rappresenta una voce gesuita con problemi di approvvigionamento, teologici, come l’eliocentrismo, Bellermino, un vescovo, nel 1616 Copernico viene dichiarato autore non insegnabile; un problema di un certo tipo d’Europa, non di quella del nord. In queste discussioni si possono vedere delle comparazioni in cui Trigault non era preoccupato di altro se non che “cosa insegnare ai Cinesi”. Bellarmino era promotore di questa condanna a Copernico, ma era promotore del sistema geo-eliocentrico di Tycho Brahe, che trovava un compromesso fra le due teorie. Tutto questo in un contesto appunto dove i Gesuiti erano essenziali in Cina e Trigault diventa centrale in questo sistema comunicativo. 42 CAPITOLO VII: MARTINO MARTINI E MICHAEL BOYM Dalla morte di Ricci si vede questa frattura, dove combattono questi due approcci. Passando al capitolo VII (1640), dieci anni dopo l’ingresso dei domenicani in Cina e dove Pechino sta cadendo sotto i colpi dei Tartari: la corona portoghese sta poi tornando indipendente. C’è quindi un doppio cambiamento ed esatta- mente in questo periodo si viene a compiere una frattura anche pratica di Matteo Ricci. Confronto fra due personaggi: Martino Martini, gesuita, Michael Boym. Martini torna a Roma nel pieno della controversia sui riti cinesi e il suo viaggio è molto interessante, parte dalla Cina, arriva nelle Filippine, poi a Giava, si imbarca ma fa naufragio e nel 1653 arriva ad Amsterdam e d’Anversa, viene anche imprigio- nato: tutto questo mostra i terribili viaggi dei Gesuiti. Boym è un altro gesuita, ceco, Gesuita a Cracovia, un botanico, specializzato soprattutto nelle piante medicinali e a Roma chiede di essere mandato in Asia e, tornato, ha un viaggio meno complicato (anche se sempre difficile) e non arriva a nord, ma a Venezia, anche lui deve scrivere un libro. Lo fa tramite un amba- sciatore, come se la sua fosse una missione di tipo diplomatico, con caratteristiche legate alla sfera pubblica, Anversa è la capitale della cartografia, prende un aspetto anche etnografico, creando quindi una specie di manuale sulla Cina. Boym, invece, si confronta con un ambiente veneziano, politico e si adatta a questo am- biente, scrivendo questo materiale a stampa come risultato di una spedizione di tipo diplomatico. Due per- sonaggi che vanno in Cina in un momento di confusione anche dottrinale, componendo dei libri in Europa che rispondono all’ambiente in cui vengono raccolti. CRONOLOGIA RIASSUNTIVA • 1540: I Gesuiti si formano come ordine. • 1542-1552: missione di padre Francesco Saviero, il primo contatto dei Gesuiti con le persone locali, un grande impatto, anche se non c’è ancora una missione vera e propria coordinata da Roma. • 1570-1580: inizio del sistema comunicativo a Roma, la missione prende vita, con caratteristiche in- formative ed evangeliche, con il manager Valignano a Goa, insieme a Michele Ruggieri e Matteo Ricci, il primo fa fatica ad imparare la lingua locale ed ha una posizione interessata al Buddhismo e al Taosimo, mentre Ricci è più vicino al Confucianesimo. • 1580-1610: anni di Ricci, centrali. Lezione 19
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