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Ruolo della Conoscenza nella Crescita Economica: Rivoluzione Industriale e Scienza, Appunti di Storia Economica

Storia della tecnologiaStoria della scienzaStoria industrialeStoria Economica Moderna

Il ruolo della scienza nella rivoluzione industriale inglese, che inizialmente non si basava su una comprensione scientifica dei processi di produzione. Tuttavia, le scoperte scientifiche del xviii secolo, come la macchina a vapore, ebbero un impatto significativo sulla tecnologia solo nella seconda metà del xix secolo. Il documento illustra come le conoscenze derivanti dalla scienza diventarono un fattore rilevante della crescita economica, determinando un incremento della produttività totale dei fattori e stimolando gli investimenti. Anche il ruolo dei brevetti nella prima innovazione industriale e la crescita economica in europa.

Cosa imparerai

  • Come i brevetti hanno influenzato le prime innovazioni industriali all'inizio del XIX secolo?
  • Come le conoscenze derivanti dalla scienza hanno contribuito alla crescita economica?
  • Come la Germania è riuscita a colmare il divario economico rispetto al Regno Unito dopo la seconda guerra mondiale?

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 08/07/2019

Capone9494
Capone9494 🇮🇹

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Scarica Ruolo della Conoscenza nella Crescita Economica: Rivoluzione Industriale e Scienza e più Appunti in PDF di Storia Economica solo su Docsity! Le tecniche produttive e le innovazioni nell’epoca preindustriale, frutto dell’esperienza, cioè gli individui osservavano e si rendevano conto che determinate soluzioni erano più efficaci di altre, ma avevano una comprensione solo limitata delle cause profonde. Infatti a partire dal XVII secolo vennero fatti sforzi decisivi per acquisire una conoscenza più vasta e approfondita delle “leggi della natura”. Sarebbe tuttavia sbagliato credere che la Rivoluzione industriale inglese degli anni 1770-1839 fosse basata su una comprensione scientifica dei processi di produzione, infatti in quel periodo si andò verso una conoscenza più approfondita della natura, ma tali conquiste non ebbero nell’immediato un impatto significativo sulle tecnologie di produzione. La macchina a vapore invenzione simbolo del XVIII secolo, rappresenta l’eccezione che conferma la regola: sviluppata da Newcomen (1663-1729), si basava sui risultati delle ricerche scientifiche condotte nel secolo precedente da Galileo Galilei (1564-1642) ed Evangelista Torricelli (1608-1697), dall’olandese Huygens (1629-1695) e dal tedesco Otto van Guericke (1602-1686) sulla pressione atmosferica, il peso dell’aria e la natura del vuoto. I grandi progressi della tecnologia, derivanti dalla combinazione di indagine teorica astratta e verifica empirica, ebbero luogo solo nella seconda metà del XIX secolo. Queste idee errate sul ruolo della scienza hanno contribuito a determinare una valutazione molto ottimistica della crescita economica nella tradizionale narrazione di ciò che fece della Gran Bretagna “la prima nazione industriale”. La stagnazione dell’epoca preindustriale è stata contrapposta a una (presunta) rapida accelerazione della crescita. Questa concezione è stata profondamente modificata dal filone di studi “revisionisti”, avviato da Nicolas Crafts e Knick Harley durante gli ultimi decenni del XX secolo. Secondo i due studiosi. Secondo i due studiosi, in Gran Bretagna si verifico una transizione industriale, più che una rivoluzione, inoltre, tutte le attenzioni dedicate al caso inglese hanno impedito di apprezzare il fenomeno intellettuale che era in corso in tutta Europa. Questo “Illuminismo industriale” per usare l’espressione di Joel Mokyr, è stata la parte iniziale delle grande rivoluzioni scientifiche del XIX secolo che, oltre a trasformare le economie del a seconda metà dell’Ottocento, continuarono a dominare gran parte delle tecnologie di produzione del secolo successivo. Inoltre, la Rivoluzione industriale fu preceduta e determinata da quella che lo storico “Berkeley Jan de Vries” definisce una “Rivoluzione industriosa”, cioè un cambiamento radicale nei comportamenti di consumo. Egli documenta nel secolo precedente alla Rivoluzione industriale, il crescente coinvolgimento negli scambi di mercato da parte di tutti i membri della famiglia, come produttori di beni commerciali o come soggetti che incrementavano l’offerta di lavoro. L’aumento del reddito disponibile si tradusse in una crescente domanda di nuovi beni di consumo. Questa visione delle precondizioni della Rivoluzione industriale, incentrata sui fattori della domanda, funge da contrappeso all’enfasi posta sui fattori dell’offerta nell’interpretazione tradizionale, secondo la quale il progresso tecnologico rese accessibili i beni a una fascia più ampia della popolazione. Il concetto di Rivoluzione industriale allude a una trasformazione radicale e improvvisa della vita economica. Tradizionalmente la Rivoluzione industriale è stata associata a una crescita sostenuta e alla rapida diffusione di nuove tecnologie e nuovi fonti energetiche, come il vapore. Tuttavia, se nessuno di coloro che vissero durante la “Rivoluzione Francese” (nel periodo dal 1789 al 1795) poté fare a meno di accorgersene, e molti vi persero la vita, gran parte dei contemporanei della Rivoluzione industriale non era consapevole dei cambiamenti in atto, gli economisti dell’epoca erano convinti che la crescita sostenuta fosse impossibile per via della presenza di vincoli delle risorse. Di fatto il concetto di “Rivoluzione industriale” fu coniato solo attorno al 1850, quando le conseguenze determinate da decenni di crescita più rapida diventarono evidenti nell’innalzamento dei livelli di vita. In anni recenti gli storici economici hanno manifestato una crescente insoddisfazione rispetto alla visione tradizionale della Rivoluzione Industriale, secondo alcuni, la denominazione stessa ci condurrebbe a sbagliarci. E’ vero che si assistette all’introduzione di nuove tecnologie, ma il ritmo di diffusione fu molto più lento di quanto si sia ritenuto in passato. Gran parte di queste tecnologie erano specifiche per un determinato settore, anziché “general purpose” , cioè applicabili a un ampio spettro di attività diverse. Anche in questo caso, una possibile eccezione è rappresentata dalla macchina a vapore. Per gran parte del XVIII secolo, essa fu utilizzata quasi esclusiva ente per estrarre acqua dalle miniere di carbone. Tale applicazione era economicamente conveniente perché le prime macchine erano caratterizzate da una bassissima efficienza energetica e richiedevano dunque combustibile fossile a basso costo. D’altra parte era impossibile trasportare il carbone, un prodotto pesante e ingombrante, su lunghe distanze utilizzando le tecnologie di trasporto allora disponibili. L’introduzione di combustibili fossili come fonte di energia determinò conseguenze rivoluzionarie, perché consentì di sostituire la forza muscolare umana e animale e (più lentamente ) l’energia ricavata da acqua e vento. Prima che ciò accadesse, tuttavia, era necessario raggiungere una maggiore efficienza energetica. I miglioramenti apportati alla macchina a vapore permisero una continua riduzione del consumo di carbone per cavallo-vapore-ora. Durante la prima fase delle Rivoluzione Industriale, la maggiore fonte di energia per l’industria restava l’acqua. La macchina a vapore ebbe un impatto significativo sui trasporti solo verso la metà del XIX secolo. La navigazione a vela caratterizzata da velocità ed efficienza crescenti, rimase la modalità di trasporto via mare più efficiente per le lunghe distanze e più utilizzata fino al tardi XIX secolo, e venne rimpiazzata del tutto solo durante i primi decenni del secolo successivo. Di recente si è riconosciuto il carattere “rivoluzionario” della Rivoluzione industriale, fu limitato ad alcuni settori, nello specifico il comparto tessile, e in particolare la filatura e la tessitura del cotone, che sostituì il lino una fibra difficilmente adattabile alla filatura meccanizzata. La rivoluzione industriale ci aiuta ad evidenziare anche che i cambiamenti tecnologici verificatosi furono il risultato di prove ed errori, piuttosto che di scoperte scientifiche. Fu solo durante la seconda metà del XIX secolo, quasi un secolo dopo la Rivoluzione industriale inglese, che la scienza divenne un elemento importante nell’innovazione dei processi di produzione e nello sviluppo di nuovi prodotti. Tutte queste considerazioni sembrano sottolineare una certa continuità, anziché una rottura rivoluzionaria, nei cambiamenti occorsi tra il 1770 e il 1830. Recenti lavori di contabilità della crescita hanno rivisto profondamente le stime sulla crescita. Viene messa a confronto la visione tradizionale, frutto del lavoro di Cole e P.Dean e i dati ottenuti da storici economici “revisionisti” come Crafts e Harley. Gli ultimi due non mostrano differenze significative tra a crescita preindustriale e la prima fase della rivoluzione industriale. Come si può facilmente notare, le correzioni più rilevanti riguardano il periodo di presunta rapida industrializzazione dal 1780 al 1830, per questo periodo i tassi di crescita pro capite sono stati ridotti a circa un terzo delle stime precedenti. Di fatto la crescita del prodotto pro capite fu solo leggermente più alta che in epoca preindustriale. I nuovi risultati differiscono dai precedenti principalmente per le seguenti ragioni: • Le stime precedenti sopravvalutavano la quota dei nuovi settori industriali in rapida crescita e sottovalutavano i settori tradizionali. • La dimensione stessa dell’industria rispetto all’economia nel suo complesso era stata esagerata. Poiché solo pochi nuovi settori industriali evidenziarono una radicale trasformazione e una rapida crescita, i pesi settoriali hanno un impatto significativo sulla crescita complessiva. In mancanza di informazioni precise sulla percentuale dei vari settori sulla produzione totali, gli storici hanno formulato ipotesi diverse, spesso sopravvalutando il peso reale dei nuovi settori. I numeri indici creano altra confusione sui tassi di cresci: utilizzando come pesi i valori dell’anno base di solito si sottovaluta la crescita rispetto alle stime che utilizzano come pesi i valori dell’anno finale. Attualmente gli studiosi preferiscono usare l’indice di Divisia che in un certo senso, rappresenta una media delle due alternative. L’attribuzione di una quota troppo grande a un settore moderno determina una prevedibile sopravvalutazione della crescita. Alla luce di queste radicali modifiche nelle stime dei tassi di crescita è ancora ragionevole parlare di una rivoluzione industriale? La risposta è no. La crescita economica moderna, con livelli di variazione del reddito pro capite attorno all’1,5-2 per cento annuo, si affermò in Inghilterra solo a partire dalla metà del XIX secolo, e nel resto dell’Europa in via di industrializzazione solo dalla fine del secolo. Secondo Joel Mokyr, la lenta accelerazione della crescita teneva nascosto comunque cambiamenti radicali nel clima intellettuale che sono alla base della sua idea di illuminismo industriale fiorito in quel periodo. L’Europa presentava caratteristiche uniche, perché poteva contare su oltre un secolo di cultura scientifica legata all’indagine razionale sulle leggi della natura. E’ opportuno sottolineare che il trionfo dell’approccio scientifico allo studio della natura e alla produzione fu un movimento relativo a tutta l’Europa e non esclusivamente britannico. La macchina a vapore fu inventata in Inghilterra, dove trovò un ampia diffusione, ma si basava, come abbiamo già sottolineato, su esperimenti condotti durante il XVII secolo da scienziati di tutta l’Europa. Anche i nomi dei pionieri dello studio dell’elettricità rivelano una provenienza nazionale variegata: Luigi Galvani, Alessandro Volta, Humphry Davy, André-Marie Ampère. I cittadini di altri paesi europei contribuirono ad accrescere le conoscenze che spianarono la strada al successivo uso industriale e commerciale dell’elettricità per l’illuminazione, la comunicazione via telegrafo, i generatori elettrici e i motori. Anche i primi progressi nella chimica sono attribuibili a studiosi provenienti da tutta Europa, come lo svedese Carl Wilhelm Scheele e l’inglese Joseph Priestley, che scoprirono indipendentemente l’ossigeno, e Antoine Lavoisier. Nella seconda metà del XIX secolo la chimica era dominata da studiosi tedeschi che si erano formati e insegnavano nelle locali università tecniche, molti professionisti da impiegare nei dipartimenti di ricerca dell’industria. I costi dell’accesso alle nuove conoscenze con la formazione di società scientifiche che fungevano da forum per la presentazione di nuove scoperte da parte dei ricercatori e successivamente da centri di divulgazione al pubblico delle conoscenze. Il XIX secolo fu un’epoca di progresso. L’illuminismo industriale fu un fenomeno unicamente europeo, anche se alcune regioni, come l’Europa orientale, la penisola iberica e i suoi territori in America Latina, non fornirono contributi significativi. Il passaggio all’uso della scienza nel controllo della natura per finalità commerciali avvenne in una fase di stagnazione tecnologica nel resto del mondo: • L’età dell’oro musulmana è un periodo storico ricadente nel Califfato abbaside e che ebbe termine nel XII secolo. Ebbe inizio intorno alla metà dell'VIII secolo con l'avvento del Califfato abbaside e il trasferimento della capitale da Damasco a Baghdad. Gli abbasidi furono influenzati dalle prescrizioni del Corano e dagli ʾaḥādīth della Sunna, ritenendo che "l'inchiostro di uno studioso fosse più sacro del sangue di un martire", frase che sottolineava il valore della conoscenza[2]. Durante questo periodo, il mondo arabo divenne un centro intellettuale per la scienza, la motore elettrico basato sui principi dell’elettromagnetismo scoperti da H.C. Orsted e Michael Faraday, diventasse un dispositivo utile dal punto di vista commerciale, in ambito sia domestico che industriale. Una volta sviluppato il motore elettrico si dimostrò superiore a quello a vapore per muovere un macchinario industriale. Il motore elettrico si diffuse in misura consistente nell’industria solo all’inizio del XX secolo ed eliminò i vincoli di localizzazione imposto dalle fonti energetiche tradizionali. Un secolo prima la localizzazione delle fabbriche era stata determinata dalla disponibilità di acqua per mulini, mentre le macchine a vapore necessitavano di una dimensione minima e una grande quantità di carbone a basso costo per essere economicamente vantaggiose. I motori elettrici non presentavano alcuno di questi limiti: si potevano costruire per produrre quantità di energia molto differenti, sufficienti per azionare dispositivi tanto diversi quanto un ventilatore per uso domestico e una locomotiva. Era possibile far funzionare ciascuna macchina con un motore separato direttamente alimentato dalla rete, piuttosto che collegarla a una fonte di energia centralizzata. Inizialmente l’elettricità era prodotta trasformando l’energia cinetica generata da macchine a vapore. La turbina a vapore, inventata verso la fine degli anni settanta del 800, si rivelò un macchinario più efficiente sotto il profilo dell’uso di energia ed è ancora largamente utilizzata per produrre elettricità da combustibili fossili ed energia nucleare. Durante gli anni ottanta del 800’, l’elettricità era prodotta per uso locale, perché la sua trasmissione su lunghe distanze implicava perdite significative. La produzione e il consumo sono molto più conveniente a bassi voltaggi, mentre un voltaggio elevato riduce le perdite nella trasmissione. I trasformatori, convertivano l’elettricità prodotta a basso voltaggio in elettricità ad alto voltaggio per la trasmissione e di nuovo in basso voltaggio al punto di consumo. Fu quindi possibile costruire centrali elettriche che sfruttavano le economie di scala delle turbine a vapore. I trasformatori furono introdotti negli anni novanta del 800’. Lo sviluppo delle tecnologie di trasmissione di elettricità su lunghe distanze eliminò il legame tra località di produzione e di consumo e consentì un rinnovato utilizzo dell’energia idraulica e, più di recente, dell’energia eolica. L’elettrificazione dei processi di produzione nel XX secolo e lo sviluppo del motore a combustione interna, sostituirono l’energia fornita dai muscolo di uomini e animali con l’energia prodotta da combustibili fossili come il carbone e il petrolio. I cervelli sostituirono i muscoli. • Miglioramento - differenziazione della qualità delle merci. I critici dell’età industriale si lamentavano della presunta volgarità e mediocre delle merci prodotte dalle macchie. D’altra parte però l’età industriale vide miglioramenti nel livello di qualità e di differenziazione dei prodotti. La differenziazione è a volte confusa in modo sbagliato con una diminuzione generalizzata della qualità. In ogni caso, prodotti di bassa qualità e a basso costo a volte posso rivelarsi i più adeguati. Per esempio, la diffusione di quotidiani a circolazione di massa fu resa possibile dalla produzione della carta da giornale un bene di durata limitata. Un rapido progresso tecnico in uno specifico settore rispetto ad altri di norma riduce il prezzo relativo dei suoi prodotti. Se oltretutto migliora anche la qualità, i consumatori ottengono un doppio vantaggio, prodotti migliori a un prezzo più basso. La difficoltà sta nel valutare con precisione il miglioramento qualitativo. L’economista William Nordhaus ha esaminato un settore rispetto al quale è possibile effettuare stime precise della qualità, ovvero l’illuminazione. La luce può essere misurata in lumen, ma gli indici dei prezzi non tengono alcun conto di questo aspetto qualitativo. Le lampadine elettriche sostituirono una serie di dispositivi come candele e lampade alimentate a gas, cherosene e petrolio. La persistenza della lampadina elettrica come principale fonte di illuminazione sino ai giorni nostri è un altro esempio della notevole vitalità tecnologica caratteristica del tardo XIX secolo. Thomas Edison, inventore americano, fu uno dei tanti a occuparsi del miglioramento dell’illuminazione elettrica: pur non essendo stato il primo a realizzare la lampadina a incandescenza, comprese prima di chiunque altro come produrre sistemi di illuminazione efficienti dal punto di vista economico. La prima lampadina elettrica costruita secondo il principio della luce a incandescenza risale al 1878 ed è stata attribuita all’inglese Joseph Wilson Swan. I successivi miglioramenti tecnologici erano volti a migliorare il filamento all’interno della lampadina, cioè la fibra la cui resistenza genera luce incandescente: utilizzando non più fibre naturali carbonizzate ma filamenti metallici che consentivano guadagni di efficienza sia in termini di lumen che di durata di lampadina. Gli indici dei prezzi convenzionali tendono a ignorare questi miglioramenti qualitativi, sottovalutando cosi seriamente la vera diminuzione del prezzo. Il prezzo secondo le stime di Nordhaus, prezzo effettivo della luce diminuì del 3-4 per cento annuo dal 1800 al 1990, rispetto alle misurazioni convenzionali. Nonostante l’illuminazione assorba solo una piccola frazione dei bilanci familiari, questo esempio dimostra che trascurare i miglioramenti qualitativi può tradursi in una significativa sottostima della crescita dei salari reali nel tempo. • Permise lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi. L’800 è stato un secolo unico perche ha visto la creazione di un numero senza precedenti di innovazioni, che in forma perfezionata, sono ancora in circolazione nelle nostre vite: la produzione tessile meccanizzata, l’elettricità, i motori elettrici e gli elettrodomestici, l’illuminazione elettrica, i motori a combustione e le automobili, le comunicazioni senza fili, il telefono, la produzione integrata della carta, i nuovi materiali come la plastica nati dai progressi in campo chimico, il calcestruzzo armato, l’acciaio di alta qualità e le leghe di acciaio. • Settore dell’edilizia è un esempio interessante, perché inizialmente non fu trasformato dalle nuove tecnologie. Tuttavia a partire dalla metà del XIX secolo, la maggiore offerta di acciaio a basso costo rivoluzionò le tecniche di costruzione. All’inizio dell’800, la ghisa di prima fusione iniziò a essere impiegata nella costruzione di ponti ed edifici, la resistenza alla trazione di questo materiale era tuttavia insufficiente, e l’espansione dell’offerta di acciaio fornì un’alternativa migliore. L’acciaio può essere usato per realizzare lo scheletro in edifici molto alti. L’acciaio inoltre è la componente essenziale del cemento armato, brevettato per la prima volta nel 1854 e divenuto il materiale da costruzione dominante nel XX secolo. Il Calcestruzzo, una miscela di cemento, sabbia e acqua era stato inventato dai romani e migliorato nell’800, ma il salto di qualità fu l’aggiunta di una struttura di acciaio al suo interno. • Motore a propulsione invenzione anche del XX secolo, affonda le radici nel secolo precedente, essendo essenzialmente un’applicazione dei principi del motore a combustione interna. Nel motore a scoppio a quattro tempi, l’aria viene aspirata e miscelata al combustibile in un cilindro che viene compromesso dal movimento di un pistone, l’inventore fu Nicolaus Otto (1832-1891). Il gas compresso si incendi per effetto dell’accensione o, nei motori Diesel, del calore e genera un’elevata pressione che a sua volta, aziona un altro pistone. Nella fase iniziale, lo sviluppo del motore a combustione vide la presenza dominante degli ingegneri tedeschi, ma la razionalizzazione del processo di produzione, che permise di abbassare i costi e rese le automobili accessibili alla gente comune fu avvita negli USA da Henry Ford (1863-1947). • Una novità che ebbe impatto sull’agricoltura fu la produzione industriale dei nitrati. Gli agricoltori avevano dovuto fare i conti con i vincoli posti dall’offerta di azoto. Dato che l’azoto costituisce i tra quarti dell’atmosfera, la sfida per i chimici del XIX secolo consisteva nel trovare un processo di fissazione che consentisse di utilizzare l’abbondante quantità di azoto disponibile. Fritz Haber (1868-1934) ci riuscì nel 1909 utilizzando un catalizzatore per produrre ammoniaca da trasformare mediante ossidazione in nitrati e nitriti. Ciò rese possibile l’eccezionale incremento dei rendimenti agricoli del XX secolo, oltre a consentire la produzione di un nuovo bene, i fertilizzanti artificiali. • Ampliò la base di risorse per uso industriale, Il processo di meccanizzazione della produzione della carta iniziò nel tardo 700’, quando Nicolas Robert tentò di elaborare un processo continuo, a partire dalla pasta ‘umida’ fino all’ottenimento della carta ‘secca’, metodo che venne perfezionato e diventò noto come processo Fordrinier. Le fonti tradizionali di materia prima per la pasta, ovvero stracci, canapa e paglia, erano insufficienti per soddisfare la crescente domanda di carta da stampa. Il legno era molto abbondante, ma il suo uso come materia prima fu possibile solo grazie a una serie di progressi della chimica. Il primo metodo meccanico di produzione della pasta dal legno, inventato attorno al 1850 e in uso ancora oggi, consentiva di produrre carta a basso costo, ma la scarsa qualità ne limitava le possibilità d’impiego. Era possibile però produrre pasta di legno facendo bollire in solfiti o solfati legno tagliato e ridotto in polvere. Non sorprende che, negli anni settanta dell’800, i principali innovatori in questo ambito fossero chimici e ingegneri provenienti da nazioni ben fornite di legno: Stati Uniti, Germania e Svezia. Inizialmente prevalse il cosiddetto metodo al solfito, che tuttavia presentava degli svantaggi perché a lungo andare l’acidità della carta la rendeva fragile. Successivamente si passo al processo al solfato, dal quale si otteneva la karta kraft (in svedese voleva dire “forte”). Anche se mediante questo processo si poteva ottenere carta robusta e a basso costo, il prodotto finale era difficile da sbiancare. Inoltre i danni ambientali di questo metodo sono stati adeguatamente affrontati solo verso la seconda metà del XX secolo. Il Convertitore Bessemer rese possibile la produzione di massa di acciaio a basso costo, ma presto ci si rese conto che non permetteva di impiegare i minerali di ferro ricchi di fosforo molto comuni nell’Europa Continentale. Il problema attirò l’attenzione dei metallurgisti, che sperimentarono nuovi metodi applicabili ai minerali ricchi di fosforo. Ci riuscirono due cugini e ottennero i brevetti verso la fine degli anni settanta dell’800, Sidney Gilchrist Thomas e Percy Carlyle Gilchrist. L’aspetto più sorprendente delle scoperte scientifiche del tardo ottocento è l’impatto di lunga durata che hanno avuto nel secolo successivo. Il motore a combustione fu impiegato nelle automobili a parti dagli anni 90 dell’800, ma nel 1900 il numero complessivo di auto in circolazione in tutto il mondo non era superiore a 10.000, la trasformazione in bene per il consumo di massa in Europa avvenne solo dopo la 2 guerra mondiale. Possiamo elencare innumerevoli prodotti creati nella seconda metà del XIX secolo ma ulteriormente sviluppati durante il secolo successivo e diventati beni di consumo di massa: il telefono, il grammofono e le apparecchiature per la registrazione del suono, la macchina fotografica e il cinema, i sistemi di comunicazione senza fili, compresa la radio, i fertilizzanti chimici, le materie plastiche, la dinamite e la bicicletta. La produzione dell’acciaio cambiò principalmente per l’aumento delle dimensioni degli impianti produttivi e degli altiforni. I forni a suola basica restarono la tecnologia dominante fino alla metà del XX secolo, quando furono sostituiti dal forno a ossigeno basico, una sorta di convertitore Bessemer più sofisticato. Bessemer aveva compreso che sarebbe stato meglio utilizzare ossigeno puro invece di aria, ma all’epoca non era possibile produrlo a un costo ragionevole. L’intuizione di Bessemer fu sviluppata da Durrer negli anni quaranta del 900’. Nelle applicazioni industriali tale modalità di produzione ha assunto il nome di metodo Linz-Donawitz dal nome di due stabilimenti siderurgici austriaci. All’inizio del XX secolo, il centro di gravità dei processi di innovazione si era spostato nel Nuovo Mondo. Gli USA superavano le maggiori economie europee in termine di redito pro capite e di quota di PIL destinata all’istruzione e alla ricerca. Nella seconda metà dell’800 il settore manifatturiero statunitense aveva conseguito un sostanziale vantaggio di produttività rispetto agli altri paesi, vantaggio che venne mantenuto in parte grazie a una razionalizzazione dei processi produttivi e in parte con investimenti in ricerca e sviluppo. La razionalizzazione della produzione, talvolta denominata “fordismo” si basava sul principio della divisione del lavoro. Ciascun operaio effettuava ripetutamente un numero limitato di compiti su prodotti che si spostavano su un nastro trasportatore. Furono prodotte circa 15 mln di automobili “Ford Modello T”a un costo sempre minore, reso possibile dalla riduzione e dalla standardizzazione del numero di pezzi da assemblare nel prodotto finale. Sfruttando il vantaggio di un enorme mercato nazionale, i produttori americani poterono ideare tecnologie per la produzione di massa, le industrie europee non avevano la stessa possibilità di sfruttare le economie di scala, perché i mercati nazionali erano di dimensioni più ridotte e le preferenze dei consumatori nei vari paesi europei risultavano meno omogenee. Stephen Broadberry, che ha effettuato un confronto tra la produzione di massa standardizzata statunitense e la tecnologia di produzione “flessibile e personalizzata” europea. La prima si avvaleva di macchinari costruiti appositamente per produrre grandi quantità, mentre la seconda si serviva di lavoro specializzato per soddisfare le esigenze diversificate dei clienti. Durante il periodo tra le due guerre mondiali, i manager europei studiarono le tecnologie industriali americane, queste però furono diffusamente applicate nelle imprese europee solo dopo la 2 Guerra mondiale, mentre in alcuni i paesi il cosiddetto “scientific management” fu pesantemente osteggiato dalle organizzazioni sindacali. Un’avanzata divisione del lavoro consente di sviluppare ulteriormente l’automazione mediante l’introduzione di macchine a controllo numerico, programmando la macchina, si può tagliare una lamiera metallica e ottenere automaticamente una specifica forma. Le prime macchine usavano programmi semplici riportati su schede perforate. Lo sviluppo di microprocessori consentì di muovere il passo successivo verso le macchine-robot multifunzione su vasta scala. Tale evoluzione iniziò solo negli anni sessanta del 900. L’uomo non fornisce energia fisica ma le capacità mentali per scrivere i programmi che comandano il robot. La tecnologia general purpose più importante del XX secolo è il calcolatore elettronico, o computer. Il termine in realtà è sempre meno preciso , perché un computer moderno esegue numerose altre operazioni di elaborazione e trasmissione di informazioni mediante la posta elettronica e il World Wide Web. Le prime calcolatrici meccaniche furono sviluppate nel XVII secolo in Europa, con il coinvolgimento di Gottfried Leibniz e Blaise Pascal. Negli anni settanta e ottanta dell’800 furono prodotte calcolatrici, utilizzate principalmente per eseguire addizioni. L’ingegnere Willgodt Odhner sviluppò una serie di calcolatrici durante il suo lavoro in Russia, la sua attività durò fin quando non venne spazzata via dalla Rivoluzione Russa , si trasferì in Svezia. William Burroughs imprenditore- inventore statunitense, ha stimato l’impatto delle prime macchine calcolatrici sulla produttività del lavoro, un aumento di sei volte della velocità di calcolo rispetto all’impressionante miglioramento delle prestazioni dei computer. Questi furono sviluppati contemporaneamente su entrambe le sponde dell’Atlantico negli anni quaranta del 900’, ma l’industria americana riuscì a sfruttarne meglio le opportunità commerciali, come lo sviluppo del PC e di linee guida semplificate per la programmazione e il funzionamento. E’ difficile valutare il risparmio di costi generato dall’uso generalizzato del computer, perché questi ultimi sono dotati di funzionalità di cui le calcolatrici meccaniche erano prive. Tuttavia anche analizzando semplicemente le prestazioni dei moderni computer nell’esecuzione di semplici operazioni matematiche si ottengono risultati davvero sorprendenti. L’economista William Nordhaus ha applicato un metodo analogo a quello utilizzato per valutare la reale diminuzione del costo Al contrario le economie scandinave possono contare sulla prossimità con una dinamica Germania e su un elevata quota di scambi commerciali reciproci. Potremmo essere tentati di attribuire le performance superiore alle attese di questi paesi durante tutti e 3 i periodi per la loro qualità comparativamente alta dei loro sistemi di istruzione e alla presenza di un nucleo attivo di innovatori tecnologici, dimostrata dai dati statistici sulle domande dei brevetti. Essendo piccole, queste economie si rivelano anche le più aperte durante tutti i periodi esaminati, come emerge dagli elevati rapporti tra commercio internazionale e reddito. La Grecia, la penisola iberica e l’Irlanda non furono toccate dai progressi scientifici della fine del XIX secolo. Di fatto, l’Irlanda fu l’ultima nazione dell’Europa occidentale a recuperare rispetto ai paesi dotati delle tecnologie più avanzate. Sotto un altro punto di vista, la prossimità al Regno Unito potrebbe aver rappresentato uno svantaggio, dato che numerosissimi irlandesi di talento emigrarono nell’isola vicina oppure verso gli USA. Il cattivo andamento della crescita nel paese negli anni trenta del 900’ è in buona misura legato alle scelte di politica economica operate durante quel secolo. Nonostante l’indipendenza politica, l’Irlanda ancorò la valuta nazionale alla sterlina britannica, il protezionismo degli anni della Grande Depressione (Crisi del 29’) restò una caratteristica dell’economia irlandese fino alla fine degli anni cinquanta del 900’. Gli investimenti come quota del reddito nazionale raggiunsero la media europea solo negli anni settanta. Talvolta può risultare fuorviante condurre l’analisi esaminando le performance degli stati nazione nel loro insieme. Per esempio, la Spagna non presentava un’arretratezza uniforme: il nord e in particolare la Catalogna, si industrializzò seguendo un modello europeo più tradizionale, come il nord dell’Italia. E’ difficile generalizzare rispetto all’andamento della crescita dell’Europa orientale, dove erano situati i paesi più poveri del continente. Durante l’Età dell’oro e sotto un regime di pianificazione socialista, mostrarono performance inferiori alla media, con le sole eccezioni di Romania e Bulgaria. Dato che la conoscenza può essere trasferita, quando si cerca una spiegazione degli andamenti eterogenei della crescita in paesi diversi è naturale esaminare le condizioni istituzionali. Le economie che fanno registrare le performance peggiori in genere avevano un sistema d’istruzione meno sviluppato e un sistema bancario meno avanzato. In Svezia nel 1870 circa il 60 % dei bambini di età compresa tra i 5 e i 14 anni erano iscritti a scuola, mentre la percentuale scendeva al 30% in paesi come l’Italia e l’Irlanda. Perché la Germania ha avuto un industrializzazione tardiva ma poi è cresciuta più rapidamente del Regno Unito? La Germania non sviluppò i prerequisiti istituzionali per uno sviluppo economico sostenuto prima del XIX secolo inoltrato. I prerequisiti istituzionali, presenti nelle prime economie moderne, come la Repubblica delle Sette Provincie Unite (l’Olanda) e il Regno Unito, erano mercati efficienti per i beni e i fattori di produzione, cioè lavoro, terra e capitale. In Prussia, prima delle riforme fondiarie cosiddette di Stein-Hardenberg, adottate nel periodo 1807-1821 dopo l’umiliante sconfitta subita a opera delle truppe francesi, ne il mercato della terra ne il mercato del lavoro funzionavano adeguatamente. Le riforme di vasta portata, introdussero diritti di proprietà fondiaria ben definiti e generarono un mercato del lavoro più efficiente. I lavoratori furono liberati dal controllo dei signori, ma furono nel contempo privati dei diritti consuetudinari(abitudinari) sulle terre di proprietà collettiva. Ne conseguì una divisione sociale, con la formazione di un proletariato privo di terra alla ricerca di lavoro nelle aree rurali e nelle città. La conseguenza economica delle riforme fu un incremento della produttività del lavoro agricolo. Come sappiamo, la Germania divenne uno Stato unitario solo negli settanta dell’800. All’inizio del XIX secolo, la Germania era frammentata in una moltitudine di piccole unità politiche, con valute diverse e dazi doganali che ostacolavano il commercio. L’Unione Doganale Prussiana innescò un processo di integrazione economica culminato nel 1833 nella formazione di unione doganale, lo Zollverein. Si semplificò il sistema monetario, fino all’adozione di una valuta comune. Di conseguenza verso la metà del XIX secolo, la Germania era pronta per avviarsi alla crescita economica moderna. Una volta avviata la crescita, la performance della Germania fu migliore di quella inglese. Nel secolo dal 1873 al 1973 la crescita del PIL pro capite in Germania fu, leggermente più elevata anche di quella registrata negli USA. Nel 1870, il reddito pro capite tedesco era circa il 50% di quello britannico, aumentò circa il 65 % negli anni precedenti alla 1 Guerra mondiale. Per le conseguenze della 2 Guerra mondiale, il reddito relativo della Germania scese al 60% rispetto al Regno Unito nel 1950m ma prima del 1973 la Germania non solo aveva colmato il divario, un impresa resa possibile grazie all’eccezionale accelerazione della crescita tedesca e all’altrettanto notevole rallentamento di quella britannica. La Gran Bretagna restava all’avanguardia nei servizi finanziari e nel commercio al dettaglio. La Germania attraversò due periodi di eccezionale crescita economica rispetto al Regno Unito, dal 1870 al 1913 e dal 1950 al 1973, il suo tasso di crescita in entrambi i periodi fu quasi doppio rispetto al Regno Unito. Va ricordato che il Regno Unito cresceva meno rapidamente di economie altrettanto ricche o più ricche. Perche il Regno Unito non mostrava una crescita rapida quanto gli USA, che la spodestarono come economia leader nel 1890, o come una serie di economie europee continentali, come per esempio la Francia e la Germania. I tassi di alfabetizzazione e d’iscrizione scolastica degli USA erano eccezionalmente elevati. Si è sentito spesso sostenere che le università di élite britanniche non prestavano sufficiente attenzione all’insegnamento delle scienze naturali e che tale negligenza ha finito per ritardare la crescita dell’economia del paese, inoltre, sembra che la Germania disponesse di un sistema più avanzato per la formazione di lavoratori qualificati. Gli investimenti domestici britannici sembrano essere stati davvero bassi. La loro quota rispetto al PIL è stata circa la metà di quella degli USA. Gli investitori britannici erano male informati rispetto alle possibilità disponibili in patria, mentre altri hanno sostenuto che i bassi investimenti potevano semplicemente riflettere una mancanza di opportunità di investimento ed alto rendimento in patria e una conseguente preferenza per gli investimenti esteri. Non bisogna però dimenticare l’importanza delle istituzioni. La bassa quota di investimenti domestici è stata attribuita a istituzioni finanziarie inadeguate e incapaci di proporre opportunità di investimento interessanti. Poiché nel tardo XIX secolo il paese era il maggiore banchiere mondiale. Lo storico economico William Kennedy ha suggerito che le istituzioni finanziarie britanniche, diversamente dalle omologhe continentali, non sceglievano le opportunità di investimento “giuste” e di fatto si lasciavano sfuggire molte possibilità interessanti. In Germania, invece, le imprese potevano contare sui servizi di banche specializzate, che spesso si dedicavano a comparti industriali specifici ed erano in grado di sviluppare una conoscenza approfondita delle opportunità di investimento e dei vantaggi della fusione di aziende più piccole in unità più grandi. Una fetta sostanziale dei risparmi britannici veniva di fatto destinata agli investimenti esteri, a indicare che, almeno fino agli ultimi venticinque anni del XIX secolo, i rendimenti delle attività erano maggiori. Non è vero che i bassi investimenti britannici riflettessero una elevata dotazione di capitale per addetto del paese. Lo Stock di capitale per addetto nel Regno Unito era incredibilmente basso rispetto agli USA. Tale differenza è conseguenza della scarsità di lavoro tipica degli anni iniziali dell’industrializzazione americana, che spianò la strada per l’impiego di metodi produzione ad alta intensità di capitale finalizzati a risparmiare lavoro. Le differenze non si notano solo nel volume di investimenti, ma anche nella composizione per settore. Gran parte degli investimenti britannici si concentrava nei settori tradizionali, che avevano un basso potenziale di crescita perché il commercio mondiale dei prodotti da essi derivanti cresceva lentamente. Il dominio britannico nelle esportazioni mondiali non derivava da industrie ad alta tecnologia e in rapida crescita, come quella automobilistica, aeronautica, elettrica e delle attrezzature agricole, ma da settori come quello tessile, che avrebbero presto subito la dura concorrenza dei paesi con bassi salari. L’industria britannica è stata incapace di diversificarsi uscendo dai settori industriali in contrazione e da mercati a crescita lenta. L’industria americana e quella tedesca, invece, eccellevano nei settori ad alta tecnologia che godevano di una domanda in rapida crescita. Sebbene prima del 1914 gli investimenti domestici britannici fossero incredibilmente bassi, dopo il 1950 mostrarono una convergenza verso la media europea. Le grandi aziende americane furono le prime,verso la fine del XIX secolo, a istituire unità organizzative a sé stanti per la ricerca applicata finalizzata allo sviluppo di nuovi prodotti e processi di produzione. Da allora la spesa per la ricerca è sempre stata più elevata negli USA, assicurando al paese un solido primato nei settori industriali innovativi. Nel XIX secolo anche la Germania assunse un ruolo di primo piano nella scienza pura e applicata, un primato che detenne fermamente fino all’ascesa al potere di Hitler, causando una perdita di antica gloria per le università tedesche. Nei primi anni dopo il 1870, la spesa per la ricerca privata in Germania è stata probabilmente stimolata dal fatto che i cartelli non erano vietati come nel Regno Unito. Com’è noto le imprese possono beneficiare di qualche tipo di protezione dalla concorrenza hanno più probabilità di investire nella ricerca, perché il prezzo di cartello consente loro di recuperare le spese. Alla fine del XIX secolo la spesa è di circa il 3% del PIL nei maggiori paesi industriali. Un altro fattore messo in relazione con i differenti andamenti economici in Germania e nel Regno Unito è lo stato delle relazioni industriali. In passato, nel Regno Unito, le organizzazioni sindacali erano relative ai mestieri anziché i settori, i lavoratori erano rappresentati da numerose organizzazioni sindacali, ciascuna in rappresentanza di un mestiere specifico, le cosiddette”organizzazioni sindacali multiple”. Ciò accade perché in un contesto di questo genere, un particolare sindacato può acquisire potere di hold-up sia nelle vertenze salariali sia nei negoziati circa l’introduzione di una nuova tecnologia. Di conseguenza si può supporre che nel Regno Unito le nuove tecnologie siano state adottate più lentamente, con un conseguente rallentamento nella crescita della produttività dei fattori. Mentre in Germania e in Scandinavia i sindacati erano disposti a negoziare con l’introduzione di nuove tecnologie, talvolta risparmiatrici di lavoro, in cambio di salari futuri più alti, le relazioni industriali britanniche non erano caratterizzate dal medesimo spirito di cooperazione e questo probabilmente ha ritardato la modernizzazione. Tuttavia anche i datori di lavoro, e non solo i sindacati, sono stati criticati per immobilismo tecnologico. Un ultimo fattore che ha contribuito a determinare il modesto tasso di crescita britannico è la dimensione delle industrie dell’acciaio e del carbone. Tuttavia, il Regno Unito ha ripreso posizioni verso la fine del XX secolo, dopo le riforme istituzionali degli anni ottanta. Quando le economie meno sviluppate introducono istituzioni promotrici della crescita e sfruttano le migliori tecnologie prese in prestito dalle economie più avanzate, possiamo aspettarci che il loro livello di reddito tenda a convergere. E’ possibile individuare una convergenza in Europa sin dagli anni settanta dell’800? In breve si può rispondere di si. Cercheremo di spiegare perché per alcune economie europee il processo di convergenza si avviò nel tardo XIX secolo, mentre per altre ciò accade solo dopo il 1950. L’andamento della crescita nei paesi scandinavi è piuttosto simile a quello della Germania e della Francia, con la sola eccezione del periodo della Grande Depressione, quando le performance delle economie scandinave erano piuttosto buone. L’aspetto subito evidente è la persistenza del primato statunitense, con la sola eccezione, degli anni trenta del 900’. Il divario si è ridotto esclusiva mene durante la cosiddetta Età dell’oro, dopo la quale il differenziale di reddito rimane stabile . Il persistente vantaggio americano deriva dalle sue superiori capacità tecnologiche. Argentina fino all’Età dell’oro, il livello del retto del paese era quasi alla pari con quello della Scandinavia, leggermente superiore prima della Grande Depressione e leggermente inferiore subito dopo. In seguito i divari di reddito rispetto a USA ed Europa si sono ampliati notevolmente. Come molte altre nazioni che producono prevalentemente beni alimentari e materie prime, l’Argentina subì il duro contraccolpo della Grande depressione degli anni trenta del novecento e avviò un importante programma di industrializzazione volto a sostituire le importazioni, che all’inizio stimolò la crescita, ma nel dopoguerra si rivelò un fallimento. Il Fallimento economico dell’Argentina è in buona misura un fallimento politico. Germania, un paese che, dopo la sua precoce convergenza, divenne un importante fornitore di tecnologie e prodotti, dell’Italia, un imitatore poco brillante, e dell’Irlanda, un paese giunto al successo molto tardi. L’Italia ebbe un periodo di crescita piuttosto alto e una prima convergenza attorno al 1900. Il vantaggio acquisito venne tuttavia sprecato durante il periodo tra le due guerre e per effetto delle devastazioni della 2 Guerra mondiale. Nella prima fasi dell’Età dell’oro sia la Germania che l’Italia registrarono una crescita eccezionale del reddito. L’effetto combinato della ricostruzione e del potenziale di recupero tecnologico innalzarono la quote di investimento in entrambi i paesi. In entrambi i paesi la crescita dei primi anni cinquanta del 900’ riportò il reddito ai livelli precedenti la 2 Guerra mondiale. Questi elevati tassi di crescita non erano tuttavia sostenibili perché molti dei guadagni tratti dall’adozione delle migliori tecnologie erano stati già sfruttati e l’alto tasso d’investimenti finì per scendere i rendimenti sul capitale, con un conseguente effetto negativo sugli investimenti. Di Recente la crescita irlandese è stata spesso lodata. Osservando l’andamento della crescita durante l’Età dell’oro, partendo da un livello di reddito analogo a quello italiano nel 1950, l’Irlanda ha arrancato fino al tardo XX secolo. Fermi restando tutti i successivi meriti, va riconosciuto che le opportunità di crescita sprecate durante l’Età dell’oro di fatto negarono al popolo irlandese un tenore di vita paragonabile a quello di italiani e tedeschi fino all’anno 2000 circa. Il recupero dell’Irlanda ebbe inizio solo quando il paese si aprì al libero commercio alla fine dell’Età dell’oro. Il raffronto tra Regno Unito, Francia e Spagna fa emergere una situazione diversa. Ignorando gli shock al reddito registrati in Francia durante i periodi bellici, è possibile individuare una convergenza nel lungo periodo con il Regno Unito, che di fatto la Francia riuscì a superare alla fine dell’Età dell’oro. Ancora una volta, è interessante soffermarsi sulla spettacolare crescita dopo la fine della 2 Guerra Mondiale. L’impresa fu realizzata nonostante la distruzione del capitale fisico perché il capitale sociale, il capitale umano e le istituzioni restarono e fecero segnare un rapido ritorno alla normalità. La Spagna differisce dall’Italia perché i segnali di convergenza si notano solo in una fase inoltrata dell’Età dell’oro. Le accelerazioni della crescita del reddito nella Spagna del 2 dopoguerra riflettono una elevata produttività totale dei fattori, il miglior indicatore a nostra disposizione dell’impatto del progresso tecnologico e del cambiamento organizzativo nei processi di produzione. Gli effetti del recupero divennero evidenti solo con l’apertura graduale dell’economia durante l’età dell’oro. Un’altra conseguenza delle politiche retrograde e autoritarie fu una crescita della disuguaglianza, tendenza interrottasi solo con l’apertura agli scambi con l’estero. Come per altri paesi, il commercio e gli investimenti esteri furono i veicoli delle nuove tecnologie. Il risparmio della forza lavoro determinato dal progresso tecnico libera i lavoratori sottoccupati, rendendoli disponibili per l’industria, e determina quello che abbiamo denominato un effetto di convergenza strutturale. Il passaggio degli addetti da occupazioni a bassa produttività nel settore agricolo al settore manifatturiero incrementa la produttività media del lavoro.
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