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Conseguenze economiche della Prima e Seconda Guerra Mondiale: Distruzione e Riparazioni, Schemi e mappe concettuali di Storia Economica

La distruttività concentrata della Prima e Seconda Guerra Mondiale e i problemi economici che ne seguirono. Durante la Prima Guerra Mondiale, gran parte dei danni furono subiti dalla Francia settentrionale, Belgio, Italia nord-orientale e dai campi di battaglia europei. I governi imposero controlli diretti sui prezzi, produzione e distribuzione del lavoro. La guerra portò a una sovrapproduzione e al collasso dei prezzi negli anni seguenti. La pace di Parigi, invece di risolvere i gravi problemi economici, inasprì i problemi con la Germania costringendola a pagare riparazioni. La Seconda Guerra Mondiale fu ancora più distruttiva, con danni alle cose ingenti a causa dei bombardamenti aerei. Tutti i paesi in conflitto fecero ricorso alla guerra economica. La Germania poteva contare sulle risorse dei paesi occupati. Alla fine della guerra in Europa, la produzione industriale e agricola fu minore della metà di quella dieci anni prima.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 06/04/2022

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Scarica Conseguenze economiche della Prima e Seconda Guerra Mondiale: Distruzione e Riparazioni e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Economica solo su Docsity! DISINTEGRAZIONE DELL’ECONOMIA INTERNAZIONALE59. I mutamenti economici fondamentali si verificano normalmente nell’arco di lunghi periodi di tempo. Le conseguenze dei mutamenti demografici, delle risorse, della tecnologia e persino delle istituzioni. I mutamenti politici, invece, possono verificarsi in maniera piuttosto improvvisa, portando eventualmente nella loro scia repentini mutamenti economici. Fu questo il caso della Prima guerra mondiale. Conseguenze economiche della prima guerra mondiale60. La distruttività concentrata della “Grande Guerra” superò quella di qualunque altro avvenimento della storia fino alle massicce incursioni aeree e alle bombe atomiche della Seconda guerra mondiale. Nel corso del 1915-18 gran parte dei danni furono subiti dalla Francia settentrionale, dal Belgio, da una area dell’Italia nord-orientale e dai campi di battaglia dell’Europa orientale. Ancor più nocive per l’economia, nel lungo periodo, della distruzione materiale, furono l’interruzione e la disorganizzazione delle normali relazioni economiche i cui effetti non cessarono con la fine delle ostilità. Fino al 1914 l’economia aveva funzionato liberamente e nel complesso in modo efficiente. Nonostante alcune restrizioni sotto forma di tariffe protezionistiche, monopoli privati e cartelli internazionali, il grosso dell’attività economica, sia nazionale che internazionale, era regolata dal libero mercato. Durante la guerra i governi di ciascuno stato belligerante ed alcuni dei paesi non belligeranti imposero controlli diretti sui prezzi, sulla produzione e sulla distribuzione della forza lavoro. Questi controlli stimolarono artificialmente taluni settori dell’economia, limitandone artificialmente degli altri. Un problema ancor più serio derivò dallo sconvolgimento del commercio estero e dalle forme di guerra economica cui fecero ricorso i paesi in guerra, in particolare Gran Bretagna e Germania. Gli scambi commerciali tra la Germania e gli altri naturalmente si interruppero subito, mentre gli Stati Uniti, ancora in posizione di neutralità, si sforzarono di mantenere relazioni normali. La Gran Bretagna, forte del suo dominio dei mari, impose immediatamente un blocco dei porti tedeschi; questi ultimi, incapaci di attaccare frontalmente la flotta britannica, fecero ricorso ai sommergibili nel tentativo di arrestare l’afflusso in Gran Bretagna di rifornimenti dall’estero. I sommergibili evitavano il più possibile la flotta britannica e attaccavano i vascelli disarmati, sia neutrali che britannici, senza distinguere tra navi passeggeri e mercantili. L’affondamento nel 1915 del transatlantico britannico Lusitania provocò una vibrata protesta statunitense: nel gennaio 1917, al fine di infliggere perdite economiche ingenti alla Gran Bretagna i tedeschi diedero il via ad una guerra sottomarina illimitata che costrinse l’America ad entrare in guerra assicurando la vittoria finale degli Alleati. Strettamente legata allo svolgimento del commercio internazionale e all’imposizione di controlli statali, la perdita dei mercati esteri rivelò effetti ancor più durevoli nel tempo. La Germania era completamente tagliata fuori dai mercati d’oltremare e anche la Gran Bretagna fu costretta a dirottare risorse dagli impieghi normali alla produzione bellica. Di conseguenza, molti paesi d’oltreoceano decisero di fabbricare in proprio o acquistare da altri paesi extraeuropei le merci che in precedenza avevano acquistato in Europa. Diversi paesi latinoamericani e asiatici fondarono industrie manifatturiere, che protrassero dopo la guerra con dazi elevati. Gli Stati Uniti e il Giappone conquistarono mercati d’oltremare precedentemente considerati riserva esclusiva delle manifatture europee. La guerra sconvolse anche l’equilibrio dell’agricoltura mondiale, determinando un notevole aumento della domanda di generi alimentari e materie prime e stimolando sia territori già affermati sia territori ancora vergini (in America Latina). Ciò condusse ad una sovrapproduzione e al crollo dei prezzi negli anni seguenti la fine delle guerra: molti agricoltori americani, avendo investito in tempo di guerra nell’aumento della superficie coltivata, quando i prezzi crollarono essi fallirono, trovandosi nell’impossibilità di estinguere le ipoteche. Oltre a perdere i mercati esteri, i paesi belligeranti europei subirono un’ulteriore emorragia di entrate nel settore delle spedizioni marittime e dei servizi. Londra ed altri centri finanziari europei persero parte delle entrate provenienti dalle attività bancarie e assicurative e da altri servizi finanziari e commerciali trasferiti durante la guerra a New York o in Svizzera. Un’altra grave perdita causata dalla guerra fu quella dei profitti derivanti dagli investimenti all’estero. Prima della guerra la Gran Bretagna, la Francia e la Germania erano i più importanti investitori. Poiché la Gran Bretagna e la Francia importavano più di quanto non esportassero, i proventi degli investimenti contribuivano a pagar le importazioni in eccesso. Tutti e due i paesi furono costretti a cedere parte dei loro investimenti esteri per finanziare l‘acquisto urgente di materiale bellico. Un ultimo stravolgimento delle economie nazionali e internazionali derivò dall’inflazione. Le pressioni finanziarie della guerra costrinsero tutti i paesi coinvolti ad eccezione degli Stati Uniti, ad abbandonare il gold standard, che nel periodo prebellico era servito a stabilizzare, o quanto meno sincronizzare, i movimenti dei prezzi. Tutti i paesi in guerra dovettero far ricorso a ingenti prestiti e all’emissione di cartamoneta per finanziare le operazioni belliche. Ciò determinò una lievitazione dei prezzi, anche se non tutti nella stessa proporzione. La grande disparità nei prezzi, e conseguentemente nel valore delle singole monete, rese più difficile la ripresa del commercio internazionale ed ebbe anche gravi ripercussioni sul piano sociale e politico. Conseguenze economiche della pace61. La pace di Parigi, come la sistemazione postbellica venne chiamata, invece di tentare di risolvere i gravi problemi economici causati dalla guerra finì in realtà per inasprirli. I pacificatori non volevano che accadesse questo: il loro errore fu che essi semplicemente non tennero conto delle realtà economiche. Dai trattati di pace emersero due grandi categorie di difficoltà economiche: la crescita del nazionalismo economico e i problemi monetari e finanziari. I singoli trattati presero il nome dei sobborghi di Parigi, in cui vennero firmati. Il più importante fu il Trattato di Versailles con la Germania. Esso restituiva l’Alsazia-Lorena alla Francia e autorizzava i francesi ad occupare per quindici anni la valle carbonifera della Saar. Inoltre privava la Germania del 13% del territorio prebellico e del 10% della sua popolazione del 1910. Le colonie africane e nel Pacifico erano già state occupate dagli Alleati, che se ne videro confermato il possesso. La Germania dovette cedere la marina da guerra, grosse quantità di armi e munizione e accettare limitazioni alle proprie forze armate, l’occupazione alleata della Renania e altre condizioni dannose e/o mortificanti. L’aspetto più umiliante di tutti fu la famosa clausola della “responsabilità della guerra”. L’articolo 231 del trattato di Versailles, che dichiarava che lo stato tedesco accettava «le responsabilità della Germania e dei suoi alleati per le vittime e i danni [...] causati dalla guerra.[...]». Secondo il celebre libro “Le conseguenze economiche della pace” John Maynard Keynes prevedeva conseguenze disastrose dai risarcimenti monetari richiesti alla Germania non solo per la Germania stessa ma per tutta l’Europa. L’impero austro-ungarico prebellico aveva adempiuto ad una preziosa funzione economica permettendo l’esistenza di una larga area di libero scambio nel bacino del Danubio. I nuovi stati nati dallo smembramento dell’impero, timorosi del dominio delle grandi potenze, affermarono il proprio carattere nazionale nella sfera economica ponendosi l’obiettivo dell’autosufficienza: ciò impedirono la ripresa economica dell’intera regione e ne accrebbero l’instabilità. Durante la guerra civile la Russia scomparve dall’economia internazionale riemergendo in seguito sotto il regime sovietico: lo stato divenne l’unico compratore e venditore negli scambi internazionali valutando strategicamente le necessità e i vantaggi delle compravendite. In occidente, paesi che precedentemente avevano dipeso in misura notevole dal commercio internazionale introdussero una varietà di restrizioni tra cui tariffe protezionistiche, contingentamenti e divieti di importazione. Contemporaneamente cercarono di stimolare le esportazioni per mezzo di sussidi o provvedimenti analoghi. La Gran Bretagna, leader del libero scambio internazionale, aveva imposto dazi come strumento della finanza di guerra e per risparmiare spazio sulle navi. I dazi rimasero anche dopo la guerra come politica protezionista ufficiale. Gli Stati Uniti, che già prima della guerra avevano dazi relativamente elevati, li portarono alla fine delle ostilità a livelli mai visti: tra il 1921 e il 1930 l’istituzione dei tassi passò principalmente attraverso l’Emergency Tariff Act (1921), il Fordney McCumber Tariff Act (1922) e la Smoot- Hawley Tariff (1930) creando i presupposti per quello che viene definito “neomercantilismo” e le cui conseguenze nefaste comprendono le ritorsioni delle altre nazione i cui interessi venivano pregiudicati. Nonostante i problemi britannici, tra il 1924 e il 1929 sembrò che si fosse effettivamente tornati alla normalità. La riparazione dei danni materiali era un fatto per lo più compiuto, e con l’istituzione della Società delle Nazioni sembrava che fosse albeggiata una nuova era delle relazioni internazionali. Le basi della prosperità di Stati Uniti, Francia e Germania dipendeva dal continuo afflusso spontaneo di fondi dall’America alla Germania. La Grande Depressione (1929-33)62. A differenza dell’Europa, gli Stati Uniti uscirono dalla guerra più forti che mai. Essi erano passati da paese debitore netto a creditore netto, avevano strappato ai produttori europei nuovi mercati sia in patria che all’estero e godevano di una bilancia commerciale estremamente favorevole. La nuova prosperità era distribuita in modo estremamente ineguale tra le classi medie urbane da un lato e i lavoratori di fabbrica e gli agricoltori dall’altro. Nel 1928 le banche e gli investitori americani cominciarono a limitare gli acquisti di titoli tedeschi e di altri paesi per investire i propri fondi sul mercato azionario di New York. Durante il boom speculativo del “great bull market” numerosi individui con redditi modesti furono tentati dall’acquisto di titoli a credito. L’Europa stava già avvertendo la tensione provocata dalla cessazione degli investimenti americani all’estero e persino l’economia americana aveva smesso di crescere. Il 24 ottobre del 1929 (“giovedì nero”) un ondata di vendite per panico nel mercato azionario fece crollare i prezzi dei titoli e cancellò milioni di dollari che esistevano solo sulla carta. Una seconda ondata di vendite si ebbe il 29 ottobre (“martedì nero”). Le banche richiesero il pagamento dei prestiti effettuati, obbligando altri investitori a gettare le proprie azioni sul mercato a qualunque prezzo si potesse spuntare. Gli americani che avevano investito in Europa bloccarono ogni ulteriore investimento e vendettero quanto possedevano per riportare in patria i capitali. Il ritiro dei capitali dall’Europa continuò per tutto il 1939, sottoponendo l’intero sistema finanziario a tensioni insopportabili. Il crollo del mercato azionario non fu la causa della depressione, che era già iniziata, ma un chiaro segnale di depressione. Nel primo trimestre del 1931 il commercio estero complessivo era crollato a meno di due terzi di quello corrispondente al periodo del 1929. Il pagamento in conto riparazioni della Germania fu posticipato di un anno. Molti paesi abbandonarono il gold standard: in assenza di un sistema internazionale concordato, i valori delle valute oscillarono incontrollabilmente spinti dalle variazioni dell’offerta e della domanda, e influenzati dalle fughe di capitali e dagli eccessi di nazionalismo economico che si riflettevano in variazioni tariffarie di ritorsione. Gli scambi internazionali caddero drasticamente tra il 1929 e il 1932, inducendo analoghe contrazioni della produzione manifatturiera, dell’occupazione e del reddito pro capite. Una delle caratteristiche fondamentali delle scelte di politica economica del 1930-31 era stata l’unilateralità della loro applicazione: le decisioni di sospendere il gold standard e di imporre dazi e contingenti erano state prese dai governi nazionali senza consultazioni o accordi internazionali. Nel frattempo le riparazioni e i debiti di guerra caddero nel dimenticatoio. L’ultimo grande tentativo di dar vita ad una cooperazione internazionale che ponesse termine alla crisi economica fu la Conferenza monetaria mondiale del 1933 proposta ufficialmente dalla Società delle Nazioni. L’ordine del giorno prevedeva accordi per ripristinare il gold standard, ridurre le tariffe e i contingenti sulle importazioni e mettere in atto altre forme di cooperazione internazionale ma la cooperazione fallì con la nuova presidenza Roosevelt. Per fronteggiare l’emergenza, Roosevelt dispose inizialmente la chiusura delle banche per otto giorni, affinché il sistema bancario fosse in grado di riorganizzarsi, e formulò i “provvedimenti dei cento giorni” in cui si costituivano le misure di emergenza per puntellare l’economia nazionale (tra cui l’abbandono del gold standard). Le cause che provocarono la depressione sono tuttora controverse. Per alcuni la causa fu prima di tutto monetaria: una drastica diminuzione della quantità di denaro disponibile nelle maggiori 62 ibidem, pp. 558-564. 47 economie industriali, Stati Uniti in particolare che contagiò il resto del mondo. Per altri le cause devono essere cercate nel settore reale: un’autonoma contrazione dei consumi e delle spese per l’investimento che si propagò a tutto il sistema economico e al mondo attraverso il meccanismo moltiplicatore-acceleratore. Altre spiegazioni prevedevano la precedente depressione agricola, l’estrema dipendenza dei paesi del Terzo Mondo da mercati instabili, scarsità o cattiva distribuzione delle risorse mondiali di oro. Le conseguenze della depressione nel lungo periodo furono: 1. la crescita dell’intervento statale nell’economia, 2. un graduale mutamento di atteggiamento verso la politica economica (“rivoluzione keynesiana”), 3. i tentativi da parte di paesi latinoamericani e di altre nazioni del Terzo Mondo di sviluppare industrie che fornissero un’alternativa alle importazioni, 4. l’affermazione di movimenti politici estremistici sia di destra sia di sinistra, in particolare in Germania. Dopo la guerra la Gran Bretagna non fu più in grado di svolgere la funzione di guida a livello mondiale nel campo economico-commerciale-finanziario. Gli Stati Uniti, l’economia dominante, erano restii ad accettare il ruolo di guida, riluttanza esemplificata dalla politica dell’immigrazione, da quella tariffaria, da quella monetaria e dall’atteggiamento nei confronti della cooperazione internazionale. Tentativi diversi di ricostruzione63. Quando Roosevelt entrò in carica come trentesimo presidente l’industria era praticamente ferma, mentre il sistema bancario era sull’orlo del collasso totale. La legge forse più caratteristica dell’intero periodo fu il National Industrial Recovery Act. Esso istituì una National Recovery Administration (NRA) con il compito di sovrintendere alla stesura di “norme di concorrenza leale” per ogni industria da parte dei rappresentanti delle industrie stesse. L’Nra aveva sorprendenti affinità con il sistema fascista di organizzazione industriale in Italia. Era essenzialmente un sistema di pianificazione economica privata (autogoverno industriale), con supervisione governativa per salvaguardare l’interesse pubblico e garantire il diritto del mondo del lavoro di organizzarsi e contrattare collettivamente. Nel 1935 l’Nra fu dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema: Roosevelt raggiunse lo stesso obiettivo con l’approvazione di nuove leggi ma, nel caso dell’industria, preferì dare inizio ad una campagna “antitrust”. Il risanamento industriale fu deludente e nel 1937 l’economia entrò in una nuova fase di recessione. Per quanto alcune delle riforme del New Deal fossero importanti di per se stesse, il sistema del New Deal nel complesso non fu più efficace nell’affrontare la depressione di quanto lo fossero i programmi attuati contemporaneamente in Europa. Nessuna nazione occidentale aveva sofferto per la guerra più della Francia. Gran parte dei combattimenti sul fronte occidentale aveva avuto luogo nella sua regione più ricca. Oltre metà della produzione industriale francese d’anteguerra era localizzata nell’area devastata dalla guerra che era inoltre una delle regioni agricole più importanti: da qui si ebbe la pretesa della Francia che la Germania pagasse la guerra. Facendo assegnamento sulle riparazioni tedesche per affrontare le spese, il governo francese intraprese immediatamente un esteso programma di ricostruzione materiale delle aree danneggiate dalla guerra, che ebbe immediatamente l’effetto di stimolare l’economia a nuovi record produttivi. Quando le riparazioni tedesche non si concretizzarono nella cifra prevista, i metodi approssimativi impiegati per finanziare la ricostruzione imposero il loro pedaggio. Il problema si aggravo con la costosa e inutile occupazione della Ruhr. Il franco si deprezzò più nei primi sette anni di pace che durante la guerra. Un governo di coalizione stabilizzò nel 1926 il franco a circa un quinto del suo valore prebellico attuando drastiche economie e rigidi aumenti tributari provocando l’ostilità della 63 ibidem, pp. 564-571. 48 classe percettrice di rendite, che perse con l’inflazione circa l’80% del proprio potere d’acquisto. Come in Germania, l’inflazione contribuì alla crescita degli estremismi sia di destra che di sinistra. Il franco così stabilizzato era stato in pratica svalutato rispetto alle altre valute maggiori. Ciò stimolò le esportazioni, scoraggiò le importazioni e determinò un afflusso di oro. Per questo la depressione colpì la Francia più tardi di altri paesi e fu forse meno severa. Nel 1936 tra partiti politici di sinistra, comunisti, socialisti e radicali, si coalizzarono nel Fronte popolare, dando vita ad un governo guidato dall’esponente socialista Léon Blum. Il governo del Fronte popolare nazionalizzò la Banca di Francia e le ferrovie ed emanò una serie di provvedimenti di riforma in materia di lavoro, come la settimana lavorativa di quaranta ore, l’arbitrato obbligatorio in caso di conflitti di lavoro e le ferie pagate per i lavoratori dell’industria. Sul fronte più impegnativo del risanamento economico il Fronte popolare non si rivelò più efficace dei precedenti governi francesi. I paesi più piccoli dell’Europa occidentale, fortemente dipendenti dal commercio internazionale, subirono tutti le conseguenze della depressione ma non tutti allo stesso modo. Negli anni Venti, quando Gran Bretagna e Francia tornarono al gold standard, molti paesi minori adottarono il sistema della libera convertibilità con le monete a parità aurea. Le loro banche centrali, invece di mantenere riserve in oro col quale convertire le rispettive valute nazionali, conservarono al medesimo fine depositi nelle banche centrali dei paesi più grandi. Dopo l’abbandono del gold standard da parte della Gran Bretagna nel 1931, molti paesi che con essa avevano intensi scambi commerciali abbandonarono la parità aurea e allinearono le loro valute alla lira sterlina: nacque il “blocco della sterlina”. Quando nel 1933 gli Stati Uniti svalutarono il dollaro, gran parte dei loro partner commerciali cercarono di allineare le rispettive valute al dollaro. In Europa ciò lasciò la Francia al centro del “blocco dell’oro”, quei paesi cioè che cercavano di conservale la convertibilità in oro (Svizzera, Belgio e Paesi Bassi). Quando anche i francesi svalutarono il franco spezzandone il legame con l’oro, lo fecero nell’ambito di una limitata ripresa internazionale. Con l’accordo monetario tripartito del 1936 i governi britannico, francese e statunitense si impegnarono a stabilizzare i tassi di cambio tra le rispettive monete per evitare svalutazioni a fini concorrenziali e per contribuire in altro modo ad una restaurazione dell’economia internazionale. Anche avvenimenti politici come l’affermazione del fascismo ebbero i loro aspetti economici. Mussolini, avvalsosi del filosofo Giovanni Gentile per una razionalizzazione del fascismo, glorificava l’uso della forza, vedeva nella guerra la più nobile delle attività umane, denunciava il liberalismo, la democrazia, il socialismo e l’individualismo, deificava lo stato come suprema manifestazione dello spirito umano e guardava con disprezzo al benessere materiale e considerava le disuguaglianze umane non solo inevitabili ma desiderabili. Mussolini inventò lo stato corporativo, una delle innovazioni più pubblicizzate e meno riuscite del regime. Esso era l’antitesi sia del capitalismo che del socialismo. Pur permettendo l’esistenza della proprietà privata, gli interessi sia dei proprietari che dei lavoratori erano subordinati a quelli più elevati dell’intera società, rappresentata dallo Stato. Tutte le industrie del paese furono organizzate in dodici “corporazioni”, l’equivalente delle associazioni di settore. I sindacati precedentemente esistenti furono soppressi. Tra le funzioni delle corporazioni erano la determinazione dei prezzi, dei salari e delle condizioni di lavoro e la previdenza sociale. Le corporazioni agirono da associazioni capitalistiche di settore il cui scopo era di accrescere il reddito degli uomini d’affari e degli amministratori di partito a spese dei lavoratori e dei consumatori. Nonostante grandi opere pubbliche e programmi di riarmo, l’Italia soffrì duramente durante la depressione. Nel tentativo di porvi rimedio il governo fascista italiano creò grandi aziende statali, in settori chiave dell’economica, il cui interessa andava più al mantenimento di alti livelli occupazionali che all’aumento dell’efficienza. Più efficace degli altri paesi occidentali a combattere la depressione fu la Germania nazista, il primo grande paese industriale a conseguire un completo risanamento tramite un grandioso programma di opere pubbliche che si fuse gradualmente con un programma di riarmo. Il regime nazista abolì le contrattazioni collettive tra lavoratori e proprietari sostituendole con comitati di “amministratori” del lavoro con pieni poteri in materia di determinazione di salari, orari e condizioni di lavoro. 49
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