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Storia Economica - Dalla rivoluzione industriale alla rivoluzione informatica, Sintesi del corso di Storia Economica

Riassunto dei singoli paragrafi del libro "Storia Economica-Dalla rivoluzione industriale alla rivoluzione informatica" -Ennio De Simone- Quinta edizione aggiornata. FrancoAngeli

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Storia Economica - Dalla rivoluzione industriale alla rivoluzione informatica e più Sintesi del corso in PDF di Storia Economica solo su Docsity! k T e x tb o o Ennio De Simone Storia economica Dalla rivoluzione industriale alla rivoluzione informatica Quinta edizione aggiornata FrancoAngeli E co n o m ia I N D I C E PARTE PRIMA La prima rivoluzione industriale (1750-1850) 1. La rivoluzione industriale 1.1. Premessa: la storia economica 1 1.2. Le grandi rivoluzioni nella storia dell’umanità 1 1.3. Il sistema feudale 3 1.4. La società di ancien régime 3 1.5. La rivoluzione industriale 4 2. Lo sviluppo economico 2.1. Crescita, sviluppo e progresso 6 2.2. La misurazione della crescita 7 2.3. I modelli di sviluppo 7 2.4. Crisi e cicli economici 8 3. Le premesse della rivoluzione industriale inglese: la popolazione 3.1. Popolazione ed economia 9 3.2. La dinamica della popolazione nel mondo preindustriale 9 3.3. La rivoluzione demografica 10 3.4. Le cause della rivoluzione demografica 10 4. Le premesse della rivoluzione industriale inglese: l’agricoltura 4.1. L’agricoltura di ancien régime 11 4.2. La rivoluzione agraria: le tecniche 11 4.3. La rivoluzione agraria: il regime della proprietà fondiaria 12 4.4. Rivoluzione agraria e rivoluzione industriale 12 5. Le premesse della rivoluzione industriale inglese: trasporti e commercio 5.1. La rivoluzione dei trasporti: strade e ferrovie 13 5.2. La rivoluzione dei trasporti: le vie d’acqua 13 5.3. Commercio e mercantilismo 13 5.4. Il commercio internazionale 14 II Indice 6. Industrie traenti e innovazioni in Gran Bretagna 6.1. L’organizzazione della produzione industriale 14 6.2. Le forme giuridiche dell’impresa 15 6.3. Macchina a vapore e innovazioni 16 6.4. L’industria del cotone 16 6.5. L’industria del ferro 17 6.6. La dimensione regionale dell’industrializzazione 7. La rivoluzione industriale inglese: i problemi 7.1. I mezzi di pagamento e la funzione delle banche 17 7.2. I problemi del finanziamento e del credito 18 7.3. I problemi del lavoro 19 7.4. Le associazioni operaie e le Trade Unions 19 7.5. Il problema degli sbocchi e il trionfo del libero scambio 19 7.6. Libero scambio e sistema capitalistico 20 8. I secondi: Francia e Stati Uniti 8.1. First comer e second comers 21 8.2. Fattori favorevoli e sfavorevoli allo sviluppo economico francese 21 8.3. Le attività produttive in Francia 22 8.4. La nascita di un paese libero e nuovo: gli Stati Uniti d’America 23 8.5. La colonizzazione e il mito della frontiera 23 8.6. La prima industrializzazione degli Stati Uniti 24 PARTE SECONDA La seconda rivoluzione industriale (1850-1950) 9. Le fasi della crescita (1850-1914) 9.1. I dati della crescita 25 9.2. L’espansione di metà secolo 25 9.3. La depressione 26 9.4. La Belle époque 26 10. Le condizioni della crescita: la popolazione 10.1. Le dinamiche della popolazione 26 10.2. L’urbanesimo 27 10.3. I grandi flussi migratori 27 10.4. Gli effetti dell’emigrazione 27 Indice III 11. Le condizioni della crescita: trasporti, banche e moneta 11.1. Lo sviluppo dei trasporti: ferrovie e automobili 28 11.2. Lo sviluppo dei trasporti: navi e aerei 28 11.3. Le comunicazioni 29 11.4. I sistemi bancari 29 11.5. I modelli bancari 29 11.6. Il gold standard 30 12. Le attività produttive 12.1. Le innovazioni in agricoltura 30 12.2. L’agricoltura mondiale e l’Europa 30 12.3. Lo sviluppo della tecnologia e della ricerca 31 12.4. Una nuova fonte di energia: il petrolio 31 12.5. Vecchie e nuove industrie 31 12.6. Chimica ed elettricità 32 12.7. Commercio e investimenti esteri 32 13. La grande impresa 13.1. La formazione della grande impresa 33 13.2. Taylorismo e fordismo 34 13.3. Le piccole e medie imprese e la cooperazione 34 14. I paesi industrializzati: Gran Bretagna e Francia 14.1. I diversi ritmi dello sviluppo 34 14.2. Il declino relativo della Gran Bretagna 35 14.3. La cause del declino 35 14.4. La Francia dal Secondo Impero alla Belle époque 35 15. I paesi a forte crescita: Germania e Stati Uniti 15.1. Lo sviluppo economico tedesco 36 15.2. I fattori dello sviluppo 37 15.3. Immigrazione e colonizzazione negli Stati Uniti 38 15.4. Grandi imprese e mercato 39 15.5. Un punto debole: il sistema bancario 39 16. Due casi particolari: Russia e Giappone 16.1. L’emancipazione dei servi in Russia 40 16.2. L’industrializzazione della Russia zarista 40 16.3. La società giapponese e l’apertura all’Occidente 41 16.4. Le riforme e la modernizzazione del Giappone 41 VI Indice 28. Sviluppo e sottosviluppo 28.1. Lo sviluppo ineguale 64 28.2. Il processo di decolonizzazione 64 28.3. Le strategie economiche dei paesi in via di sviluppo 65 29. La Grande recessione 29.1. La crisi del 2008-09 65 29.2. La crisi europea dei debiti sovrani (2012-13) 66 29.3. Gli effetti della Grande recessione 68 30. Le economie sviluppate: Stati Uniti e Giappone 30.1. L’egemonia degli Stati Uniti 69 30.2. La reaganomics 69 30.3. La crisi e le trasformazioni della società americana 69 30.4. Il miracolo economico giapponese 70 30.5. Il decennio perduto del Giappone 70 31. Le economie sviluppate: l’Unione Europea 31.1. Il Mercato comune 71 31.2. L’Unione Europea e l’euro 71 31.3. La lenta crescita della Gran Bretagna 71 31.4. L’economia francese 72 31.5. Le due Germanie 72 31.6. La riunificazione tedesca 73 32. L’economia italiana 32.1. La ricostruzione 73 32.2. Il miracolo economico 74 32.3. L’Italia nella crisi degli anni Settanta 75 32.4. Imprese e distretti industriali 76 32.5. Le difficoltà dell’economia italiana 76 33. La fine dell’economia pianificata: il Blocco sovietico 33.1. I limiti della pianificazione 76 33.2. I tentativi di riforma in Unione Sovietica 77 33.3. Il crollo dei regimi comunisti 77 33.4. La crisi della transizione 78 33.5. La ripresa dell’economia russa 78 Indice VII 34. Il risveglio dell’Asia 34.1. La Cina comunista 78 34.2. Le riforme cinesi e l’economia socialista di mercato 80 34.3. L’India indipendente 81 34.4. Riforme e liberalizzazioni in India 82 34.5. Le «tigri asiatiche» 83 35. America Latina e Africa 35.1. Stato e populismo in America Latina 84 35.2. Le liberalizzazioni 85 35.3. Il ritardo dell’Africa 86 35.4. I problemi del continente africano 87 35.5. Epilogo 87 2 consentì a gruppi sempre più ampi di essere umani di restare uniti e collaborare, proprio perché accomunati dalle stesse credenze. Ne derivò un enorme vantaggio su tutti gli altri animali, che vivevano solitari o in piccoli branchi di poche unità. I gruppi cacciatori-raccoglitori, composti in genere di qualche decina di individui, si spostavano in continuazione alla ricerca di territori più ricchi di frutti e animali ed impararono ad organizzarsi e a cooperare per cacciare anche gli animali di grossa taglia. Per potersi trasferire altrove essi dovevano possedere conoscenze approfondite sul mondo che li circondava, poiché dovevano tener conto del mutamento delle stagioni, delle migrazioni annuali degli animali e dei cicli di crescita delle piante. Questi gruppi, di solito, andavano avanti e dietro su uno stesso territorio che copriva al amassimo qualche centinaio di chilometri quadrati; solo quando le fonti di sostentamento si rivelavano particolarmente ricche, si crearono villaggi o accampamenti stabili. La loro vita, tuttavia, era dura e il loro numero stentava a crescere, anche perché i continui spostamenti non inducevano a mettere al mondo figli; a volte, essi arrivavano ad abbandonare o a uccidere i più deboli, come i malati, o a disfarsi dei figli in eccesso, così come praticavano sacrifici umani. Pare che, alla vigilia della rivoluzione agricola, vi fossero uomini che vivevano in gruppi quasi sempre estranei gli uni dagli altri, ognuno con le sue credenze e i suoi miti. 2. La rivoluzione agricola, nota anche come rivoluzione neolitica, ebbe inizio intorno a dodicimila anni fa proprio per far fronte alla crescita della popolazione; fu un processo inevitabile, proprio per permettere di alimentare più persone, ma essa comportò un peggioramento delle condizioni di vita. Ora l’uomo doveva lavorare duramente da mattina a sera per coltivare piante particolarmente esigenti, come il frumento; e la sua sopravvivenza divenne sempre più strettamente legata al raccolto; e per giunta, la dieta diventò meno varia di prima, basata appunto su poche piante coltivate e su pochi animali domesticati. La convivenza con gli animali, inoltre, favorì la circolazione di germi e batteri e con essi la diffusione delle malattie, sicché la vita media si abbassò. In definitiva, la rivoluzione agricola fu in grado di mantenere più persone, ma in condizioni peggiori. Con la rivoluzione agricola si affermarono anche una nuova concezione della vita e una diversa e più complessa organizzazione sociale. Le visioni animistiche, che attribuivano qualità soprannaturali a oggetti, come un albero o una roccia, furono soppiantate da religioni strutturate, dapprima politeiste e poi monoteiste. Esse erano in grado di imporre un ordine gerarchico e comuni modelli di comportamento a gruppi sempre più ampi di persone, le quali cominciarono a ritenere che le norme per il funzionamento della società provenissero direttamente dalle divinità. Fu così che i gruppi diventarono più grandi e sorsero i primi villaggi e poi le prime città. La dimora stabile e l’attaccamento alla propria terra e alla propria casa favorì anche la diffusione del concetto di proprietà, che era alla base della nuova organizzazione sociale e dell’attività economica. Inoltre, nelle società agricole si sviluppò a poco a poco una certa divisione del lavoro, che portò alla nascita di svariate attività artigianali e poi al commercio sia all’interno di una stessa comunità sia fra comunità diverse. Le società agricole, sorte e vissute separatamente per lungo tempo, si andarono uniformando grazie a tre importanti elementi unificatori: gli imperi, la religione e il denaro. Gli imperi governavano un numero significativo di popoli distinti, ciascuno dei quali con una propria identità culturale, e perciò svolsero un ruolo rilevante nel conferire loro una comune identità; le religioni con il loro sistema di norme e valori, fondati sulla fede in un ordine sovrumano, riuscirono a dare una legittimazione alle fragili strutture create dall’uomo e ad assicurare la cooperazione di grandi masse, con pari funzione unificatrice. 3 Ma anche il denaro è servito ad avvicinare i popoli, proprio perché tutti lo hanno accettato e gli hanno attribuito un valore, per pura convenzione, sulla base della fiducia nel comune riconoscimento della sua funzione. Ciò è avvenuto in qualunque forma abbia assunto il denaro nel suo corso dei secoli, da quella iniziale di moneta-merce, a quella successiva di moneta metallica, per raggiungere l’attuale forma di biglietti di carta o moneta elettronica. Le società agricole, infine, furono caratterizzate da profonde diseguaglianze fra i suoi membri. Piccoli gruppi di ricchi privilegiati (governanti, sacerdoti, militari) si contrapposero al resto della popolazione, raggruppata in classi o caste subalterne (contadini, pescatori, artigiani), così come vi fu sempre, in quella società, la completa sottomissione delle donne agli uomini. Tale stratificazione sociale e di genere era ritenuta insita nell’ordine naturale delle cose e perciò si credeva che fosse stata fissata dalla stessa divinità. In Europa, durante il Medioevo, essa era stata codificata nella società feudale ed era ancora evidente alla vigilia della rivoluzione industriale. 1.3. Il sistema feudale Il sistema feudale si basava su una serie di rapporti personali e patrimoniali, intercorrenti fra il sovrano e i suoi vassalli e tra costoro e i loro contadini. I vassalli promettevano fedeltà al proprio signore o sovrano e si obbligavano a fornirgli aiuto (militare e finanziario) e consiglio (partecipazione a consultazioni periodiche). In cambio, il signore garantiva al vassallo la sua protezione e gli assicurava il mantenimento mediante l’assegnazione di un feudo. I feudi col tempo divennero ereditari e, previo assenso del sovrano, anche vendibili ad altri, oltre che frazionabili in suffeudi, che potevano essere concessi ad altri vassalli. Le terre del feudo erano così divise:  Riserva dominica: parte che il signore faceva coltivare ai suoi servi.  Mansi: poderi dati in concessione ai contadini liberi perché li lavorassero per potersi mantenere. Terre comuni: ossia le terre non coltivate, che erano riservate allo sfruttamento comunitario degli abitanti del luogo. Il feudatario garantiva difesa contro i nemici, amministrava la giustizia, soccorreva i contadini in caso di bisogno, costruiva e teneva funzionanti i mulini, forni, gualchiere, frantoi e altre strutture. I contadini erano tenuti ad alcune prestazioni in cambio: pagavano un censo, fornivano prestazioni d’opera gratuite (corvèes), mettevano a disposizione uomini armati in caso di necessità. Dal punto di vista sociale il mondo feudale era visto come un’organizzazione distinta in tre ordini: bellatores e laboratores, vale a dire coloro che pregavano (clero), coloro che combattevano (nobiltà) e coloro che lavoravano (contadini e artigiani). Con il tempo, il sistema feudale, che si era affermato con caratteristiche molto diverse nelle varie zone d’Europa, si era andato sfaldando e trasformando a cominciare dall’Inghilterra. 1.4. La società di ancien régime Il termine ancien régime è stato applicato in generale alla società e alle istituzioni esistenti prima della Rivoluzione francese nei diversi paesi europei. Nel 700 la società era ancora divisa in classi: 4  La nobiltà: Godeva ancora di un enorme prestigio sociale ed esercitava un importante ruolo politico. La natura aristocratica della società settecentesca era rafforzata dall’autorità e dal prestigio della Chiesa, il clero continuava a godere di molti privilegi dall’essere esentato dal pagamento di numerosi tributi alla riscossione delle decime per il suo mantenimento.  I lavoratori (contadini, artigiani, domestici): i contadini costituivano la stragrande maggioranza della popolazione, ma le loro condizioni non erano uniformi e variavano dà luogo a luogo.   La borghesia: Classe media nata dalla dissoluzione del sistema feudale, costituita da mercanti, banchieri, notai, medici, burocrati e altri. Si stava man mano consolidando e assumeva caratteristiche particolari a seconda dei paesi in cui si era sviluppata. Nelle prospere nazioni commerciali dell’Europa occidentale, come Olanda, Inghilterra e Francia era una borghesia mercantile; nei paesi dell’Europa centrale e orientale era composta di funzionari, specie in Prussia e nei domini asburgici, ed era principalmente formata da appaltatori delle imposte e da finanzieri in Francia. 1.5. La rivoluzione industriale A partire dalla metà del ‘700 ebbe inizio quella profonda trasformazione economica e sociale che prende il nome di rivoluzione industriale, un lungo processo che giunge fino ai nostri giorni. Tale espressione fu usata solo molto più tardi e fu presa a prestito dalle rivoluzioni politiche, per fare riferimento a profondi mutamenti strutturali dell’economia e della società, concentrati in un periodo relativamente breve. La rivoluzione industriale fu preparata nei secoli precedenti da alcune lente trasformazioni che consentirono poi l’accelerazione settecentesca. Tali trasformazioni riguardarono, non solo l’industria, ma anche la popolazione, l’agricoltura, il commercio, i trasporti e le comunicazioni. Perciò, alcuni studiosi, ritengono inadeguata l’espressione “rivoluzione industriale”, che tuttavia continua ad essere correntemente utilizzata. La rivoluzione industriale è stata successivamente divisa in 3 fasi distinte e si è parlato di 3 rivoluzioni industriali, che coprono l’intero arco di tempo compreso fra la metà del ‘700 e i nostri giorni. 1. La prima rivoluzione industriale interessò innanzitutto l’Inghilterra seguita da Francia e Stati Uniti d’America. Fu poco costosa dato che non erano richiesti molti capitali per avviare un’attività produttiva, i capitali iniziali vennero principalmente da proprietari terrieri o da mercanti arricchitisi con il commercio estero; ciò determinò un ruolo marginale delle banche. Essa fu caratterizzata da un insieme di “trasformazioni rivoluzionarie” in molteplici campi:  Innovazioni tecnologiche: riguardarono, in primo luogo, la caldaia a vapore l’industria tessile e quella siderurgica.  Crescita demografica: la popolazione crebbe a ritmi costanti e con essa la domanda di beni, specie di prima necessità, mettendo a disposizione alla nascente industria una grande quantità di forza lavoro a buon mercato.  Agricoltura: conobbe un aumento della produzione e della produttività (rapporto fra la quantità di output e di uno o più input impiegati per produrlo), furono sperimentati nuovi metodi di coltivazione e di concimazione.  Trasporti: furono costruite le prime linee ferroviarie che permisero di ampliare i mercati dando uno sbocco alle merci ormai prodotte in quantità sempre più rilevanti.  Produzione: La produzione si andò sempre più accentrando concentrandosi nelle fabbriche, si fece sempre maggior ricorso alle macchine semplici, che non richiedevano 7  Sviluppo economico: Crescita elevata e prolungata, accompagnata da trasformazioni sociali, strutturali e culturali.  Progresso: L’idea del progresso è legata alla moderna concezione del mondo affermatasi in Europa fra Sei e Settecento, ad opera di scienziati come Bacone, Cartesio e Isacco Newton, che riponevano una grande fiducia nelle capacità dell’uomo di comprendere “oggettivamente” il mondo e di poterlo misurare e migliorare.    2.2. La misurazione della crescita La misurazione della crescita si effettua tramite il ricorso ad alcuni aggregati, cioè grandezze economiche complesse, generalmente espresse in valori, che si ottengono sommando grandezze singole. I più utilizzati sono:  PIL (prodotto-­­interno-­­lordo): è il valore monetario di beni e servizi prodotti in un determinato periodo (in genere 1 anno) all’interno di un paese (tutto il territorio nazionale) da residenti e da stranieri, al lordo del valore dei beni che sono stati consumati nel processo produttivo.  PNL (prodotto-­­nazionale-­­lordo): è il valore monetario di beni e servizi prodotti in un determinato periodo soltanto dai residenti, all’interno di un paese e all’estero, sempre al lordo degli ammortamenti.  PIL pro capite: Si ottiene dividendo il Pil per il numero degli abitanti, permette di conoscere il valore dei beni e dei servizi che ciascun cittadino ha mediamente contribuito a produrre. Vi sono vari problemi che si pongono nel calcolo del Pil, in primis quello di misurazione del valore dei servizi i quali vengono considerati sulla base del costo per produrli, in secondo luogo la mancanza di significato nel suo utilizzo come strumento di confronto internazionale se non lo si rapporta alla popolazione (problema ovviato dal Pil pro capite). Un altro problema che si pone è quello del valore delle monete in cui i diversi Pil sono espressi e del conseguente tasso di cambio da applicare. Per ovviare a questo problema si fa ricorso al metodo della Parità del potere d’acquisto (PPA), che consiste nell’individuazione di un paniere di consumo comune e nella determinazione del suo prezzo nella moneta di ciascun paese. 2.3. I modelli di sviluppo Gli economisti hanno fatto spesso ricorso a schemi o modelli per spiegare lo sviluppo economico, fra i più importanti troviamo quelli di:  Karl Bucher: Uno dei massimi esponenti della scuola storica tedesca del XIX secolo, egli riteneva che lo sviluppo si realizzasse attraverso 4 tappe:  1. Economia domestica chiusa: Faceva perno sull’attività economica della famiglia, tutto si produceva e si scambiava in un ambito molto ristretto. 2. Economia cittadina: Allargata all’ambito della città e del suo circondario. 3. Economia nazionale: Ulteriore ampliamento del mercato e della produzione a livello nazionale. 8 4. Economia mondiale: Che avrebbe coinvolto tutti i paesi che all’epoca in cui scriveva Bucher si cominciava chiaramente a delineare.  Walt W. Rostow 1960: Schema sostitutivo di quello di Bucher al quale molti studiosi fanno riferimento. Secondo Rostow la realizzazione dello sviluppo economico passa attraverso 5 fasi o stadi: 1. Società tradizionale: Società preindustriale, in cui l’agricoltura è l’attività predominante e non riesce a fornire significative risorse aggiuntive da destinare ad attività extragricole, la produttività e bassa in tutti i settori e la popolazione stenta a crescere. 2. Società di transizione: Fase di cambiamento, incremento della produttività agricola che finalmente riesce a dare avvio al processo d’accumulazione. Incremento dell’istruzione, formazione di una classe imprenditoriale dinamica, susseguirsi di innovazioni, intervento dello Stato che provvede alla costruzione delle infrastrutture più costose. 3. Società del decollo o take off: E’ lo stadio più importante che ha dato notorietà al modello di Rostow. La società conosce una forte e irreversibile accelerazione, riuscendo a superare tutte le resistenze che si frappongono al suo sviluppo. Crescono la produzione, la produttività e gli investimenti sia in agricoltura che negli altri settori; le trasformazioni investono anche il quadro politico e istituzionale che deve agevolare lo sfruttamento delle nuove opportunità. Il decollo riguarda principalmente dei settori-­­ guida (leading-­­sectors) che trascinano lo sviluppo. 4. La società matura: E’ la società ormai decollata che vede continuamente aumentare la produttività, le innovazioni tecnologiche e gli investimenti. Le trasformazioni si allargano a ulteriori settori e lo sviluppo comincia ad autoalimentarsi. 5. La società dei consumi di massa: In questo stadio si assiste a un forte aumento della domanda di beni di consumo durevoli e di servizi, reso possibile dall’incremento del reddito pro capite. Ormai il processo di accumulazione è terminato ed è possibile destinare risorse al miglioramento della qualità della vita. 2.4. Crisi e cicli economici Caratteristica principale del mondo industrializzato fu la comparsa di crisi economiche, queste dall’essere crisi di sottoproduzione diventano crisi di sovrapproduzione . Le crisi di sovrapproduzione sono apparse con il sistema capitalistico industriale e presentano quasi sempre la stessa successione di eventi. Prima vi è una fase di congiuntura favorevole caratterizzata da un fortissimo aumento della domanda e un conseguente rialzo dei prezzi che induce ad accrescere la produzione. Per conseguenza le vendite aumentano e si realizza il pieno impiego dei fattori della produzione, ma è difficile stabilire fino a quale punto spingere la stessa, correndo il rischio di andare oltre, più di quanto si riesca effettivamente a vendere; quindi si determina una crisi di sovrapproduzione: le merci restano invendute, le imprese non possono rimborsare i prestiti alle banche e spesso falliscono, gli operai perdono il lavoro. L’evoluzione del capitalismo industriale è caratterizzata da una forte instabilità con periodi di espansione della produzione seguiti da periodi di depressione e di disoccupazione. Lo studio delle crisi ha portato alla definizione dei cicli economici. Tra i più importanti possiamo distinguerne tre:  Ciclo “breve” o “minore”: Studiato dall’americano Kitchin nel 1923, che osservando le statistiche dei tassi d’interesse e dei prezzi all’ingrosso in Gran Bretagna, mise in evidenza 9 l’esistenza di un ciclo della durata di 3-­­4 anni durante il quale si susseguono, appunto, una fase di espansione e una di depressione.  Ciclo “maggiore”: Studiato da Clement Juglar che nel 1860 fu il primo a comprendere che le crisi si inseriscono in meccanismi ad andamento ciclico. Identificò le crisi come il punto di inversione di tendenza fra espansione e depressione individuando cicli della durata di 8-­­10 anni.  Ciclo “lungo”: Studiato da Nikolaj Kondratieff nel 1926, che individuò onde lunghe nell’attività economica che durano intorno ai 50 anni, basandosi dapprima solo sull’andamento dei prezzi e in un secondo momento anche sulla variazione della produzione. Le due fasi che compongono il ciclo lungo di Kondratieff furono chiamate fase a (espansione) e fase b (depressione). Questi cicli sono caratterizzati comunque da un trend secolare in crescita perché anche nelle fasi di depressione l’andamento generale dell’economia è stato in espansione. 3. LE PREMESSE DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE INGLESE: LA POPOLAZIONE 3.1. Popolazione ed economia Lo studio della popolazione è particolarmente importante per comprendere i problemi economici di un determinato territorio e di una certa epoca. L’aumento della popolazione genera un:  Aumento della domanda di beni: La domanda complessiva è influenzata oltre che dal numero della popolazione, anche dalla sua struttura dato che la domanda di beni e servizi varia a seconda del gruppo in questione sia per quantità che per composizione, ma è anche condizionata da fattori socio-­­culturali come abitudini alimentari, credenze religiose o pregiudizi. Infine, la domanda, è influenzata soprattutto dal reddito dei consumatori e quindi dal loro potere d’acquisto. Secondo la cosiddetta legge di Engel la percentuale del reddito destinata ai consumi alimentari è tanto più elevata quanto minore è il reddito.  Aumento dell’offerta di prodotti: L’offerta è condizionata dalla capacità produttiva (terre e capitali disponibili), dalle tecniche di produzione, dalle fonti di energia, al numero di abitanti di un paese e dalla sua composizione per classi d’età. 3.2. La dinamica della popolazione nel mondo preindustriale La conoscenza del numero degli abitanti di un paese presenta non poche difficoltà, in particolare prima dei secoli XVIII e XIX, quando furono effettuati i primi censimenti moderni. Secondo le stime la popolazione mondiale a metà Settecento non raggiungeva gli 800 milioni, Il continent e maggiormente popolato era l’Asia con circa 500 milioni. L’Europa arrivava a 140 milioni e l’Africa a poco più di 100 mentre il Nord America ospitava appena 2 milioni di persone. La popolazione europea aveva conosciuto, nell’arco di oltre duemila anni da l 400 a.C., momenti di crescita e di decrescita: aumentò fino al 200 d.C. periodo di massima espansione dell’Impero romano, per poi scendere fino al 700, in seguito alla “peste di Giustiniano” del sesto secolo, riprendersi fino al 1300 e crollare di nuovo nel corso del XIV secolo a causa della peste nera. Dopo di allora essa cominciò a crescere con un caratteristico andamento ad onde ed arrivare a metà del XVIII secolo a livelli mai raggiunti prima. 12 rotazioni di leguminose e di piante da foraggio che miglioravano la fertilità del terreno e facevano perciò aumentare la resa. Il riposo da solo non bastava, bisognava ricorrere anche alle concimazioni, il risultato migliore si otteneva con il letame. L’inserimento di piante foraggere nelle rotazioni diede la possibilità di alimentare gli animali nelle stalle e quindi di produrre più concime, mettendo in moto un circolo virtuoso. Nel corso del secolo XVIII si registrarono alcuni miglioramenti degli attrezzi e delle macchine agricole che in precedenza erano pochi come l’aratro semplice e il più pesante aratro a ruote. 4.3. La rivoluzione agraria: il regime della proprietà fondiaria. I nuovi metodi sperimentati richiedevano la piena ed esclusiva disponibilità delle terre da parte di chi doveva utilizzarle. Invece, sia in Inghilterra che in altri paesi europei la coltivazione delle terre era comunitaria e avveniva secondo il sistema dei tre campi. Le terre recintate del villaggio erano divise in tre parti due coltivate e una tenuta a maggese, ogni parte era a sua volta frazionata in tante strisce spettanti alle varie famiglie. Fu dato perciò un nuovo impulso al movimento delle enclosures(recinzioni) che doveva portare a una completa privatizzazione delle terre. A metà del Settecento almeno la metà della terra arabile in Inghilterra era già recintata, a metà Ottocento non vi erano più campi aperti. La pratica della recinzione poteva avvenire in seguito a un accordo privato o con un “atto” legge del Parlamento. Si ricorreva al secondo metodo quando i proprietari delle terre erano molti e non riuscivano ad accordarsi, i titolari di almeno l’80% delle terre presentavano una petizione al Parlamento che nominava una commissione d’inchiesta; se il suo parere era favorevole il Parlamento emanava un atto che autorizzava alla divisione. Coloro che ottennero un piccolo appezzamento di terra spesso lo vendettero ai proprietari più grandi e si trasformarono in fittavoli o in braccianti. In tal modo, le enclosures contribuirono al consolidamento della grande proprietà. 4.4. Rivoluzione agraria e rivoluzione industriale La rivoluzione agraria ha contribuito alla rivoluzione industriale inglese in almeno 4 modi:  Sostenne una popolazione in aumento: L’aumento non solo della produzione, ma principalmente della produttività agricola, consentì di alimentare un numero crescente di persone, che poterono dedicarsi ad attività extra agricole.  Creò il potere d’acquisto da destinare ai prodotti dell’industria britannica: I redditi agricoli consentirono agli agricoltori di acquistare manufatti dell’industria, sia quelli destinati al consumo diretto ma soprattutto quelli necessari alle nuove esigenze dell’agricoltura.  Consentì lo spostamento di popolazione nelle zone industriali: Infatti i lavori agricoli non erano più sufficienti ad assorbire una popolazione in crescita.   Partecipò alla formazione del capitale necessario al finanziamento dell’industrializzazione: Molti proprietari terrieri destinarono parte dei guadagni realizzati con la vendita dei prodotti agricoli e dell’allevamento al finanziamento delle prime industrie.  13 5. LE PREMESSE DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE INGLESE: TRASPORTI E COMMERCIO. 5.1. La rivoluzione dei trasporti: strade e ferrovie Le strade inglesi erano considerate le peggiori in Europa, infatti per il modo in cui erano costruite esse si deterioravano facilmente. La necessità di rifornire di generi alimentari e di carbone le città in espansione, e in primo luogo Londra, indusse il governo a intervenire, favorendo il sistema delle strade a pedaggio. Negli anni 30 dell’Ottocento vi erano ormai 30 mila chilometri di strade a pedaggio. La vera rivoluzione nel settore stradale si ebbe soltanto all’inizio del secolo XIX quando alcuni ingegneri, ripresero i sistemi di costruzione dei Romani e cominciarono a realizzare strade più solide e compatte. Solo così fu possibile consentire lo spostamento più veloce e più economico dei passeggeri, delle merci, delle notizie. Le diligenze si fecero più numerose, comode e frequenti. La grande innovazione si ebbe però con la comparsa delle strade ferrate, che nacquero dall’abbinamento delle rotaie con la locomotiva a vapore. Nel 1825 George Stephenson, un tecnico minerario, costruì una locomotiva a vapore, perfezionando il primo progetto fallimentare di Richard Trevethick (1801). Cinque anni più tardi fu inaugurata la linea Liverpool-­­Manchester. Inizia da allora la straordinaria avventura delle ferrovie che si diffusero in tutti i paesi. 5.2. La rivoluzione dei trasporti: le vie d’acqua Nel Settecento, le strade non consentivano, a costi convenienti, il trasporto di merci pesanti sulle lunghe distanze, per le quali erano più indicate le vie d’acqua interne. Se era agevole discendere i fiumi, sfruttando la corrente, risultava difficile risalirli e per farlo bisognava trainare le imbarcazioni dalla riva. Altri inconvenienti erano gli sbarramenti per alimentare i mulini, i pedaggi, i bassi fondali e la presenza di corporazioni di barcaioli che imponevano l’uso delle proprie barche. In Inghilterra scoppiò, nella seconda metà del Settecento, una vera e propria febbre dei canali. Questi ebbero un’importanza notevole perché quasi sempre collegavano due fiumi navigabili e perciò contribuivano ad ampliare la rete di comunicazione formata dalle acque interne. Il trasporto marittimo era certamente la forma di trasporto più conveniente, perché le navi consentivano di muovere una maggiore quantità di merci a costi ridotti. Il viaggio per mare però presentava diversi pericoli, dalle tempeste alle razzie dei pirati. Perciò, i proprietari delle navi o i capitani, per garantirsi da questi rischi stipulavano polizze con le numerose compagnie di assicurazione che stavano sorgendo. In questo campo particolare rilievo assunsero i Lloyd’s di Londra. Piccole imbarcazioni erano dedite al cabotaggio, ossia alla navigazione lungo la costa, anche in questo caso soprattutto per il rifornimento di Londra. Il nuovo secolo vide anche i primi esperimenti nel campo della navigazione a vapore. Nel 1803 Robert Fulton sperimentò il primo battello a vapore sulla Senna. 5.3. Commercio e mercantilismo Secondo Adam Smith, il filosofo scozzese fondatore della moderna scienza economica, “il consumo è l’unico fine di tutta la produzione”. Ciò vuol dire che sia i prodotti industriali che agricoli dovevano essere venduti. I mercati però erano troppo ristretti e ciò costituiva un ostacolo insuperabile alla crescita dell’attività produttiva. Gli ostacoli al commercio erano di diversa natura: barriere naturali (montagne, foreste, mari …), 14 barrire artificiali (dazi, norme che limitavano la libera circolazione), bassi redditi della popolazione (scarso potere d’acquisto), l’insicurezza dei viaggi terrestri (ladri), l’insufficienza della moneta in circolazione, le difficoltà di accesso al credito. Il mercantilismo, che ancora nella metà del Settecento improntava l’azione di quasi tutti i governi europei, contribuì allo sviluppo del commercio internazionale nei secoli successivi alle scoperte geografiche. Esso era sia una: Dottrina economica: Perché riteneva che la ricchezza di un paese fosse assicurata dalla quantità di metalli preziosi (argento e oro) da essa posseduti, causando il conseguente perseguimento di una politica che consentisse di accrescere la ricchezza nazionale con ogni mezzo (anche illecito) tra cui in primis con il potenziamento delle esportazioni, che sarebbero state pagate con monete d’oro o d’argento, assicurando un costante flusso in entrata di metalli.  Politica economica: La politica mercantilistica fu un insieme di provvedimenti adottati dai vari Stati, ognuno dei quali perseguiva un proprio disegno di potenza. Miravano tutti a costituire riserve abbondanti d’oro e d’argento per far fronte alle spese dello Stato. I paesi europei non possedendo grandi giacimenti dovevano procurarsi metalli preziosi mediante la conquista di colonie oppure con il commercio importando (in valore monetario) più di quanto esportassero, cioè avere una bilancia commerciale attiva. Gli stati attuarono la politica mercantilistica in vario modo, ma principalmente mediante una politica economica protezionistica e nazionalistica attraverso la protezione doganale (dazi elevati o divieti) e le forme di sostegno dirette alle manifatture (premi alla produzione o all’ esportazione). I governi attribuivano grande importanza al possesso delle colonie considerate fattori di ricchezza. Proprio per favorire il commercio internazionale e coloniale vennero fondate numerose compagnie commerciali nei principali paesi, come la Compagnia inglese delle Indie orientali e la Compagnia olandese delle Indie orientali. 5.4. Il commercio internazionale In Inghilterra il miglioramento delle vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto consentì un notevole sviluppo sia del mercato interno che del mercato internazionale . Il primo fu spinto dall’incremento dei consumi alimentato dall’aumento del reddito pro capite che evidenziava il miglioramento del livello di vita. Il secondo funzionò da propulsore per lo sviluppo della rivoluzione industriale, infatti l’Inghilterra riuscì a creare una corrente di esportazione di manufatti di lana di buona qualità e a questo commercio aggiunse una crescente riesportazione formando un classico tipo di commercio triangolare Europa-­­Africa-­­Antille. Importava zucchero, tabacco, cotone e piante tintorie dalle Indie occidentali (Antille) che pagava con schiavi acquistati dall’ Africa in cambio di armi, ferramenta, alcolici e pezze di cotone indiane. Le esportazioni dei prodotti nazionali britannici verso l’Europa vennero rapidamente sostituite da quelle dirette verso il Nord America e le Antille che da sole giunsero ad assorbire più del 55% del totale. 6. INDUSTRIE TRAENTI E INNOVAZIONI IN GRAN BRETAGNA 6.1. L’organizzazione della produzione industriale Alla fine del Settecento l’attività industriale rivestiva un’importanza molto inferiore all’attività agricola. Essa era orientata la produzione di beni di consumo come, tessuti abiti, vasellame, mobili, utensili elementari ed era svolta in 3 diverse forme: 17 6.5. L’industria del ferro Diffusa in tutti i paesi europei si stava sviluppando in particolar modo in Inghilterra. I progressi tecnici compiuti furono dovuti soprattutto all‘introduzione dell’altoforno e all’uso di magli azionati dall’energia idraulica. Per la produzione di ghisa sono necessari i minerali ferrosi e il carbone, che a metà Settecento era quasi solo di legna, perciò gli altiforni erano dislocati vicino alle zone ricche di legname oppure vicino alle miniere. In Gran Bretagna l’industria siderurgica aveva le seguenti caratteristiche: era capital intensive, era organizzata in forme capitalistiche, utilizzava materie prime inglesi, non produceva beni di consumo ma beni strumentali. Dopo la metà dell’Ottocento si sviluppò in misura rilevante per la forte domanda delle ferrovie e dei cantieri navali. La principale difficoltà era il ricorso al carbone di legna in un paese poco boscoso come l’Inghilterra. Questo costrinse gli Inglesi a utilizzare il carbon fossile che però non era adoperato nella fusione perché dava una ghisa molto fragile. Inseguito all’ estrazione del coke (carbon fossile liberato dalle impurità) dal carbon fossile e il brevetto del pudellaggio (processo di decarburazione mediante il quale la ghisa veniva fusa in un forno ad alte temperature e agitata continuamente per liberarla dal carbonio in eccedenza e ottenere ferro e acciaio). L’industria siderurgica conobbe una notevole espansione e la Gran Bretagna arrivò a detenere più della metà della produzione mondiale di ghisa. Un personaggio importante dell’industria del ferro fu certamente John Wilkinson, a lui si devono la costruzione del primo ponte in ghisa sul fiume Severn e il varo della prima nave in lamiera bullonata. 6.6. La dimensione regionale dell’industrializzazione Lo sviluppo economico dei singoli paesi non significa ovviamente che nei medesimi vi sia una crescita omogenea in tutte le aree geografiche che ne fanno parte. In ogni paese vi furono zone che si svilupparono più rapidamente e altre che rimasero indietro, regioni più sviluppate e regioni più arretrate (dualismo). Questa circostanza è stata ben evidenziata da Sidney Pollard il quale ha studiato la dimensione regionale dello sviluppo e ha evidenziato un processo a più fasi. Nella prima fase di sviluppo le differenze regionali tendono ad aumentare, il decollo cioè genera squilibri economici e amplia quelli già esistenti. Successivamente ma non sempre le industrie si impiantano anche nelle regioni più arretrate dove i salari sono più bassi. 7. LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE INGLESE: I PROBLEMI 7.1. I mezzi di pagamento e la funzione delle banche Tra i problemi della rivoluzione industriale che bisognò risolvere occupa un posto rilevante il problema dei mezzi di pagamento. A metà Settecento le monete in circolazione erano quasi esclusivamente metalliche. La pasta era costituita oltre che dal metallo prezioso (fino) anche da una certa quantità di metallo vile (lega). Il valore delle monete era definito dal contenuto di metallo prezioso. Per conseguenza il valore di una moneta rispetto all’altra si otteneva confrontandone il fino. Lo Stato provvedeva alla coniazione servendosi delle zecche, gestite direttamente o date in appalto a privati. I sistemi monetari erano tre: monometallismo aureo, monometallismo argenteo e bimetallismo. Il metallo prezioso assunto alla base del sistema prendeva il nome di tallone. Il tallone di un paese era caratterizzato dal libero conio (possibilità concessa ai privati di consegnare metallo prezioso alla 18 zecca e ottenere in cambio l’equivalente in moneta) e dal potere liberatorio illimitato (Possibilità concessa dalla legge alla moneta di essere utilizzata in qualsiasi pagamento). Verso la metà del Settecento i sistemi più diffusi erano il monometallismo argenteo e il bimetallismo ad eccezione dell’Inghilterra che adottava il monometallismo aureo. Con il tempo le monete d’oro e d’argento cominciarono a rivelarsi insufficienti, fu necessaria una nuova forma di moneta cartacea, introdotta da alcune banche dette di emissione. Esse cioè non disponendo di una quantità sufficiente di monete metalliche da prestare, consegnavano a chi chiedeva somme in prestito un biglietto, con la promessa di cambiarli in monete metalliche ad ogni richiesta dei loro possessori. A metà Settecento le banche di emissione esistevano soltanto in Inghilterra, Scozia e Svezia. La Bank of England era la più importante. I biglietti non avevano corso legale come le monete e quindi non possedevano potere liberatorio. Avevano corso fiduciario cioè potevano essere rifiutati e chi li accettava nutriva “fiducia” nella banca emittente. Nonostante fossero ormai noti quasi tutti gli strumenti bancari (giroconto, biglietto di banca, cambiale ecc..) non esisteva ancora in nessun paese un vero e proprio sistema bancario. In Inghilterra accanto alla Banca di Inghilterra esistevano le city banks e le country banks. In diverse città europee c’erano banche pubbliche che accettavano depositi senza corrispondere alcun interesse e lasciavano ai depositanti una ricevuta che poteva essere girata ad altri per effettuare un pagamento. Queste banche investivano nel debito pubblico come anche numerosi banchieri privati. 7.2. I problemi del finanziamento e del credito La prima rivoluzione industriale non fu troppo costosa. I primi industriali ricorsero innanzitutto all’ autofinanziamento e in caso di necessità costituivano una società in accomandita. A partire dagli anni Trenta dell’Ottocento le imprese costituite sotto forma di società anonima cominciarono a rivolgersi al mercato sul quale collocavano le obbligazioni che erano in grado di emettere. Per queste ragioni le banche inglesi difficilmente intervennero per concedere alle imprese finanziamenti cospicui e di lunga durata. Se i primi imprenditori non avevano bisogno di capitale fisso necessitavano però di denaro per l’acquisto di materie prime o semilavorati e per pagare i salari agli operai. Le banche di Londra e quelle di provincia li finanziavano, mediante lo sconto di cambiali a tre mesi che essendo solitamente rinnovate si trasformavano di fatto in finanziamenti di lunga durata. Un problema per gli imprenditori era la scarsità di mezzi di pagamento, perché le monete d’oro erano di valore troppo elevato per i piccoli acquisti e per pagare i salari. Gli assegni bancari erano poco diffusi perciò rimanevano solo le banconote. Durante le guerre napoleoniche però furono dichiarati inconvertibili e fu ristabilita la convertibilità nel 1821 anno in cui la Gran Bretagna passò formalmente al Gold Standard. Nel 1833, infine le banconote della banca di Inghilterra furono dichiarate moneta a corso legale e dal quel momento poterono essere utilizzate nei pagamenti senza nessuno che potesse rifiutarle. Sorse così il problema della quantità di biglietti da emettere, a ciò provvide la legge bancaria nel 1844 che autorizzò la Banca d’Inghilterra a emettere biglietti fino a 14 milioni senza copertura metallica, mentre oltre tale importo la riserva doveva essere pari al 100% del valore dei biglietti messi in circolazione. La legge vietava la costituzione di nuove banche di emissione. La sterlina stava diventando la moneta dei pagamenti internazionali e quindi doveva essere molto solida e sempre cambiabile. 19 7.3. I problemi del lavoro. L’ idea di una società caratterizzata dalla libera iniziativa e dalla ricerca del profitto, con poche o nessuna protezione per i lavoratori. I lavoratori a domicilio opposero resistenza a trasformarsi in operai ugualmente gli artigiani che solo se rovinati dall’industria si trasformavano in piccoli imprenditori, oppure diventavano commercianti. L’industria però richiedeva un numero sempre maggiore di salariati che furono reclutati soprattutto tra i contadini che costituirono il grosso della classe operaia. Questi ultimi, nei primi tempi, reagirono al duro lavoro in fabbrica assentandosi frequentemente e recando problemi alla continuità dell’attività produttiva. Le prime fabbriche fecero un largo uso del lavoro di donne e bambini, con il pretesto di addestrarli, sottoponendoli a orari di lavoro massacranti (fino a 16 ore giornaliere) e a condizioni igieniche pessime. 7.4. Le associazioni operaie e le Trade Unions I lavoratori non tardarono ad associarsi. Nel secolo XVIII nacquero molti trade clubs ovvero unioni di mestiere fra gli operai specializzati creati per difendere i privilegi di cui godevano e ostacolare l’ingresso degli intrusi nella categoria, chiedendo il rispetto dell’apprendistato. I lavoratori generici tardarono ad associarsi, spesso però si univano in proteste per difendere i loro interessi. Celebre fu il movimento luddista (da Nedd Ludd operaio che in una protesta distrusse un telaio) che si opponeva all’introduzione di macchine nelle fabbriche considerate responsabili della disoccupazione. Erano in vigore negli stessi anni i Combination Acts (1800) che vietavano qualsiasi associazione sia di lavoratori che di datori di lavoro (con scarsi risultati nell’impedire l’unione di imprenditori). Nel 1824-­­25 furono approvate delle leggi che revocarono i Combination Acts e legalizzarono le organizzazioni di lavoratori. Nacquero così le Trade Unions, i moderni sindacati britannici, tuttavia la legge 1825 limitò i loro scopi alle sole rivendicazioni relative al salario e all’orario di lavoro perciò al contrario di ciò che avvenne in altri paesi il movimento operaio accettò implicitamente il nuovo ordine capitalistico non assumendo connotazioni politiche e di contestazione della società. 7.5. Il problema degli sbocchi e il trionfo del libero scambio Il lungo periodo delle guerre napoleoniche durato vent’anni (1793-­­1815), che vide fronteggiarsi la Francia rivoluzionaria e la Gran Bretagna favorì la crescita economica britannica. Difatti nonostante i problemi di cui risentì il commercio estero per via del cosiddetto blocco continentale, attuato da Napoleone per impedire alla Francia e agli Stati alleati di commerciare con l’Inghilterra, le esigenze belliche funsero da potente stimolo all’attività produttiva. Lo Stato era divenuto acquirente, sicché gli affari prosperavano. Al termine del lungo conflitto nel 1815 si esaurì la fase positiva del ciclo di Kondratieff e si assistette in tutta l’Europa a un periodo caratterizzato da una riduzione dei prezzi e dei profitti (fase b). Si trattò di anni difficili per la Gran Bretagna, nonostante la sua economia continuasse a crescere per il commercio estero, la fine del periodo bellico pose il problema di assicurare uno sbocco alla sua produzione. Il prezzo dei cereali, che durante il periodo di guerra era stato molto alto per via delle forniture alle forze armate e della difficoltà di importazione, crollò improvvisamente. Anche le industrie furono colpite dalla riduzione delle commesse militari. 22 8.3. Le attività produttive in Francia La Francia era la patria della fisiocrazia, ossia di quella scuola di pensiero che in opposizione al mercantilismo predicava le virtù dell’agricoltura. I fisiocratici ritenevano che la ricchezza di una nazione si fondasse sull’agricoltura. Solo essa era in grado di fornire il <<prodotto netto>>, ossia un sovrappiù, mentre le altre attività erano ritenute <<sterili>>, in quanto si limitavano alla trasformazione dei beni (industria e artigianato) o al loro trasporto da un luogo all’altro (commercio). La rivoluzione francese contribuì notevolmente al consolidamento della piccola proprietà contadina, che già caratterizzava l’economia agraria di quel paese. I contadini, difatti, furono liberati dai paesi di origine feudale che ancora li opprimevano e diventarono proprietari terrieri delle terre che coltivavano. La prevalenza della piccola proprietà, però, costituiva un ostacolo ad un ulteriore sviluppo agricolo. Il contadino francese era attaccato ai vecchi metodi di coltivazione ed era ritenuto conservatore, ostinato, individualista, prudente nello spendere e poco dedito al lusso e allo spreco. Pure chi avrebbe voluto praticare un’agricoltura più razionale, a volte doveva rinunciare per mancanza di capitali e, se ne disponeva, spesso preferiva impegnarli nell’acquisto di altre terre e non nei miglioramenti agricoli. L’industria fu caratterizzata anch’essa dalla prevalenza di piccole imprese, specialmente quella siderurgica che, assieme a quella tessile, costituiva una delle due industrie traenti anche in Francia. Esse erano sicuramente più arretrate di quelle inglesi, ma i Francesi seppero dare un loro contributo originale al perfezionamento delle macchine, inventando, per esempio, il famoso meccanismo Jacquard; si trattava di un dispositivo applicato al telaio o alla macchina da maglieria, che consentiva di realizzare disegni sulla stoffa o sulla maglia, mediante l’uso di cartoni perforati. La Francia, inoltre, vantava un’antica tradizione nelle industrie del lusso, rivolte a soddisfare i bisogni dei ceti più ricchi e raffinati, come quelle della seta, dei panni e delle tele fine, del mobilio, della moda, dell’arredamento e delle porcellane. Le riforme attuate durante il periodo rivoluzionario e l’impero napoleonico favorirono l’attività industriale. La Rivoluzione abolì le corporazioni e concesse piena libertà al mercato del lavoro. Fu approvata la legge Le Chapelier che vietava qualsiasi associazione di lavoratori e di imprenditori. In Francia, però, il divieto rimase in vigore fin oltre la metà dell’800, sicché il movimento operaio, non potendosi sviluppare in senso sindacale, assunse un carattere decisamente politico e rivoluzionario e si legò al movimento socialista. I Codici napoleonici, ossia il Codice Civile e il Codice di commercio, fondati sui i principi di uguaglianza di tutti i cittadini, della libertà, della proprietà individuale e della libera iniziativa, regolarono con chiarezza i rapporti fra gli individui e quelli relativi all’attività economica. Ma non sancirono l’uguaglianza fra i datori di lavoro e i loro dipendenti, perché, in caso di controversia sui salari e sulla loro corresponsione, la dichiarazione giurata dell’imprenditore prevaleva sulla parola del lavoratore, norma che rimase in vigore fino al 1868. Un’importanza rilevante per l’industrializzazione e per lo sviluppo economico la ebbe, in Francia, il sistema dei trasporti, basato principalmente, sulla rete stradale. Nel 700, la costruzione e la riparazione delle strade erano affidate agli abitanti delle zone attraversate, che dovevano provvedere con prestazioni di lavoro gratuito. In seguito fu adottato il sistema delle strade a pedaggio e a metà secolo 19°, la Francia arrivo a possedere il migliore sistema stradale d’Europa. I mezzi di trasporto, però, erano lenti e inadeguati e le vie fluviali non erano molto sviluppate, perché solo la Senna e qualche altro fiume erano navigabili e i canali non raggiunsero il livello di efficienza di quelli inglesi. Le ferrovie si diffusero con lentezza. La prima linea, che congiunse Lione 23 a Saint-Etienne è del 1832 e la Francia non raggiungeva i 3.000 KM di strade ferrate, pari alla metà della rete tedesca e a meno di un terzo di quella britannica. La fondazione della Banca di Francia, fu un altro elemento che contribuì allo sviluppo economico. Napoleone, pur non amando i banchieri, favorì la costruzione della Banca di Francia, una società privata, autorizzata ad emettere <<moneta ausiliare>>, cioè banconote. Napoleone la sottopose a controllo dello Stato, riservandosi la nomina del governatore e dei due sotto governatori. Essa contribuì a diffondere l’uso delle banconote, verso le quali i Francesi rimasero a lungo diffidenti, attaccati alla vecchia buona moneta sonante, e dal 1848 divenne l’unico istituto di emissione. Anche se sottoposta al controllo del governo, la Banca era comunque una società privata, dominata da un paio di centinaia di azionisti, in prevalenza banchieri, appartenenti a quella schiera di solide case bancarie che furono note con il nome di <<alta banca>> (haute banque). 8.4. La nascita di un paese libero e nuovo: gli Stati Uniti d’America. Con la Guerra di indipendenza (1775-­­83) le tredici colonie inglesi si ribellarono alla politica mercantilistica della madrepatria che imponeva una serie di vincoli alla libera espansione dell’attività economica. L’esistenza di tali vincoli si fece insopportabile e prese terreno la coscienza sempre più diffusa e sentita della necessità di una maggiore libertà economica che portò in seguito alla ribellione ad ottenere l’indipendenza e quindi alla nascita degli Stati Uniti d’America. Al momento della loro costituzione questi si presentarono come un paese libero che non aveva conosciuto né il feudalesimo né le corporazioni e i cui abitanti, che erano immigrati, avevano scelto la libertà contro l’oppressione religiosa e politica subita in patria e non vi erano quindi classi privilegiate o interessi precostituiti bensì prevaleva la classe media. Inoltre erano un paese nuovo e quindi sconosciuto e dotato di grandi risorse, che bisognava popolare, colonizzare e industrializzare. Tutto ciò fece si che lo sviluppo degli Stati Uniti si distinguesse da quello di tutte le altre nazioni per i suoi caratteri di estrema rapidità e spettacolarità sulla base di un modello nuovo e originale caratterizzato da un uso delle macchine molto più ampio, da un elevata produttività e da un mercato interno in continua espansione. Gli Stati Uniti avevano conosciuto un tasso di crescita maggiore di quello britannico ed erano stati l’unico paese a recuperare terreno nei confronti della nazione leader. 8.5. La colonizzazione e il mito della frontiera La colonizzazione dell’Ovest e il “mito della frontiera” hanno avuto un’importanza notevole nella storia economica e politica del Paese. L’esistenza della frontiera infatti permise di mantenere una popolazione in continua crescita, che a sua volta faceva aumentare la domanda di beni e servizi e stimolava gli investimenti delle imprese e le grandi opere intraprese dal governo e dai privati. La colonizzazione interessò prima il Midwest e successivamente il Far West. L’avanzata dell’uomo bianco distrusse la povera economia dei pellerossa. Secondo Turner la colonizzazione dell’Ovest si svolse in quattro tappe: 1. Il primo pioniere era un cacciatore, un mercante o un missionario 2. Arrivo degli allevatori di bovini e ovini 3. Arrivo degli agricoltori 4. Insediamento della vita urbana 24 Turner riteneva che lo spirito della frontiera avesse contribuito a modellare il carattere americano rendendo gli uomini egualitari individualisti e intraprendenti. Inoltre elaborò la teoria della valvola di sicurezza secondo la quale la possibilità di spostarsi verso Ovest avrebbe allentato le tensioni sul mercato del lavoro dell’Est industrializzato. Sorsero numerose banche nei territori di nuova colonizzazione che finanziarono i coloni con propri biglietti, assumendo il carattere di banche d’emissione, legando le proprie fortune alle loro sorti. 8.6. La prima industrializzazione degli Stati Uniti L’attività produttiva dei primi tempi era modesta e veniva svolta da una sorta di manifattura domestica. Il mercato interno era esiguo e disperso a causa della difficoltà dei trasporti, infatti mentre le vie d’acqua interne si dimostrarono adatte allo scopo le strade non riuscivano a coprire le grandi distanze. La costruzione delle ferrovie si rivelò subito determinante per la creazione di un grande mercato e fu finanziata per la maggior parte dall’Inghilterra. Le prime manifatture si giovarono della tecnologia inglese ma vi furono anche numerosi apporti originali da parte degli Americani. Il ricorso alle macchine era una scelta obbligata per l’America dove il costo della manodopera fu sempre più elevato di quello dei concorrenti europei. L’innovazione riguardava soprattutto il nuovo modo di produrre che prese il nome di sistema americano. Esso era caratterizzato dalla standardizzazione dei prodotti e dall’applicazione della catena di montaggio tese a ridurre il costo e l’esigenza di manodopera. Questi processi aggiunti all’introduzione del sistema dei ricambi, permisero di riparare i manufatti danneggiati senza doverli più buttare. Nacque la produzione di massa che si rivelò particolarmente adatta alla società americana, giovane e con una struttura flessibile, pronta ad accogliere i prodotti standardizzati. Le industrie che si svilupparono maggiormente furono quelle tessili, calzaturiere, siderurgiche e dei macchinari. Quella tessile ebbe una funzione traente. Il successo dell’industria cotoniera pu essere connesso all’invenzione della macchina per cucire. L’industria siderurgica fornì una gran quantità di ferro necessaria a fabbricare parecchi beni di consumo e strumentali. Si determinò negli Stati Uniti una divisione del lavoro: l’Est industrializzato, l’Ovest agricolo, il Sud produttore di cotone coltivato in grandi piantagioni con schiavi negri. 27 produzione di massa dei medicinali. Le cure mediche si diffusero grazie all’intervento dello Stato che organizzò l’assistenza e i servizi medici. L’azione di tutti questi fattori determinò la diminuzione del tasso di mortalità soprattutto quello infantile. Il tasso di natalità cominciò anch’esso a diminuire perché il cambiamento dello stile di vita indusse le coppie a limitare il numero di figli. Nacquero nuove forme di previdenza sociale che si affermarono specialmente fra le due guerre. La vita media arrivò a 60 anni per gli uomini e 65 per le donne. L’incremento demografico provocò una sovrappopolazione delle campagne europee e la popolazione rurale fu costretta ad abbandonare le campagne e cercare lavoro altrove. Vi fu maggiore attenzione al capitale umano da parte dello Stato che si fece carico di assicurare l’istruzione primaria diminuendo gradualmente il numero degli analfabeti. 10.2. L’urbanesimo Vi fu un’accentuazione del fenomeno dell’urbanesimo dovuta alla liberazione di manodopera agricola. Nel corso del XIX secolo, struttura e funzioni delle città si modificarono, il centro delle attività si spostò nel quartiere degli affari situato tra la vecchia città e la nuova stazione ferroviaria e furono aperti spaziosi viali alberati. Al loro interno fu vario l’insediamento abitativo dei vari ceti sociali, la vecchia città vedeva la coabitazione nel medesimo edificio di varie categorie di persone (pianterreno artigiani, primo piano borghesi, ultimo piano operai). La nuova città contrapponeva quartieri borghesi e quartieri operai. L’urbanizzazione pose diversi problemi: fu necessario provvedere all’illuminazione (prima a gas poi con la luce elettrica) e si dovettero costruire acquedotti e fognature. 10.3. I grandi flussi migratori L’emigrazione fu un'altra conseguenza dell’esodo dalle campagne. In genere agirono sull’emigrante motivi di “espulsione” fra cui le cattive condizioni economiche e la volontà di migliorare la propria condizione, e motivi di “attrazione” che erano dati dalla possibilità di trovare un lavoro. Le principali destinazioni erano: Stati Uniti, Argentina, Brasile, Canada, Australia e Nuova Zelanda. I principali paesi di provenienza erano fino agli anni 80 venivano principalmente dai paesi dell’Europa Settentrionale (Gran Bretagna, Irlanda, Germania, paesi scandinavi). Dal 1890 il maggior contributo fu dato dall’ Europa meridionale (Italia, Spagna, Portogallo e Grecia). Negli stessi anni era in atto anche una migrazione interna europea e la Francia assunse il ruolo di paese d’immigrazione. Una novità durante e dopo le guerre fu l’apparizione di un altro tipo di migrazione: quella dei profughi, costretti ad abbandonare le loro terre per sfuggire agli eventi bellici o alle persecuzioni (russi dopo la prima guerra mondiale, gli ebrei dopo la seconda) 10.4. Gli effetti dell’emigrazione L’emigrazione ebbe effetti positivi e negativi sia per i paesi di provenienza che per quelli di destinazione. I paesi di partenza erano svantaggiati dal costo sostenuto per mantenere far crescere e talvolta istruire persone che andavano a lavorare altrove. In compenso i vantaggi erano notevoli, la 28 riduzione dell’offerta di braccia determinò un tendenziale aumento dei salari in più gli emigrati facevano affluire in patria preziosa valuta estera. I paesi di destinazione furono avvantaggiati dalla risorsa costituita dall’entrante forza lavoro di persone adulte che spesso conoscevano un mestiere e avevano spirito di intraprendenza e sacrificio; queste concorrevano a creare ricchezza e benessere nel paese in cui si insediavano. Il principale problema era la difficoltà di integrazione. Le incomprensioni furono parecchie e molto spesso i nuovi arrivati dovettero subire soprusi, vessazioni e angherie di ogni specie prima di potersi integrare. 11.LE CONDIZIONI DELLA CRESCITA TRASPORTI, BANCHE E MONETA 11.1. Lo sviluppo dei trasporti: ferrovie e automobili La crescita degli scambi e la necessità di una maggiore mobilità diede una forte spinta al miglioramento dei mezzi di trasporto e allo sviluppo del sistema delle comunicazioni. La rete stradale non fece molti progressi però le strade furono migliorate e ne furono costruite delle nuove in particolare nei paesi rimasti indietro così che nel 1870 la differenza tra i vari paesi diminuì sensibilmente. Le ferrovie ebbero uno sviluppo incredibile e la rete ferroviaria mondiale arrivò nel 1914 ad 1,1 milioni di chilometri. Per la costruzione delle ferrovie si dovettero affronta dei problemi tecnici,dal traforo delle montagne alla costruzione ponti e all’aumento di potenza e velocità delle locomotive, nonché dei problemi economici dovuti alla necessità di ingenti capitali. Inizialmente i capitali furono forniti da grandi banchieri privati, ma in seguito bisognò costituire società per azioni. Le azioni ferroviarie vennero tratte in Borsa diventando spesso oggetto di speculazioni che furono la causa di crisi finanziarie come quelle del 1836, del 1847-­­48 e del 1857. Nacque una nuova categoria di lavoratori i ferrovieri. L’automobile riuscì ad affermarsi con l’avvento del motore a scoppio creato grazie all’ingegno di numerosi pionieri fra cui Carl Benz. La sua produzione in serie iniziò già prima della Grande Guerra ma la sua vendita era ancora bloccata dagli alti prezzi. Dopo il conflitto, la produzione di autovetture aumentò e il suo prezzo diminuì accrescendone così gli acquisti. Il nuovo mezzo di trasporto innescò un processo a catena che diede impulso a parecchie altre industrie e alla costruzione di strade. 11.2. Lo sviluppo dei trasporti: navi e aerei Grazie a dei perfezionamenti tecnici come l’elica a tre pale fu possibile l’affermazione delle navi a vapore che pian piano sostituirono le navi a vela. Un'altra importante novità fu la costruzione di navi in ferro di maggiore stazza che poterono alloggiare pesanti motori e disporre di ampie stive per il trasporto delle merci. Il costo delle navi aumentò e fu necessario creare grandi società di navigazione che sostituirono gli armatori privati. L’Inghilterra organizzò a perfezione il sistema dei “tramps” cioè navi senza itinerario fisso, che viaggiavano a disposizione dei noleggiatori di tutto il mondo e andavano di porto in porto, trasportando le merci che trovavano da imbarcare durante il loro percorso. Furono ristrutturati i porti per accogliere le nuove navi più grandi e furono aperti i canali di Suez (1869) e di Panama (1914) che consentirono un enorme riduzione dei tempi di percorrenza. Nacquero navi specializzate nel trasporto di merci particolari (petroliere e navi frigorifero). 29 Nei primi anni del secolo XX l’aviazione era ancora ai primordi. Nel 1903 i fratelli Wright erano riusciti a far volare il loro primo aeroplano. Il progresso in questo campo fu rapidissimo, già nella Prima guerra mondiale fu utilizzato per la ricognizione aerea, poi come caccia e infine per i bombardamenti. Negli anni Venti e Trenta iniziò a svilupparsi l’aviazione commerciale. Durante la Seconda guerra mondiale il suo impiego risultò determinante. Gli effetti della rivoluzione dei trasporti sullo sviluppo economico furono rilevanti e riguardarono tutti i settori. Il commercio ebbe i maggiori e immediati vantaggi, in agricoltura si realizzò anche una specializzazione delle colture perché ogni regione poté dedicarsi alle coltivazioni più adatte alla natura del suolo e alle condizioni climatiche. Lo sviluppo dei mezzi di trasporto stimolò la domanda di manufatti di molte industrie specialmente quelle siderurgiche metallurgiche e meccaniche. 11.3. Le comunicazioni Alla vigilia della Prima guerra mondiale, anche le notizie ormai viaggiavano con grande rapidità grazie a nuove invenzioni fra cui: il telegrafo elettrico (Samuel Morse 1840), il telefono (Antonio Meucci 1871), la radio (Guglielmo Marconi 1896) e il radar inventato negli stessi anni dagli americani. 11.4. I sistemi bancari Lo sviluppo economico fu reso possibile dalla formazione dei sistemi bancari e dalla progressiva adozione del gold standard. Le più importanti categorie di nuove banche erano:  Le Casse di risparmio, sorte già nella prima metà dell’Ottocento. Esse raccoglievano i piccoli risparmi delle persone in modeste condizioni, alle quali corrispondevano un interesse. Lo scopo era di consentire anche ai meno abbienti un’accumulazione di denaro. Le somme raccolte erano investite in impieghi sicuri, in genere titoli di Stato.   Gli istituti di credito fondiario si approvvigionavano di fondi attraverso l’emissione di proprie obbligazioni dette “cartelle fondiarie” con lo scopo di concedere mutui di lunga durata, rimborsabili a rate e garantiti da ipoteca su immobili.  Le banche cooperative forme di società cooperative che avevano il compito di accettare depositi e concedere prestiti ai soci.  Le banche commerciali o di deposito costituite come società anonime raccoglievano depositi dal grande pubblico che remuneravano con un interesse e investivano i fondi disponibili prestandoli in varie forme a operatori economici grandi e piccoli.  Banche di emissione poste al vertice dei sistemi bancari agivano come prestatori di ultima istanza o “banche delle banche”. Ad esse si rivolgevano le banche per anticipazioni in caso di necessità a cui veniva applicato un interesse in base al tasso ufficiale di sconto. Con il tempo questi istituti che di norma operavano per lo Stato, ottennero anche la funzione di controllare il sistema bancario e perciò si dissero banche centrali. I biglietti emessi venivano riconosciuti dappertutto come moneta a corso legale.  11.5. I modelli bancari I sistemi bancari ebbero caratteri diversi, essi si adeguarono al grado di sviluppo raggiunto dal proprio paese. In Europa possiamo distinguere fra due modelli bancari: 1. Il modello anglosassone caratterizzato dalla specializzazione bancaria e dalla prevalenza della banca pura. Si affermò un tipo di banca che raccoglieva i depositi a vista e concedeva impieghi 32 molti settori e divenne quasi il metallo per eccellenza della seconda rivoluzione industriale. Altri metalli importanti furono il rame e il nichel. La nuova industria automobilistica si sviluppò rapidamente specie negli Stati Uniti. Si passò dalla costruzione artigianale, alla produzione in serie e sorsero numerose fabbriche tra cui Ford, Fiat, Renault. Altre invenzioni come la macchina da scrivere il perfezionamento delle macchine tipografiche e la creazione della macchina fotografica diedero luogo a nuove attività produttive. 12.6. Chimica ed elettricità Le industrie chimiche furono tra quelle che maggiormente caratterizzarono la seconda rivoluzione industriale. Furono introdotte numerose innovazioni grazie ai processi di ricerca come: i coloranti artificiali che sostituirono quelli naturali, la dinamite scoperta da Alfred Nobel. Furono inventate le prime materie plastiche sintetiche, le fibre tessili sintetiche si cominciarono a diffondere. Un nuovo comparto fu quello dell’industria della gomma, dopo l’introduzione del processo di vulcanizzazione da parte di Goodyear (1839) iniziò negli Stati Uniti la lavorazione della gomma. Mel 1888 John Dunlop brevettò il primo pneumatico. L’industria elettrica fu un'altra attività peculiare della seconda rivoluzione industriale. La scoperta fondamentale fu quella del generatore di corrente, cioè una macchina che trasformava l’energia sviluppata dalla macchina a vapore in elettricità riducendo notevolmente i costi finora problema principale nella produzione della stessa. L’elettricità trovò un gran numero di applicazioni a cominciare dall’illuminazione grazie all’invenzione della lampada a incandescenza da parte di Thomas Edison, nell’industria, nei trasporti e nella vita domestica; essa era indispensabile per i sistemi di comunicazione a distanza e rese possibile nel 1895 la nascita dell’industria cinematografica anno in cui Louis Lumière presentò la prima pellicola cinematografica. 12.7. Commercio e investimenti esteri Il commercio interno che prima si era svolto principalmente nelle fiere fu rivoluzionato dall’avvento della nuova figura del commesso viaggiatore che collocava merci per conto di case rinomate presso i negozianti, ai quali venivano inviate successivamente tramite la ferrovia. Si cominciò a sviluppare il commercio fisso con l’apparizione dei primi negozi, dapprima bazar che vendevano ogni genere di articoli e poi negozi specializzati. A metà dell’Ottocento apparvero anche i grandi magazzini. Negli Stati Uniti si svilupparono le prime forme moderne di pubblicità commerciale e furono introdotti il sistema dei saldi, la vendita per corrispondenza e la vendita a rate. Un’importanza molto maggiore ebbe il commercio internazionale che aumentò di sei volte fra gli anni Trenta e gli anni Settanta dell’Ottocento e si triplicò ancora fino alla Grande guerra. L’Europa inviava negli altri continenti il carbone e i suoi manufatti (articoli d’abbigliamento materiale ferroviario, locomotive) e importava materie prime (metalli non ferrosi, petrolio, gomma e fibre tessili). Accanto a questo commercio estero si affiancava il circuito di scambio di manufatti fra i paesi industrializzati. 33 Il commercio internazionale fu indubbiamente favorito dal libero scambio, anche se negli anni ottanta molti paesi tornarono a varie forme di protezionismo che ripresero anche in seguito nel periodo fra le due guerre mondiali. Di conseguenza si può affermare che il protezionismo è stata la regola e il libero scambio l’eccezione. Un complemento allo sviluppo degli scambi internazionali furono gli investimenti esteri da parte dei principali paesi europei. Gli investimenti inglesi andarono a società private, mente quelli francesi si rivolsero al debito pubblico. Questi erano concessi dai risparmiatori che tramite le banche o direttamente in Borsa acquistavano azioni e obbligazioni emesse da società oppure sottoscrivevano titoli pubblici. I fondi da destinare agli investimenti esteri erano costituiti da oro valute o divise frutto dell’avanzo della bilancia commerciale; ma anche con le entrate derivanti dall’esportazione di servizi insomma con l’avanzo della bilancia dei pagamenti. 13. LA GRANDE IMPRESA 13.1. La formazione della grande impresa Finora solo nei settori che producevano beni intermedi o strumentali si erano costituite grandi imprese capaci di sfruttare economie di scala nella produzione. Negli ultimi anni del XIX secolo la costituzione di grandi imprese, che manifestò i suoi vantaggi, si estese anche ai settori di produzione dei beni di consumo. La grande impresa disponeva di un capitale elevato e concentrava nella fabbrica un gran numero di lavoratori, costituendo il centro di accumulazione di conoscenze scientifiche e tecniche. La forma giuridica era quella della società anonima o per azioni. Essa si formò in seguito a un processo di concentrazione sia verticale (unire imprese che partecipano al processo di fabbricazione di uno stesso prodotto) che orizzontale (unire imprese che operano nello stesso settore), realizzato mediante fusioni di più imprese o incorporazioni di imprese più piccole in imprese più grandi. Gli Stati Uniti furono i primi a comprendere l’importanza della grande impresa che chiamarono corporation. Un tipo particolare era la conglomerata formato da imprese che producevano beni molto diversi. Oltre a quelle di scala si realizzarono anche economie di diversificazione della produzione in modo da renderla meno sensibile alle variazioni della domanda di un singolo prodotto. Lo sviluppo dell’economia mondiale portò alcune imprese a costituire all’estero proprie filiali o a fondarvi società da esse controllate nacquero così le imprese multinazionali che avevano un'unica direzione nel paese d’origine. Quando non si voleva o poteva costituire un'unica grande impresa si giungeva ad accordi sotto forma di:  Cartelli: accordi fra più imprese che trattano lo stesso prodotto, mediante i quali si fissano i prezzi di vendita, la quota di produzione e le quote di mercato di ciascuna impresa.  Trust: Una società capogruppo, detta holding, acquista azioni di altre società fino ad averne il controllo e porre le imprese sotto un'unica direzione strategica. Essi furono contrastati in diversi paesi attraverso apposite leggi antitrust. Le vecchie imprese che nacquero come imprese familiari giunsero pian piano alla separazione fra proprietà e management. I proprietari dell’impresa, cioè lasciavano la guida a persone esperte e capaci, i manager e si limitavano a esercitare il controllo tramite il consiglio di amministrazione. Nacquero così le prime scuole superiori di commercio e business schools per la preparazione dei manager. 34 13.2. Taylorismo e fordismo Frederick Taylor condusse numerosi studi al fine di organizzare scientificamente il lavoro e aumentare il rendimento dell’operaio. Egli divise il processo di lavoro in operazioni semplici e ne misurò il tempo di esecuzione definendo i tempi standard. Da ciò deriva il termine taylorismo, che fu applicato alla catena di montaggio costituita da un nastro su cui scorrevano i pezzi. La catena di montaggio fu particolarmente utilizzata dall’industria automobilistica, il merito di averla applicata su larga scala va ad Henri Ford che ebbe l’intuizione di fare dell’automobile, un oggetto alla portata delle masse. Perciò praticò una politica di alti salari in modo da consentire agli operai di poter acquistare le autovetture. Era nato il cosiddetto modello fordista di sviluppo. 13.3. Le piccole e medie imprese e la cooperazione Le piccole e medie imprese conservarono un ruolo molto importante. Sembra che gli interessi della classe operaia fossero meglio salvaguardati nella grande fabbrica piuttosto che in quelle piccole dove la tutela dei lavoratori risultava più difficile. Le imprese di modeste dimensioni resistevano in attività tradizionali ma anche in alcune attività nuove come la produzione e la riparazione di macchine elettriche. Si svilupparono le imprese cooperative, costituite da persone che si associavano per gestire un’attività economica, non avevano scopo di lucro, ma rispondevano a finalità etiche e sociali. Esse si differenziarono in:  Cooperative di consumo: acquistavano beni di consumo all’ingrosso per rivenderli al minuto a prezzi più convenienti.  Cooperative di produzione: riuniscono un gruppo di lavoratori per svolgere un’attività produttiva e assicurare parità di salario e uguale distribuzione degli utili.  Cooperative di credito: per raccogliere risparmi e esercitare il credito a favore dei soci. 14. I PAESI INDUSTRIALIZZATI GRAN BRETAGNA E FRANCIA 14.1. I diversi ritmi dello sviluppo L’andamento dello sviluppo fu talvolta molto diverso da paese a paese, come si ricava dai tassi di percentuali annui di crescita del Pil pro capite fra il 1820 e il 1950. La Gran Bretagna mostra fra il 1870 e il 1913, una diminuzione del tasso di crescita, segno delle difficoltà incontrat e. Gli altri paesi accelerarono così la rincorsa del paese leader. Fatto a 100 il Pil pro capite della Gran Bretagna è possibile raffrontarlo negli anni con quello degli altri paesi europei. Nel 1820 i paesi meno distanziati erano gli Stati Uniti e la Francia con rispettivamente il 59% e il 58% del Pil Inglese. Nel 1870 solo gli Stati Uniti e la Germania si erano avvicinati alla Gran Bretagna (proprio perché in quel periodo quest’ultima aveva accelerato il suo sviluppo) con il 70% e il 52%. Successivamente al 1870 fu la Gran Bretagna a rallentare mentre gli altri paesi crescevano più rapidamente. Alla vigilia della Prima guerra mondiale nel 1913 vi fu il catching up degli Stati Uniti mentre Francia e Germania si avvicinarono molto. Entro il 1950 però nessun altro paese riuscì nell’impresa degli Stati Uniti. 37 lega fra Baviera e Württemberg e al Centro una lega favorita dall’Austria, che mal vedeva il progetto prussiano di costituire un ampio spazio commerciale sotto il suo controllo. A poco a poco, però, la lega centrale si disgregò e molti Stati aderirono a quella prussiana per dare vita all’Unione doganale (Zollverein), costituita nel 1833 ed entrata in vigore l’anno successivo. Il miglioramento dei mezzi di trasporto amplificò gli effetti dello Zollverein. Furono migliorate le strade e si costruirono le prime ferrovie, a partire dalla linea, molto breve, tra Norimberga e Fürth in Baviera. A metà secolo, la Germania, con circa 6.000 KM di strade ferrate, aveva la rete più estesa dell’Europa continentale. La difficoltà dei pagamenti, derivante dall’esistenza di numerose monete, fu parzialmente risolta con accordi tra i singoli Stati: quelli del Sud adottarono una moneta comune, il fiorino; mentre quelli del Nord si diedero come moneta unica il tallero. In seguito alla vittoriosa guerra contro la Francia, la Prussia riuscì, grazie all’azione del cancelliere Otto von Bismarck, a realizzare l’unificazione tedesca, proclamata nel 1871 nella reggia di Versailles, nella Francia ancora occupata. Dopo l’unificazione, la Germania conobbe una fase di grande sviluppo, tanto che alcuni studiosi collocano in quegli anni il decollo della sua economia e parlano di <<miracolo tedesco>>. Tra la fine del 19° secolo e la Prima Guerra Mondiale, lo sviluppo si fece travolgente e la Germania diventò la principale potenza economica continentale. Nel settore industriale si formarono imponenti complessi e vennero costituite migliaia di società per azioni. La siderurgia si giovò di un forte incremento della produzione di carbone ed aumentò anche la produzione dei minerali ferrosi. Le industrie chimiche, utilizzarono la tecnologia più moderna, sfruttando il vantaggio del <<last comer>>. Sorsero fabbriche di fertilizzanti, di coloranti e di prodotti farmaceutici. La crescita dell’industria elettrica fu ancora più rapida e attinse personale e ricerche dal mondo universitario. Nacquero grandi complessi produttivi, come la AEG (Allgemeine Elektrizitäts Gesellschaft) con i suoi 60 mila dipendenti e la Siemens con 81 mila dipendenti. 15.2. I fattori dello sviluppo Lo sviluppo fu agevolato da numerosi fattori: Il sistema bancario ebbe un compito di primo piano nel sostenere la crescita economica e fu un fattore sostitutivo dei prerequisiti dello sviluppo. Al vertice del sistema bancario c’era la Reichsbank costituita nel 1875, con il compito di regolare l’emissione cartacea della nuova moneta il marco, che fu definito in oro con il definitivo passaggio della Germania al gold standard. Le banche miste favorirono la costituzione di società industriali acquistandone parte dei pacchetti azionari e facendo entrare i loro rappresentanti nei consigli di amministrazione. Il ruolo dei trasporti fu ancora più rilevante che negli altri paesi le ferrovie e la navigazione interna furono potenziate, mail vero miracolo fu la creazione di una potente flotta mercantile. I cartelli si diffusero specialmente durante la grande depressione, con lo scopo di regolare la concorrenza e evitare la sovrapproduzione. Lo Stato dopo averli inizialmente contrastati li regolamentò con una legge, rendendoli del tutto legali.  Il dumping; con questo termine s’intende una politica di vendita che prevede due listini di prezzo: uno più alto per il mercato interno e l’altro più basso per i mercati esteri. Lo scopo è 38 di far conoscere il proprio prodotto all’estero, offrendolo anche sottocosto se necessario, per poi aumentare il prezzo appena esso si è affermato. Il dumping, in Germania, provocò le proteste dei consumatori, che erano costretti a pagare prezzi relativamente più alti, e anche di alcuni industriali, che si potevano trovare di fronte a una sorta di dumping alla rovescia, quando le imprese straniere riuscivano a fare concorrenza ai prodotti tedeschi utilizzando materie prime o semilavorati importati dalla Germania a prezzo di dumping. La pratica del dumping, tuttavia, si generalizzò perché i vantaggi per l’industria e per le esportazioni tedesche erano superiori agli inconvenienti, che pure erano stati messi in luce da un’inchiesta governativa. Ruolo dello Stato che sostenne lo sviluppo economico in diversi modi. Diventò un grande consumatore e con la sua domanda sosteneva la produzione. Favorì i cartelli e il dumping e adottò un efficace politica protezionistica, gestì la rete ferroviaria e indirizzò gli investimenti esteri verso paesi amici con i quali vi erano rapporti commerciali e finanziari. Riservo una particolare cura alla diffusione dell’istruzione tecnica e sc ientifica, rese obbligatoria l’assicurazione dei lavoratori facendo della Germania il primo paese a disporre di una forma di previdenza sociale. 15.3. Immigrazione e colonizzazione degli Stati Uniti I fattori principali che determinarono l’imponente sviluppo economico degli Stati Uniti dal 1870 al 1913, consentendogli il catching up dell’Inghilterra furono molteplici: l’aumento della popolazione, il compimento della colonizzazione, l’affermazione della grande impresa e la formazione di un vasto mercato interno.  La popolazione aumentò sia per incremento naturale sia per il contributo dell’immigrazione. L’inserimento degli immigrati non fu affatto facile per via della diversità di cultura, di valori, di religione e in certi casi del colore della pelle.   I Wasp (white, Anglo Saxon, Protestant) che costituivano il gruppo dominante esigevano un atteggiamento di rinunzia da parte degli immigrati alla loro cultura di origine e un’accettazione di quella americana discriminando chi non lo faceva. Solo gli immigrati giunti dall’Europa centro- ­­settentrionale si integrarono senza grossi problemi dando l’impressione che si stesse affermando l’idea del melting pot.  La colonizzazione fu portata a compimento entro la fine del secolo, quando ormai la frontiera non esisteva più e tutti i territori dell’Ovest erano stati popolati e messi a coltura o destinati all’allevamento. Lo sviluppo economico americano fu abbastanza equilibrato interessando sia l’industria che l’agricoltura. Gli agricoltori godevano di buoni redditi e non producevano più per l’autoconsumo ma per il mercato risentendo dell’andamento dei prezzi. Negli Stati Uniti non vi fu però una depressione come in Europa e le condizioni degli agricoltori continuarono a migliorare notevolmente a partire dalla fine del secolo, periodo in cui il Midwest prese il nome di Corn Belt. Dopo la Guerra di secessione (1861-­­65) da cui il sud uscì sconfitto la coltivazione del cotone si spostò verso ovest soprattutto nel Texas. Nonostante la perdita del controllo di parte del mercato, assorbito dalla esportazione di Brasile e India che profittarono del conflitto, questo diventò a fine secolo il primo stato produttore di questa fibra mantenendo il valore delle esportazioni intorno al 60% della produzione. L’allevamento del bestiame avveniva specialmente nel Midwest, dove alcuni grandi proprietari costituirono fattorie molto vaste e prospere. I cow-­­boys del Far west durante la guerra di secessione organizzarono trasferimenti di bestiame per 1500 chilometri lungo le piste che 39 collegavano le zone di produzione ai nodi ferroviari più importanti da dove gli animali proseguivano in treno per i luoghi di destinazione. 15.4. Grandi imprese e mercato Lo sviluppo industriale statunitense fu eccezionale, non solo per la quantità di manufatti prodotti, ma anche per l’organizzazione della produzione. Le industrie più importanti erano quelle che trasformavano i prodotti dell’agricoltura delle foreste e dell’allevamento. La filatura e la tessitura del cotone continuarono a svilupparsi e successivamente si spostarono anche negli Stati meridionali. I progressi più consistenti furono realizzati dall’industria siderurgica e da quella meccanica, stimolate dapprima dalla domanda di materiale ferroviario e poi dalla richiesta di ferro e acciaio per la costruzione di navi e macchine. Non mancarono industrie nuove, come quelle elettriche, dei telegrafi e dei telefoni oltre che del petrolio e dell’automobile. Le industrie producevano una gran quantità di beni e si organizzarono sotto forma di grandi società per azioni. Numerosi furono i trust che riuscirono a controllare il mercato di diversi prodotti. Nel 1890 a partire dallo Sherman Act furono introdotti una serie di provvedimenti antitrust che nel settore industriale furono alquanto deludenti mentre funzionarono il quello bancario. Gli Stati Uniti furono la patria del fordismo. Lo sviluppo americano si basò sulla formazione di un vastissimo mercato nazionale che fu possibile grazie alla costruzione di un efficiente sistema di trasporti con il ruolo fondamentale delle ferrovie. Il commercio estero rappresentava una quota limitata dell’intero movimento commerciale degli Stati Uniti pur essendosi sestuplicato fra il 1860 e il 1913. Gli Stati Uniti infatti rimasero sostanzialmente legati a una politica protezionistica. 15.5. Un punto debole: il sistema bancario Il sistema bancario americano non risultava adeguato al grande sviluppo che il Paese stava conoscendo. Con la riforma adottata in piena Guerra di secessione le banche erano state divise in: banche nazionali che avevano il compito di emettere biglietti ed erano sottoposte alla nuova legge federale, e in banche statali costituite secondo leggi più permissive dei singoli Stati che vennero scoraggiate dall’emettere biglietti. Tutte queste banche avevano di solito un'unica sede e non potevano costituire filiali fuori dall’area in cui operavano. Tale ordinamento portò alla proliferazione di aziende di credito. Il problema principale di questo sistema era l’assenza di un istituto centrale di emissione, che potesse fungere da prestatore di ultima istanza. Questo limite risultò evidente durante la crisi finanziaria del 1907, la situazione non era più sostenibile. Nel 1913 venne approvato il Sistema della Riserva Federale, guidato da un consiglio con sede a Washington, composto da 12 banche federali ognuna delle quali operava in un proprio distretto di competenza, dove emetteva biglietti a corso legale. 16. DUE CASI PARTICOLARI RUSSIA E GIAPPONE 42 17.1.Gli ostacoli allo sviluppo economico dell’Italia Gli ostacoli che frenavano lo sviluppo economico italiano erano numerosi: La lenta crescita della popolazione, che non consentì di dare un impulso alle attività produttive. La natura del suolo, arabile solo per metà della sua estensione e con poche zone pianeggianti, sicché la produzione di generi alimentari non era sufficiente a soddisfare i bisogni di una popolazione che comunque stava crescendo. La scarsità di risorse minerarie, con una modesta quantità di carbone e pochi giacimenti di minerale ferroso; solo la Sicilia possedeva importanti miniere di zolfo, che alimentavano un consistente flusso di esportazioni. L’inadeguatezza del sistema dei trasporti, con strade insufficienti e senza una rete di vie d’acqua interne; solo la navigazione di cabotaggio lungo le coste consentiva il collegamento fra le diverse parti della Penisola, ma teneva fuori le zone interne. La scarsa disponibilità di capitali, che non si erano riusciti ad accumulare precedentemente, inoltre, quelli disponibili si rivolgevano verso impieghi sicuri, come l’acquisto di terre o titoli di Stato. L’assenza di un mercato nazionale e la permanenza di ristretti mercati locali, limite di cui molti erano consapevoli, tanto che una delle aspirazioni più sentite dagli uomini che si posero alla guida del movimento nazionale unitario fu proprio la formazione di un mercato nazionale. Nella seconda metà del 700, comunque, erano state avviate alcune importanti riforme dai governanti più illuminati, che avevano di fatto portato alla fine delle corporazioni, delle dogane interne e del regime feudale. Il Congresso di Vienna aveva diviso sostanzialmente l’Italia in sette Stati; di cui uno molto esteso (Regno delle due Sicilie), tre di dimensioni medie (Regno di Sardegna, Granducato di Torino e Stato Pontificio), due molto piccoli (ducati di Modena e Parma) e l’ultimo sotto la dominazione austriaca (Lombardo-Veneto). 17.2. L’Unità e il divario Nord­Sud L’unificazione era avvenuta mentre l’avvio della seconda rivoluzione industriale mostrava già il cammino da percorrere. L’Italia si presentava a questo appuntamento con un’agricoltura complessivamente arretrata, con un’industria quasi inesistente, una rete ferroviaria molto limitata, una marina costituita prevalentemente di velieri e un sistema bancario del tutto inadeguato. L’Italia si rese conto che un ulteriore problema a questo stato d’arretratezza, aggravato dall’insufficienza di capitali, era l’esistenza di un divario regionale che con il tempo cominciò a approfondirsi. Se si prendono in considerazione, oltre al Pil, elementi come la dotazione di infrastrutture, il credito, l’istruzione o la vita media risultava evidente l’arretratezza del Mezzogiorno. Questa si manifestò soprattutto nel prevalente settore agricolo, mentre infatti l’agricoltura settentrionale aveva un punto di forza nelle grandi aziende agrarie, che assicuravano investimenti, quella meridionale ne era sprovvista e vedeva la prevalenza della cerealicoltura estensiva e della pastorizia transumante. Nel settore industriale, ancora basati sull’artigianato e sul lavoro a domicilio, vi erano pochi nuclei moderni sia a Nord che a Sud. Le industrie meridionali favorite dal protezionismo si trovarono maggiormente esposte alla concorrenza quando dopo l’Unità si adottò la politica del libero scambio. Le regioni del Nord e del Sud, inoltre non erano complementari dal punto di vista economico, poiché erano entrambe sostanzialmente dedite a un’agricoltura che dava più o meno gli stessi prodotti. La popolazione dell’Italia tra il 1861 e il 1911 registrò un incremento del 40% passando da 26 a 36 milioni di abitanti. L’istruzione era scarsamente diffusa e circa il 70% della popolazione era analfabeta, nella parte settentrionale prevalevano gli studi scientifici tecnici ed economici. Nel Mezzogiorno gli studi classici, l’avvocatura e la medicina. 43 17.3. Il divario nei settori produttivi Sembra che il ritardo del Mezzogiorno al momento dell’Unità fosse più evidente nel settore agricolo che non in quello industriale. L’agricoltura delle regioni settentrionali aveva un punto di forza nelle grandi aziende agrarie della bassa Pianura Padana, dove si produceva una considerevole quantità di seta tratta, in buona parte destinata all’esportazione. Nel Mezzogiorno, viceversa, vi era una scarsa presenza di vere aziende agrarie capitalistiche e dominavano la cerealicoltura e la pastorizia transumante, con poche ristrette aree destinate all’agricolture intensiva (vite, olivo, agrumi). Nel settore industriale, invece, anche le manifatture delle regioni settentrionali erano in larga misura ancora basate sull’artigianato e sul lavoro a domicilio, con pochi nuclei industriali. Questi nuclei erano presenti anche al sud, attorno a Napoli (metalmeccanica), nei pressi di Salerno (cotonifici) e nell’attuale provincia di Frosinone (lanifici e cartiere). Le industrie meridionali erano favorite dal protezionismo accordato dal governo borbonico, data la ristrettezza del mercato locale. Ciò rendeva la struttura industriale meridionale maggiormente esposta alla concorrenza appena si fosse adottata una politica di libero scambio. Le regioni del Nord e del Sud, non erano complementari dal punto di vista economico, poiché la loro agricoltura dava più o meno gli stessi prodotti. Le costruzioni ferroviarie, si mantennero entro i confini di ciascuno Stato per diffidenze politiche e gelosie e per la loro possibile utilizzazione a scopi militari. La popolazione dell’Italia, risultò, al primo censimento di quasi 26 milioni di abitanti, diventati 36 milioni nel 1911, con un incremento del circa 40%. Essa era così distribuita: 63% nel Centro-Nord, 37% nelle regioni del Mezzogiorno e tale percentuale è rimasta immutata fino ad oggi. Un merito dello stato unitario fu il potenziamento dell’istruzione, ma quella obbligatoria era limitata ai primi 2 anni, poi portata a 3, delle scuole elementari, il cui mantenimento era a carico degli enti locali. Nell’istruzione superiore si registrava, nella parte settentrionale della Penisola una maggiore propensione agli studi scientifici, tecnici ed economici; viceversa nel Mezzogiorno, vi era una propensione maggiore verso gli studi classici e poi all’avvocatura o alla medicina, tradizione che si è conservata fino ai nostri giorni. Il ritardo iniziale del Mezzogiorno, costituì un grosso ostacolo allo sviluppo successivo delle regioni meridionali e insulari. 17.4. L’unificazione delle strutture economiche Realizzata l’unificazione politica in modo ancora incompleto, fu necessario unificare le strutture economiche del Paese, ciò avvenne attraverso vari step:  Il nuovo regno si dotò di una moneta propria: la lira italiana. L’Italia adottò così il sistema bimetallico. La moneta cartacea era poco diffusa e il compito di metterla in circolazione spettava alle tre banche: Banca Nazionale Toscana, Banca Nazionale Sarda, Banca Toscana di Credito. Il tentativo di giungere a un unico grande istituto non riuscì per la resistenza degli interessi economici locali.  Fu unificato il debito pubblico, ciò era necessario sia per dare maggiore fiducia ai risparmiatori nazionali, sia soprattutto, per darla agli investitori stranieri. 44  L’unificazione doganale, infine, fu attuata rapidamente per rispondere all’esigenza di dare vita a un vasto mercato nazionale. 18.L’ITALIA UNITA 18.1. La scelta liberoscambista e i suoi effetti Il primo ventennio successivo all’ unità fu caratterizzato dalla scelta del libero scambio e dall’intervento dello Stato per dotare il Paese delle infrastrutture necessarie. Questa scelta era stata questione di un ampio dibattito che assunse un’importanza molto rilevante. Da un lato vi erano gli industriali che volevano conservare la protezione e dall’altro i proprietari terrieri che invece che si battevano per il libero scambio. La scelta era quindi tra: puntare sull’industrializzazione attraverso il protezionismo, che avrebbe concesso alle industrie ancora giovani di potersi sviluppare al riparo dalla concorrenza estera, oppure sull’agricoltura con il libero scambio, entrando nel mercato internazionale come esportatore di prodotti agricoli e importatore di manufatti. Prevalse quest’ultima perché regnava l’idea che l’Italia non avrebbe mai potuto competere con le nazioni industrializzate per mancanza di capitali, materie prime e maestranze preparate. Gli effetti furono, un raddoppiamento delle esportazioni fra il 1861 e il 1880 e uno stimolo alla specializzazione dell’agricoltura. Intorno al 1880 l’industria continuava ad avere un peso inferiore sia nei confronti dell’agricoltura che del settore terziario, essa si andava concentrando in alcune regioni del Nord dove esistevano alcune piccole fabbriche tessili, siderurgiche e delle costruzioni navali. Il lavoro a domicilio cominciò pian piano a scomparire. 18.2. Il ruolo dello Stato e le sue fonti di finanziamento Lo Stato fece grandi sforzi nel tentativo di modernizzare il Paese, esso ebbe un ruolo sostitutivo dei prerequisiti dello sviluppo, cercando di stimolare e sostenere le attività economiche mediante grossi investimenti in opere pubbliche. Fu necessario aprire strade, creare e modernizzare i porti, provvedere alla costruzione della rete ferroviaria, creare una marina a vapore nazionale e infine ampliare il servizio telegrafico e quello postale. Per sostenere le proprie spese lo Stato fece ricorso a diverse fonti di finanziamento:  Le entrate tributarie crebbero notevolmente e derivarono dai dazi di consumo, dalle imposte sui terreni sui fabbricati e sulla “ricchezza mobile”. Pesante fu l’imposta sul macinato che diede luogo a molti tumulti in tutta la Penisola.  L’indebitamento pubblico Il governo emise titoli sotto la pari (prezzo di vendita inferiore al valore nominale), per facilitarne la vendita. Il debito pubblico si triplicò in 20 anni.  Vendita dei beni demaniali costituiti da terreni e fabbricati appartenenti allo Stato e da quelli confiscati agli enti religiosi soppressi.  Introduzione del corso forzoso dei biglietti di banca, lo Stato ricorse all’indebitamento verso le banche di emissione e sancì l’inconvertibilità delle banconote agevolando prestiti ai privati.  18.3. Crisi agraria, il ritorno al protezionismo e crisi bancaria 47 19.2. L’economia di guerra e il costo del conflitto Appena scoppiata la guerra i governi dichiararono l’inconvertibilità dei biglietti di banca, per evitare la corsa del pubblico per cambiare le banconote in monete metalliche. Si passò al corso forzoso che sanciva la fine del gold standard. Vennero chiuse le Borse per evitare speculazioni sui titoli. Un problema che si manifestò immediatamente fu la difficoltà di far funzionare molte fabbriche, in seguito alla mobilitazione generale. Fu subito chiaro che bisognava programmare un’economia di guerra. I paesi coinvolti crearono organismi governativi incaricati di procurare le materie prime e organismi incaricati dei rifornimenti di generi alimentari e della fissazione dei prezzi di vendita con un calmiere (provvedimento che stabilisce i prezzi massimi), si sviluppò così il mercato nero. Si giunse al razionamento dei generi di prima necessità e si tentò in tutti i modi di far aumentare la produzione agricola. I Tedeschi colpiti dal blocco fecero ricorso a prodotti succedanei di quelli che non riuscivano a importare, come la gomma sintetica. Lo Stato diventato il maggior acquirente di molti beni favorì la concentrazione delle imprese, in modo tale da semplificare le trattative. Il finanziamento della guerra fu effettuato in tre modi: l’aumento delle imposte, aumento del debito pubblico, prestiti delle banche di emissione e prestiti interalleati. 19.3. Le conseguenze dirette della guerra Le principali conseguenze della Prima Guerra Mondiale si possono raggruppare in tre categorie: dirette, indirette e strutturali. Le conseguenze dirette furono molteplici:  Le vittime, furono numerose, anche se il loro numero esatto non è noto, si lamentarono circa nove milioni di morti.  I danni materiali riguardarono i territori dove si era combattuto e soprattutto la Francia settentrionale, che subì i danni maggiori, il Belgio, il Veneto e la Polonia.  Presenza maggiore delle donne nel mondo del lavoro.   Forte riduzione del commercio internazionale che era diventato più difficile e costoso per via dei continui affondamenti delle navi mercantili. Favorì facili arricchimenti di coloro che producevano e distribuivano tutto ciò che serviva agli eserciti o si diedero al contrabbando e al mercato nero. 19.4. Le conseguenze indirette: la crisi di riconversione  La crisi di riconversione del 1920-­­21 I paesi dovettero procedere alla ricostruzione delle zone devastate dalla guerra e contemporaneamente alla riconversione dell’economia di guerra in economia di pace. Le industrie che si erano dedicate alla produzione di materiale bellico furono costrette a chiudere o a ristrutturarsi profondamente. Durante il conflitto molti consumi erano stati rinviati, di conseguenza finita la guerra esplose la domanda di beni che fece aumentare i prezzi e stimolò l’attività produttiva. Si giunse però, esaurita la domanda insoddisfatta ne periodo bellico, a una crisi di sovrapproduzione, che provocò una consistente riduzione dei prezzi l’accumulo di merci invendute e la chiusura di numerose fabbriche con conseguente disoccupazione. 48 19.5. Le conseguenze indirette: inflazione e gold exchange standard  L’inflazione si sviluppò nel dopoguerra a causa dell’innalzamento dei costi di produzione, della diminuzione dell’offerta di beni e soprattutto del forte incremento dei biglietti di banca e di Stato messi in circolazione. Il marco tedesco in particolare perse totalmente valore e in Germania l’inflazione si trasformò in iperinflazione, portando alla sostituzione temporanea del marco col Rentenmark (sola circolazione interna) fino all’adozione nel 1924 del Reichsmark moneta convertibile in oro allo stesso valore dell’anteguerra. L’inflazione provocò una violenta redistribuzione della ricchezza, colpendo i percettori di reddito fisso e favorendo coloro che si erano indebitati o che vendevano beni.  Gold exchange standard siccome le riserve auree non erano più sufficienti per assicurare la convertibilità dei tantissimi biglietti di banca in circolazione, si decise di porre a garanzia dei biglietti, non solo l’oro ma anche le banconote convertibili in oro che perciò si dissero “valuta chiave”. 19.6. Le conseguenze indirette: i debiti e le riparazioni  Debiti interalleati videro gli Stati Uniti e la Gran Bretagna assumere la posizione di creditori. Keynes propose di annullare tutti i debiti generati dal comune sforzo. Gli Americani pretesero che fossero saldati e gli Europei accettarono facendo ricorso alle riparazioni di guerra imposte alla Germania.  Riparazioni di guerra a carico della Germania per un totale di 33 miliardi di dollari. I Francesi furono molto duri nel pretenderle e occuparono insieme al Belgio il bacino della Ruhr. Nel 1924 fu predisposto il piano Dawes che ridusse l’importo delle rate ma non dell’ammontare complessivo. Nel 1929 un nuovo piano Young ridusse il debito e le annualità. Nel 1929 in seguito alla crisi, il presidente degli Stati Uniti Hoover dichiarò la moratoria dei debiti tedeschi.  19.7. I mutamenti strutturali dell’economia Ben più gravi e duraturi furono i mutamenti strutturali dell’economia:  Intervento dello Stato nell’economia Il liberismo sembrava aver fatto il suo tempo con l’incremento dell’intervento Statale. A guerra terminata si riteneva però che si dovesse ripristinarlo ma la lunga depressione degli anni Trenta e infine la Seconda guerra mondiale non consentirono la riduzione dell’ingerenza statale anzi l’aumentarono. I pubblici poteri spesso si sostituirono all’iniziativa privata incapace di affrontare momenti particolarmente difficili.  Perdita dell’egemonia politica ed economica dell’Europa rubata da paesi come Stati Uniti e Giappone che profittarono del conflitto per conquistare il primato. Il vecchio continente era in grossa difficoltà per i danni causati dal conflitto e il suo accresciuto frazionamento economico non gli concesse di mantenere l’egemonia. Si diffuse il meccanismo dei rapporti bilaterali, ossia di accordi diretti fra due Paesi, che fissavano i quantitativi di merci da scambiare. I rapporti di credito e di debito che ne scaturivano si compensavano reciprocamente e solo le eccedenze dovevano essere saldate secondo le modalità previste.  20. L’UNIONE SOVIETICA 49 20.1. La rivoluzione e il comunismo di guerra Nel febbraio del 1917 scoppiò la rivoluzione in Russia, che costrinse lo zar Nicola II ad abdicare e portò al potere dapprima il principe Georgij L’vov e poi Aleksandr Kerenskij. Il nuovo governo, di orientamento liberale, era debole e decise di continuare la guerra, mentre si andavano organizzando i primi Soviet (consigli) dei rappresentanti degli operai e dei soldati. Intanto si rafforzava il partito bolscevico, poi detto comunista, sotto la guida di Nikolaj Lenin il cui programma prevedeva la fine della guerra senza annessioni ne indennità e il diritto di autodeterminazione dei popoli, nonché la distribuzione delle terre ai contadini e il controllo degli operai sulle fabbriche. I comunisti conquistarono il potere con la rivoluzione di ottobre nel 1918, poco dopo stipularono la pace separata con la Germania. Seguì una lunga guerra civile alla fine della quale nel 1922 fu proclamata l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (Urss). La realizzazione del socialismo in Russia passò attraverso tre fasi distinte: il comunismo di guerra, la Nuova politica economica e la pianificazione. Il comunismo di guerra (1917-­­21) fu il regime economico instaurato mentre era in corso la guerra civile fra l’Armata Rossa e le armate “bianche” controrivoluzionarie, sostenute da Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Giappone. I provvedimenti del comunismo di guerra furono:  L’abolizione della proprietà privata delle terre la confisca delle terre dei nobili, della Chiesa e della Corona, che divenute statali, passarono in “usufrutto” ai lavoratori e vennero assegnate ai Soviet dei contadini dei distretti.  Requisizione forzata dei generi alimentari in eccedenza per rifornire le città.  La nazionalizzazione delle industrie e delle banche che vennero espropriate senza indennizzo e assorbite dalla Banca di Stato. 20.2. La Nuova politica economica Dal 1921 al 1928 fu applicata da Lenin una Nuova politica economica (Nep), che fu adottata in seguito al fallimento del comunismo di guerra (“un passo indietro per andare avanti”). Nel settore agricolo fu abolito l’obbligo di cedere le eccedenze agricole che fu sostituito con un’imposta prima in natura e poi in denaro. I contadini furono autorizzati a vendere i loro prodotti sul mercato libero e ebbero la possibilità di dare in affitto la terra e di assumere salariati . Nacquero così tre categorie di contadini: il proletariato rurale, i contadini poveri, e i kulaki ricchi contadini che prendevano terre in affitto le coltivavano con l’ausilio di braccianti e vendevano i prodotti sul mercato libero. Il settore industriale fu diviso in due: quello privato, che però forniva il 5% della produzione, e quello pubblico. Le fabbriche nazionalizzate avevano una gestione decentralizzata. L’Unione Sovietica puntò sull’industria pesante. Il commercio interno fu liberalizzato e si creò una rete vastissima di punti vendita privati, mentre il commercio con l’estero rimase di competenza dello Stato. Il sistema bancario fu ricostituito. Fu fondata una nuova Banca di Stato, la Gosbank, incaricata di emettere il nuovo rublo, in sostituzione di quello precedente completamente svalutato. Il rublo non venne definito in oro e la Russia non entrò nel gold exchange standard. Si costituirono alcune 52 a scendere tutti si precipitarono a vendere i titoli azionari causando l’esplosione della bolla speculativa creatasi precedentemente che portò alla crisi della Borsa di New York nel 1929. 21.5. La depressione negli Stati Uniti e in Europa In un’economia affetta da numerosi squilibri la speculazione borsistica portò dapprima a un aumento della domanda con un conseguente aumento della produzione e successivamente, per via della crisi, al suo crollo e quindi alla mancanza di sbocchi per le merci prodotte che determinò una crisi di sovrapproduzione. Molte fabbriche chiusero e la disoccupazione dilagò. Le banche non riuscirono a recuperare i loro prestiti e fallirono a migliaia, il governo dovette intervenire per salvare quelle più solide e sottopose la borsa al controllo di un apposito ente, la SEC (Security Exchange Commision). La depressione si diffuse dappertutto a causa degli scambi internazionali e del ruolo predominante che quel Paese aveva nell’economia mondiale. Inoltre molti capitali americani erano stati investiti in Europa, soprattutto in Germania. La Germania fu il paese europeo maggiormente colpito dove la crisi assunse un carattere bancario. La Repubblica di Weimar si dimostrò fragile e instabile dal punto di vista politico e soprattutto economico per lo stretto legame che si era venuto a creare fra banche e imprese. Inoltre dopo il crollo di Wall Street il richiamo dei capitali che erano stati prestati alla Germania aumentò notevolmente per timore che la crisi si potesse estendere. I Tedeschi ebbero difficoltà a pagare, e furono salvati dalla “moratoria Hoover”. 22. LE POLITICHE CONTRO LA DEPRESSIONE 22.1. Il deficit spending I Paesi colpiti dalla depressione, adottarono quasi tutti politiche ispirate ai principi keynesiani che prevedevano un maggiore intervento dello Stato in economia. Tuttavia ciò avvenne con ritardo perché essi erano fortemente legati alle concezioni economiche liberali. Per contrastare la diminuzione dei prezzi ricorsero tutti a un inasprimento della politica protezionistica, soprattutto gli Stati Uniti che aumentarono i dazi d’importazione in media al 60% provocando reazioni di rappresaglia da parte degli altri paesi. Gran Bretagna, Francia e Giappone incrementarono gli scambi con i loro possedimenti e cercarono di far fronte alla crisi stringendo rapporti commerciali più intensi all’interno delle aree che controllavano. I governi si convinsero con ritardo che era necessario sostenere la domanda globale dei prodotti, sia interna che internazionale. La domanda interna fu aumentata con la politica del deficit spending, che si rifaceva alle teorie di Keynes, ricorrendo all’indebitamento per sostituire la domanda privata con quella pubblica. Furono avviati dappertutto grandi lavori pubblici che assicuravano un salario ai lavoratori. 22.2. Le svalutazioni competitive Il sostegno alla domanda interna non bastava, era necessario stimolare la domanda estera. Questo fu possibile con le svalutazioni competitive, vale a dire un ribasso dei prezzi espressi in valuta estera attraverso la svalutazione della propria moneta. 53 Nel 1931 il governo britannico decise di dichiarare l’inconvertibilità della sterlina, che era stata sottoposta a pressioni dagli altri paesi che avevano deciso di cambiare in oro le riserve che detenevano in sterline. La Banca d’Inghilterra non cambiò più la sterlina alla parità con l’oro e lasciò che il suo valore fosse liberamente determinato dal mercato sulla base della domanda e dell’offerta di sterline. La domanda di sterline diminuì e la moneta inglese perse il 30% del suo valore. La sterlina usciva così dal gold exchange standard. Il dollaro fu svalutato del 41% e la moneta statunitense fu dichiarata inconvertibile. Gli altri paesi seguirono Stati Uniti e Inghilterra nella loro decisione per recuperare la competitività perduta. Quando tutte le monete furono svalutate si tornò sostanzialmente al punto di partenza e nessuno godeva più dei vantaggi competitivi, di conseguenza le svalutazioni non furono in grado di dare un consistente impulso agli scambi internazionali. Decretarono però la fine del gold exchange standard, ormai i biglietti di banca avevano definitivamente sostituito la moneta metallica. 22.3. L’intervento statale negli Stati Uniti: il New Deal Le misure ricordate determinarono una forte ripresa dell’intervento dello Stato nell’economia. Negli Stati Uniti fu attuato con il New Deal del nuovo presidente Roosvelt, che prevedeva una serie di misure in diversi campi:  Nel settore industriale, fu approvata una legge, il Nira (National Industrial Recovery Act). Si favorì la concentrazione delle imprese per diminuire i costi, e si fissarono per ogni ramo industriale dei codici, che fissavano i prezzi, i salari e l’orario di lavoro. Lo scopo era quello di rilanciare l’attività produttiva ed evitare la sovrapproduzione.  Nel settore agricolo, il governo americano ritirò le eccedenze dal mercato e concesse sussidi a chi riduceva le terre coltivate, nonché un’indennità a chi lasciava i propri campi a maggese o vi coltivava leguminose.  In campo bancario una legge pose fine alle banche miste e stabilì una netta distinzione fra banche commerciali e banche d’investimento.  Venne creato un piano di sviluppo della valle del Tennessee, mediante la creazione di un ente federale la Tennessee Valley Authority (Tva), e fu avviato un vasto piano di lavori pubblici.  22.4. L’intervento statale nei paesi europei La Gran Bretagna incoraggiò le fusioni di imprese e la razionalizzazione dei settori in crisi. Per combattere la disoccupazione, il governo incentivò con sussidi la creazione di fabbriche nelle zone depresse. In Francia si puntò su un incremento dei salari, in seguito agli accordi fra imprenditori e lavoratori promossi dal governo del Fronte popolare. La riduzione della settimana lavorativa e una politica di grandi opere pubbliche avevano lo scopo di ridurre la disoccupazione e fornire potere d’acquisto ai lavoratori. In Germania il nuovo governo nazista di Adolf Hitler, introdusse piani quadriennali. Il primo piano si propose di ridurre la disoccupazione mediante l’avvio di lavori pubblici e favorendo la concentrazione industriale. Il secondo piano puntò sulla realizzazione dell’autarchia, vale a dire dell’autosufficienza economica, ma il suo reale obbiettivo era il riarmo della Germania. 54 In Italia l’intervento dello Stato fu particolarmente deciso e si orientò verso l’autarchia. Nel settore industriale si favorirono la concentrazione e varie forme di consorzi e di intese per ridurre la concorrenza e i costi di produzione. Furono inoltre realizzate numerose opere pubbliche e concessi assegni familiari ai lavoratori e si estesero le assicurazioni sociali. Le banche miste sostennero il processo di concentrazione. Le principali banche di si trovarono sull’orlo del fallimento e il governo dovette intervenire per salvarle. Nel 1933 fu costituito l’Iri (istituto per la ricostruzione industriale) che assunse le partecipazioni industriali possedute dalle banche salvate con lo scopo di rivenderle successivamente a privati, ma non ci riuscì perciò dovette conservare i pacchetti azionari e costituire diverse holding per gestirli (es. Fincantieri, Fin meccanica).  22.5. La Seconda guerra mondiale Molto più della prima questa fu una guerra “mondiale”. Provocò danni enormi, specialmente a causa dei bombardamenti che distrussero città, porti e impianti industriali. Questa volta la guerra fu preparata e scoppiò nel 1939 quando dopo l’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, la Francia e la Gran Bretagna dichiararono guerra alla Germania; una guerra che si protrasse fino al 1945. In seguito (1940-­­41) furono coinvolti moltissimi paesi, Russia e Stati Uniti che si schierarono contro la Germania mentre Italia e Giappone che invece si allearono con essa. La capacità produttiva dei belligeranti fu determinante e la produzione industriale crebbe enormemente. L’organizzazione dell’economia di guerra fu accuratamente preparata. Gli Alleati attuarono nuovamente il blocco contro la Germania. Gli Stati Uniti, non subendo la guerra sul proprio territorio poterono sfruttare al massimo la loro capacità produttiva. L’evoluzione tecnica subì una forte accelerazione in tutti i campi ma soprattutto in quello della chimica. Fu inventato il radar e si portarono avanti sperimentazioni sui razzi e sull’utilizzazione dell’energia atomica. Il costo della guerra fu 5 volte quello della Prima guerra mondiale, fu finanziato con l’imposizione fiscale, il debito pubblico e i debiti con le banche e interalleati grazie ai quali gli Stati Uniti si arricchirono notevolmente.    PARTE TERZA -­­ L’ECONOMIA CONTEMPORANEA (1950-­­2012) 57 ad alimentare numerosi metodi di trazione e diverse macchine che lo utilizzano per la combustione. Anche l’estrazione del gas naturale, soprattutto in Cina e negli Stati Uniti, costituisce un importante fonte di energia. L’industria automobilistica è diventata l’industria simbolo di questo periodo. Oggi sono in circolazione più di un miliardo di autoveicoli. L’utilizzazione delle autovetture richiede l’esistenza di un efficiente rete stradale e ciò diede impulso alla costruzione di grandi autostrade. L’industria aereonautica produsse una gran quantità di aerei sia per scopi commerciali che turistici, fu necessario costruire giganteschi aeroporti in tutto il mondo e finirono i viaggi per mare sulle lunghe distanze. Si diffusero anche i treni ad alta velocità. Tra le nuove industrie possiamo annoverare le centrali nucleari, che producono energia elettrica attraverso l’utilizzo di uranio arricchito (uranio 235), e le industrie aereospaziali che determinarono una lotta per la conquista dello spazio che contrappose Stati Uniti e Unione Sovietica. 24.3. La rivoluzione informatica Le innovazioni più rivoluzionarie ebbero luogo nel campo dell’elettronica, lo sviluppo della tecnologia si basò su alcune fondamentali scoperte (diodo, triodo), alle quali si affiancò nel 1948 quella del transistor; vi fu una tendenza crescente alla miniaturizzazione e alla produzione di microelettronica. Lo sviluppo dell’elettronica è normalmente associato a quello del calcolatore e quindi dell’informatica. Il primo calcolatore apparve negli anni 40 con il grande elaboratore. Negli anni Settanta apparvero i minielaboratori e nel decennio successivo i microelaboratori (personal computer) che trasformarono radicalmente l’informatica. La rivoluzione informatica aveva preso piede. Le trasformazioni indotte dalla tecnologia hanno portato a una disoccupazione tecnologica grazie all’introduzione di nuove apparecchiature “labour saving” 24.4. Verso una nuova rivoluzione tecnologica L’uso dei combustibili fossili non può durare ancora per molto tempo dato che la loro quantità è limitata. Eppure tutte le attività economiche sono oggi dipendenti dai combustibili fossili, il cui utilizzo è inoltre la principale causa del surriscaldamento del Pianeta. Negli ultimi anni si è preso coscienza della necessità di ricorrere a fonti energetiche rinnovabili, queste sono alla base di quella che si chiama economia verde o green economy. Si prevede in particolare la diffusione delle cellule fotovoltaiche e nel campo dei trasporti dei veicoli elettrici, che sostituiranno il motore a scoppio. Insomma è in atto una nuova rivoluzione tecnologica che dovrebbe gradualmente portare all’impiego di fonti di energia rinnovabili. L’Unione Europea ha dottato la cosiddetta strategia 20-­­ 20-­­20 con la quale entro il 2020 i paesi europei dovranno: ridurre almeno del 20% l’emissione di gas serra rispetto al livello del 1990, una riduzione del 20% del consumo di energia previsto, accrescendo l’efficienza energetica e una produzione di almeno il 20% dell’energia consumata con fonti rinnovabili. 24.5. La Terziarizzazione dell’economia 58 L’elemento che maggiormente ha caratterizzato questo periodo è stato lo sviluppo del settore terziario diventato il settore predominante dell’economia. Si parla di terziarizzazione dell’economia, di deindustrializzazione o anche di società postindustriale. Aumentano notevolmente i servizi pubblici e privati a disposizione della collettività. Permane il problema del calcolo della quota del Pil da attribuire agli stessi, e anche della misurazione della loro produttività. Si determina una maggiore presenza delle donne nel mondo del lavoro. Il settore terziario ha messo a disposizione delle persone, delle imprese e delle istituzioni una vasta gamma di servizi. Il commercio interno fu caratterizzato da una rapida diffusione di supermercati, centri commerciali, discount e dalla diffusione del commercio elettronico tramite gli acquisti via internet. Il commercio estero dopo le difficoltà degli anni Trenta fu agevolato nella maggior parte dei paesi da una politica di libero scambio, dal ripristino di un sistema di cambi fissi e dalla costituzione di organizzazioni internazionali. Il sistema bancario ha subito profonde trasformazioni. Le banche estesero la loro attività a una vasta gamma di servizi rivolti a molti soggetti, col processo di concentrazione si formarono grandi gruppi bancari e le banche aprirono filiali all’estero diventando esse stesse multinazionali. Dagli anni Settanta dappertutto si affermò la banca universale, ossia un tipo di azienda di credito in grado di servire qualsiasi servizio ai clienti. Si diffuse la carta di credito e quindi la moneta elettronica. Il turismo diventò di massa e acquistò notevole rilevo economico grazie all’aumento medio del reddito e all’evoluzione dei mezzi di trasporto. 25. LA RICOSTRUZIONE DELL’ECONOMIA MONDIALE 25.1. Gli accordi politici: Yalta e Onu Le intese più politiche furono quelle di Yalta e di San Francisco. Alla conferenza di Yalta (1945) si incontrarono il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosvelt, il primo ministro britannico Winston Churchill e Josif Stalin per l’Unione Sovietica. Questa portò alla divisione del mondo in due zone di influenza: americana e sovietica, si estese sull’Europa quella che Churchill chiamò “cortina di ferro”, ed era iniziata la cosiddetta Guerra fredda. La Germania fu divisa in due Stati: a ovest la Repubblica Federale Tedesca e a est la Repubblica Democratica Tedesca. Berlino fu divisa in quattro zone una controllata dai Sovietici e le altre tre da Francesi Inglesi e Americani; fu eretto un lungo muro che divideva la parte est dalla parte ovest che rimase in piedi quasi 30 anni. A San Francisco nacque nel 1947 l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) con lo scopo di matenere la pace e la sicurezza, realizzare cooperazione internazionale in campo economico, sociale,culturale e umanitario e promuovere il rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti dell’uomo. I paesi aderenti aumentarono progressivamente fino a comprendere tutti gli Stati indipendenti della Terra. I cinque paesi vincitori della guerra si riservarono il “diritto di veto”. 25.2. Gli accordi economici: Bretton Woods e Gatt A Bretton Woods i rappresentanti di 44 paesi ripristinarono, nel 1944 un sistema monetario internazionale basato sui cambi fissi. Si diede vita a un nuovo gold exchange standard stabilendo la sola convertibilità in oro del dollaro da parte delle banche centrali. Ogni paese doveva definire in oro la propria moneta dichiarandone la parità, in modo da poter determinare il cambio fra tutte le 59 monete, questa poteva oscillare entro una banda dell’ 1 % in più o in meno ed era compito delle banche centrali d’intervenire sul mercato dei cambi per assicurare il rispetto di tali limiti . Quando la banca centrale non possedeva una sufficiente quantità di valuta straniera poteva attingere al Fondo monetario internazionale (Fmi). Sorse anche la Banca Mondiale, che era stata istituita per finanziare la ricostruzione postbellica. A Ginevra nel 1947, 23 paesi firmarono il General Agreement on Tariffs and Trade (Gatt). Questo si proponeva come obbiettivo la fine degli accordi bilaterali e l’affermazione della multilateralità nei rapporti commerciali internazionali, mediante l’applicazione della clausola della nazione più favorita e la progressiva riduzione delle barriere doganali. Nel corso della sua esistenza si tennero diversi lunghi negoziati o round, i più importanti furono: il Kennedy Round, il Tokyo Round e l’Uruguay round. Al termine di quest’ultimo i rappresentanti di 125 paesi formarono la World Trade Organization (Wto), il cui scopo principale era favorire il commercio internazionale attraverso la liberalizzazione dei traffici. 25.3. Il Piano Marshall Durante la guerra, gli Stati Uniti avevano rifornito i loro alleati di materiale bellico e altri beni di prima necessita, venduti con lunghe dilazioni nei pagamenti. Alla fine del conflitto risultarono creditori netti di oltre 40 miliardi. L’Europa, che versava in condizioni drammatiche, non avrebbe mai potuto ripagare il suo debito. Gli Americani maturarono allora la convinzione che fosse nel loro interesse favorire la ricostruzione di tutti i paesi alleati e sconfitti destinati a diventare loro partner economici. Nel 1948 fu approvato dal Congresso l’Erp (European Recovery Program) meglio noto come Piano Marshall, la cui gestione fu affidata all’Eca (Economic Cooperation Administration) un organismo del governo con sede a Washington. I paesi europei che non aderirono all’Erp, si associarono nell’ Oece (Organizzazione europea per la cooperazione economica). I governi dei vari paesi formulavano un piano di interventi con le loro richieste e lo inviavano all’ Oece, che lo esaminava e lo trasferiva all’Eca in America. L’Oece terminato il suo compito continuò a promuovere la cooperazione fra i diciotto paesi. L’Oece si trasformò nel 1961, in Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) con l’ulteriore partecipazione anche di Stati Uniti e Canada, con lo scopo di favorire l’espansione economica degli stati membri e lo sviluppo del commercio estero su base multilaterale. 25.4. L’economia mista e il Welfare State La contrapposizione fra modello capitalista e socialista e la necessità di evitare movimenti rivoluzionari, portarono all’affermazione in molti paesi dell’Europa occidentale di un economia mista, attuata attraverso riforme politiche, sociali ed economiche. Furono nazionalizzati importanti rami dell’economia e si avviò una politica di pianificazione. Le nazionalizzazioni, non furono statizzazioni. Le imprese continuarono a operare in un regime di libero mercato e goderono di una loro autonomia, pur essendo di proprietà pubblica. In Italia fu nazionalizzata la produzione e la distribuzione dell’energia elettrica e venne costituito l’Enel. La pianificazione, fu adottata in alcuni paesi europei in forma molto diversa da quella sovietica. Essa non fu coercitiva ma solamente indicativa e si fondò su un accordo fra le parti sociali (imprenditori e sindacati). 62 26.5. Stagflazione e disoccupazione Per la prima volta in un lungo periodo inflazionistico si verificò in tempo di pace e contemporaneamente a una fase negativa del ciclo economico, sicché si coniò il termine stagflazione, proprio per indicare la coesistenza di stagnazione e inflazione. Questa fu causata dall’aumento del prezzo del petrolio, l’aumento dei salari rivendicato dai sindacati e l’aumento della domanda di beni dovuto all’incremento demografico. La disoccupazione assunse dimensioni simili a quelle dell’immediato dopoguerra. Aumentarono dappertutto le libertà di assumere e di licenziare dipendenti e la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato. La tecnologia continuava a realizzare notevoli progressi e l’automazione industriale, fece parlare alcuni economisti di “jobless growth”. 26.6. Dal fordismo al postfordismo A partire dagli anni Settanta, il modello fordista entrò in crisi per diverse ragioni. Innanzitutto la possibilità di realizzare economie di scala si andava esaurendo. La produzione infatti richiedeva la costruzione di nuovi impianti una volta sfruttati a pieno quelli esistenti, la loro capacità produttiva però, non sarebbe stata completamente utilizzata, provocando un aumento dei costi unitari. Inoltre i mercati si stavano saturando per via della stabilizzazione della domanda a livelli più bassi. Si andò affermando allora il nuovo modello della produzione snella (lean production) che venne sperimentato per primo dalla fabbrica automobilistica giapponese Toyota. Questo si fondava su una maggiore flessibilità operativa. Con il decentramento produttivo le grandi imprese avrebbero affidato determinate operazioni o lavorazioni ad aziende più piccole sulle quali scaricavano il rischio di impresa. Con la delocalizzazione, le imprese trasferivano alcune fasi del processo produttivo o l’intero processo dove vi erano condizioni più favorevoli. Questo modello più leggero, agile e capace di adattarsi alle variabili esigenze della produzione prese il nome di modello postfordista, e stimolò la nascita di moltissime piccole e medie imprese. 27. NEOLIBERISMO E GLOBALIZZAZIONE 27.1. Le politiche neoliberiste Con la svolta degli anni Settanta si modificò il ruolo dello Stato nell’economia. Mentre Keynes ritenne che l’intervento statale era l’unico modo per rimediare alle carenze del capitalismo e del mercato, e quindi di assicurare pieno impiego dei fattori produttivi, i liberisti ritenevano che il mercato sarebbe stato capace di risolvere autonomamente la crisi, e perciò che lo Stato dovesse limitarsi alle sue funzioni essenziali predisponendo solo un insieme di regole generali. A partire dalla Grande depressione degli anni Trenta le teorie keynesiane presero il sopravvento su quelle liberiste che non erano più considerati idonei ad affrontare i problemi delle complesse economie moderne. Esauritasi la fase espansiva del dopoguerra, i neoliberisti ripresero il sopravvento con teorie rielaborate e più sofisticate di quelle precedenti. Per risolvere il problema dell’inflazione essi ritenevano necessario un sostegno della domanda attuando una politica dal lato dell’offerta. 63 Secondo questa teoria era necessario: attuare una decisa deregolamentazione dei mercati e anche forti sgravi fiscali.  27.2. La globalizzazione Le politiche neoliberiste favorirono la globalizzazione dell’economia, con cui si intende il fenomeno che ha portato alla formazione di un mercato mondiale dei fattori della produzione, dei prodotti, dei servizi e dei capitali. Questa fu caratterizzata dal trionfo delle imprese multinazionali ormai trasformatisi in imprese transnazionali, nelle quali le unità che svolgono la loro attività all’estero godono di una più ampia autonomia operativa. La conseguenza fu un’enorme intensificazione degli scambi e degli investimenti internazionali, causa di una crescente interdipendenza delle diverse economie. Le classi medie hanno incrementato i loro consumi e crescono a ritmo elevato, esse costituiscono l’elemento propulsivo dello sviluppo economico e sociale di un paese. 27.3. La globalizzazione finanziaria Una particolare importanza riveste la globalizzazione finanziaria, che ha portato alla formazione di un mercato mondiale dei capitali, sul quale essi si muovono in tempo reale da una parte all’altra del Pianeta. Ciò ha prodotto un’espansione senza precedenti dell’economia finanziaria, che in genere viene contrapposta alla cosiddetta economia reale, costituita dalla produzione e dalla vendita di beni e servizi. Si parla anche di finanziarizzazione dell’economia per indicare il ruolo predominante che la finanza ha assunto nell’economia dei principali Paesi, come Stati Uniti, Unione Europea e Giappone, che da soli gestiscono la stragrande maggioranza del sistema finanziario mondiale. I capitali in cerca di investimenti provengono principalmente dalle banche e dagli investitori istituzionali. Gli investitori istituzionali sono società o enti, obbligati, per legge o per il loro statuto, a impiegare i fondi disponibili in titoli o immobili: si tratta prevalentemente di fondi comuni, di fondi pensione e di compagni di assicurazione. I capitali gestiti da banche e investitori istituzionale appartengono, perciò, ai depositanti (quelli affidati alle banche), ai risparmiatori in cerca d’impiego (fondi comuni), ai lavoratori (fondi pensione) e agli assicuratori (compagnie di assicurazione). I manager di queste istituzioni guidano la finanza internazionale e influenzano l’andamento dei mercati. Il sistema finanziario internazionale, perciò, è costituito da una quantità enorme di rapporti di credito e debito, i cui titolari sono sparsi nel mondo intero. Negli ultimi decenni gli investimenti finanziari hanno assunto sempre più un carattere fortemente speculativo, nel senso che gli investitori puntano al guadagno immediato sia con la classica compravendita di titoli, sia soprattutto con altre forme di contrattazioni, che si sono notevolmente diffuse all’inizio del nostro secolo. Si tratta di operazioni note da tempo, ma che di recente hanno assunto caratteri particolari, come i contratti a termine e le operazioni di “arbitraggio”. Specialmente dopo il 2000, gli strumenti finanziari si sono moltiplicati per il gran numero di derivati che sono stati immessi sul mercato. Con questo termine si fa riferimento a titoli il cui valore dipende da un valore sottostante, che può essere qualsiasi cosa (merce, titoli, tassi d’interesse, ecc). Un particolare tipo di derivati è costituito dai titoli emessi in seguito a operazioni di cartolarizzazione, alle quali ricorrono le banche per mobilizzare i loro crediti. Una banca, difatti, può vendere una parte dei suoi crediti ad un’apposita società detta “società veicolo”, la quale sulla base di tali crediti emette proprie obbligazioni che colloca sul mercato. Con il ricavato della cessione, la banca può concedere nuovi mutui. Ovviamente il rimborso dei titoli derivati emessi dalla società veicolo e il pagamento dei relativi interessi, dipenderà dalla regolare riscossione dei crediti 64 acquistati. Se ciò non avviene, gli investitori grandi e piccoli che hanno sottoscritto tali derivati potrebbero avere grandi perdite. Le società che hanno acquistato i derivati emessi a seguito della cartolarizzazione possono a loro volta cederli ad un’altra società veicolo, che emetterà nuovi titoli. Dopo alcuni di questi passaggi non si saprà più da che cosa o da chi siano garantiti i titoli emessi e collocati sul mercato. L’economia finanziaria è aumentata in misura eccezionale nel primo decennio di questo secolo. La finanziarizzazione ha coinvolto anche le grandi imprese industriali e commerciali. Gli investitori istituzionali, difatti, hanno investito parte dei fondi disponibili in pacchetti azionari di grandi imprese, tanto che oggi sembra che posseggano più della metà dei titoli quotati nelle Borse mondiali. Siccome essi mirano esclusivamente a ottenere buoni risultati dal loro investimento, impongono ai dirigenti delle imprese di impegnarsi principalmente per far aumentare il valore delle azioni della società, mediante il raggiungimento di elevati rendimenti nel breve periodo. Perciò, i manager delle grandi imprese hanno cominciato a tenere presenti innanzitutto gli interessi degli azionisti, sacrificando quelli degli altri portatori di interesse verso l’impresa (stakeholder), come dipendenti, fornitori, clienti, banche finanziatrici e comunità locali. La finanziarizzazione dell’economia ha rafforzato l’idea che il denaro debba frut tare un interesse solo perché è denaro e non – come sarebbe più giusto e logico ritenere – perché è investito in un’attività produttiva dalla quale si ricava un profitto che deve remunerare, oltre all’imprenditore, anche chi ha fornito i capitali, oppure perché è prestato dallo Stato che lo impiega a favore della collettività. 28. SVILUPPO E SOTTOSVILUPPO 28.1. Lo sviluppo ineguale L’eccezionale sviluppo dell’economia mondiale nella seconda metà del Novecento produsse un ulteriore forte divario fra paesi ricchi e paesi poveri. Solo l’Europa occidentale raggiunge un Pil pro capite pari a poco di più di due terzi di quello degli Stati Uniti. L’ex Unione Sovietica, l’Europa orientale, l’Asia e l’America Latina producono un Pil che si colloca fra il 21 e il 28% di quello americano, mentre l’Africa arriva solo al 12%. Negli ultimi tempi il mondo sembra potersi dividere in tre diverse parti: i paesi sviluppati, i paesi in via di sviluppo e i paesi arretrati. A partire dagli anni Novanta è stato messo a punto un nuovo indice, l’Indice di sviluppo umano (Hdi). Esso tende a misurare non solo la ricchezza ma anche il benessere e si basa su parametri che riguardano tre dimensioni fondamentali dello sviluppo: il livello culturale (tasso di alfabetizzazione e accesso all’istruzione) la durata della vita (speranza di vita alla nascita) e la quantità di ricchezza disponibile (Pil pro capite). Questo può variare tra 0 e 1 e l’Italia con 0,881 occupa il venticinquesimo posto. Le principali economie del mondo sviluppato continuano ad essere l’Unione europea, gli Stati Uniti e il Giappone. Per indicare i maggiori cinque stati emergenti è stato coniato l’acronimo Brics (Brasile, Russia,India, Cina, Sud Africa). I principali ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali delle maggiori potenze cominciarono a riunirsi periodicamente nel 1975 prima nel G6 e successivamente nel G7,G8 e attualmente G20. 28.2. Il processo di decolonizzazione 67 Nel 2010 e nel 2011 vi furono segni di ripresa nei principali paesi industrializzati, ma la crisi non era terminata. Essa si ripresentò sotto altre forme, o se si preferisce, si manifestò una nuova crisi che si innestò su quella precedente e interessò i debiti sovrani (debito pubblico) di alcuni Stati europei, come Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e infine l’Italia, sui quali si concentrò la speculazione. Gli investitori furono influenzati dalle valutazioni delle agenzie di rating (società private che valutano la solvibilità dei titoli privati e pubblici), che continuavano a declassare i titoli pubblici dei paesi maggiormente indebitati. La Grecia fu particolarmente coinvolta poiché il suo governo aveva tenuto nascosto l’enorme debito pubblico e l’elevato deficit del bilancio statale; perciò, per ottenere aiuti finanziari dall’Unione Europea, il governo ellenico dovette intervenire più volte con tagli alle spese pubbliche, licenziamento di dipendenti pubblici e aumento dei tributi, imponendo notevoli sacrifici ai cittadini. Si dovette anche decidere di non rimborsare per intero il debito pubblico ai risparmiatori privati (banche comprese), che persero più della metà dei loro crediti, il che equivaleva a un parziale fallimento del Paese. La possibilità che la Grecia diventasse insolvente provocò un persistente stato d’instabilità sui mercati borsistici mondiali, perché ciò avrebbe messo in difficoltà la sopravvivenza stessa della nuova moneta europea, l’euro, alla quale anche la Grecia aveva aderito. In sei anni di crisi, dal 2008 al 2013, la Grecia perse un quarto del proprio Pil complessivo. Intanto la crisi dei debiti sovrani si estendeva all’Irlanda, alla Spagna e al Portogallo, che stavano vivendo momenti difficili in seguito alla crisi del 2008-09, e che furono contagiati dalla situazione greca. La speculazione, cioè, si accanì anche contro questi Paesi, i quali dovettero assumere duri provvedimenti di austerità per salvarsi dal rischio d’insolvenza, continuamente ventilato dalle agenzie di rating, che peggioravano le loro valutazioni. Nell’estate del 2011 maturò anche la crisi italiana, il cui debito pubblico complessivo era giunto a quasi il 120% del Pil. Il debito veniva da lontano, ossia dagli anni Ottanta, quando in appena una dozzina d’anni era passato dal 60 al 120% del Pil e, tranne qualche effimera riduzione, si era mantenuto intorno a quel livello. I governi non erano stati in grado di ridurlo, dato che ciò significava assumere decisioni importanti, come l’aumento delle imposte o la riduzione delle spese. Quando la speculazione si rivolse anche al debito pubblico italiano, i titoli si poterono collocare sul mercato solo garantendo rendimenti più alti, con un aggravio di costi per lo Stato che doveva pagare interessi più elevati per continuare a finanziarsi. L’Unione Europea chiese all’Italia di adottare drastiche misure di risanamento dei conti pubblici, per tentare di mantenere la stabilità dell’euro ed evitare spinte inflazionistiche. L’Italia aveva conosciuto una crescita contenuta negli anni precedenti la crisi e la situazione si era aggravata successivamente. Si registrarono non solo un forte calo della produzione industriale, e un incremento della disoccupazione, ma anche un rilevante ritiro di investimenti esteri e un aumento del debito pubblico. Ma ormai era tutta l’Europa a trovarsi di nuovo in recessione. Le politiche di austerità e di risanamento dei conti pubblici seguite da diversi paesi cominciarono ad essere criticate da alcuni economisti, che ritenevano necessario adottare politiche di sostegno della domanda. Essi suggerivano di ricorrere a un ulteriore indebitamento pubblico, mediante l’emissione di titoli, da vendere alle banche centrali, che vi avrebbero provveduto con la stampa di nuova moneta, senza rischio di spinte inflazionistiche. Peraltro, si riteneva che le politiche di austerità fossero di ostacolo alla ripresa economica. Dall’estate del 2001, la Banca Centrale Europea decise di provvedere direttamente all’acquisto sul mercato di titoli di Stato, immettendo liquidità nel sistema, come stavano facendo le banche centrali di altri Paesi (Stati Uniti, Regno Unito e Giappone). Successivamente, gli interventi della Banca Centrale Europea si fecero sempre più incisivi fino ad adottare, la politica del quantitative 68 easing, consistente nell’acquisto sistematico di titoli pubblici o privati mediante la stampa di nuova moneta. Tale politica espansiva, si proponeva di sostenere la ripresa economica manifestatasi dal 2014, garantendo finanziamenti alle famiglie e alle imprese per sostenere consumi e produzione, poi di provocare una riduzione dei tassi di interessi sui titoli pubblici e, infine, di portare l’inflazione intorno al 2 % annuo, con lo scopo di stimolare la ripresa produttiva. 29.3. Gli effetti della Grande recessione La Grande recessione ha inciso profondamente sulle economie dei paesi più avanzati ed ha provocato una riduzione della distanza con i paesi in via di sviluppo. Nel 2009, tutte le economie del G20, con l’eccezione di Cina, India, Indonesia e Corea del Sud, accusarono una riduzione del Pil pro capite rispetto all’anno precedente, che già aveva visto arretrare alcune economie, come Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia e Giappone. Sempre in base al Pil pro capite, la crisi del 2012-13 fu meno grave e riguardò sostanzialmente i paesi europei. Fra i paesi del G20, soltanto l’Italia segnò un arretramento di qualche rilievo. Nel 2016, quando ormai la crisi sembrava superata, erano chiari i segni che essa aveva lasciato. In nove anni, il Pil pro capite dell’Unione Europea era cresciuto appena di poco più di 3 punti percentuali, con la sola Germania che aveva realizzato una crescita di nove punti e con l’Italia che faceva ancora segnare una perdita del Pil pro capite di oltre dieci punti rispetto al 2007. Gli Stati Uniti raggiunsero un incremento nel 2016 del 4,4%. Le economie emergenti fecero registrare una crescita, in alcuni casi spettacolare, come quella della Cina e dell’India. La Cina aveva realizzato un incremento del Pil pro capite del 64%, conservando elevati tassi di incremento annuo. L’altra grande economia emergente, l’India, fece registrare un incremento di quasi il 65% e l’Indonesia del 44,5%. Se, infine, si considera il Pil pro capite mondiale, si può osservare come in tutti gli anni compresi fra il 2007 e il 2016 esso sia stato costantemente in crescita. Nel 2013 era cresciuto del 11% rispetto al 2007 e nel 2016 di quasi il 19%. La Grande recessione di inizio 21° secolo è stata senza dubbio meno grave. Durante il lungo periodo di crisi si è registrata una profonda divaricazione fra le prime quattro grandi economie (Francia, Germania, Italia e Regno Unito). Fino al 2005, difatti, il Pil pro capite in valori costanti di questi Paesi mostra una tendenza alla convergenza, per poi allagarsi notevolmente. Nel 1990 la differenza fra il Pil pro capite più alto e quello più basso superava i 4.500 dollari. Nel 2005, tale differenza si era ridotta a meno di 1.200 dollari. Nel 2013, invece, la differenza era cresciuta a quasi 8.700 dollari e nel 2016 a quasi 9.500 dollari, con il Pil pro capite italiano a livelli inferiori di quello di prima della crisi. La lunga crisi ha anche contribuito a far aumentare, nei paesi dove si è maggiormente sviluppata, il divario fra diverse categorie sociali. Una larga fetta della classe media è stata sospinta verso livelli più bassi di reddito e le giovani generazioni stentano a trovare un’occupazione. Se, tuttavia, molte famiglie sono riuscite a resistere meglio che non durante la depressione degli anni Trenta del Novecento, ciò è dovuto oltre che alla minore intensità della recessione anche alle strutture del Welfare State, le quali, nonostante siano state ridimensionate, restano ancora vitali, specialmente in Europa, dove sono in grado di garantire pensioni, assistenza medica, istruzione pubblica e sostegno alle famiglie. 30. LE ECONOMIE SVILUPPATE STATI UNITI E GIAPPONE 69 30.1. L’egemonia degli Stati Uniti Durante il conflitto gli Stati Uniti sfruttarono a pieno la loro capacità produttiva e incrementarono la produzione agricola e industriale per soddisfare la forte domanda bellica. La tecnologia americana fu esportata ovunque e in Europa prese avvio una sorta di processo di “americanizzazione” che si rifaceva all’economia statunitense come al modello da imitare. Gli Stati Uniti erano definitivamente la maggior potenza, militare economica e politica del Pianeta, si sentivano responsabili della grande missione di combattere il comunismo mondiale e affermare e diffondere i loro principi. Il dollaro, posto alla base del sistema monetario internazionale, divenne la moneta dei pagamenti internazionali privilegiando l’America. La crescita riguardò tutti i settori dall’agricoltura al commercio estero e a quello interno, dalle banche al turismo. Le imprese continuarono a ingrandirsi le corporations divennero più numerose e si diffuse l’impresa multidivisionale (composta da più settori con autonomia funzionale e 70 gestionale), si realizzò la separazione fra la proprietà, estremamente frazionata, e il management aziendale. Il punto debole dell’egemonia americana risiedeva nella sua dipendenza dalle importazioni per l’approvvigionamento delle materie prime soprattutto delle fonti energetiche (petrolio). 30.2. La reaganomics Negli anni Settanta, la fase di stagflazione portò alla vittoria di Ronald Reagan alle elezioni del 1980 e all’adozione della politica neoliberista che da quel presidente prese il nome di: reaganomics. Si cercò di incentivare la domanda con la diminuzione delle imposte, specialmente sui redditi medio-­­alti, e si sostenne l’offerta mediante misure significative di deregolamentazione per dare maggiore libertà alle imprese. La deregolamentazione riguardò soprattutto il sistema bancario, le banche si orientarono verso il tipo di banca universale, con l’abolizione della distinzione fra banche commerciali e banche d’investimento. Le disuguaglianze sociali aumentarono a causa soprattutto della riduzione delle imposte sui redditi più elevati, sia per i tagli dei fondi per l’assistenza ai disoccupati e agli indigenti. Le elevate spese per la difesa, ritenute necessarie per contrastare l’Unione Sovietica, ebbero una funzione propulsiva dell’economia e servirono anche a evitare la sovrapproduzione di beni di consumo. Queste però non consentirono di diminuire il deficit statale e a partire dagli anni Ottanta gli Stati Uniti divennero debitori, perché importavano capitali indebitandosi verso l’estero. Nonostante qualche difficoltà l’economia americana continuò a crescere e nella seconda metà degli anni Novanta conobbe un lungo ciclo espansivo che fece scomparire il disavanzo del bilancio statale e ridurre il debito pubblico. 30.3. La crisi e le trasformazioni della società americana Ancora una volta, come nel 29, gli Stati Uniti e il mondo dovettero affrontare una crisi di sovrapproduzione, manifestatasi con la caduta dei consumi e con l’impossibilità di assorbire la gran quantità di manufatti che l’apparato industriale era in grado di produrre. La società americana stava subendo profonde trasformazioni. Il sogno americano cominciava a venir meno e diventava sempre più difficile aspirare a migliorare significativamente la propria condizione economica e sociale. 72 State che avviarono un vasto programma di edilizia pubblica, forme di assistenza ai lavoratori e ai cittadini e il miglioramento del sistema dell’istruzione. L’economia riprese a crescere lentamente fino alla dura crisi petrolifera che bloccò nuovamente l’economia britannica. Negli anni Ottanta la politica neoliberista di Margaret Thatcher portò alla privatizzazione di molte industrie statali, alla riduzione della spesa pubblica, con conseguente peggioramento della qualità dei servizi, e a un processo di ristrutturazione industriale. Negli anni Ottanta e Novanta si svilupparono nuovi settori in particolare l’elettronico. La Gran Bretagna dal 1975 iniziò a sfruttare ricchi giacimenti di petrolio scoperti nel Mare del Nord. Negli ultimi anni Novanta conobbe una crescita accelerata che le consentì di recuperare il ritardo accumulato nei confronti degli altri paesi. La City di Londra diventò il centro finanziario mondiale. La Gran Bretagna decise di non aderire all’euro e conservare la sterlina. 31.4. L’economia francese In Francia la popolazione era rimasta praticamente invariata nei cinquant’anni precedenti, l’economia era chiusa verso l’esterno e riusciva a sostenersi solo con misure protezionistiche. Lo Stato, non aveva né gli strumenti né la volontà per impegnarsi a fondo in un’efficace politica economica. All’indomani della liberazione la Francia fu capace di uno slancio nazionale e di riprendersi rapidamente. La ricostruzione fu realizzata a tempo di record. L’obbiettivo fu la modernizzazione sotto la guida dello Stato. Così la Francia si indirizzò verso una forma di economia mista con la creazione di un ampio settore pubblico. Il primo passo fu la nazionalizzazione e successivamente l’introduzione della pianificazione economica di Jean Monnet mediante l’approvazione di piani quadriennali. Lo Stato promosse anche l’apertura dell’economia verso l’esterno. La popolazione rinnovato il clima di fiducia riuscì finalmente a crescere e si incrementò del 60%. La crisi petrolifera indusse la Francia a puntare sulle centrali nucleari per la produzione di energia elettrica, in questo campo, è ora seconda solo agli Stati Uniti. Dopo la crisi la politica economica fu caratterizzata da un alternarsi di privatizzazioni e nazionalizzazioni. 31.5. Le due Germanie La Germania rimase senza governo fino al 1949. Gli occupanti cominciarono subito a smantellare l’industria degli armamenti e altre industrie pesanti, così da impedire alla Germania di ricostruire un apparato produttivo e una concentrazione economica capace di dar via a un altro conflitto. Furono smembrate le grandi imprese e le grandi banche, nel 1948 gli Americani introdussero una nuova moneta, il Deutsche Mark, senza consultare i Sovietici. Questo provvedimento acuì i contrasti fra le potenze occupanti e portò alla definitiva divisione della Germania in due Stati separati:  La Germania occidentale, Repubblica federale tedesca (Americani) Era la parte più industrializzata e meglio dotata di risorse naturali. Il clima della Guerra fredda indusse gli Americani a interrompere gli smantellamenti e a avviare un programma di ricostruzione e sviluppo, inserendola nel Piano Marshall, con lo scopo di trasformarla in un alleato in funzione anticomunista. Da allora ebbe inizio il miracolo economico tedesco. La Repubblica Federale Tedesca si ispirò a un’economia sociale di mercato, cioè una forma di economia mista basata sul libero mercato che prevede un’incisiva azione pubblica per perseguire la giustizia sociale e la solidarietà fra le diverse componenti della collettività.  La Germania orientale, Repubblica Democratica Tedesca (Sovietici) Nacque come uno Stato accentrato e attuò, sull’esempio sovietico, l’economia pianificata. Essa costituiva la parte meno sviluppata della Germania. 73 31.6. La riunificazione tedesca La riunificazione fu realizzata nel 1990 dopo la fine del regime comunista nella Germania orientale. Avvenne pacificamente per annessione, i territori orientali chiesero di entrare a far parte della Repubblica Federale Tedesca come nuovi Lander. Il costo dell’operazione fu molto elevato, i Tedeschi dell’Est indussero il governo a fissare la conversione del marco orientale con quello occidentale alla pari, mentre valeva molto di meno. Per affrontare le spese ingenti il governo dovette ricorrere a nuove imposte, per la modernizzazione delle infrastrutture e il risanamento dell’apparato industriale della parte orientale. Negli anni Novanta, perciò l’economia rallentò la sua crescita e furono necessari dolorosi interventi di ristrutturazione produttiva e di riduzione delle spese pubbliche. 32. L’ECONOMIA ITALIANA 32.1. La ricostruzione Le condizioni dell’Italia alla fine del secondo conflitto mondiale, erano disastrose. Essa subì ingenti danni al patrimonio abitativo e dei trasporti, mentre relativamente pochi furono quelli registrati dall’apparato industriale. Nell’ immediato dopoguerra il Pil pro capite crollò nel 1945 al 55% di quello del 1939. Negli anni della ricostruzione la nuova classe politica repubblicana dovette affrontare alcuni immediati problemi come:  La ripresa della produzione fu rapida e possibile grazie agli aiuti americani giunti con il Piano Marshall che finanziò sia il governo che poi distribuì gli aiuti alle imprese, sia direttamente le imprese.  L’inflazione che fu causata dalla scarsità di beni che non riuscendo a soddisfare la domanda fecero lievitare i prezzi, dalla massiccia emissione di biglietti di banca e di Stato e dall’introduzione da parte degli americani dell’”amlira” che avendo un valore superiore rispetto alla lira fece aumentare i prezzi. La lotta all’inflazione fu condotta con la cosiddetta linea Einaudi, costituita da una serie di misure prese dal ministro del Bilancio, Luigi Einaudi, che miravano alla riduzione della circolazione monetaria. Si elevò il tasso ufficiale di sconto rendendo i prestiti più cari, si aumentarono le riserve obbligatorie delle banche in modo che non potessero investire parte dei depositi raccolti. La scelta fondamentale del governo costituito dal partito della Democrazia cristiana, fu di optare per un’economia aperta, non vi furono nazionalizzazioni dato che in Italia esisteva già un consistente settore, basti pensare alle numerose imprese controllate dall’Iri. In mano pubblica era pure l’Agip (Azienda generale italiana petroli) che fu rilanciata da Enrico Mattei. Mattei promosse anc he la costituzione dell’Eni (ente nazionale idrocarburi) che doveva assicurare all’Italia il rifornimento delle fonti di energia. Le imprese pubbliche operavano sotto forma di società per azioni, possedute dallo Stato. Perciò fu istituito il Ministero delle partecipazioni statali. Nel 1950 furono varati due importanti provvedimenti:  La riforma agraria con l’espropriazione di 800 mila ettari di terre ai grandi proprietari, che vennero indennizzati, e la loro assegnazione a famiglie di braccianti agricoli. Si venne a formare 74 una piccola proprietà coltivatrice, che per non costituire un ostacolo all’ammodernamento dell’agricoltura, si organizzò in un vasto movimento cooperativo.  La Cassa per il Mezzogiorno che doveva finanziare opere straordinarie di pubblico interesse nelle regioni meridionali. Nei primi anni rivolse il sostegno soprattutto all’agricoltura e successivamente alla creazione di industrie. 32.2. Il miracolo economico Negli anni centrali del miracolo economico, vale a dire dal 1950 al 1963, il Pil pro capite aumentò del 5,8% all’anno, mentre successivamente i risultati furono meno elevati ma comunque ragguardevoli (+4%). La crescita fu accompagnata da profondi mutamenti strutturali, che in poco tempo cambiarono il volto dell’Italia. L’agricoltura si modernizzò, anche grazie all’aiuto dello Stato, mediante una rapida meccanizzazione e una più diffusa utilizzazione dei concimi chimici, e si rivolse maggiormente all’allevamento e alle produzioni specializzate (ortofrutta, vite, olivo). Basti pensare che i trattori, balzarono da poco più di 40 mila alla fine della guerra, a 600 mila nel 1970, per crescere ancora nei decenni successivi fino a raggiungere il numero di 1.700.000 a fine secolo. Anche il consumo di pesticidi e fertilizzanti aumentò notevolmente. Inoltre, i contadini che abbandonarono le campagne costituirono una forza di lavoro a basso costo per l’industria. Le principali industrie che caratterizzarono il miracolo economico riguardarono la produzione di automobili, di elettrodomestici e di fibre sintetiche, nonché la meccanica di precisione e la petrolchimica. Per queste attività, anche in Italia, si affermò la grande impresa, organizzata secondo i criteri della fabbrica fordista. La bilancia dei pagamenti si portò in attivo a partire dal 1957, non solo per le accresciute esportazioni, ma anche per le rimesse degli emigrati e per lo sviluppo del turismo, che ormai cominciava ad attirare un gran numero di stranieri desiderosi di scoprire le ricchezze artistiche e paesaggistiche del Bel Paese. L’Italia era diventata una nazione industrializzata, in cui si diffondevano i consumi di massa e si registrava un forte esodo dalle campagne, mentre le città del triangolo industriale si riempivano di operai. L’istruzione si diffondeva, lo Stato introduceva le prime forme di Welfare e le prospettive apparivano rosee, in particolare per le giovani generazioni. Il ritardo del Mezzogiorno riuscì ad essere parzialmente ridotto. L’intervento statale consentì la nascita, in alcune zone costiere del Mezzogiorno, di grandi industrie, pubbliche e private, ad alta intensità di capitale e spesso anche tecnologicamente più avanzate. Esse, però, riuscirono ad assorbire poca manodopera, sicché la disoccupazione rimase molto elevata e per molte persona la soluzione continuò ad essere costituita dall’emigrazione. Dopo la Seconda Guerra Mondiale riprese anche l’emigrazione delle regioni meridionali dove la modernizzazione dell’agricoltura e specialmente il ricorso alle macchine agricole fece emergere la sovrappopolazione relativa delle campagne. Gli emigrati partirono per le Americhe e sempre più frequentemente per l’Europa e per l’Australia. Molti di essi, però, specialmente quelli diretti per l’Europa, fecero ritorno in patria dopo alcuni anni. Gli emigrati erano per oltre la metà meridionali e per quasi un quarto provenienti dal Nordest, specie dal Veneto e dal Friuli, ancora una volta, si emigrava in un periodo di espansione economica, quando le differenze sociali tendevano ad allargarsi e l’agricoltura espelleva manodopera. Vi fu pure una massiccia migrazione interna verso le zone del triangolo industriale. Negli anni ’50 e ’60 si trasferirono dal Sud al Centro-Nord del Paese circa due milioni di persone. Numerose altre, abbandonarono le zone interne per spostarsi in quelle costiere della stessa regione. Bisogna infine notare che se l’emigrazione degli anni del miracolo economico riguardò quasi soltanto la manodopera generica priva d’istruzione, richiesta in molte fabbriche, in seguito essa ha interessato 77 Fra i paesi che avevano combattuto la Seconda guerra mondiale, l’Unione Sovietica fu quello che subì i maggiori danni. Dopo la guerra fu ripresa la pianificazione, che puntò come in precedenza sull’industria e sugli armamenti, per la paura di essere accerchiata. Morto Stalin nel 1953, il nuovo segretario generale del partito comunista Nikita Chruschev (1953-­­64) dichiarò di voler portare la produzione di numerose derrate alimentari al livello degli Stati Uniti, per ovviare al problema della scarsa produttività agricola sovietica. Fu proseguita inoltre la strada della pianificazione, ma la mutata articolazione dell’attività economica, che diventava sempre più ampia, evidenziò l’incapacità di: assicurare un buon coordinamento fra imprese, prevedere la quantità da produrre e il prezzo dei beni in modo da coprire i costi e consentire un’accumulazione di capitale (i prezzi erano tenuti artificialmente bassi). Inoltre fu scarso lo stimolo alle invenzioni alle innovazioni e bassa la produttività del lavoro. 33.2. I tentativi di riforma in Unione Sovietica Michail Gorbacev passò alla guida dell’Unione Sovietica dal 1985 al 1991. Pose mano a riforme volte a conferire maggiore autonomia alle imprese, sulla stessa onda, ma più incisive, di quelle attuate precedentemente dai dirigenti sovietici, basate sul concetto di profitto sul capitale come criterio di valutazione della produttività. Queste prevedevano:  La trasparenza o pubblicità, volta a realizzare forme democratiche di gestione del potere pubblico, attraverso la libertà di espressione e d’informazione, in maniera tale da consentire una libera discussione dei problemi del Paese e una ricerca delle soluzioni.   La ristrutturazione, che richiamava in qualche modo la Nep e si concretizzò in provvedimenti legislativi che resero le imprese statali più libere di fissare le loro quote di produzione . Lo scambio di beni fra le imprese doveva avvenire al prezzo di mercato e non più ai prezzi imposti e si costituì la Borsa merci di Mosca (speculazioni). Fu consentita l’iniziativa privata per creare piccole e medie imprese nei settori del commercio e della produzione, furono assegnate terre ai contadini e ridimensionato il potere del Partito comunista. Il tentativo di Gorbacev di conservare il sistema socialista attraverso una sua radicale trasformazione risultò fallimentare. Infatti le riforme prettamente politiche portarono al crollo del Partito comunista e alla disintegrazione dell’Unione Sovietica. Cominciò a formarsi una categoria di oligarchi aventi uno stretto legame col governo che gli garantiva protezioni e benefici favorendone l’arricchimento spropositato. Il deficit del bilancio statale era straordinariamente cresciuto per via delle enormi spese di difesa. La liberalizzazione di alcuni prezzi li fece aumentare facendo conoscere ai russi due fenomeni loro estranei: l’inflazione e la disoccupazione. 33.3. Il crollo dei regimi comunisti Dopo la Seconda guerra mondiale i paesi liberati dall’Armata Rossa entrarono a far parte del Comecon (1949) (in contrapposizione al Piano Marshall), adottando il sistema politico ed economico dell’Unione Sovietica. Questo si proponeva di coordinare lo sviluppo economico dei paesi membri, realizzare un efficiente divisione del lavoro e favorire gli scambi, risultando uno strumento di dominio con cui i Sovietici si imposero sui paesi satelliti. L’incapacità dell’economia pianificata di migliorare le condizioni di vita fece crescere il malcontento, e le condizioni per la caduta dell’Unione Sovietica maturarono con le riforme di Gorbacev che diedero maggiore forza ai gruppi che si opponevano ai regimi comunisti. 78 Il 1989 fu l’anno della svolta, vi fu una transizione pacifica a catena verso governi non comunisti di Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia (si divise in Repubblica ceca e Repubblica slovacca). L’evento simbolico della fine del regime fu il crollo del Muro di Berlino, che fu distrutto nella notte fra il 9 e il 10 novembre 1989 da una moltitudine di Tedeschi dell’est che si riversò nella parte occidentale della città senza che le autorità tedesco-­­orientali osassero intervenire. 33.4. La crisi della transizione Il tentativo di riforme di Gorbacev non riuscì e le repubbliche slave (Russia, Ucraina e Bielorussia) dichiararono nel 1991, lo scioglimento dell’Unione Sovietica. Nacquero così 15 repubbliche indipendenti tra le quali la nuova Federazione russa era ovviamente la più grande. La transizione al capitalismo fu lunga e difficile e la fretta con cui fu attuata portò a risultati disastrosi. I primi provvedimenti riguardarono la liberalizzazione del commercio interno e di quello estero e l’apertura del mercato russo al commercio internazionale e agli investimenti esteri. La privatizzazione delle imprese statali fu l’operazione più difficile. Tale compito fu affidato a una Commissione statale che trasformò le imprese pubbliche in società cedendo parte delle azioni a poco prezzo ai lavoratori delle imprese stesse. Furono distribuiti voucher gratuiti ai cittadini, evitando la vendita per prevenire la formazione di un’oligarchia. Lo scopo non fu raggiunto perché i proprietari dei voucher preferirono venderli ai vecchi dirigenti che divennero ricchissimi. Lo Stato mantenne comunque la proprietà di numerose attività strategiche (telecomunicazioni, energia, armi) Esplose una violenta inflazione che si trasformò in iperinflazione a causa della liberalizzazione dei prezzi e delle enormi emissioni di biglietti per supplire alle imminenti necessità dello Stato. L’agricoltura fu ancora una volta sacrificata e vi fu un inquietante calo demografico (droga, malattie veneree, omicidi, suicidi). La transizione Russa fu la più complessa fra quelle degli altri paesi dell’Unione Sovietica, per via del costo dell’enorme apparato industrial-­­militare e dalla prevalenza della monocultura industriale. 33.5. La ripresa dell’economia russa La crisi della transizione fu superata verso la fine degli anni Novanta, dopo un’ulteriore crisi valutaria del rublo che fu sottoposto ad attacchi speculativi e si svalutò rispetto alle altre monete. Con il nuovo secolo la Federazione Russa conobbe una forte ripresa economica grazie a due fattori:  Consistenti esportazioni di petrolio e di gas naturale oltre che di metalli e legname, i cui prezzi sul mercato mondiale erano in crescita  La debolezza del rublo che favoriva le esportazioni e scoraggiava le importazioni, sostenendo in tal modo le industrie nazionali. I consumi privati ripresero a crescere e con essi la produzione. Le grandi industrie russe finirono nelle mani di pochi gruppi privati, ma lo Stato conservò parecchie grandi aziende, specialmente nel settore energetico, ad esempio la Gazprom che è il maggiore estrattore di gas naturale, venduto a molti paesi. Le banche rimasero anche esse sotto il controllo dello Stato. 34.IL RISVEGLIO DELL’ASIA 34.1. La Cina comunista 79 Fra gli eventi economici più rilevanti tra gli ultimi decenni del 20° secolo e l’inizio del 21° secolo i è sicuramente la ricomparsa, fra le grandi aree economiche mondiali, dei paesi asiatici. L’Asia nel suo complesso produceva quasi il 60% del Pil mondiale. Le prime due economie del continente asiatico e del mondo intero erano la Cina e l’India, che da sole producevano quasi la metà del Pil mondiale. Nel contesto asiatico la Cina rappresenta un caso particolare. Fra i secoli 16° e 19°, essa aveva vissuto un lungo periodo d’isolamento, durante il quale si era chiusa ai rapporti internazionali. Verso la metà dell’800 fu costretta dalle potenze occidentali ad aprirsi ai traffici e dovette stipulare dei trattati che la obbligarono a tenere bassi i dazi doganali e ad ospitare sul suo territorio alcune delegazioni straniere. L’economia cinese collassò e il Pil pro capite del 1950 risultò inferiore del 25% rispetto a quello del 1820. Nel 1911, con la fine dell’ultima dinastia imperiale cinese, fu instaurata la repubblica e iniziò un lungo periodo cupo interno, sfociato in un conflitto armato fra il Partito nazionalista e il Partito comunista. Durante la seconda guerra mondiale, le due fazioni sospesero le ostilità per combattere gli invasori giapponesi, ma a guerra finita ripresero la lotta. Si trattò di un duro scontro che terminò con la sconfitta dei nazionalisti, costretti a rifugiarsi nell’isola di Taiwan, e con il trionfo del Partito comunista di Mao Zedong che instaurò la Repubblica Popolare Cinese. La storia economica della Cina comunista si può dividere in due periodi: quello dell’economia pianificata e quello dell’”economia socialista di mercato”. La realizzazione del comunismo passò attraverso diverse fasi: in un primo tempo la Cina seguì l’esempio dell’Unione Sovietica, ma successivamente, si manifestarono profonde divergenze fra i dirigenti dei due paesi che portarono le due grandi economie socialiste a prendere strade diverse. Dopo aver domato l’iperinflazione che aveva accompagnato la rivoluzione, e dopo aver stabilizzato la moneta, il nuovo governo dovette affrontare la trasformazione socialista dell’economia. Furono introdotti i piani quinquennali, che puntarono sull’industria pesante, a scapito della produzione dei beni di consumo. Le grandi imprese e le banche furono nazionalizzate, senza indennizzo, mentre le piccole imprese a conduzione familiare furono spinte a trasformarsi in cooperative. Il commercio all’ingrosso passò nelle mani dello Stato, che trasferì quello al minuto a imprese miste con partecipazione pubblica. L’agricoltura costituiva il settore più importante dell’economia. In Cina fu attuta la più grande riforma agraria, con ben 80 milioni di ettari confiscati ai proprietari terrieri e distribuiti ai contadini. La proprietà individuale della terra fu conservata, anche perché i nuovi dirigenti non volevano alienarsi l’appoggio dei ceti agricoli, che erano la stragrande maggioranza della popolazione e costituivano la base di sostegno del Partito comunista e del regime. Siccome gli appezzamenti assegnati risultarono troppo piccoli, il governo promosse la costituzione di cooperative agricole, alle quali i contadini conferivano i loro poderi. Le condizioni dei contadini non migliorarono molto rispetto alle altre categorie e il salario agricolo rimase molto più basso di quello dell’industria. I risultati del primo decennio del nuovo regime non vennero ritenuti soddisfacenti dai dirigenti del Partito comunista, che lanciarono il grande balzo in avanti, un piano economico e sociale che richiese una generale mobilitazione della popolazione per riformare il Paese e trasformarlo in una moderna società industriale. Nel campo industriale vennero attuate diverse misure di decentramento, si potenziarono le medie e piccole industrie locali e i lavoratori del le fabbriche furono coinvolti nella loro gestione. Nelle campagne si formarono le comuni agricole, una sorta di comunità di villaggio, organizzate in brigate e squadre. Le comuni assunsero anche la funzione di nuove unità amministrative dello Stato e fu loro consentito di possedere e gestire piccole fabbriche, laboratori, trattori, autocarri e magazzini, nel tentativo di farne unità produttrici autosufficienti. Il grande balzo in avanti trasformò il volto della Cina rurale, con la realizzazione di grandi pr ogetti locali, grazie al lavoro collettivo. Furono dissodate nuove terre, costruiti sistemi d’irrigazione per milioni di ettari, assicurati servizi comunali e fu insegnato un nuovo mestiere a milioni di persone. 82 c) L’intervento statale nell’economia, che doveva garantire lo sviluppo e recuperare il grave ritardo del Paese; perciò, gli indiani, ancor prima dell’indipendenza, progettarono il controllo statale delle attività economiche e la creazione di un sistema solido di imprese pubbliche, sicché al momento dell’indipendenza avevano le idee chiare e il nuovo governo si orientò subito verso l’elaborazione di piani quinquennali. L’attività industriale fu divisa in tre gruppi d’imprese: a) Le imprese pubbliche, che si sarebbero dovute occupare dell’industria pesante e della trasformazione delle risorse naturali; b) Le imprese a partecipazione pubblica, in cui la presenza privata si sarebbe dovuta gradualmente ridurre, impegnate in diversi rami produttivi; c) Le imprese private, prevalenti nell’industria leggera e destinate alla produzione di beni di consumo. Sul finire degli anni ’60, una nuova accelerazione dell’intervento statale portò alla nazionalizzazione delle banche, con lo scopo di far giungere i servizi bancari anche nelle zone rurali e favorire la formazione del risparmio. Qualche anno dopo furono nazionalizzati gli impianti di estrazione del carbone, le raffinerie e le compagnie di assicurazione. Le piccole imprese ricevettero particolare attenzione dallo Stato, specialmente dagli anni 70, anche perché erano maggiormente in grado di assorbire manodopera. L’agricoltura, invece, rimase affidata al settore privato, ma fu ampiamente sostenuta dallo Stato che garantiva l’acquisti di cereali da destinare alla distribuzione a prezzi controllati. Il governo federale e quelli dei singoli Stati promossero la diffusione di nuove tecniche di coltivazione, l’utilizzazione di cereali ad alto rendimento, l’irrigazione, l’uso di fertilizzanti chimici e la meccanizzazione e facilitarono l’accesso al credito bancario. Ma tutto questo non riuscì ad evitare due gravi carestie a metà degli anni 60. In seguito, l’India raggiunse l’autosufficienza alimentare. Tuttavia, i risultati complessivi furono modesti. Fra il 1950 e il 1980, il tasso di crescita medio annuo del Pil fu del 3,6 %, mentre quello pro capite aumentò di appena l’1,4% all’anno. Perciò grandi masse rimasero escluse da qualsiasi beneficio e continuarono a soffrire la fame e le malattie. 34.4. Riforme e liberalizzazioni in India Come stava avvenendo quasi dappertutto, anche in India furono introdotte le prime forme di liberalizzazione e fu realizzata la riforma del settore pubblico, con lo scopo di aumentare l’efficienza e la competitività del sistema. Fu attuata una vera e propria liberalizzazione dell’economia e si procedette al graduale smantellamento del sistema dei controlli, per dare vita a un’economia competitiva sul piano internazionale, con imprese orientate all’esportazione. Nel contempo fu ridimensionato e ridefinito il ruolo dello Stato, mediante una decisa deregolamentazione, specialmente nel settore industriale, una liberalizzazione del commercio estero, una riforma del settore finanziario, soprattutto del mercato azionario, e una maggiore apertura ai capitali esteri. Molte imprese pubbliche furono privatizzate, ma lo Stato conservò la proprietà di cospicue quote del loro capitale sociale. Le riforme si prefiggevano la riduzione del disavanzo pubblico, mediante il taglio delle spese statali, ma in un paese con profondi squilibri, non si riuscirono a ridurre le spese a carattere sociale. Un’importante conseguenza delle riforme fu l’affermazione di una competitiva e dinamica industria del software, che si poté giovare di giovani ingegneri preparati ed alimentò una crescente corrente di esportazioni. A partire dagli anni 80, e ancor di più dai 90, l’India conobbe una crescita eccezionale, con un incremento medio annuo del Pil che si tenne intorno al 6 % sino a fine secolo, per superare il 9 % negli anni successivi. Aumentarono gli investimenti esteri e la partecipazione al commercio 83 internazionale. Nonostante ciò, l’economia indiana è ancora poco internazionalizzata e rimane principalmente orientata verso il mercato interno. I problemi dell’India sono numerosi e lo sviluppo è stato pieno di contraddizioni. La popolazione, che al censimento del 1981 era di 685 milioni, è passata a 1.320 milioni nel 2016, con un incremento di oltre il 90% e si appresta a superare la Cina entro pochi anni. La forte crescita demografica ha comportato che il Pil pro capite, pure aumentato, si sia tenuto troppo basso, pari, com’è a meno del 16% di quello britannico e all’11% di quello americano. Le persone che devono vivere con meno di 2 dollari al giorno costituiscono quasi il 70% della popolazione. Gli analfabeti, che erano l’80% della popolazione al momento dell’indipendenza, erano ancora il 34% nel 2007. Ciò nonostante, l’India è considerata uno dei paesi emergenti più importanti, che negli anni di crisi 2008-13 è riuscita a realizzare un incremento del Pil pro capite del 37%, diventato di quasi il 65% nel 2016. Se la sua crescita continuerà ai ritmi attuali, questo grande paese è destinato a diventare uno dei protagonisti dell’economia mondiale. 34.5. Le <<tigri asiatiche>> Un cenno meritano le cosiddette “tigri asiatiche” (Hong Kong, Taiwan, Singapore e Corea del Sud), dove vivono quasi 90 milioni di persone. Questi paesi hanno orientato le loro economie in prevalenza alla produzione e all’esportazione di prodotti ad elevato contenuto tecnologico. Il loro Pil pro capite è cresciuto moltissimo e oggi si trova al livello di quello dei paesi più sviluppati. Hong Kong è stata una colonia britannica dal 1842 al 1997, quando passò alla Cina, che ne fece una regione autonoma speciale e s’impegnò a conservare per 50 anni il sistema economico e sociale vigente sotto l’amministrazione britannica, basato sulla libera iniziativa e sull ’economia di mercato. La sua posizione di “porta verso la Cina” le ha consentito di svolgere il ruolo d’intermediaria negli scambi fra la Cina e il resto del mondo. E’ riuscita ad attrarre ingenti investimenti esteri, è diventata una piazza finanziaria di prim’ordine e ha potuto contare su un inesauribile serbatoio di manodopera per le sue industrie, proveniente dalla Cina comunista. Anche Singapore, ha saputo sfruttare la sua posizione strategica sulle rotte che collegano l’Oceano Indiano con il Pacifico ed è diventata uno dei maggiori porti mondiali. La sua economia è simile a quella di Hong Kong, con la differenza che qui lo Stato ha avuto un ruolo maggiore nel favorire la crescita. Lo sviluppo della Corea del Sud è stato promosso da governi autoritari, spesso retti da militari, che hanno puntato su settori tradizionali ad alta intensità di capitale, hanno sostenuto le esportazioni e hanno spinto le imprese a misurarsi sul mercato globale. Un ruolo molto importante lo hanno avuto i chaebol, gruppi imprenditoriali familiari, che controllano grandi conglomerate e sono sostenuti dallo Stato. L’isola di Taiwan è stata retta da un regime autoritario a partito unico fino agli anni 80. Ha puntato su piccole imprese altamente competitive orientate all’esportazione e, negli ultimi tempi, ha effettuato cospicui investimenti all’estero, specialmente in Cina. Le economie dei paesi asiatici, nel loro complesso, si avviano ad essere le protagoniste del 21° secolo. Ormai il baricentro dell’economia globale si sta spostando da Occidente ad Oriente e da Nord a Sud e, anche se tale processo non è uniforme, appare tuttavia irreversibile. Come il 19° secolo è stato il secolo dell’Inghilterra e il 20° è stato quello degli Stati Uniti, probabilmente il 21° secolo sarà quello dell’Asia e dei suoi grandi paesi emergenti come Cina e India. 84 35.AMERICA LATINA E AFRICA 35.1. Stato e populismo in America Latina La Grande depressione degli anni Trenta aveva colpito pesantemente l’America Latina. Durante la Seconda Guerra Mondiale, però, molti paesi latinoamericani, non essendo direttamente coinvolti nel conflitto, fecero registrare una debole ripresa, basata su un allargamento dei consumi interni e sui rifornimenti che furono in grado di garantire alle nazioni impegnate nel conflitto. La produzione di beni di consumo fu incoraggiata per sostituire i prodotti che era difficile importare in tempo di guerra e l’agricoltura fu stimolata con riforme agrarie, che prevedevano la redistribuzione di vasti patrimoni fondiari e la messa a coltura di nuove terre. Negli anni 30 e 40, l’intervento dello Stato era aumentato ed era stata perseguita una politica protezionistica. I governi erano intervenuti in tutti i settori dell’economia, avevano nazionalizzato alcune attività produttive nel campo minerario e in quello agricolo e avevano creato apposite aziende di Stato. Anche quando, dopo la guerra, i principali paesi del mondo liberalizzarono le loro economie e avviarono una politica di libero scambio, i governi populisti dell’America Latina restarono legati al protezionismo e all’intervento statale. Gli anni successivi al conflitto furono, anche in America Latina, un periodo di crescita. L’industria fu certamente il settore più dinamico, si basò sullo sfruttamento delle risorse naturali e su una manodopera non qualificata, senza investimenti di capitali in nuove tecnologie che ne elevassero la competitività. Sostenuta dallo Stato, l’industria si limitò a rifornire il mercato interno e non fu in grado di espandersi su quello internazionale. La strategia di potenziare l’industrializzazione sostitutiva delle importazioni fu appoggiata dalla borghesia latinoamericana che poteva investire nel settore industriale i capitali di cui disponeva. L’ agricoltura non riuscì a progredire significativamente. Il controllo governativo dei prezzi agricoli, tenuti artificialmente bassi, non incoraggiava gli agricoltori e finiva con il costituire una forma di sostegno ai ceti urbani e industriali. Gli effetti negativi di queste politiche furono una forte inflazione, specialmente nelle economie più “chiuse”, come quella argentina, brasiliana e cilena, e il deterioramento delle finanze statali, compromesse dalle spese e dai sussidi governativi, con una conseguente elevata pressione fiscale, specialmente sui ceti più deboli. L’inflazione fu un costante fattore d’instabilità in America Latina. Le politiche populistiche avevano portato a un’espansione della spesa pubblica, senza un conseguente aumento delle entrate tributarie, e quindi imponendo il ricorso all’indebitamento pubblico e all’aumento della circolazione monetaria. L’inflazione interessò tutti i paesi ad economia di mercato, quella latinoamericana divenne iperinflazione e molti paesi dovettero continuamente svalutare la loro moneta o anche ritirare quella in circolazione e sostituirla con una nuova. Furono necessarie drastiche politiche di risanamento per mettere sotto controllo l’inflazione e assicurare una certa stabilità monetaria. L’America Latina è stata caratterizzata da un consistente incremento demografico, al quale contribuì la ripresa dell’immigrazione proveniente dall’Europa. In seguito, il subcontinente latinoamericano è diventato una zona di emigrazione, in particolare verso gli Stati Uniti. La sua popolazione si è quadruplicata dal 1945 a oggi (da 145 ad oltre 600 milioni) e continua registrare un forte incremento, secondo solo a quello dell’Africa. La situazione peggiorò con la crisi degli anni ’70. Molti paesi furono costretti a indebitarsi ulteriormente a tassi d’interesse molto più elevati di prima e il debito estero complessivo aumentò di 7 volte fra il 1973 e il 1982.
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