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L'evoluzione economica in Europa: dalla Rivoluzione francese al XIX secolo, Sintesi del corso di Storia Economica

Storia EconomicaStoria europeaStoria dell'IndustriaStoria della tecnologia

La trasformazione economica in Europa dal XII secolo fino al XIX, con un focus sulla diffusione della rotazione triennale, l'espansione europea e l'ascesa della tecnologia industriale. Vengono trattati anche i casi specifici di Paesi Bassi, Inghilterra, Spagna, Polonia, Svezia e Germania.

Cosa imparerai

  • Come l'Europa si espandeva nel XVI secolo?
  • Quando si diffuse la rotazione triennale in Europa?
  • Come la Spagna divenne un potere economico nel XVI secolo?
  • Che cosa significava la prosperità commerciale europea nel XVI secolo?
  • Come la Svezia divenne un paese industrializzato nel XIX secolo?

Tipologia: Sintesi del corso

2011/2012

Caricato il 03/01/2022

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4.5

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Scarica L'evoluzione economica in Europa: dalla Rivoluzione francese al XIX secolo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Economica solo su Docsity! CAPITOLO I INTRODUZIONE: STORIA ECONOMICA E SVILUPPO Lo sviluppo economico ineguale ha provocato rivoluzioni e colpi di stato; governi totalitari e dittature militari hanno spogliato intere nazioni della libertà politica e molti individui della libertà individuale e persino della vita. Gli Stati Uniti ed altre nazioni ricche hanno speso miliardi di dollari in tentativi intenzionati a soccorrere i vicini meno fortunati. Non c'è un consenso generale sugli specifici metodi responsabili dei redditi più elevati delle nazioni ricche. Gli studiosi e gli scienziati non hanno ancora prodotto una teoria dello sviluppo economico che sia utile sul piano operativo e generalmente applicabile. Le statistiche del reddito pro-capite sono una rozza misurazione del livello di sviluppo economico. La crescita economica è definita come un aumento sostenuto del volume totale di beni e servizi prodotti da una società. La crescita del prodotto totale può verificarsi sia in conseguenza dell’impiego di maggiori quantità dei fattori della produzione, sia perché quantità equivalenti dei fattori di produzione sono impiegate con maggiore efficienza. Lo sviluppo economico significa crescita economica accompagnata da un sostanziale cambiamento strutturale e organizzativo dell'economia. Determinanti dello sviluppo economico L’economia classica ha sviluppato la classificazione tripartita dei “fattori di produzione": *terra; *lavoro; ® capitale. I mutamenti tecnologici e delle istituzioni sociali costituiscono i fattori più dinamici del cambiamento dell’intera economia. Negli ultimi secoli l'innovazione tecnologica è stata il fattore più dinamico di mutamento economico e di sviluppo. Il mutamento tecnologico non è però sempre stato così rapido. La tecnologia dell’età della pietra durò per centinaia di migliaia d’anni senza grossi cambiamenti. Una delle funzioni sociali svolte dalle istituzioni è di rappresentare un elemento di continuità e di stabilità, senza il quale la società si disintegrerebbe; ma nello svolgimento di questa funzione esse possono anche rappresentare una barriera allo sviluppo economico ostacolando il lavoro umano, impedendo lo sfruttamento razionale delle risorse o contrastando l’innovazione e la diffusione della tecnologia. Esempi storici d'innovazioni istituzionali sono i mercati organizzati,. la moneta battuta, i brevetti, le assicurazioni e le varie forme d'impresa. Produzione e produttività La produzione è il processo mediante il quale i fattori di produzione sono messi in relazione per produrre i beni e i servizi desiderati dalle popolazioni umane. La produzione può essere misurata in unità fisiche, o in termini di valore, ossia monetari. La produttività è il rapporto tra il risultato utile di un processo di produzione e i fattori di produzione in esso impiegati. Per misurare la produttività totale dei fattori di produzione è necessario ricorrere a misure di valore. Inoltre, determinate combinazioni di fattori di produzione sono in grado di accrescere la produttività. Il capitale umano deriva dall’investimento in conoscenze e abilità o capacità. L’investimento può assumere la forma di un’educazione o di un addestramento formale. Un aumento dei fattori tradizionali di produzione spiega solo in parte l’aumento della produzione nelle economie avanzate. Gli aumenti della produttività sono stati particolarmente considerevoli nell’ultimo secolo. E’ opportuno considerare la cosiddetta legge dei rendimenti decrescenti, che dovrebbe essere definita come la legge dell’utilità marginale decrescente. Un singolo lavoratore, con l’impiego di una data tecnologia, semplice o complessa, è in grado di ottenere un certo raccolto. L'aggiunta di un secondo lavoratore permette una semplice divisione del lavoro, che fa più che raddoppiare la produzione. Un terzo lavoratore può accrescere ancora di più la produzione. In altre parole, più lavoratori sono aggiunti e più cresce, fino ad un certo punto, il prodotto marginale. Alla fine però, l’aggiunta di nuovi lavoratori fa si che essi si ostacolino a vicenda, che calpestino il raccolto, e così via, e il prodotto marginale decresce. Nel 1798 Thomas Malthus pubblicò il famoso Saggio sul principio della popolazione. In esso partiva dal presupposto che “la passione tra i sessi” avrebbe portato ad una crescita demografica in “progressione geometrica”, ma che le disponibilità di cibo sarebbero cresciute in “progressione aritmetica”. Malthus non previde la serie d’innovazioni tecnologiche e istituzionali che hanno accresciuto la produttività e che hanno ripetutamente ritardato il funzionamento della legge dei rendimenti decrescenti. Struttura economica e mutamenti strutturali La struttura economica è implicita nelle relazioni tra i vari settori dell’economia, in particolare i tre settori principali noti col nome di primario, secondario e terziario. Il settore primario comprende quelle attività i cui prodotti sono ottenuti direttamente dalla natura: agricoltura, pesca. Il settore secondario comprende le attività che trasformano o lavorano i prodotti naturali. Il terziario comprende un ampio spettro di servizi, che vanno da quelli domestici e personali a quelli commerciali e finanziari, professionali e pubblici. L’agricoltura è stata la principale occupazione della grande maggioranza della razza umana ma ciò è tuttora valido per i paesi a basso reddito. La ragione di questo fenomeno è che la produttività era così bassa che per sopravvivere era necessario dedicarsi alla produzione di generi alimentari. Alcune centinaia di anni fa la produttività agricola cominciò a crescere, cominciò così il processo di industrializzazione, che si protrasse dalla fine del Medioevo fino alla metà del XX secolo. Nel frattempo man mano che la forza lavoro impiegata in agricoltura diminuiva, aumentava, anche se non proporzionalmente, quella nel settore secondario. La crescita della forza lavoro impiegata nel settore secondario è stata accompagnata dalla crescita del reddito prodotto da quel settore. Dal 1950 in poi le economie più avanzate hanno conosciuto un ulteriore cambiamento strutturale, il passaggio da settore secondario a quello terziario. Sul versante dell’offerta, l’accresciuta produttività rese possibile produrre le stesse quantità di prodotti con meno lavoro. Sul versante della domanda entrò in gioco un aspetto peculiare del comportamento umano, definito dalla legge di Engel. La logistica della crescita economica Il termine logistica indica l’organizzazione dei rifornimenti per un grosso gruppo di persone. Ma la logistica è anche una formula matematica, la curva logistica che ne deriva ha la forma di una S allungata ed è talvolta chiamata curva a S. La curva ha due fasi: una prima fase di crescita accelerata seguita da una seconda di decelerazione. E’ stato anche osservato che le curve logistiche possono anche descrivere molti fenomeni sociali come la crescita delle popolazioni umane. Ciascuna fase d’accelerazione della crescita demografica in Europa è stata accompagnata dalla crescita economica. Secondo Adam Smith la condizione del lavoratore era : *migliore in una società “progressista”; *cupa in una società stagnante; *miserabile in una in decadenza. Le fasi finali di tutte le logistiche, e gli intervalli di stagnazione o depressione che seguirono, testimoniarono la propagazione di tensioni sociali, inquietudini e disordini, e lo scoppio di guerre eccezionalmente feroci e distruttive. Forse le guerre non furono che avvenimenti fortuiti che posero 2 innovazioni significative: a)introduzione dell’aratro pesante a ruote; b) uso dei cavalli come animali da tiro. A differenza dell’aratro romano, l’aratro pesante a ruote era in grado di penetrare + in profondità e rivoltare i pesanti suoli grassi e argillosi dell’ Europa nordoccidentale, rendendo disponibili nuove risorse a coloro che lo impiegavano. Il primo esempio documentato di rotazione triennale regolare risale alla 2° metà del VIII secolo, nella Francia settentrionale. L’agricoltura medievale, oltre a queste innovazioni principali, registrò una serie di innovazioni e miglioramenti minori. L’esistenza di nuove fonti di approvvigionamento e i progressi della metallurgia avevano reso il ferro, nell’Europa medievale, + abbondante ed a buon mercato di quanto non fosse stato anticamente nel Mediterraneo; oltre ad essere usato x le armature e le armi de cavalieri, esso trovò un impiego crescente negli strumenti agricoli. La rotazione triennale presentava diversi vantaggi. Il + importante era l’accresciuta produttività del terreno: un terzo in + di colture alimentare x ogni data quantità di terra arabile. In conseguenza della sua superiorità, la rotazione triennale si diffuse dovunque il terreno e le condizioni climatiche fossero favorevoli; nell’XI secolo era di uso generale in tutta la Francia settentrionale, i Paesi Bassi, la Germania nordoccidentale e l'Inghilterra meridionale. Oltre a queste innovazioni principali, l’agricoltura medievale registrò una serie di innovazioni e miglioramenti minori. L'esistenza di nuove fonti di approvigionamento e i progressi della metallurgia avevano reso il ferro + abbondante e a buon mercato di quanto non fosse stato anticamente nel Mediterraneo. ‘uropa si espande All’inizio del XIV secolo la popolazione dell'Europa occidentale comprendeva 45-50 milioni di individui, e l'Europa occidentale 60-70 milioni. L’aumento della produttività marginale in conseguenza della rotazione triennale e di altri miglioramenti nella tecnologia agricola potrebbero agevolmente spiegare una leggera diminuzione del tasso medio di mortalità che, se mantenuta per molti anni, avrebbe causato un significativo incremento della popolazione. Inoltre, sebbene su questo punto non abbiamo prove certe, è possibile che anche il tasso medio di natalità sia aumentato leggermente. Con la diminuzione della frequenza di guerre e saccheggi può essersi verificato un aumento della sicurezza della vita, sia direttamente che indirettamente attraverso i suoi effetti sulla produzione. E’ possibile che si sia verificato un leggero miglioramento climatico tra il X e il XIV secolo. Si coltivano terre, che prima erano incolte. Per coltivare queste terre era necessario un grande sforzo di disboscamento e di bonifica, non dissimile da quello ingaggiato dai coloni europei in America . La rinascita della vita urbana La popolazione urbana aveva cominciato a diminuire ancora prima della caduta di Roma, in Italia resistette. La crescita delle città cominciò dapprima nelle città portuali, ma non vi rimase a lungo confinata. Le pianure della Lombardia e della Toscana rappresentavano il retroterra naturale di Venezia, Genova e Pisa. I campi aperti del sistema curtense furono spezzettati, recintati e sottoposti ad una coltivazione intensiva, che in molti casi prevedeva l’irrigazione e un’intensa concimazione. Molti dei nuovi imprenditori agricoli erano abitanti delle città che applicavano alle loro terre, acquistate o prese in affitto, le stesse attente valutazioni dei costi e dei ricavi che avevano appreso nelle transazioni commerciali. Nelle città dell’Italia settentrionale i commercianti più prosperi si riunirono in associazioni volontarie col fine di sbrigare gli affari municipali, difendere gli interessi comuni e appianare le 5 controversie senza riccorrere alle ingombranti corti feudali. Correnti e tecniche commerciali: Il tipo di traffico + prestigioso e proficuo era senza dubbio quello che stimolò la ripresa degli scambi commerciali tra l’Italia e il Levante. Una speciale estensione del commercio fu quello con la Cina, che fiorì tra la metà del XIII e la metà del XIV secolo. In quel periodo l’impero mongolo, il + vasto impero terrestre che il mondo abbia mai visto, si estendeva dall'Ungheria e dalla Polonia al Pacifico. I sovrani mongoli, a dispetto della loro fama di ferocia, diedero il benvenuto ai missionari cristiani e ai commercianti occidentali. Questo commercio fu dominato dagli italiani. Sull’altra sponda del Mediterraneo il commercio era + prosaico. Comprendeva spezi e prodotti di lusso orientali, ma avevano maggiore importanza i rifornimenti di cereali dalla Sicilia. Negli ultimi decenni del XIII secolo i viaggi dal Mediterraneo al Mare del Nord divennero + frequenti. Venezia e Genova cominciarono a organizzare flotte regolari (Flotte delle Fiandre). Nel caso + semplice il mercante lavorava x proprio conto; il suo intero capitale consisteva della quantità di merce che trasportava. I profitti erano divisi tra i due, solitamente nella proporzione di tre quarti x il capitalista sedentario e un quarto x il socio attivo. Con l’espansione del volume dei traffici e la standardizzazione delle pratiche commerciali comparve sulla scena una nuova forma di organizzazione commerciale D la VERA SOCIETA’, che cominciò a sostituirsi alla commenda. L’attività bancaria era strettamente legata al commercio medievale. Nel XII secolo a Venezia e a Genova furono fondate delle primitive banche di deposito D creando un sistema bancario. Si creò una diffusa dipendenza dal credito, anche grazie alla molteplicità e alla confusione delle monete. I cambiavalute svolgevano una funzione importante nelle fiere e nei centri commerciali. Fu dalle loro schiere che uscirono molti banchieri. Solo nella seconda metà del XII secolo l’Europa riuscì ad ottenere una valuta stabile, il famoso fiorino d’oro coniato x la prima volta a Firenze nel 1252. La tecnologia industriale e le origini dell’energia meccanica. L’industria manifatturiera non era un settore insignificante. L’industria + sviluppata e diffusa era senza dubbio la manifattura del panno, anche se le attività di costruzione, prese nel loro complesso, potevano figurare non molto distanziate al secondo posto. Il pano era fabbricato in ogni paese, in ogni provincia, quasi in ogni casa d’Europa. Sebbene i lavoratori + specializzati, quali i tintori, i follatori, i tosatori e persino i tessitori fossero organizzati in corporazioni, l'industria era dominata dai mercanti che acquistavano la materia prima e vendevano il prodotto finale. La produttività del lavoro crebbe di vari ordini di grandezza in conseguenza di 3 innovazioni tecnologiche: a) il telaio a pedale; b) mulinello; c) macchina idraulica per la follatura. La crisi dell’economia medievale 1348: in Europa epidemie di peste bubbonica D la Morte Nera. Guerra civile fra Stati D come 100 anni tra Inghilterra e la Francia. La grande carestia del 1315-1317 colpì tutta l'Europa settentrionale. 6 XIV secolo si verificò un deterioramento del clima, gli inverni nel Nord Europa divennero + lunghi e freddi. Le città dell’Europa occidentale sopravvissero e col tempo si rianimarono. Nonostante i loro successi iniziali, tutte furono represse con grande brutalità dalla nobiltà feudale, dai governi cittadini o da quelli delle emergenti monarchie nazionali. Alcune città, come Firenze e Venezia, non esitarono di fronte all’uso della forza x sottomettere i loro rivali ed estendere il proprio dominio sui vicini. La fiera di Ginevra si sostituì in quanto a importanza a quelle delle Champagne del XIV secolo, x poi subire la concorrenza di Lione verso la fine del XV secolo. CAPITOLO V LA SECONDA LOGISTICA EUROPEA Verso la metà del Quattrocento, la popolazione europea ricominciò ad aumentare. All'inizio del Seicento, però, questa rigorosa crescita incontrò i soliti ostacoli delle carestie, delle epidemie e delle guerre. Questi estremi temporali delimitano la seconda logistica europea. Popolazione e livelli di vita Il periodo di crescita demografica corrispose quasi esattamente all’epoca delle grandi esplorazioni e delle scoperte marittime che portarono all'individuazione di rotte interamente marittime tra l’Europa e l’Asia, alla conquista e alla colonizzazione dell’emisfero occidentale da parte degli europei. Nel XV secolo le città dell’Italia settentrionale godevano ancora di quella leadership negli affari economici che avevano esercitato per tutto il Medioevo. Una serie di guerre che videro l’invasione e l’occupazione dell’Italia da parte di eserciti stranieri portò ad un ulteriore sconvolgimento del commercio. Il declino dell’Italia non fu però immediato né drastico, giacché gli italiani avevano riserve di capitale, di talento imprenditoriale e d’istituzioni economiche sofisticate tali da bastare per diverse generazioni. Verso la metà del Seicento, l’Italia si trovava ormai alla retroguardia dell'economia europea, condizione dalla quale non doveva risollevarsi pienamente fino al XX secolo. La Spagna e il Portogallo godettero di una gloria effimera come principali potenze economiche europee. Lisbona si sostituì a Venezia nel ruolo di grande emporio del commercio delle spezie, e gli Asbur go spagnoli, finanziati in parte dall’oro e dall’argento del loro impero americano, divennero i sovrani più potenti d'Europa. La ricchezza delle Indie e delle Americhe non fu però adeguatamente distribuita all'interno dei due paesi. Pur conservando i rispettivi sterminati imperi marittimi fino al XIX e al XX secolo, entrambi i paesi erano in piena decadenza, economicamente, politicamente e militarmente, già alla metà del XVII secolo. L’Europa centrale, orientale e settentrionale non partecipò alla prosperità commerciale del XVI secolo. La Germania meridionale e la Svizzera, che avevano raggiunto una certa preminenza commerciale nel XV secolo, conservarono per un certo periodo la loro prosperità. Tutta l'Europa centrale cadde preda ben presto di guerre religiose e dinastiche che sottrassero energie all’attività economica. La regione che realizzò i maggiori guadagni dai mutamenti economici associati alle grandi scoperte fu quella attorno al Mare del Nord e alla Manica: i Paesi Bassi, l'Inghilterra e la Francia settentrionale. Per tutto il XVI secolo, la Francia fu coinvolta in guerre dinastiche e religiose, civili e internazionali, e per la maggior parte di esso il suo Governo seguì politiche avverse al commercio e all’agricoltura. La Francia perciò ebbe meno a guadagnare rispetto all’Olanda e all’Inghilterra. L'Inghilterra stava appena emergendo dalla condizione di area arretrata e produttrice di materie prime a quella di paese più o meno manifatturiero. Il declino della grande nobiltà accrebbe l’importanza della piccola nobiltà, la gentry. La nuova dinastia Tudor, che salì al trono nel 1485, dipendeva fortemente dal 7 dell’Oceano Indiano. La strada era tracciata per il successivo e più grande viaggio d’esplorazione, quello che consenti a Vasco da Gama di raggiungere Calcutta circumnavigando l’ Africa. Malattie, ammutinamenti, tempeste incontrati nella spedizione portarono alla perdita di due delle quattro navi di da Gama e di quasi due terzi del suo equipaggio. Il carico di spezie col quale egli fece ritorno compensò però di gran lunga tutti i costi del viaggio. Vedendo l’entità dei profitti, i portoghes i non persero tempo a mettere a frutto il vantaggio di cui godevano. Nel 1513 una delle loro navi attraccò a Canton nella Cina meridionale, e a metà del secolo avevano intrecciato relazioni commerciali e diplomatiche col Giappone. Nel 1483 un genovese chiese al re di finanziare una spedizione attraverso l’Atlantico per raggiungere l’Oriente viaggiando verso ovest. Il genovese era Cristoforo Colombo e dopo la bocciatura della sua proposta non si diede per vinto e si rivolse ai sovrani spagnoli, i quali erano impegnati in una guerra e non avevano soldi da investire in un progetto cosi poco realizzabile. Colombo cercò invano di interessare il re di Francia e d’Inghilterra. Solo nel 1492 i sovrani acconsentirono di patrocinare la spedizione. Colombo salpò il 3 agosto 1492 e il 12 ottobre avvistò le isole note in seguito come Indie occidentali. Egli credette davvero di aver raggiunto le Indie, infatti Colombo chiamò indiani i suoi abitanti. Dopo alcune settimane di esplorazioni tra le isole fece ritorno in Spagna per comunicare la lieta novella. Colombo effettuò quattro viaggi nei mari occidentali, e credette di avere scoperto una via diretta per l’Asia. Subito dopo il ritorno della prima spedizione Ferdinando e Isabella, sovrani spagnoli, si rivolsero al Papa perché stabilisse una “linea di demarcazione” che confermasse i diritti spagnoli sulle terre appena scoperte. Giovanni Caboto, un marinaio italiano che viveva in Inghilterra andò alla scoperta di Terranova e della Nuova Scozia. L'anno dopo con il fratello Seba stiano esplorò la costa settentrionale del Nord America; poiché essi non portarono spezie o metalli preziosi i loro finanziatori persero ogni interesse. Mercanti francesi mandarono negli anni venti un altro italiano, Verrazzano, alla scoperta di un passaggio ad occidente per le Indie. Dieci anni dopo il francese Jacques Cartier effettuò il primo di tre viaggi che lo portarono alla scoperta e all’esplorazione del fiume San Lorenzo. Cartier rivendicò alla Francia la regione nota in seguito come Canada. All’inizio degli anni venti, navigatori spagnoli e d’altre nazionalità avevano esplorato l’intera costa orientale delle due Americhe. Divenne sempre più evidente non solo che Colombo non aveva scoperto le Indie, ma anche che non esisteva un passaggio agevole attraverso la parte centrale del nuovo continente. Ferdinando Magellano convinse il re di Spagna a lasciargli guidare una spedizione di cinque navi alle Isole delle Spezie passando per il Mare del Sud oltre l’istmo di Panama. Magellano non intendeva circumnavigare il globo: credeva di trovare l'Asia a pochi giorni di navigazione al di là di Panama. Il suo problema maggiore era di trovare un passaggio attraverso o attorno al Sud America. Ci riuscì, e il tempestoso e infido stretto da lui scoperto porta ancora oggi il suo nome. Alla fine uno dei luogotenenti di Magellano guidò l’unica nave rimasta con il suo equipaggio attraverso l’Oceano Indiano fino in Spagna, dopo tre anni di viaggio; questi uomini divennero i primi ad aver portato a termine un’intera circumnavigazione del globo. Prima del XVI secolo, Spagna e Portogallo erano rimaste ai margini della civiltà europea; in seguito la loro potenza e il loro prestigio declinò rapidamente fino a farle piombare all'inizio del XIX secolo, in uno stato di sonnolenza. Nel XVI secolo, invece, i loro domini erano sterminati e la loro ricchezza e la loro potenza non avevano eguali al mondo. I portoghesi erano oramai i padroni dell’Oceano indiano, Vasco da Gama tornò in India con il compito di interrompere il commercio arabo con il Mar Rosso e l’Egitto, dal quale i veneziani ricavavano le spezie che distribuivano in Europa. I portoghesi non riuscirono a mantenere a lungo un monopolio effettivo nel commercio delle spezie. Alla fine l’impero spagnolo si rivelò anche più redditizio di quello portoghese. Nel XVI secolo gli spagnoli avevano il controllo effettivo dell’emisfero. Gli spagnoli, a differenza dei portoghesi, intrapresero fin dall’inizio un’opera di colonizzazione e di insediamento nelle regioni da loro conquistate. Gli spagnoli introdussero prodotti naturali precedentemente sconosciuti nell’emisfero occidentale, quali il grano ed altri cereali, zucchero di canna, caffè, molti tipi comuni 10 di verdura e frutta, animali tra i quali cavalli, bovini, pecore, asini. Dal punto di vista economico 11 l’espansione determinò un grande aumento delle merci scambiate. Nel XVI secolo le spezie orientali e i metalli preziosi occidentali rappresentavano una percentuale schiacciante delle importazioni dal mondo coloniale. Altre merci fecero la loro apparizione nei flussi commerciali: aumentarono gradualmente di volume e finirono per mettere in ombra le originali esportazioni coloniali in Europa. Il caffè e il cacao americano, il tè asiatico divennero le più comuni bevande europee, il cotone e lo zucchero non erano mai stati prodotti su larga scala. L’afflusso di oro e soprattutto argento dalle colonie spagnole accrebbe considerevolmente le scorte europee di metalli adatti alla monetizzazione. Il Governo spagnolo cercò di vietare l’esportazione di metalli preziosi in lingotti, ma ciò si rivelò impossibile. Lo stesso si rivelò comunque il principale trasgressore, con le grandi quantità di metalli preziosi inviate in Italia, in Germania e nei Paesi Bassi a pagamento dei debiti e per finanziare le sue interminabili guerre. I metalli preziosi si distribuirono per tutta l’Europa, il risultato più ovvio e immediato fu uno spettacolare e prolungato aumento dei prezzi. Alla fine del XVI secolo i prezzi erano, in generale, circa tre o quattro volte più elevati che al suo inizio. Il prezzo dei generi alimentari crebbe più di quello di gran parte degli altri prodotti. L'incremento demografico fu un fattore forse anche più importante per la lievitazione dei prezzi. Per l’Europa l’agricoltura continuava ad essere di gran lunga la principale attività economica. Il lavoro manuale era il fattore più importante di produzione. Il terreno, le sementa e l’umi erano naturalmente essenziali ma il lavoro umano era però l’ingrediente più importante di tutti. Nella periferia settentrionale e occidentale d’Europa predominava un’agricoltura di sussistenza. Le campagne erano scarsamente popolate, soprattutto quelle più a nord. Erano ancora applicate tecniche primitive di taglio e incendio della vegetazione spontanea. Nelle aree montuose era particolarmente importante l’allevamento del bestiame. Le colture principali erano segale, orzo e avena; lino e canapa erano coltivati per la fibra. L’abbondanza relativa di terra faceva sì che i poderi fossero fluidi, e che la maggior parte della terra appartenesse a clan di capi tribali o lords. L’organizzazione sociale era gerarchica ma senza schiavitù o legami servili. Nell’Europa di oltre l’Elba e a nord del Danubio, invece, la schiavitù o servitù personale era l’aspetto distintivo delle relazioni sociali. La condizione dei contadini fu gradualmente ridotta ad una situazione non molto lontana dalla schiavitù. La tecnologia agricola era relativamente primitiva. Nei territori adiacenti al Mar Baltico la produzione finalizzata all’esportazione verso i mercati dell’Europa occidentale fu uno stimolo potente alla specializzazione in coltivazioni cerealicole ed altre colture commerciali. L’Italia possedeva l’agricoltura più diversificata d'Europa. La produzione agricola italiana non riuscì a mantenere il passo della crescita demografica; i terreni erano esauriti dalle coltivazioni e dai pascoli. La Spagna offriva quasi la stessa varietà dell’Italia, l’agricoltura spagnola ricevette una cospicua eredità dai predecessori musulmani. Una delle maggiori difficoltà dell’agricoltura spagnola derivava dalla rivalità tra contadini e proprietari di greggi. Il sistema spagnolo era tuttavia insolito sia per la lunghezza dei tragitti che per la sua organizzazione. Il termine tedesco di Grundherrschaft è talvolta usato per descrivere il sistema di possesso fondiario, motivo per cui l’aristocrazia terriera si era trasformata in una classe di meri proprietari terrieri. Le piccole tenute e i fittavoli indipendenti erano più numerosi nei pressi delle città. dove il loro prodotto era vitale per il rifornimento della popolazione urbana. L’altro grande tipo di possesso fondiario era quello mezzadrile, in questo sistema il proprietario della terra provvedeva totalmente o in parte al bestiame e alle attrezzature, partecipava al rischio e alle scelte e si appropriava di una parte del raccolto, di solito la metà. L’area agricola più progredita d’Europa erano i Paesi Bassi, e soprattutto la parte più settentrionale concentrata attorno alla provincia d'Olanda. Nel corso del XVI e XVII secolo l'agricoltura olandese 10 li spingeva frequentemente a porre in atto politiche dannose alle attività produttive. In epoca 13 medievale le municipalità avevano goduto di estesi poteri di controllo e regolamentazione dell’economia. Esse riscuotevano dazi e tariffe sulle merci. Le corporazioni locali di mercanti e artigiani fissavano i salari e i prezzi e disciplinavano le condizioni di lavoro. Le politiche di nazionalismo economico rappresentarono il trasferimento di queste funzioni da un livello locale ad uno nazionale, in cui il governo centrale tentava di unificare lo Stato sia dal punto di vista economico che politico. I governanti europei si facevano concorrenza con lo scopo di rendere i loro Stati autosufficienti in caso di guerra. Il nazionalismo economico aggravò le divergenze religiose e le rivalità dinastiche che occupavano i governanti europei. Mercantilismo: un termine equivoco Adam Smith classificò le politiche economiche della sua epoca sotto un’unica rubrica, il sistema mercantile. Pur condannando queste politiche tentò di offrirne un quadro sistemico con l’obiettivo di evidenziarne l’assurdità. Dichiarò che tali politiche erano invenzioni di mercanti. Proprio come i mercanti si arricchiscono nella misura in cui le loro entrate sono superiori alle spese, così anche le nazioni si sarebbero arricchite a seconda di quanto le vendite a paesi esteri avessero superato gli acquisti all’estero, incassando la differenza, o “bilancia commerciale”. Per questo motivo incoraggiavano politiche che stimolavano le esportazioni e penalizzavano le importazioni per ottenere una “bilancia commerciale favorevole” per la nazione nel suo complesso. Per oltre un secolo il termine sistema mercantile mantenne una connotazione negativa. Nell’ultima parte del XIX secolo alcuni storici fra cui Schmoller ne rovesciarono la concezione. Per loro, nazionalisti e patrioti, il Merkantilismus era una politica di costruzione dello Stato portata avanti da saggi e benevoli. Nelle parole dello Schmoller il mercantilismo è una “costruzione dello Stato che si accompagna all’edificazione dell'economia nazionale”. Nei manuali si trovano definizioni del mercantilismo come “teoria” o “sistema” di politica economica caratteristico dell’Europa occidentale e delle loro dipendenze d’oltremare dal ‘500 circa fino a forse il 1800. Comunque non ci fu un consenso generale né in campo teorico né in quello politico. Nonostante le somiglianze, ogni paese ebbe una propria politica economica. I propugnatori del nazionalismo in economia sostenevano invariabilmente che le loro politiche avevano l’obiettivo di rafforzare lo Stato. La natura dello stato va riava dalla monarchia assoluta di Luigi XIV alla repubblica borghese. In nessun stato tutti gli abitanti partecipavano al processo di governo. Poiché il nazionalismo dei primi stati- nazione aveva un fondamento di classe, e non popolare, la chiave delle differenze nazionali nel campo della politica economica dovrebbe essere ricercata nella differente composizione e negli interessi divergenti delle classi dominanti. In Francia e nelle altre monarchie assolute niente si situava al di sopra dei desideri del sovrano. Pochi monarchi mostravano interesse per le questioni economiche. L’amministrazione era affidata a ministri e funzionari minori che spesso non conoscevano bene i problemi della tecnologia industriale e dell’iniziativa commerciale, e rispecchiavano i valori dei loro padroni. In questioni importanti i sovrani spesso sacrificavano per ignoranza o indifferenza sia il benessere economico dei loro sudditi che le fondamenta economiche del proprio potere. Il Governo spagnolo spese più di quanto gli consentissero le entrate. Persino la Francia di Luigi XIV non fu in grado di sopportare la continua emorragia di ricchezza sacrificata al perseguimento delle ambizioni territoriali del re e al mantenimento della sua corte. Alla sua morte il paese si trovava sull’orlo della bancarotta. Le Province Unite governate da e a beneficio dei ricchi mercanti che controllavano le città principali, seguirono una politica economica più accorta: stabilendo il libero scambio all’interno del paese. Gli elementi comuni Nel Medioevo gran parte dei signori feudali e soprattutto i monarchi possedevano dei “forzieri di guerra”: enormi scrigni corazzati in cui venivano accumulate monete e verghe di metalli preziosi per finanziare guerre previste o inattese. Ciò determinò una forma di politica economica nota come “bullionismo”, vale a dire il tentativo di accumulare all’interno del paese tutto l’oro e l’argento 14 possibile, proibendone l’esportazione mediante decreti che comminavano la pena di morte ai trasgressori. I tentativi della Spagna di amministrare con parsimonia il tesoro del Nuovo Mondo furono l’esempio più cospicuo di questa politica. Poiché erano pochi i paesi europei che possedevano miniere d’oro e d’argento, l’acquisizione di colonie in cui esistessero miniere di metalli preziosi fu uno degli obiettivi principali dell’esplorazione e della colonizzazione. Il modello da imitare fu il caso fortunato della Spagna. Fu in questo quadro che i mercanti riuscirono ad influenzare i Consigli di Stato ed ad escogitare le argomentazioni a sostegno di una bilancia commerciale favorevole. Secondo la teoria un paese doveva solo vendere, senza acquistare nulla dall’estero. In pratica ciò era impossibile e si pose la questione: cosa si doveva esportare e cosa importare? A causa dell’alta incidenza di raccolti insufficienti e di carestie periodiche, i Governi cercarono di garantirsi abbondanti riserve interne di grano. Allo stesso tempo incoraggiarono le manifatture. Le manifatture nazionali furono altresì incoraggiate attraverso la concessione di monopoli. Se le materie prime non erano disponibili sul mercato interno, potevano essere importate senza il pagamento di tasse sull’importazione. Le leggi suntuarie (relative ai consumi) tentarono di limitare il consumo di merci estere e di favorire quello di prodotti nazionali. Le grandi flotte mercantili consentivano di ottenere denaro dagli stranieri attraverso la fornitura di servizi di trasporto e incoraggiavano le esportazioni nazionali assicurando un mezzo di trasporto conveniente. Quasi tutti i paesi avevano delle “leggi sulla navigazione” che avevano l’obiettivo di riservare a navi nazionali le importazioni e le esportazioni, e di favorire la marina mercantile. I teorici sottolineavano l’importanza dei possedimenti coloniali come fattori della ricchezza e della potenza nazionale. Anche se le colonie non possedevano miniere d’oro e d’argento, esse potevano produrre beni non disponibili nella madrepatria. La Spagna e l’America spagnola Nel XVI secolo la Spagna era l’invidia e il flagello delle teste coronate d’Europa. Il suo re Carlo I ereditò non solo il regno di Spagna (in realtà i regni distinti di Aragona e di Castiglia) ma anche i domini asburgici in Europa centrale, i Paesi Bassi e la Franca Contea. Il regno di Aragona gli porto la Sardegna, la Si cilia e tutta l’Italia a sud di Roma. Nel 1519 Carlo divenne imperatore del Sacro Romano Impero col nome di Carlo V. Sebbene le risorse agricole spagnole non fossero le migliori, la Spagna aveva ereditato l’elaborato sistema moresco di orticoltura della Valencia e dell’ Andalusia, mentre la lana delle pecore merino era molto apprezzata in tutta l'Europa. Essa possedeva inoltre alcune fiorenti industrie (in particolare quella del panno e del ferro). I possedimenti di Carlo nei Paesi Bassi vantavano l’agricoltura più avanzata d’Europa. I domini asburgici nell’Europa centrale assicuravano importanti giacimenti di minerale, l’oro e l’argento dell’Impero nel Nuovo Mondo cominciarono ad affluire in Spagna in quantità enormi a partire dagli anni trenta. Ma l’economia spagnola non riuscì a progredire, gran parte della responsabilità deve essere attribuita alle esorbitanti ambizioni dei suoi sovrani e alla miopia e alla perversità delle loro politiche economiche. Carlo V riteneva sua missione riunificare l’Europa cristiana. A questo scopo combatté i turchi nel Mediterraneo e in Ungheria, lottò contro i principi protestanti ribelli in Germania e fece guerra ai Valois di Francia. Incapace di ottenere un successo duraturo su ciascuno di questi fronti abdicò nel 1556 al trono di Spagna. Aveva sperato di trasmettere i suoi possedimenti intatti al figlio Filippo, ma il fratello Ferdinando riuscì ad ottenere i territori asburgici in Europa centrale e il titolo d’Imperatore del Sacro Romano Impero dopo la morte di Carlo nel 1558, Filippo II continuò gran parte delle crociate paterne, aggiungendo anche l’Inghilterra. Nel 1588 ci fula sconfitta definitiva. Per finanziare le guerre e i notevoli consumi Carlo e Filippo si affidarono alle tasse. Il popolo spagnolo era nel XVI secolo quello soggetto alla tassazione più pesante. I grandi proprietari terrieri, quasi tutti di sangue nobile erano esentati dalle imposte dirette, il carico tributario ricadeva su artigiani, commercianti e contadini. La corona trovò un’inaspettata fonte di entrate con la scoperta dell’oro e dell'argento nell'impero americano. Le entrate raramente pareggiavano le enormi spese del governo. Ciò costringeva i sovrani a ricorrere ad una terza fonte di finanziamento, il prestito. Il 15 monopolistiche della Corona non si limitarono ai prodotti esotici dell’India e dell’Africa, ma si estesero a prodotti nazionali di prima necessità e quello che la Corona non riusciva a monopolizzare veniva tassato. All’inizio del XVIII secolo quasi il 40% del valore delle merci spedite legalmente da 18 Lisbona al Brasile era rappresentato da dazi doganali e altre tasse. La ragione prima di monopolio e tasse era quella di assicurare nuove entrate alla Corona; ma l’evasione era agevole e diffusa. Quanto più era forte l’imposizione fiscale tanto maggiore era l’incentivo ad evaderla. Anche i Portoghesi cominciarono a chiedere prestiti ad alti tassi di interesse ad italiani e fiamminghi, oppure ai sudditi del re, i “nuovi cristiani” (questo termine era eufemisticamente applicato ai cittadini portoghesi di origine ebraica). Alcuni di essi si erano realmente convertiti al cristianesimo, ma molti avevano segretamente conservato la loro fede. Re Emanuele aveva nel 1497 obbligato alla conversione gli ebrei a imitazione e su istanza dei monarchi spagnoli, ma per vari decenni non fu preso alcun provvedimento repressivo. In realtà cristiani vecchi e nuovi continuavano a vivere insieme in armonia e ad unirsi in matrimonio. Ma alla fine anche il Portogallo ottenne la sua Inquisizione: i cittadini erano addirittura istigati a denunciarsi a vicenda. L’Europa centrale, orientale e settentrionale Tutta l’Europa centrale, dall’Italia settentrionale al Baltico, era nominalmente unita sotto il Sacro Romano Impero. Il territorio era organizzato in centinaia di principati indipendenti o quasi, da possedimento laici ed ecclesiastici di dimensioni variabili, a quello del singolo cavaliere imperiale, alle terre asburgiche dell’Austria, della Boemia e dell’Ungheria. Con la riforma protestante l’autorità dell’Imperatore ebbe subito una drastica limitazione. La lotta tra il particolarismo locale e le tendenze centralizzatrici dei più potenti monarchi e principi costituisce gran parte della storia europea della prima età moderna. In Germania i propugnatori del nazionalismo economico sostenevano una serie di principi. Gli scrittori che appartengono a questa scuola sono di solito chiamati cameralisti dalla parola latina “camera” che nell’uso tedesco dell’epoca indicava le casse o il tesoro dello stato territoriale. Questi scrittori erano funzionari statali, cioè funzionari dei principi territoriali che lottavano per conseguire un’autonomia sia politica che economica. Nella loro preoccupazione per il rafforzamento dello stato territoriale, essi invocavano misure che, oltre a riempire le casse dello Stato, avrebbero ridotto la sua dipendenza da altri Stati e lo avrebbero reso più autosufficiente in caso di guerra: limitazioni al commercio con l’estero, incentivazione delle manifatture nazionali, bonifica dei terreni paludosi, offerta di lavoro per i “poveri oziosi”. Nel XVIII secolo in diverse università tedesche furono fondate cattedre speciali destinate a preparare i futuri funzionari statali. Il caso più spettacolare di successo di una politica di centralizzazione è senza dubbio quello dell’ascesa della Prussia degli Hohenzollern. E’ stato questo successo a spingere alcuni storici a ribaltare la condanna prevalente delle politiche del nazionalismo economico. Questa dinastia arrivò al potere nell’elettorato del Brandeburgo, nel XV secolo. Gli Hohenzollern estesero i propri domini per via ereditaria. Notevole fu l'acquisizione della Prussia orientale nel 1618. La guerra dei Trent'anni causò grandi devastazioni ma a partire da Federico Guglielmo (il “Grande Elettore”) una serie di abili regnanti trasformò il Brandeburgo-Prussia in una delle più grandi nazioni europee. Tra i mezzi impiegati figurano gli strumenti consueti della cosiddetta politica mercantilistica, quali dazi protettivi, concessioni di monopoli e sussidi all’industria, incentivi a imprenditori stranieri e lavoratori specializzati a stabilirsi nei territori meno popolati. Fattore importante fu la gestione delle risorse dello Stato: attraverso la centralizzazione dell’amministrazione, il requisito della responsabilità personale imposto al corpo di funzionari statali professionisti da loro creato, l’attenta riscossione delle imposte e la parsimonia sul lato della spesa, essi crearono una macchina statale efficientissima. La loro unica stravaganza fu l’esercito che arrivò ad assorbire più della meta del bilancio statale. I Re prussiani sfruttarono il loro esercito non solo da un punto di vista militare e politico ma anche economico. Essi erano in grado di ottenere sussidi dagli alleati ed evitavano di prendere denaro in prestito. Nonostante lo Stato fosse efficiente l’economia del paese era solo moderatamente prospera secondo il metro dell’epoca. All’ascesa della Prussia si contrappose la scomparsa del regno di Polonia. La caduta della Polonia ebbe cause militari e politiche, quali la debolezza dell’autorità regia elettiva ed 19 CAPITOLO I INTRODUZIONE: STORIA ECONOMICA E SVILUPPO Lo sviluppo economico ineguale ha provocato rivoluzioni e colpi di stato; governi totalitari e dittature militari hanno spogliato intere nazioni della libertà politica e molti individui della libertà individuale e persino della vita. Gli Stati Uniti ed altre nazioni ricche hanno speso miliardi di dollari in tentativi intenzionati a soccorrere i vicini meno fortunati. Non c'è un consenso generale sugli specifici metodi responsabili dei redditi più elevati delle nazioni ricche. Gli studiosi e gli scienziati non hanno ancora prodotto una teoria dello sviluppo economico che sia utile sul piano operativo e generalmente applicabile. Le statistiche del reddito pro-capite sono una rozza misurazione del livello di sviluppo economico. La crescita economica è definita come un aumento sostenuto del volume totale di beni e servizi prodotti da una società. La crescita del prodotto totale può verificarsi sia in conseguenza dell’impiego di maggiori quantità dei fattori della produzione, sia perché quantità equivalenti dei fattori di produzione sono impiegate con maggiore efficienza. Lo sviluppo economico significa crescita economica accompagnata da un sostanziale cambiamento strutturale e organizzativo dell'economia. Determinanti dello sviluppo economico L’economia classica ha sviluppato la classificazione tripartita dei “fattori di produzione": *terra; *lavoro; ® capitale. I mutamenti tecnologici e delle istituzioni sociali costituiscono i fattori più dinamici del cambiamento dell’intera economia. Negli ultimi secoli l'innovazione tecnologica è stata il fattore più dinamico di mutamento economico e di sviluppo. Il mutamento tecnologico non è però sempre stato così rapido. La tecnologia dell’età della pietra durò per centinaia di migliaia d’anni senza grossi cambiamenti. Una delle funzioni sociali svolte dalle istituzioni è di rappresentare un elemento di continuità e di stabilità, senza il quale la società si disintegrerebbe; ma nello svolgimento di questa funzione esse possono anche rappresentare una barriera allo sviluppo economico ostacolando il lavoro umano, impedendo lo sfruttamento razionale delle risorse o contrastando l’innovazione e la diffusione della tecnologia. Esempi storici d'innovazioni istituzionali sono i mercati organizzati,. la moneta battuta, i brevetti, le assicurazioni e le varie forme d'impresa. Produzione e produttività La produzione è il processo mediante il quale i fattori di produzione sono messi in relazione per produrre i beni e i servizi desiderati dalle popolazioni umane. La produzione può essere misurata in unità fisiche, o in termini di valore, ossia monetari. La produttività è il rapporto tra il risultato utile di un processo di produzione e i fattori di produzione in esso impiegati. Per misurare la produttività totale dei fattori di produzione è necessario ricorrere a misure di valore. Inoltre, determinate combinazioni di fattori di produzione sono in grado di accrescere la produttività. Il capitale umano deriva dall’investimento in conoscenze e abilità o capacità. L’investimento può assumere la forma di un’educazione o di un addestramento formale. Un aumento dei fattori tradizionali di produzione spiega solo in parte l’aumento della produzione nelle economie avanzate. Gli aumenti della produttività sono stati particolarmente considerevoli nell’ultimo secolo. E’ opportuno considerare la cosiddetta legge dei rendimenti decrescenti, che dovrebbe essere definita come la legge dell’utilità marginale decrescente. Un singolo lavoratore, con l’impiego di una data tecnologia, semplice o complessa, è in grado di ottenere un certo raccolto. L'aggiunta di un secondo lavoratore permette una semplice divisione del lavoro, che fa più che raddoppiare la produzione. Un terzo lavoratore può accrescere ancora di più la produzione. In altre parole, più lavoratori sono aggiunti e più cresce, fino ad un certo punto, il prodotto marginale. Alla fine però, l’aggiunta di nuovi lavoratori fa si che essi si ostacolino a vicenda, che calpestino il raccolto, e così via, e il prodotto marginale decresce. Nel 1798 Thomas Malthus pubblicò il famoso Saggio sul principio della popolazione. In esso partiva dal presupposto che “la passione tra i sessi” avrebbe portato ad una crescita demografica in “progressione geometrica”, ma che le disponibilità di cibo sarebbero cresciute in “progressione aritmetica”. Malthus non previde la serie d’innovazioni tecnologiche e istituzionali che hanno accresciuto la produttività e che hanno ripetutamente ritardato il funzionamento della legge dei rendimenti decrescenti. Struttura economica e mutamenti strutturali La struttura economica è implicita nelle relazioni tra i vari settori dell’economia, in particolare i tre settori principali noti col nome di primario, secondario e terziario. Il settore primario comprende quelle attività i cui prodotti sono ottenuti direttamente dalla natura: agricoltura, pesca. Il settore secondario comprende le attività che trasformano o lavorano i prodotti naturali. Il terziario comprende un ampio spettro di servizi, che vanno da quelli domestici e personali a quelli commerciali e finanziari, professionali e pubblici. L’agricoltura è stata la principale occupazione della grande maggioranza della razza umana ma ciò è tuttora valido per i paesi a basso reddito. La ragione di questo fenomeno è che la produttività era così bassa che per sopravvivere era necessario dedicarsi alla produzione di generi alimentari. Alcune centinaia di anni fa la produttività agricola cominciò a crescere, cominciò così il processo di industrializzazione, che si protrasse dalla fine del Medioevo fino alla metà del XX secolo. Nel frattempo man mano che la forza lavoro impiegata in agricoltura diminuiva, aumentava, anche se non proporzionalmente, quella nel settore secondario. La crescita della forza lavoro impiegata nel settore secondario è stata accompagnata dalla crescita del reddito prodotto da quel settore. Dal 1950 in poi le economie più avanzate hanno conosciuto un ulteriore cambiamento strutturale, il passaggio da settore secondario a quello terziario. Sul versante dell’offerta, l’accresciuta produttività rese possibile produrre le stesse quantità di prodotti con meno lavoro. Sul versante della domanda entrò in gioco un aspetto peculiare del comportamento umano, definito dalla legge di Engel. La logistica della crescita economica Il termine logistica indica l’organizzazione dei rifornimenti per un grosso gruppo di persone. Ma la logistica è anche una formula matematica, la curva logistica che ne deriva ha la forma di una S allungata ed è talvolta chiamata curva a S. La curva ha due fasi: una prima fase di crescita accelerata seguita da una seconda di decelerazione. E’ stato anche osservato che le curve logistiche possono anche descrivere molti fenomeni sociali come la crescita delle popolazioni umane. Ciascuna fase d’accelerazione della crescita demografica in Europa è stata accompagnata dalla crescita economica. Secondo Adam Smith la condizione del lavoratore era : *migliore in una società “progressista”; *cupa in una società stagnante; *miserabile in una in decadenza. Le fasi finali di tutte le logistiche, e gli intervalli di stagnazione o depressione che seguirono, testimoniarono la propagazione di tensioni sociali, inquietudini e disordini, e lo scoppio di guerre eccezionalmente feroci e distruttive. Forse le guerre non furono che avvenimenti fortuiti che posero 2 innovazioni significative: a)introduzione dell’aratro pesante a ruote; b) uso dei cavalli come animali da tiro. A differenza dell’aratro romano, l’aratro pesante a ruote era in grado di penetrare + in profondità e rivoltare i pesanti suoli grassi e argillosi dell’ Europa nordoccidentale, rendendo disponibili nuove risorse a coloro che lo impiegavano. Il primo esempio documentato di rotazione triennale regolare risale alla 2° metà del VIII secolo, nella Francia settentrionale. L’agricoltura medievale, oltre a queste innovazioni principali, registrò una serie di innovazioni e miglioramenti minori. L’esistenza di nuove fonti di approvvigionamento e i progressi della metallurgia avevano reso il ferro, nell’Europa medievale, + abbondante ed a buon mercato di quanto non fosse stato anticamente nel Mediterraneo; oltre ad essere usato x le armature e le armi de cavalieri, esso trovò un impiego crescente negli strumenti agricoli. La rotazione triennale presentava diversi vantaggi. Il + importante era l’accresciuta produttività del terreno: un terzo in + di colture alimentare x ogni data quantità di terra arabile. In conseguenza della sua superiorità, la rotazione triennale si diffuse dovunque il terreno e le condizioni climatiche fossero favorevoli; nell’XI secolo era di uso generale in tutta la Francia settentrionale, i Paesi Bassi, la Germania nordoccidentale e l'Inghilterra meridionale. Oltre a queste innovazioni principali, l’agricoltura medievale registrò una serie di innovazioni e miglioramenti minori. L'esistenza di nuove fonti di approvigionamento e i progressi della metallurgia avevano reso il ferro + abbondante e a buon mercato di quanto non fosse stato anticamente nel Mediterraneo. ‘uropa si espande All’inizio del XIV secolo la popolazione dell'Europa occidentale comprendeva 45-50 milioni di individui, e l'Europa occidentale 60-70 milioni. L’aumento della produttività marginale in conseguenza della rotazione triennale e di altri miglioramenti nella tecnologia agricola potrebbero agevolmente spiegare una leggera diminuzione del tasso medio di mortalità che, se mantenuta per molti anni, avrebbe causato un significativo incremento della popolazione. Inoltre, sebbene su questo punto non abbiamo prove certe, è possibile che anche il tasso medio di natalità sia aumentato leggermente. Con la diminuzione della frequenza di guerre e saccheggi può essersi verificato un aumento della sicurezza della vita, sia direttamente che indirettamente attraverso i suoi effetti sulla produzione. E’ possibile che si sia verificato un leggero miglioramento climatico tra il X e il XIV secolo. Si coltivano terre, che prima erano incolte. Per coltivare queste terre era necessario un grande sforzo di disboscamento e di bonifica, non dissimile da quello ingaggiato dai coloni europei in America . La rinascita della vita urbana La popolazione urbana aveva cominciato a diminuire ancora prima della caduta di Roma, in Italia resistette. La crescita delle città cominciò dapprima nelle città portuali, ma non vi rimase a lungo confinata. Le pianure della Lombardia e della Toscana rappresentavano il retroterra naturale di Venezia, Genova e Pisa. I campi aperti del sistema curtense furono spezzettati, recintati e sottoposti ad una coltivazione intensiva, che in molti casi prevedeva l’irrigazione e un’intensa concimazione. Molti dei nuovi imprenditori agricoli erano abitanti delle città che applicavano alle loro terre, acquistate o prese in affitto, le stesse attente valutazioni dei costi e dei ricavi che avevano appreso nelle transazioni commerciali. Nelle città dell’Italia settentrionale i commercianti più prosperi si riunirono in associazioni volontarie col fine di sbrigare gli affari municipali, difendere gli interessi comuni e appianare le 5 controversie senza riccorrere alle ingombranti corti feudali. Correnti e tecniche commerciali: Il tipo di traffico + prestigioso e proficuo era senza dubbio quello che stimolò la ripresa degli scambi commerciali tra l’Italia e il Levante. Una speciale estensione del commercio fu quello con la Cina, che fiorì tra la metà del XIII e la metà del XIV secolo. In quel periodo l’impero mongolo, il + vasto impero terrestre che il mondo abbia mai visto, si estendeva dall'Ungheria e dalla Polonia al Pacifico. I sovrani mongoli, a dispetto della loro fama di ferocia, diedero il benvenuto ai missionari cristiani e ai commercianti occidentali. Questo commercio fu dominato dagli italiani. Sull’altra sponda del Mediterraneo il commercio era + prosaico. Comprendeva spezi e prodotti di lusso orientali, ma avevano maggiore importanza i rifornimenti di cereali dalla Sicilia. Negli ultimi decenni del XIII secolo i viaggi dal Mediterraneo al Mare del Nord divennero + frequenti. Venezia e Genova cominciarono a organizzare flotte regolari (Flotte delle Fiandre). Nel caso + semplice il mercante lavorava x proprio conto; il suo intero capitale consisteva della quantità di merce che trasportava. I profitti erano divisi tra i due, solitamente nella proporzione di tre quarti x il capitalista sedentario e un quarto x il socio attivo. Con l’espansione del volume dei traffici e la standardizzazione delle pratiche commerciali comparve sulla scena una nuova forma di organizzazione commerciale D la VERA SOCIETA’, che cominciò a sostituirsi alla commenda. L’attività bancaria era strettamente legata al commercio medievale. Nel XII secolo a Venezia e a Genova furono fondate delle primitive banche di deposito D creando un sistema bancario. Si creò una diffusa dipendenza dal credito, anche grazie alla molteplicità e alla confusione delle monete. I cambiavalute svolgevano una funzione importante nelle fiere e nei centri commerciali. Fu dalle loro schiere che uscirono molti banchieri. Solo nella seconda metà del XII secolo l’Europa riuscì ad ottenere una valuta stabile, il famoso fiorino d’oro coniato x la prima volta a Firenze nel 1252. La tecnologia industriale e le origini dell’energia meccanica. L’industria manifatturiera non era un settore insignificante. L’industria + sviluppata e diffusa era senza dubbio la manifattura del panno, anche se le attività di costruzione, prese nel loro complesso, potevano figurare non molto distanziate al secondo posto. Il pano era fabbricato in ogni paese, in ogni provincia, quasi in ogni casa d’Europa. Sebbene i lavoratori + specializzati, quali i tintori, i follatori, i tosatori e persino i tessitori fossero organizzati in corporazioni, l'industria era dominata dai mercanti che acquistavano la materia prima e vendevano il prodotto finale. La produttività del lavoro crebbe di vari ordini di grandezza in conseguenza di 3 innovazioni tecnologiche: a) il telaio a pedale; b) mulinello; c) macchina idraulica per la follatura. La crisi dell’economia medievale 1348: in Europa epidemie di peste bubbonica D la Morte Nera. Guerra civile fra Stati D come 100 anni tra Inghilterra e la Francia. La grande carestia del 1315-1317 colpì tutta l'Europa settentrionale. 6 XIV secolo si verificò un deterioramento del clima, gli inverni nel Nord Europa divennero + lunghi e freddi. Le città dell’Europa occidentale sopravvissero e col tempo si rianimarono. Nonostante i loro successi iniziali, tutte furono represse con grande brutalità dalla nobiltà feudale, dai governi cittadini o da quelli delle emergenti monarchie nazionali. Alcune città, come Firenze e Venezia, non esitarono di fronte all’uso della forza x sottomettere i loro rivali ed estendere il proprio dominio sui vicini. La fiera di Ginevra si sostituì in quanto a importanza a quelle delle Champagne del XIV secolo, x poi subire la concorrenza di Lione verso la fine del XV secolo. CAPITOLO V LA SECONDA LOGISTICA EUROPEA Verso la metà del Quattrocento, la popolazione europea ricominciò ad aumentare. All'inizio del Seicento, però, questa rigorosa crescita incontrò i soliti ostacoli delle carestie, delle epidemie e delle guerre. Questi estremi temporali delimitano la seconda logistica europea. Popolazione e livelli di vita Il periodo di crescita demografica corrispose quasi esattamente all’epoca delle grandi esplorazioni e delle scoperte marittime che portarono all'individuazione di rotte interamente marittime tra l’Europa e l’Asia, alla conquista e alla colonizzazione dell’emisfero occidentale da parte degli europei. Nel XV secolo le città dell’Italia settentrionale godevano ancora di quella leadership negli affari economici che avevano esercitato per tutto il Medioevo. Una serie di guerre che videro l’invasione e l’occupazione dell’Italia da parte di eserciti stranieri portò ad un ulteriore sconvolgimento del commercio. Il declino dell’Italia non fu però immediato né drastico, giacché gli italiani avevano riserve di capitale, di talento imprenditoriale e d’istituzioni economiche sofisticate tali da bastare per diverse generazioni. Verso la metà del Seicento, l’Italia si trovava ormai alla retroguardia dell'economia europea, condizione dalla quale non doveva risollevarsi pienamente fino al XX secolo. La Spagna e il Portogallo godettero di una gloria effimera come principali potenze economiche europee. Lisbona si sostituì a Venezia nel ruolo di grande emporio del commercio delle spezie, e gli Asbur go spagnoli, finanziati in parte dall’oro e dall’argento del loro impero americano, divennero i sovrani più potenti d'Europa. La ricchezza delle Indie e delle Americhe non fu però adeguatamente distribuita all'interno dei due paesi. Pur conservando i rispettivi sterminati imperi marittimi fino al XIX e al XX secolo, entrambi i paesi erano in piena decadenza, economicamente, politicamente e militarmente, già alla metà del XVII secolo. L’Europa centrale, orientale e settentrionale non partecipò alla prosperità commerciale del XVI secolo. La Germania meridionale e la Svizzera, che avevano raggiunto una certa preminenza commerciale nel XV secolo, conservarono per un certo periodo la loro prosperità. Tutta l'Europa centrale cadde preda ben presto di guerre religiose e dinastiche che sottrassero energie all’attività economica. La regione che realizzò i maggiori guadagni dai mutamenti economici associati alle grandi scoperte fu quella attorno al Mare del Nord e alla Manica: i Paesi Bassi, l'Inghilterra e la Francia settentrionale. Per tutto il XVI secolo, la Francia fu coinvolta in guerre dinastiche e religiose, civili e internazionali, e per la maggior parte di esso il suo Governo seguì politiche avverse al commercio e all’agricoltura. La Francia perciò ebbe meno a guadagnare rispetto all’Olanda e all’Inghilterra. L'Inghilterra stava appena emergendo dalla condizione di area arretrata e produttrice di materie prime a quella di paese più o meno manifatturiero. Il declino della grande nobiltà accrebbe l’importanza della piccola nobiltà, la gentry. La nuova dinastia Tudor, che salì al trono nel 1485, dipendeva fortemente dal 7 dell’Oceano Indiano. La strada era tracciata per il successivo e più grande viaggio d’esplorazione, quello che consenti a Vasco da Gama di raggiungere Calcutta circumnavigando l’ Africa. Malattie, ammutinamenti, tempeste incontrati nella spedizione portarono alla perdita di due delle quattro navi di da Gama e di quasi due terzi del suo equipaggio. Il carico di spezie col quale egli fece ritorno compensò però di gran lunga tutti i costi del viaggio. Vedendo l’entità dei profitti, i portoghes i non persero tempo a mettere a frutto il vantaggio di cui godevano. Nel 1513 una delle loro navi attraccò a Canton nella Cina meridionale, e a metà del secolo avevano intrecciato relazioni commerciali e diplomatiche col Giappone. Nel 1483 un genovese chiese al re di finanziare una spedizione attraverso l’Atlantico per raggiungere l’Oriente viaggiando verso ovest. Il genovese era Cristoforo Colombo e dopo la bocciatura della sua proposta non si diede per vinto e si rivolse ai sovrani spagnoli, i quali erano impegnati in una guerra e non avevano soldi da investire in un progetto cosi poco realizzabile. Colombo cercò invano di interessare il re di Francia e d’Inghilterra. Solo nel 1492 i sovrani acconsentirono di patrocinare la spedizione. Colombo salpò il 3 agosto 1492 e il 12 ottobre avvistò le isole note in seguito come Indie occidentali. Egli credette davvero di aver raggiunto le Indie, infatti Colombo chiamò indiani i suoi abitanti. Dopo alcune settimane di esplorazioni tra le isole fece ritorno in Spagna per comunicare la lieta novella. Colombo effettuò quattro viaggi nei mari occidentali, e credette di avere scoperto una via diretta per l’Asia. Subito dopo il ritorno della prima spedizione Ferdinando e Isabella, sovrani spagnoli, si rivolsero al Papa perché stabilisse una “linea di demarcazione” che confermasse i diritti spagnoli sulle terre appena scoperte. Giovanni Caboto, un marinaio italiano che viveva in Inghilterra andò alla scoperta di Terranova e della Nuova Scozia. L'anno dopo con il fratello Seba stiano esplorò la costa settentrionale del Nord America; poiché essi non portarono spezie o metalli preziosi i loro finanziatori persero ogni interesse. Mercanti francesi mandarono negli anni venti un altro italiano, Verrazzano, alla scoperta di un passaggio ad occidente per le Indie. Dieci anni dopo il francese Jacques Cartier effettuò il primo di tre viaggi che lo portarono alla scoperta e all’esplorazione del fiume San Lorenzo. Cartier rivendicò alla Francia la regione nota in seguito come Canada. All’inizio degli anni venti, navigatori spagnoli e d’altre nazionalità avevano esplorato l’intera costa orientale delle due Americhe. Divenne sempre più evidente non solo che Colombo non aveva scoperto le Indie, ma anche che non esisteva un passaggio agevole attraverso la parte centrale del nuovo continente. Ferdinando Magellano convinse il re di Spagna a lasciargli guidare una spedizione di cinque navi alle Isole delle Spezie passando per il Mare del Sud oltre l’istmo di Panama. Magellano non intendeva circumnavigare il globo: credeva di trovare l'Asia a pochi giorni di navigazione al di là di Panama. Il suo problema maggiore era di trovare un passaggio attraverso o attorno al Sud America. Ci riuscì, e il tempestoso e infido stretto da lui scoperto porta ancora oggi il suo nome. Alla fine uno dei luogotenenti di Magellano guidò l’unica nave rimasta con il suo equipaggio attraverso l’Oceano Indiano fino in Spagna, dopo tre anni di viaggio; questi uomini divennero i primi ad aver portato a termine un’intera circumnavigazione del globo. Prima del XVI secolo, Spagna e Portogallo erano rimaste ai margini della civiltà europea; in seguito la loro potenza e il loro prestigio declinò rapidamente fino a farle piombare all'inizio del XIX secolo, in uno stato di sonnolenza. Nel XVI secolo, invece, i loro domini erano sterminati e la loro ricchezza e la loro potenza non avevano eguali al mondo. I portoghesi erano oramai i padroni dell’Oceano indiano, Vasco da Gama tornò in India con il compito di interrompere il commercio arabo con il Mar Rosso e l’Egitto, dal quale i veneziani ricavavano le spezie che distribuivano in Europa. I portoghesi non riuscirono a mantenere a lungo un monopolio effettivo nel commercio delle spezie. Alla fine l’impero spagnolo si rivelò anche più redditizio di quello portoghese. Nel XVI secolo gli spagnoli avevano il controllo effettivo dell’emisfero. Gli spagnoli, a differenza dei portoghesi, intrapresero fin dall’inizio un’opera di colonizzazione e di insediamento nelle regioni da loro conquistate. Gli spagnoli introdussero prodotti naturali precedentemente sconosciuti nell’emisfero occidentale, quali il grano ed altri cereali, zucchero di canna, caffè, molti tipi comuni 10 di verdura e frutta, animali tra i quali cavalli, bovini, pecore, asini. Dal punto di vista economico 11 l’espansione determinò un grande aumento delle merci scambiate. Nel XVI secolo le spezie orientali e i metalli preziosi occidentali rappresentavano una percentuale schiacciante delle importazioni dal mondo coloniale. Altre merci fecero la loro apparizione nei flussi commerciali: aumentarono gradualmente di volume e finirono per mettere in ombra le originali esportazioni coloniali in Europa. Il caffè e il cacao americano, il tè asiatico divennero le più comuni bevande europee, il cotone e lo zucchero non erano mai stati prodotti su larga scala. L’afflusso di oro e soprattutto argento dalle colonie spagnole accrebbe considerevolmente le scorte europee di metalli adatti alla monetizzazione. Il Governo spagnolo cercò di vietare l’esportazione di metalli preziosi in lingotti, ma ciò si rivelò impossibile. Lo stesso si rivelò comunque il principale trasgressore, con le grandi quantità di metalli preziosi inviate in Italia, in Germania e nei Paesi Bassi a pagamento dei debiti e per finanziare le sue interminabili guerre. I metalli preziosi si distribuirono per tutta l’Europa, il risultato più ovvio e immediato fu uno spettacolare e prolungato aumento dei prezzi. Alla fine del XVI secolo i prezzi erano, in generale, circa tre o quattro volte più elevati che al suo inizio. Il prezzo dei generi alimentari crebbe più di quello di gran parte degli altri prodotti. L'incremento demografico fu un fattore forse anche più importante per la lievitazione dei prezzi. Per l’Europa l’agricoltura continuava ad essere di gran lunga la principale attività economica. Il lavoro manuale era il fattore più importante di produzione. Il terreno, le sementa e l’umi erano naturalmente essenziali ma il lavoro umano era però l’ingrediente più importante di tutti. Nella periferia settentrionale e occidentale d’Europa predominava un’agricoltura di sussistenza. Le campagne erano scarsamente popolate, soprattutto quelle più a nord. Erano ancora applicate tecniche primitive di taglio e incendio della vegetazione spontanea. Nelle aree montuose era particolarmente importante l’allevamento del bestiame. Le colture principali erano segale, orzo e avena; lino e canapa erano coltivati per la fibra. L’abbondanza relativa di terra faceva sì che i poderi fossero fluidi, e che la maggior parte della terra appartenesse a clan di capi tribali o lords. L’organizzazione sociale era gerarchica ma senza schiavitù o legami servili. Nell’Europa di oltre l’Elba e a nord del Danubio, invece, la schiavitù o servitù personale era l’aspetto distintivo delle relazioni sociali. La condizione dei contadini fu gradualmente ridotta ad una situazione non molto lontana dalla schiavitù. La tecnologia agricola era relativamente primitiva. Nei territori adiacenti al Mar Baltico la produzione finalizzata all’esportazione verso i mercati dell’Europa occidentale fu uno stimolo potente alla specializzazione in coltivazioni cerealicole ed altre colture commerciali. L’Italia possedeva l’agricoltura più diversificata d'Europa. La produzione agricola italiana non riuscì a mantenere il passo della crescita demografica; i terreni erano esauriti dalle coltivazioni e dai pascoli. La Spagna offriva quasi la stessa varietà dell’Italia, l’agricoltura spagnola ricevette una cospicua eredità dai predecessori musulmani. Una delle maggiori difficoltà dell’agricoltura spagnola derivava dalla rivalità tra contadini e proprietari di greggi. Il sistema spagnolo era tuttavia insolito sia per la lunghezza dei tragitti che per la sua organizzazione. Il termine tedesco di Grundherrschaft è talvolta usato per descrivere il sistema di possesso fondiario, motivo per cui l’aristocrazia terriera si era trasformata in una classe di meri proprietari terrieri. Le piccole tenute e i fittavoli indipendenti erano più numerosi nei pressi delle città. dove il loro prodotto era vitale per il rifornimento della popolazione urbana. L’altro grande tipo di possesso fondiario era quello mezzadrile, in questo sistema il proprietario della terra provvedeva totalmente o in parte al bestiame e alle attrezzature, partecipava al rischio e alle scelte e si appropriava di una parte del raccolto, di solito la metà. L’area agricola più progredita d’Europa erano i Paesi Bassi, e soprattutto la parte più settentrionale concentrata attorno alla provincia d'Olanda. Nel corso del XVI e XVII secolo l'agricoltura olandese 10 li spingeva frequentemente a porre in atto politiche dannose alle attività produttive. In epoca 13 medievale le municipalità avevano goduto di estesi poteri di controllo e regolamentazione dell’economia. Esse riscuotevano dazi e tariffe sulle merci. Le corporazioni locali di mercanti e artigiani fissavano i salari e i prezzi e disciplinavano le condizioni di lavoro. Le politiche di nazionalismo economico rappresentarono il trasferimento di queste funzioni da un livello locale ad uno nazionale, in cui il governo centrale tentava di unificare lo Stato sia dal punto di vista economico che politico. I governanti europei si facevano concorrenza con lo scopo di rendere i loro Stati autosufficienti in caso di guerra. Il nazionalismo economico aggravò le divergenze religiose e le rivalità dinastiche che occupavano i governanti europei. Mercantilismo: un termine equivoco Adam Smith classificò le politiche economiche della sua epoca sotto un’unica rubrica, il sistema mercantile. Pur condannando queste politiche tentò di offrirne un quadro sistemico con l’obiettivo di evidenziarne l’assurdità. Dichiarò che tali politiche erano invenzioni di mercanti. Proprio come i mercanti si arricchiscono nella misura in cui le loro entrate sono superiori alle spese, così anche le nazioni si sarebbero arricchite a seconda di quanto le vendite a paesi esteri avessero superato gli acquisti all’estero, incassando la differenza, o “bilancia commerciale”. Per questo motivo incoraggiavano politiche che stimolavano le esportazioni e penalizzavano le importazioni per ottenere una “bilancia commerciale favorevole” per la nazione nel suo complesso. Per oltre un secolo il termine sistema mercantile mantenne una connotazione negativa. Nell’ultima parte del XIX secolo alcuni storici fra cui Schmoller ne rovesciarono la concezione. Per loro, nazionalisti e patrioti, il Merkantilismus era una politica di costruzione dello Stato portata avanti da saggi e benevoli. Nelle parole dello Schmoller il mercantilismo è una “costruzione dello Stato che si accompagna all’edificazione dell'economia nazionale”. Nei manuali si trovano definizioni del mercantilismo come “teoria” o “sistema” di politica economica caratteristico dell’Europa occidentale e delle loro dipendenze d’oltremare dal ‘500 circa fino a forse il 1800. Comunque non ci fu un consenso generale né in campo teorico né in quello politico. Nonostante le somiglianze, ogni paese ebbe una propria politica economica. I propugnatori del nazionalismo in economia sostenevano invariabilmente che le loro politiche avevano l’obiettivo di rafforzare lo Stato. La natura dello stato va riava dalla monarchia assoluta di Luigi XIV alla repubblica borghese. In nessun stato tutti gli abitanti partecipavano al processo di governo. Poiché il nazionalismo dei primi stati- nazione aveva un fondamento di classe, e non popolare, la chiave delle differenze nazionali nel campo della politica economica dovrebbe essere ricercata nella differente composizione e negli interessi divergenti delle classi dominanti. In Francia e nelle altre monarchie assolute niente si situava al di sopra dei desideri del sovrano. Pochi monarchi mostravano interesse per le questioni economiche. L’amministrazione era affidata a ministri e funzionari minori che spesso non conoscevano bene i problemi della tecnologia industriale e dell’iniziativa commerciale, e rispecchiavano i valori dei loro padroni. In questioni importanti i sovrani spesso sacrificavano per ignoranza o indifferenza sia il benessere economico dei loro sudditi che le fondamenta economiche del proprio potere. Il Governo spagnolo spese più di quanto gli consentissero le entrate. Persino la Francia di Luigi XIV non fu in grado di sopportare la continua emorragia di ricchezza sacrificata al perseguimento delle ambizioni territoriali del re e al mantenimento della sua corte. Alla sua morte il paese si trovava sull’orlo della bancarotta. Le Province Unite governate da e a beneficio dei ricchi mercanti che controllavano le città principali, seguirono una politica economica più accorta: stabilendo il libero scambio all’interno del paese. Gli elementi comuni Nel Medioevo gran parte dei signori feudali e soprattutto i monarchi possedevano dei “forzieri di guerra”: enormi scrigni corazzati in cui venivano accumulate monete e verghe di metalli preziosi per finanziare guerre previste o inattese. Ciò determinò una forma di politica economica nota come “bullionismo”, vale a dire il tentativo di accumulare all’interno del paese tutto l’oro e l’argento 14 possibile, proibendone l’esportazione mediante decreti che comminavano la pena di morte ai trasgressori. I tentativi della Spagna di amministrare con parsimonia il tesoro del Nuovo Mondo furono l’esempio più cospicuo di questa politica. Poiché erano pochi i paesi europei che possedevano miniere d’oro e d’argento, l’acquisizione di colonie in cui esistessero miniere di metalli preziosi fu uno degli obiettivi principali dell’esplorazione e della colonizzazione. Il modello da imitare fu il caso fortunato della Spagna. Fu in questo quadro che i mercanti riuscirono ad influenzare i Consigli di Stato ed ad escogitare le argomentazioni a sostegno di una bilancia commerciale favorevole. Secondo la teoria un paese doveva solo vendere, senza acquistare nulla dall’estero. In pratica ciò era impossibile e si pose la questione: cosa si doveva esportare e cosa importare? A causa dell’alta incidenza di raccolti insufficienti e di carestie periodiche, i Governi cercarono di garantirsi abbondanti riserve interne di grano. Allo stesso tempo incoraggiarono le manifatture. Le manifatture nazionali furono altresì incoraggiate attraverso la concessione di monopoli. Se le materie prime non erano disponibili sul mercato interno, potevano essere importate senza il pagamento di tasse sull’importazione. Le leggi suntuarie (relative ai consumi) tentarono di limitare il consumo di merci estere e di favorire quello di prodotti nazionali. Le grandi flotte mercantili consentivano di ottenere denaro dagli stranieri attraverso la fornitura di servizi di trasporto e incoraggiavano le esportazioni nazionali assicurando un mezzo di trasporto conveniente. Quasi tutti i paesi avevano delle “leggi sulla navigazione” che avevano l’obiettivo di riservare a navi nazionali le importazioni e le esportazioni, e di favorire la marina mercantile. I teorici sottolineavano l’importanza dei possedimenti coloniali come fattori della ricchezza e della potenza nazionale. Anche se le colonie non possedevano miniere d’oro e d’argento, esse potevano produrre beni non disponibili nella madrepatria. La Spagna e l’America spagnola Nel XVI secolo la Spagna era l’invidia e il flagello delle teste coronate d’Europa. Il suo re Carlo I ereditò non solo il regno di Spagna (in realtà i regni distinti di Aragona e di Castiglia) ma anche i domini asburgici in Europa centrale, i Paesi Bassi e la Franca Contea. Il regno di Aragona gli porto la Sardegna, la Si cilia e tutta l’Italia a sud di Roma. Nel 1519 Carlo divenne imperatore del Sacro Romano Impero col nome di Carlo V. Sebbene le risorse agricole spagnole non fossero le migliori, la Spagna aveva ereditato l’elaborato sistema moresco di orticoltura della Valencia e dell’ Andalusia, mentre la lana delle pecore merino era molto apprezzata in tutta l'Europa. Essa possedeva inoltre alcune fiorenti industrie (in particolare quella del panno e del ferro). I possedimenti di Carlo nei Paesi Bassi vantavano l’agricoltura più avanzata d’Europa. I domini asburgici nell’Europa centrale assicuravano importanti giacimenti di minerale, l’oro e l’argento dell’Impero nel Nuovo Mondo cominciarono ad affluire in Spagna in quantità enormi a partire dagli anni trenta. Ma l’economia spagnola non riuscì a progredire, gran parte della responsabilità deve essere attribuita alle esorbitanti ambizioni dei suoi sovrani e alla miopia e alla perversità delle loro politiche economiche. Carlo V riteneva sua missione riunificare l’Europa cristiana. A questo scopo combatté i turchi nel Mediterraneo e in Ungheria, lottò contro i principi protestanti ribelli in Germania e fece guerra ai Valois di Francia. Incapace di ottenere un successo duraturo su ciascuno di questi fronti abdicò nel 1556 al trono di Spagna. Aveva sperato di trasmettere i suoi possedimenti intatti al figlio Filippo, ma il fratello Ferdinando riuscì ad ottenere i territori asburgici in Europa centrale e il titolo d’Imperatore del Sacro Romano Impero dopo la morte di Carlo nel 1558, Filippo II continuò gran parte delle crociate paterne, aggiungendo anche l’Inghilterra. Nel 1588 ci fula sconfitta definitiva. Per finanziare le guerre e i notevoli consumi Carlo e Filippo si affidarono alle tasse. Il popolo spagnolo era nel XVI secolo quello soggetto alla tassazione più pesante. I grandi proprietari terrieri, quasi tutti di sangue nobile erano esentati dalle imposte dirette, il carico tributario ricadeva su artigiani, commercianti e contadini. La corona trovò un’inaspettata fonte di entrate con la scoperta dell’oro e dell'argento nell'impero americano. Le entrate raramente pareggiavano le enormi spese del governo. Ciò costringeva i sovrani a ricorrere ad una terza fonte di finanziamento, il prestito. Il 15 monopolistiche della Corona non si limitarono ai prodotti esotici dell’India e dell’Africa, ma si estesero a prodotti nazionali di prima necessità e quello che la Corona non riusciva a monopolizzare veniva tassato. All’inizio del XVIII secolo quasi il 40% del valore delle merci spedite legalmente da 18 Lisbona al Brasile era rappresentato da dazi doganali e altre tasse. La ragione prima di monopolio e tasse era quella di assicurare nuove entrate alla Corona; ma l’evasione era agevole e diffusa. Quanto più era forte l’imposizione fiscale tanto maggiore era l’incentivo ad evaderla. Anche i Portoghesi cominciarono a chiedere prestiti ad alti tassi di interesse ad italiani e fiamminghi, oppure ai sudditi del re, i “nuovi cristiani” (questo termine era eufemisticamente applicato ai cittadini portoghesi di origine ebraica). Alcuni di essi si erano realmente convertiti al cristianesimo, ma molti avevano segretamente conservato la loro fede. Re Emanuele aveva nel 1497 obbligato alla conversione gli ebrei a imitazione e su istanza dei monarchi spagnoli, ma per vari decenni non fu preso alcun provvedimento repressivo. In realtà cristiani vecchi e nuovi continuavano a vivere insieme in armonia e ad unirsi in matrimonio. Ma alla fine anche il Portogallo ottenne la sua Inquisizione: i cittadini erano addirittura istigati a denunciarsi a vicenda. L’Europa centrale, orientale e settentrionale Tutta l’Europa centrale, dall’Italia settentrionale al Baltico, era nominalmente unita sotto il Sacro Romano Impero. Il territorio era organizzato in centinaia di principati indipendenti o quasi, da possedimento laici ed ecclesiastici di dimensioni variabili, a quello del singolo cavaliere imperiale, alle terre asburgiche dell’Austria, della Boemia e dell’Ungheria. Con la riforma protestante l’autorità dell’Imperatore ebbe subito una drastica limitazione. La lotta tra il particolarismo locale e le tendenze centralizzatrici dei più potenti monarchi e principi costituisce gran parte della storia europea della prima età moderna. In Germania i propugnatori del nazionalismo economico sostenevano una serie di principi. Gli scrittori che appartengono a questa scuola sono di solito chiamati cameralisti dalla parola latina “camera” che nell’uso tedesco dell’epoca indicava le casse o il tesoro dello stato territoriale. Questi scrittori erano funzionari statali, cioè funzionari dei principi territoriali che lottavano per conseguire un’autonomia sia politica che economica. Nella loro preoccupazione per il rafforzamento dello stato territoriale, essi invocavano misure che, oltre a riempire le casse dello Stato, avrebbero ridotto la sua dipendenza da altri Stati e lo avrebbero reso più autosufficiente in caso di guerra: limitazioni al commercio con l’estero, incentivazione delle manifatture nazionali, bonifica dei terreni paludosi, offerta di lavoro per i “poveri oziosi”. Nel XVIII secolo in diverse università tedesche furono fondate cattedre speciali destinate a preparare i futuri funzionari statali. Il caso più spettacolare di successo di una politica di centralizzazione è senza dubbio quello dell’ascesa della Prussia degli Hohenzollern. E’ stato questo successo a spingere alcuni storici a ribaltare la condanna prevalente delle politiche del nazionalismo economico. Questa dinastia arrivò al potere nell’elettorato del Brandeburgo, nel XV secolo. Gli Hohenzollern estesero i propri domini per via ereditaria. Notevole fu l'acquisizione della Prussia orientale nel 1618. La guerra dei Trent'anni causò grandi devastazioni ma a partire da Federico Guglielmo (il “Grande Elettore”) una serie di abili regnanti trasformò il Brandeburgo-Prussia in una delle più grandi nazioni europee. Tra i mezzi impiegati figurano gli strumenti consueti della cosiddetta politica mercantilistica, quali dazi protettivi, concessioni di monopoli e sussidi all’industria, incentivi a imprenditori stranieri e lavoratori specializzati a stabilirsi nei territori meno popolati. Fattore importante fu la gestione delle risorse dello Stato: attraverso la centralizzazione dell’amministrazione, il requisito della responsabilità personale imposto al corpo di funzionari statali professionisti da loro creato, l’attenta riscossione delle imposte e la parsimonia sul lato della spesa, essi crearono una macchina statale efficientissima. La loro unica stravaganza fu l’esercito che arrivò ad assorbire più della meta del bilancio statale. I Re prussiani sfruttarono il loro esercito non solo da un punto di vista militare e politico ma anche economico. Essi erano in grado di ottenere sussidi dagli alleati ed evitavano di prendere denaro in prestito. Nonostante lo Stato fosse efficiente l’economia del paese era solo moderatamente prospera secondo il metro dell’epoca. All’ascesa della Prussia si contrappose la scomparsa del regno di Polonia. La caduta della Polonia ebbe cause militari e politiche, quali la debolezza dell’autorità regia elettiva ed 19 il liberum veto, in virtù del quale ogni singolo membro del sejm, parlamento, poteva annullare gli atti dell’intera sessione. Ma la povertà e l’arretratezza dell’economia furono fattori determinanti. Giuridicamente la popolazione era composta per circa tre quarti da servi, legati alla terra e con nessun diritto. La nobiltà polacca era abbastanza numerosa, ma nella grande maggioranza era anch’essa povera e virtualmente senza terra. La maggior parte della terra era controllata da non più di una ventina di famiglie. Nel XVI e XVII secolo la Polonia esportò in Occidente grandi quantità di cereali, ma con l’aumento della produzione agricola in Occidente la domanda di grano si contrasse e il paese ritornò ad una agricoltura di sussistenza. Sebbene l’assenza di un’effettiva autorità centrale rendesse impossibile per la Polonia una coerente politica economica, alcune regioni che ne facevano parte l’avevano: esempio è lo stato di Curlandia ma non ebbe lunga vita e scomparve insieme alla Polonia. Nel XVI e XVII secolo la Russia si sviluppò sia dal punto di vista economico che politico. Priva di sbocchi sul mare, intratteneva pochissimi scambi commerciali di lunga distanza. La grande maggioranza della popolazione si dedicava ad una agricoltura d i sussistenza, condizionata dalle istituzioni servili. Nel frattempo nonostante le numerose rivolte l’autorità dello Zar si andava rafforzando. Nel 1696 quando Pietro I (‘il Grande”) divenne unico sovrano, il suo potere all’interno dello Stato era senza rivali. Pietro intraprese un politica di “occidentalizzazione”: concesse sussidi e privilegi ad artigiani e imprenditori occidentali disposti a stabilirsi in Russia per esercitarvi una professione o un commercio; costruì la città di San Pietroburgo, la sua “finestra sull’occidente”; si assicurò così un porto e cominciò a costruire una flotta per estendere i propri domini; costituì un più efficiente sistema tributario per raccogliere più denaro possibile. Quando le industrie del paese si dimostrarono incapaci di soddisfare le sue richieste di articoli militari, Pietro fondò arsenali, cantieri navali e fonderie che disponevano di tecnici occidentali il cui compito era di addestrare una forza lavoro indigena, ma il tentativo ebbe scarso successo. Dopo la morte di Pietro la maggior parte delle industrie da lui fondate scomparvero, la flotta cadde in rovina e persino il suo sistema tributario assicurò rendite inadeguate a mantenere l’esercito e la burocrazia. Tra i suoi successori Caterina (anch’essa detta “la Grand e”) fu responsabile di due innovazioni nella finanza statale: l’accensione di prestiti all’estero e l’eccessiva emissione di moneta cartacea a corso fiduciario. Nel XVI e XVII secolo la Svezia svolse un ruolo di grande potenza politica. Il suo successo dipese dall’abbondanza di risorse naturali (rame e ferro) e dall’efficienza amministrativa del suo governo. I Sovrani svedesi abolirono i dazi doganali e le tariffe interne che ostacolavano il commercio negli altri paesi, standardizzarono pesi e misure, istituirono un sistema di tassazione uniforme e presero dei provvedimenti che favorirono la crescita del commercio e dell’industria. Nel XVII secolo la Svezia divenne il principale fornitore di ferro sul mercato europeo. L’Italia è stata esclusa da questa rassegna delle politiche nel periodo del nazionalismo economico perché subì le rivalità delle grandi potenze. Ripetutamente invase le sue città-stato e i suoi piccoli principati ebbero scarse opportunità di intraprendere o porre in atto politiche indipendenti. Fece eccezione la repubblica di Venezia che riuscì a conservare sia l’indipendenza politica che una certa prosperità economica fino alla conquista francese del 1797. Venezia sviluppò un’importante industria della lana, della vetreria, della carta e della stampa. Il Governo (oligarchia) tentò di scongiurare la decadenza commerciale ma Con Scarso Successo. Il colbertismo in Francia L’esempio archetipo del nazionalismo economico fu la Francia di Luigi XIV. Luigi ne costituì il simbolo e il potere, ma la responsabilità del disegno politico fu del suo primo ministro Jean - Baptiste Colbert. La sua influenza fu tale che è stato coniato il termine colbertisme (sinonimo di mercantilismo). Colbert cercò di sistematizzare e razionalizzare l’apparato dei controlli statali sull’economia, ereditato dai suoi predecessori, ma non riuscì mai ad ottenere un vero successo. La ragione del suo fallimento fu l’incapacità di attingere dall’economia denaro sufficiente a finanziare le guerre e il lusso smodato della corte di Luigi. All’epoca della guerra dei Cent'anni le “imposte 20 costituzionale. Enrico VIII fu per l'Inghilterra un monarca assoluto. Ma mentre nella maggior parte dei paesi del continente l’assolutismo monarchico crebbe nel corso del XVI e XVII secolo, in Inghilterra nel 1688 si ebbe una monarchia costituzionale sotto controllo parlamentare. Un'altra differenza tra l’Inghilterra e il continente getta luce sulla natura della politica economica. In Spagna e in Francia le necessità fiscali della Corona resero impossibile al Governo di perseguire una politica razionale di sviluppo economico. In Inghilterra le richieste della Corona la posero ripetutamente in conflitto con il Parlamento, fino alla vittoria finale di quest’ultimo. Il Parlamento inglese non aveva mai rinunciato alla sua prerogativa di approvare nuove tasse. Il tentativo di Carlo V dopo il 1630 di governare senza il Parlamento e di riscuotere le tasse senza autorizzazione parlamentare fu uno dei fattori scatenanti dell’insurrezione armata. Dopo l’insediamento di Guglielmo e Maria nel 1689 come monarchi costituzionali il Parlamento assunse il controllo diretto delle finanze del Governo e istituì formalmente un debito “nazionale” distinto da quelle personali del Governo. La cosiddetta gloriosa rivoluzione del 1688-89 rappresenta una svolta importante non solo nella storia politica e costituzionale ma anche in quella economica. Nel campo della sola finanza pubblica, l’ultimo decennio del ‘600 vide l’istituzione di un debito consolidato, la creazione della Banca d’Inghilterra, la sostituzione della moneta nazionale con moneta di nuovo conio e l’affermazione di un mercato organizzato per i titoli pubblici e privati. Il successo del nuovo sistema finanziario non fu immediato, nei primi anni fu sconvolto dalla “bolla del Mare del Sud”. Uno storico definì “colbertismo Ii. la politica economica inglese del periodo compreso Essa ha comunque il merito di indicare che, in Inghilterra, prerogativa di un monarca assoluto ma rispondevano agli interessi eterogenei di quei gruppi che erano effettivamente rappresentati in Parlamento . E’ impossibile illustrare dettagliatamente tutti i modi in cui il parlamento influenzò l’economia. Esamineremo alcuni tipici e importanti atti legislativi. Lo statuto dei mestieri del 1563 è stato spesso additato come esempio archetipo di legge mercantilista, attentamente soppesata ed espressione di un piano di ampio respiro per l’intera economia. In realtà esso non fu niente del genere, fu una reazione ad una situazione temporanea. La sua maggiore preoccupazione era la stabilità sociale. Le clausole più importanti imponevano a tutte le persone abili di dedicarsi ad un lavoro produttivo. Stabiliva la norma dei sette anni di apprendistato per tutte le arti e mestieri compresa l’agricoltura e specificava gli strati sociali da cui gli apprendisti dovevano essere scelti. Essa avrebbe impedito lo sviluppo economico. Ma l’applicazione domandata ai giudici di pace (funzionari regi non pagati) era approssimativa e di regola inesistente. Altro progetto importante è quello di Cokayne. Nel Medioevo la merce più esportata dall’Inghilterra era stata la lana grezza e il mercato principale per questi tessuti erano i Paesi Bassi. Nel 1614 sir William Cokayne, mercante, assessore della City di Londra e confidente del re Giacomo I, persuase quest’ultimo a revocare il monopolio dei Merchant Adventures, proibì l’esportazione di tessuti finiti ad una nuova società di cui Cokayne era l’esponente di maggiore spicco. Il motivo era che i processi di rifinitura erano la fase più redditizia della manifattura del panno; riservandoli all’Inghilterra il progetto avrebbe accresciuto il reddito nazionale e colpito gli Olandesi. Questi ultimi risposero proibendo l’importazione di lane colorate dall’Inghilterra. Nel 1617 il Governo ripristinò il monopolio dei Merchant Adventures ma la crisi commerciale non si arrestò. Nel 1624 su pressione della Camera dei Comuni, il Governo liberalizzò il commercio del panno. Altro atto importante furono i Navigation Acts. Le leggi sulla navigazione, il cui scopo generale era di riservare il commercio internazionale di un paese alla marina mercantile di quest’ultimo, non furono un’esclusiva dell’Inghilterra o del XVII secolo. Quasi tutti i paesi avevano proprie leggi in questo campo. La prima era stata promulgata in Inghilterra nel 1381, tali leggi erano inefficaci per due ragioni, mancavano di adeguati meccanismi di applicazione e le marine mercantili non erano all’altezza della concorrenza. Gli Olandesi si sentirono sufficientemente colpiti da dichiarare guerra. Sebbene la legge sulla navigazione non fosse l’unica causa di questa dichiarazione di guerra, la sua abrogazione fu uno degli obiettivi perseguiti dagli Olandesi senza 23 successo, nelle trattative che posero termine ad una guerra ormai in una situazione di stallo. Nel 24 1 660 il Parlamento rinnovò e diede maggior forza alla legge e divenne una pietra angolare del sistema coloniale inglese. La legge cercava anche di proteggere l’industria delle costruzioni navali imponendo che le navi fossero costruite in Inghilterra, ma in questa clausola si rivelò di difficile applicazione. Persino alle navi britanniche era richiesto di importare le merci direttamente dal paese d’origine, in questo modo la legge mirava a indebolire la posizione commerciale di Amsterdam e a colpire il trasporto merci olandese. Il commercio costiero era riservato esclusivamente a navi inglesi. Il commercio con le colonie britanniche doveva inoltre avvenire su naviglio britannico. In pratica questa clausola riservava il mercato coloniale ai mercanti e agli industriali inglesi. Le leggi sulla navigazione non furono di facile applicazione soprattutto nelle colonie ma favorirono la crescita della marina mercantile inglese e del commercio marittimo. Ebbero anche un effetto: la perdita di una larga parte del vecchio Impero britannico. Superate le difficoltà iniziali dei primi decenni del Seicento, le colonie inglesi del Nord America erano cresciute prodigiosamente. La crescita del reddito e della ricchezza fu ancora più impressionante della crescita demografica, man mano che le colonie si specializzarono secondo criteri di vantaggio relativo e cominciarono a commerciare intensamente tra di loro, con la madrepatria e illegalmente con l'Impero spagnolo. Sebbene le leggi sulla navigazione disciplinassero il commercio coloniale la loro applicazione non fu particolarmente rigorosa fino a dopo la guerra dei Sette Anni. Nella seconda metà del XVII secolo la Compagnia delle Indie orientali cominciò ad importare dall’India un tessuto poco costoso, leggero e dai vivaci colori detto calicò che divenne ben presto popolare. Nel 1701 gli industriali lanieri persuasero il Parlamento ad approvare il primo Calico Act, che proibiva l'importazione dei tessuti di cotone stampato: nacque una nuova industria. Quella della lana si sentì minacciata, e nel 1721 il Parlamento approvò una seconda legge sul calicò che proibiva l’ostentazione e l’uso dei tessuti di cotone stampato. Ciò a sua volta stimolò un’industria cotoniera nazionale basata sull’importazione di cotone grezzo. Alla fine del secolo la manifattura del cotone aveva preso il posto della lana come prima industria britannica. In gran Bretagna la crescita del potere parlamentare a spese della monarchia portò con sè maggior ordine nelle finanze pubbliche, un sistema impositivo più razionale ed una più snella burocrazia statale. L’ideale era anc ora quello di un’economia “regolata” e il Parlamento seguì una rigorosa politica di nazionalismo economico. Internamente pur desiderando controllare l’economia il Parlamento mancava in generale della possibilità di farlo. Gli imprenditori inglesi godevano di una misura di libertà e di opportunità virtualmente unica al mondo. CAPITOLO VII L’ALBA DELL’INDUSTRIA MODERNA All’inizio del ‘700 diverse regioni europee avevano sviluppato discrete concentrazioni di industria rurale. Per descrivere tale processo di espansione e di trasformazione occasionale di queste industrie è stato inventato il termine di protoindustrializzazione. Le caratteristiche essenziali di un'economia protoindustriale sono una forza lavoro dispersa, rurale, organizzata da imprenditori urbani che la riforniscono di materia prima e smerciano il prodotto in mercati lontani. La protoindustrializzazione fa riferimento in primo luogo alle industrie dei beni di prima necessità, in particolare tessili. Nel cap. VI si è parlato di “manifactures royales” francesi (situate in grandi strutture simili a fabbriche dove maestri artigiani lavoravano sotto la supervisione di un sovrintendente o di un imprenditore). Analoghe protofabbriche furono organizzate da nobili proprietari terrieri (industria del carbone, ferriere, fabbriche di piombo, rame e vetro) ma, sebbene imponenti furono eclissate nel XVIII secolo dalla nascita di nuove forme di attività industriale. 25 delle rotazioni e l'allevamento selettivo fu la recinzione e il consolidamento dei campi. Il nuovo paesaggio agricolo consisteva in fattorie compatte, consolidate e recintate. La crescente produttività agricola inglese permetteva a quest’ultima di sostentare una popolazione sempre maggiore secondo standard nutritivi via via più elevati. Per circa un secolo essa produsse un surplus per l’esportazione, prima che il tasso di crescita demografica superasse quello di crescita della produttività. L’orientamento dell’agricoltura verso il mercato fu un aspetto di un processo generale di commercializzazione dell’intera nazione. Già nel XVI secolo Londra aveva cominciato a svolgere la funzione di “polo di crescita” dell'economia inglese. I suoi vantaggi erano sia geografici che politici. La commercializzazione interagì con la nascente organizzazione finanziaria della nazione. Le origini del sistema bancario britannico sono oscure, ma sappiamo che negli anni successivi alla Restaurazione del 1660 diversi grandi orefici londinesi cominciarono a svolgere le funzioni di banchieri. Rilasciavano ricevute di deposito che circolavano come banconote, e concedevano prestiti a imprenditori degni di credito. La fondazione della Banca d’Inghilterra nel 1694 costrinse i banchieri privati a rinunciare all’emissione di banconote, ma essi continuarono accettando ordini di pagamento e scontando cambiali. La Banca d’Inghilterra non istituì filiali, e le sue banconote non circolavano fuori Londra. Il valore delle monete d’oro era troppo elevato perché queste potessero essere utilizzate, mentre le monete d’argento o di rame erano insufficienti. Questa situazione di penuria di moneta spicciola incoraggiò l’iniziativa privata con l’istituzione di “banche di provincia”. L’euforia della gloriosa rivoluzione portò alla creazione di numerose società per azioni e culminò con il boom finanziario speculativo noto come “bolla del Mare del Sud”. L’episodio prese il nome dalla Compagnia del Mare del Sud, istituita per decreto nel 1711 con il monopolio ufficiale dei traffici con l’impero spagnolo. Ma la vera ragione della sua creazione era quella di raccogliere denaro per conto del Governo per finanziare la prosecuzione del conflitto. La bolla scoppiò nel 1720 quando il Parlamento approvò il Bubble Act. La legge proibiva la nto. L'Inghilterra fece il suo ingresso nella “sua” rivoluzione industriale con uno sbarramento legale contro la forma azionaria dell’organizzazione capitalistica, condannando gran parte delle sue imprese alla proprietà individuale o alla condizione giuridica di società di persone. Il Bubble Act fu infine abrogato nel 1825. Un'altra importante conseguenza della Gloriosa Rivoluzione fu di porre la finanza pubblica del Regno sotto lo stretto controllo del Parlamento, il che ridusse il peso del debito pubblico e rese disponibili i capitali per l’investimento privato. Sebbene il sistema tributario fosse molto regressivo la Gran Bretagna dovette buona parte della sua precoce prosperità e la sua posizione di capofila nell’industria moderna alla sua natura insulare che non solo le assicurava una protezione contro gli sconvolgimenti, ma era anche un mezzo di trasporto a buon mercato. Canali e fiumi navigabili furono migliorati, le iniziative di canalizzazione furono organizzate sotto forma di società private a scopo di lucro (riscossione di pedaggi). Anche le strade, tradizionalmente curate dalle parrocchie, furono oggetto di miglioramenti da parte di società che curavano la loro manutenzione e anche in questo caso gli utenti erano tenuti a pagare un pedaggio. Tecnologia industriale e innovazione Gli storici impressionati dalla natura rivoluzionaria del mutamento industriale sottolineano la rapida meccanizzazione e la crescita dell’industria cotoniera negli ultimi due decenni del XVIII secolo. Quasi un secolo prima altre due innovazioni ebbero un impatto fondamentale sull’industrializzazione: il procedimento di fusione del metallo ferroso con il carbon coke e l’invenzione della macchina a vapore atmosferica. Numerosi erano stati i tentativi di sostituire il carbon fossile al carbone di legna negli altiforni. Nel 1709 Darby riscaldò il carbone in un contenitore chiuso per eliminarne le impurità in forma di gas e dal processo ottenne come residuo il coke che poi utilizzò come combustibile nell’altoforno per produrre ghisa grezza. Nonostante la grande scoperta fatta da Darby, l’innovazione si diffuse solo lentamente. La continua ricerca per pressare il carbone di legna dopo il 1750, accompagnata da innovazioni come il procedimento di 28 puddellaggio e laminazione di Cort, liberò definitivamente la produzione del ferro dalla dipendenza dal carbone di legna. I proprietari delle ferriere ottennero delle economie di scala concentrando tutte queste operazioni in un unico luogo. Sia la produzione di ferro che la percentuale di esso ottenuta con l’impiego di combustibile crebbero in maniera spettacolare. La Gran Bretagna divenne un grande esportatore di ferro e di prodotti ferrosi. Il vapore fu utilizzato per la prima volta nell’industria mineraria ed espandendosi la domanda di carbon fossile e metalli si intensificarono gli sforzi per estrarli da miniere sempre più profonde. Nel 1698 Savery ottenne il brevetto per una pompa a vapore che chiamò “l’amico del minatore”. L’apparecchio aveva diversi difetti (tendenza ad esplodere!) allora Newcomen, un mercante di ferramenta e calderaio, costruì la sua prime pompa a vapore atmosferica in una miniera di carbone. Il maggior difetto della sua macchina era il suo elevato consumo di combustibile in rapporto al lavoro prodotto. Negli anni sessanta Watt cominciò a fare esperimenti sull’apparecchio. Nel 1769 brevettò un condensatore separato, che eliminava la necessità di ricorrere al riscaldamento e raffreddamento alternato del cilindro (fulcro della macchina di Newwcomen). Molti problemi tecnici ritardarono la sua utilizzazione pratica. Nel frattempo Watt formò una società con Boulton e insieme a questo fabbricante di articoli di ferramenta costruì macchine impiegate per pompare via l’acqua dalle miniere. Watt realizzò moli altri miglioramenti, quali un regolatore della velocità del motore e uno strumento che trasformava il movimento alternativo del pistone in moto rotatorio. Quest'ultimo offrì alla macchina a vapore una serie di nuove possibilità applicative, come la macinatura del grano e la filatura del cotone. La manifattura dei tessuti di cotone era per la Gran Bretagna un’industria nuova e quindi non era molto soggetta ad una legislazione repressiva. Nell'arco di pochi anni furono inventati diversi apparecchi per la filatura meccanica. Il primo di essi fu la “jenny” o giannetta (ruota per filare con una batteria di fusi) di James Hargreaves. Poi fu la volta del filatoio idraulico che condusse direttamente al sistema di fabbrica sul modello dell’industria della seta. Poi vi fu la “mula” di Samuel Crompton che favorì la costruzione di enormi fabbriche in città dove il carbon fossile era a buon mercato. Tutte queste innovazioni necessitavano di una forza lavoro composta da bambini e donne (poco costosi e più arrendevoli). Le innovazioni tecniche furono accompagnate da un rapido incremento della domanda di cotone. Poiché la Gran Bretagna non aveva cotone proprio, lo importava dall’India, dal Levante, dalle Isole caraibiche britanniche e dagli Stati americani del Sud. Grazie a tutte queste innovazioni nel campo della filatura e della tessitura vi fu una grossa caduta dei costi di produzione, un aumento della produzione e delle esportazioni. Le innovazioni concernenti l’industria cotoniera, quella siderurgica e l’introduzione della forza a vapore costituiscono il nocciolo della cosiddetta rivoluzione industriale britannica. Non furono però solo queste le industrie trasformate. Adam Smith scriveva nella Ricchezza delle nazioni dei grandi aumenti di produttività realizzati in una fabbrica di spilli semplicemente attraverso la specializzazione e la divisione del lavoro. La fabbrica degli spilli di Smith può essere considerata un simbolo delle molte industrie impegnate nella produzione di beni di consumo (esempio: industria delle stoviglie). Varianti regionali E’ importante prendere atto delle varianti regionali della industrializzazione inglese, nonché dell’andamento eterogeneo che il cambiamento economico assunse nelle varie componenti del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda. All’interno dell’Inghilterra il Lanchashire divenne sinonimo di cotone, la Cornovaglia rimase la fonte primaria dello stagno e del rame, il Sud rimase agricolo. Il Galles era una sorta di par ente povero in quanto per questa regione la fama e la fortuna passava attraverso l’Inghilterra e la Scozia. La Scozia, a differenza del Galles, conservò la sua indipendenza dall’Inghilterra fino all’unione volontaria dei parlamentari nel 1707. A metà del XVIII secolo la Scozia era un paese povero e arretrato, ma ebbe un passaggio all’industria anche più veloce di quello dell’Inghilterra. L'ingresso della Scozia nell'Impero britannico le diede accesso non solo ai mercati inglesi, ma anche a quelli delle colo nie inglesi nel Nord America e altrove, il che senza dubbio contribuì all’accelerazione del ritmo della vita economica. L'Irlanda, in contrasto 29 purtroppo con la Scozia, non riusciva quasi ad industrializzarsi. Gli Inglesi trattavano l’Irlanda come una provincia conquistata. Quando la carestia di patate la colpì, a metà degli anni quaranta, la morte per fame e l'emigrazione privarono l’Irlanda in meno di un decennio di un quarto della sua popolazione. Aspetti sociali della prima industrializzazione La Gran Bretagna fu una delle componenti della terza logistica europea. Che la crescita demografica non fosse esclusivamente legata al processo d’industrializzazione è documentato dal fatto che si trattò di un fenomeno generale europeo. D'altra parte sarebbe scorretto affermare che non ci fu alcuna relazione. L’industrializzazione fu quanto meno un elemento propizio alla crescita continua della popolazione. Non è possibile offrire una spiegazione adeguata dei meccanismi della crescita che si verificò nel XVIII secolo. E’ possibile che la crescita del tasso di natalità sia dipesa da un decremento del tasso di mortalità dovuto a diversi fattori, quali i progressi dell’agricoltura, che portarono ad una maggiore abbondanza nonché ad una maggiore varietà di cibi, migliorando l’alimentazione. Inoltre l’accresciuta produzione di carbon fossile significò abitazioni meglio riscaldate. La popolazione totale risentì anche degli effetti dell’immigrazione e dell’emigrazione. Per tutto il XVIII secolo le migliori opportunità economiche offerte dall’Inghilterra e dalla Scozia vi attirarono irlandesi di ambo i sessi. L'emigrazione interna alterò la distribuzione geografica della popolazione. Questo fenomeno produsse due mutamenti: aumento della densità nel nord-ovest a scapito del sud-est e crescita dell’urbanizzazione. Nel 1800 Londra era la maggiore città della Gran Bretagna e probabilmente la più grande d’Europa. La crescita delle città non ebbe solo aspetti positivi. Non mancavano le abitazioni cadenti, le infrastrutture sanitarie erano inesistenti (causa, questa, di colera e malattie epidemiche) e ci si liberava dei rifiuti gettandoli nelle strade. Tali condizioni erano frutto in parte della crescita estremamente rapida, dell’inadeguatezza dell’apparato amministrativo, della mancanza di esperienza delle autorità locali e della assenza di pianificazione. La rapida espansione delle città è ancora più sorprendente se si tiene conto del fatto che essa dipese interamente dall’immigrazione dalle campagne. A causa delle spaventose condizioni sanitarie la mortalità superava la natalità (mortalità infantile) e il tasso di incremento naturale era in realtà negativo. Nel complesso sembra probabile che si sia verificato un graduale miglioramento del livello di vita delle classi lavoratrici. CAPITOLO VIII LO SVILUPPO ECONOMICO NELL’OTTOCENTO: FATTORI DETERMINANTI Il XIX secolo vide il trionfo definitivo dell’industrialismo come sistema di vita in Europa, in particolare nell’Europa occidentale. Popolazione Nel XIX secolo la crescita demografica europea accelerò, l’Europa aveva raggiunto un totale di 400 milioni di abitanti. La popolazione continuò ad aumentare nel XX secolo, ma il tasso di crescita europeo conobbe una leggera diminuzione, mentre quello del resto del mondo aumentò. E’ pertanto evidente che non esiste una chiara correlazione tra industrializzazione e crescita demografica, e che non bisogna andare alla ricerca d’altri fattori causali. Prima dei miglioramenti dei trasporti, uno dei maggiori limiti alla crescita demografica era quello posto dalle risorse agricole del continente. La produzione agricola crebbe enormemente. Questo fenomeno fu particolarmente importante nel caso della Russia. La produttività agricola aumentò per effetto dell’introduzione di nuove tecniche più scientifiche. Una migliore conoscenza della chimica del suolo ed un uso più intenso dei fertilizzanti, fece salire la resa dei terreni comuni e rese possibile la coltivazione di quelli poco fertili. La diminuzione del prezzo del ferro favorì l’uso di attrezzi e stru menti migliori e più efficienti. Il basso prezzo dei trasporti facilitò i movimenti migratori della popolazione. Cospicua fu anche 30 L’invenzione della litografia e gli sviluppi della fotografia resero possibile la riproduzione economica e l’ampia diffusione delle immagini visive. La Gran Bretagna introdusse il servizio postale. Ancora più significativa fu l’invenzione del telegrafo elettrico da parte dell’americano Samuel Morse. Il telefono, brevettato da Graham Bell rese ancora più personale la comunicazione su lunghe distanze. L’applicazione della scienza Il progresso scientifico divenne sempre più essenziale per il progresso tecnologico, si ebbe una crescente interazione tra scienziati, ingegneri e imprenditori. Lo sviluppo tecnologico richiedeva sempre più la cooperazione di numerosi specialisti delle scienze e della meccanica. La scienza chimica si rivelò particolarmente prolifica nel far nascere nuovi prodotti e procedimenti. La chimica svolse un ruolo vitale anche nella metallurgia, molti nuovi metalli furono scoperti, tra cui zinco, allumino, nichel, magnesio e cromo. Oltre a scoprire nuovi metalli, scienziati e industriali trovarono il modo di impiegarli ed escogitarono metodi di produzione economici. Uno degli usi più frequenti era la preparazione delle leghe, miscele di due o più metalli; esempi di leghe naturali sono l’ottone e il bronzo. Il contesto istituzionale Lo scenario istituzionale in cui si svolse l’attività economica nell’Europa del XIX secolo, assicurava ampie opportunità all’iniziativa individuale, lasciava libertà di scelta in campo occupazionale si fondava sulla proprietà privata; tuttavia la loro combinazione e l’esplicito riconoscimento loro accordato fecero sì che essi contribuissero in modo notevolissimo al processo di sviluppo economico. Fondamenti giuridici Una delle istituzioni cardine della Gran Bretagna era il sistema giuridico noto come diritto comune. Le caratteristiche distintive del diritto comune erano la sua natura evolutiva, il suo affidarsi alle consuetudini; il diritto comune divenne il fondamento del sistema giuridico statunitense e dei paesi dell’Impero britannico. La rivoluzione francese istituì un sistema giuridico più razionale che fu alla fine incorporato nei Codici napoleonici. Il manifesto del nuovo ordine può essere considerato la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Il primo articolo proclamava che “gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei loro diritti”, diritti che sono la libertà, la proprietà, la sicurezza. La Dichiarazione elencava anche le garanzie necessarie per tutelare questi diritti: uniformità delle leggi, libertà di parola e di stampa. Le assemblee rivoluzionarie oltre ad abolire il regime feudale e ad instaurare la proprietà privata della terra, si sbarazzarono dei dazi doganali e delle tariffe interne, abolirono le corporazioni di mestiere e l’intero apparato statale di controllo dell’industria, proibirono i monopoli. I Francesi naturalmente esportarono le loro riforme rivoluzionarie nei paesi conquistati nel corso delle guerre rivoluzionarie e napoleoniche. Il Belgio, gran parte dell’Italia, e per breve tempo l’Olanda furono tutti incorporati nell’Impero francese. Il regno di Napoli e l’intera Spagna, tutti posti sotto la “protezione” francese, accettarono la maggior parte della legislazione rivoluzionaria. Le moderne istituzioni francesi ricevettero la loro impronta definitiva da Napoleone. La sintesi napoleonica raggiunse forse il suo culmine nella grand’opera di codificazione del diritto intrapresa durante la rivoluzione ma completata sotto l’Impero. Il fondamentale Code civil, promulgato nel 1804, era scritto da giuristi e avvocati della classe media, esso rifletteva evidentemente le preoccupazioni e gli interessi delle classi proprietarie. Il Code civil fu adottato per intero o posto a fondamento dei codici nazionali in tutta l’Europa e anche oltre. Un altro dei codici napoleonici di particolare importanza per lo sviluppo economico fu il Code de commerce, promulgato nel 1807, esso fu la prima normativa di carattere generale che avesse mai regolato le forme d’impresa. Il Code 33 de commerce distingueva tre tipi principali d’organizzazione commerciale: 1. la società semplice, i cui soci sono individualmente e solidalmente responsabili dei debiti della ditta; 2.le società di persone, in cui il socio o i soci accomandatari assumono una responsabilità illimitata per gli affari della società, mentre il socio o i soci accomandanti rischiano esclusivamente il capitale sottoscritto; 3. le società a responsabilità limitata nel senso americano, nella quale tutti i soci sono responsabili nei limiti delle quote conferite. Pensiero economico e politica economica L’epoca delle guerre napoleoniche assistette a quello che sotto vari aspetti fu l’apogeo del nazionalismo e dell’imperialismo economico. Nel 1776 Adam Smith pubblicò la “ricchezza delle nazioni” quella che doveva diventare una dichiarazione d’indipendenza economica dell’individuo. La maggiore preoccupazione di Smith nel suo libro è però quella di dimostrare che l’abolizione di restrizioni vessatorie e “irragionevoli” all’impresa privata favorirebbe la concorrenza economica e ciò, a sua volta, porterebbe al massimo grado la “ricchezza delle nazioni”. Il libro di Smith godette di una popolarità insolita. Molto dopo la sua morte, e dopo che vari altri scrittori come Malthus e Ricardo, le idee di Smith cominciarono ad essere messe in pratica nella legislazione. Ciò si verificò in primo luogo nel Regno Unito, il maggior risultato conseguito fu l'abrogazione delle leggi sul grano, che inaugurò in Gran Bretagna un lungo periodo di libero scambio. Secondo Smith e il suo “sistema di libertà naturale”, il governo aveva solo tre funzioni da svolgere: ® proteggere la società dalla violenza; proteggere per quanto possibile ogni membro della società dall’ingiustizia od oppressione; ® creare e mantenere certe opere pubbliche e certe istituzioni pubbliche. Nello stesso periodo in cui si smantellava il vecchio sistema di regolamenti e di privilegi speciali, il Parlamento emanava una serie di nuovi provvedimenti legislativi riguardanti il benessere pubblico, e in particolare dei soggetti meno in grado di difendersi. Il sistema americano vedeva nel Governo un’agenzia col compito di assistere gli individui e le imprese private nell’accelerare lo sviluppo delle risorse materiali della nazione. Struttura e conflitti di classe Dal punto di vista sociale, l’Europa dell’ancien régime era organizzata in tre ordini: la nobiltà, il clero e tutti gli altri. In cima alla piramide sociale si trovava la classe dominante dei proprietari terrieri, che comprendeva anche non nobili oltre agli strati più alti del clero. Il fondamento economico del loro potere politico e della loro condizione sociale era la proprietà della terra, che permetteva loro di vivere “nobilmente” senza lavorare. Sul gradino successivo della scala sociale si trovava lo strato superiore della classe media, o alta borghesia, composto da grandi mercanti, alti funzionari statali e professionisti come avvocati e notai, il principale fondamento della loro posizione erano le loro particolari conoscenze e abilità. Ad un livello ancora più basso della scala sociale era situata una classe media di rango inferiore, o piccola borghesia, comprendente artigiani, commercianti al dettaglio ed altri dediti ad attività di prestazioni di servizi. Sul fondo erano i contadini, i lavoratori delle industrie domestiche e i braccianti, tra le cui file erano molto numerosi i poveri e gli indigenti. All’inizio dell’Ottocento i lavoratori urbani costituivano ancora una sparuta minoranza della popolazione, ma con il diffondersi del sistema industriale cominciarono a conquistare la superiorità numerica. Karl Marx profetizzò, a metà del XIX secolo, che la polarizzazione da lui osservata e le società industriali avanzate nell’epoca sarebbe continuata fino a che solo due classi sarebbero rimaste, la classe dominante dei capitalisti e il proletariato industriale. Anziché produrre due classi reciprocamente antagoniste, la diffusione dell’industrializzazione ha visto l’enorme sviluppo di una classe media impiegatizia, artigianale e d’impren ditori indipendenti. Le rivoluzioni vittoriose, furono opera di piccoli nuclei di rivoluzionari militanti di professione che approfittarono della debolezza di società debilitate da eventi bellici. Le forme più usuali di solidarietà e autodifesa 34 operaia furono i sindacati di mestiere e successivamente i partiti politici delle classi lavoratrici. L’atteggiamento della maggior parte dei paesi occidentali nei confronti dei sindacati ha attraversato almeno tre fasi. La prima fase, quella della pura e semplice proibizione o repressione. Nella seconda fase, contrassegnata dalla Gran Bretagna dall’abrogazione delle leggi sull’associazione, i Governi concessero ai sindacati una tolleranza limitata, autorizzandone la costituzione ma perseguendoli solitamente in caso di azioni aperte con scioperi. In Gran Bretagna, nel corso degli anni trenta il movimento sindacale fu coinvolto in un più ampio movimento politico detto cartismo il cui scopo era di ottenere il diritto di voto ed altri diritti politici per coloro che ne erano privi. Sconfitto sul piano politico il movimento sindacale vide la costituzione dell’associazione unitaria dei lavoratori meccanici, prototipo di un cosiddetto “nuovo modello” di sindacato. L’aspetto distintivo di questo nuovo tipo di sindacato era che raccoglieva esclusivamente gli operai specializzati sulla base del mestiere da loro svolto; esso rappresentava “l’aristocrazia” del mondo del lavoro. Sul continente i sindacati fecero registrare dei progressi più lenti. Fin dall’inizio i sindacati francesi furono strettamente collegati al socialismo ed altre simili ideologie politiche. Questi riuscirono a creare una Confederazione generale del lavoro, nazionale e apolitica, anch’essa però non comprendente tutti i sindacati attivi e frequentemente esposta a grosse difficoltà. Il movimento sindacale tedesco nacque negli anni sessanta e come quello francese, fin dall’inizio fu associato a partiti politici e campagne politiche; fu più centralizzato e coevo. Si divideva in tre tronconi principali: i liberali, che attiravano soprattutto gli operai specializzati, i sindacati socialisti o “liberi” con un numero d’iscritti molto maggiore; i sindacati cattolici o cristiani, nati con la benedizione del Papa in contrapposizione ai sindacati socialisti-atei. Ferocemente repressi dai datori di lavoro e dallo Stato, i loro risultati furono per lo più scarsi. I sindacati dei Paesi Bassi, della Svizzera seguirono il modello tedesco. In Russia e negli altri paesi dell’Europa orientale i sindacati rimasero illegali fino a dop o la prima guerra mondiale. I primi tentativi di costituire organizzazioni sindacali di massa negli USA ebbero scarsi risultati per l’opposizione del Governo e dei datori di lavoro e per la difficoltà di ottenere la cooperazione tra lavoratori di capacità, d’occupazioni, religioni e origini etniche differenti. Istruzione e alfabetizzazione Un altro aspetto dello sviluppo economico ed ottocentesco meno considerato ma non meno importante della crescita delle città, fu il progresso dell’istruzione e la diminuzione dell’analfabetismo. Se a metà del XIX secolo la Svezia era un paese povero, nella seconda metà del secolo essa ebbe uno dei più elevati ritmi di crescita di tutta l’Europa. Il basso livello iniziale d’analfabetismo è attribuibile a fattori religiosi, culturali e politici precedenti l’avvento dell’industrializzazione. Prima del XIX secolo le istituzioni educative pubbliche erano praticamente inesistenti. Coloro che se lo potevano permettere ingaggiavano tutori privati per i propri figli. Istituzioni religiose e di carità, e talvolta scuole private a pagamento, provvedevano all’istruzione elementare di una fetta della popolazione, soprattutto nelle città. Nessuno parlava d’alfabetizzazione universale; molte personalità autorevoli anzi si opponevano a che si insegnasse alle “masse lavoratrici” a leggere e a scrivere perché ciò era incompatibile con la loro “posizione” sociale. L'istruzione tecnica era fornita quasi esclusivamente attraverso il sistema dell’apprendistato. La rivoluzione francese aveva int rodotto il principio dell’istruzione pubblica gratuita, che però nella Francia stessa era rimasto inapplicato. In diversi stati tedeschi, furono istituiti dei sistemi educativi pubblici, che però non divennero obbligatori o universali prima della seconda metà del secolo. La Gran Bretagna fece progressi molto lenti nel campo dell’istruzione pubblica. L'Europa meridionale e quella orientale erano in condizioni anche peggiori. La rivoluzione francese fu all’origine d’altre innovazioni educative di particolare importanza per l'epoca industriale. Fu questo il caso delle scuole specializzate nelle materie scientifiche e nell’ingegneria. Di livello universitario, ma situate al di fuori del sistema, queste istituzioni non solo fornivano 35 porre rimedio gli Stati e le municipalità intrapresero un grande programma di “miglioramenti interni”, espressione con la quale s’intendeva in primo luogo la costruzione di strade a pedaggio e canali. 38 Nel 1830 erano state costruite oltre 11000 miglia di strade a pedaggio. Una delle cause principali del fallimento economico dei canali fu la comparsa sulla scena di un nuovo concorrente, la ferrovia. L’era delle ferrovie iniziò negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna quasi contemporaneamente, anche se per molti anni gli USA dipesero fortemente dalla tecnologia, dalle attrezzature e dai capitali britannici. I promotori americani colsero al volo l’opportunità offerta da questo nuovo mezzo di trasporto. Nel 1840 la rete ferroviaria ultimata superava non solo quella britannica ma quella di tutto il continente europeo. Prima della guerra civile l’industria siderurgica era per lo più frammentata, caratterizzata da impianti di piccole dimensioni, e legata alla tecnologia del carbone di legna. Dopo la guerra, con la generale adozione del coke per la fusione del ferro e l’introduzione del forno a suola per la fabbricazione dell’acciaio, l’industria siderurgica divenne in breve tempo la maggiore industria americana. Il Belgio La prima regione dell’Europa continentale ad adottare pienamente il modello industriale britannico fu quella che nel 1830 assunse il nome di Regno del Belgio. Il Belgio vantava una lunga tradizione industriale; le Fiandre erano state nel Medioevo un centro importante della produzione del panno, Bruges e Anversa furono le prime città del nord ad assimilare le tecniche commerciali e finanziare italiane nel basso medioevo. Pur avendo dovuto sopportare le conseguenze del dominio spagnolo e di altre disgrazie dopo la rivolta olandese, nel corso del XVIII secolo l'economia della regione si risollevò. Innanzitutto nelle Fiandre nacque un’importante industria rurale manuale del lino. In secondo luogo, le risorse naturali belghe erano molto simili a quelle britanniche, infatti il Belgio possedeva giacimenti carboniferi facilmente accessibili e fu in grado di produrre più’ carbone di qualunque altro paese del continente, inoltre esso possedeva giacimenti di minerale ferroso e non mancava di piombo e zinco. In terzo luogo la regione che sarebbe divenuta il Belgio ricevette importanti infusioni di tecnologia, iniziativa imprenditoriale e capitali stranieri, e godette di una posizione di favore in certi mercati esteri in particolare quelli francesi. Il processo iniziò sotto l’ancien regime ed accelerò nel periodo della dominazione francese. Le miniere di carbone erano le maggiori utilizzatrici di macchine a vapore. Durante la dominazione francese si sviluppò un traffico di notevole importanza sia per l’industria belga del carbone che per l’industria francese in generale. La rete di canali ed altre vie d’acqua che collegava la Francia ai bacini carboniferi belgi, la cui costruzione era stata intrapresa sotto l’ancien regime ma era proseguita con i govemi successivi, facilitò enormemente questo traffico. I capitalisti francesi giudicavano il carbone belga un investimento promettente. I Cockerill annunciarono già nel 1820 il progetto di costruir e altiforni a carbon fossile, e nel 1823 ottennero a tal fine una sovvenzione dal Governo olandese. Alla vigilia della rivoluzione belga la ditta Cockerill era indiscutibilmente la maggior impresa industriale dei Paesi Bassi, e probabilmente del continente , dava lavoro a quasi 2000 operai. La rivoluzione belga provocò una depressione economica derivante dall’incertezza sul carattere e il futuro del nuovo Stato. La depressione si esaurì in pochi anni, e intorno al 1835 si assistette ad un vigoroso boom industriale sulla base di due fattori: da una parte la decisione del Governo di costruire un’estesa rete ferroviaria a spese dello Stato e dall’altra un’importante innovazione istituzionale nel campo delle banche e della finanza. Nel 1822 Re Guglielmo I aveva autorizzato l’istituzione di una banca azionaria, egli l’aveva dotata di proprietà statali per un valore di 20.000.000 di fiorini e aveva investito una parte consistente delle proprie ricchezze nell’acquisto di sue azioni. Dopo la rivoluzione, però, con un nuovo Governatore nominato dalle nuove autorità statali, si stimolò un boom di investimenti senza precedenti sul continente. Nel 1840 il Belgio era il paese più industrializzato del continente e, in termini pro capite molto vicino alla Gran Bretagna. 39 La Francia Sebbene il modello di industrializzazione francese differisse da quello britannico e di altri paesi, il risultato fu non meno efficiente: è possibile che il modello francese sia stato più tipico di quello britannico. E’ opportuno considerare i fattori determinanti della crescita economica. L’aspetto più notevole del XIX secolo, nel caso della Francia, fu il modesto tasso di crescita demografica. Un secondo aspetto è la questione delle risorse. La Francia, pur non essendone totalmente priva di carbone, ne era molto meno ricca; inoltre, le caratteristiche dei suoi giacimenti rendevano più costoso il loro sfruttamento. Questi fatti ebbero importanti ripercussioni su altre industrie legate a quella del carbone, come ad esempio quella del ferro e dell’acciaio. In campo tecnologico la Francia non fu certo inerte. La crescita economica moderna cominciò in Francia nel XVIII secolo. Nell’intero secolo i tassi di crescita sia del prodotto totale che di quello pro capite furono approssimativamente uguali in Francia e in Gran Bretagna, o forse persino leggermente maggiori in Francia. Il secolo si chiuse però per la Gran Bretagna con l’inizio della rivoluzione industriale, mentre la Francia fu colpita dagli spasimi di un grande sconvolgimento politico, la rivoluzione francese. Dopo una depressione postbellica piuttosto severa, che colpì tutta l’Europa occidentale continentale e toccò persino la Gran Bretagna, l’economia francese riprese a crescere a tassi ancor più elevati. La lenta crescita demografica francese spiega in grande misura la crescita apparentemente lenta dell’economia nel suo complesso. Inoltre la Francia beneficiò in questo periodo di una discreta eccedenza di esportazioni nel commercio dei prodotti agricoli, dalla quale ricavò le risorse che le permisero di operare ingenti investimenti all’estero. Le crisi politiche ed economiche causarono un’interruzione del ritmo dello sviluppo economico. La crisi della finanza pubblica e privata paralizzò le costruzioni ferroviarie e altre opere pubbliche. Con il colpo di stato del 1851 la crescita economica francese riprese il vecchio corso ad un ritmo accelerato. La guerra del 1870-71 fu un disastro sia dal punto di vista militare che di quello economico, ma l’economia francese si riprese in una maniera che sbalordì il mondo. Cominciò allora un nuovo boom che durò fino al 1881. Le costruzioni ferroviarie rappresentarono un efficace stimolo per il resto dell’economia. La depressione che ebbe inizio nel 1882 durò più a lungo e costò probabilmente alla Francia più di tutte le precedenti depressioni del XIX secolo. Molti fattori intervennero a complicarla e protrarla nel tempo: le disastrose epidemie che provocarono gravissimi danni all’industria del vino e a quella della seta per quasi due decenni; le ingenti perdite di investimenti esteri per colpa di governi inadempienti o del fallimento di imprese ferroviarie, l’aspra guerra commerciale con l’Italia. La prosperità tornò finalmente, poco prima della fine del secolo, l’affermarsi di nuove industrie come quella dell’elettricità, dell’alluminio, del nichel e delle automobili. La belle époque, come i francesi chiamano gli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale, fu quindi un periodo di prosperità materiale e fioritura culturale. Tra tutte le grandi nazioni industriali, la Francia era quella con il più basso ritmo di urbanizzazione. La causa principale di questo fenomeno fu la lenta crescita demografica complessiva, ma non bisogna trascurare la percentuale di forza lavoro impiegata nell’agricoltura e la dimensione dell’impresa industriale. Per quanto riguarda la dimensione e la struttura dell’impresa, la Francia era famosa per la ridotta dimensione delle sue aziende. Queste aziende si concentravano nei settori estrattivo, metallurgico e tessile -vale a dire nelle stesse industrie prevalenti negli altri paesi -imprese di grandi dimensioni e ad alta intensità di capitale. Tra le aziende di dimensioni ridotte, quelle con meno di dieci operai, si concentravano le tradizionali industrie artigianali, quali quella alimentare, dell’abbigliamento e della lavorazione del legno, mentre quelle con oltre 100 operai appartenevano di regola al settore industriale moderno: industrie chimiche, del vetro, della carta e della gomma. Non devono sfuggire due ulteriori caratteristiche della dimensione relativamente ridotta delle imprese francesi: a)l’alto valore aggiunto (articoli di lusso); b)la dispersione geografica. 40 ma culturali. In quanto a struttura economica, i Paesi Bassi hanno più in comune con la Danimarca 43 di quanto i due paesi non abbiano con la Norvegia o con la Svezia. Tutti questi paesi avevano popolazioni modeste. Nel corso del secolo i rispettivi tassi d’incremento demografico furono moderati. Passando a considerare il capitale umano come una caratteristica della popolazione, si può affermare che tutti e quattro i paesi fossero estremamente ben provvisti. Questo fatto ebbe un valore inestimabile nell’aiutare le economie nazionali a trovare le loro nicchie nelle correnti dell’economia internazionale. Sul piano delle risorse il fatto più significativo è ch e tutti e quattro i paesi erano privi di carbone. E’ questa la ragione principale per cui essi non svilupparono un’apprezzabile industria pesante. In quanto alle altre risorse naturali, la Svezia era la nazione più fortunata a causa dei suoi ricchi giacimenti di ferro, fosforoso o meno, le vaste distese di foreste da legname e l’energia idraulica. Gli Olandesi, con la loro lunga tradizione di pesca e spedizioni mercantili, incontrarono molte difficoltà nello sviluppare buoni porti adatti alle imbarcazioni a vapore; ebbero successo ad Amsterdam e a Rotterdam. Anche la Danimarca vantava una rispettabile storia commerciale, in particolare per quanto riguardava il traffico attraverso Oresund. Nel 1857, in cambio del versamento di 63 milioni di corone da parte di altre nazioni commerciali, la Danimarca abolì i diritti di passaggio nello stretto e prese altre decisioni politiche in senso liberoscambista. Ciò consentì una crescita considerevole del traffico nello stretto e nel porto di Copenhagen. Nella prima metà del secolo la Norvegia divenne uno dei maggiori fornitori di pesce e legname sul mercato europeo e vantava la seconda marina mercantile dopo quella britannica. La Svezia beneficiò della generale abrogazione delle restrizioni sul commercio internazionale e delle ridotte tariffe di trasporto per le esportazione di legname, ferro e avena. Le istituzioni politiche dei quattro paesi non ostacolarono l’industrializzazione o la crescita economica. E ci fu una progressiva democratizzazione di tutti i paesi. Seguirono una politica commerciale liberale e in Danimarca e in Svezia le riforme agrarie portarono alla abolizione del servaggio e ad un generale orientamento al mercato. Il fattore chiave del successo di questi paesi fu la loro capacità di adattarsi alla divisione internazionale del lavoro determinata dai paesi già industrializzati, e di controllare nei mercati internazionali aree di specializzazione per le quali erano particolarmente adatti. Ciò significò una grande dipendenza dal commercio internazionale. In questi paesi si è parlato di “industrializzazione inversa” cioè del fenomeno per cui un paese già esportatore di materie prime comincia a sottoporle a lavorazione e le esporta sotto forma di semilavorati e prodotti finiti. L’Impero austro-ungarico L’Austria-Ungheria ha la reputazione di essere stato nel XIX secolo uno Stato arretrato. Questo marchio fu in parte conseguenza del fatto che alcune porzioni dell’impero erano effettivamente arretrate, e in parte dell’erronea associazione tra risultato economico e fallimento politico (lo smembramento dell’Impero dopo la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale). Inoltre bisogna dire che l’Impero asburgico, con le province occidentali (Boemia, Moravia e Austria) era caratterizzato in misura anche maggiore della Francia o della Germania da diversità regionali. Nelle province occidentali, poi, i primi segni di una crescita economica moderna potevano essere osservati già nella seconda metà del XVIII secolo. Altri fattori importanti sono la topografia che rendeva difficil i e costosi sia i trasporti interni che internazionali, e la scarsità delle risorse naturali. Gli esordi settecenteschi furono con le industrie tessili, siderurgiche, del vetro e della carta. Poi si svilupparono quelle del lino e della lana. La tecnologia impiegata fu dapprima quella tradizionale con la lavorazione a domicilio. La crescita economica dell’Austria ha avuto molti ostacoli, tra cui le istituzioni sociali avverse alla crescita e la scarsità delle risorse. Vi fu un miglioramento della produttività agricola come conseguenza di questo provvedimento. L’abolizione della frontiera doganale tra la metà austriaca e quella ungherese dell’Impero nel 1850 è stata vista da alcuni come un progresso e da altri come una perpetuazione dello status coloniale della metà orientale. Un altro ostacolo fu la politica commerciale estera della monarchia che rimase rigidamente protezionistica per tutto il secolo. Le tariffe elevate limitavano non solo le importazioni ma anche le esportazioni, in quanto le industrie protette, caratterizzate da costi di 44 produzione elevati, 45 furono destinati alla costruzione delle ferrovie, in genere per conto dello Stato. In ciascuno dei paesi si sviluppò dopo il 1895 un modesto settore industriale. La Russia imperiale All’inizio del XX secolo l’Impero russo era considerato una grande potenza. L'estensione del suo territorio e della sua popolazione giustificavano tale reputazione. Anche in termini economici complessivi la Russia occupava una posizione ragguardevole. Possedeva grandi industrie tessili (cotone e lino) e industrie pesanti. La Russia era un paese ancora prevalentemente agricolo, ma la produttività era ostacolata da una tecnologia primitiva e dalla scarsità di capitali (servaggio legalizzato). Gli inizi dell’industrializzazione russa sono stati fatti risalire al regno di Pietro il Grande. Le prime imprese industriali erano iniziative isolate legate ai bisogni dello Stato russo. La maggior parte di questi operai era nominalmente di condizione servile. In luogo delle prestazioni d’opera tradizionali essi erano tenuti al versamento ai loro padroni di somme in contanti che detraevano dai salari monetari percepiti (servi imprenditori). La guerra di Crimea rivelò la cruda realtà dell’arretratezza dell’industria e dell’agricoltura. Ci furono riforme (emancipazione dei servi del 1861). Il Governo incoraggiò un programma di costruzioni ferroviarie sulla base di capitali e tecnologie d’importazione, e riorganizzò il sistema bancario. Inoltre incoraggiò l’industrializzazione in vari modi: contrasse debiti all’estero, impose dazi sulle importazioni di prodotti di ferro e acciaio, ma allo stesso tempo agevolò l’introduzione delle attrezzature più moderne per la manifattura del ferro e dell’acciaio e per le costruzioni meccaniche. Al boom dell’industria russa degli anni novanta succedette la crisi di primi anni del XX secolo, che a sua volta fu seguita dall’esito disastroso della guerra russo-giapponese (1904-05)e dalla rivoluzione (1905-06). Quest'ultima generò riforme tra cui quella a graria di Stolypin. Ma la debolezza della Russia si acutizzò durante la Prima Guerra Mondiale contribuendo alla sua sconfitta. Il Giappone Nella prima metà del secolo il Giappone mantenne la sua politica di isolamento dalle influenze straniere. Dall'inizio del Seicento il Governo Tokugawa aveva proibito il commercio con l’estero e aveva vietato ai Giapponesi di viaggiare all’estero. La società era strutturata in rigide classi sociali o caste . Nonostante queste limitazioni l’organizzazione era notevolmente sofisticata. Il livello di analfabetismo era basso. Nel 1853-54 il commodoro Matthew Perry, ammiraglio della flotta statunitense, entrò con le sue navi nella baia di Tokyo e minacciando di bombardare la città costrinse lo shogun Tokugawa ad allacciare relazioni diplomatiche e commerciali con gli Stati Uniti. Una clausola chiave di questi “trattati ineguali” impediva al Governo giapponese di imporre tariffe superiori al 5% ad valorem. Gli stranieri inoltre ottennero diritti di extraterritorialità. Ciò portò a rivolte xenofobe per riportare l’Imperatore ad una posizione centrale nel Governo. Ci fu la restaurazione Meiji (governo illuminato). Non appena conquistato il potere il nuovo governo mutò il tono del movimento xenofobo. Invece di tentare un’espulsione degli stranieri, il Giappone cooperò con loro ma tenendoli a rispettosa distanza. Il vecchio sistema feudale fu abolito e sostituito da un’amministrazione burocratica. Uno dei problemi da affrontare fu quello finanziario. Il nuovo Governo meiji ereditò una quantità di moneta cartacea inconvertibile, che nei primi anni di transizione fu costretto ad accrescere. Nel 1873 decretò una tassa sulla terra. Essa ebbe un effetto doppiamente benefico: da un lato assicurò al Governo un’entrata fissa, dall’altro garantì che la terra sarebbe stata usata al meglio. Il Governo intraprese la creazione di un nuovo sistema bancario avendo come modello quello degli Stati Uniti. Secondo questo sistema le banche potevano essere fondate usando titoli governativi a garanzia dell’emissione di banconote, obbligatoriamente convertibili in moneta metallica. Nel 1881 ricostruì la struttura bancaria. Una nuova banca centrale, la Banca del Giappone, ottenne il monopolio dell’emissione dei banconote, mentre le banche nazionali persero i loro diritti di emissione e furono trasformate in normali banche commerciali di depositi sul modello inglese. Sin dall’epoca della restaurazione Meiji il Governo aveva intenzione 48 di introdurre nel paese praticamente l’intera gamma di industrie occidentali. Ma era questa un’impresa che poteva essere realizzata solo nel lungo termine. Nel frattempo occorreva trovare le risorse necessarie per pagare le importazioni. Il Giappone disponeva inoltre di limitate risorse naturali. Tuttavia fu il settore agrario a dover sopportare il peso di assicurare con le esportazioni le entrate necessarie a finanziare le importazioni. Le due tradizionali industrie tessili giapponesi erano basate sulle materie prime nazionali (la seta e il cotone). Subito dopo l’apertura degli scambi l’industria cotoniera fu completamente spazzata via dai prodotti meccanizzati provenienti dall’Occidente. L’industria della seta sopravvisse e si sviluppò anche un commercio degli stessi. L’altra grande fonte di esportazioni agricole era il tè, ma il su o peso relativo diminuì comunque gradatamente con la crescita della popolazione e del reddito nazionale. Lo stesso si verificò ed in misura ancora più accentuata con il riso. Il Governo incoraggiò anche l’impresa privata infatti non appena le miniere e le fabbriche cominciarono a funzionare in maniera soddisfacente il Governo le vendette. L’industria cotoniera fece registrare i progressi più rapidi mentre le industrie pesanti ebbero uno sviluppo più lento. La Prima Guerra Mondiale accrebbe naturalmente in misura notevole la domanda dei prodotti di queste industrie e aprì nuovi mercati. Il disavanzo della bilancia commerciale negli ultimi anni prima della guerra era stato ingente, ma l’accresciuta domanda del periodo bellico permise ai produttori giapponesi di penetrare rapidamente nei mercati esteri. La transizione economica ebbe anche conseguenze politiche. Nel 1894-95 il Giappone sconfisse la Cina e la Russia sia in mare che in terra affermando così la propria influenza. CAPITOLO XI LA CRESCIA DELL’ECONOMIA MONDIALE L’importanza del commercio di lunga distanza crebbe enormemente nel corso del XIX secolo. Per tutto il secolo l’Europa controllò almeno il 60% del totale sia delle importazioni che delle esportazioni. Il periodo di massima crescita si ebbe tra l’inizio degli anni quaranta del 1872 e il 1873. All’inizio del secolo erano due i principali ostacoli uno naturale, l’altro artificiale che rallentavano il flusso del commercio internazionale. L’incidenza di entrambi declinò significativamente col passare degli anni. L’ostacolo naturale (alto costo dei trasporti, in particolare quelli terrestri) si arrese alla ferrovia e ai miglioramenti della navigazione. Allo stesso modo furono annullati gli ostacoli artificiali (le tariffe sulle importazioni e le esportazioni), anche se alla fine del secolo si verificò un “ritorno al protezionismo” che determinò l’introduzione in molti paesi di più alte tariffe sulle importazioni. La Gran Bretagna adotta il libero scambio Argomentazioni intellettuali a favore del libero scambio a livello internazionale erano state avanzate anche prima della pubblicazione del trattato di Adam Smith La ricchezza delle nazioni. Nel XVIII secolo il contrabbando era un'attività redditizia. Il Governo britannico aveva cominciato a modificare il proprio atteggiamento protezionistico nel tardo Settecento, ma lo scoppio della rivoluzione francese e le guerre napoleoniche ne differirono gli sforzi. Il blocco britannico ed il Sistema continentale rappresentarono delle forme estreme di interferenza nel commercio internazionale. La perorazione di Smith a favore del libero scambio internazionale fu una conseguenza della sua analisi dei vantaggi derivanti dalla specializzazione e dalla divisione del lavoro tra le nazioni oltre che tra gli individui. Essa si basava sulle differenze tra i costi assoluti di produzione, come ad esempio tra i costi di produzione del vino in Scozia e in Francia. David Ricardo nei suoi Principi dell’economia politica suppose erroneamente che il Portogallo avesse rispetto all’Ing hilterra un vantaggio assoluto nella produzione sia delle stoffe che del vino, ma che il costo relativo di quest’ultimo fosse inferiore. Egli dimostrò che sarebbe stato vantaggioso per il Portogallo specializzarsi nella produzione vinicola ed acquistare st offe dall'Inghilterra. Questo era il principio del vantaggio relativo il fondamento della moderna teoria del commercio internazionale. Sia l’argomentazione di Smith a favore del libero scambio che quella di Ricardo si 49 fondavano su ragioni puramente logiche. Per avere effetti pratici in politica esse dovevano riuscire a convincere 50 negoziato un accordo con un paese terzo, la controparte nel trattato avrebbe beneficiato automaticamente di qualsiasi tariffa più bassa eventualmente accordata a quest’ultimo. Entrambi i contraenti del trattato anglofrancese avrebbero beneficiato del trattamento accordato alla “nazione più favorita”. La Francia a diffe renza della Gran Bretagna stipulò numerosi trattati con altri paesi. Le conseguenze di questa rete di trattati commerciali furono considerevoli. Il commercio internazionale crebbe. Gran parte dell’aumento dipese dal commercio intereuropeo, ma vi contribuirono anche paesi di altri continenti. Un’altra conseguenza dei trattati fu la riorganizzazione dell’industria imposta dalla maggiore concorrenza, i trattati favorirono l’efficienza tecnica e aumentarono la produttività. La “Grande Depressione” e il ritorno al protezionismo Un'altra conseguenza dell’integrazione dell’economia internazionale provocata da un commercio più libero fu la sincronizzazione della dinamica dei prezzi al di là delle frontiere nazionali. Le fluttuazioni dei prezzi cominciarono ad essere più spesso legate allo “stato del commercio” (alle oscillazioni della domanda), divennero di natura ciclica e furono trasmesse di paese in paese attraverso i canali commerciali. La statistica ha distinto diverse varietà di “cicli economici”: cicli delle scorte di breve durata (2-3 anni), relativamente miti, oscillazioni di più ampio respiro (9 -10 anni), concluse frequentemente da crisi finanziarie seguite da recessioni e tendenze secolari di lunga durata (20-40 anni). Causa delle fluttuazioni sono le complesse interazioni di fattori monetari e reali. Fluttuazioni della produzione accompagnavano le fluttuazioni dei prezzi anche se le cadute della produzione erano di breve durata. In quasi tutti gli Stati europei i prezzi raggiunsero il culmine all’inizio del secolo. Le cause furono sia reali (la penuria determinata dalla guerra) che monetarie (le esigenze della finanza di guerra). Dopo di allora la tendenza secolare fu al ribasso fino alla metà del secolo. Le cause furono nuovamente sia reali (innovazioni tecniche, miglioramenti nell’efficienza) che monetarie (pagamento delle riparazioni di guerra da parte di Governi). Nel 1873 un panico finanziario colpì Vienna e New York per poi propagarsi nella maggior parte dei paesi industrializzati. La susseguente caduta dei prezzi divenne nota in Gran Bretagna come “Grande Depressione”. La depressione fu attribuita a torto dai grandi industriali all’accresciuta concorrenza internazionale frutto dei trattati commerciali, e avanzarono nuove richieste di protezione. Prima del 1870 essi non erano stati disturbati dalla concorrenza dei paesi d’oltremare, in quanto i costi del trasporto via mare avevano rappresentato una protezione sufficiente. Negli anni settanta le spettacolari riduzioni dei costi di trasporto dovute alla costruzione di nuove ferrovie combinate con le riduzioni dei costi di trasporto oceanici per effetto dei miglioramenti apportati alla navigazione a vapore, incoraggiarono la messa a coltura di vasti tratti di praterie vergini. Per la prima volta gli agricoltori europei si trovavano a fronteggiare una dura concorrenza sui propri mercati. La situazione dell’agricoltura tedesca era molto critica. La Germania era divisa all’epoca essenzialmente in un occidente in via di industrializzazione ed un oriente agricolo. Gli Junker della Prussia orientale si erano dedicati da tempo all’esportazione di grano in Europa occidentale. Era questa la maggiore eccezione all regola per la quale fino agli anni settanta del XIX secolo i costi di trasporto rendevano non conveniente trasportare il grano su lunghe distanze. I Junker erano favorevoli al libero scambio nella loro veste di esportatori. Chiesero protezione non appena cominciarono a subire le conseguenze della caduta dei prezzi del grano. La popolazione tedesca stava crescendo rapidamente e con l’industrializzazione anche le città stavano espandendosi velocemente. Gli Junker volevano conservare l’esclusiva del grande e crescente mercato. Otto van Bismark, creatore e cancelliere del nuovo impero tedesco colse questa opportunità. Gli industriali della Germania occidentale da tempo reclamavano una protezione tariffaria, ora che anche gli Junker prussiani si erano schierati al loro fianco, Bismark decise di “accedere “ alla richiesta e diede la sua approvazione ad una legge tariffaria del 1879 che introdusse il protezionismo sia per l’industria che l’agricoltura. Gli interessi protezionistici francesi ripresero forza sul piano politico. Nel 1881 essi riuscirono ad ottenere una nuova legge tariffaria che reintroduceva esplicitamente il principio del protezionismo. I sostenitori del libero scambio conservarono però un notevole peso 53 politico, e nel 1881 nuovi trattati commerciali ribadirono i principi fondamentali del trattato Cobben-Chevalier. Vi fu una maggioranza favorevole al protezionismo che riuscì a far approvare nel 1892 la famigerata tariffa Méline. Questa tariffa è stata dipinta come estremamente protezionistica, un “protezionismo raffinato”: essa conteneva elementi condivisi da partigiani del libero scambio. Una guerra tariffaria con l’Italia arrecò gravi danni al commercio francese, e ancora maggiori a quello italiano. L’Italia aveva seguito l'esempio tedesco nel ritorno al protezionismo, aveva deciso di discriminare in particolare le importazioni francesi. La mossa fu poco saggia, in quanto la Francia rappresentava per l’Italia il maggiore mercato estero. Il commercio tra i due paesi vicini crollò. Molti altri paesi seguirono l’esempio della Francia e della Germania innalzando i propri dazi come l’Austria-Ungheria, la Francia, la Russia e gli Stati Uniti. In questo generale ritorno al protezionismo resistettero alcune sacche di libero scambio e di queste la più notevole fu la Gran Bretagna. Sorsero dei movimenti politici che si battevano per un “commercio giusto” e una “preferenza imperiale”, tuttavia essi non riuscirono a mietere alcun successo fino alla Prima Guerra Mondiale. Il successo dei commercianti tedeschi sui mercati esteri ispirò alcuni provvedimenti di rappresaglia, tra cui il Merchandise Marks Act che imponeva di apporre sui prodotti esteri un'etichetta “made in Germany” in modo da dissuadere i consumatori britannici dall’acquistare un prodotto, ma in realtà accadde esattamente il contrario. Il regime aureo internazionale Secondo alcuni l’alto grado di integrazione raggiunto dall’economia mondiale nella seconda metà del XIX secolo dipese criticamente da un’adesione generale al regime aureo internazionale. Secondo altri questa integrazione fu prima di tutto una conseguenza del ruolo centrale della Gran Bretagna nell’economia mondiale. Nel corso della storia diverse merci (terra, bestiame, frumento) hanno svolto la funzione di standard monetario, ma la maggiore preminenza è sempre stata detenuta dall’oro e dall’argento. La funzione di uno standard monetario è di definire l’unità di conto di un sistema monetario, l’unità in cui tutte le altre forme di monetarie sono convertibili. Ad esempio nell’Inghilterra medievale la “lira sterlina” era definita come una libbra di argento puro. Tecnicamente l’Inghilterra conservò il regime argenteo fino alle guerre franco-napoleoniche, sebbene nel ‘600 e nel ‘700 le monete d’oro, le famose ghinee (prendevano il nome dalla Guinea, regione africana da cui proveniva l’oro) avessero rimpiazzato quelle d’argento nell’uso comune. Durante le guerre la Banca d’Inghilterra sospese il pagamento per cui il paese non aveva più alcuno standard monetario. Aveva una cartamoneta inconvertibile ovvero un “corso forzoso”. Dopo le guerre il Governo decise di ritornare ad uno standard metallico, ma scelse l’oro. L’unità di conto (standard di valore) fu la sovrana o sterlina d’oro, definita come 113,0016 grani di oro fino (puro). Secondo le disposizioni della legge dovevano essere osservate tre condizioni: * lazeccarealeera obbligata a comprare e vendere quantità illimitate di oro a prezzo fisso; la Banca d’Inghilterra era tenuta a convertire a richiesta le sue passività monetarie in oro; *nessuna restrizione poteva essere imposta sull’importazione e sull’esportazione di oro. Ciò significava che l’oro serviva da base ultima o riserva dell’intera provvista monetaria della nazione. Il movimento di entrata e uscita dell’oro dal paese (in funzione della bilancia dei pagamenti) determinava fluttuazioni nella riserva totale di moneta, che a sua vota causava delle oscillazioni nella dinamica dei prezzi. Per un breve periodo la Francia cercò di creare un’alternativa al regime aureo internazionale nella forma dell’Unione Monetaria Latina. Sebbene in Francia vigesse nominalmente un regime bimetallico (oro e argento insieme) la scoperta dell’oro in California e in Australia causò un aumento del livello generale dei prezzi e una diminuzione del prezzo relativo dell’oro rispetto all’argento. La Francia passò ad uno standard argenteo e convinse il Belgio, la Svizzera e l’Italia a seguirla nel 1865. L'obiettivo era quello di mantenere stabili i prezzi. Successivamente aderirono all’unione la Spagna, la Serbia e la Romania. Pochi anni dopo con la scoperta di nuovi giacimenti di argento, i prezzi relativi dell’oro e dell’argento si modificarono in senso inverso, e le nazioni facenti parte dell’unione monetaria latina si trovarono sommerse dall’afflusso di argento a buon mercato. Esse 54 limitarono i loro acquisti di argento per poi eliminarli del tutto, ritornando ad un regime au reo puro. La prima nazione ad adottare ufficialmente il regime aureo dopo la Gran Bretagna fu il nuovo Impero tedesco. Il Governo adottò una nuova unità di conto, il marco aureo, e istituì la Reichsbank come banca centrale e unica agenzia di emissione. Prima della Guerra Civile negli Stati Uniti vigeva tecnicamente un regime bimetallico. Durante la guerra sia il Nord che il Sud emisero moneta inconvertibile. La Russia aveva adottato nominalmente il regime argenteo per tutto il XIX secolo, ma in realtà aveva fatto ricorso a ingenti emissioni di cartamoneta inconvertibile. Nell’ultimo decennio del secolo il conte Witte (ministro delle finanze) decise che il paese doveva adottare il regime aureo, cosa che avvenne nel 1897. Quello stesso anno il Giappone, che aveva estorto all Cina un’enorme indennità dopo la guerra del 1895, usò il ricavato per creare una riserva aurea nella Banca del Giappone e per adottare il regime aureo. Movimenti migratori e investimenti internazionali L’emigrazione avvenne anche entro i confini europei, ma la sua dimensione più significativa fu quella transoceanica. La seconda metà del XIX secolo e l’inizio del XX secolo registrarono una massiccia emigrazione dall’Italia e dall’Europa orientale. Questo immenso fenomeno migratorio ebbe effetti benefici: alleggerì le pressioni demografiche nei paesi di provenienza degli emigranti, allentando la tendenza al ribasso dei salari reali, e fornì ai paesi ricchi di risorse ma poveri di manodopera un afflusso di lavoratori volenterosi a salari più elevati di quelli che avrebbero potuto ottenere nei loro paesi di origine. Attraverso legami umani e culturali si favorì l’integrazione dell’economia internazionale. L’esportazione di capitali rafforzò ulteriormente l’integrazione dell’economia internazionale. Le risorse disponibili per essere investite all’estero derivarono dal sensazionale aumento di ricchezza e del reddito provocato dall’applicazione delle nuove tecnologie. Ma l’investimento estero richiede risorse speciali generate dal commercio e dai pagamenti esteri. Esistono due principali categorie di fondi: quelli derivanti da una bilancia commerciale favorevole e quelli frutto di esportazioni “invisibili” (i servizi di spedizione, le rimesse degli emigrati e gli interessi). Queste fonti possono operare in svariate combinazioni a seconda delle circostanze. La principale motivazione dell’investimento estero è l’aspettativa da parte dell’investitore di un saggio di profitto più elevato che in patria. I meccanismi dell’investimento estero consistono in una serie di strumenti istituzionali per il trasferimento di fondi da un paese all'altro: mercati dei cambi, delle azioni e dei titoli. La Gran Bretagna fu di gran lunga in testa negli investimenti esteri fino al 1914. A quest’ultima data gli investimenti esteri britannici ammontavano al 43% del totale mondiale. Questa situazione si era prodotta nonostante che per la maggior parte del secolo la Gran Bretagna avesse avuto una bilancia commerciale “sfavorevole” ossia avesse importato merci per un valore superiore alle esportazioni. Per la Gran Bretagna gli investimenti esteri furono resi possibili quasi esclusivamente dalle esportazioni invisibili. La Francia figurava al secondo posto in quanto a investimenti, ma l’inizio dell’Ottocento la vide indebitarsi con l’estero, soprattutto con Gran Bretagna e Olanda, per saldare le pesanti riparazioni imposte dagli alleati dopo la sconfitta da Napoleone. Nella prima metà del secolo gli investimenti francesi si volsero principalmente verso i vicini più prossimi, cioè all’acquisto di obbligazioni dei governi sia rivoluzionari che reazionari di Spagna, Portogallo e dei diversi stati italiani, in Svizzera, Austria e negli Stati tedeschi. Tra il 1851 e il 1880 gli investitori francesi si assunsero l’onere di costruire la rete ferroviaria di gran parte dell’Europa meridionale e orientale. Dopo l’alleanza franco-russa i Francesi investirono somme enormi nell’acquisto di titoli russi pubblici e privati. Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, oltre un quarto di investimenti esteri francesi era concentrato in Russia. A differenza dei Britannici, i Francesi destinarono meno del 10% dei loro investimenti alle colonie. Il contributo francese allo sviluppo economico dell’Europa fu considerevole. La Germania si trasformò nel corso 55 tutto il secolo. Oltre a combattere tra loro, entrambi i gruppi vennero spesso in urto con le tribù africane che furono sterminate e ridotte in schiavitù. Dapprima sia gli insediamenti boeri che quelli britannici ebbero carattere agrario, nel 1886 nel Transvaal fu scoperto l’oro. Questi avvenimenti contribuirono all’ascesa al potere di Rhodes, una delle personalità più’ influenti della storia africana, egli giunse in Africa nel 1870 e fece fortuna nelle miniere di diamanti. Rhodes divenne un ardente patrocinatore dell’espansione imperialistica. Nel 1880 entrò nel corpo legislativo della colonia del Capo e divenne in seguito primo ministro della colonia. Una delle sue maggiori ambizioni era la costruzione di una ferrovia “dal Capo al Cairo” tutta su territorio britannico. Il Presidente della Repubblica sudafricana Kruger rifiutò, Rhodes allora organizzò un complotto che fallì e fu costretto a dare le dimissioni. Nell'ottobre del 1899 ebbe inizio la guerra sudafricana o angloboera. I Britannici subirono dapprima diversi rovesci, poi invasero sia il Transvaal che lo Stato libero dell’Orange. Subito dopo il Governo britannico passò da una politica di repressione ad una di conciliazione. Nel 1910 l’Unione sudafricana divenne un dominio dell’Impero britannico. Prima del 1880 il solo possedimento europeo in Africa, se si escludevano il Sud Africa britannico era l'Algeria francese. Carlo V intraprese nel 1830 la conquista dell'Algeria, e in seguito i Francesi vi aggiunsero le conquiste fatte sulla costa occidentale dell’Africa. Alla fine del secolo avevano conquistato un territorio che battezzarono Africa occidentale francese. Nel 1912 completarono il loro impero nordafricano aggiungendovi un protettorato sulla maggior parte del Marocco. Nel frattempo importanti avvenimenti avevano luogo all’estremità orientale dell’Africa islamica. L’apertura del canale di Suez nel 1869 da parte di una società francese rivoluzionò il commercio mondiale e mise in pericolo la “linea di comunicazione vitale” della Gran Bretagna con l’India. L'obiettivo della politica estera britannica (assumere il controllo del canale) fu favorito dalle difficoltà finanziarie del kedivé (re) d'Egitto. Le ristrettezze finanziarie egiziane permisero verso la fine del 1875 a Benjamin Disraeli, primo ministro britannico, di acquistare per conto del governo del suo paese le azioni del kedivé nella compagnia del canale. Il risentimento egiziano per la dominazione straniera sfociò in vaste ribellioni, e per ristabilire l’ordine i britannici bombardarono Alessandria e inviarono un corpo di spedizione. Il liberale Gladstone assicurò gli Egiziani che l’occupazione sarebbe stata temporanea, i Britannici ereditarono dal Governo del kedivé la conquista incompleta del Sudan. Perseguendo questo obiettivo i Britannici si trovarono faccia a faccia con i Francesi che si stavano espandendo verso oriente. Le truppe rivali si fronteggiarono a Fashoda ma precipitosi negoziati scongiurarono un conflitto vero e proprio. All fine i Francesi si ritirarono. Uno ad uno gli Stati della costa nordafricana nominalmente vassalli del sultano turco erano stati strappati a quest’ultimo. Rimaneva solo Tripoli. Nel 1911 l’Italia prese a pretesto un contrasto con la Turchia che terminò con l’annessione di Tripoli all’Italia. L'Africa centrale fu l’ultima area del continente nero ad aprirsi alla penetrazione occidentale, la scoperta dei diamanti in Sud Africa stimolò le esplorazioni nella speranza di scoperte analoghe in Africa centrale. L’improvvisa corsa ai territori suscitò delle frizioni che avrebbero potuto condurre alla guerra. Per scongiurare questa possibilità Bismark e Jules Ferry (primo ministro francese) convocarono a Berlino nel 1884 una conferenza internazionale sugli affari africani. Le risoluzioni prese furono: * abolizione del commercio degli schiavi e della schiavitù; *il riconoscimento dello stato libero del Congo con a capo Leopoldo del Belgio; * la regola secondo cui un paese doveva effettivamente occupare un territorio perché le sue pretese su di esso fossero riconosciute. Alla vigilia dello scoppio della Prima Guerra Mondiale solo l’Etiopia e la Liberia conservavano la loro indipendenza. Asia La decadenza interna aveva seriamente indebolito la dinastia Manciù, che aveva governato la Cina dalla metà del XVII secolo. Ciò diede agli europei opportunità di guadagnare con la forza l’accesso all’Impero. Il té e le sete cinesi avevano un ampio mercato in Europa ma un vero cambiamento vi fu 58 quando scoprirono che i Cinesi avevano una spiccata predilezione per l’oppio. Il Governo cinese ne proibì l’importazione, ma il commercio prosperò per mezzo dei contrabbandieri e di doganieri corrotti. Cominciò così la Guerra dell’Oppio (1839-42) che terminò con l’imposizione della trattato di Nanchino. La Cina dovette consegnare agli Inglesi l’isola di Hong Kong, accettare di aprire altri cinque porti al commercio sotto supervisione consolare, fissare un dazio uniforme del 5% sulle importazioni e pagare un’indennità. Il commercio dell’oppio proseguì. La facilità con cui i Britannici ebbero la meglio sui Cinesi incoraggiò altri paesi a richiedere trattati ugualmente favorevoli. Le concessioni agli stranieri suscitarono nuovi episodi di violenze e illegalità xenofobe, che a loro volta portarono a ulteriori rappresaglie da parte degli stranieri e a ulteriori concessioni. Le continue umiliazioni portarono ad un ultimo scoppio di violenza xenofoba nota come rivolta dei Boxer (1900-01); boxer era l’appellativo popolare dato ai membri della società segreta dei “pugni di giustizia e di concordia” il cui obiettivo era di cacciare tutti gli stranieri dalla Cina. Sollevatisi in diverse parti del paese essi attaccarono i Cinesi che si erano convertiti al cristianesimo. I primi tentativi Britannici di occupare Pechino furono respinti ma alla fine l’impero cinese decadde. Nel XIX secolo la Corea era un regno semiautonomo nominalmente sotto il dominio cinese, anche se i Giapponesi da lungo tempo avevano avanzato delle rivendicazioni. Guerra tra Cina e Giappone conclusasi con l’annessione della Corea al Giappone nel 1910. L’Indocina è una vasta penisola dell’Asia sudorientale la cui cultura è una miscela di civiltà classica indiana e cinese. I Britannici assunsero il controllo della Birmania e degli Stati malesi, ma alla fine i Francesi occuparono tutta la regione. Spiegazioni dell’imperialismo Le cause dell’imperialismo furono molte e complesse, non esiste un’unica teoria. Una delle spiegazioni più popolari dell’imperialismo moderno parla di necessità economica. Si parla di “imperialismo economico” dato che: ela concorrenza nel mondo capitalistico si intensifica, determinando la costituzione di grandi imprese e l’eliminazione delle piccole; «il capitale si accumula sempre più velocemente nelle grandi imprese, e poiché il potere d’acquisto delle masse è insufficiente ad acquistare tutti i prodotti della grande industria, il saggio di profitto diminuisce; ® man mano che il capitale si accumula e la produzione delle industrie capitalistiche rimane invenduta, i capitalisti ricorrono all’imperialismo per ottenere il controllo politico su aree nelle quali possono investire i capitali e vendere i prodotti in eccedenza. E’ questa nelle linee essenziali la teoria marxista dell’imperialismo, o più precisamente la teoria leninista in quanto Marx non previde il rapido sviluppo dell’imperialismo. Lenin pubblicò la sua teoria nel 1915 ne L’imperialismo fase suprema del capitalismo. Lenin attinse in misura notevole da Hobson, critico liberale britannico, che a sua volta aveva adottato molte delle argomentazioni dei sostenitori dell’imperialismo. Uno di questi fu il capitano Mahan il cui motto era “il commercio segue la bandiera”. I sostenitori dell’imperialismo affermavano che le colonie oltre ad offrire nuovi mercati e a costituire uno sbocco alle eccedenze di capitali, avrebbero assicurato nuove fonti di materie prime e assorbito la popolazione in rapi da crescita delle nazioni industriali. Che le colonie potessero servire da sbocco per l’eccesso di popolazione era un argomento erroneo. Le colonie erano situate infatti soprattutto in posti con climi oppressivi per gli Europei. E’ vero che in qualche caso le colonie assicuravano nuove fonti di materie prime, ma l’accesso a queste ultime non richiedeva un controllo politico. Altrettanto fallace era la giustificazione delle colonie come mercati per i prodotti manifatturieri in eccesso. Le colonie infatti non erano necessarie a questo scopo ne furono usate in tal senso dopo la conquista, le colonie avevano popolazioni troppo sparse e troppo povere per fungere da grossi mercati, inoltre il controllo politico non era necessario. La spiegazione più importante dell’imperialismo come fenomeno economico è forse quella che accenna 59 all’investimento di capitali in eccesso, almeno secondo la teoria marxista. Una grossa responsabilità va attribuita ad un mero opportunismo politico, combinato con un crescente e aggressivo nazionalismo CAPITOLO XII SETTORI STRATEGICI Agricoltura Uno dei più profondi mutamenti strutturali dell’economia verificatosi nel XIX secolo fu la diminuzione del peso relativo del settore agricolo, ciò non vuol dire che l’agricoltura cessò d’essere importante, anzi è vero il contrario. Un incremento della produttività agricola può contribuire allo sviluppo economico complessivo in 5 modi potenziali: 1.Il settore agricolo può sostentare un’eccedenza di popolazione in grado di dedicarsi ad occupazioni non agricole; 2.Il settore agricolo può fornire commestibili e materie prime sufficienti a sostentare la popolazione non agricola; 3.La popolazione agricola può rappresentare un mercato per la produzione delle industrie manifatturiere e dei servizi; 4. Attraverso investimenti volontari o l’imposizione fiscale, il settore agricolo può fornire capitali da investire al di fuori dell’agricoltura; 5. Attraversoleesportazionidiprodottiagricoli,ilsettoreagricolopuòfaraffluirela valuta estera indispensabile agli altri settori per acquistare le quantità necessarie di beni capitale o di materie prime non disponibili in patria. All’inizio dell’Ottocento l’agricoltura britannica era già la più produttiva d'Europa. La popolazione agricola offriva da tempo un’eccedenza che poteva essere utilizzata per attività non agricole. Analogamente, l’agricoltura britannica soddisfaceva gran parte della domanda nazionale di derrate alimentari e d’alcune materie prime, come la lana, l’orzo e il luppolo per l’industria della birra. Nella prima metà del XVIII secolo essa aveva prodotto persino un surplus di cereali per l’esportazione. Il periodo tra la metà degli anni quaranta e la metà dei settanta fu anzi la grande età dell’agricoltura: l’agricoltura britannica raggiunse, contemporaneamente all’industria, il suo massimo relativo. I miglioramenti tecnici fecero aumentare la produttività in misura addirittura superiore all’introduzione della coltura a rotazione e delle tecniche a lei associate. La ricchezza prodotta dalla terra contribuì in modo considerevole alla creazione di capitale sociale: canali e strade a pedaggio nel Settecento, ferrovie nell’Ottocento. Nel complesso l’agricoltura britannica svolse un ruolo di primo piano nell’affermazione dell’industria britannica. Il ruolo dell’agricoltura sul continente fu diverso da quello che essa ebbe in Gran Bretagna e variò da regione a regione. La riforma agraria fu spesso un presupposto di miglioramenti sostanziali della produttività. Il movimento delle recinzioni in Inghilterra può essere considerato un tipo di riforma agraria. Una riforma fondiaria di tipo differente fu quella della rivoluzione francese, che abolì l’ancien régime e confermò ai piccoli proprietari indipendenti il possesso delle loro piccole fattorie. Riforme simili a quella francese furono imposte in alcuni territori occupati dai francesi, come il Belgio e la riva sinistra del Reno. Le riforme prussiane dell’anno 1870 obbligarono i servi a cedere gran parte della terra da essi precedentemente coltivata ai vecchi padroni. La Svezia e la Danimarca abolirono il servaggio nelle seconda metà del XVIII secolo. Nella monarchia asburgica Giuseppe II tentò negli anni ottanta del XVIII secolo di alleviare il fardello che gravava sulla classe contadina, con risultati deludenti: la piena emancipazione dovette attendere la rivoluzione del 1848. In Spagna e in Italia, i tiepidi tentativi di riforma agraria entrarono in collisione con le necessità finanziarie dei Governi. Gli Stati balcanici, che avevano ereditato il loro assetto fondiario dal periodo di dominazione turca, non fecero seri tentativi di cambiarlo. La piccola proprietà contadina caratterizzava la Serbia e la Bulgaria. In Grecia e in 60 cedeva il suo monopolio come banca a capitale azionario in cambio del monopolio dell'emissione di cartamoneta, divenne però sempre di più la banca delle banche, e alla fine del secolo aveva assunto tutte le funzioni di una banca centrale. Accanto alla Banca d’Inghilterra, il sistema bancario britannico prevedeva una serie di banche commerciali a capitale azionario che accettavano depositi dal pubblico e prestavano denaro a imprese commerciali, generalmente a breve termine. Il numero di queste banche crebbe rapidamente, sia a Londra che nell’intero paese. Altra caratteristica del sistema bancario britannico era l’esistenza a Londra di banche di affari private. Con la loro attività di basso profilo, queste imprese private si dedicavano soprattutto a finanziare gli scambi internazionali e al commercio di valuta. Quest’istituzione era specializzata quasi esclusivamente in investimenti esteri, e lasciava alle borse principali la funzione di raccogliere capitali per le imprese nazionali. La Gran Bretagna possedeva molte altre istituzioni finanziarie: casse di risparmio, società di finanziamento per l’acquisto o la costruzione di abitazioni, società di mutuo soccorso e così via. Il sistema bancario francese era dominato, come quello inglese, da un istituto di ispirazione politica i cui affari si svolgevano soprattutto col Governo, vale a dire la Banca di Francia. Creata da Napoleone nel 1800, essa acquistò ben presto il monopolio dell’emissione di cartamoneta ed altri speciali privilegi. Per un breve periodo sotto Napoleone, essa ebbe un certo numero di filiali in città di provincia, essa divenne la Banca di Parigi. Fino al 1848 la Francia non possedette altre banche a capitale azionario e niente che equivalesse alle banche di provincia inglesi. Il suo sistema bancario era in effetti meno sviluppato del necessario, in quanto i notai principali che svolgevano alcune funzioni di intermediazione non potevano supplire alla carenza di banche. Diversi imprenditori diedero vita a Parigi negli anni 30 e 40 a banche in commandite. La Francia aveva comunque, nella prima metà del XIX secolo, un’altra importante istituzione finanziaria, la haute banque parisienne, banche d’affari simili a quelle londinesi, tra cui spiccava la De Rothschild fréres, fondata da James de Rothschild, figlio di un ebreo di corte tedesco del XVIII secolo. Aveva fondato in epoca napoleonica filiali della banca di famiglia, oltre che a Londra e a Parigi, anche a Francoforte, Vienna e Napoli. Come a Londra, la principale attività di queste banche private erano il finanziamento degli scambi internazionali e il commercio di valuta e lingotti, ma dopo le guerre napoleoniche cominciarono a sottoscrivere prestiti governativi ed altre obbligazioni, quali i titoli delle società costruttrici di canali e ferrovie. Dopo il colpo di stato del 1851 e la proclamazione del Secondo impero l’anno seguente, Napoleone III cercò di ridurre la dipendenza del governo dai Rothschild e dagli altri esponenti della haute banque con la creazione di nuovi istituti finanziari. Trovò volenterosi collaboratori nelle persone dei fratelli Emile e Isaac Pereire, con la benedizione dell’Imperatore essi fondarono nel 1852 la Société générale de créditfondier, un istituto di credito fondiario, e la Société générale de crédit mobilier, una banca d’investimento specializzata nel finanziamento di costruzioni ferroviarie. In seguito il Governo autorizzò la costituzione di altre banche a capitale azionario. Il sistema bancario francese della prima metà del XIX secolo non riuscì a realizzare tutto il suo potenziale di stimolo dello sviluppo economico; nella seconda metà del secolo il suo carattere fu un po’ più intraprendente ma senza eguagliare quello belga o quello tedesco. L’aspetto distintivo del sistema finanziario tedesco, fu la banca “universale” o “mista” per azioni, impegnata sia in attività di credito commerciale a breve termine che in investimenti a lungo termine o in attività bancarie di promozione. Chiamate Kreditbanken: esse ripresero ed estesero le iniziative promotrici dei banchieri privati. Il primo esempio consapevole del nuovo tipo di banca fu la Bank fur Handel. I suoi promotori avevano progettato di stabilirsi in quella città ma avevano ricevuto il rifiuto del Governo. In seguito avevano provato nell’importante centro finanziario di Francoforte, ma erano stati respinti anche dal Senato della città libera, dominato da potenti banchieri privati locali. Il Governo del Granducato si rivelò + disposto a cooperare. La nuova banca seguì il modello del Crédit mobilier. Di fronte al rifiuto del Governo prussiano di autorizzare statuti di società per azioni per le banche, alcuni ambiziosi promotori ricorsero alla società simile alla francese société en commadite, che non richiedeva l'autorizzazione da parte del Governo. Ne nacquero parecchie nel corso degli anni 50 e 60. La legge e l’euforia indotta dalla vittoria prussiana sulla Francia nel 1870 portò alla fondazione di oltre 100 nuove Kreditbanken. La depressione che seguì ne eliminò la 63 maggior parte, le più deboli e quelle più orientate alla speculazione; poi un processo di concentrazione e fusione, simile a quello che si verificò in Gran Bretagna, portò una decina di banche ognuna con una rete di filiali ed affiliate. Le più famose furono le “banche-D”, ciascuna con un capitale superiore ai 100 milioni di marchi e con sede a Berlino. Esse non solo provvidero alle necessità dell’industria tedesca, ma facilitarono l’allargamento del commercio estero tedesco fornendo credito agli esportatori e ai commercianti stranieri. La struttura finanziaria tedesca fu completata da un’altra importante innovazione istituzionale, la Reichsbank. Anch’essa fu in parte una conseguenza della vittoria prussiana sulla Francia e dell’enorme indennità che questa fruttò ed era una semplice trasformazione della Banca di Stato prussiana, godeva del monopolio dell’emissione di cartamoneta e agiva come banca centrale. Lo sviluppo del sistema bancario tedesco nella seconda metà dell’Ottocento fu una delle più straordinarie concomitanze del rapido processo di industrializzazione, furono molteplici gli elementi che contribuirono all’affermazione dell’industria tedesca, e quello stesso successo contribuì a sua volta al successo e alla prosperità del sistema bancario. Negli Stati Uniti il sistema bancario ebbe nel XIX secolo una evoluzione variegata. Nei primi anni della repubblica il conflitto tra hamiltoniani,che propugnavano un ruolo forte del governo federale, e ijeffersoniani , che preferivano lasciare le scelte politiche ai singoli Stati, si riflesse in modo evidente nella storia del sistema bancario. Ebbero dapprima la meglio gli hamiltoniani, che strapparono al Congresso lo statuto della prima banca degli Stati Uniti; alla scadenza della statuto, però i sostenitori dei diritti degli Stati e delle banche statali, già numerosi e sospettosi di istituti di maggiori dimensioni, ne impedirono il rinnovo. Una seconda Banca degli Stati Uniti dovette sopportare la stessa sorte. Alcuni stati ammettevano una “libera attività bancaria”, altri gestivano banche di proprietà statale, altri ancora cercarono di proibire del tutto le banche. Durante la Guerra Civile il Cong resso istituì il National Banking System, che permetteva l’esistenza di banche federali a fianco delle banche statali. La concorrenza era sleale, in quanto il Congresso aveva imposto una tassa discriminatoria sull’emissione di banconote da parte delle banche statali, cosa che costrinse molte di esse a trasformarsi in banche nazionali. Sia il sistema bancario statale che quello federale subivano le conseguenze negative dell’eccessivo rigore delle leggi e dei regolamenti. L’istituzione di filiali era generalmente proibita. Le banche non potevano occuparsi di finanza internazionale, ciò significava che l’ingente volume di importazioni ed esportazioni del paese era finanziato dall'Europa e dal numero relativamente modesto di banche d’affari private, che non erano ostacolate dalle restrizioni che colpivano le banche a capitale azionario. Alcuni ritenevano inoltre che l’assenza di una banca centrale esponesse maggiormente il paese al panico finanziario e alle depressioni che si verificavano con periodicità. Il ruolo dello Stato Il mito del laissez-faire significa che lo Stato oltre a promulgare e a far rispettare le leggi penali, si astiene da ogni interferenza nell’economia, secondo il concetto marxista il Governo agisce da “comitato esecutivo” della classe domi nante, la borghesia. La funzione fondamentale del Governo nella sfera economica è la determinazione del contesto legale dell’iniziativa economica. La tipologia d’intervento dello Stato nell’economia comprende le attività di promozione non immediatamente produttive. Esse includono i dazi, le esenzioni fiscali, i rimborsi e i sussidi, nonché i provvedimenti di apertura di uffici turistici e di immigrazione, non tutte le attività che ricadono in questa categoria sono necessariamente favorevoli alla crescita. Simili sono le funzioni di regolamentazione, che vanno dai provvedimenti volti a proteggere la salute e la sicurezza di specifici gruppi di lavoratori al controllo dettagliato dei prezzi, dei salari, della produzione. Lo scopo di queste norme può essere quello di favorire la crescita, ma più spesso l’obiettivo non è in rapporto con la crescita, e l’intenzione è di eliminare le ingiustizie e lo sfruttamento, in quest’ultimo caso l’effetto può essere quello di ritardare la crescita. Lo Stato si 64 può impegnare in attività direttamente produttive, che possono andare da iniziative benevoli come la fornitura di servizi educativi all’assunzione totale da parte dello stato della proprietà e del controllo di tutte le risorse produttive. La Gran Bretagna è considerata la patria del laissez-faire, o del minimo intervento dello Stato nell'economia. Il peso del settore pubblico nel Regno Unito era probabilmente rappresentativo dell’intera Europa. La maggioranza delle persone dà per scontato che una delle funzioni dello stato sia quello di consegnare la posta. Prima del XIX secolo il servizio postale privato era coesistito con un servizio pubblico incompetente e inefficiente. Il servizio postale moderno ebbe inizio nel 1840, quando il direttore generale delle poste del Regno Unito introdusse il servizio postale prepagato con la tariffa unica di un penny. In pochi anni sistemi simili furono adottati dalla maggioranza delle nazioni occidentali. Gran parte dei paesi continentali seguì l’esempio britannico, mentre negli Stati Uniti sia il telegrafo che il telefono furono lasciati all’iniziativa privata. Un esempio del tutto insolito di impresa privata fu la Compagnia delle Indie orientali. Fondata nel XVII secolo come società esclusivamente commerciale, all’inizio dell’Ottocento era divenuta padrona dell’India, “uno stato nello stato”. Dopo la rivolta dei sepoys del 1857, l'opinione pubblica divenne consapevole di quest’anomalia e pretese lo scioglimento della Compagnia. In nessun settore la Gran Bretagna era in maggior ritardo rispetto agli altri paesi occidentali che nel pubblico sostegno all’istruzione. La Scozia, invece, possedeva quattro antiche Università aperte a tutti i richiedenti diplomati. I paesi del continente avevano per la maggior parte una lunga tradizione di paternalismo statale o étatisme. In diversi di essi lo Stato era proprietario di foreste, miniere e persino di imprese industriali, i francesi avevano le loro manufactures royales che fabbricavano porcellana, cristalli, tappezzerie. Nel XVIII secolo i Governi incoraggiarono i tentativi di appropriarsi della tecnologia britannica con lo spionaggio o con altri mezzi. Un esempio ancora più vistoso è quello offerto dall’industria estrattiva della Ruhr. In Prussia, come in Francia e in diversi altri paesi, l’attività estrattiva, persino nelle miniere private, doveva essere svolta sotto la supervisione di ingegneri del Regio Corpo delle miniere. Questa modalità era definita principio di direzione e si dimostrò sufficiente nella Ruhr fin quando l’attività estrattiva rimase confinata ai giacimenti relativamente superficiali della valle della Ruhr. Le nuove miniere richiedevano capitali maggiori per i pozzi più profondi, le pompe a vapore e altre attrezzature estrattive. Le società minerarie, amministrate in qualche caso da imprenditori francesi, belgi e britannici, intrapresero una lunga logorante battaglia con le autorità prussiane, che ebbe finalmente termine nel 1865 con l’introduzione del principio di ispezione in base al quale gli ingegneri statali si limitavano ad ispezionare le miniere per motivi di sicurezza. Il rapido sviluppo della tecnologia dei trasporti comportò il coinvolgimento di tutti i governi. I britannici, fedeli alla loro tradizione di minima ingerenza, fecero il meno possibile, lasciando la promozione, la costruzione e la maggior parte dei dettagli gestionali all’iniziativa privata. 65
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