Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

STORIA ECONOMICA Economia preindustriale. Mille anni: dal IX al XVIII secolo Autore: Malanima, Sintesi del corso di Storia Economica

Riassunto Sezione I L'energia

Tipologia: Sintesi del corso

2012/2013
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 26/11/2013

zar90
zar90 🇮🇹

4.3

(116)

18 documenti

1 / 22

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica STORIA ECONOMICA Economia preindustriale. Mille anni: dal IX al XVIII secolo Autore: Malanima e più Sintesi del corso in PDF di Storia Economica solo su Docsity! 1 STORIA ECONOMICA Economia preindustriale. Mille anni: dal IX al XVIII secolo Autore: Malanima Casa Editrice: Bruno Mondadori, 1995 Sezione I L’ENERGIA 1. Gli Uomini 1.1 L’energia dell’uomo La crescita dei beni economici a disposizione degli individui deriva, prima di tutto, dalla scoperta e dal dominio delle energie dell’ambiente. Con l’aumento delle forze sotto controllo, ottenuto sfruttando nuove fonti energetiche, agli uomini è stato possibile realizzare il mutamento delle forme e della disposizione della materia in rapporto con i loro bisogni e desideri. Elementi come la divisione del lavoro, gli investimenti di capitale, le mentalità, i mercati esercitano senza dubbio un influsso notevole sul movimento dell’economia. Nel lungo periodo essi risultano, però, assolutamente secondari rispetto ai cambiamenti che riguardano il settore dell’energia. Purtroppo il tema dell’energia è stato spesso sottovalutato; almeno per epoche lontane. Il mondo prima dell’industrializzazione è un mondo in cui i sussidi energetici a disposizione sono limitati. I trasporti avvengono ancora in larghissima misura a spalla o con pochi animali; nei boschi la scure e in agricoltura la zappa e la vanga sono fra gli attrezzi più usati; anche nell’industria prevalgono gli utensili, che prolungano gli arti dell’ uomo. In quelle epoche l’uomo, che converte l’energia assimilata con il cibo e la trasforma in lavoro, è ancora la macchina per eccellenza. Il rendimento della macchina uomo, il rapporto cioè fra l’energia introdotta e l’energia erogata, è basso. Si è calcolato che in un anno l’uomo faccia uso della propria energia muscolare per una quantità equivalente a 300 chilowattora, che corrispondono soltanto al calore ottenuto bruciando 25 chilogrammi di petrolio, 35 di carbone o 70 di legna. Un solo cavallo svolge in un’ora il lavoro di 10 uomini; ma meno di 4 chilogrammi di petrolio sviluppano un’energia pari a quella di un cavallo che lavora 10 ore o di un uomo che lavora per poco meno di 100. Proprio una così modesta energia, quella dei muscoli dell’uomo, è ancora fra le più importanti risorse nelle epoche che precedono la rivoluzione industriale; costituisce, comunque, l’energia che controlla e dirige tutte le altre energie. 1.2 La popolazione nel tempo e nello spazio Due discontinuità Nella storia della popolazione mondiale esistono due periodi di discontinuità, ognuno accompagnato da una rivoluzione tecnologica. - Il primo di questi periodi è quello della rivoluzione agraria del neolitico: più o meno, e con forti differenze da regione a regione, a partire dall’8000 a.C. Fu questa l’epoca in cui gli uomini cominciarono a lavorare la terra per produrre beni alimentari in modo continuativo. Si passò da uno sfruttamento saltuario e superficiale dell’ambiente a un controllo dei suoi poteri produttivi. Nasceva l’agricoltura, con la quale si cominciava a utilizzare più efficacemente una parte, minima, di quell’energia solare che arriva sulla Terra e che in misura soltanto dello 0,1 per cento viene fissata dalle piante. La possibilità di controllare l’energia derivante dalle piante permise la crescita della disponibilità di beni alimentari. Ne seguì un forte aumento della popolazione. - La seconda forte discontinuità demografica fu quella che ebbe luogo con la rivoluzione industriale e con la successiva industrializzazione, dalla fine del XVIII secolo in poi: l’epoca di un altro grande salto nella 2 tecnologia e nell’uso dell’energia. Si passava, questa volta, all’utilizzazione su larga scala di fonti di energia di origine minerale, come il carbon fossile e poi il petrolio. LE FONTI Lo stato della popolazione Dati di stato della popolazione sono quelle cifre che indicano l’entità di una popolazione in un determinato periodo. Il censimento è la fonte di stato per eccellenza. Esso ci presenta prima di tutto l’entità di una popolazione in un certo anno: si tratta del documento che più di altri offre un quadro (lo stato) della demografia di un’area. Purtroppo, però, i censimenti attendibili sono rari prima di un’epoca assai vicina alla nostra. Per epoche lontane si deve allora ricorrere a testimonianze di tipo indiretto. Quali sono, dunque, le testimonianze che vengono adoperate dagli studiosi di demografia per valutare lo stato della popolazione? Elenchiamo quelle usate più spesso: Dati socio-economici Questi dati vengono utilizzati solo nello studio della demografia delle epoche remote o per quelle zone per le quali mancano assolutamente dati più attendibili. Densità urbana Anche in questo caso, come nel precedente, si parte dalla densità e dall’area abitata per raggiungere una stima della popolazione. Il metodo viene adoperato per valutare la popolazione cittadina, soprattutto in epoca medievale, ma anche per epoche più antiche. Dati quantitativi parziali Si tratta dei dati che si riferiscono solo a determinati gruppi di popolazione. Da questi si risale al totale. Stime di contemporanei Esistono numerose stime sin dalle epoche più antiche e hanno diverse validità. In generale si può forse dire che quanto più sono lontane nel tempo, tanto meno sono attendibili. Inventari Gli inventari delle proprietà fondiarie sono utili soprattutto per la storia demografica dell’alto Medioevo. In questi documenti veniva descritta la proprietà fondiaria di enti religiosi insieme alla popolazione che vi abitava. Fonti fiscali Sono tra le più usate per le epoche in cui non abbiamo censimenti. Sono diversissime da zona a zona a seconda dei diversi sistemi fiscali. Si va dagli estimi ai catasti, alle imposizioni sulle teste, a quelle sulle famiglie o sui fuochi o sulle case. Possono presentare infiniti problemi: accuratezza della rilevazione, entità dell’evasione, uso di coefficienti per risalire dai membri della famiglia alla popolazione complessiva. Fonti ecclesiastiche Si tratta delle liste, complete o parziali, redatte da un parroco o da un vescovo, degli abitanti di una data parrocchia o diocesi. I parroci dovevano tenere aggiornato un liber status animarum, ossia un 5 Le differenze più evidenti fra il modello demografico urbano e quello rurale sono tre: 1. Il numero delle femmine in città è superiore a quello dei maschi. 2. La struttura familiare nucleare (famiglia composta da una coppia con o senza figli o da una vedova o un vedovo con figli) è assai più frequente in città che in campagna, dove la famiglia ha spesso dimensioni più ampie. 3. La mortalità in città è superiore a quella in campagna ed è superiore anche alla natalità. Le città sono, dunque, consumatrici di popolazione. La spiegazione proposta a lungo di questo bilancio passivo è stata che nelle città le condizioni igieniche sono peggiori che nelle campagne. Maggiori sono perciò i problemi sanitari. Solo grazie all’immigrazione dalla campagna si possono colmare i vuoti che la mortalità vi produce. A questa ricostruzione ne è stata opposta una diversa, che modifica notevolmente il quadro. Nelle città si possono distinguere due gruppi fondamentali di abitanti: il primo è costituito da chi vi risiede stabilmente; l’altro è quello dei residenti temporanei (gli immigrati, che vivono in città per qualche mese o anno e ritornano poi alla loro residenza di origine). Questi due gruppi hanno un comportamento demografico diverso e una mortalità diversa. I residenti sono più ricchi degli immigrati, vivono in case confortevoli, si sposano, hanno figli e muoiono nelle città. Nel loro caso, il tasso di natalità è superiore a quello di mortalità. Il caso degli immigrati è diverso. Di solito sono artigiani, salariati, servitori; sono sempre poveri; vivono in condizioni disagiate, in case misere, e sono quindi sottoposti a malattie più degli altri. La loro mortalità è più elevata. Per lo più, inoltre, questi immigrati non formano una famiglia, oltre che per le condizioni di povertà in cui vivono, anche perché le attività che svolgono (soprattutto il servizio domestico) sono soggette a restrizioni matrimoniali. In questo secondo gruppo la natalità è bassa e la mortalità elevata. Il fatto che gli immigrati temporanei nelle città siano numerosi fa sì che i loro tassi di natalità e di mortalità abbiano un’influenza forte su quelli urbani in generale. 1.3 Il modello demografico Il potenziale biotico Con l’espressione potenziale biotico i biologi intendono la capacità di crescere di una data popolazione animale. E’ stato ripetutamente osservato che l’accrescimento di qualsiasi specie animale in nuovo ambiente si avvia con un ritmo lento, successivamente accelera, per poi rallentare ancora e stabilizzarsi. Questo avviene perché in ogni processo di crescita si avvertiranno, prima o poi, le resistenze ambientali (derivanti dall’affollamento, dalla disponibilità di cibo in diminuzione ecc.). Esse sono diverse per ogni specie e agiscono con differente intensità. Esiste un equilibrio fra disponibilità energetiche ambientali e ampiezza di una determinata specie animale. Lo stesso accade per le popolazioni umane. Anche in questo caso si incontrano a un certo momento ostacoli ambientali di vario tipo, tali comunque da contrastare un accrescimento eccessivo. Nel caso delle popolazioni umane le resistenze alla crescita sono assai più numerose e complesse. Oltre a quelle ambientali influiscono anche resistenze di tipo politico, economico, sociale, psicologico, ecc. Si può innanzi tutto escludere che fenomeni migratori abbiano avuto effetti rilevanti sulla demografia dell’Europa nel Medioevo e nell’età moderna. Che un’influenza ci sia stata per certe aree è un fatto noto da tempo: per ragioni militari spesso e, più spesso, per cause religiose E’ chiaro però che tali vicende, come ad esempio l’espulsione di ebrei e moriscos dalla Spagna nel basso Medioevo o l’emigrazione di protestanti dai Paesi Bassi spagnoli a fine 500, non ebbero alcun influsso sui ritmi demografici del continente, dal momento che si svolsero al suo interno; fra una regione e l’altra. Fra l’Europa e altre zone del mondo i flussi migratori non ebbero alcuna influenza profonda. Escluso l’influsso dell’emigrazione, rimangono in gioco la mortalità e la natalità. Il movimento demografico deriva in ogni caso dall’intreccio di queste due serie di fenomeni. Nel frenare l’aumento di popolazione, il maggior peso fu esercitato dalla mortalità. In ordine crescente di importanza, i tre fattori decisivi che agirono nel versante della mortalità furono: le guerre; le carestie; le epidemie. 6 LE FONTI Il movimento della popolazione I dati di movimento di una popolazione sono le testimonianze che ci permettono di ricostruire l’andamento demografico nel breve periodo e soprattutto che ci consentono di far luce sulle ragioni di quel movimento attraverso l’ elaborazione di serie di cifre relative alle nascite, ai matrimoni, alle morti e ai fenomeni migratori. Gli archivi parrocchiali Al giorno d’oggi sono le fonti anagrafiche a fornire al demografo i dati di movimento più attendibili. Per secoli e secoli furono i parroci a effettuare la registrazione dei fenomeni demografici che avvenivano nelle loro parrocchie, svolgendo quindi la funzione di veri e propri ufficiali dello stato civile. Sulla base dei dati raccolti dai parroci veniva poi redatto il censimento. Nel migliore dei casi si possono reperire oggi nell’archivio di una parrocchia i seguenti registri: - Il registro dei battesimi; - Il registro dei matrimoni; - Il registro delle sepolture; - Lo stato delle anime, cioè l’elenco di tutti gli abitanti della parrocchia redatto di solito nel periodo pasquale. I registri parrocchiali cominciarono a essere tenuti nel XV secolo in Spagna, Francia e Italia. Questa pratica si diffuse nel XVI secolo e si generalizzò nel XVII secolo in seguito a ordinanze da parte dei vescovi o dei governi che la imponevano ai loro parroci. In alcuni paesi dell’Europa settentrionale, come la Svezia, i registri sono particolarmente esaurienti: ci danno anche informazioni sulle migrazioni e sull’alfabetismo. La tecnica di ricostruzione delle famiglie Si cominciò negli anni Quaranta a costruire qualche serie di dati relativa ai decessi e a studiare la corrispondenza fra le crisi alimentari e la mortalità. Solo dalla fine degli anni Cinquanta si ebbe, però, un grande sviluppo degli studi sul movimento della popolazione. Ciò avvenne in conseguenza della messa a punto di una tecnica di studio denominata ricostruzione delle famiglie. Si ricostruiva, così, la famiglia e il suo comportamento demografico: età del matrimonio, eventuali matrimoni successivi al primo, età della nascita dei figli, intervalli fra le nascite, età della nascita dell’ultimo figlio, durata media della vita, eventuali forme di controllo delle nascite. Occorre che si disponga, prima di tutto, di registri parrocchiali sufficientemente completi, che nella parrocchia studiata i fenomeni migratori non abbiano un rilievo troppo grande, che la parrocchia non sia troppo ampia. La ricerca diventa possibile solo con l’uso del computer. Si può dire anzi che l’utilizzazione del computer negli studi di storia è avvenuta prima di tutto nel campo della demografia e per la ricostruzione delle famiglie. Le Guerre Per quanto riguarda l’incidenza delle guerre sul movimento demografico, essa fu forte in alcune regioni. La mortalità di una guerra riguardava innanzitutto i combattenti. In Europa questi sperimentarono, nei secoli fra il tardo Medioevo e la rivoluzione francese, il passaggio dalle armi da taglio alla molto più distruttiva polvere da sparo: il numero dei morti in guerra doveva necessariamente aumentare. Gli effetti di un’azione militare coinvolgevano, però, anche la popolazione civile, come sempre in caso di guerra. Questa veniva colpita in parte dalla diffusione di malattie, come accadde spesso con la peste e in certi casi anche con la sifilide. Varie sciagure potevano colpire duramente e molto a lungo gli abitanti di una regione, fra le quali: i raccolti calpestati o incendiati dagli eserciti, sia da quelli nemici sia da quelli amici, la requisizione o distruzione del bestiame per infliggere danni economici al nemico o per rifornire di provviste i militari. Assolutamente devastanti furono, nel 600, gli effetti della guerra dei Trent’anni sulle popolazioni 7 dell’Europa centrale più direttamente colpite: nel complesso , le città tedesche persero un terzo della popolazione e le campagne quasi il 40%. I conflitti dell’età moderna ebbero effetti gravi su aree particolari. Nell’insieme non ebbero che un’influenza marginale sul movimento demografico. Le carestie Una delle cause delle carestie furono gli eventi meteorologici, i quali esercitavano un’influenza decisiva sull’ampiezza dei raccolti e quindi sul cibo disponibile. Gli scambi potevano compensare il cattivo raccolto in una regione con le eccedenze di un’altra. Dal momento che i cereali erano però prodotti pesanti, e quindi costosi da trasportare su lunghe distanze, l’influsso positivo di questi commerci era modesto. Di conseguenza il crollo della produzione dei cereali comprometteva la sussistenza di gran parte della popolazione. La mortalità aumentava. Le carestie furono un fenomeno ricorrente nelle economie di ieri. Almeno le maggiori, tre o quattro volte ogni secolo, provocavano un forte aumento del numero di morti. Nel caso di condizioni di carenza calorica forte e prolungata nel tempo è presente uno stretto legame tra aumento delle morti e carestie. Tale legame viene meno, invece, per carenze meno gravi. Solo nel 700, e in particolare verso la fine, l’impatto delle carestie sul movimento della popolazione si venne attenuando. Le ragioni di questa attenuazione sono molteplici. In primo luogo dovettero certamente avere effetti positivi i progressi produttivi nel settore agricolo (anche se non si realizzarono ovunque e soprattutto non negli stessi tempi). Anche la diffusione di prodotti come la patata e il mais (con rendimenti più elevati dei cereali tradizionali) contribuì a migliorare le condizioni alimentari e a ridurre le carenze improvvise. Con il progresso degli scambi e la riduzione dei costi di trasporto, infine, il cattivo raccolto di una zona poteva essere compensato più facilmente con il buon raccolto in un’altra. La peste Nei tre secoli dalla metà del 300 alla metà del 600 la popolazione europea fu dominata dallo spettro della peste. Il bacillo della peste (Pasteurella pestis) è stato scoperto solo nel 1894, a Hong Kong, da un medico svizzero, A. Yersin e contemporaneamente dal medico giapponese S. Kitasato. Nei secoli del tardo Medioevo e dell’età moderna le reali cause delle epidemie che scoppiavano così di frequente erano ignote. Se ne conoscevano soltanto gli effetti distruttivi e se ne cercavano le ragioni nel moto degli astri, nell’aria infetta, nel demonio. In realtà il bacillo responsabile della malattia è trasmesso dalle pulci che vivono sui topi. In mancanza di topi, le pulci possono anche adattarsi a vivere sull’ uomo. La peste, che colpisce l’uomo può essere di tre tipi: . bubbonica: è trasmessa con puntura o attraverso escoriazioni e si manifesta con pustole e febbre alta; il decorso dura al massimo una decina di giorni; la guarigione sopravviene nel 20-40% dei casi. . polmonare: colpisce le vie respiratorie e si manifesta con tosse e catarri; la morte sopraggiunge 2 o 3 giorni dopo l’inizio della manifestazione; la mortalità è del 100%dei casi: non c’era scampo. . setticemica: ha un decorso simile a quello della peste polmonare, con in più la compromissione dei centri nervosi. Il mondo antico e i primi secoli del Medioevo conoscevano la peste. Sembra che dalla fine del VIII secolo la peste sia scomparsa dal continente per più di seicento anni. L’espansione demografica medievale avvenne, dunque anche grazie all’assenza di questa malattia e nell’arco di secoli libero da questo flagello. La sua ricomparsa in Europa fu uno degli effetti della cosiddetta “rivoluzione commerciale” del Medioevo, vale a dire della ripresa dei traffici europei e dei nuovi rapporti fra Europa e medio oriente. Furono infatti le navi genovesi che, insieme a tante altre mercanzie, importarono in Europa il bacillo della peste. Da dove venisse questo bacillo con precisione non lo sappiamo, forse dalla Cina ma è più probabile che venisse dall’India. 10 Densità demografica Indica l’intensità del popolamento rispetto al territorio considerato, ovvero il numero degli abitanti che vive in una determinata area. L’area considerata può essere definita in termini politico-amministrativi (uno stato, una regione), in termini geografici (un continente), in termini economici (un’area regionale con caratteri di omogeneità). Intervallo intergenesico L’arco di tempo che intercorre tra due nascite successive di una medesima donna. L’allungamento di questo intervallo in termini medi, in una popolazione sufficientemente ampia, può essere sintomo dell’adozione di forme di controllo delle nascite. L’intervallo intergenesico dipendeva dall’allattamento protratto per lunghi periodi (due anni e più). Esistevano differenze fra i diversi gruppi sociali. Le donne dei gruppi più agiati, che di solito affidavano a balia i figli, avevano intervalli intergenesici più brevi di quelle del resto della popolazione Mortalità Il numero dei morti, ne corso di un anno, in una determinata popolazione. Il tasso di mortalità si calcola dividendo il numero dei morti per la popolazione complessiva di una determinata area e moltiplicando poi per 1000. Natalità Il numero dei nati, nel corso di un anno, in una determinata popolazione. Piramide per età della popolazione Rappresentazione grafica di una popolazione ripartita, in senso orizzontale, per sesso (a destra le femmine, a sinistra i maschi) e, in senso verticale, per età. Il grafico assume struttura piramidale per il motivo ovvio che le classi si riducono, per effetto della mortalità, passando dalle età più giovanili a quelle più elevate. La piramide per età offre nella forma più sintetica lo stato della popolazione in un determinato anno. Oggi essa viene elaborata sulla base del censimento. Speranza di vita Il numero di anni che in media una persona, di una determinata età, può aspettarsi di vivere. Si ottiene sommando la durata della vita dei membri di una popolazione in un dato periodo e facendo poi la media. Urbanizzazione La percentuale della popolazione che abita in città rispetto alla popolazione complessiva. 11 2. Gli Animali 2.1 Macchine e schiavi La ricerca, da parte dell’uomo, di sussidi energetici è stata assai più efficace di quella degli altri animali. La storia dell’economia è, in larga misura, la storia di questo cammino nell’individuazione e nello sfruttamento sempre più capillare e massiccio delle fonti di energia. La prima e fondamentale utilizzazione di un sussidio energetico si ebbe con la scoperta e il controllo del fuoco: le forze degli uomini e quindi le possibilità di lavoro si accrescevano. Un altro passo in avanti si ebbe con la rivoluzione agraria. La scoperta dell’agricoltura permise di avere più cibo; l’addomesticamento degli animali più forza di trazione e di trasporto; i nuovi attrezzi più efficacia nel lavoro; le vele consentirono di utilizzare i venti. Durante l’antichità, mentre il livello pro capite di energia rimase più o meno invariato, la schiavitù consentì di accrescere le forze controllate e dirette dagli uomini liberi. La fonte energetica uomo risulta efficiente soprattutto in economie arretrate, dove i compiti che ogni individuo deve svolgere sono molteplici e dove procurarsi energia meccanica tramite macchine alimentate da combustibili non è possibile. La schiavitù, dunque, come fonte di energia. Dai primi secoli dell’impero romano la schiavitù si ridusse anche grazie alla diffusione del cristianesimo, se non direttamente con divieti, almeno indirettamente con la valorizzazione dell’uomo che ne costituiva uno dei fondamenti. In seguito alla drastica riduzione degli schiavi, gli uomini cominciano a escogitare metodi nuovi per controllare l’energia e per sfruttarla più efficacemente con le tecniche. Siamo, qui, alle origini di quello sviluppo plurisecolare, strettamente collegato al progresso tecnologico. 2.2 Uomini e animali Alcuni animali dispongono di una forza assai superiore a quella dell’uomo e che perciò dall’uomo possono essere sfruttati nei lavori più pesanti, come l’aratura o il trasporto di carichi. Gli animali non hanno certo la versatilità d’impiego dello schiavo; di conseguenza, quando è possibile, la migliore fonte di energia resta quella umana. In mancanza però di schiavi, gli animali vengono subito al secondo posto: ciò vale particolarmente per animali come il bue, l’asino, il mulo, il cavallo. E, in effetti, l’addomesticamento e l’uso di questi animali nei lavori agricoli si vennero affermando proprio dall’epoca della rivoluzione agricola. Sembra che l’uso del bue e dell’asino in agricoltura risalga al 4000-3000 a.C., mentre quella del cavallo fu successiva, nel 2000 a.C. Non in tutte le regioni agricole del mondo si ebbe l’utilizzazione dell’energia animale: infatti, esistevano aree del mondo nelle quali animali come il bue, il cavallo, l’asino, il mulo erano sconosciuti. E’ questo il caso di tutto il continente americano, nel quale questi animali giunsero soltanto dopo Colombo. Anche nell’oriente asiatico, di essi si fece sempre un uso molto limitato: l’agricoltura cinese rimase, fondata prevalentemente e in molte zone esclusivamente, sul lavoro dell’uomo e sulla sua quotidiana e intensiva applicazione sulla terra. In Europa, quindi, più che altrove, vi fu sempre una particolare attenzione all’uso della forza animale, soprattutto nell’agricoltura, ma anche in altri settori, come quello industriale e nei trasporti. E’ possibile che questo sia avvenuto perché l’agricoltura europea poteva affidarsi al lavoro animale più agevolmente di altre agricolture, come per esempio, quelle dell’oriente asiatico, fondate sull’irrigazione e sul riso, nelle quali l’uso di bestie da lavoro era più complicato. Neppure in Europa, però, l’utilizzazione di animali in agricoltura era del tutto senza ostacoli. Un animale da lavoro, se da una parte costituiva un notevole aiuto nelle fatiche, dall’altro rappresentava anche un concorrente dell’uomo: si nutriva infatti di molti alimenti che potevano servire anche come cibo umano e inoltre richiedeva ogni giorno una quantità di calorie assai maggiore di quella dell’uomo. E’ stato calcolato che mezzo ettaro coltivato a mais (cereale che ha rendimento elevato) può nutrire otto persone per un anno. Nutrendo invece dei buoi col raccolto, e perciò convertendo il mais in carne usata poi come cibo, esso è sufficiente soltanto al sostentamento di una persona per cinque mesi. E’ forse una conseguenza di ciò la taglia ridotta delle bestie da lavoro di antico regime. 12 2.3 La scoperta del cavallo In Europa un uso più largo dell’energia animale si affermò durante il Medioevo, soprattutto a partire dall’VIII sec. Il cavallo veniva usato nei trasporti, raramente in agricoltura e con larghezza soltanto in guerra. Ciò derivava, prima di tutto, dal fatto che nell’area mediterranea, là dove fiorì la civiltà antica, del cavallo, in agricoltura, non c’era veramente bisogno. I suoli leggeri chiedevano aratri semplici, poco pesanti, che un bue, pur con la sua minore potenza, poteva trainare facilmente. Sembra che in qualche misura il limitato uso del cavallo sui campi derivasse anche dal modo con cui l’animale veniva aggiogato: si utilizzava infatti un tipo di giogo del tutto identico a quello adoperato per il bue, anche se la conformazione fisica dei due animali è diversa. Il basto per i cavalli era infatti composto da due cinghie che circondavano la pancia e il collo dell’animale. Sottoposto a sforzo, come quando trainava un aratro, l’animale veniva quasi soffocato dalla cinghia al collo, che premeva sulla vena iugulare e sulla trachea, riducendo il flusso di sangue alla testa. L’energia del cavallo veniva, così, sfruttata soltanto in modo molto parziale: e questa energia era assai superiore a quella del bue (si è calcolato che, nel trasporto dei pesi, il cavallo sia doppiamente efficiente di un bue). In ogni confronto tra i due animali occorre però tenere conto del fatto che i bovini offrivano alimenti nella forma di latte e carne, mentre la carne di cavallo quasi mai veniva consumata in Europa. Inoltre, l’alimentazione del cavallo doveva essere più abbondante e, per giunta, era basata sull’avena: risultava quindi più costosa di quella del bue. La salute del cavallo era anche più delicata. Nel primo Medioevo, il cavallo, per lo più, rimaneva un animale da guerra, molto costoso, posseduto solo da pochi, assente nei campi. L’utilizzazione più ampia dell’energia del cavallo avvenne grazie a una serie di innovazioni (a quanto sembra, nessuna delle quali originaria dell’Europa). Una delle prime, di origine cinese, indiana o dell’ Asia centrale, che compare in occidente nell’VIII sec., è costituita dalla staffa e non riguardò il lavoro dei campi, ma la guerra: con essa aumentava decisamente la forza d’urto del cavaliere, che ora poteva tenere la lancia con una sola mano e lo scudo nell’altra. La staffa contribuì al successo della cavalleria nell’arte militare. Al VI sec. risale la prima raffigurazione in Europa di un nuovo tipo di giogo, che premeva sul petto dell’animale anziché sul collo. Nell’VIII-IX sec. fece la sua comparsa anche un altro basto con collare rigido destinato a grande diffusione. Con questi tipi di giogo anche lo sfruttamento agricolo del cavallo diventava più efficace: la potenza dell’animale aumentava di quattro o cinque volte. Invece con la ferratura si pose rimedio all’ostacolo costituito dalla fragilità degli zoccoli dell’animale. Questa protezione dello zoccolo esisteva già in epoca romana e, stranamente, la si ritrova soltanto nel IX sec., dopo un lungo periodo di scomparsa. Con l’invenzione del modo di aggiogare in fila i cavalli, aumentando, così, la potenza nel traino, si concluse, nel X o XI sec., la riscoperta del cavallo, questa volta come animale da lavoro. Verso il 600-700 in parecchie aree dell’Europa settentrionale, il numero dei cavalli era elevato. Di tale incremento dell’energia animale a disposizione non beneficiò soltanto l’agricoltura. Pare, per esempio, che in Inghilterra fosse soprattutto il settore dei trasporti a trarne vantaggio. Accanto al cavallo, anche il mulo, che è un incrocio sterile di asino e cavalla, venne usato sempre più largamente. Nei trasporti i muli superavano in forza sia il cavallo sia l’asino. I cavalli, oltre che essere impiegati per azionare le macine di mulini e frantoi, venivano utilizzati nel 500 anche per far funzionare le pompe di drenaggio delle miniere, e persino per il traino delle barche lungo le rive dei canali e lungo i fiumi con scarsa pendenza. Nell’agricoltura mediterranea continuò a prevalere come animale da lavoro fino all’epoca recente della meccanizzazione il bue, anziché il cavallo. Nell’Europa del sud si continuò a usare il bue perché le condizioni fisiche e climatiche e la natura dei suoli non necessitavano di una potenza superiore. Nei terreni pesanti del nord invece, che richiedevano aratri più potenti e più grandi, la forza di trazione doveva essere maggiore, e il bue non bastava. C’è chi ha suggerito anche come possibile spiegazione di questa opposizione, che nel sud l’avena, che è il cibo per eccellenza del cavallo, cresceva con difficoltà, al contrario che nel nord. 15 Macchine idrauliche Il mulino è un convertitore di energia: trasforma l’energia dell’ambiente in modo da renderla utilizzabile dall’uomo. A differenza delle piante, degli animali e anche dell’uomo, che sono convertitori biologici, il mulino, come ogni tipo di macchina , è un convertitore artificiale. Il mulino è inoltre un impianto non specifico: può essere usato non solo per la macinazione dei cereali, ma anche per molti altri scopi. Il primo uso diverso dalla macinazione del frumento a cui la ruota idraulica venne adattata fu molto probabilmente la follatura, un procedimento al quale venivano sottoposti i tessuti di lana, immersi nell’acqua insieme a sapone, argilla e talora anche urina, che ne provocava l’infeltrimento: le fibre si ritiravano pressandosi l’una all’altra e rendendo più compatta la stoffa. Nell’antichità questa operazione veniva eseguita da schiavi, immersi in pile d’acqua e costretti a battere con i piedi i panni dalla mattina alla sera. Quando gli schiavi scomparvero, si sostituì a essi una macchina: la gualchiera o mulino per la follatura. L’invenzione della gualchiera è importante per due diversi motivi. In primo luogo perché si tratta, forse, della prima macchina europea. Tutte le altre, mulino compreso, provenivano dall’oriente. In secondo luogo, perché con la gualchiera veniva risolto un problema complesso sotto il profilo della tecnologia: la trasformazione del moto rotatorio in moto alternato. Questo passaggio richiede l’applicazione di un congegno particolare, mai usato fino ad allora su larga scala: la camma: sull’albero motore collegato alla ruota a pale venivano fissati dei tasselli di legno posti a intervalli regolari che sollevavano alternativamente i mazzuoli e li lasciavano poi ricadere. E la camma fu un congegno tecnico che trovò largo impiego in altri tipi di macchine idrauliche, le cui testimonianze sono di poco successive a quelle della gualchiera. Possiamo affermare che, senza la scoperta della camma, la ruota idraulica non avrebbe potuto essere applicata a usi diversi dalla macinazione. E’ così che vari tipi di macchine idrauliche furono utilizzate, ad esempio, per la battitura della canapa, per la macinazione del malto, per la produzione della carta, per la frangitura delle olive (anche se raramente), oppure nella lavorazione dei metalli. Dalla forza dell’acqua trassero beneficio tanti altri lavori. Nel 1500 l’energia idraulica veniva usata in almeno quaranta diversi processi industriali. La forza dell’acqua Grazie allo sfruttamento dell’acqua si era potuto liberare tanti uomini dalle fatiche più pesanti, tali da spezzare la schiena anche ai cavalli. Per di più l’acqua aiutava l’uomo senza chiedere nessuna ricompensa. L’investimento iniziale doveva essere stato tutt’altro che lieve. Si erano dovuti sistemare i canali di alimentazione, poi trasportare e mettere in opera la mole, costruire le ruote e gli alberi di legno. La manutenzione comportava inoltre spese continue. Un mulino medievale non era un impianto di grandi dimensioni. La ruota idraulica, che era il cuore di questa macchina, poteva avere un diametro da uno a tre metri. Solo dal 500 il diametro ebbe tendenza a crescere di dimensione. Una ruota gigantesca fu costruita nella seconda metà del 600 sulla Senna per alimentare le fontane di Versailles: aveva una potenza di 75 cavalli-vapore e faceva parte di un complesso di quattordici ruote che, all’albero, sviluppavano da 300 a 500 cavalli-vapore. La potenza dei piccoli mulini medievali poteva andare da uno a 3,5 cavalli-vapore al massimo. Di conseguenza, raramente una ruota idraulica alimentava più di un impianto: ogni macchina aveva la sua ruota. In seguito la potenza dei mulini aumentò: fino a 5-7 cavalli-vapore in media nel 700. Nell’antichità erano esistite ruote orizzontali. A partire dal Medioevo sembra che il predominio delle ruote verticali sia stato assoluto e che le ruote orizzontali continuassero ad essere costruite solo per gli impianti più modesti. L’energia che una ruota orizzontale poteva erogare non superava quella di un cavallo o asino. La ruota idraulica poteva essere alimentata dall’alto, con un piccolo canale che vi faceva cadere l’acqua, o dal basso. Ogni mulino era diverso da un altro. Le ruote (larghezza, diametro, tipo di legno usato ecc.) e le pale (lunghezza, larghezza ecc.) venivano adeguate, nella loro forma, ai caratteri fisici delle diverse zone in cui erano costruite. Si cercava di sfruttare, così, l’energia nel modo più efficiente. Rispetto al rendimento orario di due uomini che usavano mole manuali, quello di un mulino era cinque volte superiore ed era doppio rispetto a un mulino azionato da un animale. I mulini più potenti potevano svolgere il lavoro di quaranta schiavi. Nell’800, con l’applicazione del vapore, l’efficienza sarebbe nuovamente aumentata di molto. L’investimento per la costruzione di un mulino ad acqua era tutt’altro che trascurabile: sulla base di alcuni documenti, si scopre che il valore di un mulino era intorno a 220 lire, circa trenta-quaranta volte il prezzo di 16 uno schiavo. Per un grande proprietario fondiario o un monastero che costruiva un mulino sulle sue terre, l’investimento era, tuttavia, molto remunerativo. Le rendite del signore potevano accrescersi di molto se egli obbligava i contadini delle sue terre ad abbandonare le antiquate mole domestiche azionate a mano e a servirsi esclusivamente del suo mulino. E’ quanto quasi sempre accadeva, e non solo nel caso del mulino, ma anche della gualchiera, del frantoio, e così via. Le mole scomparvero dalle case contadine proprio nei secoli in cui le ruote idrauliche guadagnarono importanza. Con la costruzione di una gualchiera aumentò il numero di follatori disoccupati. Infatti non stupiscono le lamentele, le opposizioni, talora anche le rivolte, che accolsero la costruzione di questi diabolici macchinari nelle città tessili delle Fiandre e della Francia del nord a partire dalla fine del 200. Ogni piccolo villaggio disponeva del suo mulino. Non si deve esagerare, però, il contributo del mulino. Lo sfruttamento dell’acqua aggiunse molto poco alle energie che gli uomini avevano adisposizione. Nei secoli del Medioevo e dell’età moderna al primo posto vi era la legna da ardere; seguivano gli animali; infine i mulini ad acqua e a vento. 3.3 L’energia eolica Il mulino a vento Nell’Europa del nord cominciò a essere usata intensivamente a scopi produttivi l’energia del vento. Si tratta di un’altra fonte d’energia riproducibile, ma non derivante dall’agricoltura. Essa insieme all’acqua svolse una funzione di rilievo (ma solo in alcuni regioni) durante questa lunga rivoluzione energetica che si dispiega nei secoli centrali del Medioevo. La macchina che permise di imbrigliare questo serbatoio inesauribile d’energia fino allora inutilizzato fu il mulino a vento. La diffusione massiccia del mulino a vento si svolge dal XII al XVI secolo. Il luogo d’origine del mulino a vento sembra l’Asia e che l’epoca è l’Alto Medioevo. Probabilmente il mulino a vento è nato come una sorta di adattamento del mulino idraulico alle condizioni fisiche di regioni povere d’acque, ma ricche di venti. Si può dire con certezza che questi primitivi mulini a vento erano molto diversi da quelli che, poi, furono conosciuti in Europa. L’asse della ruota a vento era verticale anziché orizzontale. In che modo e grazie a chi il mulino a vento raggiunse l’Europa non è facile da ricostruire. In passato si riteneva che fosse stato introdotto in Europa dai crociati, nel XII sec., che lo avevano conosciuto nel vicino oriente. sembra invece, che sia il vero il contrario: sarebbero stati proprio i crociati europei, durante la terza Crociata (1189-92), a portare nel levante (precisamente in Siria) questo congegno là sconosciuto. Non esistono neppure elementi sicuri per sostenere che il mulino a vento sia stato introdotto in Spagna dagli arabi verso il X secolo. In realtà le prime notizie certe dell’esistenza di mulini persiani in Europa risalgono tutte al XII secolo e riguardano diverse regioni distanti tra loro. La testimonianza più antica di mulini a vento in Europa si riferisce probabilmente all’Inghilterra e risale forse al 1137. La presenza di mulini a vento in Sicilia, sicuramente alla metà del XII secolo e forse anche prima, sembra suggerire che l’introduzione di questa macchina nel continente per opera degli arabi non sia affatto da escludere. Nel 400-500 erano numerosi i mulini a vento in Sicilia, dove, a causa della siccità, i mulini ad acqua non potevano lavorare tutto l’anno. Le regioni nelle quali l’energia eolica svolse una funzione più importante furono le grandi pianure dell’Europa settentrionale e orientale con venti regolari e con scarsi rilievi: dalla Francia settentrionale, all’Olanda, alla Danimarca, fino alla Polonia e anche alla Russia. Rispetto agli antichi mulini persiani, il mulino europeo presentava due varianti: - la prima variante era costituita dall’albero orizzontale e dalle pale verticali (in Europa non vi sono prove della presenza di mulini con albero verticale); - la seconda variante consisteva nella possibilità di ruotare il mulino in accordo con i cambiamenti di direzione di vento. Come il mulino ad acqua, il mulino a vento fu adoperato anche per usi diversi da quello della macinazione del frumento. In Olanda, nel 500, i mulini a vento servivano anche per filare la seta, follare i panni, battere il cuoio, fabbricare la polvere da sparo, segare il legname, produrre olio, carta, tabacco ecc. 17 Alla fine del 700 la capacità di un mulino a vento era superiore (da 2 a 3 volte) rispetto a quella di un mulino ad acqua. Le vele Mentre nell’uso dell’energia eolica per la macinazione vi furono in epoca medievale reali innovazioni di notevole influenza economica, minori furono i cambiamenti nell’uso del vento per la navigazione. Una parziale novità medievale fu solo la larga affermazione della vela triangolare, la cosiddetta vela latina. Anche di questa tecnica è assai difficile individuare l’origine e la diffusione. Sembra che in epoca romana essa fosse in uso soltanto su piccole imbarcazioni adoperate per la navigazione costiera e per la pesca. Dall’VIII sec. una diffusione più larga della vela latina si ebbe dapprima per opera dei bizantini, nel Mediterraneo orientale. Si cominciò a usarla su vascelli di dimensioni più grandi. Nel XIV sec., quando nel Mediterraneo si affermò la cocca, un bastimento di forma rotonda, il ritorno alla vela quadrata permise una riduzione della manodopera imbarcata e quindi una caduta dei costi di gestione. Forse l’unico vantaggio della vela latina era la maggiore manovrabilità della nave. Se, quindi, non ci furono eventi innovativi di rilievo nello sfruttamento dell’energia eolica nella navigazione, certamente vi furono continui progressi quantitativi: con l’aumentare delle vele sui mari crebbe anche la quantità di energia che veniva sfruttata. 20 5. I sussidi energetici 5.1 Una crescita esponenziale Gli studiosi di ecologia delle popolazioni sanno bene che per qualsiasi specie animale la crescita non descrive mai una curva esponenziale per un lungo tempo, una curva, cioè, concava all’inizio e che assume poi la forma di una linea verticale sempre orientata verso l’alto. Vale a dire che in qualsiasi ambiente una popolazione, quale che sia la specie animale, non può continuare a crescere a un ritmo costante e per un tempo indefinito. La popolazione considerata, di fronte alle resistenze che prima o poi l’ambiente oppone (ad esempio nella forma di scarsità di alimenti, di affollamento, di peggioramento delle condizioni igieniche), tenderà a stabilizzarsi intorno alla capacità biologica. Il suo sviluppo prenderà l’aspetto di una curva logistica, che, dopo la crescita iniziale, procede con andamento orizzontale, senza aumenti né diminuzioni: in equilibrio. E’ vero che modifiche nell’ambiente possono ripercuotersi sulle dimensioni della specie considerata alterando i limiti di tolleranza, come quando variazioni climatiche modificano le disponibilità alimentari. Solo molto raramente esiste, da parte delle specie animali, la capacità e la consapevolezza di modificare le condizioni dell’ambiente. Nella quasi totalità dei casi si verifica un adeguamento passivo ai cambiamenti intervenuti. Per gli uomini le cose stanno diversamente, almeno in apparenza. In forma macroscopica, sia con l’invenzione dell’agricoltura, sia più recentemente con le rivoluzioni tecniche collegate al processo dell’industrializzazione, i confini dell’ambiente sono stati allargati e i limiti di tolleranza rimossi. Le resistenze ambientali alla crescita demografica sono state neutralizzate. L’andamento demografico ha assunto, per periodi più o meno lunghi, l’aspetto di una curva esponenziale. 5.2 In sintesi QUANDO Intorno il X sec. in Europa prende avvio la ricerca di sussidi energetici e s’introducono novità tecniche o si sfruttano quelle già note. E’ l’epoca in cui si avvia un processo lungo e lento di crescita economica che si accelera con la rivoluzione industriale. La ripresa della ricerca di nuovi sussidi energetici è elemento d’importanza centrale in questa vicenda. L’avanzata delle ruote idrauliche, come sappiamo, è precedente al X sec. All’inizio del X sec., però, esse erano ancora assai rare. Alla fine dell’XI sec., invece, almeno in alcune aree dell’Europa, vi era già un rapporto fra popolazione e ruote che sarebbe durato con pochi cambiamenti sino all’epoca del vapore. Dopo il XIII sec. si ebbe una capillare diffusione delle conoscenze e delle tecniche nel campo dell’energia, che fu forse altrettanto o più importante delle novità introdotte nei secoli intorno al Mille. Essa consistette nella progettazione di vari tipi di mulini, nell’applicazione della ruota idraulica e dell’energia eolica in svariate attività, nelle modifiche nella costruzione degli impianti che ne aumentarono l’efficacia e la funzionalità. Un nuovo balzo in avanti si ebbe poi con il 600 e soprattutto dalla fine del 700 in seguito allo sfruttamento di energia minerale come quelle della torba e del carbone. Da questa radicale trasformazione solo l’Inghilterra e l’Olanda furono toccate prima della rivoluzione industriale. COME E’ sempre più evidente che allo slancio economico e non solo economico dell’occidente un contributo importante venne dall’oriente: tante novità si fecero strada in Europa provenendo dai barbari del nord, dal vicino oriente, dall’India, dalla Cina. Nel settore dell’energia, in particolare, quasi tutte le innovazioni vennero dall’oriente: forse il mulino idraulico, certamente quello a vento, i vari modi di bardatura dei cavalli e di attacco ai carri, la polvere da sparo ecc. QUANTO Dopo aver visto quali sono le forze in gioco, analizziamo il loro rilievo quantitativo, considerando l’epoca che precede la rivoluzione industriale (l’Europa verso il 1750). Al primo posto tra le fonti di energia 21 controllabili vi sono i combustibili: domina la legna. Nelle città dell’Europa settentrionale il consumo era superiore rispetto a quelle del sud, dove le temperature erano meno rigide, i consumi erano inferiori. Poi vi è l’energia dell’acqua e del vento che veniva sfruttata tramite mulini. In termini quantitativi, l’apporto dei mulini alla disponibilità energetica globale è modesto. Per quanto concerne il contributo degli animali da lavoro, possiamo dire che essi, come gli uomini, convertivano in energia meccanica gli alimenti introdotti. In tutto popolavano l’Europa 24 milioni di buoi e 14 milioni di cavalli: 42 milioni di animali da lavoro. E poi c’è il lavoro degli uomini. La conclusione è che l’economia preindustriale è un’economia che trae la sua energia soprattutto da un tipo di giacimento: la foresta. La carenza di legname che si avvertiva da più parti nel 600-700 rischiava di soffocare l’economia. Ma venne il carbon fossile. In Cina al primo posto è il lavoro degli uomini. I sussidi energetici svolgono un ruolo più modesto che in Europa. La conclusione provvisoria è che in Europa l’intensità energetica è superiore a quella dell’economia cinese. DOVE Nel 700 esistevano naturalmente differenze tra regione e regione, esiste una differenza fra nord e sud. Le maggiori novità vengono introdotte nel nord: dal cavallo nel lavoro dei campi, al mulino a vento, ai combustibili fossili. Il Mezzogiorno gode forse, per ragioni climatiche e fisiche, di un vantaggio nel settore dell’energia idraulica. NEL TEMPO Le innovazioni medievali per sfruttare le energie dell’acqua e del vento erano un primo passo per ottenere energia meccanica da fonti inanimate. Poi, con l’uso di energia di origine minerale, le calorie pro capite sono aumentate rapidamente. La lenta crescita dell’economia europea nei mille anni prima della rivoluzione industriale derivò più da lenti progressi nelle tecniche di sfruttamento dell’energia che dalla disponibilità di nuove fonti. I PROBLEMI La religione nell’economia Fra gli elementi di natura extraeconomica che influenzano l’orientamento degli individui nel campo della produzione dei beni e della loro distribuzione la religione è senza dubbio uno dei più potenti: forse il più potente. La penetrazione degli ideali religiosi nelle coscienze e la capacità degli stessi di determinare i comportamenti degli uomini in tutta la loro vita sociale è forte, soprattutto nel millennio che comprende la fine del Medioevo e l’industrializzazione. A quell’epoca la religione penetra ogni aspetto della vita dei singoli e della vita associata. Per quanto riguarda l’influenza della religione sulla vita economica si possono distinguere due lati diversi del problema. Il primo è quello del rilievo che la dottrina religiosa ha sulle coscienze e del modo in cui essa agisce nell’orientamento quotidiano nel campo dell’economia; il secondo è quello delle particolari prescrizioni della chiesa e delle autorità religiose su singoli aspetti del comportamento economico.(sull’usura, sulla schiavitù, sulle forme di commercio lecito e illecito). Il pensiero religioso risente, direttamente e indirettamente, di quanto avviene nella realtà materiale, nella sfera dell’economia. E’ preferibile pensare che la religione e l’economia costituiscono due ambiti che si sviluppano secondo modalità autonome pur avendo infinite connessioni e reciproche influenze. Max Weber e Werner Sombart Per quanto riguarda in particolare il tema delle relazioni fra religione ed economia nello sviluppo dell’economia industrializzata occidentale, larga è stata l’influenza di autori come Max Weber e Werner Sombart. In particolare Weber ha offerto numerosi elementi su questa tematica. Weber sottolineò come il particolare svolgimento della storia europea verso il capitalismo fosse strettamente connesso con la dottrina protestante, in particolare nella sua variante calvinista. 22 A giudizio di Sombart l’ebraismo rappresentò una delle radici fondamentali dell’evoluzione economica occidentale. Nei commerci, nel prestito, nell’appalto di imposte, gli ebrei si distinsero sempre. Anche se, come ebbe a notare Weber, essi furono «quasi completamente assenti» in ciò che il capitalismo moderno ha di specificamente nuovo, e cioè nell’organizzazione razionale del lavoro, specialmente di quello produttivo, proprio della “impresa industriale”. Lynn White Un altro lato del problema è quello messo in luce dagli studi di Lynn White. Al centro dei suoi interessi è un’ epoca precedente: i secoli centrali del Medioevo. La tesi di White è che l’orientamento «tecnologico» europeo sia da collegare «in qualche misura verso il soprannaturale». All’animismo si sostituì una religione che separava la divinità dal mondo naturale. Con essa «l’aggressione tecnologica» si sostituiva alla «riverente coesistenza» con la natura animata. ALLE RADICI La ricerca di fonti energetiche nuove, e soprattutto di nuove fonti di energia meccanica, a partire dai secoli centrali del Medioevo è, comunque, un fatto importante. Fra gli elementi in gioco è stato sottolineato il ruolo della particolare religiosità che, nei secoli prima del Mille, dominava in tutta l’Europa. Si tratta, in sostanza, dell’atteggiamento attivo nei confronti del mondo che fu proprio del cristianesimo medievale. Altre religioni, come quelle dell’oriente asiatico, consigliavano la coesistenza con l’ambiente. Al contrario, la religiosità cristiana stimolava la trasformazione dell’ambiente. La sua eredità ebraica insisteva sul ruolo dell’uomo come re del creato e dominatore della vita organica non umana e dell’ambiente in generale. Con il cristianesimo si passava dalla concezione di un mondo animato con cui l’uomo convive a quella di un ambiente inanimato che si può dominare. In particolare è ben nota la continua insistenza, da parte del monachesimo medievale, sulla necessità del lavoro accanto a quella della preghiera (ora et labora, si diceva). E’ forse soltanto un caso che all’avanguardia nella costruzione dei mulini e altri congegni idraulici vi siano nel Medioevo i monaci? I cistercensi, in particolare, il cui ordine si diffuse, dopo il XII sec. in tutta Europa, insistettero sulla necessità del lavoro e sulla sua santità. Nel 1300 esistevano in Europa più di 500 monasteri cistercensi: tutti avevano almeno un mulino e parecchi ne possedevano cinque o più.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved