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STORIA ECONOMICA PRIMA PARTE, Sbobinature di Storia Economica

Prima parte del corso di "Storia Economica" dell'anno accademico 23/24

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

Caricato il 21/02/2024

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Scarica STORIA ECONOMICA PRIMA PARTE e più Sbobinature in PDF di Storia Economica solo su Docsity! STORIA ECONOMICA E’ una disciplina a metà strada tra la storia e l’economia, è una disciplina pluridisciplinare. La definizione di pluridisciplinarità è connaturata alla disciplina, perché è una materia che la si può fare solo se si hanno sia delle competenze di storia (quindi capire il passato e studiare il passato con una metodologia adeguata) ma anche delle nozioni e capacità di capire le dinamiche economiche (teoria, lessico). Bisogna capire le casualità economiche della trasformazione storica, la relazione tra storia ed economia non è banale. Andare a ricercare le cause economiche delle trasformazioni del passato comporta ad alcuni rischi e ad alcune problematiche. Che cos’è la storia economica? E’ la storia dei fatti e delle vicende economiche a livello individuale o aziendale o collettivo. Con essa si deve intendere non solo la narrazione dei fatti economici, ma anche la storia di uomini e di istituzioni oltre che delle strette e spesso inestricabili relazioni tra istituzioni e vicende economiche e tra queste ultime e le vicende sociali, politiche e culturali (C. Cipolla) Una persona non deve solo narrare lo sviluppo ma anche capirne le cause e le conseguenze. La ricerca deve rispondere ad una problematica di tipo economico. La storia economica e l’economia sono distinte. Capire le teorie economiche ma non esserne schiavi. Per essere giustificatamente considerata opera di storia economica, una ricerca deve rispondere ad una problematica di tipo economico cioè, in prima approssimazione, a una problematica che trovi riscontro nei tre quesiti fondamentali dell’Economia 1) cosa produce; 2) come produce; 3) come distribuire quanto prodotto Deve far uso degli strumenti concettuali, delle categorie analitiche e del tipo di logica forgiati dalla teoria economica. Tuttavia la Storia economica e l’Economia sono e restano due discipline nettamente distinte Distinzione tra approcci nella storia economica: • «micro» (imprese e imprenditori) • «meso» (settori industriali…) • «macro» (stati, regioni…) L’approccio alla storia economica cambia perché la storia stessa cambia. La storia non è soltanto un ramo del sapere, è una «forma intellettuale per comprendere il mondo» (Huizinga). Lo studio della storia offre l’unico strumento con il quale si può comprendere il presente… E dal presente spesso partono le domande che si rivolgono alla storia . Negli scorsi decenni, ha prevalso una ricostruzione storico- economica con al suo centro categorie concettuali come (ad esempio): • La modernizzazione • L’industrializzazione • Lo sviluppo economico • La globalizzazione • L’economia di mercato o le sue alternative IL CAPITALISMO Capitalismo è un termine complesso da utilizzare, ha un termine che non ha radici nè di destra nè di sinistra. Tra i primi ad usare il termine "capitale" c’è: • Adam Smith, tutto nasce e finisce nel capitale secondo lui. Accumulare capitale può essere molto utile, capitale come fattore imprescindibile nel circuito economico. Accumulare ricchezze non è un bene se non è un capitale, il capitale è qualcosa che si può investire e sviluppare. • Secondo Karl Marx il capitale non è lo sviluppo economico ma è il risultato dello sfruttamento dei capitalisti sui lavoratori. Non ha mai usato il termine “capitalismo”. • Max Weber, padre della sociologia moderna, alla fine del 19esimo secolo si interroga sul concetto di capitale e capitalismo. Il capitale non è solo un fattore economico, ma le società che diventano capitaliste -attraverso il capitalismo- sono società sempre più razionali. Una società quando diventa capitalista aumenta la razionalità delle sue strutture sociali, per lui è una società più avanzata. Finalità modernizzatrice del capitalismo. • Joseph Schumpeter, economista austriaco, ha creato la moderna teoria dell’imprenditorialità. Schumpeter sostiene che il capitalismo è bello fintanto che consente a persone con grandi idee ma senza soldi di proporre innovazioni decisive per la nostra società, il capitalismo serve ad unire capitali ed idee brillanti. • Karl Polanyi, antropologo economico degli anni ‘40, sostiene che il capitalismo e il libero mercato non sono la stessa cosa. Il mercato è un costrutto sociale, un’invenzione politica. Il libero scambio è una delle possibili forme che può assumere il mercato. Cerchiamo di usare il termine “capitalismo” per mostrare che tutti gli approcci corrispondono ad una modalità economica che corrisponde al capitalismo. Alla fine della Prima Guerra Mondiale si potevano contare circa un centinaio di definizioni del termine, che oggi utilizziamo per cercare di capire quali siano le continuità e le differenze che hanno caratterizzato gli ultimi tre secoli della nostra Storia. Esiste un’altra definizione di capitalismo, coniata dall’economista tedesco Jurgen Kocka, autore di “Capitalismo, Una breve storia” (2015). Egli dà una definizione più operativa e più generale del capitalismo, una definizione che serve per tutti i periodi storici e per capire cosa cambia e cosa resta nel corso • Scambi locali e a corto raggio prevalenti (scambio di prossimità, 9% del PIL). Le merci che consumano i cittadini provengono da luoghi limitrofi. • Ruolo amministrativo delle città e delle sue istituzioni che regolano l’attività economica. Il sistema economico della città, dunque, è un sistema molto rigido. Tuttavia, accanto a questi due modelli economici, troviamo, a partire dal XIV secolo, un altro piccolo pezzo di economia caratterizzato da quello che E. Wallerstein chiama un “sistema mondo”, cioè un'economia integrata che univa e connetteva le principali coste di tutto il mondo. Si trattava di un mercato che interessa soprattutto i beni di lusso trasportabili in piccole quantità e di valore molto alto (oro, argento, seta…). Tra questi beni, erano compresi anche gli schiavi. Questa prima globalizzazione si basava sullo scambio di prodotti o di lusso o tropicali, come lo zucchero e il caffè, la cui economia si basava sul commercio di schiavi, la cui manodopera faceva funzionare queste piantagioni. E’ in questo tipo di economia preindustriale che noi possiamo scorgere il nascente capitalismo: chi commercia, infatti, non lo fa nella logica di sussistenza o per sfamare se stesso, ma per accrescere sempre di più il proprio capitale che reinveste in questo tipo di attività lucrative e profittevoli. Secondo Wallerstein, questo sistema non può funzionare se noi non capiamo che esso non è organizzato come la globalizzazione odierna. Si tratta, infatti, di sistemi di scambi che avvengono in un contesto in cui esistono imperi politici globali, in concorrenza tra loro per espandere il loro dominio politico, militare ed economico. Non possiamo definire questo sistema come una vera e propria globalizzazione, perché non coinvolge tutte le parti del mondo. Inoltre, gli attori economici che sfruttano il sistema mondo, devono la loro fortuna a dei privilegi politici che vengono loro conferiti. Dov’è nato, dunque, il capitalismo? Nelle campagne, nei mercati cittadini o nel sistema mondo? Questa domanda se l’era posta, alla fine degli anni Sessanta, lo storico F. Braudel. Egli afferma che il capitalismo sia nato nel terzo dei livelli di economia da lui scorti: 1. Vita materiale di autosussistenza 2. Mercato cittadino 3. Contromercato Secondo Braudel, è il contromercato, ossia il sistema mondo, il luogo in cui stava nascendo il vero capitalismo. Erano gli uomini economicamente potenti, ossia i banchieri, i finanzieri, i commercianti che promuovevano la diffusione di questo tipo di capitalismo, dato che potevano acquistare e rivendere beni di lusso. Tuttavia, se il capitalismo non è nato nel mercato cittadino medievale, ma è nato nel sistema mondo, com’è possibile che poi si sia diffuso ai piani bassi? Già dalla fine del XVIII secolo, infatti, esso si era esteso al di fuori delle corti e delle élite economiche europee. Una possibile risposta è che la diffusione capillare del capitalismo sia il risultato di un processo storico di industrializzazione, non lineare e diversificato da Paese a Paese che ha a che fare con la Rivoluzione Industriale. LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Il concetto di Rivoluzione Industriale è un concetto molto controverso secondo alcuni storici, tuttavia possiamo utilizzarlo per spiegare come l’economia mondiale, ad un certo punto, subisca un radicale cambiamento e la società si trasformi in una società molto più vicina a quella odierna. Il Paese che per primo ha dato avvio al processo di industrializzazione è stato l’Inghilterra, proprio il luogo che quando si industrializza già dominava il sistema mondo. Quando l’Inghilterra avvia il suo processo di industrializzazione, essa era la principale potenza commerciale e militare al mondo. Durante questo periodo si inizia a produrre industrialmente tutto ciò che prima si produceva artigianalmente. Rivoluzione Industriale è un termine coniato dallo storico inglese A. Toynbee. Secondo lui, si tratta di una frattura, caratterizzata da: • Rapida urbanizzazione • Accumulazione di capitale • Crescita della produttività agricola • Crescita dei redditi e della ricchezza Sicuramente, la Rivoluzione Industriale ha cambiato il volto dell’Inghilterra, ma non nei termini descritti da Toynbee. Infatti: • La crescita non fu rapida, ma graduale, durata dal 1740 al 1830 circa. • Nella stessa Inghilterra, si riscontrano persistenze di forti squilibri regionali e settoriali. Esistono delle grandi città, come Liverpool o Manchester, ma fuori da questi centri, i ritmi di vita erano differenti. Il vapore, ad esempio, non fu diffuso subito ovunque, né le strutture sociali pre-industriali spazzate via immediatamente. • Non si può pensare alla rivoluzione come un fenomeno endogeno, ossia nato direttamente in Inghilterra: il ruolo del commercio estero e delle dinamiche commerciali e coloniali erano fondamentali. Senza queste dinamiche, la rivoluzione non sarebbe potuta avvenire, come sosteneva lo stesso Adam Smith. • Non è del tutto vero che tutti gli inglesi divennero ricchi, come raccontava Toynbee. Ci fu una pauperizzazione e la nascita del proletariato urbano, ossia di tutti coloro che per potersi mantenere dovevano lavorare e mandare i loro figli a lavorare, che non diffuse né ricchezza, né determinò un aumento del reddito. Di fronte a questa discrepanza, molti autori credono che utilizzare il termine Rivoluzione Industriale sia scorretto, poiché trasmette una visione fuorviante di come sia avvenuto il cambiamento economico. Si tratta, dunque, davvero di una rivoluzione? Consideriamo due citazioni: 1. D. Landes “L’industria ha trasformato qualcosa che prima era immutabile, ha introdotto dei nuovi modi di produzione ed una società di tipo diverso.” 2. E. Hobsbawm “Il mondo non si è mai trasformato tanto quanto a partire del XVIII secolo.” Che cosa cambiò effettivamente durante il processo di industrializzazione? La Gran Bretagna ha guidato un processo di industrializzazione, che ha determinato la nascita dell’industria moderna e, con essa, ha portato anche ad un cambiamento della società: • Cambiamenti economico/industriali: A. Nascita della crescita economica: Il PIL comincia a crescere gradualmente e ininterrottamente. Questo non accadeva nell’economia preindustriale. [vedi grafico] Dietro a questo fenomeno si cela un aspetto interessante: il PIL è misurato su base nazionale nonostante inizialmente fossero solo due o tre le città a crescere. La loro crescita, dunque, bastava a portare avanti la crescita di tutto il Paese. L’Inghilterra, inoltre, crebbe applicando per prima nuove tecnologie, come la macchina a vapore e migliorandole progressivamente (da qui la gradualità della crescita, anche a livello sociale). B. Il cambiamento tecnologico: Nuove invenzioni, nuovi prodotti e nuove fonti di energia a basso costo, con ulteriori invenzioni a cascata (cluster economico): • Macchina a vapore (Watt a perfezionamento di Newcomen). Rivoluziona la maniera in cui l’uomo sfrutta le risorse naturali. Prima di questa invenzione, se si voleva faticare di meno, si dovevano utilizzare altre fonti di energia come l’acqua o il vento ed era necessario trovarsi vicino a queste fonti di energia se, ad esempio, si volevano costruire delle centrali ad acqua. Il motore a vapore, invece, consente di costruire una fabbrica teoricamente ovunque. • Macchina per filare e tessere il cotone. Rivoluziona la maniera in cui gli inglesi si vestono: prima si utilizzavano la lana o il lino, materiali molto costosi e difficili da lavare per bene. Il cotone è la merce che ha trasformato il sistema mondo in un sistema di commercio globale, dato che veniva venduto a tutti e a poco prezzo. • Nascita della siderurgia moderna e le varie migliorie per la produzione dell’acciaio, utile a costruire delle macchine sempre più grandi ed efficienti. • Espansione dell’industria meccanica , grazie a ferro, acciaio, carbone, vapore Questioni inerenti alla transizione energetica: per la produzione e scaldarsi. Da un lato la transizione energetica è particolarmente importante perché non solo sostituisce la fonte energetica, ma è stata l'inizio di un cambiamento più vasto. Le opportunità derivanti dalla nuova fonte energetica, ovvero il carbone, hanno creato nuove invenzioni tecnologiche che a cascata hanno creato nuovi modi di produzione ed hanno consentito alla fabbriche moderne di nascere. Il secondo aspetto da tenere in mente è quello della progressività e della lentezza della transizione energetica, si è protratta per circa 150 anni. Aspetto importante batteva il ferro, lo tagliava, lo raffreddava e lo lavorava. Nella fabbrica moderna, la produzione dello spillo non è più affidata ad un unico uomo e alle sue singole capacità individuali, ma tutto il lavoro è sezionato in una serie di sotto operazioni in cui un operaio interviene e compie una frazione delle operazioni richieste per produrre uno spillo. In questo modo, se un maestro artigiano produceva dieci spilli, con questo sistema un gruppo di dieci operai produrrà 10 x 100 spilli e questa differenza tra un’operazione e più sotto-operazioni, consente di avere un incremento dieci volte maggiore della produzione. La possibilità di sfruttare al meglio la manodopera riposa sul fatto che tutte le macchine all’interno del sistema di fabbrica non sono più autonome e il loro rapporto con la mano d’opera non è quello di essere dipendenti da un operaio. Il passaggio da una semplice meccanizzazione a metterle tutte sotto lo stesso tetto ed attaccare tutte alla stessa fonte energetica è un'operazione che modifica i prodotti e contribuisce nel trasformare i rapporti tra le persone all’interno della fabbrica. Nasce il sistema produttivo di fabbrica, si ha la creazione di un nuovo tipo di società e città che è abitato non dalle persone che già abitavano le città ma che sono abitate da quelle che sono chiamate il “proletariato urbano”. Il sistema che comincia a funzionare con la fabbrica può funzionare solo perché in maniera concomitante alla creazione delle fabbriche, si ha una trasformazione importante del territorio e delle città. Sempre più persone si stabiliscono accanto alle fabbriche e alle città. Dalla campagna alla città perché in città si può andare a lavorare verso la fabbrica. Trasferirsi dalla campagna alla città significa mettere fine al mondo in cui il contadino viveva precedentemente, il mondo della sussistenza: dalla sussistenza dipendeva la sopravvivenza della famiglia, ma ora la famiglia che va in città lavora tutta nella fabbrica (anche i bambini, senza protezione). Basare la propria sussistenza sul guadagno che proveniva dalla fabbrica, trasforma la società inglese in una società all’interno della quale si sviluppa una nuova categoria sociologica: il proletariato e il lavoro salariato. Ovvero categorie che dipendono totalmente dal salario da soddisfare delle proprie esigenze. Tutti devono improvvisamente comprare sul mercato ciò di cui hanno bisogno; la sussistenza viene man mano abbandonata; il processo di urbanizzazione spinto dalla rivoluzione industriale non solo genera il sistema di fabbrica, ma genera una società nuova ovvero quella industriale dove non si ha sussistenza e autoconsumo ma si hanno dei salari, un mercato, dei rapporti che sono legati all’utilizzo quotidiano e costante del mercato. Il vecchio mondo pre-industriale viene progressivamente spazzato via da questo nuovo sistema. Il lavoro all’inizio della rivoluzione industriale era povero e poco pagato e anche per questo lavoravano i bambini in una famiglia (romanzo di Dickens - immagine). Questa rivoluzione sociale fa sì che l’Inghilterra abbia prodotto una radicale trasformazione in quella che è la distribuzione della popolazione per diversi settori produttivi (settore primario: lavora agricoltura e miniere, settore secondario: lavora nell’industria, settore terziario: lavora nei servizi e commercio). All’inizio del XVIII secolo la popolazione viveva quasi interamente del settore agricolo, ma anni dopo il settore terziario è aumentato e i dati mostrano che non cresce tanto quello dell’industria (settore secondario): la società industrializzata non era creata solo da operai ma il fatto che ci siano molti operai faceva sì che la società diventasse complessa e per funzionare la società avesse bisogno di nuove figure. La popolazione dell’Inghilterra del 1700 non è la stessa del 1870, tra quegli anni di Rivoluzione Industriale la società inglese ha conosciuto una trasformazione demografica incredibile. La società inglese ha conosciuto la "transizione demografica”, ovvero la popolazione inglese è passata da un regime demografico pre industriale, di antico regime, ad un regime demografico moderno, contemporaneo. Il regime demografico pre-industriale, di ancien règime era caratterizzato da un’alta natalità ed alta mortalità (malattie e incidenti). Il regime demografico contemporaneo, è caratterizzato da un aumento della demografia pari a 0 quindi da poche nascite ed è raro che muoia un bambino. Tra i due regimi le innovazioni produttive, alimentari, abitative, di igiene che hanno caratterizzato per un lungo periodo la rivoluzione industriale hanno creato una transizione tra i due regimi caratterizzata da una caduta progressiva della mortalità che anticipa la caduta della natalità, cioè per un certo periodo hanno continuato a fare bambini come se morissero tutti ma in realtà non morivano tutti. Ciò ha fatto sì che durante la transizione tra i due regimi ci fosse un aumento straordinario demografico (tanta natalità e poca mortalità). La popolazione inglese aumenta vertiginosamente tra 1700 e la seconda metà dell’800 passando da 6 milioni a 21 milioni. Il processo dell’evoluzione industriale è caratterizzato da cambiamenti tecnologici, demografici, produttivi, sociali. L’industrializzazione contribuisce a generare dei cambiamenti culturali e politici in Inghilterra. Questa società fatta di macchine, metalli, fonti di calore a basso costo e alto rendimento fa sì che si sviluppi un sapere pratico legato alla scienza. In Inghilterra nasce la figura dell'ingegnere moderno. Le possibilità aperte dalla meccanizzazione e tecnologie, fa sì che si sviluppi un vero e proprio gusto e passione per l’innovazione. C’è l’estensione ai campi civili del sapere dell’ingegneria e i saperi scientifici teorici (matematica e fisica) smettono di essere astratti e delle discipline accademiche, e vengono utilizzati dagli ingegneri per migliorare le macchine. Non esiste un’università di ingegneria, gli ingegneri si formavano dal basso cercando di applicare i saperi astratti a qualcosa di pratico. Considerare una disciplina non interessante di per sé ma utile per fare qualcosa. Un’altra trasformazione enorme è la creazione di una società basata sul mercato (da una contadina) con lo scambio di denaro e con prodotti molto popolari e dove c’è vasta scelta. Inoltre, molte persone sono ammassate in città, nelle slums, e non esistono servizi welfare, asili o ospedali. Sono caratterizzate da tanti popoli, mendicanti, persone che arrivano dalla campagna e non hanno lavoro. Si arriva progressivamente ad elaborare questioni sociali per cui il mendicante, del periodo di transizione, è considerato qualcuno di indesiderato e colpevole. Dal punto di vista politico, l’industria è considerata come soluzione e l’idee di diverse leggi crea un sistema per cui tutti i poveri sono obbligati a lavorare in fabbrica, altrimenti vengono rinchiusi nelle workhouses e poi obbligati a lavorare (un esempio lo troviamo in Dickens). È un cambiamento strutturale importante. Il povero deve essere eliminato come elemento della società, quindi deve lavorare secondo i politici inglesi. In aggiunta, l’Inghilterra della rivoluzione industriale è un paese che diventa progressivamente la principale potenza militare al mondo. La possibilità di produrre acciaio, ferro di qualità sempre migliore e standardizzata, fa sì che i militari inglese diventino una potenza globale. In Francia, invece, troviamo la Rivoluzione francese, e Napoleone ha l’idea di estendere le idee della Rivoluzione con la forza e le guerre nei vari paesi d’Europa. L’Inghilterra si sente minacciata e dichiara guerra a Napoleone, il più grande generale della storia e colui che ha creato le strategie più performanti dal punto di vista della fanteria e schieramento militare in battaglia. L’esercito di Napoleone era caratterizzato da un esercito rivoluzionario, da una leva obbligatoria generalizzata. Viene sconfitto dalle armi tecnologicamente più avanzate dell’Inghilterra che non aveva un generale così brillante o un esercito così vasto, ma una flotta armato meglio e una fanteria armata modernamente. I francesi si rendono conto di essere indietro rispetto all’Inghilterra e nell’800 appare in loro un senso di inferiorità. Quindi ci sono tante contraddizioni nella rivoluzione industriale: povertà come colpa, slums, miglioramenti di vita progressivamente, pauperizzazione; ma l’industria migliora la situazione e consente la transizione demografica, la creazione di un’economia basata sul mercato e consente all’Inghilterra di non essere più semplicemente una tra le potenze commerciali rivali del mondo, ma anche potenza militare con gli eserciti più forti. Ultima trasformazione culturale e politica generata dalla Rivoluzione industriale è il cambiamento strutturale dal punto di vista della conoscenza dell’economia. La disciplina dell’economia politica nasce dalle domande degli economisti che si chiedono perché alcuni paesi sono ricchi e altri poveri, perché in alcuni c’è l’agricoltura e in altri la campagna. Gli economisti classici non si ponevano queste domande, erano impegnati in altro. Adam Smith, che era stato in Francia negli anni ‘50 del 700, quando torna in Inghilterra si rende conto quanto fosse diversa anche dal punto di vista del sistema produttivo. Si chiede perché l’Inghilterra sta diventando un paese ricco, tecnologicamente avanzato e la Francia no. hanno allontanato i contadini dalle proprie terre prima che questi andassero nelle città. Perché i contadini avrebbero dovuto accettare? 2. Secondo Jan de Vries esiste una rivoluzione industriosa nella popolazione inglese che fa sì che gli inglesi avessero delle aspirazioni a consumare delle merci, che anche nelle campagna ci fosse un appeal dei prodotti tropicali e spezie, che induceva i contadini ad industriarsi a trovare dei soldi per acquistare queste merci. Cascarono nelle dinamiche di mercato. Tra le dinamiche a cui possiamo addurre come di lunga durata abbiamo fattori agricoli, istituzionali e il fatto che a partire dal concetto di rivoluzione industriosa una componente è legata al fattore commerciale. Prima di diventare la Nazione più industrializzata al mondo, era già un paese che dominava i mari, dominava i commerci, era già un grande hub commerciale del sistema mondo pre-industriale. L'economia inglese da un lato ha dovuto creare un sistema statale-militare-politico di difesa e attacco estremamente performante. Aspetto fondamentale per la creazione di uno stato forte. L’imperialismo inglese è diverso da quello degli altri paesi. Le colonie dell’Inghilterra diventano presto colonie di popolamento. Secondo Adam Smith che nell'America si trasferissero masse crescenti di popolazione ha creato un rapporto tra economia imperiale e coloniale. Le colonie sono uno sbocco per la nascente industria. I mercati esteri erano decisivi nella fase dell'industrializzazione, il ruolo della posizione dell’economia internazionale dell’Inghilterra è dato dalla bilancia commerciale (differenza tra l’importazione e l'esportazione). Nel 1663 la bilancia commerciale inglese era passiva, importava di più di quello che esportava. L’Inghilterra controlla l’economia globale, soppianta gli altri paesi. Tuttavia, l’imperialismo inglese/il sistema coloniale inglese è profondamente diverso dalla colonizzazione che la Spagna e il Portogallo hanno portato avanti in diverse zone del mondo. Questo perché l’economia inglese, competitor della Spagna, Portogallo e Olanda, ha dovuto creare un sistema statale, militare, politico di difesa e di attacco estremamente performante. Ha deciso di destinare tantissime risorse al controllo dei mari. Inoltre, l’imperialismo inglese è diverso da quello spagnolo e portoghese, per sua sfortuna che si trasforma in fortuna. Gli spagnoli e portoghesi sono stati fortunati perché arrivati nelle Americhe hanno trovato delle popolazioni e risorse naturali ricche di metalli preziosi (oro, argento, pietre), facendo sì che l’Impero coloniale spagnolo e portoghese fosse, nel corso dei secoli, vincente e che si fosse basato e costruito sui metalli preziosi che si trasformava in una consumazione di lusso perpetuando l’economia di antico regime dove il consumo era destinato solo alle fasce più alte. L’Inghilterra ha organizzato la propria economia diversamente, immaginando un sistema commerciale che utilizzava le colonie come colonie di popolamento e come colonie dove produrre prodotti che in Inghilterra non erano producibili per questioni naturali, ambientali, ecc. Uno dei principali studiosi della rivoluzione industriale, David Landes, dice che l’Inghilterra ha sviluppato un sistema capitalistico di nuovo tipo, molto meno parassitario e molto meno focalizzato sui viaggi dei nobili ma più orientato su un sistema normale perché è stato sfortunato. Ma il fatto che le mancasse l’oro e l’argento si è trasformato in un vantaggio perché ha spinto gli imprenditori a cercare di vendere agli spagnoli e portoghesi che erano ricchissimi dei prodotti inglesi per trasferire le loro ricchezze all’Inghilterra. Non si resero conto che gli inglesi gli stavano togliendo la terra sotto i piedi ed è per questo che alla fine l’Inghilterra ha avuto le risorse per industrializzarsi e la Spagna e il Portogallo no. Altro problema, evidenziato da Adam Smith, è che le colonie per l’Inghilterra diventano delle colonie di popolamento. Dall’Inghilterra verso le colonie del Nord America si trasferiscono masse crescenti della popolazione perché c’è tantissima terra, cercano condizioni migliori, la fortuna. Secondo Smith, il fatto che si trasferissero verso quelle terre, ha creato un doppio legame tra l’economia dell’Inghilterra e l’economia imperiale: l’economia delle colonie diventa un tassello importante dell’approvvigionamento delle materie prime. Le colonie lavorano prodotti che possono essere venduti in madrepatria come cotone, tabacco, zucchero; nelle colonie non c’è quasi nulla per cui diventano uno sbocco importantissimo per la nascente industria. Il ferro di cui c’è bisogno per la costruzione di macchinari che servono per la produzione, smercio e lavorazione delle materie prime provengono dall’Inghilterra. Diventano il fornitore, il mercato di sbocco per la nascente industria inglese. Numericamente, il ruolo della posizione dell’economia internazionale dell’Inghilterra è riassunto nella tabella che dimostra il “salto della bilancia commerciale”. La bilancia commerciale di un paese è la differenza tra import ed export. È la differenza tra quello che un paese importa importa e quello che esporta. Può essere attiva o passiva, cioè ci può essere un paese che importa di più di quello che esporta (passiva) o che importa di meno di quello che esporta (attiva). Notiamo, dall’ultimo dato che nel 1663 la bilancia commerciale inglese era una bilancia passiva. A mano a mano che l’Inghilterra manda sempre più gente oltreoceano, diventa una potenza coloniale, regina de mari, fortifica la sua flotta, fa leggi sul monopolio dei porti inglese per e navi inglesi (paese vagamente protezionista) e quindi approfondisce il controllo sui mari, la bilancia commerciale da una situazione in passivo, diviene poco attiva e poi decisamente attiva (da -0,3 a 0,6 a 3,7 milioni di sterline). Guardando gli altri dati, quando era quasi passiva era una situazione poco approfondita, poco commercio in entrata e poco in uscita; a mano a mano che si procede nel 600 e 700 vediamo che le importazioni aumentano a dismisura divenendo il centro commerciale del mondo verso cui tutte le commodities arrivano ma l’Inghilterra è anche il paese che riesce ad esportare più di tutti anche verso la Spagna, Portogallo e altri paesi. È la fabbrica del mondo; importano il prodotto, lo lavorano e lo riesportano a prezzi bassi. I trasporti sono importanti perché l'economia è insulare e per l’approvvigionamento delle merci che vengono dal resto del mondo. L’economia agricola, commerciale, le trasformazioni precedenti all'industria fanno sì che quando l'Inghilterra si avvia al processo di industrializzazione, sia uno dei paesi con un sistema di infrastrutture dei trasporti più efficienti (trasporto di terra). Ci sono strade, canali con facilità nel trasporto merci da un porto all’altro. Consente di avere una situazione in Inghilterra per la quale quando c'è il processo di industrializzazione, urbanizzazione e trasformazione in senso di mercato capitalistico della società, in Inghilterra è facile muovere le merci. Invece, in Francia è difficile raggiungere certe parti e, come anche in Italia, tra comuni e province si pagano dazi interni. C’era la libertà commerciale interna, perché Inghilterra era orientata al capitalismo commerciale. Quando arrivano le materie prime difficili da trasportare, l’Inghilterra era dotata di infrastrutture che potevano concepire questo trasporto. Era un Paese che ha avuto la sfortuna di non trovare oro e argento ma che si è trasformata in fortuna perché ha sviluppato capacità commerciali, non avendo oro. Aveva però una grande concentrazione di carbone, incentivo fondamentale (fonte energetica a basso costo) della rivoluzione industriale (coal economy) e che facilmente sostituiva le altre risorse. C’erano le cave di carbone e il carbone ha strutturato un processo di trasformazione ecologico ed industriale. Quando il carbone di superficie finisce, si scavano miniere sempre più profonde che hanno bisogno di pompe a vapore per togliere l’acqua e cavalletti di calce per tirare su carbone. Quindi, questa risorsa ha ristrutturato la mentalità inglese. Ci sono state una serie di innovazioni tecnologiche perché il carbone lo richiede in quanto fattore naturale ma anche fattore industriale come base per le innovazioni. Esso è un sostituto del legno, ad esempio. Il carbone come paradigma tecnologico. Ci si fa il cotone, consente di avere zuccherifici, birrifici, mattonaie efficienti. Interpretazioni: - Robert Allen: il carbone è stato importante non solo perché l’Inghilterra era ricca, ma l’Inghilterra diventa una grande economia perché il carbone nel contesto inglese è stato percepito dagli imprenditori inglesi come un fattore decisivo per portare avanti delle strategie di labour saving. Secondo lui il carbone lo utilizza solo chi vuole risparmiare dice che se un paese dispone di manodopera schiavistica a basso costo, con salari bassi, non serve a niente meccanizzare la produzione, non ci sono incentivi a pagare tanti soldi una macchina se puoi utilizzare una manodopera che paghi poco. Puoi cominciare a pensare di utilizzare una macchina se penso di poter risparmiare attraverso questo investimento. Robert Allen ha misurato gli effetti del arretratezza economica relativa è un effetto importante per capire le dinamiche che hanno portato i paesi arretrati ad industrializzarsi. Egli dice che i second-movers/late comers (quelli che vengono dopo l’Inghilterra), muovendosi da un grado di arretratezza economica relativa rispetto a quella Inglese, per industrializzarsi hanno dovuto trovare dei percorsi diversi ed alternativi, non hanno semplicemente copiato l’Inghilterra. Secondo Gerschenkron, sotto due punti di vista: 1. Più un paese è arretrato più deve velocizzare l’industrializzazione. Ci sono dei fattori quantitativi evidenti nei paesi che hanno dei gradi di arretratezza economica relativa rispetto all’Inghilterra, che fanno sì che il processo di industrializzazione sia veloce, non lento o progressivo come l’Inghilterra, a ritmo sostenuto. Lo sviluppo economico ha dei fattori quantitativi specifici dati da gradi di velocità maggiori rispetto a quelli dell’Inghilterra. 2. Fattori qualitativi. Per far sì che si avvii un’industrializzazione veloce, dice che chi si è industrializzato dopo, ha usato dei fattori che hanno sostituito le istituzioni inglesi. Non dovevano aspettare che si sviluppasse una rivoluzione agraria o un’epoca in cui il commercio dominava con un impero ma 3. Altri fattori sostitutivi (a quelli dell’Inghilterra) rompono il vincolo dell’arretratezza. Si industrializzano senza assomigliare istituzionalmente l’Inghilterra ma con dinamiche diverse. -> Per lui non bisogna accumulare fattori istituzionali ma con i fattori sostitutivi si rompe il filtro dell’arretratezza: quest’opera di sostituzione di fattori inglesi, secondo lui funzionano attraverso la messa in opera di fattori sostitutivi. Questi fattori sostitutivi sono: - la finanza, ovvero banche specifiche chiamate “banche miste”: banche che non fanno più come le banche inglesi ma sono delle banche che riescono a mettere insieme tutta una seria di operazioni per fare del prestito industriale. - lo Stato: in Inghilterra si parla di potenza coloniale ma non di intervento di stato. Fuori dall’Inghilterra ha un ruolo importante. - il concetto di ideologia: secondo lui ci sono state delle ideologie in altri paesi, soprattutto Francia e Germania, che hanno aiutato la classe dirigente ad immaginare l’industria come sinonimo di progresso. Questi tre fattori sostitutivi assumono delle connotazioni diverse tra Stato e Stato. L’industrializzazione non è una fotocopia del caso inglese che si distribuisce da paese in paese. Com’è possibile far funzionare i fattori sostitutivi? Perché sono così importanti? Per spiegarlo dobbiamo tornare indietro al problema quantitativo dello sviluppo accelerato. Qui, secondo Gerschenkron, gioca un ruolo fondamentale la tecnologia. La tecnologia della rivoluzione industriale inglese si sviluppa lentamente e quando i paesi arretrati iniziano a svilupparsi hanno già a disposizione delle tecnologie evolute. L’Inghilterra ha avuto il vantaggio di essere primo. Secondo Gerschenkron, il processo di industrializzazione tardivo dei late comers arriva in un contesto di diffusione delle tecnologie. Tuttavia, come si possono ottenere queste tecnologie? Una volta conosciute, la loro applicazione è scontata? No. Una persona può utilizzare le ultime tecnologie se ha i soldi con cui comprarle, se dove le importa c’è qualcuno che le sa utilizzare. Quindi, costa utilizzare le nuove tecnologie e per avviare un processo di industrializzazione serve la manodopera industriale: c’è bisogno di operai che sappiano utilizzare la tecnologia (spesso è difficile perché si tratta di paesi agricoli). A cosa servono, allora, i fattori sostitutivi? I fattori sostitutivi servono ad ovviare i problemi e l’utilizzo delle tecnologie avanzate. - finanziamento industriale e la banca (primo fattore sostitutivo): l’industrializzazione inglese è stata possibile senza l’intervento della banca. Era una potenza finanziaria comunque. Le banche inglesi facevano altro, non facevano industria ma si occupavano di commercio. Invece, in un paese arretrato, che ha bisogno di svilupparsi velocemente, il problema del finanziamento industriale è diverso. Sono poche le persone o famiglie con a disposizione un capitale da avviare delle industrie, hanno quindi bisogno di chiedere in prestito soldi alle banche. Le banche di vecchio tipo che si occupavano di operazioni di breve termine (banchiere che presta soldi al mercato a breve termine - 5/6 mesi), sono quelle prima delle banche miste. La banca mista è una banca che chiamiamo “mista” perché nelle sue operazioni mescola le operazioni a breve termine (prestiti commerciali) con quelle a lungo termine (finanziamento industriale, prestiti a scadenza decennale, ad esempio). Può fare questo se riesce ad avere un equilibrio tra l'attività di conto corrente: persone che depositano e che restano sufficientemente a lungo da poter utilizzare la liquidità a lungo termine. Nascono nuove banche in paesi come Germania e Francia (a Parigi ci sarà una crisi finanziaria in una banca - la Crédit mobilier da’ l’esempio in Francia e anche in Italia presero esempio nascendo quella che oggi si chiama Intesa San Paolo, ad esempio). Le banche diventano le cinghie di trasmissione tra la società e l’industria. Un privato non avrebbe mai investito nell’industria. Le banche convogliano un senso di ricchezza tra società civile ed industria. - il ruolo dello Stato (secondo fattore sostitutivo): in Inghilterra il ruolo dello stato è, come lo definisce Adam Smith, è pressoché nullo. Il ruolo dello stato in Inghilterra per lui è pressoché minimo. Lo stato ha avuto un ruolo nella rivoluzione industriale inglese. Lo stato è l’attore diretto del processo di industrializzazione; può fare delle riforme agrarie, adottare delle politiche nei confronti della propria economia che favoriscono la creazione della manodopera (es: la Russia abolisce la servitù della gleba). Lo stato può agire sul mercato in due maniere: diventando lui un consumatore dei beni industriali oppure attraverso l’unificazione dei mercati. Ad esempio, in Italia c’erano diverse province (anche in Germania degli staterelli o in Francia una forte divisione regionale con contee) in ognuna delle quali un dazio da pagare prima di arrivarci. Poi, vengono messe in atto delle dinamiche per creare un mercato nazionale che si pensa possa favorire l’industria: in Francia con l’abolizione delle tasse inferiori all’epoca di Napoleone e della Restaurazione, in Germania prima dell’unificazione tedesca e poi con una legge doganale (Unione Doganale) che prevedeva che tra stati tedeschi ci fosse la libertà di commercio e la stessa moneta. Gerschenkron dice anche che Napoleone perde le guerre napoleoniche e osservando l’arretratezza industriale francese, Napoleone afferma che la Francia perde la guerra per la qualità d’acciaio scarsissima rispetto a quella inglese. Osserva l’industria propria e afferma come ci sia una siderurgia basata sul legno e non sul carbone, mettendo poi in campo un intervento diretto dello Stato attraverso una legge del “Codice Minerario” che prevede che lo stato sia un attore centrale nell’utilizzazione delle risorse del sottosuolo francese. Lo stato diventa proprietario di tutte le risorse dandole solo a chi le sfrutta al meglio. Lo stato deve controllare, affinché ci sia un sistema siderurgico forte (industria strategica). (Ruolo dello stato: nell’istruzione e nella formazione di competenze tecniche specifiche. Non c’era una classe imprenditoriale prima che lo stato decidesse di creare, la tecnologia è talmente evoluta che bisogna formare qualcuno per usarla.) Inoltre, si parla di educazione (non ne parla Gerschenkron). In Inghilterra la classe degli ingegnere era costituita da persone curiose, non c’erano scuole e il percorso tipico era diventare ingegnere sul campo. In Francia (poi in Italia) e in Germania (riforma che crea università pratiche) vengono create proprio delle istituzioni che formavano ingegneri e anche la classe operaia. Lo stato paga la formazione. Spesso gli ingegneri in Francia sono borsisti dello stato. La formazione è indirizzata all’industria. La formazione non era solo un obiettivo personale. Quindi lo stato è un attore diretto imprescindibile nella creazione di mercato, istituzioni e educazione e quindi nella diffusione di una cultura industriale. In Inghilterra avviene in lungo periodo, qui se ne accolla lo stato. È qualcosa di rivoluzionario. - L’ideologia industrialista (terzo fattore sostitutivo): Gerschenkron dice che le banche e lo stato da sole non bastano a spiegare il fenomeno dell’industrializzazione europea. Spesso il livello di arretratezza ha contribuito di rendere inefficaci gli altri fattori contributivi come accade in Russia, dove non ci sono forze che culturalmente rendano utili le politiche dello zar. Nei paesi modello dell’industrializzazione tardiva (che riescono a recuperare il ritardo), troviamo dei paesi che non solo hanno avuto un ruolo importante nella banca mista e nello stato, ma la Francia e la Germania hanno accompagnato queste politiche da parte dello stato e la messa in opera di un sistema finanziario moderno, e questi paesi hanno aiutato le ideologie industrialista: la presenza di banchieri, imprenditori e uomini politici che pensavano che l’industria L’aspetto sulla disuguaglianza è centrale nel dibattito storiografico, ci aiuta anche a capire l’industrializzazione contemporanea. L’industrializzazione europea avvenne in contesti che, in modo diverso dal caso inglese, non esprimevano livelli salariali equiparabili, né un mercato interno che garantisse uno sbocco alla produzione industriale. Le industrializzazioni hanno effetti diversi perché si hanno fattori diversi, salari diversi…Gli effetti producono delle situazioni molto diverse. In generale, molti fattori di lungo periodo spiegano in buona parte le diverse vie dell’industrializzazione Europea (arretratezza relativa e processi di recupero) La crescita del PIL di questa tabella è una crescita più sostenuta rispetto all'Inghilterra (cresceva dello 0.5%). La crescita è ad un ritmo quattro volte più veloce dell’Inghilterra. Il PIL pro capite invece cresce di meno rispetto al PIL generale. Questo vuol dire che c’è un aumento della popolazione, il paese si arricchisce ma non tutto il popolo ne beneficia. La fase dell'industrializzazione europea è caratterizzata da una fase di crescita comune ma la ricchezza individuale cresce di meno, quindi la ricchezza si accumula verso le fasce alte della popolazione. Aumento della popolazione perché l’industrializzazione permette di sfamare e di far lavorare più persone. Compariamo il livello di ricchezza inglese a quello che succede negli altri paesi. Nel 1820 l’Inghilterra è il paese più ricco al mondo, negli altri paesi il PIL pro capite è più basso (in Russia è meno della metà rispetto a quello inglese). Nel 19esimo secolo in Inghilterra si sta ridistribuendo la ricchezza pro capite. Solo due paesi non crollano completamente e mantengono un PIL pro capite abbastanza alto: Belgio e Stati Uniti. La disparità del salario medio è in parte colpa dell’industria dall’altra è colpa della struttura occupazionale che è diversa in ogni paese. Il settore primario in Francia passa dal 45% al 31% (di PIL), mentre in Germania si dimezza. In Italia si passa dal 59% al 46%, questo vuol dire che dall’ottocento al 1911 ci sono ancora tantissime persone che hanno un PIL pro capite basso e vivono grazie alle aziende agricole. Gli Stati Uniti non cambiano molto, dal 22% nel 1870 arrivano al 19% nel 1910. Gli Stati Uniti continueranno a rimanere un paese agricolo. Il settore secondario raddoppia in Inghilterra, rimane quasi invariato in Francia, raddoppia in Germania, aumenta di poco in Italia e aumenta parecchio negli Stati Uniti. Nei paesi come la Germania il raddoppiamento è visibile e diventano paesi principalmente industriali, altri invece si industrializzano ma non basano la loro economia unicamente sulle industrie. Il settore terziario aumenta esponenzialmente in Gran Bretagna, in Francia aumenta (l’agricoltura diventa di mercato), in Germania resta inalterato, in Italia aumenta mentre negli Stati Uniti è sempre alto. Questo significa che negli Stati Uniti i comportamenti consumistici sono più spiccati di altrove. La percentuale della popolazione invece cambia più o meno come il PIL in quasi tutti i paesi salvo effettivamente in Italia, negli Stati Uniti e in Germania, per quanto riguarda il primario, dove c’è più popolazione attiva rispetto al PIL generato. Questo significa che negli Stati Uniti viene mantenuta una produzione agricola ma poi si ha un processo di industrializzazione e urbanizzazione. Le persone trovano lavoro nel secondario e nel terziario, quindi si urbanizzavano. In Italia e in Germania invece si mantiene un livello elevato di percentuale delle persone che lavorano nell’agricoltura. In Inghilterra invece si ha un processo di urbanizzazione molto importante, gli altri paesi invece si urbanizzano ma non hanno un processo completo di sostituzione del settore. Esiste un modello di industrializzazione europeo? Possiamo vedere il processo di industrializzazione come un processo che esula dai casi nazionali e che marcia verso dinamiche e caratteristiche comuni? Sidney Pollard sostiene che se guardiamo il processo di industrializzazione nel suo complesso, ci rendiamo conto che l’industrializzazione europea si realizza in ogni nazione su base regionale, e una possibile tipologia interpretativa regionale può fornire più informazioni di quanto si evince da più ampi aggregati nazionali. Il processo di industrializzazione non avviene quindi in maniera uniforme, è transnazionale e ha dei confini, ma fa in modo che ci siano delle regioni europee che assomigliano all’Inghilterra mentre altre no. Alcune aree sono ad alta intensità di industrializzazione mentre altre sono altamente arretrate. Bisogna distinguere quindi fra un dato macro-economico nazionale e un dato regionale, costituito da territori «sovranazionali» (o regionali) che si industrializzano seguendo dinamiche comuni. Il dualismo, quindi il divario regionale, è un tratto a sé per ogni Stato. L’industrializzazione per l’Inghilterra ha significato un superamento del divario regionale, a differenza di tutti gli altri paesi. Per Gerschenkron il contesto internazionale è lo sfondo del processo di industrializzazione, l'aspetto di co-presenza è un fattore importante ma non determinante Per Pollard porre l’accento su delle dinamiche europee, transnazionali significa che ogni paese si industrializza non solo con tecnologie simili ma imitando alcuni processi che sono in atto in regioni diverse. Politiche nazionali e contesto regionale si influenzano mutualmente perché hanno dei fattori simili, hanno dinamiche che si assomigliano. Pollard però ci dice di fare attenzione alla tecnologia, perché in contesti diversi ha poteri diversi. Secondo Pollard esiste la “differenziale della contemporaneità” che fa sì che i paesi arretrati si sviluppino su base regionale e che nello stesso periodo esista una co-presenza tra -il vecchio- e -il nuovo-. A tecnologie uguali, corrispondono fasi di sviluppo e significati diversi, rispetto ai sistemi nazionali e regionali. Esempio chiave di Pollard: le ferrovie, caso chiave per l’Inghilterra, decisamente meno rilevante per la Russia o per l’Impero Austro-Ungarico. I FATTORI ENERGETICI DELL’INDUSTRIALIZZAZIONE: ottengono questi risultati anche grazie all’ideologia tedesca alla base dell’unificazione monetaria e dei mercati. Anche la presenza della banca mista estremamente forte: non sono i tedeschi a inventarla, ma questa trova in Germania la sua espressione più importante e diffusa. Queste banche cominciano ad avviare dei circoli virtuosi che portano le imprese tedesche a trovare dei finanziatori ottimali per i loro investimenti. Ciò fa sì che l’industria tedesca, che non riesce a svilupparsi nel lungo periodo come quella inglese, a partire da metà 800 investe massicciamente e crea unità di produzioni enormi: fabbriche che hanno delle capacità produttive smisurate; ad esempio, nascono imprese come la Kissen, imprese familiari che nell’appoggio da parte delle banche trovano un fattore di propulsione per quanto riguarda le capacità produttive. Quindi, il ruolo della banca tedesca è diverso da quello dell’Inghilterra. In Inghilterra Kissen non avrebbe trovato una banca disponibile a finanziare la creazione di grandi unità produttive, invece in Germania sì. Inoltre, in Germania il fattore sostitutivo Stato non gioca un ruolo importante solo nella creazione di uno stato unitario, ma nella creazione di scuole per ingegneri, di ragioneria, contabilità che porta la Germania ad avere la presenza di ingegneri e operai specializzati che facilmente si inseriscono nell’industria, e supportare un processo di innovazione continuo. La Germania arriva su una scala molto più grande (industrie grandi) rispetto a quella inglese e gli imprenditori tedeschi hanno una visione dei loro fattori naturali estremamente più ampia di quelli inglesi: tra gli imprenditori tedeschi non troviamo solo meccanica, cotone, vapore.. come durante la rivoluzione industriale inglese, ma per i tedeschi il carbone è alla base dell’industria chimica, avendo le competenze di utilizzarlo per fare coloranti, medicinale e prodotti azotati (primi fertilizzanti artificiali). La crescita tedesca è molto sostenuta (e diversa da quella inglese): del 3% nel corso degli anni 1870-1880. La Germania conserva anche l’aspetto agricolo durante la sua crescita, cosa che fa della Germania un paese con regioni fortemente industrializzate e altre agricole, che grazie a prodotti chimici dell’agricoltura riescono a sfamare meglio la propria popolazione. RUSSIA e IMPERO ASBURGICO Si tratta di due imperi; la Russia zarista è infatti un’entità territoriale vastissima che include quasi tutti i paesi dell’est Europa, tranne quelli inseriti nell’Impero austro- ungarico. Sono due Paesi che hanno, come gli altri paesi europei, prima del processo di industrializzazione, una prevalenza assoluta di una società contadina con modalità economiche arcaiche o preindustriali. Questa agricoltura è, nel caso della Russia, caratterizzata fino al 1861 (quando viene abolita) caratterizzata dalla servitù della gleba: un’istituzione economico-politica antichissima dell’Europa medievale in cui un contadino nasceva sulla terra ed era vincolato a stare tutta la vita in quella terra; non ne era proprietario, la terra era di un signore; era vincolato e obbligato a lavorare per il proprio signore. Anche quando viene abolita, il signore cerca di mantenerli lì. Una delle dinamiche decisive dell’Inghilterra a sfavore della classe contadina, era che erano stati i signori ad inserire il capitalismo nelle campagne attraverso le enclosures costringendo i contadini ad andare in città e cercare un altro tipo di sostentamento per la propria vita; in Russia, invece, la classe dirigente era ancorata a delle dinamiche economiche di antico regime, pre-industriale, e questo è un blocco istituzionale importante: neanche i ricchi percepivano lo stimolo di passare alla realtà industriale. Nell’Impero austro-ungarico, ci sono delle regioni come la Boemia, che hanno carbone e materie prime e decidono di lanciare delle imprese industriali. In Boemia c’è un’importante industria del vetro e del cristallo. Il processo industriale è basato sull’utilizzo del carbone, del calore e fabbriche abbastanza moderne. Tutto il resto dell’Impero è arretrato come Ungheria e Bulgaria, paesi simili alla Russia. Sono paesi che hanno delle condizioni di partenza profondamente diverse da quelle di altri paesi europei e neanche l’inserzione di elementi industriali da parte del fattore sostitutivo stato, riesce a rompere l’arretratezza economica. Esempio: Russia con le ferrovie. Le ferrovie in Russia sono state un prodotto tecnologico fortemente voluto dallo zar che aveva il controllo assoluto del potere politico. Lo zar spende cifre colossali per costruire ferrovie. Entro il 1915 la Russia possedeva ad esempio il sistema ferroviario più esteso d’Europa in km, ma lacunoso e che poggiava interamente su fattori esterni (imprese e tecniche provenienti dall’estero – nel 1914, il 90% delle miniere, il 40% della metallurgia, il 50% della chimica). Non era un sistema basato su delle necessità industriali, ma su conoscenze e attività che provenivano dall’estero. In Russia non c’erano imprenditori disposti a lanciarsi nell’industria, perciò lo zar voleva far in modo di far venire in Russia il maggior numero di imprenditori stranieri (tedeschi, francesi, italiani). Non avendo forze industriali, lo zar fa venire imprenditori dall’estero, non facendo loro pagare le tasse ad esempio. Il resto della popolazione paga le tasse. Ciò fa sì che non si sviluppi un savoir-faire industriale autonomo. Linea San Pietroburgo-Zarskoe Selo, 1837. Prima linea ferroviaria russa, avviata circa dieci anni prima. All’epoca era la più lunga d’Europa. Zarskoe Selo è il posto, sul Mar Nero, dove gli zar andavano in vacanza d’estate. È una ferrovia costruita da imprenditori esteri con i soldi dello zar. È una linea ferroviaria drittissima; si dice che gli imprenditori inglesi abbiano chiesto parere allo zar che rispose tirando una linea dritta sulla cartina per unire i due posti, senza tener conto di montagne, colline o laghi. Fu costruita proprio in quella maniera e per costruirla morirono tanti operai. Tutto proveniva all’estero anche se serviva solo per portare la famiglia dello zar in vacanza. Quindi, in Russia c’è assenza del mercato, reddito pro-capite bassissimo, fasce di povertà diffuse, un’industrializzazione pensata dall’alto (non locale) e che si basa sulle spalle di contadini. La Russia è stata interessata da sconvolgimenti politici ponendo fine ad un tipo di politica come questa. - Fattore sostitutivo stato: non funziona perché il paese è troppo arretrato e perché investire nell’industria non è sufficiente per sviluppare le altre cose che servono all’industrializzazione (competenze, mercato..). ITALIA L’Italia ha un forte dualismo: un nord-ovest industriale (triangolo industriale di Genova, Milano e Torino; Piemonte, Lombardia e Liguria sono le regioni maggiormente industrializzate) ed un sud arretrato. L’Italia ha avuto un grande sviluppo urbano e troviamo tante capitali e città attorno alle quali si sviluppano industrie e anche centri di settore tessile. L’industrializzazione dell’Italia non si basa su cotone e lana, ma sulla seta; c’è un’importante produzione del baco da seta che diventa un prodotto di lusso. Fino all’unificazione del paese, la divisione politica non è mai accompagnata da un processo di unificazione economica. In Italia c’è un regionalismo, una diversità regionale dal punto di vista economico molto importante. Non c’è carbone e l’industria pesante si sviluppa solo a seguito con l’incapacità di produrre a buon mercato i prodotti siderurgici. I fattori naturali giocano molto. Nonostante ciò, ci sono imprese che si sviluppano in comparto meccanico, chimico e siderurgico. Nasce un’impresa a Genova che costruisce navi, ferrovie, macchine a vapore…Entro la fine del secolo nasce un’impresa automobilistica molto importante: la Fiat, a Torino (industria meccanica e siderurgica). A Milano nascono imprese innovative come la Pirelli, o la Michelin, che inizia a produrre prodotti innovativi come le gomme. C’era la capacità di far nascere capacità imprenditoriali avviando il processo di questi settori dal basso. Ma per il settore siderurgico c’è poco da fare (tutto il ferro è concentrato in Isola d’Elba). L’unica maniera che ha l’italia per dotarsi di un settore siderurgico è costruire la Terni, in Umbria, nell’entroterra. È stata costruita a Terni perché difficilmente attaccabile e approvvigionabile. Quindi, lo Stato gioca un ruolo importante. Scuola di ingegneri. Sono in uniforme gli studenti francesi e quelli senza uniforme sono uno spagnolo e uno giapponese che tornato in patria diventa uno dei direttori della Mitsubishi. (Il caso del Giappone assomiglia a quello della Russia.) Il Giappone riesce ad avviare una politica di industrializzazione per tre fattori: - L’imperatore si rende conto che deve importare tecnologie perché è stato chiuso per anni e non ne ha di adatte. Apre il Giappone cercando di formare una classe ingegneristica locale. - A differenza della Russia, in Giappone c’è una nascente imprenditoria industriale e commerciale. Negli anni di chiusura, la pace ha significato “la fine del medioevo”: gli agricoltori possono creare surplus e essere sicuri che il surplus generato non veniva rubato da samurai. Con la pacificazione del Giappone si sviluppa una moderna cultura capitalista. Quello che viene prodotto in più non viene rubato, a differenza del periodo precedente. - Si sviluppa una classe agricola borghese rappresentata da famiglie molto ricche, come la Mitsubishi, Yamaha..che accumulano risorse e quando il Giappone si apre, diventano i pattern degli investitori esteri. CAPITOLO 3: L’APOGEO DEL CAPITALISMO LIBERALE OTTOCENTESCO A partire da metà Ottocento, le economie nazionali che si stanno industrializzando diventano sempre più interconnesse. Infatti, verso la fine del secolo molti storici parlano della nascita di una vera e propria globalizzazione dei mercati. Organizzazione del capitolo: • Caratteristiche della globalizzazione dell’Ottocento. Si tratta di una globalizzazione liberoscambista, ossia fondata sul concetto del libero scambio. Ciò significa che tutti i Paesi che progressivamente partecipano a questa integrazione dei mercati, lo fanno abolendo le protezioni doganali o le leggi che vietano l’importazione di alcune merci. Da queste abolizioni, tutti gli stati avrebbero ottenuto qualche vantaggio. Si tratta, però, di una globalizzazione che comincia a funzionare verso la metà del secolo, quando c’è già una potenza egemone, l’Inghilterra, che, appunto questa globalizzazione cerca di avvantaggiare. • Interrogativi storici. L’Inghilterra ha tanto da dare e da guadagnare da questa globalizzazione, ma un paese arretrato? • Egemonia britannica. Come fa la Gran Bretagna a convincere gli altri paesi a seguire questa tipologia di globalizzazione? • Integrazione dei mercati veri e propri, perché si basa su nuove tecnologie, come, ad esempio, il far viaggiare le merci molto velocemente. • Vengono create nuove istituzioni che aiutano la messa in opera di un vero e nuovo mercato integrato delle merci e dei capitali a livello internazionale. • Dibattito sulla grande divergenza. La globalizzazione ottocentesca non riguarda tutti. Chi partecipa a questa globalizzazione non completa va avanti e chi non vi partecipa resta indietro. Caratteristiche della globalizzazione ottocentesca Lo storico Karl Polanyi, autore di Grande Trasformazione (1974) in cui descrive la creazione, la crisi e la fine della globalizzazione ottocentesca, sostiene che, prima del 1914, l’economia globale era plasmata su un ordinamento liberale. Polanyi è stupito da una caratteristica evidente nel corso del XIX secolo, questa fa sì che esita, per la prima volta, un’integrazione, una globalizzazione dei mercati senza che ci sia nessun tipo di organizzazione internazionale che governi questo processo. Tutti i paesi sono liberi di partecipare all’economia internazionale, in maniera indipendente, volontaria. Inoltre, questi paesi sono tutti in contatto tra di loro e non esiste un organismo finanziario o monetario che governi i flussi finanziari. Questa globalizzazione internazionale è sì creata su base autonoma e volontaria, ma viene in qualche maniera sorretta dagli interessi britannici, in particolare dalla Bank of England, centro finanziario mondiale in questa globalizzazione. Secondo Polanyi, il sistema dell’economia internazionale dell’Ottocento, si basa su quattro pilastri, due politici e due economici, aventi tutti a che fare con il modello inglese: 1. Stato liberale. Uno stato che riconosce un modello politico basato su dei principi liberali. 2. Equilibrio di forze. Questo equilibrio garantisce una pace di lunga durata nel 1800, fatta eccezione per poche guerre o tensioni sociali. Si tratta di un sistema di pace, che è il risultato sia di un equilibrio tra potenze sia del fatto che, nei diversi Paesi, chi detiene il potere politico è sorretto da una finanza internazionale che vuole la pace, perché con la pace si commercia e si vende meglio e si possono creare dei processi di integrazione economica migliore. Esistono, secondo Polanyi, due basi economiche fondamentali, per tutti i paesi che partecipano a questo tipo di globalizzazione: • Sistema economico internazionale basato su scambi di merci, di capitali, di persone. Ciò è reso possibile dal fatto che esiste un’adozione di una base monetaria comune. Questo sistema monetario moderno e simile che viene adottato dai paesi che vogliono partecipare alla globalizzazione ottocentesca si chiama gold standard. • Esistenza di un mercato autoregolato. Tutti i paesi adottano una visione comune per quanto riguarda il ruolo dello Stato all’interno dell’economia: più lo stato interviene nel commercio internazionale e peggio fa. Quando un mercato è libero, è più efficiente. Secondo Polanyi, queste due basi economiche, sono quelle su cui si poggia il capitalismo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Da un punto di vista storico: Il punto di svolta dell'adozione, da parte dell’Inghilterra, di principi liberoscambisti, è dato dal 1846. Dopo un lungo dibattito, si decide di abolire le Corn Laws, le leggi sul grano. Ciò vuol dire, che fino al 1800, essendo l’agricoltura l’asse trainante dell’economia internazionale, i mercati del grano non solo liberi dall’intervento dello stato. Questo vuole difendere il grano e, quindi, la produzione di cibo nazionale. Ovviamente, ciò crea dei problemi, ma quando in Inghilterra viene completata la sua fase di industrializzazione, il paese è chiaramente un paese industriale. All’interno della classe dirigente inglese si crea una spaccatura tra i proprietari terrieri che richiedono l’intervento dello stato nell’economia e che vengano mantenute le leggi sul grano e una classe industriale nascente, che, invece, vuole che vengano abolite in modo da importare cereali a basso costo che sfamino meglio gli operai e che quindi consentano di avere una produzione industriale che costi di meno. Nel 1846, ovviamente, la classe industriale ha la meglio e viene deciso di abolire le Corn Laws. L’Inghilterra, dunque, opta per una visione in cui un paese non deve essere autosufficiente e produrre tutto. Il suo sostentamento si basa sull’importazione di prodotti agricoli a basso costo e l’esportazione dei suoi beni industriali. Tuttavia, nel 1846 solo l’Inghilterra possiede questa opinione, mentre tutti gli altri paesi non hanno ancora completato il loro processo di industrializzazione. L’Inghilterra, però, riesce a convincerli a seguire il modello del libero scambio, poiché si possono trarre dei vantaggi dal libero mercato e dalla specializzazione, ossia l’idea che un paese debba esportare ciò che sa produrre meglio ed importare ciò che gli manca. L’ulteriore punto di svolta nell’opera di convincimento degli altri paesi è dato dal 1860. Un altro grande paese europeo, nemico dell’Inghilterra, la Francia (ancora agricola), decide di firmare un trattato di libero scambio con l’Inghilterra. Questa legge diventa il modello per tutti i trattati commerciali firmati successivamente dall’Inghilterra e, una volta che la Francia firma questo trattato, tutti gli altri paesi la seguono. Questa legge viene firmata Richard Cobden per l’Inghilterra e dal sansimoniano Michel Chevalier per la Francia. Quest’ultimo vede nel libero mercato, non un rischio bensì un vantaggio: si possono esportare i beni che i francesi sanno produrre meglio ed importare quelli che non sanno produrre. Questo trattato, inoltre, con il sistema, le politiche economiche sono il liberalismo politico ed il liberismo economico: ridurre al minimo le protezioni doganali, libero scambio, non adottare politiche di controllo sull’entrata e sull’uscita dell’oro ed infine lo stato deve adottare delle politiche che facciano sì che lo stato prenda un controllo effettivo sulla spesa pubblica (controllo delle riserve d’oro). Obstfeld e Taylor per descrivere il gold standard dicono che è un sistema efficiente e performante da una parte, mentre dall’altra è un sistema che per la prima volta nel corso della storia pone i governi di fronte ad un trilemma. E’ un trilemma perché dati tre obiettivi macro-economici che un paese si propone, cioè l'autonomia monetaria, la libera circolazione dei capitali e il cambio fisso, solo due obiettivi su tre sono perseguibili contemporaneamente. Ovvero: mantenere la libera circolazione dei capitali ed il cambio fissa significa rinunciare all’autonomia monetaria. Mantenere l’autonomia monetaria e la libera circolazione dei capitali significa rinunciare ai cambi fissi. Mantenere l'autonomia monetaria e i cambi fissi significa rinunciare alla libera circolazione dei capitali. Questo significa che se un governo accetta di entrare nel gold standard, che ha presupposti come un libertà nella circolazione dei capitali e cambi fissi, significa che il governo deve rinunciare alla propria autonomia monetaria e questo significa prendere un controllo nella propria capacità di spesa. Con il gold standard i governi rimangono controllati. Per funzionare il gold standard deve avere la libera circolazione e i cambi fissi ma questo significa che i governi non sono così liberi monetariamente. Prima considerazione: questo sistema è ideato dall’Inghilterra e fatto su misura per essa, è il paese più ricco e non ha problemi a funzionare in questo tipo di sistema. Ma perché un paese arretrato con pochi scambi con l’estero dovrebbe accettare di entrare in un sistema come questo? Per l’Inghilterra è normale, il sistema è creato su misura per un paese che esporta molto ed è al centro degli scambi finanziari. Ma perchè gli altri paesi dovrebbero far parte di un sistema che riduce la loro autonomia monetaria? Seconda considerazione: il sistema si basa sull’automatismo, sulla teoria chiamata “riequilibramento e riequilibrazione automatica della bilancia del pagamento”. Ma siamo sicuri che il gold standard funzioni da solo? Siamo sicuri che non abbia bisogno di nessuna organizzazione che lo sorveglia, lo faccia funzionare meglio e riduca gli attriti che esistono in questo tipo di sistema? Il gold standard funzionava in una maniera abbastanza "artigianale": indipendentemente dagli aspetti teorici, il gold standard funziona solo grazie al fatto che c’è un’economia libera che in maniera informale assume gli oneri, ovvero i costi, di gestione del sistema a livello globale. In questo contesto l'istituzione è sorretta dalla Bank Of England come organizzazione regolatrice, si assume il ruolo informale di far funzionare il sistema. Funziona così perché Londra è il grande centro finanziario, il grosso delle transazioni a livello globale avvengono a Londra, una grande fetta del commercio internazionale dell’epoca passa dai porti inglesi. Londra funziona come una camera di compensazione dove tutti gli attivi e passivi possono essere regolati nella piazza londinese (es. se la Russia e l’Italia hanno un debito con l’Inghilterra, a Londra si può regolare uno scambio tra Italia e Russia). Settlements: diverse posizioni internazionali del paese sono gestite dalla Bank of England. Secondariamente passando tutto da Londra, meccanismo con il quale si risolvono i problemi legati all inflazione o deflazione, Londra se manca liquidità in periferia può adottare delle politiche per espandere l’oro verso la periferia oppure se c’è troppo oro nella periferia e causa inflazione può cercare di attirare oro verso di sé. La Bank of England per attirare o respingere oro attraverso le operazioni sui tassi di interessi: la banca presta dei soldi ad una percentuale, se la percentuale è bassa gli investitori andranno altrove dove il tasso di interessi è elevato, se invece il tasso è elevato gli investitori andranno a Londra. Se c’è troppo oro la Bank of England abbassa gli interessi e i capitali andranno altrove, se nella periferia c’è troppo oro la Bank of England cancella gli interessi nella periferia. Questo funziona solo se c’è la libertà del capitale, il sistema per operare ne ha bisogno. Con la Bank of England si coopera: mantenendo il valore della propria moneta e con la cooperazione reale delle banche (monitoraggio sul funzionamento del sistema). Per far sì che la cooperazione avvenga c’è bisogno che i governi adottino delle politiche monetarie commerciali che siano in sintonia con gli obiettivi macroeconomici che si danno delle imprese. Da parte dei governi ci deve essere un’adesione politica al gold standard data dal cambio fisso (rinuncia all’utilizzo in autonomia degli averi e delle riserve) e che aderisca al libero scambio. La Bank of England si comporta come una banca centrale senza una legge che lo decida. Questo sistema ha avuto un'adozione molto dilazionata nel tempo, le adozioni massime del gold standard partono negli anni ‘70 dell’800. Prima di quegli anni il gold standard non era assolutamente dato per scontato che sarebbe stato il sistema monetario internazionale principale. Ancora negli anni ‘60 non solo molti paesi erano bimetallici, ma dal punto di vista geopolitico il gold standard aveva come concorrente un sistema monetario alternativo che funzionava in maniera completamente differente. Questo sistema alternativo si chiama “Unione Monetaria Latina”, che per sei anni è il grande concorrente del gold standard. E’ un sistema che unisce tutti i paesi che non funzionavano al gold standard ma che funzionavano ad una base bimetallica (non hanno la moneta fiduciaria ma hanno delle monete il cui valore è delegato al valore di metallo prezioso contenuto). Questi paesi (Francia, Belgio, Italia, Spagna, Impero austro-ungarico e Grecia) nel 1865 decidono che tutti i paesi che aderiscono a quest’unione avranno delle monete nazionali che hanno la stessa convertibilità in oro. Cioè un franco, è uguale ad un alira, che è uguale ad un franco belga… Questi paesi immaginano un sistema monetario in cui non oslo gli scambi tra grande mercati e banche centrali sono gestite secondo una parità fissa, ma a cneh piccoli scambi all’interno di questi paesi possono essere gestiti con un sistema monetario uniforme e garantito dal valore dell’argento. Il gold standard ha delle grandi frizioni, infatti altri paesi preferiscono optare ad altro ed utilizzare altre economie. Il gold standard inizia ad essere attuato a partire dagli anni ‘70 dell’800. Nel 1871 la Germania aderisce al gold standard, successivamente gli stati scandinavi. Nel 1878 finisce l’Unione Monetaria Latina e a partire dalla fine del bimetallismo altri paesi adottano il gold standard: Giappone, Impero austro- ungarico, India, Russia, Stati Uniti, Italia, Francia. Ritorniamo alla prima considerazione, perché si entra nel gold standard? Per un’economia anche in via di sviluppo. Il sistema bimetallico aveva un gravissimo problema che lo rendeva difficile da gestire: i metalli si rovinano e perdono valore. Il sistema bimetallico funziona solo se il valore dell’oro e dell’argento vanno in parallelo. Se l’argento si svaluta e vale sempre di meno, ma l’oro aumenta il suo valore significa che se inizialmente ci volevano 25 monete d’argento per farne una d’oro adesso ce ne vogliono 100. Ci sono dei sistemi di inflazione derivanti dal cambio delle monete che non sono controllati. Il gold standard garantisce la stabilità dei prezzi. Secondariamente, chi adotta il gold standard ha bisogno di una banca centrale perché il valore è garantito da essa. Gli Stati Uniti creano una banca centrale solo nel 1913, prima gestiva tutto la Bank of England. Benefici del gold standard: • stabilità • le finanze statali si fortificano poiché c’è bisogno di una banca centrale • il sistema è più solido del bimetallismo e perché un paese che adotta il gold standard è obbligato ad entrare in contatto con il centro del commercio. Il paese da periferico e fuori controllo dal punto di vista monetario si avvicina al centro del sistema, e quindi il paese non è abbandonato a sé stesso, si accede meglio ai mercati. • il paese dal punto di vista internazionale è più credibile e quindi può chiedere ai finanziatori internazionali di aiutarlo con le sue politiche economiche. Il gold standard dà credibilità. Il gold standard è un sistema che teoricamente funziona con la libertà, con l’uguaglianza, l'adozione da parte di tutti degli stessi sistemi ma c’è un paese che è più libero degli altri: l’Inghilterra. L’integrazione dei mercati L’adesione al gold standard è il fattore che si sviluppa in una fase in cui c’è bisogno di un sistema monetario internazionale efficiente. La seconda metà dell’800 è un periodo in cui si sviluppa un’integrazione globale dei mercati. Le merci chiave prima dell’800 del commercio internazionale erano: grano, gemme, pietre, spezie, seta e cose preziose… Ovvero prodotti che costavano molto. Il commercio. Il deficit della bilancia commerciale viene quindi colmato dai profitti derivanti dalle operazioni commerciali e questo permette alla banca di essere in pareggio. La bilancia del pagamento inglese non è schiacciata sul commercio ma diversificata, il paese vive anche di finanza. La bilancia commerciale può essere in deficit oppure in avanzo (è possibile importare/esportare di più di quello che si esporta/importa) mentre la bilancia dei pagamenti deve essere sempre uguale (gli attivi e passivi devono essere uguali) Se è la bilancia commerciale è in attivo bisogna esportare oro mentre se è in passivo bisogna importarlo. La Gran Bretagna nella sua struttura produttiva commerciale e finanziaria è al centro del sistema. Guadagna perché il sistema funziona. Se non ci fosse il libero mercato, l’Inghilterra non porterebbe successo. Essa esporta cotone, ma anche macchinari (metallurgia) grazie al libero mercato. Esporta beni industriali non estremamente complessi ma partecipa a questo gioco internazionale soprattutto come attore commerciale essenziale; è un paese i cui abitanti partecipano all’economia globale come esportatori, investitori, commercianti. Vediamo, nella slide, una serie di fondi che azzerano il deficit della sua bilancia commerciale. L’Inghilterra cerca anche di condurre più paesi a partecipare a questo gioco. Più paesi partecipano, più si moltiplicano le opportunità per l’Inghilterra. Gli altri Paesi hanno delle visioni molto più limitate per partecipare al gioco internazionale. Un paese può partecipare come: • esportatore di bene agricoli o industriali, ad esempio: esportando parte del proprio surplus. Gli altri Paesi partecipano in maniera diversa e mescolata a questo gioco. Ad esempio, la Francia nel 1800 partecipa a questo gioco non come importatore, ma esporta beni agricoli o capitali. Parigi diventa un piccolo centro finanziario e i banchieri sansimoniani investono anche all’estero (Russia, Italia, Spagna..). C’è un surplus della bilancia commerciale generata dalle esportazioni. I paesi latino-americani, per esempio, partecipano esportando materie prime agricole. Nessun Paese partecipa in una maniera così completa e integrata come l’Inghilterra. ..oppure i Paesi possono partecipare come: • importatori di qualcosa, di materie prime industriali, capitali..se non hanno ricchezze adeguate per i loro investimenti. In aggiunta, i Paesi non partecipano tutti su base volontaria alla globalizzazione ottocentesca. Molte regioni/Paesi del mondo partecipano al gioco economico della globalizzazione economica su basi semi-volontarie. In altri casi, partecipano su basi non volontarie, ovvero imperialistiche o coloniali. • Base volontaria → c’è una visione di dare opportunità economiche commerciali e finanziare dall’integrazione del mercato. Diversi Paesi (negli anni ‘60/‘70 del 1800) decidono di far parte a questo gioco economico: 1. La Francia partecipa su base volontaria: ha una grande desiderio industriale; ha diversi imprenditori, banchieri e industriali con questo desiderio. La politica economica di questo Paese si orienta sulla partecipazione al gioco internazionale esportando surplus agricolo e capitale. 2. Anche la Germania partecipa su base volontaria. Dopo la guerra franco-prussiana, è un Paese che decide di partecipare alla globalizzazione ottocentesca non per importare materie prime con cui sfamare i propri operai, ma, al contrario, per esportare beni agricoli e man mano che si industrializza partecipa anche con l’esportazione di prodotti industriali che sono beni estremamente sofisticati: a differenza di quelli inglesi che si concentrano sul tessile e sulla metallurgia, la Germania partecipa con poco tessile e con la siderurgia (ferro di alta qualità), diventa un esportatore di beni e prodotti chimici (come il colorante sintetico che serviva per tingere i vestiti, quello naturale già esisteva), a differenza dell’Inghilterra che lo importerà dalla Germania. Altri prodotti esportati massicciamente dalla Germania: quelli ad altissima tecnologia (tecnologia sofisticata per telegrafo e poi per il telefono da parte di Siemens). La Germania si specializza nella nascente industria delle comunicazioni e successivamente dell’industria elettromeccanica (innovazione dell’elettricità). Per costruire gli apparecchi elettrici non servono i prodotti come carbone o acciaio presenti in Germania, ma il prodotto principale per l’industria elettrotecnica e meccanica è il rame che conduce elettricità e suono. Quindi, la Germania si trova a specializzarsi in un’industria di cui non possiede le materie prime. È qui che interviene la globalizzazione ottocentesca, iniziando ad importare rame, stagno, piombo, zinco dall’Americalatina, Indonesia… Nasceranno alcune imprese grazie alle materie importate, grazie a quei metalli. Solo i tedeschi investono in queste materie, tanto che si decidono di aprire filiali tedesche a Londra, ad esempio. 3. La Russia partecipa al commercio internazionale in maniera super volontaria. È un sacrificio enorme per un Paese arretrato come questo che si basa sull’agricoltura. Partecipa esportando beni primari, beni agricoli verso altri paesi (grano..) e importando tutto il resto di cui ha bisogno cercando di attrarre investimenti esteri. 4. Anche il Canada partecipa in maniera volontaria allo scambio economico internazionale esportando materie prime e grano di una qualità particolare, chiamato Manitoba. Manitoba è quindi una farina del Canada che si usa con facilità per produrre pane industriale. 5. Altro Paese è la Thailandia, su base completamente volontaria. Esporta riso; ha un surplus di riso. Con il riso finanzia la sua crescita economica. 6. Anche la Regione di Lagos partecipa. Non ci sono ancora piantagioni, ma produzioni artigianali locali di cotone e olio di palma. Questi mercanti africani vendevano ai mercanti inglesi i prodotti tradizionali della loro terra. L’olio di palma nel 1860 viene utilizzato come lubrificante per il motore, l’alternativa era utilizzare il grasso animale; veniva utilizzato anche per fare i saponi. • Base semi-volontaria → si parla di scambi semi-volontari che vengono creati tra diversi paesi con statuto politico autonomo. Si tratta di Paesi semi- volontari con infrastrutture (porti) che sono enormi e che sono finanziate, gestite, costruite e utilizzate non da interessi locali, ma esclusivamente da interessi esteri. Partecipano in maniera indipendente dalla volontà degli interessi economici locali: 1. L’America Latina all’epoca partecipa in maniera decisa su base semi-volontaria. Dopo le guerre napoleoniche tutti i Paesi dell’America Latina guadagnano l’indipendenza, non sono più controllati dall’Impero spagnolo tranne qualcuno. Si tratta di Paesi stabili economicamente, autonomi politicamente. Questi Paesi partecipano al commercio internazionale come delle cosiddette staple (che vuol dire “materia prima”, che non gestiscono in autonomia) economies o cash crops (i risultati dell’agricoltura scambiati con i “cash”) economies. Sono Paesi che esportano direttamente il risultato della loro produzione agricola. Vengono create tante piantagioni di grano, di cotone e verso la fine del 1800 anche le banane chiquita. Tuttavia, questa esportazione e partecipazione da parte di questi Paesi vengono gestite da imprese estere che investono in questi Paesi, utilizzandoli come grandi riserve di materie prime. Alcuni beni possono essere anche ad altissima intensità di tecnologie e capitali. L’esempio principale proviene dall’Argentina dove, a partire dagli anni ‘80 dell’800, si comincia ad esportare carne con navi veloci e refrigerate. A largo dell’Argentina ci sono isolette utilizzate per la migrazione degli uccelli e coperte di escrementi di gabbiano, che servono come concime (avviando l’industrializzazione dell’agricoltura). Inoltre, c’è Cuba che è una riserva zuccheriera. (A differenza di quanto si può pensare, i lavori poco produttivi, sfruttano tante risorse.) L’Argentina è spesso considerata una colonia inglese che viene sfruttata. • Base non volontaria e imperiale → si parla di scambi coloniali. Epoca del 900 caratterizzata dall’Imperialismo, diverso dal colonialismo. L’Imperialismo, secondo lo storico Hodson, è quando dalla situazione di integrazione dei mercati (che sembra basato su principi economici basati sulla pace e libero scambio) si arriva alla creazione di sfere di influenza geopolitica e tensione tra le potenze europee per il controllo economico e politico. Prima delle colonie, di controllarle politicamente, gli interessi economici, commerciali e finanziari generano una competizione internazionale per sfruttare le risorse degli altri Paesi. Tutti i Paesi che si industrializzano partecipano a questa corsa, a piazzare investimenti e a ottenere controlli e profitti. Gli scambi volontari si traducono in sfere di influenza dal punto di vista geopolitico. Percentuale di prodotto interno lordo (PIL) mondiale prodotto dalle varie regioni. La Cina e l’India intorno alla nascita di Cristo sono le principali economie mondiali, lo sono ancora nel 1600 e 1800. Con l’industrializzazione emerge l’Europa, gli Stati Uniti e progressivamente l’India così che la percentuale del PIL mondiale cala. Entro l’inizio del 900 le regioni del nord del mondo diventano economicamente più importanti. Oggi, la Cina sta in un alto livello. CAPITOLO 4: LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE E LA GRANDE IMPRESA Diamo un’occhiata a questo fenomeno parzialmente nuovo, la seconda Rivoluzione Industriale, che ha avuto tre risultati fondamentali: 1. Nasce un nuovo tipo di organizzazione industriale, quello della grande impresa. 2. La grande impresa non nasce ovunque. Non tutti i Paesi industriali traggono vantaggio dal processo della Seconda Rivoluzione Industriale. I Paesi che emergono come potenze industriali principali entro la fine del XIX secolo sono la Germania e gli Stati Uniti, mentre l’Inghilterra non tiene il passo. La seconda rivoluzione, infatti, interessa molto di più i Paesi late comers. 3. Quando la Germania e gli Stati Uniti diventano i principali sfidanti dell’Inghilterra, superandola in molti settori produttivi, metteranno in discussione il modello di politica economica inglese. Modello politico economico inglese: libero mercato. Gli Stati Uniti e la Germania adottano delle politiche neo mercantilistiche o protezionistiche. Argomenti: • La seconda rivoluzione industriale. • La nascita del big business e il modello americano di grande impresa manageriale. • Altri casi nazionali (Germania e Inghilterra, che retrocede. Perché il declino inglese?) T. A. Edison: simbolo della seconda rivoluzione industriale. Che cos’è la seconda rivoluzione industriale? Si tratta di un termine che tende un po’ a trarci in inganno. Chi utilizza questo termine, spesso, vuole trasmettere un’idea che esistano una specie di ondate successive le une alle altre di Rivoluzione Industriale (prima, seconda, terza, quarta rivoluzione industriale…). Da un punto di vista storico, il cercare di capire in quale ondata di rivoluzione ci troviamo, ha in realtà poco senso. Di certo, può aiutare un imprenditore a capire dove bisogna investire oggi, ma da un punto di vista storico non esiste una netta distinzione tra le varie ondate. Possiamo periodizzare, dicendo che la prima rivoluzione industriale ha avuto luogo tra il 1870 ed il 1914, ma non possiamo dire che la seconda rivoluzione industriale soppianta la prima. Inoltre, essa non ha significato un cambiamento radicale come quello che è stato generato dalla prima. Le successive ondate di rivoluzione industriale assomigliano di più a dei nuovi paradigmi tecnologici e scientifici che si aggiungono e in parte sostituiscono quelli vecchi. Durante la seconda rivoluzione industriale, tutta una serie di tecnologie più sofisticate e costose hanno avuto bisogno di un supporto finanziario, scientifico, manageriale più importante. Questi nuovi paradigmi tecnologici, finanziari e scientifici, che si sono sviluppati, hanno avuto bisogno di nuove forme organizzative, che hanno significato un’estensione dell’industria e la creazione del big business, la grande impresa. Ci sono dei paesi che sono stati in grado, meglio di altri, di cogliere le opportunità tecnologiche della seconda rivoluzione industriale. La proposta è quella di una lettura della seconda rivoluzione industriale più di continuità che di rottura rispetto al passato. Infatti, le ragioni che portano alcuni paesi a cogliere meglio le tecnologie della seconda rivoluzione industriale sono derivate dal fatto che questi paesi avevano delle strutture, dei modelli di industrializzazione che erano già meglio predisposti verso queste nuove tecnologie. Perché è la Germania che coglie meglio il processo di seconda rivoluzione industriale? Questa aveva delle scuole di ingegneria, impegnate, ad esempio, nella ricerca di elettrochimica o di elettrometallurgia. Aveva le grandi banche e le banche miste: se un’impresa ha bisogno di tantissimi capitali, in Germania li può trovare molto più facilmente che in Inghilterra. Quindi, le ragioni per cui alcuni paesi emergono più di altri sono derivate dalle dinamiche di sviluppo economico preesistente. E’ come dire che la seconda rivoluzione industriale in qualche modo deriva dai modelli di industrializzazione della prima. L’integrazione progressiva dei mercati, infatti, ha fatto sì che capitali e materie prime si spostino molto più facilmente. B. Gille, storico economico e della tecnica francese. Conia il concetto di sistema tecnologico: • La storia della tecnologia è costellata non da tecnologie isolate le une dalle altre. Bensì, esistono nel corso della storia delle fasi (chiamate sistema tecnologico o paradigma tecnologico) che fanno sì che le tecnologie si incastrino e dialoghino tra di loro. L’una supporta le espansioni dell’altra. La prima rivoluzione industriale, ad esempio, poggiava su un sistema tecnologico che includeva diverse innovazioni (poggiava sul sistema carbone-ferro- acciaio). La seconda, invece, è caratterizzata di altri sistemi tecnologici incastrati gli uni con gli altri (sistema elettricità-petrolio-acciaio). L'elettricità diventa una tecnologia generalista, ossia utilizzata ovunque, così come lo era diventato il vapore durante la prima rivoluzione industriale. Diventa un incentivo per provare altre innovazioni che possono derivare dall'elettricità stessa. Parliamo, dunque, di un processo di innovazioni a cascata. Come funzionano queste cascate di innovazioni? Possiamo immaginare, attraverso le ricerche di Joseph Schumpeter, la storia dell’economia e della tecnica mondiale come il susseguirsi di paradigmi tecnologici che vanno avanti attraverso delle ondate successive. In realtà, la visione di Schumpeter è più articolata. Il funzionamento di questi cicli economici è più simile a quello descritto negli altri due grafici. Schumpeter si chiede come mai esistono dei cicli economici, caratterizzati da fasi di espansione economica più rapide di altre nel corso della storia. Inoltre, si chiede perché delle crisi economiche si susseguono a dei momenti di crescita economica. Una delle spiegazioni che Schumpeter propone è: l’economia cresce sempre, le fasi di crisi sono provocate da crisi di sistemi economici antichi. Ci sono dei momenti di crisi in economia che derivano dal tramonto delle vecchi paradigmi tecnologici. Le fasi di espansione, invece, derivano dall’arrivo di nuove tecnologie. Spieghiamo attraverso un esempio: 1. Viene inventata di una nuova tecnologia (vapore). 2. Si assiste ad una fase in cui la nuova tecnologia matura e arriva fino alla sua massima estensione in termini di opportunità, ossia viene applicata al meglio. • Nasce il motore a scoppio nel 1886. Si ragiona su un’industria meccanica legata alla locomozione, al trasporto individuale portando all’invenzione dell’automobile. • Nasce un nuovo procedimento della produzione dell’acciaio: il Gilchrist Thomas che innova il Martin-Siemens e estende la possibilità dell’utilizzare il ferro a basso costo. • Nasce il fonografo: l’antenato del giradischi. • Successivamente nasce il cinematografo. • Nasce la moderna industria dell’alluminio nel 1886. Prima l’alluminio era un metallo prezioso, poi diventa un metallo di massa. • Si comincia ad utilizzare il petrolio. Il primo pozzo viene aperto alla fine degli anni ‘50 dell’800. Entro gli anni ‘90 l’industria del petrolio emerge come industria globale dominata da multinazionali integrate di grandissima entità economica. All’epoca il petrolio si usava nelle medicine e in parte per l’illuminazione (petrolio bianco). Il petrolio passa poi ad avere altri utilizzi (industria petrolifera). • Acciaio di ottima qualità a costi bassi, grazie ai convertitori e forni, consentono ulteriori innovazioni: a partire dagli anni ‘70 si iniziano a costruire i famosi grattacieli. Sono edifici con più di 20, 30 o 40 piani costruiti con lame di metallo d’acciaio grandi e resistenti e che tengono il peso in maniera più efficiente di quando si faceva prima con le vecchie costruzioni in mattoni. Simbolo di questa nascente industria è l’Empire State Building, uno dei più grandi grattacieli. Non solo negli Stati Uniti, ma una costruzione in acciaio viene costruita anche in Francia per l’Esposizione Universale: la Tour Eiffel. • Viene creata la moderna industria dei pneumatici: l’industria della galvanizzazione → capacità di fondere la gomma senza bruciarla, che permette di creare camere d’aria chiamati pneumatici. • Viene creata l’aspirina da un’impresa tedesca. • Viene inventata la radio. • Nel 1908 viene creata la nuova industria dell’automobile con la creazione del Modello T. Ford diceva che il modello T era una macchina per tutti, basta che sia nera perché il tentativo di standardizzare questa macchina lo portava a rifiutare che questa potesse avere colori diversi. Prima la macchina veniva costruita artigianalmente. Quindi, le innovazioni sono molte, una legata all’altra e tutte dirompenti: creano materiali nuovi e possibilità nuove rappresentando un salto di qualità per l’industria. Ma una delle innovazioni più importanti per capire come funziona la Seconda Rivoluzione Industriale è rappresentata dall’elettricità e le nuove possibilità da essa aperte. Viene inventata la maniera per produrla artificialmente. Ci sono due scuole di pensiero: quella di Edison che è produrre piccole centrali elettriche con elettricità a corrente continua che servono a illuminare il quartiere; poi c’è chi pensa in grande, immaginando di produrre tantissima elettricità e trasportarla per chilometri. Sulle cascate si produce tanta elettricità costruendo industrie idroelettriche. Si costruisce un tubo d’acciaio che incamera l’acqua, la fa scorrere forzatamente dentro una condotta fino a valle dove c’è un alternatore e una dinamo associati, producendo tantissima elettricità. Negli anni ‘80 non si sa ancora trasportare corrente per tanti chilometri, allora gli imprenditori usano questo strumento. Tutta questa elettricità si usa come base per industrie elettrochimiche, elettro-metallurgiche e si sviluppa una siderurgia elettrica: l’acciaio elettrico. Acciaio che si produce non dal carbon coke ma direttamente dal minerale fuso grazie alla potenza elettrica. Si possono produrre prodotti chimici che prima non esistevano: carburi (prodotto chimico che serve per l’illuminazione), acetilene (con cui si fanno lampade), fertilizzanti. Si parla di “carbone bianco”. Questo tipo di innovazioni cambiano la geografia della produzione industriale europea. Se la Prima Rivoluzione Industriale era basata su carbone e vapore, ora con l’industria idroelettrica le regioni che non hanno carbone possono cominciare ad immaginare uno sviluppo industriale competitivo fatto di prodotti che conviene produrre vicino alle centrali idroelettriche (in Svizzera, in Italia, in Germania). Il carbone continua ad essere una componente importante dell’industria, ma l’idroelettricità apre le porte a nuovi paesi, regioni, prodotti e nuovi paradigmi tecnologici. Come le innovazioni della Seconda Rivoluzione Industriale determinano il nascere di un nuovo tipo di impresa: il Big Business, che trova il suo luogo d’origine negli Stati Uniti d’America. Se la Prima Rivoluzione Industriale è principalmente inglese, la Seconda è americana. Le tecnologie della Seconda Rivoluzione Industriale con nuovi paradigmi, non sostituiscono i vecchi paradigmi economici. Accanto all’elettricità c’è ancora il carbone, accanto all’industria dei coloranti sintetici ci sono ancora le industrie tessili. Si creano delle dinamiche dualiste o di differenziazione della contemporaneità; c’è coesistenza se c’è ancora utilità. Ma nel contesto degli Stati Uniti d’America, gli imprenditori si rendono conto che nell’industria esiste una dinamica economica che si chiama produzione con economie di scala. Ci si rende conto che nei settori della Seconda Rivoluzione Industriale ci sono dinamiche di produzione che consegue delle economie di scala, ovvero gli imprenditori si rendono conto che più si produce e meno costa produrre un’unità. Ciò è sconvolgente perché nelle vecchie industrie della Prima Rivoluzione industriale non era così evidente che c’erano degli effetti di produzione di scala. Per avere una crescita (aritmetica), si aumentava il numero di operai. Con le nuove tecnologie ci si rende conto che più è grande un’impresa, più un lavoro è produttivo, più si crea una situazione descritta dalla curva: vedi grafico. Se si ha un’acciaieria e si producono solo 10 tonnellate l’anno, ogni tonnellata costerà 100 dollari. A mano a mano che si produce di più, spalmiamo costi fissi su una produzione che è più larga. Il costo unitario di ogni tonnellata che produciamo passerà da 100 a sempre di meno, fino ad arrivare ad un momento, quando raggiungiamo le economie di scala, in cui abbiamo un vantaggio secco rispetto a quello che si produce senza conseguire l’economia di scala. Si tratta di una teoria economica formalizzata negli anni ‘70 dell’800 da tre economisti: Stanley Jevons, Léon Walras, Karl Menger che parlano di teorie marginaliste del valore: il valore di un oggetto dipende dal suo posizionamento sulla curva marginalista/d’utilità. L’oggetto non ha sempre lo stesso valore. Esempio: se mangio una pizza, a mano a mano che ne mangiamo il suo valore sarà sempre più basso. Questo è il concetto della curva con domanda e offerta. Secondo loro una merce costa quanto determinato dall’incontro della domanda e offerta. Questo grafico, quindi, ci dice che una merce non ha sempre lo stesso valore. Se se ne producono singoli esemplari, ognuno ha un costo di produzione unitario elevato; a mano a mano che se ne produce di più, il suo costo di produzione unitario si abbassa. Se l’impresa dice che vuole produrre acetilene, mi chiedo: quanto acetilene deve produrre? Poco o tanto? Tanto, perché così ho dei costi di produzione più bassi e quindi sono più competitivo. Se ne producessi poco, mi costerebbe tantissimo e non troverei nessuno disposto a comprarlo. Il grafico ci dice che il costo di produzione unitario non è sempre uguale ma è determinato da una tendenza a decrescere dei prezzi unitari a mano a mano che si aumenta la produzione. Come si comporta il mercato? Dal grafico capiamo che, a partire da un certo punto, il mercato è insensibile da io che aumento la produzione. Quindi, nell’ottica delle teorie marginaliste (il prodotto cambia), capiamo dove stanno le economie di scala. Seguendo queste teorie, conviene produrre il più possibile finché il mercato non è esausto/saturo. Nelle tecnologie della Seconda Rivoluzione Industriale, questa curva diventa evidente perché non è più una scelta del mercato, ma se il produttore di rame non produce qui, non ha capito quale è la sua economia di scala e dov’è l’incontro tra la curva marginale della produzione e quella del mercato ed è al di fuori del mercato. Questo avviene perché le tecnologia della Seconda Rivoluzione Industriale sono ad alta intensità di capitale. Per costruire una fabbrica si ha bisogno di un finanziamento iniziale enorme e per ammortizzarlo si devono produrre tantissimi beni per spalmare sopra ognuno di essi un pezzetto di questo investimento iniziale. «Nei settori tipici della seconda rivoluzione industriale, invece, l’espansione dimensionale comportò una radicale riorganizzazione del sistema di fabbrica [...]. In questo modo fu possibile ottenere una riduzione significativa dei costi unitari al crescere dei volumi prodotti (economie di agenti commerciali, l’impresa può ottenere dei feedback dal mercato potendo così impostare le sue strategie di crescita. Il mercato degli USA è un mercato vasto - Per seguire meglio le necessità della clientela e a diversificarsi, estendere la gamma dei prodotti, per seguire le volontà della clientela, un’impresa fa ricerca e sviluppo. Ha bisogno di persone che fanno ricerca scientifica, cosa assente nelle fabbriche della Rivoluzione Industriale. - Serve anche un’organizzazione del lavoro di tipo nuovo: l’organizzazione scientifica del lavoro. Si tratta di avere delle mansioni che siano spezzettate, cronometrate e gestite dai manager senza che l’uomo ci metta nulla di suo. Dettami del management scientifico moderno inventato da Taylor nel 1908 e applicato da Ford per la costruzione delle auto del modello T. Il sistema di fabbrica esisteva anche prima, dove l’operaio segue i tempi della macchina. Taylor dice qualcosa di più: il processo di adattamento della nuova macchina non deve essere lasciato a caso, ma i manager devono cronometrare ogni azione al secondo e gli operai devono fare quella mansione rispettando le tempistiche che gli sono impartite senza fare obiezioni (come Amazon oggi). Ford, nonostante avesse bisogno di tantissima manodopera e gli operai erano pagati tanto, c’erano persone che volevano licenziarsi. Il Taylorismo porta a severe conseguenze. La grande impresa americana con un nuovo paradigma studiato da Alfred Dupont Chandler (è parente di un amministratore delegato della Dupont, per questo ha avuto una fortuna personale ad avere accesso agli archivi per studiare la storia dell’impresa. Il suo merito è quello di avere elaborato una teoria e un paradigma storiografico). Il successo del capitalismo industriale americano alla fine del 19esimo secolo è dato dal fatto che una serie di grandi imprese, sono diventate grandi perché hanno effettuato il triplice investimento: in economia di scale e integrazione verticale, diversificazione e marketing e un'organizzazione manageriale moderna. Tutto ciò permette alle imprese su delle dinamiche che definisce del capitalismo manageriale: l’impresa non è più gestita da persone che si improvvisano imprenditori ma si sviluppa un capitalismo di professionisti e manager che sono in grado di farlo funzionare. L’impresa americana è grande, multiunità (fatta da più impianti che tutti producono in scala e tutti hanno bisogno di competenze manageriali specifiche). Chandler dice che quando le imprese americane (e tutti i first movers) si rendono conto delle possibilità aperte dalla nuove tecnologie ed economie di scala, la grandezza ulteriore di queste imprese e del modello americano, rispetto alle altre economie avanzate ma che non arrivano a svilupparsi come in America, è data dal fatto che le imprese americane anche quando fanno i tre investimenti e colgono le opportunità, una volta compiuti non si limitando a questo ovvero “non si adagiano sugli allori”. La storia della grande impresa americana è caratterizzata da una tendenza alla fine del 19esimo secolo nel creare strutture avanzate,integrate e diversificate chiamate -utility form-, in cui tutta l’organizzazione aziendale è suddivisa in utility (le varie unità sono raggruppate ed organizzate secondo delle funzioni ben definite). Quando queste imprese fanno il triplice investimento e diventano delle utility form la loro grandezza ulteriore è stata quella di reinvestire i profitti per diventare ancora più grandi, investire per arrivare a delle strutture ancora più grandi e complesse. Verso gli inizi del 20esimo secolo, ma soprattutto dopo la prima guerra mondiale, le grandi imprese che avevano fatto il triplice investimento diventano ancora più grandi, diversificate e complesse. Si passa ad una -multi-divisional form-, quindi l’impresa diventa talmente grande, complessa e diversificata che ci sono delle branche che prendono autonomia e hanno bisogno di strutture manageriali specifiche chiamate divisioni. Queste strutture manageriale specifiche e semi-autonome si chiamano divisioni. La differenza tra u-form e m-form è la stessa differenza tra Ford e General Motors: la Ford usa la catena di montaggio producendo una sola automobile, la General Motors produce qualsiasi tipo di automobile (raggruppamento di diversi marchi che sono tutte diversi tra gli altri, producono un prodotto diversificato per proporre ad ogni bisogno una risposta) Mano a mano che le imprese crescono ed investono hanno bisogno di strutture sempre più complesse, come la multi-divisional form che si sviluppa nel contesto degli anni ‘20 e ‘30. Questa crescita si caratterizza da aspetti gerarchico-organizzativi sempre più complessi che fanno sì che le catene manageriali siano sempre più complesse e diverse, la grande differenza è che tra la u-form e la m-form le imprese hanno bisogno di una complessità organizzazione maggiore e iniezioni di ricerche scientifiche e sviluppo specifiche. L’impresa americana di questi anni non è un’impresa multinazionale, le imprese americane per la stragrande maggioranza sono focalizzate sul loro mercato nazionale. Il mercato americano per il livello di consumo, per l’espansione verso il west, per la rapida urbanizzazione e gli altri salari ha una cultura caratterizzata da un larghissimo mercato come in nessun altro posto nel mondo. L’impresa americana è focalizzata sul suo mercato nazionale perché è talmente grande che è esso stesso soggetto di investimenti. Eccezione alla regola: impresa americana “SINGER” che produce macchine da cucire. Negli anni ‘60 del 19esimo secolo ha saturato il mercato americano e quindi la sua strategia è quella di conquistare gli stati esteri. L’impresa multinazionale diventerà una forma di capitalismo negli Stati Uniti negli anni ‘60 del 20esimo secolo. Perché in America si sviluppa questo tipo di capitalismo? Questa forma di organizzazione è una struttura che plasma la società, porta a compimento alcune strutture chiave. Ci sono alcuni fattori che spiegano il successo delle imprese americane e la tendenza al big business: • Gli Stati Uniti già prima dell’arrivo della seconda rivoluzione industriale e del big business proponeva delle produzioni in serie e standardizzati, era presente l’American System of manufacturing. Negli Stati Uniti c’è molta più standardizzazione che altrove. • Gli americani hanno un reddito pro capite e dei salari più elevati. Gli americani hanno atteggiamenti più consumistici verso il prodotto e il mercato. Questo significa anche che il livello di standardizzazione e meccanizzazione e creazione di dinamiche di un’economia di scala per un imprenditore americano sono più evidenti. • Il mercato nazionale ha una demografia e geografia del tutto particolare. Gli Stati Uniti hanno un’estensione geografica colossale, sono un paese di popolamento verso il quale nel corso del 19esimo secolo si trasferiscono milioni di persone dall’Europa. • Gioca un ruolo molto importante la conquista del West, per l’economia industriale americana è un colossale incentivo e un colossale affare. Gli americani spostandosi verso il West nella loro avanzata hanno bisogno di prodotti e mercato, fondano città. Questo fattore crea un’estensione dei mercati, del consumo per le imprese. Gli Stati Uniti sono un paese che si sta costruendo durante questi anni. La geografia cambia, vengono fondate grandi città in pochi anni. Questi fattori alimentano una nuova spinta alla standardizzazione, ricerca scientifica, ingegneria e avviano il big business che consente di diversificare la produzione. Mentre si sta creando la grande impresa americana si creano grandi istituzioni formative, queste istituzioni sono private e spesso finanziate dagli stessi industriali. Nel caso americano gioca un ruolo importante la Guerra civile americana (1860-65), che come principale risultato ha l'abolizione dello schiavismo. La Guerra civile americana rappresenta degli incentivi importanti e dinamiche performanti del capitalismo americano: (1) è la prima guerra civile combattuta con armi moderne (2) la guerra civile americana è combattuta tra il nord industriale e il sud agricolo (schiavista) e quindi la politica industriale cambia. Il sud era favorevole al libero scambio perché era un’economia basata sull’esportazione e per questo il sud aveva interessi sul libero scambismo, poiché non aveva tariffe doganali (la manodopera era quasi gratuita con gli schiavi). Quando vince il nord industriale gli Stati Uniti adoperano una nuova politica economica che è progressivamente protezionista. Gli Stati Uniti d’America sono un grande paese (vasto mercato, territorio, grandi imprese, grandi scuole…) ma sono un paese che a partire dagli anni ‘60 diventa protezionista. Un altro fattore importante che rappresenta una particolarità specifica è data da un sistema manageriale specifico, un sistema di finanziamento specifico e da una legge particolare che fa sì che gli stati uniti siano un modello alternativo anche dal punto di vista della competizione. La necessità di un sistema manageriale specifico con persone qualificate si nota particolarmente nel settore ferroviario, poiché è un settore estremamente grande per capire l'innovazione tecnologica. Il sistema non è competitivo ma crea un livello di sviluppo tecnologico-industriale enorme. Le industrie si spartiscono i ruoli nei mercati e creano delle dinamiche di sviluppo, creano delle competenze specifiche. Il sistema è basato su un’altissima cartellizzazione, le imprese fanno degli accordi, si spartiscono i mercati per assaltare i mercati esteri così possono vendere a costi ribassati nel mercato nazionale. Il sistema tedesco può essere tale perché non ha bisogno di essere legato interamente all’economia internazionale. Abbiamo visto come il capitalismo tedesco sia un sistema basato sulla presenza delle banche. Con la seconda rivoluzione industriale, questo procedimento viene accelerato, perché le nuove tecnologie richiedono ancora più finanziamento e ancora più capitale. A questa richiesta, riescono a sopperire le banche miste tedesche. Inoltre, a forza di prestare soldi, le banche diffondono il loro controllo sulle imprese tedesche e su settori industriali specifici presenti in queste imprese. Questo, in Germania, non causa problemi: se tutte le industrie di un settore hanno come finanziatore diretto la stessa banca, queste industrie non si fanno allora la concorrenza tra di loro. Il sistema tedesco, infatti, è un sistema basato sui cartelli. • Cartelli: Sono degli accordi presi tra le imprese per fissare il mercato e spartirsi i prezzi. Si tratta di accordi tra due imprese indipendenti e differenti, finalizzato a aumentare i profitti di entrambe le imprese. Attenzione! Noi oggi consideriamo il sistema dei cartelli come inefficiente. Tuttavia, il caso tedesco ci mostra che non è del tutto vero. In quell’epoca, infatti, due imprese, che in Germania si mettevano d’accordo tramite il sistema dei cartelli, riuscivano ad aumentare i loro profitti in Germania per poi investirli e creare competitività all’estero. Oltre a quello delle banche, che funziona come un sistema performativo in Germania, esiste anche un altro fattore sostitutivo: lo stato. Nel paese, nasce, infatti, un sistema educativo moderno, efficiente e pubblico, pagato dallo stato. Questo consente di creare un vero e proprio capitale umano, ovvero degli esperti utile alla società: ingegneri, tecnici, manager che lavorano per le imprese tedesche. In Germania esistono: • Technische Hochschule: formano ingegneri. • Handelsschule: le scuole commerciali, che formano contabili, ragionieri, commercialisti, manager. Gli ingegneri che escono da queste scuole competono, poi, sul mercato del lavoro. In Germania, alla metà dell’800, esistono tante start up chimiche, create da ingegneri disoccupati. Questi volevano trovare e lanciare sul mercato nuovi prodotti. In Germania si sviluppa, così, un’industria chimico-farmaceutica di tutto rispetto: la Bayer. Questa, infatti, inventerà l’aspirina. Il sistema tedesco e quello americano, quindi, si somigliano in tante cose, come nella presenza di grandi imprese, ma le ragioni per cui la Germania diventa un paese capo della seconda rivoluzione industriale sono differenti da quelle americane: Ragioni: • Presenza di banche miste che finanziano le nuove tecnologie e le imprese. • Concorrenza e competitività all’estero tramite il sistema dei cartelli. • La formazione di un capitale umano. CAPITOLO 5: LA CRISI DI FINE SECOLO, L’IMPERIALISMO E I NUOVI EQUILIBRI INTERNAZIONALI Riassunto delle puntate precedenti: • Dal mondo preindustriale si passa al mondo industriale: Prima Rivoluzione Industriale. • Il modello politico ed economico inglese si diffonde: fondato sul libero scambio. • Globalizzazione ottocentesca: vede il graduale declino dell’Inghilterra, che perde il suo primato industriale. • Seconda Rivoluzione Industriale. Emergono gli Stati Uniti e la Germania. Alla fine del XIX secolo, si assiste alla cosiddetta crisi di fine secolo. Come abbiamo detto, verso la fine del secolo, il modello economico inglese entra in crisi. Questo genera una tensione progressiva tra i vari paesi, sia di tipo economico che militare, che sfocerà nella Prima Guerra Mondiale. Il modello di globalizzazione inglese viene contestato da diversi paesi, che si sentono penalizzati nella globalizzazione, plasmata, appunto, sugli interessi inglesi. Alla fine dell’Ottocento, abbiamo un aumento del commercio internazionale: ci troviamo all’apice della globalizzazione ottocentesca. Tuttavia, rispetto all’inizio della globalizzazione, quando, negli anni ‘60 del secolo, la regina indiscussa era l’Inghilterra, alla fine del secolo, il panorama è diversificato: ci sono altri paesi commerciano di più e aumentano la loro fetta di mercato internazionale, generando per l’Inghilterra più competizione sul mercato. La globalizzazione genera, dunque, degli antipodi, delle tendenze in contraddizione con il modello inglese. Tre sono le principali contraddizioni: 1. Aspetto politico Alla fine del secolo, alcuni paesi cominciano ad adottare delle politiche economiche orientate verso il protezionismo, differentemente dal modello economico inglese. Due paesi, in particolare: Germania e Stati Uniti. Una volta che il liberismo viene messo in discussione da due paesi così forti, molti altri paesi meno sviluppati o in via di sviluppo li seguono. 2. Le tendenze protezionistiche fanno breccia nei diversi paesi e all’interno delle classi dominanti industriali e agricole, perché la globalizzazione ottocentesca, l’integrazione dei mercati porta con sé degli importanti rischi economici. Per la prima volta, si sperimentano delle crisi economiche e finanziarie planetarie. Per questo, gli interessi economici chiedono protezione. 3. Diverse economie che procedono verso l’industrializzazione, e per industrializzarsi, hanno bisogno di materie prime. Una buona parte di queste si ottiene tramite il mercato, il libero scambio ma anche da regioni che non commerciano liberamente con i paesi in via di industrializzazione. La concorrenza tra i diversi paesi genera pian piano una gara da parte dei principali paesi industriali per estendere la propria influenza sulle regioni del mondo ancora non coinvolte nella globalizzazione ed includerle nella loro sfera economica e politica. Questa tendenza storica è il nuovo colonialismo, la cui data di apice è il 1884: a Berlino, si riuniscono tutte le potenze industriali e decidono di spartirsi l’Africa e non solo. La globalizzazione, quindi, che è basata su principi opposti viene messa in discussione da questi tre fattori: • Protezionismo • Crisi economiche • Concorrenza imperialistica per le colonie = scramble Ma, allora, se la crisi di fine secolo mette in discussione la globalizzazione, questo significa che ci sia avvia verso una deglobalizzazione? La risposta è No. Infatti, gli scambi aumentano. Semplicemente, a fine secolo, secondo Osterhammel, si assiste ad una politicizzazione della globalizzazione: i diversi paesi, che prima facevano il fair play, tramite il libero mercato o la partecipazione al gold standard, ora cominciano a cercare di approfittare in modo individuale della globalizzazione. Adottano strategie e politiche che li portano ad avere dei sovra vantaggi. Questo crea un esacerbarsi della competizione internazionale. L’economia della belle époque • Belle époque Termine che si utilizza per riferirsi al periodo tra 1880 e 1914. Coniato dopo la prima guerra mondiale. Questo tipo di economia era caratterizzata da delle tensioni economiche, crisi finanziarie, da un incremento dello scontro e delle tensioni geopolitiche a livello internazionale. Era, tuttavia, anche caratterizzata da una grande libertà di movimenti, di persona ma anche di merci e di capitali. Secondo Fumian, alla fine del secolo si forma una società planetaria: il mondo si pensa in termini unitari, cosmopoliti, internazionali. Si creano delle misure per pensare agli orari del mondo in maniera unitaria: nel 1884 vengono creati gli standard odierni sulle zone orarie (basate sul meridiano di Greenwich). Si tratta dei fusi orari. Con il senno di poi, questo periodo viene visto come un periodo di pace: non ci sono guerre nonostante le tensioni. In realtà, da un punto di vista economico, specie verso la fine del secolo, si assiste allo sviluppo di un fenomeno economico che nelle di fallire. Però in questo caso la banca Baring viene salvata. Quindi, è una crisi argentina e inglese e, dall’Argentina, la crisi si estende negli altri Paesi dell’America Latina. La crisi si trasferisce in Europa in una dinamica che non sospetteremmo mai. L’Argentina e l’America Latina erano Paesi impossibili agli Stati Uniti, in cui c’erano dei processi di colonizzazione interna. Avevano una popolazione autoctona piccola, un territorio geografico vasto e da acquistare e la loro espansione era resa possibile dal fatto che c’erano milioni di immigrati che all’epoca si recavano in Argentina, Brasile e Uruguay. In Argentina c’era il maggior numero di immigrati italiani che scappavano dalle condizioni di miseria in Italia (anche Veneto) per andare a cercare fortuna in Argentina (anche colonie venete). Gli immigrati si trovano ad avere risorse sempre più limitate ma fanno qualcosa di fondamentale alle loro economie di partenza: arrivati nel nuovo Paese, per migliorare le proprie condizioni, o trasferiscono in loco tutta la famiglia o vanno in quel Paese per qualche anno lavorando tanto e spedire a casa il loro denaro attraverso il gold standard. Se non guadagnano niente, non mandano nulla a casa, dove ci sarebbe un problema non solo per le famiglie, ma le rimesse degli immigrati sono una componente importante della bilancia dei pagamenti poiché equivalgono agli investimenti esteri: fanno parte dei movimenti invisibili finanziari che permettono ai paesi con deficit commerciale ma con un’entrata in oro, di tenere in equilibrio la bilancia dei pagamenti. I Paesi che hanno un’enorme immigrazione nei confronti dell’America Latina, hanno un forte squilibrio della bilancia dei pagamenti perché non avevano previsto che gli immigrati smettessero di mandare i soldi a casa. L’economia che ne fa le spese è quella italiana che uscirà dal gold standard. - 1907: crisi del Trust Knickerbocker (da Wall Street al resto del mondo, passando dai centri finanziari internazionali). Comincia in Egitto, nel mercato del cotone egiziano, e interessa le banche commerciali che investivano nel cotone egiziano. Si trasferisce in Inghilterra, poi negli USA dove una banca modesta era esposta (aveva molti affari) nei confronti dell’Inghilterra, ritirando gli investimenti, la banca si trova scoperta: la banca di New York chiamata Knickerbocker. Nessuno la salva, fallisce e il suo fallimento si trasferisce su Wall Street. Nel 1907 negli USA ancora non esiste una vera e propria banca centrale. Quella attuale verrà creata sono nel 1913. Wall Street è uno centri finanziari più importanti al mondo e una volta scoppiata la crisi, non c’è un’istituzione che possa fermare la crisi o agire per cui la crisi dilaga nella manifattura americana e internazionalmente. A questo punto la Bank of England interviene, alzando il tasso di interesse e le giuste condizioni per un pareggio e viene risolta la crisi perché il principale banchiere privato (J. Morgan) degli USA comincia a prestare i soldi ai colleghi in difficoltà affinché ciò non si trasformi in una crisi di sistema. - 1914: crisi di Borsa. Si tratta di un’altra crisi finanziaria. Non sappiamo come sarebbe finita se non ci fosse stata la Prima Guerra Mondiale: il Gold standard sarebbe finito senza lo scoppio della Guerra? (De Cecco, 1974). Non lo sappiamo, la crisi ebbe il suo culmine ad Agosto, dieci giorni dopo la crisi della borsa sarebbe scoppiata la guerra. Viene abolito il gold standard, la convertibilità delle monete, il libero movimento dei capitali, persone e merci. È una crisi generata a Londra per il fatto che la tensione internazionale legata all’imminente scoppio della guerra e le cause di preparazione a questa, hanno cominciato a lavorare in maniera ambigua sul mercato. Il timore dello scoppio della guerra ha creato una sfiducia nei mercati. Gli investitori hanno smesso di investire, con una contrazione degli investimenti. Se si blocca la City di Londra e il mercato delle cambiali, dei prezzi commerciali nel 1914, significa che si generalizza e porta scompensi in tutte le economie mondiali. La Bank of England interviene massicciamente, fornendo liquidità e fornendo oro al sistema, però in cambio di una potente decurtazione delle sue riserve auree. Vuole utilizzare le nostre riserve e integrarle nel mercato finanziario internazionale. Chiede aiuto alle altre banche centrali che, a causa della guerra, nessuno accetta. Si arriva al culmine della tensione (questa è creata dallo svuotamento delle riserve umanitarie inglesi, dalla sfiducia internazionale poiché le banche non si aiutano più) alla vigilia del 3 Agosto: in Inghilterra giorno di festa, venerdì o sabato. La Bank of England decise di prolungare per tre giorni la festa e tenere tutte le banche chiuse per cercare di evitare che i creditori, correntisti e investitori si precipitino verso le banche e ritirino l’oro che non c’è e che avrebbe creato la fine dei sistema del mercato internazionale. Nel periodo che passa tra la festa con la chiusura forzata e la riapertura dei mercati, viene dichiarata la Prima Guerra Mondiale. Non sappiamo cosa sarebbe successo altrimenti. Uno storico dice che probabilmente il gold standard sarebbe comunque finito, invece lo storico italiano M. De Cecco dice di no e che ci sarebbe stata una crisi nei prossimi anni. La Bank of England si è quindi trovata davanti ad un bivio: salvare il sistema o se’ stessa, mantengo la mia riserva aurea garantendo la convertibilità o la sacrifico e aiuto i funzionamento del sistema. Nel 1914 l’economia globale si appoggia sulla decisione del governatore della Bank of England. Quindi, nel 1914 finisce il gold standard. A metà degli anni ‘20 verrà ricreato mettendo sempre al centro la Bank of England. Con queste crisi, capiamo anche i riferimenti e parametri delle crisi economiche di oggi. Ritroviamo molti elementi. Le crisi di nuovo tipo: - Crisi che viaggiano su sistemi finanziari integrati: la finanza dell’economia globale creata dalla seconda metà dell’800 in poi è centrale in tutte le attività economiche. Es: una crisi agricola si può trasformare in una crisi finanziaria e espandersi in nuovi confini con estrema facilità. - Crisi commerciali. Sono ancorate con l’economie reali. I mercati delle materie prime, dei beni industriali, dei prodotti agricoli sono integrati dalla ferrovia, dalle navi a vapore, dal canale di Suez, telegrafo e telefono. - Crisi globali. Nessuno Paese viene salvato ma alcuni Paesi durante la crisi riescono a vivere meglio. Si tratta di Paesi che hanno degli sviluppi bilanciati: hanno industria e agricoltura sviluppate in egual modo. Alcuni Paesi, in assenza di una diversificazione della propria economia, quando scoppia la crisi di una commodity che tiene equilibrata la bilancia dei pagamenti solo grazie al commercio di questa commodity, sono Paesi fragili, esposti in maniera incredibile ai mercati internazionali. Es: il prezzo che crolla del grano dell’Argentina porta alla banca rotta. Persone che vivono in Russia, in Italia, Irlanda, paesi agricoli, devono andarsene. I Paesi che hanno giocato tutte le carte sull’esportazione di quello che sanno fare meglio, se questo va in crisi, hanno avuto difficoltà. Invece, chi aveva politiche industriali di diversificazione, tentando di avere molti settori produttivi industriali che competono, se la cavano meglio. - Crisi di piccole entità. Avvengono in un contesto in cui non c’è un ente (pubblico) che può intervenire, interviene la Bank of England che lo fa sempre cercando di tutelare prima i propri interessi e poi quelli del sistema. È un sistema fragile che si basa su una banca centrale e privata. I flussi migratori internazionali alla fine dell’800 (Ci occupiamo di un’analisi dal punto di vista economico) I flussi migratori sono legati alle necessità o bisogni delle persone che nei Paesi da cui si spostano non stanno bene economicamente, ad esempio, o per motivi religiosi o di guerre. La migrazione può rappresentare un’esportazione di risorse: le persone possono essere considerate come commodities o flussi finanziari. C’è chi esporta materie prime o prodotti industriali e chi manodopera, come fa l’Italia, mandando a casa delle rimesse economiche, finanziando così l’importazione di altre materie prime. Questa esportazione di manodopera avviene come l’esportazione delle altri merci o fattori economici, cioè seguendo dinamiche legate ad un'ideologia fideista e liberale. La manodopera si può muovere liberamente, senza controllo, alla fine dell’800 non esistono permessi di soggiorni o visti. I flussi vengono controllati all’entrata nei principali paesi di immigrazione come USA, Argentina, Australia con gli stessi criteri delle merci. Non c’è spazio per tutti, ma le persone vengono accettate solo se considerate utili al lavoro. A Melbourne c’è il museo dell’immigrazione che cerca di far capire quali sono le dinamiche del flusso migratorio. Nella stanza del giudizio, il visitatore deve decidere se far entrare o no una bambina ceca -> a famiglia può entrare a causa della bambina che pesa sul sistema sanitario? Quindi c’erano dei criteri che non permettevano di avere pietà. del lavoro di questo piccolo paese francese). Huberman dice che il periodo di fine ottocento, caratterizzato da grandissime migrazioni internazionali che avvengono una forte integrazione dei mercati, che potrebbe essere caratterizzato da una corsa al ribasso (competizioni, merci che devono costare poco e la manodopera costa poco) questa race to the bottom si è evitata. Al contrario questo tipo di integrazione dei mercati è stato caratterizzato da un elevamento complessivo degli standard di vita. I paesi dove c’erano delle politiche sulla manodopera peggiori, venivano spinti ad adottare delle protezioni sociali che miglioravano gli standard di vita Michael Huberman consulta la cronologia dei trattati commerciali e delle leggi sui sindacati, sul lavoro minorile e femminile e capisce che, mano a mano un paese entrava nella logica della globalizzazione, aboliva il lavoro minorile, il lavoro troppo faticoso per le donne, lo schiavismo... L’abolizione stessa della schiavitù viene progresssivamente estesa quando si ha la progressiva integrazione dei mercati. Alla fine dell’Ottocento, nasce il concetto di fair trade e la fair trade league, animata dall’integrazione dell’economia, dal liberalismo. Per far sì che esista la competizione, bisogna, però, che ci siano delle condizioni di manodopera e di lavoro umane. Huberman ha scoperto che era parte dei negoziati legati all’integrazione dei mercati. Quando l’Inghilterra chiedeva ad un altro paese di diventare suo partner, chiedeva anche di migliorarne le condizioni di lavoro. Nel corso dell’800, quindi, molte economie europee hanno aumentato lo standard delle condizioni lavorative in un periodo di grande integrazione dei mercati, proprio per migliorare queste dinamiche di integrazione. Protezionismo e imperialismo Siamo, da un lato, a fine secolo, all’apice dell’integrazione dei mercati. Tuttavia, in questo contesto di integrazione dei mercati e di rapida crescita di volume delle merci scambiate, appaiono due dinamiche storiche che in parte contraddicono i principi del libero mercato: • Protezionismo: si pensa che sia necessario in parte rivedere i modi in cui il mercato si è aperto; vengono stabilite delle leggi che proteggono le merci e le produzioni nazionali rispetto a quelle di importazioni. • Imperialismo: possiamo definire non solo l’imperialismo finanziario ma anche la tendenza a creare prima ed espandere poi nuovi imperi coloniali che basano la loro economia non più sul libero scambio ma su uno scambio forzato, cioè subordinato al controllo politico diretto di vasti territori. Queste due dinamiche sono solo in parte una contraddizione coi principi del libero scambio. Il protezionismo, ad esempio, non ha significato una diminuzione nel volume del commercio internazionale. L’imperialismo ottocentesco (data chiave del colonialismo europeo: congresso di Berlino 1884-85, in cui l’Africa viene spartita a tavolino tra le varie potenze industriali europee) è una colonizzazione di tipo nuovo rispetto a quelle del passato, perché si basa su principi economici di libero scambio nonostante si tratti di colonie e paesi senza indipendenza economica. Protezionismo e imperialismo non sono una deglobalizzazione, questi due fattori ci indicano che a partire dagli anni ‘80 e ‘90 dell’800 i diversi paesi avanzati, industriali cominciano a giocare al gioco della globalizzazione con delle regole parzialmente nuove, non più liberali. Le regole nuove sono basate su una visione più politica dello sviluppo economico: il commercio da solo non è più necessario per sviluppare un paese, pian piano tutti i paesi cominciano a pensare che devono svilupparsi prima di accedere al mercato internazionale. Protezionismo e colonialismo vanno in questa direzione: fornire ad un paese protezione, risorse e industrie che facciano in modo che i paesi si integrino. Grafico: In rosso c’è l'andamento del mercato mondiale, che negli anni è sempre cresciuto. L’ansa è quando la crescita del mercato internazionale crolla, e quando smette di crescere è perché c’è la Prima Guerra Mondiale. Il calo totale è dato dalla crisi del ‘29. Il protezionismo che collochiamo all’inizio del ‘900 non ha diminuito il volume del commercio internazionale. Sotto il protezionismo e il colonialismo in realtà il commercio internazionale non cala. La linea tratteggiata indica una linea di tendenza basata sul livello di crescita tra 1817 e 1913. Se la linea rossa è al di sopra di quella tratteggiata, vuol dire che l’economia cresce di più della tendenza storica. Se la curva rossa è più ripida rispetto a quella tratteggiata, vuol dire che la velocità dell’integrazione dei mercati è maggiore rispetto alla tendenza storica. Tendenza storica: vuol dire che è stata creata una curva di tendenza, ossia una curva basata sulla media della crescita annuale tra 1817 e 1913. La curva presuppone che in tutto questo periodo il commercio internazionale sia cresciuto in maniera costante. Fare una curva di tendenza serve a capire quando si cresce di più e quando di meno. L’integrazione dei mercati avviene in un contesto in cui si mettono in campo il protezionismo, la crisi economica, il colonialismo. Attenzione: da un punto vista macroeconomico,una colonia fa parte dello spazio economico nazionale e quindi della bilancia dei pagamenti di un paese. Il grafico è utile perché misura il commercio internazionale e ci fa capire cosa succede tra la fine dell’800 e l'inizio del 900. Perchè si arriva al protezionismo? L’attivazione di tutta una serie di leggi doganali mirate a proteggere i beni nazionali è figlia della crescita della competizione internazionale che caratterizzava l’economia mondiale della fine dell’800. I due principali attori della seconda rivoluzione industriale, cioè Germania e USA, sono dei validi competitors per l'Inghilterra. Primeggiano in una serie di industrie e prodotti, e grazie al loro sviluppo economico, essi sono attori importanti per industrie che erano appannaggio alle industrie inglesi. Prima ragione che porta al protezionismo. Tutti i paesi producono prodotti industriali e quindi c’è competizione. Non c’è più una divisione internazionale, tutti i paesi industriali producono quasi tutti i beni industriali e alcuni paesi lo fanno meglio di altri e diventano paesi esportatori. Seconda ragione che porta al protezionismo. La storia economica internazionale è caratterizzata da crisi cicliche di intensità più o meno importanti. Nel 1873 scoppia la Grande Depressione. Una delle risposte della classe dirigente economica alla Grande Depressione è stata quella di chiedere protezione da parte del governo, chiedono protezione perché con il libero mercato non si può andare avanti. L'eccesso di competizione crea dei presupposti per diminuire la competizione internazionale stessa. A metà dell’800 si creano i cartelli internazionali: associazioni private tra imprenditori che si mettono d’accordo sui prezzi. Con la concorrenza si sviliscono i profitti e, a fine ottocento, nascono associazioni come la Aluminium Association. I cartelli diventano delle associazioni internazionali, che servono a mettere ordine sul mercato. Tutto ciò per dire che l’integrazione dei mercati ha in realtà dei problemi di governance, quindi pone problemi politici ed economici, la stessa competizione internazionale crea dei problemi di sviluppo, dei problemi di profitti delle imprese. Ci sono dei paesi che si rivolgono al protezionismo e ci sono anche riposte private, ovvero i cartelli. Complessivamente, si arriva al protezionismo, perché nei diversi paesi, che vent’anni prima avevano adottato delle politiche liberiste, lo avevano fatto per industrializzarsi. Nel contesto della grande depressione, il protezionismo è caratterizzato, praticamente in tutti i paesi, da una nuova alleanza inedita tra i blocchi agrari e industriali che di fronte alla concorrenza, pensano sia meglio proteggersi piuttosto che diminuire le tariffe doganali. Con la grande depressione degli anni ‘80 dell’800 si hanno convergenze: agrari (subiscono la concorrenza delle importazioni russe e americane) ed industriali (subiscono i bassi prezzi internazionali nei mercati industriali) si trovano d’accordo nel chiedere al proprio governo protezione e non più libero scambio. Il protezionismo, infatti, è caratterizzato da questa alleanza tra paesi in cui vengono applicate delle leggi protezionistiche. Non per tutti i paesi, ovviamente, ha senso adottare delle leggi protezionistiche. • Italia: ha senso adottare il protezionismo nei confronti dell’acciaio? Sì. Il mercato della Terni, ad esempio, diventa competitivo all’interno del mercato nazionale. • Argentina: ha senso adottare il protezionismo sull’acciaio? No. Esporta carne e grano. Non ha senso che paghi per esportare dell’acciaio. Il protezionismo di fine ‘800 è legato a due dinamiche importanti: estere, nel paese ci sono molti interessi stranieri che investono perché esportare è molto difficile. Gli altri paesi seguono questo modello di sviluppo industriale perché il libero scambio non è sempre la politica ottimale quando si vuole industrializzare il paese. Questo è il caso della Germania, della Francia e dell’Italia che alla fine tra gli anni 70 e 80 creano delle politiche doganali riviste in senso protezionistico. I primi dazi ad valorem iniziano nel 1879, dopo lo scoppio della grande depressione, negli anni 80 vengono tenuti moderati e negli anni 90 all’apice della seconda rivoluzione industriale anche in Germania vengono aumentati i dazi doganali. Proteggere il mercato interno, i produttori interni per fare della Germania un paese industrialmente più sviluppato. Il protezionismo in Germania è richiesto dai ceti industriali che chiedono di essere difesi dalla concorrenza estera ma trovano un accordo con i ceti agrari. In Francia la svolta agraria è avviata dai ceti agricoli, perché si sente minacciata dall'integrazione dei mercati, dalla depressione dalla crisi… Invoca un protezione doganale, tre anni dopo nel 1881 l'industria si aggrega e inizia ad applicare i dazi doganali. Tra il 1882-83 si avviano all’interno dell’Europa delle guerre tariffarie tra Francia ed Italia. La Francia applica delle politiche protezionistiche generalizzate, ma in tutta una serie di commodities (grano, vino, uva, paglia) dice di subire una concorrenza “sleale” da parte dell’Italia. La Francia all’inizio degli anni 80 contravviene ad uno dei principi fondamentali: la clausola della Most Favoured Nation viene messa in pausa per l’Italia, che a sua volta discrimina i prodotti francesi. Si avvia un processo di applicazione di dazi doganali inizialmente diretto all’agricoltura che successivamente si rivolge anche alle industrie. Gli scontri sono caratterizzati da due paesi che fra di loro si contendono uno spazio commerciale, pensano che il problema sia derivato da un condotta sleale da parte dell’altro paese. La Francia considera sleale i prezzi agricoli dell’Italia perché molto bassi. Tra Italia e Francia che si fanno le guerre commerciali un paese che ne fa le spese è la Svizzera. La Svizzera risponde facendo una guerra commerciale ed adottando dei principi protezionistici. Politicizzazione degli scambi: idea di un governo che può intervenire in un commercio non per vietarlo, ma per guidarlo, influenzarolo e volgerlo ai propri interessi nazionali. Conseguenze del protezionismo (da un punto di vista teorico): • Industrializzazione e diversificazione produttiva su basi artificiali (da un punto di vista della competitività e dei fattori naturali) Quando c’è una protezione eccessiva l’industria che sorge alle spalle di questa industrializzazione è un’industria artificiale, che approfitta della protezione doganale per svilupparsi anche se non avrebbe la forza e la competitività di farlo da solo. Alcune industrie funzionavano su prezzi alti senza essere competitive che senza il protezionismo non avrebbero potuto esistere. • Sostituzione di importazioni anche dove non ci sono vantaggi naturali Il protezionismo è una politica irrazionale perché a volte i paesi che lo adottano non hanno risorse e non riescono a sostituire le importazioni ed a sfruttare meglio le proprie risorse. • Spin off per alcuni settori: produzione nazionale ed importazione come complementari Spesso il protezionismo consente alle industrie non competitive di diventarlo, per alcuni settori ha svolto un ruolo di spin off tecnologico. • Grandi differenze a seconda del grado di protezione e di sviluppo Il grado di successo del protezionismo è dato dal grado relativo di industrializzazione del paese, in un paese dove non c’è niente, dove non ci sono politiche di sviluppo, spirito imprenditoriale o risorse con il protezionismo questo paese non fa nulla. Il protezionismo ha funzionato dove i fattori sostitutivi agivano e hanno utilizzato il protezionismo come fattore aggiuntivo (es. Germania) GERMANIA In Germania gli effetti del protezionismo sono positivi, perché diventa una potenza industriale (aiutato dalle politiche statali e dai cartelli). Le imprese tedesche possono orientare la loro competitività verso l’estero. STATI UNITI Gli Stati Uniti sono un paese che arriva a questo grado dello sviluppo economico in una fase in cui il mercato americano è profondamente protetto. Anche in questo caso c’è un effetto importante e diverso negli USA, si sono infatti dotati di una legge anti-trust che vieta alle imprese protette dalla concorrenza internazionale di eliminare la interna. REGNO UNITO Il Regno Unito era troppo specializzato, non aveva un’agricoltura da difendere, il protezionismo avrebbe aumentato i prezzi dei prodotti alimentari e avrebbe ridotto le importazioni, la centralità di Londra nel sistema finanziario internazionale poggiava sulle entrata ed uscita dei capitali liberamente. Questo fa dell’Inghilterra un paese che nella fase finale dell’800 nonostante sia colpita dalla depressione dei prezzi industriali li accetta lo stesso, il libero mercato gli consente ancora lo sviluppo finanziario. Senza produzione non riesce a fare quello che hanno fatto Germania e Stati Uniti. Il protezionismo significa aumento della politica internazionale, aumento della globalizzazione, scontro economico che è poi diventato militare. Imperialismo e “scramble” africano Nel contesto di accresciuta rivalità tra i paesi, che si stanno facendo concorrenza e cercano di migliorare la competitività internazionale, si sviluppa questo nuovo fenomeno della -colonizzazione ottocentesca-. L’espansione degli imperi coloniali non si può comprendere se non la si situa in un contesto di scontro/tensione internazionale. La colonizzazione da un punto di vista economico significa che territori sempre più larghi vengono vincolati attraverso le colonie all’espansione del commercio e delle industrie, allo sviluppo industriale. Il colonialismo è accompagnato da una retorica di motivazioni politiche. La ragione principale della colonizzazione è che gli investimenti nelle nuove terre incolte e nei nuovi territori dove non c’è sviluppo rappresentano un’applicazione fondamentale dell’imperialismo economico. Di fronte alla depressione economica internazionale, di fronte all’andamento degli affari caratterizzati da crisi cicliche, di fronte ad una concorrenza internazionale, tutti i fattori che diminuiscono i tassi di profitto l’impero coloniale rappresenta un’opportunità per investire. Nell’impero coloniale non ci va solo la finanza, ma si trovano una serie di prodotti e materie prime necessarie ma che i paesi industriali non riescono a prodursi da soli. In una fase di protezionismo, di confronto industriale commerciale internazionale le colonie rappresentano un’integrazione di nuove aree, con nuove risorse, possibilità e capacità all’interno della propria sfera monetaria nazionale. Significa allargare il proprio mercato interno e poter diminuire le importazioni dall’estero delle materie prime. Le colonie che si sviluppano nel corso del 1800 sono delle colonie di tipo completamente nuovo rispetto alle vecchie colonie e gli affari coloniali nuovi sono di nuovo tipo rispetto alle colonie dell'imperialismo e colonialismo: il vecchio imperialismo aveva colonie meno estese dal punto di vista territoriali, ma gli attori della colonizzazione svolgevano un ruolo politico ed economico al tempo stesso. Le imprese tipo la compagnia delle indie erano delle organizzazioni che avevano i monopoli del potere economico e politico concesso dalla madrepatria. Il colonizzatore era interessato solo agli aspetti economici e contemporaneamente gestiva il potere politico. Il nuovo colonialismo è un colonialismo statuale, portato avanti dai governi. Il governo delle colonie non viene attribuito alle imprese private che partecipano allo sfruttamento delle risorse che viene gestito dal potere politico centrale, quindi dal governo stesso della madrepatria. Nel corso degli anni 70 dell’800 c’era un’impresa tedesca molto grande che commerciava con tutta la costa africana. andava dalle tribù, comprava beni tropicali e li esportava in Germania. La Woermann, Jantzen e Thormählen. Questa impresa essendo sempre più interessata all’olio di palma decide di smetterla con l'acquisto dell’olio dalle tribù locali e vuole costruire una piantagione in Camerun. Si rende però conto che ha bisogno di istituzioni politiche moderne. Propone ai re locali di firmare un accordo che dice che in cambio di una pensione annuale i re retrocedono l’amministrazione del regno all’impresa tedesca. Accordo firmato a fine maggio- inizio giugno 1884. Pochi giorni dopo la firma del contratto il console africano decide di regalare il territorio del Congo a Bismarck ed allo stato tedesco, ad inizio giugno
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