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Storia Ed Estetica Del Cinema, Sintesi del corso di Storia Del Cinema

Riassunto del manuale principale di Storia Ed Estetica Del Cinema dell'Università di Torino intitolato "Storia del Cinema. Un'Introduzione" scritto da D. Bordwell e C. Thompson

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 12/01/2019

serena.20396
serena.20396 🇮🇹

3.5

(4)

7 documenti

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Scarica Storia Ed Estetica Del Cinema e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! CAPITOLO 1 L’INVENZIONE DEL CINEMA E I PRIMI ANNI (1880-1904) Inventato durante l’ultimo decennio dell’800, il cinema divenne presto una forma d’intrattenimento che offriva alle masse uno spettacolo visivo a buon mercato. Alcuni dei requisiti principali furono la comprensione di come l’occhio vedeva il movimento, la possibilità di proiettare una serie rapida di immagini su una superficie alla velocità necessaria per creare l’illusione di movimento, la fotografia per riprendere le immagini su una superficie chiara e come le foto venissero impressionate su una base flessibile in modo da scorrere rapidamente attraverso una macchina da presa. Alcuni dei precursori del cinema sono l’americano Eadweard Muybridge, il cui esperimento con le foto della corsa dei cavalli ispirò il francese Etienne-Jules Marey, il quale invece studiò i movimenti veloci di animali come il volo degli uccelli. Un altro francese, Augustin Le Prince, arrivò vicino ad inventare il cinema in anticipo, nel 1888. La sus sfortuna fu quella di non riuscire ad ideare un proiettore utilizzabile. Nel 1890 egli sparì con una valigia di invenzioni già brevettate. Nel 1888 Thomas Edison e l’assistente Dickson cominciarono a lavorare su macchine che potessero riprendere e mostrare le immagini in movimento, arrivando a brevettare nel 1891 il kineotgrafo e il kinetoscopio. Una delle decisioni più importanti di questo processo fu la pellicola di 35 mm con quattro perforazioni laterali, modello usato ancora oggi. Il primo locale con kinetoscopio fu aperto a New York nel 1894 ma, grazie ad altri inventori ispirati da Edison che si misero a lavorare per migliorare i suoi meccanismi, non durò molto. In Germania i fratelli Skladanowsky lavorarono con 53 mm di pellicola, ma dovettero adattarsi all 35 mm, poichè la loro era troppo ingombrante. In Francia furono i fratelli Lumiere a creare un sistema di proiezione che rese il cinema un’impresa commerciale di respiro internazionale, ideando il cinématographe, una piccola macchina da presa che poteva anche stampare copie positive. Montato davanti ad una lanterna magica, diventava un proiettore. Girare i film a 16 fotogrammi al secondo divenne successivamente lo standard per 25 anni. Il primo film girato in questo modo fu “L’uscita dalle fabbriche Lumière” nel 1895. Il 28 dicembre del 1895 si ebbe una delle più famose proiezioni in una delle sale del Grand Café di Parigi. Nel frattempo, in mezzo al successo dei francesi, nel Regno Unito furono Robert Paul e il suo socio Birt Acres, sempre nel 1895, a sviluppare un analogo processo. Il film “Rough Sea at Dover” divenne uno dei più famosi delle origini del cinema. Negli Stati Uniti ci furono tre invenzioni a rivaleggiare tra di loro: -aggiungere un ricciolo alla macchina da presa per allentare la tensione della pellicola, di Woodville Latham -il phantoscope di Francis Jenkins e Thomas Armat, che poi si separarono -il mutoscope di Herman Casler nel 1894, che produceva immagini più grandi e nitide usando la pellicola da 70 mm. Nel 1897 la sua associazione American Mutoscope era la più famosa società cinematografica americana. Due erano i principali sistemi di cinema: il peep-show per spettatori individuali e la proiezione per un vasto pubblico. LA NASCITA DELLA PRODUZIONE E DELL’ESERCIZIO Il nuovo mezzo cinematografico si inserì facilmente nei metodi d’intrattenimento delle famiglie della classe media della fine del XIX secolo. In molti casi i programmi riguardavano avvenimenti reali accaduti nelle località in cui si trovava il teatro di proiezione. In futuro, i film di finzione diventeranno i più famosi. La maggior parte dei primi film era composta da una singola inquadratura, con la macchina ferma e l’azione che si svolgeva in una sola ripresa, fino al 1899 quando i produttori cominciarono a realizzare film con inquadrature multiple. Lo spettacolo era anche generalmente accompagnato da musica. In Francia i fratelli Lumière erano convinti che il cinema sarebbe stata una moda di passaggio e perciò cercarono di sfruttare la loro invenzione il più possibile, senza venderla, proiettando film in molti paesi. Alcuni dei loro collaboratori introdussero varie innovazioni tecniche, come per esempio il movimento di macchina nel 1896 di Eugène Promio. Nel 1897 iniziarono a vendere il loro cinematographe ma vennero presto esclusi a causa di rivali più innovativi. Nel 1905 la loro dittà cessò la produzione filmografica. Altri grandi nomi in Francia furono il regista George Méliès, il produttore Charles Pathé e il regista Ferdinand Zecca. La società di Pathé ebbe molto successo e la sia rivale principale in Francia era la Léon Gaumont, inizialmente occupatasi di materiale fotografico, iniziò a produrre film nel 1897 con la prima donna regista, Alice Guy-Blaché. Uno studio nuovo nel 1905 e il lavoro del regista Louis Feuillade accrebbero la sua importanza. Nel Regno Unito divenne popolare il phantom ride, che dava la sensazione allo spettatore di viaggiare durante la visione del film. I primi film inglesi divennero famosi grazie ai loro spettacolari effetti speciali. Produttori si riunirono nella Scuola di Brighton, capeggiata da George Smith e James Williamson, precedentemente fotografi. “The Big Swallow” e la commedia grottesca “Mary Jane’s Mishap” sono un esempio dell’ingegno di questa scuola. Gli Stati Uniti rimanevano counque il più grande mercato cinematografico del mondo. Spesso le ditte americane si copiavano a vicenda, a causa della mancanza del copyright. La crescità fu così estremamente veloce, con i generi più famosi del patriottico e delle Passioni (di Gesù). L’American Mutoscope Company cambiò il nome in AM&B (B per Biography) e vinse una causa contro Edison. Nel 1903 cominciò a produrre film con la pellicola da 35 mm invece che con quella da 70 mm e nel 1908 assunse David Griffith, uno dei più grandi registi dell’epoca. Per contrastare la concorrenza, Edison realizzò film più lunghi con l’aiuto del proiezionista Edwin Porter. Noto per molte delle innovazioni pre-1908, creò anche il primo film barrativo “Life of an American Fireman”, con varie inquadrature. Adattò anche il romanzo “Uncle Tom’s Cabin” nel 1903 e sempre nello stesso anno girò il suo film più importante “The Great Train Robbery”. Nel 1905 diresse “The Kleptomaniac”. CAPITOLO 2 LA PRODUZIONE CINEMATOGRAFICA IN EUROPA In Francia continua la rivalità tra le ditte cinematografiche della Pathé e della Gaumont, la prima nota per il sistema di concentrazione verticale ed ebbe poi il monopolio su tutto. Sei registi lavoravano nella società Pathé, producendo ognuno un film a settimana. I film di maggior successo della Pathé furono le loro serie con comici famosi (Max Linder, André Deed e Prince). La casa produttrice principale di qiesto periodo era la Svenska Biografteatern, nata nel 1907. Molti dei negativi dei film vennero distrutti dopo un incendio nel 1941. Il cinema svedese fu la più grande alternativa a Hollywood dopo la guerra, cosa che però causò anche il suo declino. L’AMERICA ALLA CONQUISTA DEL MERCATO MONDIALE Dopo l’impegno nel mercato interno, l’America comincia ad espandersi con Vitagraph che apre uffici di distribuzione con succursali a Londra e Parigi, la prima delle cui divenne presto centro internazionale per la compravendita di film americani. Con la Prima Guerra Mondiale, tutti si voltarono verso la produzione hollywoodiana poichè le imprese europee furono costrette quasi tutte a fermarsi. Case di distribuzione indpendenti si unirono man mano a formare lo studio system, che diventerà fonte di grandissimo profitto. In questo sistema la lavorazione di un film era sempre più divisa tra diversi specialisti (sceneggiatura, scrittori, regista etc). La zona di Los Angeles fu dove vennero realizzati veri e propri studi cinematografici. L’appeal dei film americani era dovuto alla leigatezza formale ed ai ritmi coinvolgenti di una produzione che faceva molto uso del montaggio di continuità, che fu poi adottato anche in Europa negli anni Venti. Allora come oggi, cercando di rendere gli intrecci della trama comprensibili, si utilizzavano catene di cause ed effetti che interagiscono con la psicologia dei personaggi. Con il lungometraggio di 75 minuti c’è bisogno di molti registi, la cui nuova generazione si aggiunge alla precedente. Due dei principali registi furono Thomas Ince (“Civilization”, 1916) e David Griffith (“Judith of Bethulia”, 1914 e “The Avenging Conscience”, 1914-15). Film più famoso di Griffith fu “The Birth of a Nation” del 1915, storia della guerra civile americana. “Intolerance”, film da 14 rulli del 1916, fu un film usato da Griffith per cercare di superare sè stesso. Da notare in questo film è un nuovo stile di ripresa, con la cinepresa montata sul montacarichi per creare un movimento in picchiata sulla scena. Altri film del regista furono “Hearts of the World” del 1918 e “Broken Blossoms” del 1919. Registi della nuova generazione invece includono l’emigrato francese Maurice Tourneur (“The Wishing Ring”, 1914; “The Blue Bird”, 1918; “Victory”, 1920; “The Last of the Mohicans”, 1920) e Cecil DeMille (“I Prevaricatori”, 1915; “Maschio e Femmina”, 1919). Famosa in questo period era la slapstick comedy con personaggi del calibro di Charlie Chaplin. I registi principali furono Mark Sennet e Harold Lloyd, due rivali. CAPITOLO 4 LA FRANCIA NEGLI ANNI VENTI A causa della guerra, l’industria francese ebbe un grande calo, mentre aumentò l’importazione di film stranieri, con esportazioni mediocri. Un problema era anche l’unità, poichè Pathé e Gaumont non si occupavano più della principale produzione, oltre ai dispositivi obsoleti rispetto a quelli americani. Il genere più popolare era il serial, con lavori di Feuillade come “Tih Minh” del 1919 e “Les Duex Gamines” del 1921, e di André Antoine (“I Fratelli corsi”, 1916 e “L’Arlésienne”, 1922). Genere minore fu il fantastico, con esponente principale René Clair (“Parigi Che Dorme”, 1924 e “Il Viaggio Immaginario”, 1926). L’IMPRESSIONISMO FRANCESE Si sviluppa tra il 1918 e il 1923, quando una generazione di autori volle trasformare il cinema in forma d’arte. Germaine Dulac (“La Sorridente Madame Beudet”, 1923 e “Ragazzina”, 1923); Jacques Feyder (“L’Atlantide”, 1921); Abel Gance (“La Decima Sinfonia”, 1918-inaugura il movimento impressionista e segue con altre opere come “Per la Patria”, 1919 e “La Roue”, 1922); Marcel L’Herbier (“Rose-France”, 1919; “La Giustizia del Mare”, 1920; “Eldorado”, 1921 prodotti dalla Gaumont); Jean Epstein (“Pasteur”, 1922). Una casa editrice russa, la Yermoliev, si traferì a Parigi diventando la Films Albatros. Ivan Mosjoukine, il loro attore principale, diventò una star del cinema francese. Di questa casa sono da ricordare i film “Il Braciere Ardente” e “Kean, Ovvero Genio e Sregolatezza” del 1923 insieme a “Il Fu Mattia Pascal” nel 1925. I film impressionisti contenevano un gran numero di effetti ottici, utilizzati per comunicare la percezione soggettiva. Oltre a ciò era presente un montaggio molto veloce, per esplorare lo stato mentale dei personaggi. Particolar cura in questi film andava nell’illuminazione e l’aspetto fotografico degli oggetti, oltre alle sorprendenti scenografie. Per quanto riguarda la narrazione, venivano usati espedienti per entrare nella mente del personaggio, come flashback, la visione dei suoi desideri o lo stato di ebbrezza. La narrazione era comunque generalmente piuttosto convenzionale. Il movimento dell’impressionismo nel cinema terminò nel 1929, a causa dell’introduzione del sonoro. In contemporanea all’impressionismo altre frome come il film d’arte, il dadaismo e il surrealismo trovarono il loro posto nell’industria cinematografica. CAPITOLO 5 LA GERMANIA NEGLI ANNI VENTI L’isolamento economico del dopoguerra comportò un incremento nella produzione di cinema. Nel 1913 nacque l’Autorenfilm, la cui prima opera fu “Der Andere” di Max Mack nel 1913. Più famoso fu “Der Student von Prague”, sempre del 1913, di Stellan Rye con star del teatro Paul Wegener. Dal 1918 fino al 1933 la produzione tedesca fu seconda solo a quella Hollywoodiana, graze al governo e alla nascita della UFA (Universum Film Aktiengesellschaft) nel 1917. Ernst Lubitsch divenne il più importante autore de filone epico-storico tedesco, realizzò “Madame Dubarry” ne 1919 con 40.000 euro di budget. L’ESPRESSIONISMO Manifestato nel 1908 in pittura e teatro, l’espressionismo rappresentava una reazione al realismo ed un tentativo di esprimere le emozioni più profonde. In pittura, due furono i gruppi principali: -Die Brucke, fromato nel 1906, con membri Ernst Kirchner e Erich Heckel. -Der Blaue Reiter, formato nel 1911, con membri Franz Marc e Wailij Kandinskij. Un film rappresentativo di tale movimento è sicuramente “Il gabinetto del Dottor Caligari” diretto da Robert Wiene e uscito nel 1920. L’espressionismo puntava tutto sulla messa in scena, con la scenografia che doveva funzionare come un organismo vivente. L’azione spesso procede a sbalzi e la narrazione subisce pause, a causa della difficoltà di mantenere tale pratica per una lunga durata di tempo ininterrotta. Il tratto più ovvio è l’uso di forme distorte ed esagerate che trasformano gli oggetti, con un’interpretazione da parte degli attori volontariamente esasperata, a volte muovendosi a scatti o mettendosi a compiere gesti improvvisi. Molti film espressionisti presentano una storia che fa da cornice, oppure episodi autonomi incastonati nel racconto. Il Kammerspielfilm, “Teatro da camera”, prende il nome da un teatro aperto dal regista Max Reinhardt. Esso concentrava la sua attenzione su pochi personaggi e l’esplorazione di una crisi esistenziale, puntando ad una recitazione evocativa. Di solito coprono un intervallo di tempo piuttosto breve. LE TRASFORMAZIONI DELLA SECONDA METà DEGLI ANNI VENTI A causa della competizione internazionale, ci fu una modernizzazione tecnologica dell’industria. L’UFA per esempio ingrandì i suoi due maggiori stabilimenti, dove poi vennero prodotti “I Nibelunghi” di Lang e il “Faust” di Murnau. Il tentativo in Germania della Paramount nel 1921 portò i registi tedeschi ad adottare modelli di false prospettive e le innovazioni illuminotecniche degli americani. Verso la fine degli anni Venti, strutture come gru, altalene, montacarichi e piattaforme girevoli avevano liberato la macchina da presa dall’immobilità del cavalletto. Tra il 1925 e il 1927 l’UFA si ritrovò indebitata molte volte e fu costretta a vendere parte dei suoi edifici amministrativi. Presa da Alfred Hugenberg, divenne punto di riferimento del regime nazista. LA NUOVA OGGETTIVITà L’espressionismo ebbe un declino a causa del costo di produzione e della partenza di molti registi tedeschi verso Hollywood. Inoltre, molti artisti abbandonarono l’esasperata emotività per avvicinarsi al realismo e ad una più controllata analisi sociale. Questa tendenza venne denominata Neue Sachlichkeit. Vista anche nella fotografia e nel teatro d’avanguardia, per quanto riguarda il cinema, una modalità ricorrente era ambientarli in luoghi urbani. Come esempio abbiamo “La Strada” di Karl Grune del 1923. Il regista più celebre fu Georg Wilhelm Pabst, giunto al successo con “L’Ammaliatrice” del 1925. Critica di questi film è che non sembravano offrire soluzioni ai problemi che mostravano. LO STILE CLASSICO E LO STILE INTERNAZIONALE Per contrastare la superpotenza americana, l’UFA raggiunse un accordo con il distributore parigino Louis Aubert per distribuire constantemente film in diversi paesi europei. Nel 1924 iniziò a lavorare nell’UFA l’art directioner Alfred Hitchcock, producendo come regista “The Pleasure Garden” nel 1925 e “The Mountain Eagle” l’anno successivo. A partire dalla metà degli anni Venti si sviluppò un’avanguardia internazionale che combinava l’impressionismo francese, l’espressionismo tedesco e la scuola sovietica del montaggio. Un esempio fu “Don Giovanni e Faust” di Marcel L’Herbier nel 1922. Il nome più rappresentativo fra i registi europei degli ultimi anni del cinema muto fu Carl Th. Dreyer. Lavorò prima come giornalista in Danimarca poi sul suo primo film “Il Presidente” alla Nordisk. In Germania realizzò invece all’UFA opere come “Desiderio del Cuore” (1924) e “L’Angelo del Focolare” (1925). Lavorò anche in Francia dove diresse “La Passione di Giovanna D’Arco” nel 1928, un film che combinava le influenze del cinema d’avanguardia francese, tedesco e sovietico in uno stile innovativo ed originale. Altro genere in cui si dilettò fu l’horror con “Il Vampiro” del 1932. CAPITOLO 6 IL CINEMA SOVIETICO NEGLI ANNI VENTI Il cinema sovietico dopo la Rivoluzione può essere suddiviso in tre periodi: Se gli anni Venti in Europa, furono anni di sperimentazioni ed avanguardie artistiche, negli Stati Uniti, si assiste ad un progressivo perfezionamento dei dispositivi tecnici. Nei teatri di posa si arriva ad escludere totalmente la luce solare. Le parti della scena situate sullo sfondo vengono illuminate con luci di riempimento, mentre le figure principali sono sottolineate dal controluce che illumina da dietro e da sopra il soggetto della ripresa, mentre dal lato opposto alla luce principale, una luce più debole serve ad attenuare i contrasti. A questo nuovo uso dell’illuminazione si aggiunge il sempre più frequente ricorso a filtri ottici e ad un sempre più perfetto uso del montaggio. La pellicola pancromatica, capace di impressionare dettagliatamente l’intera scala dei grigi, sostituisce totalmente l’uso della pellicola ortocromatica che restituiva una fotografia più contrastata e meno leggibile. Grazie alla maggiore disponibilità di capitali, il genere epico storico diventa popolare. In questo periodo che si producono film come “I quattro cavalieri dell’apocalisse” (1921), “Lo Sceicco” (1921 con Alice Terry e Rodolfo Valentino) o “Ben-Hur” (1925). Parallelamente i generi minori, relegati finora a produzioni di cortometraggio, vengono a nobilitarsi. Si tratta del western, del comico, dei film di gangsters e dell’horror. Cecil B. DeMille lavorò alla Paramount. Le sue opere a sfondo erotico come “Perchè Cambiare Moglie” (1920) diedero a Hollywood una brutta reputazione dunque, dopo le crtiiche, si spostò a unire melodrammi con soggetti religiosi (“I Dieci Comandamenti”, 1923 e “Il Re Dei Re”, 1927). Anche David Griffith diresse alcuni film storici come “Le Due Orfanelle” (1922), “America” (1924) e “Abraham Lincoln” (1930). Eric Von Stroheim, assistente di Griffith, lavorò per la Universal su “Mariti Ciechi” nel 1919 e “Femmine Folli” nel 1922, film che andò ben oltre il budget stabilito, cosa che continuerà a succedere al regista. Nel 1924 produsse “Rapacità”, film che venne tagliato molto essendo originariamente di ben 9 ore, la versione finale non fu riconosciuta dal regista. Altri film di Von Stroheim furono “La Vedova Allegra” (1925) per la MGM, “Sinfonia Nuziale” (1928) e “Queen Kelly” (1928-29). Altro grande regista del clima Hollywoodiano fu King Vidor, il quale diresse un’opera pacifista della MGM sulla prima guerra mondiale “La Grande Parata” nel 1925, con protagonista un idolo romantico, John Gilbert. Il film fu noto per come descriveva gli orrori della guerra. Completamente di diverso genere fu “La Folla” del 1928, con un lieto fine con la famiglia riunita. Altro racconto sulla guerra fu “Ali” di William Wellman, distribuito dal 1927 dalla Paramount. Attore famoso dell’epoca fu Douglas Fairbanks, il quale recitò in “His Majesty, the American” nel 1919 che lo portò alla fama. Si spostò poi a film con duelli, idilli amorosi e azioni acrobatiche come “La Maschera Di Zorro” (1920), “I Tre Moschettieri” (1921) e “Il Ladro di Bagdad” (1924). Altro genere popolare era il western con opere come “Pionieri” del 1923 distribuito dalla Paramount o “Just Pals” del 1920 di John Ford, il quale ottenne successo con “Il Cavallo D’Acciaio” (1924). Regista esordiente fu Frank Borzage con “The Gun Woman” (1918), “Humoresque” (1920), “The Circle” (1925) e “Lazybones” (1925). Attore celebre nel genere dell’orrore fu Lon Chanye, che interpretò Quasimodo in “Il Gobbo Di Notre Dame” di Wallace Worsley (1923) e il protagonista de “Il Fantasma Dell’Opera” di Rupert Julian (1925). La sua interprtazione più emblematica fu “Lo Sconosciuto” di Tod Browning nel 1927). Crescita del crimine portò anche alla crescita del genere gangster con “Le Notti di Chicago” di Josef von Sternberg a fissare gli elementi base del filone. A causa della separazione tra bianchi e afro-americani, esistevano piccole sale che usavano solo attori di colore per quel determinato pubblico. La Colored Players produsse due pellicole significative: “Scar of Shame” (1927) e “Ten Nights in a Barroom” (1926). In casi rari, gli afro.americani furono in grado di accedere alla regia, come fece Oscar Micheaux . LA COMICITà NEGLI ANNI VENTI I principali comici, i quali cercarono di aggiungere elementi alla slapstick comedy, furono Harry Langdon (“Di Corsa Dietro Un Cuore”, 1926; “La Grande Sparata”, 1926; “Le Sue Ultime Mutandine”, 1927), Charlie Chaplin (“Il Monello”, 1921; “La Febbre Dell’Oro”, 1925; “Il Circo”, 1928), Harold Lloyd (“A Sailor-Made Man”, 1921; “Io Preferisco L’Ascensore”, 1923; “Tutte E Nessuna”, 1923; “Il Fratellino”, 1927) e Keaton (“The Navigator”, 1924; “La Palla n°13”; “Come Vinsi La Guerra”, 1927; “Il Cameraman”, 1928). GLI STRANIERI A HOLLYWOOD Lubitsch, Lang, Murnau, lo sceneggiatore Carl Mayer e molti altri europei arrivano a lavorare ad Hollywood. Murnau produrrà in America “Aurora” (1927), un film destinato ad influenzare molti registi del tempo, una pietra miliare nella storia del cinema. “Aurora” fu inoltre uno dei primi film, prodotti da una Fox lanciata nella corsa al sonoro, ad essere distribuito con una colonna sonora sincronizzata alle immagini. Dopo il poco successo del film, Murnau ripiegò su progetti meno ambiziosi come “I Quattro Diavoli” (1929) e “Il Nostro Pane Quotidiano” (1930) Lubitsch ebbe successo in Germania e in Hollywood diresse, sotto richiesta di Mary Pickford, il film “Rosita” nel 1923. In seguito fu ingaggiato dalla Warner Bros. con cui realizzò “The Marriage Circle” (1924), “Il Ventaglio di Lady Windermere” (1925) e “This Is Paris” (1926). Il regista Mauritz Stiller e l’attrice Greta Garbo arrivarono alla MGM, producendo “Il Torrente” nel 1926. Per la Paramount invece Stiller produsse “L’Ultimo Addio” (1927). Victor Sjostrom lavorò anch’egli per la MGM realizzando vari film come “La Spada Della Legge” (1924), “Quello Che Prende Schiaffi” (1924) e “La Lettera Rossa” (1926). La Universal assunse altri registi europei come Pal Fejos (“The Last Moment”, 1928; “Primo Amore”, 1928; e “Broadway”, 1919) e Paul Leni (“Il Gabinetto Delle Figure Di Cera”, 1924; “Il Castello Degli Spettri”, 1927; “L’Uomo Che Ride”, 1928, film che cominciò la striscia di opere horror dell’Universal). CAPITOLO 8 L’INTRODUZIONE DEL SONORO E LO STUDIO SYSTEM HOLLYWOODIANO (1926-1945) Lee De Forest fu il primo a presentare un Phonofilm nel 1923 ma rimase indipendente nella sua piccola società. La Western Electric nel 1925 stava creando sistemi di registrazione e altoparlanti, fornendole alla Warner Bros., i quali usarono il sonoro inizialmente solo come alternativa o come metodo per spendere meno sull’accompagnamento musicale. La prima pellicola parzialmente sonorizzata fu “Il Cantante Di Jazz” di Alan Crosland nel 1927 ed ebbe un grande successo che rivelò le potenzialità del sonoro. Il primo sonoro al 100% fu rilasciato nel 1928, “The Lights Of New York” di Bryan Foy. Altri due sistemi sonori si svilupparono, dalla Fox che adottò il Phonofilm di De Forest nel Movietone e dalla RCA con il Photophone. Le Grandi Cinque alla fine si misero d’accordo sull’usare quello migliore, che ful della Western Electric. Un genere reso possibile da tale innovazione fu il musical con opere come “The Broadway Melody” di Harry Beaumont, “The Love Parade” e “”Hallelujah!” di King Vidor del 1929. A causa della vecchia tecnologia, l’introduzione del sonoro causò molti problemi sui set e un’aggiunta necessaria di oggetti come cabine insonorizzanti per le macchine da presa o microfoni che impedivano alcune azioni. Inoltre, essendo che ogni scena doveva essere filmata in un’unica ripresa, fu necessaria la cinepresa multipla. Molti dei primi film sonori hanno un’immagine quadrata poichè l’audio prendeva spazio sul fotogramma rettangolare che prima era solo destinato alle immagini. Il sonoro creò anche un dibattito sulla barriera linguistica in diversi Paesi produttori di film, poichè poteva essere un problema per le esportazioni. Alcuni film, come “L’Angelo Azzurro” e “Il Re Del Jazz” ebbero successo all’estero anche senza che gli spettatori conoscessero la lingua. Inizialmente solo pochi film doppiati ebbero successo a causa della difficoltà di tale operazione. Dunque le grandi compagnie come MGM e Paramount decisero direttamente di filmare i film in lingue diverse con la prima che importava attori e registi stranieri e la seconda che filmava i film stranieri direttamente in Francia. Ciò non durò molto e nel 1931-32 la tecnica di mixare piste audio separate era più raffinata, portando dunque al doppiaggio dellamaggior parte dei film. L’industria era controllata da otto società che cercavano di chiudere la concorrenza. Le Cinque Grandi: -Paramount: dopo la Depressione, il direttore delle sale Barney Balaban divenne presidente della società, riportando i bilanci in attivo. Nota per la produzione di stile europeo con Josef von Sternberg, i fratelli Marx (“La Guerra Di Lampo dei Fratelli Marx”, 1933) e Preston Sturges. -Fox: fondamentale fu l’unione con la più piccola 20th Century nel 1935 dopo la Depressione. Aveva poche stars, l’attrazione principale era la giovane Shirley Temple. Quando la sua popolarità diminuì, la Fox si spostò sui musical di Betty Grable. Tra i principali registi abbiamo Henry King, John Ford e Allan Dwan. -MGM: i loro film avevano spesso un aspetto più sfarzoso degli altri. Registi come George Cukor e Vincente Minnelli e divi come Clark Gable, Mickey Rooney, Gene Kelly e Katharine Hepburn militavano nello studio. -RKO: durò meno delle altre e i suoi progetti non sembravano avere un piano ma i suoi successi dipendevano da circostanze isolate come con “King Kong” nel 1933. Gli unici a garantire incassi sicuri erano Fred Astaire e Ginger Rogers nel genere del musical. Successivamente passò all’adattamento di commedie di Broadway come “Citizen Kane” del 1941 che è noto come il film più famoso della RKO. -Warner Bros.: progetti a basso budget garantivano profitti modesti ma sicuri. Gli attori popolari erano James Cagney, Bette Davis, Errol Flynn. Con la guerra essa fu la prima società a lanciarsi al successo con il film bellico. E le Tre Piccole: -Universal: con la crisi economica, decisero di lanciare film horror visivamente sorprendenti come “Dracula” di Tod Browning e “Frankenstein” di James Whale. Produssero anche i film di Sherlock Holmes negli anni ’40. -Columbia: budget minore ma comunque produzione di film popolari con stars e registi del calibro di Capra e attori presi in prestito dalle Grandi per il film “It Happened One Night” che vinsero tutti l’Oscar. Alcuni dei registi delle Grandi collaborarono con lo studio per breve tempo come John Ford e George Cukor. Le sorti dello studio dipesero dai western di serie B. -United Artists: il declino iniziò con il sonoro. I suoi registi principali (Griffith, Fairbanks) si ritirarono all’inizio degli anni ’30 e Chaplin dirigeva pochissimi film. Altri produttori indipendenti se ne andarono in altre società. Comunque è nota per “The Private Life Of Henry VIII” di Alexander Korda, musical comici e film di Hitchcock come “Rebecca” e “Spellbound” o quelli di William Wyler come “Infedeltà” e “Wuthering Heights”. protagonista tedesco descritto con simpatia ma destinato ad una morte tragica. Altri musical riprendono la guerra con criticismo (“Gold Diggers of 1933” di Mervin LeRoy, 1933; “Casablanca” di Michael Curtiz, 1942). Dopo Pearl Harbour i film sostennero la guerra pienamente, come in “Air Force” di Howard Hawks (1943). I nazisti erano rappresentati come assassini a sangue freddo mentre contro i giapponesi c’era una propaganda molto più razzista come in “Objective Burma” di Raoul Walsh (1945). L’unico film del periodo contro la guerra fu “They Were Expendable” di John Ford (1945). CAPITOLO 9 CINEMA E TOTALITARISMI: URSS, GERMANIA E ITALIA (1930-1945) L’UNIONE SOVIETICA E IL REALISMO SOCIALISTA A causa della Depressione, il passaggio al sonoro nell’Unione Sovietica terminò solo nel 1936. Il sonoro incontrò opposizione dai cineasti sovietici, i quali temevano che l’aspetto artistico guadagnato con il cinema muto sarebbe sparito, mentre fu accolto da coloro che appartenevano alla scuola sovietica di montaggio come strumento per creare contrapposizioni che stupissero il pubblico. “Dezertir” del 1931 fu il primo film sonoro di Pudovkin e fece del suono un elemento di spicco. Venne poi usato in maniera più elementare a causa del realismo socialista, secondo il quale cineasti dovevavno mostrare nelle loro opere gli obiettivi del partito comunista e descrivere la vita comune in buona maniera, visto che Stalin governava coe un dittatore assoluto senza dissensi. Similarmente al codice Hays americano, anche quì le scenografie e il prodotto dovevano attraversare un processo di censura. “Il Prato di Bezin”, primo progetto sonoro di Ejzenstejn, già attaccato in precedenza, fu fermato a riprese iniziate. Sumjatskij, collaboratore di Stalin, tentò di costruire una Hollywood sovietica, ma il progetto non terminò mai e non riuscì a raggiungere gli obiettivi del piano quinquiennale. I film del realismo sociale dovevano evitare sperimentazioni stilistiche o soluzioni complesse. L’arte doveva educare e offrire un modello da seguire. Il primo film ad adottare questo modello fu, nel 1934, “Ciapaiev” di Sergeij e Georgij Vasil’ev, film con linguaggio semplice e che portò anche in primo piano il genere biografico, dove spesso i protagonisti erano figure celebri della Rivoluzione e della guerra civile, ma anche zar dell’epoca pre-rivoluzionaria. Il film ebbe un enorme successo sia tra il pubblico normale che tra i burocrati. Dopo il successo di “Ciapaiev” vennero fuori altri film sulla guerra civile come “Noi Di Kronstadt” di Efim Dzigan (1936). Alcuni altri film del genere biografico furono invece “Il Deputato del Baltico” di Aleksandr Zarkij (1937) e “Pietro il Grande: orizzonti di gloria” di Piotr Pervij (1937-38). Anche registi della vecchia generazione contribuirono a questo genere come Ejzenstejn con “Aleksandr Nebskij” (1938), Dovzenko su invito di Stalin, con “Scors” (1939) e Pudovkin con “Suvorov” (1941). Erano frequenti anche i film su storie di eroismo di gente comune ma “tipica”. Mark Donskoij realizzò tre film basati sull’autore del romanzo “La Madre”, Maksik Gor’kij, sottolineando come la grandezza del protagonista venisse dal suo legame con il popolo nonostante la mancanza di educazione scolastica. Alcuni dei film più popolari dell’epoca furono commedie musicali, i cui registi principali furono Grigorij Aleksandrov (“Tutto Il Mondo Ride”; 1934; “Volga-Volga”, 1938) e Ivan Pyr’ev, specializzato in musical di elogi della vita delle fattorie collettive come in “I Trattoristi” del 1939). Molti film sulla guerra e contro il nazismo furono prodotti nelle repubbliche non occupate (“Professor Mamlok”, 1938; “Zoja”, 1944; “Arcobaleno”; 1944; “Matrimonio”, 1944). IL CINEMA TEDESCO DURANTE IL NAZISMO “Terra Senza Donne” di Carmine Gallone fu il primo film sonoro tedesco ma dovette attendere fino al 1935 per essere rilasciato. La Germania aveva già un sistema sonoro dal 1918 e cercò di creare una concorrenza a Hollywood con la Tobis-Klangfilm, fondata nel 1929, una fusione di due potenti gruppi societari. La concorrenza terminò presto con un accordo di distribuzione che favoriva entrambe le industrie. Nel frattempo furono i musical tedeschi a fronteggiare la concorrenza come “Il Congresso Si Diverte” del 1931 di Erik Charell e “L’Angelo Azzurro” del 1930 di Josef von Sternberg, il cui successo si deve più che altro all’interpretazione di Marlene Dietrich. “M” fu il primo fil sonoro di Frank Lang, il cui poi fece seguire alla sua opera “Il Dottor Mabuse” del 1922 “Il Testamento Del Dottor Mabuse” (1933). G.W. Pabst ebbe anche il suo successo nei sonori con “L’Opera Dei Tre Soldi” (1931), “Westfront 1918” (1930) e “La Tragedia Della Miniera” (1931), mentre il resgista teatrale Max Ophuls esordì con “La Sposa Venduta” nel 1932, che venne seguito da “Amanti Folli” nel 1933. Il nazismo salì al potere come regime dittatoriale nel 1933 ed esercitò una profonda influenza sul cinema. Sia Hitler che Goebbels erano avidi cinefili e quest’ultimo voleva arrivare ad un livello di propaganda per il proprio partito come quello raggiunto nell’Unione Sovietica. Una delle prime azioni fu quella di allontanare tutti gli ebrei e coloro con idee dannose al nazismo dall’industria. La creazione di una Banca di Credito che sosteneva i progetti consentì ai nazisti di avere controllo totale. A causa di ciò i livelli di esportazione calarono drasticamente con altri Paesi che si opponevano alla politica tedesca. La nazionalizzazione del cinema iniziò ufficialmente nel 1937 e terminò nel 1942, unificando tutte le case di produzione tedesche nella singola UFAFilm. I film più popolari erano quelli di propaganda nazista (“Hans Westmar” di Franz Wenzler, 1933; “Hitlerjunge Quex” di Hans Steinhoff, 1933) e quelli contro i nemici del Reich (“GPU” di Karl Ritter, 1942; “Suss L’Ebreo” di Veit Harlan, 1940; “L’Ebreo Eterno” di Fritz Hippler, 1940). La cineasta più importabte del periodo nazista du Leni Riefenstahl i cui film più famosi furono “Il Trionfo Della Volontà” (1935) e “Olympia” rilasciato in due parti nel 1936. Altri generi abbastanza visti erano quelli sulla glorificazione della guerra (“La Cittadella Degli Eroi” di Veit Harlan, 1945) e i film d’evasione, per puro intrattenimento, (“Amphitryon” di Reinhold Schuntzel, 1935; “Verso Nuovi Orizzonti”, 1937; “L’Imperatore Della California” di Luis Trenker, 1936). ITALIA: PROPAGANDA ED EVASIONE DURANTE IL FASCISMO Intorno al 1923 il sistema cinematografico italiano entrò in una crisi profonda. Negli anni Venti solo una percentuale costantemente sotto il 10% dei film in circolazione era di produzione italiana. Mussolini, al potere dal 1922, si preoccupò nei primi anni solo dell'informazione e della propaganda, istituendo allo scopo nel 1924 l'Istituto Luce. L'avvento del sonoro, combinata con la depressione economica, approfondì la crisi del cinema italiano. Il fascismo reagì alla crisi con una politica protezionistica, e in campo cinematografico cominciò a sussidiare la produzione nazionale e a limitare la circolazione di film stranieri. Nel 1932 si inaugurò la Mostra del Cinema di Venezia, nel 1935 il Centro Sperimentale di Cinematografia e nel 1937 Cinecittà. Il regime aveva capito che il cinema poteva essere un potente strumento di costruzione di consenso. Così la produzione di film si incrementò, ma la loro qualità rimase drammaticamente bassa. Le case produttrici (Cines, Lux, Manenti, Titanus, ERA, ecc.) rimanevano in mani private, e sarebbero certamente fallite senza le sovvenzioni statali. Un filone era di tipo propagandistico: “Vecchia Guardia” di A. Blasetti, 1933, che glorificava la marcia su Roma e lo squadrismo, mentre “Lo Squadrone Bianco” di A. Genina, 1936 e “Scipione l'Africano” C. Gallone, 1937) esaltavano il colonialsmo italiano. “1860” di A. Blasetti, 1934, cercava di stabilire una continuità tra Risorgimento e avvento del fascismo. Il regime fascista dovette prendere atto che i film più scopertamente propagandistici non avevano molto successo, e non ostacolò la produzione di film leggeri, scanzonati, di pura evasione che esaltavano la piccola borghesia e i suoi sogni di ascesa sociale. Il primo successo fu “La Canzone Dell'Amore” di G. Righelli, 1930, seguito da “La Segretaria Privata” di G. Alessandrini, 1931 e “T'Amerò Per Sempre” di M. Camerini, 1933. Il sonoro incoraggiò il passaggio al cinema di comici del varietà e del teatro: Ettore Petrolini, Totò, Vittorio De Sica. Quest'ultimo divenne celebre intepretando “Gli uomini, che mascalzoni... “(1932), “Il signor Max” (1937), “Grandi Magazzini” (1939), tutti e tre diretti da Mario Camerini. Con l'inizio della guerra, nel 1940, la produzione cinematografica crebbe ulteriormente, spinta dal regime. Ciò permise ad una serie di giovani registi di sperimentarsi con opere che offrivano un più accentuato realismo: “La Nave Bianca” di R. Rossellini, 1941 e “I Bambini Ci Guardano” di V. De Sica, sceneggiatura di Cesare Zavattini, 1943. CAPITOLO 10 FRANCIA 1930-1945: REALISMO POETICO, FRONTE POPOLARE E OCCUPAZIONE Anche qui prototipi per il cinema sonoro erano iniziati in precedenza, ma senza molto successo. La propensione al fantastico e al surreale del cinema muto continuò negli anni ’30 con René Clair come il regista francese più celebre del primo periodo del sonoro con opere come “Sotto I Tetti Di Parigi” (1930), “Il Milione” (1930) e “A Me La Libertà” (1931). Clair impressiona il pubblico utilizzando u suono sbagliato per oggetti, spesso nel senso di far accompagnare una scena musicalmente. Per esempio un pianoforte avvicinato ad un fiore surante una tempesta, accompagnato da una voce soprana così che sembri che sia il fiore stesso a cantare. Clair si trasferì successivamente nel Regno Unito, producendo la commedia “Il Fantasma Galante” nel 1935. Molti dei film esportati dalla Francia erano produzioni prestigiose di alta qualità come “Delitto E Castigo” di Pierre Chenal (1935), basato sul romanzo di Dostoevskij. Molti film di qualità francesi furono firmati da registi stranieri, immigrati in Francia, specialmente tedeschi come Pabst (“Don Chisciotte”, 1933; “Il Dramma Di Shanghai”, 1938) e Max Ophuls (“Amanti Folli”, 1932; “Werther”, 1938, dall’opera di Goethe). Vi furono a fianco di queste grandi produzioni anche film di realismo quotidiano, tra cui spicca “La Scuola Materna” di Jean Benoit-Levy e Marie Epstein, del 1933, che pone al centro la storia di alcuni bambini. Altro autore che emerse in questo periodo fu Marcel Pagnol (“Marius”, 1931, adattato dall’opera di Alexander Korda; “Fanny”, 1932). IL REALISMO POETICO Uno degli elementi più tipici del realismo poetico è la manipolazione soggettiva delle inquadrature, cioè il mostrare con la soggettiva non solo quello che il personaggio in quel momento vede ("soggettiva contenutistica"), ma anche il sentimento che sta provando, lo stato d'animo. Negli anni trenta, a cavallo tra le due guerre mondiali, Feyder diede formalmente il via alla stagione del realismo poetico con “Pensione Mimosa” (1934). Fu però con Julien Duvivier, Marcel Carné e Jean Renoir (figlio del pittore Pierre-Auguste Renoir) che il movimento ebbe la sua affermazione definitiva. Julien Duvivier, con il suo “Il Bandito Della Casbah” (1937), diede magistralmente voce al tipico romanticismo francese, allestendo una storia d'amore difficile e drammatica che, negli anni a venire, sarà d'esempio per tutti i film di genere. Grazie a questa pellicola, Jean Gabin si consacrò come uno tra gli attori più acclamati del periodo. Renoir rappresentò l'espressione più riuscita del realismo poetico, realizzando pellicole di grande valore artistico, come “La vita è Nostra” (1936), “La Grande Illusione” (1937) e, prima di subire l'esilio negli Stati Uniti, il magnifico “La Regola Del Gioco” (1939), tutt'oggi considerato dalla critica uno dei più grandi film di sempre. La struttura narrativa si fece anche più intricata, con il modello di struttura investigativa attraverso flashbak che divenne popolare come in “Odio Implacabile” di Edward Dmytryk (1947) e “The Locket” di John Brahm (1946). Altri registi esploravano un nuovo realismo nell’ambientazione, nell’utilizzo delle luci e nella costruzione del racconto. Inoltre venne intensificato l’uso dei long takes. A parte il noir, gli altri generi del cinema evitavano le tecniche di chiaroscuro. “A Hard Day’s Night” (1964) e “Help!” (1965 di Richard Lester usufruiscono anche di un montaggio veloce e spettacolare riguardante i numeri musicali dei Beatles. Vari generi subirono trasformazioni e adattamenti: -Western: spesso film sfarzosi che però avevano successo come “Duello Al Sole” di King Vidor (1946) che garantì il successo dei seguenti film come “Il Fiume Rosso” di Howard Hawks (1948). Scenari maestosi rafforzati dalla fotografia a colori, allo stesso tempo le trame incorporavano tensioni psicologiche e sociali. -Melodramma: l’immigrato Douglas Sirk, che aveva diretto film noir e antinazisti, fu il protagonista del rinnovamento del genere con la messa in scena di uomini impotenti psicologicamente e donne che soffrono coraggiosamente (“Una Magnifica Osessione”, 1954; “Secondo Amore”, 1955; “Come Le Foglie Al Vento”, 1956). -Musical: genere soprattutto della MGM, che produsse da opere biografiche a stravaganze acquatiche di Esther Williams o dai musical “dietro le quinte” (“The Barkleys Of Broadway”) alla produzione folk (“Show Boat”). Famoso ancora in quest periodo il ballerino Gene Kelley, che introdusse una coreografia atletica moderna in “On The Town” codiretto da Kelly e Stanley Donen nel 1949. Fece anche un commento sulle frustrazioni maschili nel dopoguerra con “Brigadoon” di Vincente Minelli e “It’s Always Fair Weather” di Kelly e Donen. Il miglior musical del periodo, e ancora noto ai giorni nostri, fu “Singin In The Rain” (1952). I cartoni animati della Disney e altri muscial delle case di produzione contribuirono a fare del genere una delle colonne del box office. -Storico e Epico: film popolari erano basati sullo spettacolo biblico (“Sansone e Delilah”, 1949) e le battaglie colossali con set grandiosi. “I Dieci Comandamenti” fu l’epopea biblica con più successo e longevità. Presto il cinema si mise ad esplorare diversi periodi storici, dalle epopee egiziane alle avventure cavalleresche. -Generi in ascesa: Fantascienza, Horror e Spionaggio: il genere della fantascienza aveva avuto grande successo nella letteratura e cominciava a stabilirsi anche sul grande schermo con opere sia originali (“Destination Moon”, 1950; “Worlds Collide”, 1951) sia con adattamenti di romanzi di H.G. Wells (“War Of The Worlds”, 1953; “Time Machine”, 1960). Alcuni film che incorporavano tratti di sia del genere horror che di quello fantascientifico come “Le Cose Dell’Altro Mondo” (1951) e “L’Invasione Degli Ultracorpi” (1956) affrontarono il tema della lotta della tecnologia contro una natura sconosciuta. Nei film di serie B si ebbe invece una grande crescita del film di spionaggio ad alto budget di cui un esempio è “Intrigo Internazionale” di Alfred Hitchcock (1959). La creazione da parte di Ian Fleming di James Bond catapultò questo genere e il personaggio divenne una inesauribile miniera d’oro. A causa di questo successo, i film con budget ridotti dovevano trovare altre soluzioni per farsi notare. I gialli, per esempio divennero molto più violenti. Alfred Hitchcock iniziò un filone che sarebbe proseguito per decenni con la sua opera “Psycho” del 1960. 4 GENERAZIONI DI REGISTI A CONFRONTO I REGISTI DELL’Età DEGLI STUDIOS -John Ford: il più in vista della vechhia generazione, la sua commedia iralndese “The Quiet Man” del 1952 fu uno dei più amati dal pubblico. Nel dopoguerra si occupò del genere western con opere come “Sfida Infernale” (1946) e la sua trilogia della cavalleria “Fort Apache” (1948), “She Wore A Yellow Ribbon” (1949” e “Rio Bravo, Rio Grande” (1950). Altre sue opere di spicco furono “The Man Who Shot Liberty Valance” (1962) e “The Searchers” (1956). -William Wyler: diresse drammi prestigiosi e film in studio ottenendo successo e incassi con “The Best Years Of Our Lives” (1946) e “Ben-Hur” (1959). -King Vidor: passò al grande spettacolo con “Guerra E Pace” dopo aver diretto vari melodrammi come “La Fonte Meravigliosa” (1949). -George Stevens: produsse alcuni dei successi dell’epoca con “Il Cavalliere Della Valle Solitaria” (1953) e “The Giant”. I REGISTI IMMIGRATI Renoir e Ophuls tornarono in Europa dopo l’Armistizio. Franz Lang continuò a produrre film sobri e cupi mentre Billy Wielder divenne un regista di primo piano per i suoi drammi carichi d’ironia come “Viale Del Tramonto” (1950) e per il cinismo delle sue commedie a sfondo erotico come in “Quando La Moglie è In Vacanza” (1955) o “L’Appartamento” (1960). Otto Preminger si coltivò una buona immagine si da attore che da regista, pingendo ancora oltre la tecnica del piano-sequenza, con inquadrature che arrivavano a mezzo minuto. ALFRED HITCHCOCK Hitchcock si era fatto notare, dopo il suo precedente esordio, con il film “Blackmail” (1929), filmato sia in versione muta, sia sonora. Per tutta la carriera, Hitchcock continuò ad essere un maestro nel manipolare il sonoro, ed un regista in grado di filmare e mntare le scene in modo da far vedere i pensieri dei personaggi. L’impiego delle soggettive e dello humor rimarranno una tratto caratteristico del suo stile come in “The Lady Vanishes” (1938), “The 39 Steps” (1935) e “Rebecca, La Prima Moglie” (1940). Hitchcock fu certamente il regista più popolare del dopoguerra e i suoi film erano contraddistinti dalla volontà di sconcertare il pubblico, cosa che faceva ispirandosi ai suoi idoli, i registi del montaggio sovietico. Il suo obiettivo principale era la suspense, anche a costo dell’impausibilità sfacciata come un attentato durante un concerto classico in “The Man Who Knew Too Much” (1956) oppure un aeroplano che cerca di abbattere il protagonista in “Intrigo Internazionale”. Altre opere in cui Hitchcock decise di porre a se stesso sfide tecniche sono “Rope” (1948), “Rear Window” (1954), “Strangers On A Train” (1951) e “The Wrong Man” (1956). Inoltre, come “Psycho” del 1960 diede vita ad una successiva catena di film su folli assassini, “The Birds” del 1963 anticipò il genere horror centrato sulla vendetta della natura, di solito contro l’uomo stesso. ORSON WELLES E L’IMPATTO DEL TEATRO Come regista e interprete, Welles realizzò riduzioni di classici come “Macbeth” (1948), “Othello” (1952) e “The Trial” (1962). Produsse anche film di spionaggio e gialli come “La Signora Di Shanghai” (1947), sempre con l’uso gotico del chiaroscuro che aveva introdotto in “Quarto Potere”. Orson Welles proveniva dagli ambienti del teatro progressista di New York, come tanti altri registi tra cui Jules Dassin (“Forza Bruta”, 1947) e Joseph Losey (“The Boy With Green Hair”). L’impatto principale del teatro fu il metodo di recitazione naturalistico, già insegnato a Mosca. Ciò avvenne grazie al Group Theatre, di cui il principale allievo fu Elia Kazan, che diresse per Hollywood e per Broadway. Kazan passò in fretta ad adattare cinematograficamente prestigiose opere letterarie di Tennessee Williams come “A Streetcar Named Desire” (1951) e “Baby Doll” (1956), oltre al film di critica sociale “A Face In The Crowd” (1957). Dopo aver formato Actor Studios, Kazan trovò in Marlon Brando il perfetto esponente della sua tecnica di avere l’attore radicare la sua performance in esperienze personali, con l’improvvisazione come una strada verso la recitazione naturale. Altro nome che lavorò con il Group Theatre fu Nicholas Ray, che divenne aiuto regista di Kazan per “A Tree Grows In Brooklyn” (1945). Come regista esordì con “They Live By Night” nel 1948). Spesso rappresentava uomini la cui durezza nascondeva una pulsione autodistruttiva come in “In A Lonely Place” (1950) e “Johnny Guitar” e “Rebel Without A Cause”. Registi come Richard Brooks (“The Blackboard Jungle”, 1955), Joseph Mankiewicz (“All About Eve”, 1950) e Robert Rossen (“The Hustler”, 1961) emersero anch’essi dalla pratica della sceneggiatura. Il più talentuoso del Gruppo fu però Samuel Fuller, il cui primo film fu “I Shot Jesse James” nel 1949. Il suo stile sottolineava storie di tradimento oppure di uomini che affrontavano la morte in battaglia, essendo anche molto grafico come in “Mano Pericolosa” (1953) e “Forty Guns” (1957). Alcuni nuovi registi si specializzarono nella commedia grottesca. Un esempio è Frank Tashlin, un ex animatore e illustratore, con il film “La Bionda Esplosiva” del 1957. Molti dei registi della nuova generazione arrivavano ai film del grande schermo dopo avr diretto prodotti per le televisioni, esperienze che portarono sui set dei cinema ampi primi piani, profondità di campo, set claustrofobici e sceneggiature ricche di dialoghi. CAPITOLO 12 ITALIA: NEOREALISMO E OLTRE (1945-1954) Durante il declino del fascismo era affiorato un impulso realista nella letteratura e nel cinema con film come “4 Passi Tra Le Nuvole” (Alessandro Blasetti, 1942), “Ossessione” (Luchino Visconti, 1943) e “I Bambini Ci Guardano” (Vittorio De Sica, 1944). Dopo la liberazione del 1945 la gente dienne ansiosa di rompere con il passato. I partiti si coalizzarono per fondare una rinascita basata su idee liberali e socialiste ed i registi si incaricarono di farsi testimoni della cosidetta “primavera italiana”. Uno dei principali elementi di realismo fu dato dal fatto che, a causa dei danni agli studi di Cinecittà, i registi si spostarono nelle strade e nelle campagne, mossa facilitata anche dall’aver perfezionato l’arte della sincronizzazione del sonoro. Altra novità era le’same critico della storia recente, con film che proponevano vicende contemporanee com fece Roberto Rossellini in “Roma Città Aperta” (1945) e “Paisà” (1946). Molti film si focalizzarono sul vero e proprio realismo del dopoguerra, con la divisione della società in fazioni contrapposte, l’inflazione e la disoccupazione. Un esempio principale è “Ladri Di Biciclette” di De Sica. Film come “Riso Amaro” di Giuseppe De Sanctis e “La Terra Trema” di Luchino Visconti esplorarono invece la vita rurale. La Primavera Italiana si concluse nel 1948 con la sinistra sconfitta alle elezioni. Molti film neorealisti, a causa della verità narrata, ebbero una reazione negativa sia da diplomatici che dalla Chiesa Cattolica. Inoltre pochi di questi film furono davvero popolari poichè il pubblico preferiva i film americani. La “Legge Andreotti”, emanata nel 1949 dal sottosegretario Giulio Andreotti creò un grande controllo su entrambi i tipi di film. Nacque allora il “neorealismo rosa” ovvero mettere personaggi della classe operaia negli schemi della commedia populista. Altri esplorarono una fantasia allegorica come De Sica in “Miracolo A Milano” e Rossellini con “La Macchina Ammazzacattivi”. Il neorealismo non ebbe mai un manifesto o un sibolo, ma alla fine della sua vita nel 1953 creò comunque discussioni fra gli intellettuali. Era considerato da alcuni come un modo impegnato di fare informazione e da Una società piccola ma importante era The Archers, fondata nel 1943 da Michael Powell ed Emeric Pressburger. Il primo aveva precedentemente lavorato su “The Edge Of The World” (1937) e il secondo fece sceneggiature per il primo, tra cui “49th Parallel” nel 1949. Il primo film della nuova società fu “Duello A Berlino” (1943). I loro film, nei quali si davano crediti uguali anche se il regista era principalmente Powell, si differenziavano dalle opere tipiche degli studios grazie a bizzarri colpi di scena. Altro film noto fu “So Dove Vado” del 1945, che continua la loro fama di autori insoliti. Diressero anche film sfarzosi a colori tra cui “The Red Shoes” (1948), “A Matter Of Life Or Death” (1946) e “Black Narcissus” (1947). LA PRODUZIONE DEL SECONDO DOPOGUERRA L’affluenza e produzione continua a crescere e J. Arthur Rank, fondatore della BNF, sostiene diverse società indipendenti. Il tentativo del governo di supportare le case indipendenti andò in fumo nel 1949 quando la British Lion Films assorbì la metà delle risorse, indebolendo le altre società. Continuavano le discussioni su quali film fossero meglio, se quelli ad alto budget per l’esportazione, o quelli meno costosi indirizzati al mercato interno. Di quest’ultimi molti erano adattamenti letterari interpretati da attori famosi come nel caso di Laurence Oliver , il quale fece seguire ad “Enrico V” film come “Amleto” (1948) e “Riccardo III” (1955). Gabriel Pascal realizzò invece uno smagliante “Cesare E Cleopatra” nel 1945. David Lean continuò la sua carriera con “Breve Incontro”, per poi collaborare con l’attore Alec Guinness per due adattamenti di romanzo “Great Expectations” (1946) e “Oliver Twist” (1948). Lean divenne poi celebre con i kolossal in costume come “Lawrence D’Arabia” (1962) e “Il Dottor Zivago” (1965). Altro regista importante dell’epoca fu Carol Reed, con fama internazionale per “Il Fuggiasco” (1947), “Idolo Infranto” (1948), “Il terzo Uomo” (1949” e “Accadde A Berlino” (1953). Gli Ealing Studios di Michael Balcon praticavano invece una produzione più modesta che garantiva coerenza. Uno dei loro film con più successo fu un dramma realistico sulla vita della polizia “I Giovani Uccidono” del 1950. La loro fama per le commedie nacque invece da tre pellicole uscite nel 1949 (“Passport To Pimlico”; “Whisky Galore!”; “Sangue Blu”, quest’ultimo che fece di Alec Guinness un divo internazionale). Un’altra tipica commedia Ealing è “L’Incredibile Avventura Di Mr. Holland” del 1951 con protagonista interpretato sempre da Guinness. UN NEOREALISMO SPAGNOLO? A causa del regime di Franco, il governo controllava tutto nel mondo del cinema, esigendo film devoti e sciovinisti, portando a produzioni sulla guerra civile, saghe sttoriche, film religiosi e adattamenti letterari. La Spagna fu influenzata comunque dal neorealismo italiano. Nei primi anni ’50 la CIFESA, la più grande società di produzione, fallì. L’impatto immediato del neorealismo si nota nell’opera dei due registi spagnoli più noti ovvero Luis Garcia Berlanga e Juan Antonio Bardem, i quali collaborarono su vari progetti tra cui “Benvenuto Mr. Marshall” (1951), film di satira del crescente strapotere americano. Berlanga lavorò anche a “Calabuig” (1956), che confermò il tono della precedente collaborazione, mentre Bardem si riaffermò con “Gli Egoisti” (1956) e “Calle Mayor”, sul cui set fu anche arrestato dopo aver denunciato il film spagnolo come falso, malato e politicamente inutile ad una conferenza in Salamanca nel 1955. DREYER E LA RINASCITA SCANDINAVA Nel dopoguerra furono le cinematografie svedesi e danesi a diventare le principali della Scandinavia. Come in altri paesi occupati dai tedeschi, il bando nazista sulle imprtazioni spronò la produzione interna, La pellicola più importante della Danimarca fu “Dies Irae” di Carl Dreyer (1943), uno studio cupo della stregoneria e del dogma religioso. Molti lo considerarono un’allegoria antinazista. Prima di questo film Dreyer era comunque stato famoso con “La Passione Di Giovanna D’Arco” (1928) e “Il Vampiro” (1932). Oltre ad un film svedese “Due Esseri” nel 1945, Dreyer produsse anche “Ordet – La Parola” (1955) e “Gertrud” (1964). A parte Dreyer, i cineasti più famosi della Scandinavia furono svedesi, di cui Alf Sjoberg e Ingmar Bergam, entrambi influenzati dallo svedese August Strindberg e il norvegese Henrik Ibsen, i quali, nella seconda metà dell’800 avevano reso famosa la drammaturgia scandinava. Entrambi prediligevano toni fantastici ed espressionisti, con le loro opere spesso ricorrenti a simbologie complesse per suggerire stati d’animo. Sjoberg divenne il regista principale del Regio Teatro Drammatico di Stoccolma, tornando poi al cinema nel 1939 portando a termine alcuni film durante la guerra, il più famoso di cui fu “Strada Per Il Paradiso” del 1942. Al di fuori della Svezia ebbe più influenza con “Spasimo” (1944). Dopo la guerra continuò ad alternare teatro e cinema, mettendo in scena nel 1950 la pièce naturalista “Miss Julie”, adattandola poi sullo schermo in “La Notte Del Piacere” nel 1951. CAPITOLO 14 IL CINEMA COME ARTE E L’IDEA D’AUTORE Per molto tempo ci furono dibattiti su chi dovesse essere considerato autore di un film. Con il sonoro si iniziò a pensare che fosse lo sceneggiatore, ma altri pensavano che fossero i registi. Nel 1951 Jacques Doniol-Valcroze fondò il mensile “Cahiers du Cinéma” e, insieme ad André Bazin, recensivano film, attribuendoli infatti al regista, il quale veniva esaltato specialmente se scriveva òe sceneggiature dei propri film. Si arrivò anche ad attaccare gli sceneggiatori di persona, come nel saggio “Une Certaine Tendance Du Cinéma Francais” di Truffaut (1954). Questi critici desideravano esaminare un film come un prodotto di creazione analogo al romanzo, ovvero, leggere un film come espressione delle idee di un regista sulla sua vita, cosa che consentiva anche di individuare elementi comuni nei suoi film. La tesi di Renoir sosteneva che un cineasta si limitasse a fare e rifare uno stesso film. I critici distinguevano i registi in base all’uso della macchina da presa, poichè, per essere un artista, il cineasta doveva fare in modo che la sua arte non si rivelasse solo rispetto a che cosa diceva ma a COME la diceva. LUIS BUNUEL (1900-1983) Riconosciuto come un grande surrealista del cinema, Bunuel si contraddistinse con film come “Un Chien Andalon” (1929), “L’Age D’Or” (1930) e “Las Hurdes – Tierra Sin Pan” (1932). Quest’ultimo film fu poribito dal governo poichè dava un’immagine negativa del territorio spagnolo. Egli si trasferì poi in Messico, dove tra il 1946-1965 realizzò venti film che rivitalizzarono la sua carriera, adattandosi senza problemi al cinema commerciale. In “I Figli Della Violenza” (1950) Bunuel rappresenta la vita delle gang giovanili messicane, senza però portare alla luce un “buon poveraccio”, bensì decidendo di mostrare questi giovani come persone spietate senza cuore. Il premio vinto a Cannes restituì a Bunuel notorietà internazionale. Prima di tornare in Messico per girare “L’Angelo Sterminatore” (1962) e “Simon Del Deserto” (1965), Bunuel diresse “Viridiana” in Spagna nel 1961. Con “Diario Di Una Cameriera” (1963) Bunuel cominciò il suo periodo francese con collaborazioni di attori importanti e uno sfruttamento del cinema d’autore europeo; come esempi possiamo prendere il misto di realtà e fantasia in “Bella Di Giorno” (1967), la narrazione ad episodi di “La Via Lattea” (1969) e l’ambiguità dei sogni intrecciati di “Il Fascino Discreto Della Borghesia” (1972). Lo stile di Bunuel è abbastanza diretto, basato su una moderata profondità di campo, pochi movimenti di macchina e una messa in scena semplice, cosa che rendeva ancora più intense le immagini suggestive che turbano le convenzioni. Altro tratto presente in molte opere di Bunuel sono personaggi caratterizzati da certe ossessioni. La modernità del cinema di Bunuel si vede anche dai suoi esperimenti con la struttura narrativa, adottando ripetizioni, digressioni e transizioni tra realtà e fantasia. INGMAR BERGMAN (1918-2007) Bergman proveniva dal teatro e diresse film fino al 2003. I film del dopoguerra gli fecero acquisire una reputazione di artista in grado di padroneggiare generi diversi. I suoi primi film come “Un’Estate D’Amore” (1950) e “Monica E Il Desiderio” (1952) erano drammi domestici. Si concentrò poi su fallimenti d’amore coniugale, a volte trattato in modo comico come in “Lezioni D’Amore” (1954) e altre reso in profondi psicodrammi (“Una Vampata D’Amore”, 1953). Passò in seguito anche ad opere più consapevolmente artistiche, come l’eleganza mozartiana di “Sorrisi Di Una Notte D’Estate” (1955), l’allegorico “Il Settimo Sigillo” (1956) o l’alchimia di espressionismo onirico, ambienti naturali e complessi flashback all’interno di “Il Posto Delle Fragole” (1957). Per molti, il culmine della carriera di Bergman fu con la trilogia di film Kammerspiel: “Come In Uno Specchio” (1961), “Luci D’Inverno” (1962), “Il Silenzio” (1963). “Alle Soglie Della Vita” del 1958 invece rende evidente l’adozione di tecniche teatrali, come un piano ravvicinato per intensificare l’attenzione dello spettatore. Il periodo fra il 1957 e il 1968 fu quando Bergman venne considerato come un grande regista. Un film prodotto con i suoi riparmi, “Sussurri E Grida” (1972), lo riportò al successo mondiale, come fecero anche i seguenti “Scene Da Un Matrimonio” (1973) e “Il Flauto Magico” (1975). Nei suoi film Bergman riversa sogni, ricordi, sensi di colpa e fantasie e eventi della sua infanzia sono spesso ricorrenti. I suoi primi film descrivono crisi adolescenziali e l’instabilità del primo amore mentre le opere principali successive sono caratterizzate dal malessere spirituale e dalla riflessione sul rapporto fra il teatro e la vita. Le due trilogie degli anni Sessanta invece smentiscono le premesse religiose ed umanistiche delle opere precedenti. Presentava uno stile molto intimista, spingendo a volte gli attori verso lo spettatore e a parlare anche direttamente alla macchina da presa. AKIRA KUROSAWA (1910-1998) Sceneggiatore e regista. Esordì nel 1943 con la storia di arti marziali “Sugata Sanshiro”. Tale storia restituì azione e movimento ai jidai-geki, ovvero il film storico in costume. Molto significativo fu anche il suo film successivo, “Ichiban Utsukushiku” (1944). Dopo alcuni film storici, Kurosawa realizzò una serie di film su problemi sociali: il crimine “Nora Inu” (1949), la burocrazia “Ikiru” (1952), la guerra nucleare “Testimonianza di un Essere Umano” (1955) e la corruzione dell’alta finanza “I Cattivi Dormono In Pace” (1960). Diresse poi molti fortunati jidai-geki da “I Sette Samurai” (1954) a “La Fortezza Nascosta” (1958). Da non dimenticare anche la riduzione di Macbeth in “Il Trono Di Sangue” (1957). L’occidente riconobbe in “Rashomon” del 1950 e tratto da due racconti degli anni Venti di Ryunosuke Akutagawa, sia l’esotismo sia l’anima innovativa e moderna. Grazie al suo impegno sociale, il suo sentimentalismo e simbolismo sommati alla sua capacità nello scegliere progetti prestigiosi e il virtuosismo tecnico resero Kurosawa uno dei più importanti e famosi registi giapponesi, tanto che alcuni dei suoi film non solo inspirarono altri generi, ma furono rifatti a Hollywood. Un tratto principale dei flm di Kurosawa era un uanitarismo eroico prossimo ai valori occidentali. Ray contribuì definitivamente a diffondere in Occidente un’idea eccentrica del cinema indiano ma la sua filmografia include molta tradizione popolare con parecchie commedie popolari, film per ragazzi e anche l’affresco storico in hindi “Il Giocatore Di Scacchi” (1977). Il suo effetto sul cinema indiano si vede con la preferenza di scenografie reali e una recitazione meno forzata. Inoltre rivoluzionò il design dell’editoria indiana nelle vesti di disegnatore pubblicitario, scrivendo libri per bambini, romanzi di fantascienza e gialli. Compose anche la musica per film suoi e di altri registi. Le radici artistiche affondano nel rinascimento bengalese collegato alla famiglia Tagore con un fine centrale di indagare i comportamenti umani, evitando di mettere in scena personaggi negativi. Dopo la trilogia su Apu, diresse dei film dediati all’aristocrazia latifondista che ritraggono individui attaccati in modo irragionevole a tradizioni morenti. (“Jalsahagar”, 1958). In segutio diresse una trilogia sul risveglio della donna, con “Mahanagar” (1963) e “Charulata”. Dopo gli anni ’60 Ray affrontò gli argomenti sociali in maniera più diretta, con una trilogia di film urbani che descriveva uomini deboli che cercano di sopravvivere nella corruzione del mondo degli affari (“Il Mediatore”, 1976). Ultimi due film furono “La Casa E Il Mondo” (1984), che presenta la lotta anticolonialista del 1907 e “Il Nemico Del Popolo” (1990) che vede dei giovani di una comunità correre ad aiutare un dottore che ha trovato in un tempio acqua contaminata da colera. YASUJIRO OZU (1903-1963) E KENJI MIZOGUCHI (1898-1956) Yasujiro Ozu esordì con un film storico, ma passò presto alla rappresentazione di della vita contemporanea, dirigendo 35 film tra il 1928 e il 1937, passando tra vari generi: slapstick studentesco con “Giorni Di Gioventù” (1929), la commedia di costume urbana in “Introduzione Al Matrimonio” (1930) fino ad arrivare al gangster con “Passeggiate Allegramente” (1930). Divenne famoso con “Il Coro Di Tokyo” (1931) e “Sono Nato, Ma...” (1932), film su impiegati, seguiti poi da tre opere di rilievo nel 1933, “Una Donna Di Tokyo”, “La Donna Della Retata” e “Capriccio Passeggero”. Il suo primo lungometraggio fu un dramma sulla gente comune, “Figlio Unico” (1936), seguito successivamente dalla satira alle classi agiate, “Che Cosa Ha Dimenticato La Ragazza?” (1937). Ozu presenta lo stile della commedia americana degli anni ’20, arricchita con molte variazioni personali. Egli fu uno degli ultimi a passare al sonoro e limitava di molto il suo movimento di macchina. Lo stile di Ozu si nutre dei primi piani di un’espressione o di un gesto puntuale, sia nelle commedie che nei drammi, generi che spesso si mescolano molto nelle sue opere. Nel secondo dopoguerra Ozu affrontò in opere importanti temi come crisi familiari (“Tarda Primavera”, 1949; “Inizio D’Estate”, 1951; “Viaggio A Tokyo”, 1953; “Fiore Di Equinozio”, 1958). Di solito ogni film è pervaso dalla rassegnazione contemplativa verso i dolorosi cambiamenti della vita. Le opere più tarde si distinguono per uno stile più controllato dove Ozu rinnega del tutto le dissolvenze, filmando le conversazioni con i personaggi rivolti verso la macchina che guardano oltre l’obiettivo (“Fratelli E Sorelle Di Famiglia Toda”, 1941; “C’Era Un Padre”, 1942). Kenji Mizoguchi diresse 42 film negli anni ’20e e si concentrò sui dilemmi sociali affrontati dalla donna giapponese come in “Il Filo Bianco Della Cascata” (1933), “O-Sen Delle Cicogne Di Carta” (1935) e “O- Yuki La Vergine” (1935). In tutti questi esempi, il destino la vita della donna non finisce bene. I due melodrammi più rilevanti di Mizoguchi sono entambi del 1936, “Elegia Di Osaka” e “Le Sorelle Di Gion”, mostrando donne che dopo aver scambiato favori sessuali con uomini di potere scoprono che questi non onoreranno i patti. “Storia Dell’Ultimo Crisantemo” (1939) è invece l’adattamento di un dramma popolare, ma anche qui la donna, una cameriera di nome Otoku, finisce per morire sola. Mizoguchi era attratto da situazioni di forte emozione, ma cercava di de-drammatizzarle nelle riprese, per esempio allontanando la camera dal soggetto in una scena forte. Inoltre, Mizoguchi fa un uso come non mai del piano-sequenza, con film con meno di 200 inquadrature. Questa tecnica costringe anche lo spettatore a guardare le ingiustizie e i dolorosi atti di sacrificio inesorabilmente. Durante la guerra realizzò “La Vendetta Dei 47 Ronin” (1941), con sempre presente storie di sacrificio e piani-sequenza che conferiscono nobiltà a un dramma della fedeltà al dovere. In seguitò approfondì di nuovo il problema sociale della sofferenza femminile in “La Vittoria Delle Donne” (1946) e “Donne Della Notte” (1947), con l’appoggio delle autorità. Il tema delle prostitute di “Donne Nella Notte” viene ripreso nell’ultimo film di Mizoguchi, “La Strada Della Vergogna” (1956). Negli anni precedenti Mizoguchi aveva avviato una particolare serie di film storici con “Vita Di O-Haru, Donna Galante” (1952), riproduzione di un classico letterario seguito da “I Racconti Della Luna Pallida Di Agosto” (1953), “L’Intendente Sansho” (1954), “Una Donna Di Cui Si Parla” (1954) e “Nuova Storia Del Clan Taira” (1955). CAPITOLO 15 NOUVELLES VAGUES E NUOVO CINEMA (1958-1967) Anche se le tendenze condividevano alcuni elementi generali, il cinema nuovo era composto da diversi cineasti i cui film non presentavano unità stilistica. Innovazioni di apparecchiature cinematografiche e registi più anziani come “padri spirituali” caratterizzano il cambiamento principale. Le innovazioni come la macchina da presa senza cavalletto e i mirini reflex furono subito usati da documentaristi ed autori di opere fiction, il quale genere conquistò anche una certa libertà espressiva. I giovani registi sfruttarono comunque la potenzialità del montaggio frammentato e discontinuo. Oltre a ciò, la nuova generazione decise anche di intensificare il risorso alle sequenze lunghe. Già nel dopoguerra la narrazione logica secondo rapporti di causa-effetto era stata superata con ripresa di eventi casuali, i nuovi registri si spingono più avanti in questa strada, spesso ambientando le sttorie nel loro quartiere o appartamento, con a volte l’uso di attori non professionisti per dare un stile più grezzo all’opera. In questo periodo si affermò anche il realismo soggettivo tipico del cinema d’autore, con flashbacks usati per intensificare una percezione dello stato mentale dei personaggi, e spesso interrompevano la narrazione all’improvviso. Un esempio di ciò è “Hiroshima Mon Amour” del 1959, di Alan Resnais. Allo stesso tempo proloferavano le scene fantastiche ed oniriche. La perdita di chiarezza delle storie raccontate parve allontanare il cinema dalla missione di documentare il mondo e la società, con un abbandono del realiso oggettivo. FRANCIA: NOUVELLE VAGUE E CINEMA NUOVO I prinicipali esponenti della Novelle Vaugue nascevano come critici dei Cahiers du Cinéma, fedelissimi alla politica degli autori e convinti che il regista dovesse esprimere una visione del mondo personale. La Nouvelle Vague si impose con 4 film usciti tra il 1958 e il 1960 (“Le Beau Serge”, Claude Chabrol, 1958; “I Cugini”, Chabrol, 1958; “I 400 Colpi”, Francois Truffaut, 1959; “Fino All’Ultimo Respiro”, 1960) La maggior parte delle Novelle Vagues venivano filmate in ambienti reali con attrezzatura leggera ed attori poco noti, a sottlineare le difficoltà finanziarie dei produttori. Esse protarono alla fama star come Jean-Paul Belmondo, Jean-Claude Brialy, Anna Karina e Jeanne Moreau che domineranno per decenni il cinema francese. Questo genere presentava degli elementi in comune tra i vari film come per esempio un avvertimento a diffidare dell’autorità, considerare sospetto l’impegno politico e il fatto che le azioni gratuite dei personaggi recassero tracce di un esistenzialismo pop. Spesso i soggetti ruotavano attorno ad una femme fatale. Gli autori della Novelle Vague tendono anche ad intensificare i finali aperti. Allo stesso tempo i generi e i toni venivano spesso mescolati insieme in un unico film. Inoltre, questi giovani registi furono i primi a considerare il vecchio cinema come un patrimonio culturale da far rivivere nei film più recenti. La Nouvelle Vague non coagulò mai in un movimento compatto poichè incoraggiava un cinema personale. -Claude Chabrol: ammirazione per Hitchcock lo portò a girare psicodrammi ricchi di atmosfera, spesso con umorismo grottesco, tra cui “Le Donne Facili” (1960) e “Ophélia” (1962), per passare poi ai thriller psicologici tra cui “Stéphane, Una Moglie Infedele” (1968) e “Il Tagliagole” (1969). -Eric Rohmer: più vecchio di molti altri giovani registi, aderì agli insegnamenti di Bazin. Girò “Il Segno Del Leone” (1959), seguito poi da una serie dei “Sei Racconti Morali”, indagini oblique di umani colti nello sforzo di equilibrare la sfera razionale con impulsi emotivi ed erotici. Ad essa seguirono due altre serie, “Commedie E Proverbi” chiusa nel 1980 e “I Racconti Delle 4 Stagioni”. -Jacques Rivette: critico dei Cahiers, nelle sue opere tenta di catturare il flusso cotinuo della vita stessa, con film molto lunghi (“L’Amore Folle”, 1968; “Out 1”, 1971). La lunghezza del film tale gli permette di seguire un ritmo quotidiano dietro al quale incombono cospirazione intricate. -Jacques Demy: la sua carriera decollò con “Lola” nel 1961 e “La Grande Peccatrice” del 1963. Entrambe le opere inaugurano tramite scenografie e costumi artificiali ciò che sarebbe stata la cifra del regista. Allontanandosi ancora di più del realismo, egli gira “Les Parapluies De Cherbourg” (1964), con un dialogo tutto cantato. A seguire un omaggio ai musical della MGM con “Josephine La Ragazza Dei Miei Sogni” (1967). NUOVO CINEMA FRANCESE: LA RIVE GAUCHE Più anziani dei Cahiers, dopo gli anni ’50, questo nuovo gruppo di cineasti emerge. Un gruppo che tentava di assimilare il cinema ad altre arti quali la letteratura o il documentario. La tendenza era stat anticipata con due film: “I Cattivi Incontri” (1955) di Alexandre Astruc e “La Pointe Courte” (1955) di Agnès Varda. Il prototipo dei film di questo movimento fu “Hiroshima Mon Amour” diretto da Alain Resnais nel 1959, poichè dava un’ambigua mescolanza di realismo documentario, evocazioni soggettive e commenti dell’autore. Il film successivo di Resnais, “L’Anno Scorso A Marienbad” (1961) mescola fantasia, sogno e realtà nella vicenda dei tre personaggi, sviluppando un’ulteriore ambiguità della comunicazione. Tra gli altri registi della Rive Gauche è da ricordare Georges Franju, autore di “Occhi Senza Volto” (1959) e “L’Uomo Nero” (1963), riletture cerebrali e surrealiste di classici. Altro regista da ricordare è il già menzionato Agnès Varda, che realizzò il lungometraggio “Cléo Dalle 5 Alle 7” (1962), film che copre la vita di un’attrice in attesa di risultati importanti di alcune visite mediche. Per spezzare la tensione, il film viene diviso in 13 capitoli, con a volte aggiunte delle digressioni. Tra i seguenti film di Varda, da ricordare “Il Verde Prato Dell’Amore” (1965), che con l’idea che una donna potesse essere facilmente sostituita da un’altra turbò gli spettatori. IL GIOVANE CINEMA ITALIANO In questo periodo tra 1950-60 il cinema italiano era messo molto bene, sia per l’aumento dei costi dei biglietti, che coprivano il calo di frequenza, sia perchè con meno importo di film americani, i film italiani potevano brillare. Inoltre esportazioni di film horror (“Divorzio All’Italiana”, Germi, 1961) e epico- mitologici (“Le Fatiche Di Ercole”, Francisci, 1958) erano numerose. Al Festival di Oberhausen nel 1962, 26 giovani firmarono un manifesto dichiarando il vecchio cinema o “Papas Kino”, morto, promettendo di lavorare per riconquistare fama internazionale. Nel 1965 il governo fondò il Kuratorium Junger Deutscher Film, un ente che, in base alla sceneggiatura, offriva dei mutui ai registi con cortometraggi interessanti. I lungometraggi finanziati in tal modo vennero definiti Rucksackfilme (“film zaino”) e descrivevano la Germania come una terra di matrimoni in frantumi, amori inaciditi e ribellione giovanile, a volte suggerendo la persistenza del nazismo. Inoltre il cinema tedesco strinse alleanze con scrittori sperimentali per un cinema d’autore che mirasse ad una qualità letteraria. Venne poi confermato che il manifesto di Oberhausen fu un bluff anche se alcuni dei firmatari come Edgar Reitz e Volker Schlondorff riuscirono a proseguire con la loro carriera, ma i due debutti più notevoli del periodo furono Alexander Kluge e Jean-Marie Straub. -Alexander Kluge: scrittore sperimentale e difensore del nuovo cinema tedesco, Kluge ottenne nel 1965 il finanziamento per “La Ragazza Senza Storia” (1966). Il suo stile presenta spesso jump cuts, accelerazioni, titoli distraenti e un modo di raccontare ellittico e frammentato, tutti elementi del cinema nuovo tedesco. La sua opera è un esempio dell’impiego della tecnica del collage nel cinema politico moderno. Con “Artisti Sotto La Tenda Del Circo: Perplessi” (1968) Kluge tenta di sviluppare un dialogo continuo tra pubblico e regista. -Jean-Marie Straub: nato in Francia, la moglie Danièle Huillet firmerà con lui tutti i suoi film, adattando per primo per lo schermo due opere di Heinrich Boll in “Machorka-Muff” (1963), una denuncia del sorgere del militarismo in Germania, e “Non Riconciliati, Ovvero Solo Violenza Aiuta Dove Violenza Regna” (1965), in cui la complessità della trama dovuta anche a vari flashback inaspettati è accompagnata da una compiaciuta bellezza visiva. Come Kluge, anch’egli contrappone materiali di finzione e documentari. Con il finanziamento dal Kuratorium eseguirono un lungometraggio sulla vita di Bach, “Cronaca Di Anna Magdalena Bach” (1968). La combinazione di struttura affidata al collage, di suono in presa diretta e di un’austerità sul piano narrativo e stilistico ritornano in “Lezioni Di Storia” (1972), adattamento di un romanzo di Brecht e ancora in “Fortini/Carri” (1977). NUOVO CINEMA NELL’URSS E NELL’EUROPA DELL’EST UNIONE SOVIETICA: DAL CINEMA DEL DISGELO AI NUOVI AUTORI Con la riaffermazione del Partito Comunista, il dominio sulle arti divenne restrittivo e gli studi si fermarono. Alcuni film del passato subirono correzioni mentre altri furono direttamente proibiti, con una gran parte dei registi degli anni ’20 costretti all’inattività. Emerse però una nuova generazione che aveva contribuito al realismo socialista come Michail Ciaureli, che con “Il Giuramento” (1946) e “L’Indimenticabile Anno 1919” (1952) protò la venerazione per Stalin alle stelle. Nel 1952, dopo una stagnazione dei film che esaltavano i leader per evitare censure, si formò un filone di “film di tre persone” con storie di conflitti tra coniugi o amanti che si risolvevano grazie all’intervento di qualhe membro del Partito (“Il Ritorno Di Vasilij Bortnikov”, Pudokvin, 1953). La morte di Stalin nel 1953 protò a vari cambiamenti nell’industria cinematografica, con l’ampliamento di produzione e generi. Oltre al genere di propaganda, il genere bellico venne trattato in una nuova luce. Il primo film di Grigroij Cuchraj “Il Quarantunesimo” è una storia di una soldatessa che si innamora di un prigioniero. Verso la fine del decennio i film di guerra rappresentano una tendenza verso un nuovo umanitarismo. “Quando Volano Le Cicogne” (1958) di Kalatozov descrive il fronte interno senza retorica con una protagonista lontana dalle eroine ideali, mentre “La Ballata Di Un Soldato” (1959) di Cuchraj presenta WW2 dal punto di vista di un soldato morto al fronte, i cui sentimenti si intrecciano con lo svolgersi del conflitto. Nel 1961 ci fu una campagna da parte di Kruscev per promouovere una destalinizzazione dell’industria, invocando maggior democrazia. Una nuova enfasi sulla gioventù affiorò in parecchi film sull’infanzia con autori che si concentravano su giovani adulti del mondo contemporaneo. Un esempio è “Così Vive Un Uomo” (1964) dello scrittore Vasilij Suksin. Il più celebrato dei giovani registi fu Andrej Tarkovskij, interessato al cinema d’arte europeo. Il suo primo lungometraggio “L’Infanzia Di Ivan” (1961) vinse il Leone D’Oro a Venezia. Il clima di libertà ebbe vita breve poichè nel 1964 Kruscev fu costretto a dimettersi e alla guida del Partito salì il conservatore Leonid Breznev, che strinse il controllo sulla cultura. Molti film furono di nuovo cancellati oppure messi a posto in modo da supportare la visione di Stalin. Al secondo lungometraggio di Tarkovskij, “Andrei Rubliov”, fu infatti negata la distribuzione. Il Partito produsse il colosso “Guerra E Pace” (1967) di Sergeij Bondarcuk, emblema ufficiale dle cinema sovietico. IL NUOVO CINEMA GIAPPONESE Fin dall’inizio, il cinema giapponese conobbe successo grazie principalmente alle due società della Nikkatsu e Shochiku. I primi lungometraggi giapponesi attingevano dalla drammaturgia nazionale dando vita a 2 generi princiapli: il jidai-geki (film storico in costume) e il gendai-geki (genere relativo alla vita contemporanea). Quest’ultimo includeva molti generi come commedie su studenti e impiegati gli haha-mono (film sulla madre) e lo shomingeki dedicato alla vita delle classi inferiori. I ruoli femminili erano interpretati da attori di sesso maschile secondo la convenzione del kabuki. Negli anni ’30 si inserì nel panorama un’altra potente casa di produzione, la Toho, con attori importanti tra cui Teinosuke Kinusaga e Masahiro Makino. Cominciarono anche ad apparire autori in grado di conferire maggiore caratterizzazione psicologica al jidai-geki come Sadao Yamanaka in “Ninjo Kamifusen” (1937). Per la Shochiku fu fondamentale il lavoro del dinamismo della macchina da presa di Yasujiro Shimazu e il gendai-geki di Mikio Naruse, noto per il pessimismo delle sue opere e la sua abilità di esprimere la pressione soffocante esercitata dalla società in particolare sulle donne. Nikkatsu e Shochiku lasciavano al regista e allo sceneggiatore molte libertà mentre la Toho considerava più importante il produttore, avendolo come supervisore. Dal 1939 l’industria si conformò alla censura e alla propaganda nazionalistica a causa dell’impegno bellico, con il jidai-geki che si adatta a tale periodo diventando più maestoso e grandioso. Dopo WW2 venne invece incoraggiato un cinema attento a temi democratici e di attualità. Si aggiunsero alle altre case di produzione la Shintoho e la Toei. Nonostante l’apertura ai film americani, la produzione giapponese non ne risentì, grazie anche ad investimenti nel Fujicolor e nel formato dello schermo panoramico. La consacrazione sulla scena internazionale avvenne con “Rashomon” e con altri celebri autori quali Ozu e Mizoguchi, che richiamarono l’attenzione sugli aspeti esotici della cultura giapponese. Il gendai-geki continuò ad avere molti generi, dai film politici ai pacifisti, dalle storie di delinquenza giovanile ai film di mstri, come “Godzilla” di Ishiro Honda. Al vertice della popolarità erano i film sulla vita quotidiana. Kinusaga rimase famoso per i suoi jidai-geki anche nel dopoguerra, con “Jigokumon” (1953), film che ricorre alla tecnica della pittura su rotolo di pergamena. Importanti furono anche le opere sull’infanzia di Hiroshi Shimizu, il quale fondò anche un orfanotrofio. Mikio Naruse realizzò invece alcuni film sulla vita quotidiana tra cui “Meshi” (1951), “Inazuma” (1952) e “Nagareru” (1956), mentre Heinosuke Gosho tempera tale genere con un lirismo appena accenato come visto in “Là Dove Sorgono Le Miniere” (1953). Kon Ichikawa divenne un eccellente artigiano del cinema senza mai specializzarsi in un singolo genere, anche se la sua reputazione deriva per di più dalle sue commedie satiriche e grottesche come “Kagi” (1959) e da intensi drammi come “L’Arpa Birmana” (1956). Molti suoi film indulgono in soluzioni vistose. Nel 1956 “La Stagione Del Sole” di Ko Nakahira lanciò il filon di film sulle “tribù del sole”, centrati sulle vite amorali di giovani viziati. Con il calare della vendita dei biglietti la Shochiku favorì una Nouvelle Vague nipponica con la promozione alla regia del giovane Nagisa Oshima, incoraggiato a dirigere le sue sceneggiature. In “Racconto Crudele Della Giovinezza” (1960) egli presentò una vicenda truce di violenza con una tecnica audace, avendo successo e aprendo le porte per altri registi. Un ruolo centrale per la distribuzione dei film del cinema nuovo fu assunto dalla catena di sale specializzate Art Theater Guild. Anche il cinema nuovo giapponese attaccò le tradizioni consolidate, introdusse flashbacks, intrusioni di fantastico e esperimenti con inquadratura e colore. Prima nessuno aveva mai criticato il Giappone così. Oshima fu di nuovo un esempio di tali attacchi alla società giapponese e alle oppressioni causate da essa, incoraggiando una soggettiva attività anche se si convinse poi che ciò conduceva solo alla disillusione. Questo processo è ripercorso in “Notte E Nebbia In Giappone” (1960), una critica devastante al Partito Comunista e alla sinistra studentesca. Nei suoi film di critica, il regista optò per non coltivare uno stile personale. Altri registi critici sociali optarono invece per stili più tradizionali. Hiroshi Teshigara, parte di un gruppo di surrealisti, ebbe successo internazionale con “La Donna Di Sabbia” nel 1964, storia di un uomo intrappolato in una buca di sabbia con una donna misteriosa. Più appartenente al tipico cinema nuovo fu Yoshishige Yoshida che nelle sue opere ricorre a immagini di sorprendente pittoricità. Un esempio è “Le Terme Di Akitsu” (1962). Pupillo della Shochiku era anche Masahiro Shinoda, i cui film sfoggiano costruzione visiva che riecheggia il classicismo giapponese degli anni ’30. Più vicino alla prospettiva politica di Oshima è il giovane regista della Nikkatsu, Shohei Imamura, altro principale esponente del nuovo cinema, interessato alle classi sociali oppresse. Imamura viene associato al nuovo cinema per di più grazie alla satira sfacciata della sua opera “Porci, Geishe E Marinai” (1961) il quale, anche se non stilizzato come le opere di Oshima, presenta comunque una critica politica tagliente. Gli uomini di Imamura sono anch’essi spinti da perversi impulsi antisociali ma il regista li osserva con una marcata ironia, come in “Introduzione All’Antropologia” (1966). Imamura presenta inoltre l’immagine di una donna forte e indipendente, come sottlineato in “Cronaca Entomologica Al Giappone” (1963) che celebra il pragmatismo di tre generazioni di donne del dopoguerra che fanno della prostituzione e del furto il mezzo per guadagnarsi il minimo di indipendenza. Il nuovo cinema giapponese favorì la sperimentazione e portò riconoscimenti sia a registi più anziani sia ai giovani talenti come Susumu Hani (“Cattivi Ragazzi”, 1960). CINEMA SPERIMENTALE E DI AVANGUARDIA Hans Richter arrivò a New York nel 1943, fondando il City College Institute of Film Techniques, diventando supervisore di corsi dedicati ai generi cinematografici. Molti cineasti della costa occidentale si cimentarono nell’animazione astratta: “Five Film Exercises” di John e James Whitney usava colonne sonore di musica sintetizzata mentre il pittore Harry Smith sviluppò il batik, applicando starti di vernice su pellicola 35mm. Uno dei più audaci film astratti del periodo fu “Geography of the Body” (1943) di Williard Maas e Marie Menken. Verso la fine degli anni ’60 si manifestò un approccio più intellettuale alla sperimentazione, definito dal critico P. Adam Sitney come “Cinema strutturalista”. A differenza dei soggetti scioccanti dei registi underground, gli strutturalisti si rivolsero al pubblico proponendogli forme e strutture non narrative, costringendo il pubblico a essere coinvolto per cogliere i minimi dettagli. Un esempio è “(nostalgia)” (1971) di Hollis Frampton, composto da 12 sequenze contenenti ognuna una fotografia appoggiata su una piastra incadescente che brucia lentamente fino a diventare cenere, con una ripresa senza tagli che ci obbliga a guardare le immagini prendere fuoco. Fonti importanti per questo movimento furono gli esperimenti del gruppo di pittori, compositori e attori americani noti come Fluxus, che cercarono di superare il confine tra arte e vita. Essi riprendevano azioni normali e addirittura banali (camminare, mangiare) come se fossero opere d’arte. Il più famoso film strutturalista, “Wavelength” (1967) del canadese Michael Snow, offre una ricca contaminazione di tecniche. Molti dei film di Snow mostrano in modo autoriflessivo le possibilità dell’inquadratura in movimento. In “Wavelength” analizza gli effetti percettivi dello zoom, in “<-> Back And Forth” (1969) vengono esplorate le varie possibilità della panoramica. Il più versatile esponente del cinema strutturalista fu Hollis Frampton, percorrendo tutte le strade degli altri registi, fondendo diversi stili in “Zorns Lemma” (1970), opera che ha molte interpretazioni: tratta dell’apprendimento del linguaggio da parte del bambino, della rivalità fra la vista e l’udito o della superiorità della natura e dei rapporti umani sui sistemi artificiali come l’alfabeto?. Diretto sviluppo dello strutturalismo fu il cinema “decostruzionista”, un genere di opere sperimentali autoriflessive he, prendendo come bersaglio il modo di fare cinema tradizionale, si imposero di svelare l’artificio illusorio su cui esso si basa. Le donne ebbero un ruolo di primo piano in tale movimento, con Chantal Akerman come una delle registe più rilevanti del periodo con “Io Tu Lui Lei” (1974) e il suo film più importante “Jeanne Dielman, 23, Quai du Commerce, 1080 Bruxelles” (1975). Storia di una casalinga che vive con il figlio e si prostituisce ricevendo uomini a casa, per poi rompere inconsciamente la sua routine e ribellarsi, pugnalando un cliente per poi andare a rilassarsi per la prima volta. Tra le altre opere rilevanti di registe ci sono “Due Volte” (1969) di Jackie Raynal, “The Far Shore” (1976) di Joyce Wieland ed i film di Yvonne Rainer, la quale oleva esprimere le sue emozioni ancora più direttamente di quanto non facesse già con la danza. I suoi “Lives of Performers” (1972), “Film About A Woman Who...” (1974) e “Kristina Talking Pictures” (1976) dominarono il “nuovo racconto” Americano, con soggetti resi noti dal melodrama hollywoodiano am con trame frammentarie e relazioni tra I personaggi quasi inesistenti. Altro film di Rainer è “Journeys From Berlin/1971” (1980), in cui si alternano diversi tipi di materiale. Il cinema di Rainer è in parte autobiografico, ma intende anche individuare analogie fra il mondo della politica e la vita di tutti i giorni. Io nuovo cinema narrativo degli anni ’70 mantiene comunque parte del rigore e della vivacità delle opere strutturaliste, come Yvonne Rainer, la quale crea degli sfasi tra suono e immagine, richiamando processi in “(nostalgia)”. “Thriller” (1979), film di Sally Potter, combinò l’aspetto narrativo con le tecniche strutturaliste e decostruzioniste, allo scopo di criticare le ideologie, in questo caso della narrativa classica. A metà degli anni ’70 molte registe femministe iniziarono a indicare implicazioni politiche nell’ambito del cinema “personale” d’avanguardia, avendo la via spianata dalla candese Joyce Wieland e dalla tedesca Dore O. Nekal. CAPITOLO 16 CADUTA E RINASCITA DI HOLLYWOOD: 1960-1980 Nei primi anni ’60 le major MGM, Paramount, 20th Century Fox, Warner Bros., Universal Artists, Columbia e Disney dominavano ancora il mercato e I musical di Broadway continuarono a riscuotere grandi successi con “West Side Story”, “Capobanda” e “Tutti Insieme Appassionatamente”, campioni d’incassi. Nonostante l’apparente prosperità, gli studios si trovarono a dover affrontare vari problemi tra cui la frequenza calante di spettatori nelle sale, la distribuzione di meno titoli dalle major e la quantità di strutture che quest’ultime possedevano. Inoltre, i soldi ottenuti dai successi dei film indipendenti non furono utilizzati bene nelle megaproduzioni. La MGM perse 20 milioni con “Mutiny On The Bounty” (1962) e la Fox 40 milioni con “Cleopatra”. Il bilancio degli studios continuava a essere in negativo e i costosi film storici come “La Caduta Dell’Impero Romano” (1964) di Anthony Mann e “The Battle Of Britain” (1969) di Guy Hamilton registrarono pesanti perdite. Neanche il musical era più un investimento sicuro. Solo i film a basso costo destinati ai giovani causarono bilanci positivi, con il più famoso “Il Laureato” (1967) di Mike Nichols. Il declino degli studios portò le major ad essere acquistate da altre corporazioni e le banche li forzarono ad evitare film a costi elevati. Hollywood non era in grado di comprendere le attese degli spettatori. A volte però degli attori potevano conquistare un pubblico fedele come fece Jerry Lewis e poi continuare la carriera con l’appoggio degli studios. Successivamente si estabilirono i film di spionaggio con l’enorme successo di “Agente 007, Missione Goldfinger” (1964) di Guy Hamilton. Le commedie drlla Universal con Doris Day celebravano le strategie di seduzione delle donne ai danni dell’ego maschile (“Pillow Talk” e “Lover Come Back”). Il pubblico era dunque attratto dai film estranei alla tradizione hollywoodiana. I registi introdussero dunque elementi di rottura con tale tradizione classica. Un esempio è il realismo crudo e lo spazio dedicato ad etnie diverse di “L’Uomo Del Banco Di Pegni” (1965) di Sidney Lumet. Divennero frequenti anche le riprese in ambienti esterni. Innovativo anche l’uso della focale lunga, un obiettivo che ingrandiva il soggetto dell’inquadratura, permettendo al camerman di effettuare riprese a distanza senza perdere la nitidezza. Sperimentato anche un montaggio più veloce e spettacolare. Altra tendenza era il fare sequenze di scene mute con un accompagnamento di una canzone pop con l’integrazione di canzoni che divenne poi un aspetto caratteristico degli studios i quali si legarono a case discografiche. Nel 1966 morì anche il Codice Hays, che aveva censurato film in precedenza e dunque ristretto la produzione e la libertà dei registi. Venne invece creato un sistema di rating basato sulle lettere dell’alfabeto. L’innovazione principale fu la realizzazione dei film a colori da parte di Hollywood. La maggior parte dei film era girata in 35 mm e il Panavision divenne il sistema più utilizzato LA NUOVA HOLLYWOOD: DALLA FINE DEGLI ANNI ’60 ALLA FINE DEGLI ANNI ‘70 La Nuova Hollywood ebbe una generazione di registi con età formazione ed idee molto simili. Il gruppo principale era formato da Robert Altman, Woody Allen, George Lucas, Francis Coppola, Peter Bogdanovich, Bob Rafelson (ex regista televisivo), Terrence Malik (intellettuale pignolo), Brian De Palma e John Milius (esperti di controultura cinematografica). Paul Schrader, Michael Cimino, David Lynch e Jonathan Demme emersero tutti più tardi. Hollywood accolse favorevolmente le soluzioni narrative che il cinema d’arte europeo europeo aveva già sperimentato. Un esempio è “Petulia” (1968) di Richard Lester. “2001: A Space Odyssey” (1968) di Stanley Kubrick fu anche un esempio di ciò e allo stesso tempo un revival del genere di fantascienza. Film che si contraddistinguono per la rarefazione dei dialoghi e le caratterizzazioni minimaliste furono “5 Pezzi Facili” (1970) di Bob Rafelson e “Strada A Doppia Corsia” (1971) di Monte Hellman. Il più famoso dei movie brats a lavorare verso la politica d’autore fu Francis Coppola che con “The Rain People” (1969) cercò di realizzare la ricchezza stilistica del prestigioso cinema europeo. Una nuova legge nel 1971 che riconosceva crediti d’imposta per gli investimenti delle produzioni americane permise agli studios di recuperare milioni di soldi e di realizzare originali film di successo come “One Flew Over The Cuckoo’s Nest” (1975) di Milos Forman e “Taxi Driver” (1976) di Martin Scorsese. Altro fattore determinante per la rinascita di Hollywood fu il successo immenso della Nuova Generazione. Nel 1972 “Il Padrino” inaugurò un’era di incassi strepitosi con altri grandi successi come “L’Esorcista”, “American Graffiti”, “Lo Squalo” e “Rocky”, seguiti da “Saturday Night Fever” e “Guerre Stellari”. Nel pianificare le produzioni per non rischiare di peredere soldi in strade non battute, gli studios optarono per i sequels di serie con successo come “Rocky” e “Star Trek”, per poi anche aggiungere merchandising per triplicare gli incassi complessivi. I nuovi registi però coinciarono a perdere la fiducia degli studios quando pretendevano di poter realizzare film d’autore senza restrizioni economiche, ache al rischio di far perdere soldi allo studio. Iniziò dunque una nuova era dominata dai blockbuster forti della presenza di star ed effetti speciali. Con la semplice rivisitazione dei generi classici si poteva avere enorme successo quindi i registi abbandarono lo sperimentalismo cinematografico anche se a volte i nuovi registi prendevano anche troppo spunto dai propri maestri, rendendo ovvia l’intenzione. Sul piano tematico, molti film erano tributi ironici o affettuosi alla tradizionie degli studios: “Distretto 13 – Le Brigate Della Morte” di John Carpenter rivisita “Rio Bravo” di Hawks mentre De Palma divenne famoso per i suoi pastiche hitchcockiani. Molti film rivisitarono i generi tradizionali, come “Il Padrino” con il genere gangster. Altri due generi ebbero più successo al revival: il genere horror e la fantascienza. Altro attore/regista della Nuova Hollywood fu Clint Eastwood, noto per i suoi film girati in tempi brevi e con costi contenuti e come portabandiera del genere classico. Mel Brooks invece si buttò su molti generi, tra cui western, horror, thriller ed epico, riuscendo a trasformarli tutti. LA NUOVA HOLLYWOOD E I SUOI PROTAGONISTI -Robert Altman: trovò impulsi creativi nel cinema per un pubblico giovanile e nel cinema d’arte hollywoodiano. Le sue opere, spesso parodie di generi classici, mostrano sfiducia nei confronti dell’autorità, criticando il conformismo americano. Egli perfezionò uno stile eclettico con una recitazione semi- improvvisata, un uso continuo di panoramiche e zoom ed un montaggio brusco. “Nashville” è considerata da molti la sua opera più importante. Nei suoi film i personaggi spesso borbottano e si interrompono a vicenda. Dopo un periodo difficile, Altman tornò alla notorietà con “The Players” nel 1992 e continuò poi a sperimentare la narrazione decentrata e la critica sardonica della società in “Short Cuts” (1993), “Gosford Park” (2001) e “Radio America” (2006), il suo ultimo film. -Woody Allen: anche Allen realizzò un cinema personale, strettamente associato a New York. Iniziò la sua carriera da regista con “Prendi I Soldi E Scappa” e i suoi primi film erano diretti ad un pubblico giovane con citazioni cinematografiche (“Bananas”, 1971). Con “Annie Hall” iniziò una serie di film in cui univa l’interesse per i problemi psicologici della borghesia intellettuale con il suo amore per la tradizione cinematografica americana. In alcuni dei suoi principali film, la trama è incentrata sulla confusa vita amorosa del personaggio (“Hannah And Her Sisters”, 1986 e “Crimes And Misdemeanors”, 1990). Allen costriusce i suoi film su temi che lo interessano direttamente, sia che li ami (jazz, Manhattan) sia che li odi (rock, droga e California). Altri generi di successo furono i polizieschi e lecommedie sexy francesi e l’eccentrico umorismo e i gialli britannici. FRANCIA: DA GODARD AL CINEMA DU REGARD In Jean-Luc Godard si nota l’influenza di Bertolt Brecht in “Questa è La Mia Vita” (1962), con il regista che ha l’intenzione di distruggere l’illusione di realtà creata dai film classici attraverso un collage, un montaggio discontinuo e stili di recitazione stilizzati. Nel 1967, insieme ad altri 13, Godard collaborò a “Lontano Dal Vietnam”, film col tentativo di mobilitare gli intellettuali contro la guerra. Nei suoi film era presente un’analisi sociologica della vita francese mischiata a violenti attacchi alla politica estera americana (“Week-end”, 1967; “Il Maschio E La Femmina”, 1966). Durante gli avvenimenti di maggio del ’68, dopo i quali Godard si occupò di un modernismo politico più severo e cerebrale, egli dirigeva cortometraggi detti cine-volantini e tre film: “La Gaia Scienza”, “Un Film Comme Les Autres” e “One Plus One”. Successivamente si unì al comunista Jean-Pierre Gorin formando il gruppo Dziga Vertov, convertendosi al maoismo e rinnegando i suoi film precedenti. Grazie al suo nome riuscì ad ottenere molti finanziamenti, consentendo al gruppo di filmare molti film in un breve periodo di tempo (“British Sounds”, 1969; “Lotte In Italia”, 1969). Il gruppo si sciolse dopo un incidente in moto di Godard, ma dopo la guarigione, Godard e Gorin realizzarono comunque “Tout Va Bien” (1972) e “Letter To Jane – An Investigation About A Still” (1972). Nei film di questo gruppo è da ricordare che la trama è praticamente assente, con alcune voci nella colonna sonora a leggere testi di Marx o di Mao Tse-tung. Nel 1975, insieme alla fotografa e regista Anne-Marie Miéville, Godard fondò a Grenoble la Sonimage, un centro di produzione dedicato a nuove tecnologie. Dopo “Qui E Altrove” (1976), con la tecnica dell’assemblaggio, Godard annunciò il suo ritorno ad una forma narrativa più accessibile con “Si Salvi Chi Può (La Vita)” (1979). Dopo essersi definito un pittore, egli realizzò “Passion” nel 1982, una delle sue opere più ricche dal punto di vista pittorico. I film successivi come “Détective” (1985), “King Lear” (1987) e “Nouvelle Vague” (1990) pretendono molto dallo spettatore, come in precedenza, ma danno anche una nuova serenità. Godard mostra i vantaggi del ritorno a un’estetica dell’immagine, cosa che viene usata anche da altri. Il regista svizzero Alan Tanner, colpito dagli eventi del ’68, formò insieme a Michel Soutter, Claude Goretta e altri, Group 5. Le sue prime opere furono influenzate dal Free Cinema inglese e dalla Nouvelle Vague, specializzandosi in seguito in analisi piene di amarezza sulla paralisi dei rapporti interpersonali prodotta dall’assenza di cambiamenti autentici. Il suo film più famoso è “Jonas Che Avrà 20 Anni Nel 2000” (1976), dove egli usa il bianco e nero per rappresentare i desideri utopistici dei ragazzi protagonisti. A causa di varie difficoltà, il cinema europeo, dagli snni ’70 ai 2000, fu molto meno provocatorio e più accessibile. Francis Truffaut ebbe successo internazionale con le sue opere moderate “Effetto Notte” (1973) e “L’Ultimo Metro” (1980). Molti registi europei tornarono alle produzioni di prestigio, agli adattamenti di classici letterari e al cinema moderno dei decenni precedenti in una forma più moderata. Bertrand Blier, scrittore, adattò il suo romanzo in “I Santissimi” (1974), mentre “Preparate I Fazzoletti” vinse un Oscar. L’ex-critico Bertrand Tavernier realizzò un omaggio a Jean Renoir con “Una Domenica In Campagna” (1984). Alain Corneau rappresentò la vita di corte del XVII secolo in “Tutte Le Mattine Del Mondo” (1991), mentre Raul Ruiz abbandonò lo sperimentalismo per un film in costume d’ispirazione proustiana, “Il Tempo Ritrovato” (1999). Eric Rohmer alternava eleganti commedie sentimentali (“Racconto D’Autunno”, 1998) e corpoduzioni europee (“Triple Agent”, 2004), mentre Philippe Garrel, noto per la sua abilità nella rappresentazioni dei rapporti di coppia in “La Nascita Dell’Amore” (1993), tornò alla ribalta nel 2005 con “Les Amants Réguliers”. Maurice Pialat ebbe successo grazie al suo realismo in “L’Amante Giovane” (1972), “Prima Di Tutto Diplomati” (1978), “Loulou” (1980) e “Ai Nostri Amori” (1983). In “Sotto Il Sole Di Satana” (1987) e “Van Gogh” (1991) si ritrova anche l’elegante compostezza del cinema francese anni ’50. La tradizione europea legata al naturalismo tornò in “La Vita Sognata Dagli Angeli” (1998) di Erick Zonca e in “L’Umanità” (1999) di Bruno Dumon, m i nuovi naturalisti di più successo furono i fratelli belgi Luc e Jean-Pierre Dardenne, che si concentrarono sugli stati più bassi della società, conducendo un’analisi risoluta su come la povertà, il crimine e la violenza possano corrompere i valori della gente (“Rosetta”, 1999; “Il Figlio”, 2002; “L’Enfant”, 2005). All’inizio degli anni ’80 una generazione nuova di registi francesi inventò un nuovo stile visivo, un cinema veloce e artificiale ispirato da Hollywood, che si allontanava dal cinema politico e dal realismo scabro di Eustache e Pialat. Registi esemplar di quest’era, chiamata Cinéma du Regard, sono Jean-Jacques Beinex (“Diva”, 1981) e Luc Besson (“Nikita”, 1990). Leos Carax fu però il più dotato del gruppo, creando immagini sensuali tramite chiaroscuri, inquadrature inusuali e scelte focali imprevedibili (“Boy Meets Girl”, 1984; “Rosso Sangue”, 1986). ITALIA: IMPEGNO POLITICO ED EVASIONE “L’Albero Degli Zoccoli” (1978) di Ermanno Olmi segnò un ritorno al neorealismo. I fratelli Paolo e Vittorio Taviani ottennero il successo internazionale con “Padre Padrone” nel 1977, consolidandosi nel 1982 con “La Notte Di San Lorenzo” e gli adattamenti delle novelle di Pirandello “Kaos” (1984). Le commedie grottesche di Marco Ferreri riflettono invece un atteggiamento più impassibile ed enigmatico, come in “Dillinger è Morto” (1969) e “La Grande Abbuffata” (1973). A livello generale furono le commedie con critiche sociali a conquistare il favore del pubblico. Un esempio è Ettore Scola, con opere come “C’Eravamo Tanto Amati” (1974), “Una Giornata Particolare” (1977) e “Le Bal” (1983) che fondono con intelligenza la modernità del cinema d’arte con la commedia gradita. Altro grande regista fu Nanni Moretti che passò da commedie antianarchiche ad un umorismo che dà voce ad una generazione delusa dal fallimento degli ideali progressisti, interpretando sempre personaggi nevrotici che fanno i conti con la frustrazione della società moderna (“Palombella Rossa”, 1989; “Caro Diario”, 1993) e in seguito la sfera intima dei sentimenti privati (“Aprile”, 1998; “Il Caimano”, 2006). GERMANIA: STORIA E FICTION Rainer Werner Fassbinder fu il regista più famoso del nuovo cinema tedesco. Rivelando un gusto particolare per la commedia grottesca, la violenza esasperata e il forte realismo dei personaggi. Dopo il cortometraggio “Das Kleine Chaos” (1966), Fassbinder entrò nell’Action Theater di Monaco per poi fondare nel 1968 l’Antitheater, con il quale filmò 11 film. I primi film sono sperimentali dal punto di vista narrativo, mentre i successivi sono storie avvincenti, melodrammi politici, carichi di emozione e rivolti ad un pubblico più vasto. Prese poi come esempio i film di Douglas Sirk per la critica sociale che fosse anche emotivamente coinvolgente. Con “Il Mercante Delle 4 Stagioni” (1971) inaugurò la fase dei melodrammi domestici, fra cui “Le Lacrime Amare Di Petra Von Kant” (1972). La maggior parte della sua opera ruota attorno ad un’analisi dei meccanismi che fondano il potere, concentrandosi sulla vittimizzazione e sul conformismo e mostrando come i non integrati vengano puniti e sfruttati dai membri di un gruppo. Nel 1978, insieme ad altri 13 registi, Fassbinder realizzò “Germania In Autunno”, un tentativo di capire la vita di una nazione in preda a terrorismo e repressione di destra. Dopo il successo di “Il Matrimonio Di Maria Braun” (1979), si dedicò ad ampie coproduzioni tra cui “Lili Marleen” (1981) e “Lola” (1981). Nelle ultime opere, la critica sociale si attenuò per rendere i film più disponibili ad un grande pubblico, anche se Fassbinder non abbandonò mai la sperimentazione. Un esempio è il doppiaggio post-produzione, che gli permetteva di ceare atmosfere acustiche complesse come in “Un Anno Con 13 Lune” (1978) e “La Terza Generazione” (1979). Tra altri registi che sperimentavano con il cinema politico, emersero due registi di Monaco i quali manifestarono invece una maggiore vicinanza al pittoricismo: Werner Herzog e Wim Wenders , i quali si affidavano alla bellezza dell’immagine e alla sensibilità dello spettatore. Herzog divenne famoso grazie ad una serie di drammi criptici tra cui “Segni Di Vita” (1968), “Aguirre, Furore Di Dio” (1972) e “Cuore Di Vetro” (1976), dove Herzog cerca di cogliere l’immediatezza dell’esperienza, una purezza di percezione non ostacolata dal linguaggio, spesso celebrando l’incontro dei personaggi con la fisicità del mondo. Con le sue immagini che puntavano all’infinito, Herzog si definì l’erede di Murnau, girando “Nosferatu Il Principe Della Notte” (1978). Aveva una grande devozione al cinema muto, eidente nella convinzione che immagini di ermetica bellezza potessero esprimere verità mistiche al di là del linguaggio. Dopo un inizio antinarrativo di cortometraggi anche per Wenders, il lungometraggio permise alla sua vena creativa di esprimersi in racconti di viaggio che si fermavano per soffermarsi su luoghi e oggetti. Anch’egli si appassionò alla cultura americana del rock n’ roll a hollywood. Un uomo vaga in “La Paura Del Portiere Prima Del Calcio Di Rigore” (1972) e un gruppo vaga anche nella sua trilogia “On The Road” (1974-75-76). I film di Wenders mettono in scena una lotta continua tra il bisogno di affidarsi a un impianto narrativo e la ricerca di una rivelazione visiva istantanea. “Il Cielo Sopra Berlino” (1987), con protagonista un angelo Daniel, è dedicato a tutti i registi che sono riusciti a conciliare il senso della narrazione con la bellezza dell’immagine come Yasujiro Ozu, Francois Truffaut e Andrej Tarkovskij. Altri registi come Werner Schroeter (stimato regista d’opera) e Hans-Jurgen Syberberg (noto per documentari in stil Cinema Diretto), si ispirarono invece al teatro per la loro carriera cinematografica. Nella “trilogia tedesca” di Syberberg “Ludwig II: Requiem Per Un Re Vergine” (1972), “Karl May” (1974) e “Hitler, Un Film Sulla Germania” (1977) sono presenti gli spiriti brechtiani e wagneriani (“Parsifal”, 1982). REGNO UNITO: PROBLEMI SOCIALI E CINEMA D’ARTE Anche qui si provava a raccontare i conflitti sociali in maniera realistica, anche se con meno critica. Nello stesso periodo in cui la British Film Institute Production Board iniziò a finanziare lungometraggi, Ken Loach iniziò a usare attori non professionisti e riprese quasi documentaristiche in “Kes” (1969), ambientato in una città industriale nel nord del Regno Unito. Negli anni successivi di carriera, Loach rimase fedele al realismo della classe operaia, come in “Riff- Raff” (1991), “Raining Stones” (1993) e “Land And Freedom” (1995).. Il BFI finanziò anche il primo film del regista teatrale Mike Leigh , “Black Moments” (1971). Incidenti tristi e divertenti mesolati assieme diverranno poi tipici dell’opera di Leigh. Per lui i dialoghi sono molto importanti, come si vede in “Life Is Sweet” (1990) e “Naked” (1993). Nel 1999, mentre Leigh sorprese il pubblico con “Topsy-Turvy”, ritratto della Londra di fine ‘800 completo con numeri musicali e ricca scenografia, William S. Gilbert e Arthur Sullivan realizzavano la loro opera più famosa, “Mikado”. Leigh tornò a parlare della classe operaia in “Vera Drake” (2004). Altri registi come Stanley Kubrick contribuirono alla rinascita d’un cinema d’arte europeo con l’adattamento di William Thackeray “Barry Lyndon” (1975). Un contributo significativo arrivò anche da parte di Peter Greenaway, con film basati su strutture rigide e traboccanti di di aneddoti bizzarri e riferimenti arcani (“A Walk Through H”, 1978; “The Falls”, 1980). Si Dopo essere accusato di vari crimini e costretto ai lavori frozati, una volta libero filmò “La Leggenda Della Fortezza Di Suram” (1984) e “Ashik Kerib” (1989). Nell’URSS nel frattempo si svilupparono i concetti di Glasnost (Trasparenza), che permetteva ai cittadini di parlare liberamente degli erroir del passato, e della Perestroika (Ricostruzione), alla quale contribuirono in registi attraverso film sul mondo dei giovani. Il titolo più rappresentativo del concetto di Glasnost fu “La Piccola Vera” (1988) di Vasilij Picul. Nel 1986 Elem Klimov, amico di Gorbacev, fu eletto capo del sindacato. Una delle sue pricipali riforme fu la creazione della “commissione per i conflitti” che aveva il compito di reisionare e distribuire i film censurati in precedenza sotto una dittatura. Nonostante ciò l’anarchia sul mercato libero e la pirateria rese difficile anche ai grandi registi di avere film nelle sale e il mercato restava dominato dai film hollywoodiani Ci furono comunque film apprezzati di marchio russo come “Taxi Blues” (1990) di Pavel Lungin e “Sta’ Fermo, Muori, Risuscita” (1990) di Vitali Kanevskij. Dop la salita al potere di Boris Eltsin, l’URSS si divise in nazioni separate ponendo fine all’URSS. “Il Sole Ingannatore” (1994) di Nikita Mikhalkov vinse un Oscar mentre nei festival ebbe successo “Khrustalyov, La Mia Auto” (1998) di Aleksej German. In Ucraina emerse il cinema lirico e critico al tempo stesso. In Russia il regista di spicco fu il veterano Aleksandr Sokurov (“La Voce Solitaria Dell’Uomo”, 1987; “Il Secondo Cerchio, 1990; “Pagine Sommesse”, 1993). Il più noto esperimento espressionista fu “Madre E Figlio” (1996). CAPITOLO 19 IL CINEMA AMERICANO E L’INDUSTRIA DELL’INTRATTENIMENTO: GLI ANNI ’80 E OLTRE HOLLYWOOD: TELEVISIONE VIA CAVO E HOME VIDEO Nonostante il doinio sulla distribuzione dei major, ormai erano le produzioni televisive ad essere la fonte principale di introiti. Inoltre, nel 1976 vennero prodotti i videoregistratori Betamax da Sony e la VHS dalla Matsushita. Le videocassette divennero fonte di maggiori profitti per gli studios, che iniziarono a produrle e distribuirle. Altro vantaggio, tramite le cassette, era di rimettere in circolazione vecchi film in un nuovo formato, non proiettati più nelle sale. Nel 1987, per la prima volta, i guadagni ottenuti tramite le vendite di videocassette superarono gli incassi delle sale. Successivamente, alla fine del 1997, arrivarono i DVD, che gli studios sfruttarono come le videocassette, aggiungendo codici e formati differenti in base all’area geografica cosicchè diminuissero le copie piratate. La diffusione dei DVD si accompagnò allo sviluppo di impianti home theater, grandi monitor e videoproiettori sempre più abbordabili. CONCENTRAZIONE E CONSOLIDAMENTO NELL’INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA In questo periodo i grandi studios dovevano lottare contro gli studios di seconda fascia che avevano finanziamenti costanti, tra cui la Orion che aveva prodotto alcuni dei film più importanti come “Hannah E Le Sue Sorelle” (1986) di Woody Allen e “The Silence Of The Lambs” (1991) di Jonathan Demme. Nel corso degli anni ’90 queste compagnie non furono più grande concorrenza. La Disney creò la Touchstone Pictures per dare un’altra immagine di sè, oltre a quella di produzione per un pubblico infantile. Adesso le major si erano trasformate in segmenti di gruppi diversificati che puntavano maggiormente a creare sinergie, come per esempio un’unione con una casa discografica. Alcuni studios passarono di mano in mano. Nel 1989 nacque la Time Warner, il più grande gruppo multimediale del mondo, quando la Time Inc. comprò la Warner Comunications. La Time Warner si fuse nel 1996 con il magnate Ted Turner . Per ottenere incassi consistenti c’era bisogno di film che sbancassero i botteghini e avessero successo anche sul mercato home video e del merchandising. Molti dei successi degli anni ’70 erano stati infatti eventi culturali e ad alzarono la sbarra. Le megaproduzioni, per esempio quelle con Stallone e Schwarzenegger, vendevano in tutto il mondo e altri come “Jurassic Park” (Steven Spielberg, 1993), “Star Wars – Episode 1” (George Lucas, 1999) e “Independence Day” (Roland Emmerich, 1999) fecero grande fortuna. Per essere sicuri di non far crollare un regime produttivo, gli studios minimizzavano i rischi affidandosi alle megaproduzioni le quali, anche se estremamente costose, spesso riportavano indietro molti più soldi. Spesso i sequel aumentavano anche il budget di produzione poichè ogni episodio doveva essere più sensazionale del precedente per garantire incassi. Le star dei film ottennero anche incredibili poteri contrattuali, poichè a volte potevano da sole far registrare il tutto esaurito. Dopo alcuni fallimenti venne ricordato agli studios che un buon film non necessitava per forza 100M di budget. Nonostante ciò, gli studios non si tirarono indietro dalle costose megaproduzioni. Alcune delle produzioni maggiori: “Titanic” (1997); “Harry Potter” (2001-2011); “Pirati Dei Caraibi” (2003- ). I film a budget medio servivano comunque a riempire la programmazione e a lanciare nuovi attori e registi e alcuni di questi sorprendevano con il loro successo come “My Big Fat Greed Wedding” (Joel Zwick, 2002), “Mean Girls” (Mark Waters, 2004) e “Enchanted” (Kevin Lima, 2007). Gli studios collaboravano spesso con produttori che potessero fornire idee. Alcuni esempi sono Joel Silver, che creò “Matrix” e “Lethal Weapon” e Jon Peters e Peter Guber che produssero “Batman” per la Warner. Per combattere i costi elevati delle megaproduzioni gli studios escogitarono alcuni sistemi per ottenere finanziamenti, come la cessione anticipata dei diritti esteri o quelli video. Altro modo per contenere i costi era di spostare le produzioni all’estero con Toronto e Vancouver come alternative a Los Angeles. Famoso era anche il product placement di certe marche nei film e le aziende destinavano a tali film risorse e prodotti. Simile era il brand partnership, ovvero una campagna pubblicitaria per un prodotto legato ad un film. Un esempio è “Il Re Leone” (1994), poichè Toys “R” Us mise in vendita oltre 200 prodotti associati al film. Il video musicale era un altro metodo per diffondere i film e spesso si utilizzavano canzoni pop conosciute alla fine dei film durante i crediti, con video relativi che entrarono nella programmazione di MTV. La sinergia non era comunque sempre efficace, poichè alla gente poteva piacere una serie tv o un fumetto ma non essere interessata al film sugli stessi personaggi. Nel 1994, creata da Spielberg, Jeffrey Katzenberg e David Geffen, nacque una nuova società che aspirava a diventare parte degli studios: la Dream Works SKG, che puntò sulla creazione di contenuti originali con diversi successi televisivi per poi passare ai film d’animazione (“Antz”, 1998; “Chicken Run”, 2000; “Gladiator”, 2000; “La Guerra Dei Mondi”, 2005 e “Saving Private Ryan”, 1998 di Spielberg). Le produzioni animate specialmente dopo “Shrek” si rivelarono una miniera d’oro, grazie al merchandising. TENDENZE ARTISTICHE GENERI Indipendentemente dal genere, i film americani avevano sempre scene di violenza, sesso e oscenità di linguaggio e il venir meno dei taboo negli anni ’60 permise la crescita dei film di exploitation come l’horror, il fantasy e la fantascienza. Per molti registi emersi negli anni ’70 l’horror divenne un marchio di fabbrica, alcuni con deformazioni corporali, altri che sperimentavano con i grotteschi mondi immaginari costruendo atmosfere inquietanti e malinconiche. Anche l’horror in stile musical aveva successo (“Sweeney Todd: The Demon Barber Of Fleet Street”, Tim Burton, 2007). Anche la commedia, particolarmente quella romantic, continuava a scuotere successo (“The Devil Wears Prada”, David Frankel, 2006; “Pretty Woman”, Garry Marshall, 1990). La parodia lanciò invece talenti come Adam Sandler e Jim Carrey. La commedia giovanile era trattata in modo abbastanza innocente. All’interno del genere neo-noir, un thriller a sfondo criminale, divenne centrale la figura del serial killer, i cui crimini conferivano al film connotazioni horror (“Copycat”, Jon Amiel, 1995; “The Cell”, Tarsem Singh, 2000). I film d’azione-avventura ebbero enorme successo (“Rambo”, Ted Kotcheff, 1982; “The Mummy”, Stephen Sommers, 1999; “National Treasure”, Jon Turtletaub, 2004; “Die Hard”, John McTiernan, 1988). Il film d’azione riportò sulla scena alcuni generi classici come il film in costume ambientato nell’antichità con esempio “300” (Zack Snyder , 2006) e l’avventura di spionaggio con la longeva serie di James Bond e quella sempre più popolare incentrata sull’agente segreto Jason Bourne. Agli sceneggiatori veniva chiesto di iniziare un film con una scena di violenza scioccante o di mistero. Bisognava poi anche prevedere un processo di trasformazione del protagonista, che nel corso del film doveva modificare alcuni aspetti del proprio comportamento o personalità. I film a budget ridotto consentivano più sperimentazioni narrative come stravolgere schemi temporali in “Return To The Future” o sperimentare con complesse strutture di flashback in “Jacob’s Ladder” (Adrian Lyne, 1990). Sotto l’influenza di “Pulp Fiction” (Quentin Tarantino, 1994), gran parte dei film combinavano la struttura in tre atti e la combinavano con la parabola evolutiva del personaggio e ad universi paralleli. UNO STILE PER L’EPOCA DEL VIDEO In questo periodo si ebbe un’accelerazione del montaggio, che portò anche ad una necessaria semplificazione della messa in scena, limitando anche la mobilità degli attori sul set rispetto al passato. I registi crearono anche una versione intensiicata della continuità classica, per poter mantenere l’attenzione dello spettatore ed evitare che si cambiasse il canale. Negli anni ’80 si vide l’introduzione del video assist, che trasferiva le immagini dalla macchina ad un piccolo monitor, permettendo al regista di controllare ciò che era stato filmato sul set stesso. Si passò allo stesso tempo dal montaggio su nastro a quello digitale, molto più maneggevole. La riproduzione digitale permise anche un potenziamento della colonna sonora, dando allo spettatore l’idea di essere al centro dell’azione. Con tutti i film prodotti in aumento, si presentano nuove opportunità per registi emergenti, spesso sceneggiatori o addirittura attori stessi. Per la prima volta dal cinema muto, in Hollywood ci fu spazio per le donne tra cui Katherine Bigelow, vincitrice dell’Oscar per “The Hurt Locker” (2008), Penelope Spheeris (“Wayne’s World”, 1992) e Nora Ephron (“Sleepless In Seattle”, 1993). I generi più redditizi erano comunque riservati agli uomini. Registi afro-americani come John Singleton (“Boyz ‘n The Hood”, 1991) e Charles Burnett (“Killer Of Sheep”, 1977; “To Sleep With Anger”, 1990; “The Glass Shield”, 1994) realizzarono film per un’ampia produzione. MEDIA orientandolo più alla formazione di registi, sviluppo di progetti e ampliamento della distribuzione che al singolo finanziamento, al quale ci pensò un nuovo programma dell’UE, Eurimages. Alla fine degli anni ’80 anche in Europa si lasciò campo libero sviluppo ai colossi mediatici come furono le tedesche Bertelsmann e Kirch, il gruppo Berlusconi e la francese Havas. Nel 1988 la società discografica olandese Polygram iniziò a dedicarsi alla produzione, legandosi all'inglese Working Title portando a successi come “Bean” (Mel Smith, 1997), “Shallow Grave” (Danny Boyle, 1994) e l’americano “Fargo” (Coen, 1996). Venne però poi comprata dalla USA Films. Un film europeo in america era generalmente destinato a sale minori, a meno che non fosse in lingua inglese e avesse delle star americane (“1492: Conquest of Paradise”, Ridley Scott, 1992; “Il Quinto Elemento”, Luc Besson, 1997). La Working Title fu la sola casa di produzione a conquistare sia il pubblico europeo che quello statunitense, in parte grazie alle star Hugh Grant e Rowan Atkinson. Regista europeo di successo fu il danese Lars von Trier, il quale girò film a basso costo in inglese ma rifiutò finanziamenti americani. La sua fama crebbe con “Breaking The Waves” (1996), storia di un operaio di una poattaforma di petrolio che, dopo un incidente, resta impotente e chiede allora alla moglie di avere rapporti sessuali con altri uomini e raccontargli le sue esperienze. L’impiego flessibile della macchina da presa si vede in “Homicide: Life On The Streets” e “Dancer In The Dark” (2000). Critica anche l’America in “Dogville” (2003) e “Manderlay” (2005). Fondatore del movimento Dogma 95 insieme a Thomas Vinterberg, stilarono insieme un manifesto che urgeva al ritorno alla purezza del cinema poichè le nuove tecnologie stavano democratizzando il cinema. Una regola principale di tale movimento era il “voto di castità”, ovvero la richiesta che il film fosse filmato on location, utilizzando soltanto oggetti di scena già presenti sul posto, con la macchina da presa a mano e registrare il suono in presa diretta. Il film doveva essere in formato Academy 35mm, a colori e senza filtri. Il manifesto fu ignorato fino al 1998 quando il film di Vinterberg “Dogma 1 – Festa In Famiglia” vinse il premio della giuria a Cannes, “Dogma 2 – Idioti” di von Trier si aggiudicò il premio della critica al London Film Festival e “Dogma 3 – Mifune” di Kragh-Jacobsen fu premiato a Berlino e incassò 2M di dollari. I membri del Dogma continuarono ad essere convinti che le tecnologie sofisticate e la burocrazia fossero un ostacolo alla creazione genuina. “Italiano Per Principianti” di Lone Scherfig fu il primo film Dogma di una donna e vinse l’Orso d’argento a Berlino, diventando poi un successo internazionale. ASIA ORIENTALE: ALLEANZE REGIONALI E SFORZI GLOBALI L’associazione ASEAN puntava anch’essa a creare un mercato completamente integrato, più semplice che in Europa poichè in Asia il cinema aveva una dimensione sovranazionale da anni. Anche se la Cina proibiva forme di investimento dirette a Taiwan, registi taiwanesi crearono ad Hong Kong società attraverso le quali finanziavano i film. Esempi sono “Lanterne Rosse” (Zhang Yìmou, 1991), “Addio Mia Concubina” (Chen Kaige, 1993). Registi di Hong Kong come Tsui Hark e Wong Kar-wai cominciarono a girare film sul suolo cinese. Nel frattempo la Corea del Sud esportava film horror o d’azione, mentre le star giapponesi comparivano spesso in film cinesi e coreani. Dopo alcuni fallimenti nel trovare il film golbale asiatico, venne fondata la Sony Pictures Asia con l’intento di finanziare il film asiatico che potesse conquistare il pubblico internazionale, riuscendo con “La Tigre E Il Dragone” (Ang Lee, 2000), che vinse 4 Oscar. “Kill Bill” (2003-2004) di Tarantino prese ispirazione dal genere d’azione asiatico mentre Zhang Yìmou ebbe successo con “Hero” (2002), “La Foresta Dei Pugnali Volanti” (2004) e “La Città Proibita” (2006). IL CINEMA DELLA DIASPORA Alla fine del XX secolo i registi cominciarono a trattare tematiche quali l’esperienza della migrazione con la sensazione di essere sospesi tra due culture e il disagio di essere diversi. Nacquero film in cui la diaspora era un tema centrale come “Tangos – L’Esilio Di Gardel” (Fernando Solanas, 1985), sull’argentina, “Latcho Drom” (Tony Gatlif, 1993), tributo alla musica gitana, “The Guests Of Hotel Astoria” (1989), da un gruppo di iraniani sfuggiti alla rivoluzione. Spesso in questi film, il protagonista di seconda generazione entra in contatto con le proprie radici tramite la cultura popolare (“Bend It Like Beckham”, Gurinder Chadha, 2002). In “Sud Side Story” (2000) la regista italiana Roberta Torre trasformò il Romeo shakesperiano in un giovane siciliano innamoratosi di una ragazza nigeriana. Forse il film diaspora più visto fu “Persepolis” (2007) di Marjane Satrapi, film d’animazione in cui emerge il suo orgoglio iraniano, la paura del governo e l’amore per i parenti rimasti in patria. IL CIRCUITO DEI FESTIVAL I festival permettono alla gente di vedere i film in anteprima e inoltre sono in grado di attirare attenzione mediatica anche sui film a budget ridotto, anche se per breve tempo. Dunque hanno un ruolo fondamentale nella promozione di opere estranee al sistema hollywoodiano. Ci sono circa 60 festival del cinema legati alla FIAPF che gli conferisce una certa legittimità. Tra questi una decina, come Cannes o quelli a Londra e New York, sono considerati di serie A. Servono anche ai produttori per mostrare i film ai vari distributori e proporglierli con vari accordi. Dato anche il glamour dei festival, marche fashion come Gucci, Armani o l’Oréal spesso diventano sponsor di tali eventi. La maggior parte dei festival prevede anche un premio della giuria o dei critici, i quali dunque assumono un ruolo importante. CINEMA E DIGITALIZZAZIONE Un’innovazione importante fu il motion control, grazie al quale si potevano ripetere fotogramma per fotogramma, i movimenti della macchina da presa. Inoltre anche la registrazione e la ridproduzione del suono divennero digitali con il Digital Audio Tape (DAT). Nel 1986 la Sony mise in circolazione il primo sistema ideoregistratore, seguito poi dal formato Digital Betacam nel 1993, che divenne lo standard. Inizialmente usato solo dalle televisioni, venne poi introdotto anche nel mondo del cinema. Migliorarono anche qualità e risoluzione con videocamere HD oltre ad una nuova videocamera della Sony che permetteva di trasferire le riprese sia su PC che su Mac. Questo cambiamento avvenne prima nel cinema sperimentale e poi successivamente nel cinema più commerciale di Hollywood. Il primo film per cui si impiegò la videocamera Sony/Panavision fu il poliziesco francese di Pitof, “Vidocq” (2001). Nonostante l’uso del digitale ad alta definizione, spesso i registi impiegavano comunque sequenze filmate su 35mm. Dal punto di vista tecnico, la pellicola offriva immagini più ricche e permetteva un controllo preciso della messa a fuoco, mentre il digitale assicurava una buona resa dei dettagli nelle zone d’ombra, tendendo però ad essere impreciso in zone illuminate. Ora, grazie a software specifici, i produttori possono lavorare con più precisione creando set virtuali in 3D. Venne usato anche il termine pre-visualizzazione, che intendeva una qualsiasi pianificazione preliminare dell’immagine, disegni e progetti compresi, ma indica in particolare la versione digitale semplificata si una sequenza. Versioni di film complete in pre-vis furono utlizzate in “Lord Of The Rings”, “King Kong” e “La Guerra Dei Mondi”. Data la diffusione del CGI, i registi cominciarono a girare film tenendo già conto della manipolazione digitale che sarebbe avvenuta perciò attori spesso recitavano in fronte a sfondi blu o verdi che poi sarebbero stati digitalmente cambiati in ciò che il film necessitava. Introdotta anche la motion capture, che permetteva di creare un’immagine virtuale degli attori rilevando i loro movimenti tramite sensori. Le innovazioni digitali hanno trovato uso specialmente nella fase di post-produzione dei film, in particolare sul bilanciamento dei colori per rendere omogenee le inquadrature realizzate in illuminazioni diverse. Per questo vengono utlizzati i digital intermediates (DI) , usati per la prima volta in “Pleasantville” (Gary Ross, 1998). Tale operazione passava inosservata agli occhi degli spettatori. Con il grande successo commerciale dei blockbuster e la continua eoluzione del CGI, i film cominciarono ad introdurre sempre più effetti speciali, al punto che il CGI assorbe circa metà del budget disponibile. L’avvento digitale portò anche ad un ritorno del 3D e inoltre ora si poteva convertire un esistente film in 2D in 3D. Nonostante ciò la struttura narrativa di delineare i personaggi tramite una progressiva evoluzione e la sceneggiatura da tre atti non subirono enormi cambiamenti. L’atto di distribuzione, in precedenza una cosa molto costosa, ridusse i prezzi nel 90% grazie alla tecnologia. La proiezione digitale permetteva anch’essa di risparmiare molto. Le major statunitensi si occuparono in maggioranza dei costi del passaggio da proiezione di pellicola 35mm a proiezione digitale. La Texas instruments lanciò un proiettore a 2K, che garantiva la qualità della pellicola 35mm e poteva essere potenziato fino ai 4K. Alcune sale negli anni 2000 poi iniziarono a proiettare in 3D, attrezzate appositamente per poter utilizzare gli speciali filtri polarizzatori, i silver screen e gli occhiali richiesti. FILM, NUOVI MEDIA E CONVERGENZA DIGITALE L’arrivo dei DVD portò la gente ad iniziare a collezionare film mentre l’Internet cambiò il modo in cui un film veniva promosso e distribuito. Inoltre le informazioni sui film venivano ora spedite con floppy disk invece che in materiale cartaceo, per poi avere tali informazioni distribuite su siti web o in cartelle su CD- ROM e DVD in futuro. I siti ufficiali divennero via via sempre più interattivi e indipendenti dopo un’iniziale incertezza da parte degli studios. Inoltre venne fermata la produzione di VHS poichè i DVD vendevano molto di più, specialmente grazie ai contenuti extra disponibili su di essi, quali interviste agli attori, sottotitoli, guide sul set etc. Nonostante ciò, l’entusiasmo non durò molto a lungo e si ricominciò a piratare o copiare i DVD. Inoltre i DVD vendevano molto di più su siti online con vari sconti che non nei negozi appositi. E in seguito si diffusero i film online gratis, come era stato in precedenza per la musica, che ebbe un grande effetto sulle vendite. Ciò ancora non preoccupava troopo gli studios visto che i download dei film duravano ore, ma questo cambiò quando nel 2008 venne annunciata una nuova generazione di connessioni a banda larga, che consentiva di scaricare film in HD e in poco tempo. Altra innovazione usata per promuovere da film a aspiranti talenti musicali fu YouTube, creato nel 2005. Nacquero qua e la alcune forme alternative di promozione. Un esempio è “Four Eyed Monsters” (Arin Crumley e Susan Buice, 2005), che diede la possibilità di avere due serie scaricabili su ipod come podcast, cosa che portò attenzione al film e lo fece proiettare in alcune sale. Esso inaugurò anche il Sundance Channel all’interno di Second Life nel 2007. Altro metodo di incassi erano i videogiochi basati sui film, che erano prodotti su licenza degli stessi studios e dunque non erano due settori in competizione tra di loro, con stars dei film che spesso doppiavano i propri personaggi. Il primo videogioco basato su un film di successo fu “GoldenEye 007”. Grazie alla convergenza digitale, i media in passato separati sono ora ridotti a un denominatore comune. CAPITOLO 21 Fu così che nacque la serie “Why We Fight” (1942-45) basata in gran parte da materiale strappato alla Germania e ad altri nemici, con scene girate appositamente. Ben presto anche altri registi di Hollywood si arruolarono, documentando i vari aspetti della guerra, come John Ford nella marina militare che documentò l’attacco dei Giapponesi all’isola di Midway (“The Battle Of Midway”, 1942). William Wyler entrò invece in aviazione e fu supervisore di “The Memphis Belle” (1944) e John Huston realizzò due film: “The Battle Of San Pietro” (1944) e “Let There Be Light” (1946), quest’ultimo sulla riabilitazione delle vittime di esplosioni e fu proibito dal governo per oltre 30 anni. Nel Regno Unito il documentario diede il suo contributo al fronte unico contro il nazismo. “Desert Victory” (Roy Bulting, 1943) fu prodotto da unità interne all’organizzazione militare. Inoltre la GPO Film Unit divenne la Crow Film Unit con l’incarico di creare documentari bellici come “Target For Tonight/Air Operations” (Harry Watt, 1941). Arrivò anche la rivelazione di Humphrey Jennings che, con il montatore Stewart McAllister, elaborò uno stile che evocava con un certo lirismo le vite dei connazionali, un genere perfetto per descrivere il fronte domestico. Esempi sono “Listen To Britain” (1942), “Fires Were Started” (1943) e “A Diary For Timothy” (1945). In Germania la maggior parte delle proiezioni consisteva di cinegiornali a supporto del regime. Nel 1940 le serie esistenti furono unite in un singolo cinegiornale, “Deutsche Wochenschau”, sotto il controllo di Goebbels. I documentari sovietici decisero invece di mettere in primo piano la distruzione e sofferenza causate dai tedeschi, riuscendo poi a mostrare anche eroiche vittorie come in “La Sconfitta Dei Tedeschi Presso Mosca” (1942) e “Stalingrad” (1943), entrambi di Leonid Varlamov. VERSO IL DOCUMENTARIO PERSONALE Alla fine della guerra il documentario rimase comunque in gran parte appannaggio delle istituzioni, tra film educativi e propaganda. Negli anni ’50 la televisione batteva la velocità dei cinegiornali nelle sale ma offrì anche un nuovo mercato per il documentario a lungometraggio. In questo periodo esordì una nuova generazione di documentaristi. Alcuni scelsero la via dell’innovazione, come l’oceanografo Jacques Cousteau, che perfezionò le riprese subacquee (“Il Mondo Del Silenzio”, 1956; “Il Mondo Senza Sole”, 1964). Altri scelsero il genere del tema sociale come in “In The Street” (James Age, Helen Levit e Sidney Loeb, 1952) e “Farrebique” (Georges Rouquier, 1946) e il suo sequel “Biquefarre” (1983). Il film di reportage fu rimpiazzato dalla tv, ma restarono alcuni esempi di esso come “Le Olimpiadi Di Tokyo” (1965) di Kon Ichikawa. Con la nuova generazione riapparse anche il genere del documentario antologico come in “Morire A Madrid” (Frédéric Rossif, 1962) e “Point Of Order” (Emile DeAntonio, 1964). Nel Regno Unito era molto evidente la tendenza all’innovazione con autori in grado di esprimere nei documentari le loro attitudini individuali. Si sviluppò così il documentario personale durante la stagione del Free Cinema, con membri del gruppo Karel Reisz, Lindsay Anderson e altri ad esprimere ostilità verso il cinema commerciale. La maggior parte dei nuovi film esprimeva dunque l’atteggiamento del regista verso il Regno Unito contemporaneo, con la cultura popolare come soggeto centrale come si può vedere in “O Dreamland” (Anderson, 1953), “Momma Don’t Allow” (Tony Richardson, 1956) e “We Are The Lambeth Boys” (Reisz, 1958). Anche in Francia il documentario si orientò verso l’espressione personale, con lo Stato a finanziare anche film sperimentali. Alain Resnais si fece notare con una serie di documentari sull’arte, tra cui “Van Gogh” (1948), “Guernica” (1950) e “Anche Le Statue Muoiono” (1953), quest’ultimo codiretto con Chris Marker. I due documentari più celebrati di Resnais, “Notte E Nebbia” (1955) e “Tutta La Memoria Del Mondo” (1956), indagano la natura della memoria storica. Parallelamente a Resnais, emerge Georges Franju. I suoi documentary più importanti sono “Il Sangue Degli Animali” (1948) e “Hotel Degli Invalidi” (1952), che mirano a turbare il pubblico con un atteggiamento simile al surrealismo. Franju avrebbe poi utilizzato questa sua abilità di cogliere aspetti inquietanti della vita quotidiana nei suoi lungometraggi. Più strutturate sono le opere di Chris Marker, fotografo professionista e viaggiatore. Egli predilige due tipi di documentario: il diario di viaggio, usato per riflettere sull’idea che l’Occidente ha della cultura esotica (“Una Domenica A Pechino”, 1956; “Lettere Dalla Siberia”, 1958) e il documentario politico (“Cuba Sì”, 1962; “Il Bel Maggio”, 1963; “Descrizione Di Una Lotta”, 1961). Nel frattempo, il giovane antropologo Jean Rouch si specializzava nel documentario etnografico. Ciò gli valse la direzione della Commissione Internazionale Del Film Sociologico E Etnografico. La sua influenza iniziò con “I Signori Folli” (1955), filmato in Ghana dove i sacerdoti Hauka avevan chiesto di filmare i propri rituali di possessione dove i protagonisti adottano l’identità dei loro colonizzatori. Il successo del film, anche in mezzo all’odio, convinse Rouch a continuare questo filone di mostrare gli effetti del colonialismo. In “Io, Un Nero” (1958) egli filma abitanti della Costa D’Avorio che consapevolmente imitano la vita dell’Occidente. Rouch considerava il film etnografico essenziale per mostrare all’Occidente la differenza tra le varie culture e società, scoraggiando l’istinto europeo di forzare altri ad imitare il loro stile di vita. IL CINEMA DIRETTO E OLTRE Fra il 1958-1963 il documentario subì vari cambiamenti, dalla troupe ridotta e l’assenza di una struttura drammaturgica all’attrezzatura più leggera e pratica. Il cinema che permetteva all’azione di svolgersi in modo che i protagonisti parlassero in prima persona era detto Cinema Diretto, per l’abilità di poter filmare eventi con immediatezza. Nel 1923 la Eastman Kodak introdusse il 16mm, che nel 1952 venne poi usato anche per i documentari. Nel 1952 l’Arriflex 16 divenne lo standard del modello professionale. In precedenza la pesantezza e ingombro delle macchine da presa non permettevano di registrare le azioni mentre succedevano. Nel 1958 vennero allora introdotte le cineprese professionali più leggere come l’Auricon Cinevoice e la Eclair Camaflex, poi seguite da una versione aggiustata dell’Arriflex 16 di soli 10kg. Il miglioramento dell’attrezzatura sonora permise anche di far esprimere i soggetti dei documentari senza dover sempre fare voice-overs. Nei primi anni ’50 venne abbandonata la traccia ottica su pellicola a favore della registrazione su nastro magnetico e gli autori di documentari iniziarono a catturare il suono sul posto con registratori portatili. Venne inventato il Pilotone, che permetteva di sincronizzare la pista sonora della pellicola con il suono registrato. Negli USA il Cinema Diretto si affermò con Robert Drew, che assunse Richard Leacock, Donn Allan Pennebaker e David e Albert Maysles, producendo cortometraggi per la televisione. La svolta giunse con “Primary” nel 1960 sullo scontro tra candidati JFK e Humphrey la cui autenticità visiva catturò l’attenzione. Tra il 1961-63 la Drew Association realizzò 12 opere, alcune commissionate da ABC. Drew considerava il documentario come un mezzo per raccontare storie drammatiche. L’approccio indicato ai membri delle varie troupe era quello del cinegiornale, dove il reporter deve bilanciare il rispetto dei fatti con un giudizio soggettivo. Presto i fratelli Maysles lasciarono il gruppo realizzando “What’s Happening? The Beatles In The USA” (1964), seguiti poi da Pennebaker e Leacock, che si misero in proprio. Leacock are convinto che l’autore non dovesse interferire con l’evento ma limitarsi ad osservare con discrezione e senso di responsabilità, ed era poco interessato al dramma e alla suspense di Drew. Anche in Canada la TV ebbe un ruolo determinante per l’emergere del Cinema Diretto. La creazione di una rete nazionale spinse i documentaristi della National Film Board (NBF) a realizzare film d’attualità in 16mm. Nacquero due movimenti, uno per il Canada inglese e l’altro per quello francofono. La B Unit della NBF realizzò film per la “Candid Eye”, una serie in inglese del 1958-59, con taglio da candid camera (“The Days Before Christmas”, 1958; “Blood And Fire”, 1958; “The Back-Breaking Leaf”, 1959). Questi registi credevano in un cinema oggettivo, prendendo spunto dal Free Cinema di Henri Cartier-Bresson e la sua caccia al preciso istante che illumina eventi totalmente quotidiani. Dopo la serie, il titolo più interessante di questi registi fu “Lonely Boy” (Wolf Koenig e Roman Kreitner, 1962), un ritratto del cantante Paul Anka. Il trasloco dell’NBF a Montréal rese l’ente maggiormente francese e nel 1958 Michel Brault e Gilles Groulx girarono “Le Raquetteurs”, un affettuoso e esilarante servizio, pietra miliare per il Cinema Diretto canadese. Così la NBF fondò un gruppo di lingua francese composto da Brault, Groulx, Jutra, Fournier e altri, che produsse “Golden Gloves” (1961), “L’Incontro” (1961), “Québec-USA” (1962) e “Per Il Resto Del Mondo” (1963) dove si vedeva la volontà di esplorazione dell’identità sociale della comunità francofona e l’identificazione con la cultura popolare urbana. In Francia il Cinema Diretto nacque invece dalle inchieste etnografiche di Rouch, con il film chiave “Chronique D’Un été”, in collaborazione con Edgar Morin, sociologo. Il film fa a meno del dramma e della suspense tipica di Drew e si concentra invece sulla gente comune che descrive la propria vita sotto l’insistenza delle domande provocatorie di Morin. Una versione ibrida del Cinema Diretto viene da due film di Mario Ruspoli: “Gli Sconosciuti Della Terra” (1961) sui poveri contadini della Lozère e “Sguardo Sulla Follia” (1962) su un manicomio. Entrambi si trovano a metà tra l’osservazione americana e il provocatorio di Rouch e Morin. Chris Marker, invece, attacca il metodo dei due coetanei in “Le Joli Mai”, utilizzando i metodi del Cinema Diretto in una più ampia meditazione sulla libertà e la coscienza politica e chiedendo al Cinéma Vérité di riconoscere la complessità della vita e delle forze politiche che governano la società francese in quel momento. GLI ULTIMI SVILUPPI I fratelli Maysles realizzarono uno dei più importanti film americani nell’ambito del cinema-verità con “Salesman” (1968). Allan King realizzò invece “A Married Couple” (1969) girando oltre 70 ore di pellicola. Le tecniche del Cinema Diretto si rivelarono particolarmente utili nel nuovo filone di documentario rock con alcuni esempi come “Don’t Look Back” (Pennebaker, 1966), “Woodstock” (Wadleigh, 1970) e “Let It Be” (Michael Lindsay-Hogg, 1970). Nel periodo in cui Jonathan Demme realizzò “Stop Making Sense” (1984) il concerto era diventato un evento secondario al film che ne deriva. Jim McBride (“David Holtzman’s Diary”, 1967) e Shirley Clarke (“Portrait Of Jason”, 1967) invece criticano il Cinema Diretto. Ma esso è comunque in grado di catturare le esperienze personali di un regista. Per la sua capacità di catturare l’immediatezza dei processi sociali e politici, il Cinema Diretto attirò molti registi, fra cui Frederick Wiseman e il francese Raymond Depardon (“Fatti Di Cronaca”, 1983; “Emergenze”, 1987; “Reati In Flagrante”, 1994). Entrambi esplorano i ruoli sociali e le istituzioni e nascondevano la presenza del regista. Amos Gitai (“Diario Di Campagna”, 1982), Kazuo Hara (“L’Esercito Nudo Dell’Impero Continua A Marciare, 1987) e Claude Lanzmann (“Shoah”, 1985) invece, utilizzano il metodo provocatorio di Rouch- Morin. Tutti queti film si basano principalmente sul confronto immediato del regista con una situazione concreta, senza nessu narratore. Negli anni ’70 il documentario mescolava testimonianze raccolte alla maniera del Cinema Diretto, scene improvvisate e immagini di repertorio, usando anche un commento e una musica per collegare tutto. Questa tecnica fu inizialmente proposta da Emile De Antonio in “In The Year Of The Pig”, una storia analitica della Due erano i generi principali d’animazione: far muovere degli oggetti oppure produrre disegni per ricreare il movimento. Alla prima categoria appartiene “The Haunted Hotel” (James Blackton, 1907), film che fu molto imitato all’estero. La prima persona a dedicarsi completamente all’animazione fu Emile Cohl, che lavorò pricipalmente per la Gaumont ed ebbe il suo esordio con “Fantasmagoria” (1908). I suoi numerosi film erano spesso basati su trasformazioni bizzarre di una serie di sagome, l’una che nasce dall’altra. Negli USA fu invece il fumettista Windsor McCay ad iniziare a disegnare per l’animazione, debuttando con “Little Nemo” (1911), i cui personaggi sono ripresi da un suo fumetto. Realizzò anche “Mosquito” (1912) e “Gertie The Dinosaur” (1914). Colui che è considerato il maggior animatore di pupazzi di sempre, Ladislaw Starewizc, cominciò la sua carriera nel 1910. Il suo film più famoso fu “La Vendetta Di Un Cineoperatore” (1912), affascinante ancora oggi. PRIMI PASSI DELL’ANIMAZIONE AMERICANA Il poter avere animatori che visualizzavano il progetto e le idee e disegnatori a parte che realizzavano la maggior parte dei disegni rese le operazione di animazione molto più rapide, grazie anche ad innovazioni dalla stampa automatica degli sfondi (brevettato da John Bray in “The Artist’s Dream”, 1913) al slash system (introdotto da Raoul Barré, che utilizzò questo sistema per creare, nel 1915, “Animated Grouch Chasers”). Queste nuove tecniche garantivano l’uscita mensile o a volte anche bisettimanale di serie di cartoni animati. La maggior parte dei film era affidata a distributori indipendenti, di cui la principale dell’epoca fu Margaret J. Winkler Mintz, che distribuì “Out Of The Inkwell” (fratelli Fleischer, ), “Mut And Jeff” (Bud Fisher), due serie incredibilmente famose, e i primi tentativi di Walt Disney come “Alice Comedies”. I fratelli Fleischer elaborarono una tecnica con il rotoscopio, che permetteva di utilizzare scene riprese dal vero, proiettarle su un foglio di carta e disegnarne i contorni. Dal 1927 la Disney si dedicò all’animazione pura con il personaggio della serie “Oswald The Rabbit”. Perdendo il personaggio contro Charles Mintz, un amministratore della distribuzione, la Disney creò Mickey Mouse, riuscendo a trovare un distributore solo per il 3° film, “Steamboat Willie” (1928), che usava il sonoro, raggiungendo il successo che catapultò Walt Disney ai vertici del mercato internazionale del cinema d’animazione. Altre due serie popolari negli anni ’20 furono “Aesop’s Fables” di Paul Terry e “Felix Il Gatto”, creata da Pat Sullivan e principalmente da Otto Messner per conto della Paramount fin dal 1918. Distribuito dalla Mintz, ebbe successo sia per il buon personaggio, sia per l’animazione fluida. L’ANIMAZIONE E LO STUDIO SYSTEM Con l’avvento del sonoro, il cinema d’animazione divenne prassi comune delle major. La Fox aveva Paul Terry mentre la Universal Walter Lantz, creatore di “Picchiarello” (1941). Dall’altro lato c’era Walt Disney che, dopo il successo di “Steamboat Willie”, continuò ad animare Topolino così come una nuova serie di “Silly Symphonies”, basate su pezzi musicali. Nel 1932 la Disney affidò la distribuzione dei suoi film alla United Artists. Fu anche il primo studio ad adottare la Technicolor a tripla pellicola con “Flowers And Trees”. Con film come “I 3 Porcellini” (1933) la Disney dominava la sezione degli Oscar destinata all’animazione. Nel 1937 la Disney passò invece alla RKO per la distribuzione di “Snow White And The 7 Dwarfs”, il primo lungometraggio animato che fu un enorme successo e fu seguito da cortometraggi animati su Topolino, Paperino, Pippo e Pluto e altri lungometraggi quali “Bambi” (1942), film che popolarizzò gli sfondi realistici e fece ampio uso della nuova cinepresa multiplane, e altre opere come “Pinocchio” (1939), “Fantasia” (1940) e “Dumbo” (1941). I lungometraggi animati ripresero dopo il 1945. I fratelli Fleischer introdussero il personaggio di Betty Boop nel 1931, che dovette smorzare gli atteggiamenti a causa del Codice Hays dal 1934. Altro personaggio apparso in Betty Boop nel 1933, Popeye, divenne la star dello studio Paramount. Nel 1939 i Fleischer distribuirono il lungometraggio “Gulliver’s Travels”. Furono poi mandati via dalla Paramount, che rilevò sia Popeye che Superman. Per la Warner Bros . lavorarono brevemente Hugh Harman, Rudolf Ising e Isadore Freleng, creando “Looney Tunes”, il cui personaggio principale era un ragazzo di colore chiamato Bosko. Harman e Ising passarono alla MGM nel 1934 e portarono Bosko con loro, mentre la Warner assunse Frank Tashlin, Bob Clampett, Tex Avery e Chuck Jones che, insieme a Freleng, portarono la compagnia ai vertici del mercato di cortometraggi. Non avendo i fondi della Disney per sfondi dettagliati o figure animate migliori, la Warner si lanciò sulla velocità, il riferimento all’attualità e l’umorismo demenziale. Lo stesso gusto adulto si trasferì alla MGM quando Avery, creatore di “You Ought To Be In Pictures” (1940) ci passò nel 1942. Avery creò Screwy Squirrel, Droopy Dog e un lupo senza nome. L’arrivo della teleisione non danneggiò l’animazione come fece con il resto del cinema. Mentre Avery continuava a creare per la MGM, William Hanna e Joseph Barbera inventarono “Tom E Jerry”. Il reparto animazione della Warner Bros. continuava invece a scatenarsi nelle invenzioni bizzarre come “The Great Piggy Bank Robbery” (Bob Clampett, 1946). Chuck Jones raggiunse il suo apice combinando l’opera wangneriana alla follia di Bugs Bunny in “What’s Opera, Doc?” (1957). Creò anche un originale in “One Froggy Evening” (1955). La United Productions Of America aveva un reparto piccolo d’animazione, con personaggi fissi Mr Magoo e Gerald McBoing Boing. In seguitò produsse disegni animati per la televisione. Walt Disney distribuì i suoi film tramite la RKO fino al 1953 quando creò la sua casa di distribuzione Buena Vista. I profitti maggiori arrivavano dai lungometraggi, il cui catalogo continuava a crescere, basandosi spesso su versioni edulcorate di classici per l’infanzia (“Sleeping Beauty”, 1959; “Cinderella”, 1950; “Alice In Wonderland”, 1951). Lo studio ebbe anche l’enorme successo di “Mary Poppins” (Robert Stevenson, 1964), una combinazione di azione dal vivo e animazione. Dalla metà degli anni ’60 gli studios cessarono i cortometraggi poichè il pubblico era ora preso dai cartoni animati in televisione. I personaggi principali infatti si trasferirono tutti sul piccolo schermo, tranne Walt Disney, che rifiutò di vendere i suoi cartoni animati alla televisione. Si accordò invece con ABC per creare il settimanale di successo “Disneyland” dal 1954. EUROPA: ARTIGIANATO E ANIMAZIONE ASTRATTA Secondo un gruppo di artisti attivi in Germania, la forma più pura del cinema era quella astratta. Alcuni rappresentanti di questo gruppo furono Hans Richter e Viking Eggeling ed entrambi avevano in mente l’animazione come un mezzo per produrre una musica visiva. Distribuendo nel 1921 “Rhythmus 21”, Richter annunciò la rappresentazione del primo film animato astratto. Probabilmente fu Walter Ruttman ad elaborare il primo esempio del genere con “Lichtspiel Opus 1” (1921). Il progetto di Ruttman prevedeva che le immagini, oltre ad essere colorate a mano, venissero proiettate con partiture appositamente scritte. Eggeling aveva creato, insieme all’esperta animatrice Erna Niemeyer, “Diagonal Symphonie”, proiettato nel 1924. Essendo che per Eggeling le immagini astratte erano l’equivalente di una composizione musicale, il film era privo di un accompagnamento sonoro. Anche dopo l’avvento delle nuove tecniche hollywoodiane, molti registi europei preferirono escogitare metodi più artigianali e alternativi per creare il movimento frame-by-frame. Uno degli artisti più originali fu il ceco Berthold Bartosch, a cui venne commissionato un film basato su un libro di xilografie di ispirazione socialista nel 1930. Impiegò due anni per realizzare le idee in “L’Idée” (1932). Il film di Bartosch ispirò due animatori: il russo Alexandre Alexeieff e l’americana Claire Parker, che insieme inventarono l’animazione a “schermo a spilli” con la quale nacque il capolavoro “Un Nuit Sur Le Mont Chauve” (1934), basato sull’omonimo poema musicale di Modest Petrovic Musogskij. L’animazione astratta continuò negli anni ’30 in Germania con Oskar Fischinger che effettuò esperimenti per unire forme in movimento alla musica ed esplorò l’uso dei colori nell’animazione astratta nei tre minuti di “Cerchi” (1933). Trasferitosi a LA, produsse il cortometraggio “An Optical Poem” (1937) per la MGM, la quale però non era incline allo stile dell’artista. Il suo film più importante è “Motion Painting N°1” (1947). Altro importante sperimentatore dell’animazione astratta fu Len Lye il quale, per mancanza di denaro, iniziò a dipingere direttamente su pellicola finchè non fu finanziato dalla GPO Film Unit di Grierson. Anch’egli esplorò le potenzialità delle nuove tecnologie cromatiche in “Color Box” (1935), che divenne popolare e ispirò i creatori di “Fantasia”. IL CINEMA D’ANIMAZIONE DEGLI ANNI ’70 E ‘80 Il declino dell’animazione in studios portò al pensiero che i cartoni animati fossero solo per bambini, ma l’aumento di vendite underground di fumetti e giornalini ed un rinnovato interesse per i supereroi onvinse che c’era ancora la possibilità di attirare un pubblico più maturo. “Yellow Submarine” (1968) di George Dunning ottenne immenso successo grazie ai disegni animati psichedelici che illustravano i testi dei Beatles mentre “Fritz The Cat” (Ralph Bakshi, 1972) fu il primo film d’animazione con un rating alto. Alcuni film avevano chiara ispirazione europea, come “Heavy Metal” (1981) dove Gerald Potterton usa una rivista francese di fantasy come riferimento. I gemelli Quay animarono i loro pupazzi in “Street Of Crocodiles” sulle fantasie suerrealiste di Svankmajer. I film satirici di Sally Cruikshank prendono invece spunto dalla tradizione americana. In europa dell’Est nacquero molti piccoli centri d’animazione statali, che garantivano ampia libertà creativa. Due esempi sono i cechi Jiri Trnka (“Vecchie Leggende Ceche”, 1953; “La Mano”, 1965) e Karel Zeman (“La Diabolica Invenzione”, 1957). Una delle opere più innovative fu “L’Ultimo Trucco Del Signor Schwarzewalde E De Signor Edgar” (1960) del cecoslovacco Jan Svankmajer. Il maggior centro di animazione europeo era iugoslavo: lo studio Zagreb, fondato nel 1956, guadagnò una reputazione con cartoni animati destinati ad un pubblico adulto dei cinema d’essei. I film erano spesso apprezzati all’estero. Un esempio è “Sostituzione” (Vukotic, 1961). L’ANIMAZIONE DI OGGI Disney ebbe un periodo di crisi tra gli anni ’80 e ’90 perchè alcuni disegantori se ne andarono, seguendo Don Bluth, con cui crearono il film di successo “Fievel Sbarca In America” (Spielberg, 1986). Tornarono al vertice nel 1989 con “La Sirenetta”, grazie anche alle canzoni di Alan Menken e Howard Ashman. “La Bella E La Bestia” (1991) segnarono un ulteriore passo avanti, continuando quella che è conosciuta come l’era della Renaissance della Disney, che iclude film come “Aladdin” (1992) e “The Lion King” (1994). In Inghilterra Peter Lord e David Sproxton crearono la Aardman Animation nel 1976 e divennero noti per la tecnica in stop motion che impiegavano con la plastilina. Una delle loro serie principali fu “Lip Synch”, alla quale lavorò anche Nick Park nel 1989 con un cortometraggio chiamato “Creatures Comforts”, una parodia dei documentari. A metà degli anni ’80 si lanciarono sulla pubblicità televisiva con una serie di spot per la società Heat Electric, producendo comunque altri cortometraggi come “Wat’s Pig” (1996) e “Pib E Pob” (1994). I personaggi più celebri della società sono Wallace e il cane Gromit, che debuttarono nel 1989 in “A Grand Day Out”. Con i successivi film della serie, Nick Park vinse tre Oscar.
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